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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di MAGGIO 2010

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aggiornamento al 31.05.2010

aggiornamento al 27.05.2010

aggiornamento al 25.05.2010

aggiornamento al 17.05.2010

aggiornamento al 13.05.2010

aggiornamento al 10.05.2010

aggiornamento al 06.05.2010

aggiornamento al 03.05.2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 31.05.2010

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CONVEGNI

Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Bergamo per martedì 08.06.2010 co-organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni ivi riportate.

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Il decreto "incentivi" è legge: al via gli interventi di edilizia libera e "quasi libera".
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 120 del 25.05.2010 è stato pubblicata la L. 73/2010, legge di conversione del Decreto "incentivi" (D.L. 40/2010).
Il Decreto Legge 25.03.2010 n. 40, entrato in vigore il 26.03.2010, prevede, all'art. 5, la riscrittura dell'art. 6 (Attività edilizia libera) del D.P.R. 380/2001, Testo Unico dell'Edilizia.
Inizialmente il D.L. prevedeva la possibilità di realizzare, senza alcun titolo abilitativo, gli interventi edilizi di manutenzione ordinaria e straordinaria (che non comportano l'aumento del numero delle unità immobiliari) , "salvo più restrittive disposizioni previste dalla disciplina regionale (...)".
In base al testo pubblicato le norme nazionali prevalgono su quelle regionali mentre per la manutenzione straordinaria sarà di nuovo obbligatorio l'intervento del tecnico.
Il nuovo testo dell'art. 6 del T.U. dell'edilizia distingue due tipologie di lavori:
- quelli, realizzabili senza alcun titolo abilitativo, individuati dal 1° comma
- quelli, per i quali è necessario inviare una comunicazione preventiva al comune, individuati dal comma 2°.
Rientrano negli interventi realizzabili senza alcun titolo abilitativo:
a) gli interventi di manutenzione ordinaria;
b) gli interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio;
c) le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato;
d) i movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari;
e) le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola.
Gli interventi individuati dal comma 2° sono invece i seguenti:
a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici;
b) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni;
c) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;
d) i pannelli solari, fotovoltaici e termici, senza serbatoio di accumulo esterno, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al Decreto del Ministro per i lavori pubblici 02.04.1968, n. 1444;
e) le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.
Per la seconda tipologia di interventi (2° comma) sarà necessario inviare preliminarmente al comune una comunicazione di inizio lavori, cui dovranno essere allegati:
- i dati identificativi dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori;
- una relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di un tecnico abilitato;
- una dichiarazione del tecnico che asseveri di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente e che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo.
A differenza di quanto accade per la presentazione della DIA, non sarà necessario attendere 30 giorni per avviare i lavori che potranno avere inizio subito.
Vale la pena sottolineare, inoltre, che per la denuncia di inizio attività non è attualmente richiesta né l'apposizione della data certa sulla relazione tecnica né la dichiarazione di indipendenza del tecnico (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: Il vademecum delle opere provvisionali di sicurezza.
Le opere provvisionali sono tutte quelle strutture ed opere provvisorie indipendenti dalla struttura del fabbricato e che non faranno parte dell'opera compiuta.
Le OPERE PROVVISIONALI possono suddividersi, in base al loro utilizzo, in:
- opere di servizio:
- opere di sicurezza;
- opere di sostegno ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: I Chiarimenti di Confindustria sul Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza.
A seguito dei quesiti pervenuti da parte di numerose aziende associate Confindustria Firenze ha fornito alcuni chiarimenti sulle disposizioni del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. che si occupano della figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).
La sede locale di Confindustria chiarisce che il RLS è una persona eletta o designata per rappresentare le esigenze dei lavoratori nei confronti della direzione aziendale per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro.
Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza è quindi una figura liberamente individuata dai lavoratori dipendenti in tutte le aziende o unità produttive e la sua designazione non costituisce, pertanto, un adempimento obbligatorio posto a carico del datore di lavoro.
Nelle aziende (o unità produttive) che occupano fino a 15 lavoratori, il RLS è di norma eletto direttamente dai lavoratori al loro interno oppure è individuato per più aziende nell'ambito territoriale o del comparto produttivo ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: La sicurezza nelle operazioni di rimozione dei depositi di GPL in serbatoi fissi interrati.
Con la nota n. 7589 del 06.05.2010 la Direzione Centrale per la Prevenzione e Sicurezza Tecnica Area III fornisce chiarimenti sulla "Rimozione di depositi di g.p.l. in serbatoi fissi da parte di ditte terze".
In particolare la nota sottolinea che durante l'effettuazione di visite-sopralluogo finalizzate al rilascio del certificato di prevenzione incendi per depositi di g.p.l. in serbatoi fissi interrati di piccola capacità, gli incaricati dell'accertamento hanno riscontrato, oltre al deposito interrato oggetto di richiesta collegato agli impianti utilizzatori, la presenza di un altro serbatoio, scollegato, fuori terra, semplicemente appoggiato e privo di ancoraggi e protezioni, contenente ancora g.p.l.
Quest'ultimo serbatoio risultava quello precedentemente installato, rimosso a cura di una nuova azienda subentrata per la fornitura del g.p.l. e proprietaria del serbatoio per il quale era stata avanzata richiesta di rilascio di C.P.I.
La nota precisa dunque che: ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA LAVORO: La sintesi dei compiti del medico competente.
L'AUSL di Verona ha reso disponibile un documento dal titolo "la sintesi dei compiti del medico competente" che illustra, dettagliatamente, compiti e responsabilità del medico competente.
Il medico competente collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi: ... (link a www.acca.it).

ENTI LOCALI: Energie rinnovabili e risparmio energetico: avviso di finanziamento dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Nell'ambito dell'attuazione del Programma Operativo Interregionale (POI) "Energie rinnovabili e risparmio energetico", il Ministero dello Sviluppo Economico ha emanato un avviso di finanziamento finalizzato ad avviare una procedura ad evidenza pubblica per la selezione di progetti di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili su edifici di proprietà di:
- amministrazioni statali;
- regioni;
- provincie;
- comuni;
- comunità montane delle regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Disponibili gli atti del convegno ISPESL - "La sicurezza degli impianti elettrici e dei dispositivi medici nelle strutture sanitarie".
Il 10 maggio scorso, a Napoli, si è svolto il convegno dal titolo "La sicurezza degli impianti elettrici e dei dispositivi medici nelle strutture sanitarie".
Nel corso del Convegno sono state illustrate le disposizioni legislative relative agli impianti elettrici e ai rischi connessi all'uso dei dispositivi medici.
In particolare l'attenzione è stata posta sulla valutazione della sicurezza elettrica (con particolare riguardo agli aspetti e ai rischi delle strutture sanitarie) e sull'individuazione delle principali criticità relative ai rischi per la salute derivanti dall'utilizzo delle apparecchiature elettriche e dall'utilizzo scorretto dei dispositivi o dall'utilizzo di dispositivi difettosi.
Questi gli interventi dei relatori nel corso del convegno: ... (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BUR (e anteprima(

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 24.05.2010 n. 119, suppl. ord. n. 97, "Definizione dei criteri per determinare il divieto di balneazione, nonché modalità e specifiche tecniche per l’attuazione del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116, di recepimento della direttiva 2006/7/CE, relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione" (Ministero della Salute, decreto 30.03.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA:  G.U. 24.05.2010 n. 119, suppl. ord. n. 96, "Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche" (D.P.C.M. 19.03.2010).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Applicazione del DM 37 del 22.01.2008. Verifica dell’obbligo di allegare alla domanda di titolo abitativo il progetto dell’impianto.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente in ordine alla legittima applicazione del D.M. (Sviluppo Economico) n. 37 del 22.01.2008 ed in particolare dell’art. 5, comma 1, laddove parrebbe prevedere (ad avviso del Comune richiedente) l’obbligo di allegare alla domanda di titolo abilitativo edilizio il progetto dell’impianto, sempre ed indipendentemente dalle caratteristiche dimensionali e di potenza di esso (Regione Piemonte, parere n. 37/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi edificatori nelle zone agricole.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente in ordine all'atto di impegno previsto dall’art. 25, comma 7, L.U.R. per gli interventi edificatori nelle zone agricole. (Regione Piemonte, parere n. 36/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Esonero dal contributo di costruzione. Art. 17, comma 3, lettera c), del TU Edilizia.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente in ordine all'esonero dal contributo di
costruzione previsto dall’art. 17, comma 3, lett. c), T.U. Edilizia ”per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici” (Regione Piemonte, parere n. 33/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI - ENTI LOCALI: R. G. Vaccari, E' necessario pubblicare all'albo le deliberazioni immediatamente eseguibili per renderle efficaci? (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: Studio Legale Spallino, La ristrutturazione edilizia in Lombardia - BREVE REPERTORIO DI GIURISPRUDENZA (Sondrio, 27.05.2010) (tratto da link a www.studiospallino.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGOFino al 2013 progressioni di carriera senza aumenti. La cura Tremonti mette nel congelatore la riforma brunetta.
La manovra finanziaria mette in un angolo la riforma Brunetta. Le conseguenze del congelamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, compresi anche gli emolumenti legati ai risultati, a quanto da essi percepito nel 2010 impone un sostanziale stop agli effetti che il dlgs 150/2009 intendeva produrre sul merito e l'efficienza.
Sebbene il testo della manovra non preveda un'espressa sospensione dell'attuazione del dlgs 150/2009, gli effetti concreti delle disposizioni sul contenimento della spesa per stipendi e il blocco dei contratti fino al 2013 producono conseguenze sostanzialmente identiche.
In quanto al blocco dei contratti, verrà a mancare per quattro anni un elemento fondamentale della riforma: la ristrutturazione delle risorse che ciascun'amministrazione destina alla contrattazione decentrata, in modo tale che, come prevede la norma programmatica contenuta nell'articolo 40, comma 2-bis, del d.lgs 165/2001, risulti prevalente la parte del salario accessorio collegata alla valutazione del merito individuale ... (articolo ItaliaOggi del 28.05.2010 - link a www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ O al comune o in regione. Ma la decadenza può essere promossa anche da qualsiasi elettore. Il consiglio solleva l'incompatibilità del sindaco.
Quali adempimenti l'amministrazione comunale deve adottare a seguito della proclamazione del sindaco a consigliere regionale?
Spetta al consiglio comunale contestare al primo cittadino la causa di incompatibilità sopravvenuta, ai sensi e con le modalità previste dall'art. 69 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267.
All'esito della menzionata procedura le funzioni del sindaco, dichiarato decaduto dal consiglio comunale saranno svolte, ai sensi dell'art. 53 Tuel, dal vicesindaco con contestuale avvio, da parte della prefettura competente, della procedura di scioglimento dell'ente ai sensi dell'art. 141 comma l lett. b) n. 1 Tuel.
Diversamente, nel caso il consiglio comunale ritenesse non sussistere la causa di incompatibilità sopravvenuta sarà possibile esperire ricorso giurisdizionale avverso la relativa delibera.
Si osserva infine che, indipendentemente dall'avvio da parte del consiglio comunale della procedura in argomento, la decadenza dalla carica di sindaco può essere promossa ai sensi dell'art. 70 del citato Tuel da qualsiasi cittadino elettore del comune o da chiunque altro vi abbia interesse nonché dal prefetto.
OSSERVATORIO VIMINALE/ Rimborsi per il consigliere provinciale.
L'amministrazione provinciale è tenuta a rimborsare ad una società gli oneri previsti dall'art. 80 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 nel caso in cui il consigliere provinciale, per il quale vengono richiesti i rimborsi, risulti essere dipendente e al contempo comproprietario della ditta medesima in quanto titolare di una quota del 20% del capitale sociale?
AI fine di rispondere compiutamente al quesito occorrerà accertare, indipendentemente dalla circostanza che la società provvede al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, se il rapporto di lavoro svolto dal consigliere provinciale presso la società di cui detiene parte del capitale sociale possa essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato.
I caratteri distintivi possono essere individuati, sulla base dell'art. 2094 c.c. e della contrattazione collettiva, nella prestazione del proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore, nel diritto del lavoratore a percepire uno stipendio, nell'essere adibito alle mansioni o funzioni previste per la qualifica di appartenenza.
Viceversa, qualora il rapporto di lavoro sia carente di alcuno degli elementi evidenziati ed il lavoratore in questione, nell'ambito della società suddetta, sia socio con poteri di amministrazione e di gestione della stessa, si ritiene non siano configurabili gli elementi del rapporto di lavoro subordinato.
OSSERVATORIO VIMINALE/ Effetti del patteggiamento.
È applicabile l'art. 58 Tuel a un consigliere comunale che è stato condannato nel 1992 per il delitto previsto dall'art. 73 del dpr 09/10/1990 n. 309, per illecita detenzione di sostanze stupefacenti?

L'equiparazione a condanna della sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., sancita dall'art. 58, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, è stata introdotta dalla legge 13.12.1999, n. 475, e si applica, in base a specifica statuizione della stessa legge, alle sentenze emesse, in sede di patteggiamento, successivamente alla data della sua entrata in vigore.
Pertanto, nell'ipotesi del quesito in esame, atteso che la sentenza di condanna è stata emanata anteriormente a tale data, rimane preclusa l'applicazione delle norme ostative all'assunzione delle cariche elettive recate dal citato art. 58 (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 13356 del 7 ottobre 2000) (articolo ItaliaOggi del 28.05.2010, pag. 43).

NOTE, CIRCOLARI & COMUNICATI

EDILIZIA PRIVATA: Le deroghe alle norme di prevenzioni incendi - Indirizzi sui criteri di ammissibilità (Ministero dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco, nota 20.05.2010 n. 8269 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Rimozione di depositi di g.p.l. in serbatoi fissi interrali da parte di ditte terze (Ministero dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco, nota 06.05.2010 n. 7589 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Recinzione di protezione deposito di bombole di GPL presso impianti stradali di distribuzione carburanti - Chiarimenti (Ministero dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco, nota 06.05.2010 n. 7588 di prot.).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Sul regime transitorio degli affidamenti e delle concessioni di distribuzione del gas naturale: le scadenze previste dall'art. 23, I c., del D.L. n. 273 del 2005 non violano il principio di certezza del diritto.
La Corte di Giustizia, con la decisione del 17.07.2008 nella causa C-347/2006, ha stabilito sia che la direttiva 2003/55 non osta alla fissazione da parte degli Stati membri della durata del periodo transitorio al termine del quale deve cessare anticipatamente una concessione di distribuzione del gas, sia che gli artt. 43 CE, 49 CE e 86, n. 1, CE, non ostano al prolungamento della durata di esso periodo, purché esso possa essere considerato necessario al fine di permettere lo scioglimento dei rapporti contrattuali a condizioni accettabili in funzione dello svolgimento del servizio pubblico e dal punto di vista economico, il quale ha senso solo se riferito ad un periodo di prolungamento temporale significativo, atteso che un periodo di prolungamento relativamente breve, non idoneo a comportare conseguenze sfavorevoli ai singoli o alle imprese, è da considerare anche non idoneo a comportare la violazione del principio di certezza del diritto che la Corte ha stabilito che fosse meritevole di tutela.
L'art. 23, I c., del D.L. n. 273 del 2005, ha stabilito che "Il termine del periodo transitorio previsto dall'art. 15, c., 5, del decreto legislativo 23.05.2000, n. 164, è prorogato al 31.12.2007 ed è automaticamente prolungato fino al 31.12.2009 qualora si verifichi almeno una delle condizioni indicate al c. 7 del medesimo art. 15".
Le scadenze previste per il periodo transitorio prima della emanazione del D.L. n. 273 del 2005, non sono state variate da questo in maniera tanto significativa da comportare conseguenze sfavorevoli, anche economiche, inaccettabili in capo ai singoli e alle imprese, perché di entità tale da non violare il principio di certezza del diritto che la Corte di Giustizia ha inteso tutelare con le direttive e la decisione sopra riportate.
Scopo dell' adozione dell'art. 23 del D. L. n. 273 del 2005 è stato quello di porre una disciplina unitaria in tutto il territorio nazionale in materia di regime transitorio degli affidamenti e delle concessioni di distribuzione del gas naturale, al precipuo scopo di tutelare la libera concorrenza in materia, per non ingenerare il rischio di abuso della posizione di privilegio derivante dal protrarsi dell'esercizio, in regime di monopolio, del servizio pubblico locale.
Non vi è dubbio, pertanto, che le previsioni contenute nel citato art. 23 del D. L. n. 273 del 2005, a prescindere dalla natura di dettaglio o meno, siano state dettate dallo Stato a tutela della concorrenza, in materia riservata alla propria legislazione e senza incidere sulla potestà legislativa delle Regioni in materia (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.05.2010 n. 3216 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gare, il cessionario non eredita gli errori. Il Cds: nessuna esclusione per il cedente.
Non può essere esclusa da un gara l'impresa che subentra ad una società che non ha adempiuto agli obblighi previdenziali, perché il codice dei contratti nulla afferma in materia di cessioni d'azienda.
La questione è stata presa in esame dal Consiglio di Stato, Sez. V, che, con la sentenza 21.05.2010 n. 3213, ha approfondito la problematica conseguente al fatto che il dlgs 163/2006, non contiene alcuna norma esplicita che preveda, in caso di cessione d'azienda, il trasferimento alla cessionaria dei requisiti soggettivi del cedente. Di conseguenza, va considerato irrilevante il fatto che il cedente dell'impresa che aveva partecipato alla gara avesse un debito tributario e previdenziale che gli avrebbe inibito la partecipazione alle gare.
Secondo il Cds, il fatto che in base al codice contratti «sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti».
Perché a tal proposito, spiega la sentenza, «in materia di procedure ad evidenza pubblica le clausole di esclusione poste dalla legge o dal bando in ordine alle dichiarazioni cui è tenuta la impresa partecipante alla gara sono di stretta interpretazione, dovendosi dare esclusiva prevalenza alle espressioni letterali in esse contenute restando preclusa ogni forma di estensione analogica diretta a evidenziare significati impliciti, che rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei partecipanti, la par condicio dei concorrenti e l'esigenza della più ampia partecipazione». «Pertanto, dice la sentenza 3213/2010, le norme di legge e di bando che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche devono essere interpretate nel rispetto del principio di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione, che di per sé costituiscono fattispecie di restrizione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione, oltre che dal Trattato Ce».
Del resto, dice il Cds, già in primo grado il Tar Campania aveva rilevato che manca nel codice appalti una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione d'azienda un obbligo di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici della cedente sia ai debiti tributari e previdenziali dalla stessa contratti.
Ne discende che in assenza di tale norma e per il principio di personalità della responsabilità non può essere esclusa dalla gara l'impresa cessionaria del ramo d'azienda che non ha presentato le dichiarazioni sulla posizione della cedente (articolo ItaliaOggi del 25.05.2010, pag. 29).

APPALTI: Sull'illegittimità dell'operato di una commissione giudicatrice che non abbia rispettato l'obbligo di segretezza ed integrità delle offerte presentate dai concorrenti.
E' illegittimo l'operato di una commissione giudicatrice che sia venuta meno all'obbligo di predisporre particolari cautele a tutela della integrità e della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche ed economiche presentate dai concorrenti, nonché di farne esplicita menzione nel verbale di gara, in quanto pur in mancanza di espressa previsione in tal senso da parte del legislatore, l'integrità dei plichi è elemento sintomatico della segretezza delle offerte stesse e della par condicio di tutti i concorrenti, del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità cui deve conformarsi l'azione amministrativa, sanciti dall'art. 97 Cost. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.05.2010 n. 3203 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'espressione “Stato” contenuta nell’inciso normativo di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. 163/2006 deve essere interpretata come “stato-comunità” o meglio come Stato membro della Comunità Europea poiché le stazioni appaltanti, per valutare la moralità professionale dell'operatore economico interessato all’aggiudicazione dell'appalto, devono prendere in considerazione i reati compiuti all'interno di tutti gli Stati membri.
La necessità di dichiarare tutti i provvedimenti penali subiti, risponde alla finalità di consentire all’Amministrazione la più ampia valutazione del caso concreto, per stabilire la rilevanza o meno di una data condanna penale.
La mancata dichiarazione, da parte dell’imprenditore, della esistenza di condanne penali a suo carico costituisce una circostanza che ha valore autonomo e che incide sulla sua moralità professionale indipendentemente da un’espressa previsione di esclusione automatica nella lex specialis.

Non ha pregio la tesi sostenuta dalla difesa dell’Azienda resistente, secondo cui l’obbligo di dichiarazione dei reati commessi dovrebbe ritenersi limitata ai “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità, che incidono sulla moralità professionale”, ex art. 38, c. 1, lett. c, D.Lgs. n. 163/2006, nell’ambito dei quali non potrebbero essere ricompresi quelli commessi dalla controinteressata.
Il Collegio ha già avuto modo di affermare che il legislatore del Codice dei contratti pubblici non ha inteso circoscrivere la facoltà di esclusione in capo alle stazioni appaltanti a determinate tipologie di reato qualificate dal soggetto passivo.
Tale conclusione è giustificata in primo luogo dal fatto che una simile restrizione non si evince dalla normativa comunitaria, di cui alla direttiva 2004/18/CE, par. 2, lett. c), inoltre va considerato che una specifica categoria di reati in danno dello Stato o in danno della Comunità non esiste nel diritto penale.
Se fosse assunta l’interpretazione prospettata dalla ricorrente la norma diverrebbe di difficile applicazione ed il suo ambito di applicazione assumerebbe confini evanescenti.
Si deve invece ritenere che il legislatore abbia inteso, con tale espressione, allargare l'area dei reati che possono essere presi in esame ai fini dell'esclusione dalle gare per pubblici appalti, consentendo alle stazioni appaltanti di valutare non solo quelli compiuti nello Stato italiano, ma anche quelli commessi sul territorio di tutta la Comunità Europea.
L'espressione “Stato” contenuta nell’inciso normativo di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. 163/2006 deve quindi essere interpretata come “stato-comunità” o meglio come Stato membro della Comunità Europea poiché le stazioni appaltanti, per valutare la moralità professionale dell'operatore economico interessato all’aggiudicazione dell'appalto, devono prendere in considerazione i reati compiuti all'interno di tutti gli Stati membri (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 24.10.2007 n. 6162).
La necessità di dichiarare tutti i provvedimenti penali subiti, risponde alla finalità di consentire all’Amministrazione la più ampia valutazione del caso concreto, per stabilire la rilevanza o meno di una data condanna penale.
La rilevanza o meno dei fatti oggetto delle pronunce penali ai fini della successiva valutazione del possesso dei requisiti da parte del concorrente, non è rimessa all’apprezzamento dell’impresa che ha, invece, l’obbligo di dichiarare tutte le sentenze emesse nei suoi confronti, con la conseguenza che l’omessa indicazione, nell’ambito di un’autocertificazione, di una sentenza di condanna, si atteggia come autocertificazione non veritiera cui consegue l’esclusione dalla gara (TAR Lombardia, Sez. I, 19.06.2008 n. 2096).
La mancata dichiarazione, da parte dell’imprenditore, della esistenza di condanne penali a suo carico costituisce una circostanza, che ha valore autonomo, e che incide sulla sua moralità professionale (C.S. Sez. V, 18.09.2003 n. 5320, Consiglio di Stato, Sez. V, 02/10/2009 n. 6006, Cons. Stato, Sez. V, 20.04.2009, n. 2364), indipendentemente da un’espressa previsione di esclusione automatica nella lex specialis.
In contrario non rileva neppure, come sostenuto dalla difesa dell’Azienda resistente, che i provvedimenti penali non dichiarati siano antecedenti di oltre un triennio alla pubblicazione del bando di gara. Tale limite temporale è infatti menzionato dal citato art. 38, c. 1, lett. c, solo per estendere l’obbligo di dichiarazione delle condanne subite, nei limiti del triennio, “anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica” (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 18.05.2010 n. 1565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALIIMMOBILI DI "PREGIO" E LORO DISMISSIONE.
1.- Demanio e patrimonio - Dismissione beni - Immobile di pregio ex D.M. 31.07.2002 - Riesercizio potere amministrativo - Possibilità - Sussiste.
2.- Immobile - Qualifica - Di pregio - Ai sensi del D.M. 31.07.2002 - Nel centro storico - Modifica criterio - Adozione nuovo decreto ministeriale - Ammissibilità.
3.- Procedimento amministrativo - Partecipazione - Decreto identificativo del pregio di un immobile - Attività propedeutica alla dismissione - Art. 7, L. n. 241/1990 - Applicabilità - Non sussiste.
4.- Demanio e patrimonio - Dismissione beni - Procedura - Art. 3, co. 8, co. 13 e co. 20, L. n. 401/2001 - Legittimità della norma - Principi di uguaglianza, imparzialità e buon andamento - Rispetto.

1.- Non esistono elementi normativi per potere ritenere che, una volta qualificato l'immobile oggetto del procedimento di cartolarizzazione, come di pregio in base ad uno dei criteri di cui alla delibera allegata al D.M. 31.07.2002, il potere si sia definitivamente consumato e non possa essere nuovamente esercitato, per esempio in via di autotutela oppure a seguito di pronuncia giurisdizionale di annullamento della classificazione adottata in prima battuta.
2.- Il fatto che un immobile venga inserito fra quelli "di pregio" in ragione dell'allocazione nel centro storico non esclude che esso possa risultare tale anche in ragione del suo valore commerciale: e che quindi, in caso di illegittimità della classificazione adottata esclusivamente alla stregua del primo criterio, non possa, in esito a nuova istruttoria, emergere la sussistenza di ulteriore profili di rilevanza del pregio dell'immobile alla stregua di altri criteri (la sentenza di annullamento, per vizi di legittimità, della classificazione dell'immobile per cui è causa come "di pregio" in ragione della sua erronea qualificazione come appartenente al centro storico del Comune di Napoli, implica un obbligo di esecuzione e conformazione dell'azione successiva al giudicato nel senso della riapertura del procedimento ai fini della verifica della sussistenza di possibili ulteriori profili di rilevanza).
3.- L'attività svolta dall'Amministrazione ai fini dell'adozione del decreto identificativo degli immobili di pregio è propedeutica all'effettiva dismissione degli immobili medesimi e finalizzata agli accertamenti istruttori volti a dettare regole generali di pianificazione dell'ulteriore azione in vista dei futuri singoli atti di dismissione e, per tali ragioni, non soggiace alla norma di cui all'art. 7, L. n. 241/1990.
4.- E' coerente con i principi di uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa la previsione normativa dell'art. 3, co. 8, co. 13 e co. 20, L. n. 401/2001 e ss.mm., che regola la dismissione di beni del patrimonio pubblico in modo da assicurare, unitamente al differente trattamento di situazioni obbiettivamente diverse (immobili di pregio e non), l'efficace vendita di tali beni secondo valori realistici e conformi alle indicazioni del mercato (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Lazio-ROMA, Sez. II, sentenza 14.05.2010 n. 11275 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appartiene alla giurisdizione esclusiva del g.a. l'impugnazione degli atti di una gara ad evidenza pubblica per la scelta del contraente cui affidare un appalto pubblico di fornitura.
La commissione di gara non può in alcun caso introdurre ulteriori elementi di valutazione delle offerte rispetto a quelli indicati nella lex specialis.

Ai sensi dell'art. 244 c. 1, d.lvo. 12.04.2006 n. 163, l'impugnazione degli atti di una procedura di una gara ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, cui affidare un appalto pubblico di fornitura, a partire dal bando di gara fino al provvedimento di aggiudicazione definitiva, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, cui è tuttavia preclusa ogni indagine sulla sorte del contratto conseguente all'annullamento dell'aggiudicazione.
In attuazione dei principi di legalità, buon andamento, imparzialità, par condicio e trasparenza, la commissione di gara non può in alcun caso introdurre ulteriori elementi di valutazione delle offerte rispetto a quelli indicati nella lex specialis, ovvero modificare quelli in essa contenuti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2010 n. 2959 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAPIANO COMUNALE DI ZONIZZAZIONE ACUSTICA.
Ambiente - Inquinamento - Acustico - Legge quadro sull'inquinamento acustico n. 447/1995 - Limiti "assoluti" di rumorosità - Evoluzione normativa - Applicabilità dei limiti "differenziali" nella fase di transizione - Fattispecie.
Nelle more della classificazione del territorio comunale ai sensi dell'articolo 6, primo comma, lett. a), della legge quadro sull'inquinamento acustico n. 447 del 1995, operano i soli limiti "assoluti" di rumorosità, ma non anche quelli "differenziali" (1).
Depone in tal senso l'univoca formulazione dell'articolo 8, comma 1, del d.p.c.m. 14.11.1997, secondo cui: "In attesa che i comuni provvedano agli adempimenti previsti dall'art. 6, comma 1, lett. a) della legge 26.10.1995 n. 447, si applicano i limiti di cui all'articolo 6, comma 1, del d.p.c.m. 1 marzo 1991". Ove si fosse voluto far sopravvivere integralmente il regime transitorio di cui all'articolo 6 del decreto (che al primo comma regola i limiti "assoluti" ed al secondo comma regola i limiti "differenziali") sarebbe stato necessario un rinvio integrale alla disciplina previgente.
D'altra parte, non persuade la tesi che, per giustificare il richiamo parziale al solo primo comma dell'articolo 6, adduce la diretta applicabilità dei limiti "differenziali" perché ancorati, quanto al loro ambito di riferimento, ad una suddivisione del territorio (aree diverse da quelle esclusivamente industriali) che si ricaverebbe ex se dalla disciplina urbanistica, sì da non richiedere una specifica norma che ne autorizzi l'operatività nella fase transitoria per i Comuni sprovvisti del piano di zonizzazione acustica.
In realtà, già nella vigenza del d.p.c.m. 01.03.1991 i limiti "differenziali" erano circoscritti alle zone non esclusivamente industriali e, ciò nonostante, si era avvertita la necessità di effettuarne un esplicito richiamo al fine di garantirne l'operatività fin dalla fase transitoria, con la conseguenza che il rinvio operato al solo primo comma dell'art. 6 depone inequivocabilmente per una scelta normativa che ha voluto subordinare, a partire dal 1997, l'applicabilità del criterio "differenziale" all'introduzione della disciplina a regime, e cioè all'adozione del piano comunale di zonizzazione acustica (nel caso di specie il Comune ha ordinato al ricorrente, con ordinanza sindacale, di attuare tutte le idonee misure tecniche ed organizzative per l'abbattimento delle emissioni rumorose provenienti dal proprio panificio, onde ricondurre gli impianti al rispetto del "limite differenziale di immissione in ambiente abitativo ed in periodo di riferimento notturno" previsto dal d.p.c.m. 14.11.1997, con l'obbligo di produrre entro lo stesso termine l'esito delle indagini fonometriche effettuate, a sue spese, dalla A.U.S.L. BA/4 ovvero da tecnico abilitato. Tuttavia, non avendo il Comune di Bari provveduto alla prescritta zonizzazione acustica, all'epoca dei fatti controversi non operava il criterio "differenziale", con conseguente illegittimità dell'ordinanza impugnata, fondata proprio sull'accertato superamento del limite differenziale notturno di immissione).
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(1) TAR Emilia Romagna Parma, n. 385/2008; TAR Friuli Venezia Giulia, n. 578/2005; TAR Lombardia Milano, sez. I, n. 813/2004; TAR Veneto, sez. III, n. 847/2004 (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1896 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAIn merito all'abbandono di rifiuti, la responsabilità del proprietario o del titolare di diritti reali o personali di godimento presuppone l’addebitabilità ad essi, a titolo di dolo o colpa, della violazione posta in essere dal responsabile.
La Sezione ritiene fondata ed assorbente la censura con cui parte ricorrente prospetta l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 in quanto non sarebbero dimostrati i profili di dolo o colpa necessari per l’imposizione dell’obbligo di rimozione dei rifiuti e di ripristino in capo alla società ricorrente.
Infatti l’art. 192 d.lgs. n. 152/2006, (attualmente vigente e che ha riprodotto le disposizioni previste nell’art. 14 d.lgs. n. 22/1997) dispone che chiunque viola il divieto di abbandono e deposito incontrollato “è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”.
In particolare dalla norma in esame risulta che la responsabilità del proprietario o del titolare di diritti reali o personali di godimento presuppone l’addebitabilità ad essi, a titolo di dolo o colpa, della violazione posta in essere dal responsabile.
Nel provvedimento impugnato non sono nemmeno dedotti, in concreto, profili di responsabilità a titolo di dolo o colpa, in capo alla parte ricorrente, necessari per l’imposizione dell’obbligo di rimozione dei rifiuti fermo restando che, a tal fine, non è sufficiente una generica “culpa in vigilando” (C.d.S. Sezione V, 08.03.2005, n. 935; C. di S. Sezione V, 25.08.2008, n. 4061) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 10.05.2010 n. 3444 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è legittimo imporre agli operatori di telecomunicazione, per la posa dei cavi e altre infrastrutture nel sottosuolo, oneri economici ulteriori rispetto alle spese per la ricostruzione della strada, alla Tosap e al Cosap (art. 93 d.lgs. n. 259/2003).
Il tassativo disposto dell'art. 93, c. 2, del d.lgs. n. 259/2003 (c.d. Codice delle Comunicazioni) esclude la legittimità dell'imposizione agli operatori di telecomunicazione per gli interventi di manomissione della sede stradale, di oneri finanziari o reali diversi rispetto alla tassa di occupazione di suolo pubblico a al canone per l'occupazione di suolo o aree pubbliche e, in particolare, di indennizzi per il degrado e il deterioramento dei beni demaniali, tanto più ove i sistemi di computo di tali indennizzi siano caratterizzati da fattori probabilistici ed aleatori, configgenti con il tenore tassativo già del primo periodo dell'art. 93, comma 2 del d.lgs. n. 259/2003 ed estranei all'impianto della norma, che è ispirato ad un criterio di determinatezza.
Pertanto, sono illegittime le previsioni regolamentari locali (nel caso di specie, l'art. 11 del regolamento del Comune di Torino contenente "norme per l'esecuzione delle manomissioni e dei ripristini dei sedimi stradali della Città da parte dei grandi utenti del sottosuolo") che permettano agli Enti locali di richiedere agli operatori di telecomunicazioni il pagamento sia di oneri economici o reali diversi e aggiuntivi rispetto ai due tributi suindicati, sia di qualsiasi altro tipo di indennità.
L'art. 23 Cost. che stabilisce che "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge", di cui l'art. 93 del d.lgs. n. 259/2003 costituisce attuazione, si oppone a una siffatta richiesta contenuta in norma regolamentare locale priva di copertura legislativa.
Il principio comunitario di non discriminazione, applicato al settore delle telecomunicazioni, impone non solo di assicurare agli operatori di comunicazione degli altri Stati membri lo stesso trattamento assicurato a quelli italiani, ma interdice anche di assoggettare a differenziati regimi di prelievo le attività economiche espletate nei veri Paesi della Comunità e vieta, quindi, che gli operatori di comunicazione italiani siano assoggettati in una Regione a condizioni economiche più gravose rispetto a quelle praticate sia in altre Regioni italiane che in altri Stati membri (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 08.05.2010 n. 2362 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIR.T.I. COSTITUENDI E INTESTAZIONE DELLA POLIZZA FIDEIUSSORIA.
1.Appalto di servizi - Cauzione - Di partecipazione - Intestazione - A tutte le imprese del R.T.I. partecipante alla gara - Non è necessaria.
1. Nel caso di partecipazione a una gara di appalto di un costituendo raggruppamento temporaneo di imprese, è necessario non tanto che la polizza fidejussoria sia intestata a tutte le imprese che vi fanno parte, quanto piuttosto che la garanzia sia operativa nei confronti di tutti i partecipanti al raggruppamento.
Ciò che rileva è che la polizza fideiussoria garantisca i rischi connessi al possibile inadempimento di tutte le imprese dell'A.T.I. costituenda (in particolare il rischio relativo alla mancata sottoscrizione del contratto d'appalto per fatto dell'aggiudicatario).
Diversamente ragionando si determinerebbe una carenza di garanzia per la stazione appaltante tante volte quante la mancata sottoscrizione non sia imputabile alla capogruppo designata ma alle mandanti; ciò, in ipotesi, in quanto:
a) sono state queste ultime a non conferire il mandato alla capogruppo designata messa così nella impossibilità di sottoscrivere il contratto;
b) le dichiarazioni non veritiere circa il possesso dei requisiti individuali di partecipazione sono state rese da una delle mandanti (peraltro non è configurabile una ipotesi di responsabilità indiretta o per fatto altrui della capogruppo che non potrebbe essere chiamata a rispondere per fatto di altro soggetto) (Cons. Stato, Ad. Plen., 04.10.2005 n. 8; Cons. Stato 21-11-2006 n. 680; TAR Lombardia Milano, sez. I, 19-04-2007 n. 1876; TAR Sardegna, sez. I, n. 1116/2008; TAR Calabria Catanzaro, sez. I, n. 317/2008; Cons. Stato, sez. V, n. 2400/2009; Cfr. TAR Emilia Romagna, sez. I, n. 617/2009) (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 07.05.2010 n. 1843 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Hanno interesse alla impugnativa di una trattativa privata i soggetti che, pur avendone i requisiti ed aspirino alla partecipazione alla trattativa stessa, non siano stati messi in grado di prendere parte alla procedura.
Il servizio "fornitura del servizio di ideazione, organizzazione, comunicazione, etc., finalizzate alla realizzazione del progetto di marketing territoriale", rientra nella tipologia di contratti elencati all'alleg. IIB del Codice dei contratti pubblici.

Le imprese operanti in un determinato settore sono legittimate ad impugnare la delibera di affidamento di un servizio a trattativa privata, ovvero le determinazioni riguardanti le modalità di conferimento e svolgimento del servizio, anche al solo fine di ottenere l'annullamento della gara ovvero dell'affidamento diretto, nonché il rinnovo della procedura a cui intendono partecipare, non avendo l'obbligo di documentare il possesso di una capacità operativa paragonabile a quella del soggetto prescelto, in quanto ciò assume rilevanza solo nella successiva fase di partecipazione alla gara e di aggiudicazione. Pertanto, hanno interesse a ricorrere avverso una trattativa privata i soggetti che, pur avendone i requisiti ed aspirando alla partecipazione alla trattativa stessa, non siano stati messi in grado di prendere parte alla procedura, anche in relazione alla mancata pubblicazione di un apposito bando di gara. (Nella specie, un soggetto associativo privo di scopo di lucro).
Il servizio "fornitura del servizio di ideazione, organizzazione, comunicazione, pubbliche relazioni ed ufficio stampa, sponsoring e fund raising finalizzate alla realizzazione del progetto di marketing territoriale", non rientra nell'ambito di applicazione delle disposizioni del d.lgs. n. 163/2006, bensì di quelle indicate all'art. 20, c. 1 del medesimo decreto, e ciò in ragione della sussumibilità dell'affidamento nella tipologia di contratti elencati all'allegato IIB del Codice dei contratti pubblici.
Tale aspetto assume rilievo alla luce art. 27, c. 1, del citato d.lgs. n. 163/2006, secondo cui: affinché l'affidamento possa avvenire in assenza di qualsivoglia procedura selettiva, esso deve essere assistito da evidenti "ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi", tali da poter affidare il contratto "unicamente ad un operatore economico determinato". Nel caso di specie, fermo restando che l'amministrazione non ha fatto riferimento a ragioni di natura artistica legittimanti l'affidamento diretto, non può ritenersi la qualificazione dell'oggetto della prestazione quale "opera dell'ingegno", in quanto è lo stesso concreto contenuto del servizio da svolgere a non rientrare nel novero delle ipotesi per le quali è ammesso l'affidamento senza gara, ancorché informale.
La circostanza che la pubblicità dei bandi di gara degli appalti di cui all'allegato II B del d.lgs. n. 163 del 2006 non sia formalmente prevista da alcuna disposizione di legge statale o regionale impedisce che la relativa omissione possa qualificarsi violazione rilevante ai sensi dell'art. 245-bis del d.lgs. n. 163 del 2006 (con conseguente, in ipotesi, dichiarazione di inefficacia del contratto), dovendo essa valutarsi limitatamente ai fini della verifica del rispetto dei principi comunitari (primo fra tutti quello di trasparenza e di economicità).
Pertanto, poiché pur sussistendo nella specie l'obbligo di esperire una procedura di gara per l'affidamento del servizio per cui è causa, non veniva in rilievo, sulla base della legislazione regionale (quanto alla pubblicazione nella G.U.R.S.) e comunitaria (quanto alla pubblicazione nella G.U.U.E.), alcun obbligo di pubblicazione, non può farsi luogo alla formale dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi dell'art. 245-bis, c. 1, lett. b) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 06.05.2010 n. 6406 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla variazione d'uso, senza opere, della destinazione di un terreno in contrasto con le norme igienico-sanitarie.
L’eventuale possibilità di qualificare l’uso del terreno -per cui è causa- come mutamento di destinazione di uso senza opere non comporta di per sé che la sanzione pecuniaria prevista dalla legge per tale abuso sia l’unica applicabile, così come sostenuto dalla difesa della parte ricorrente.
Tale conseguenza sarebbe esclusa comunque ai sensi della normativa nazionale, in quanto per gli articoli 31 e 32 del T.U. 380/2001 un mutamento di destinazione d’uso comporterebbe pur sempre una variazione essenziale, soggetta a rimessione in pristino attraverso la cessazione dell’attività vietata: così per tutte in giurisprudenza sul principio TAR Liguria, sez. I, 29.10.2008 n. 1862.
Si deve poi, comunque, considerare la disciplina del cambio di destinazione d’uso senza opere così come risulta dalla l.r. Lombardia 11.03.2005 n. 12.
All’art. 52 di essa si prevede che i “mutamenti di destinazione d'uso di immobili non comportanti la realizzazione di opere edilizie, purché conformi alle previsioni urbanistiche comunali ed alla normativa igienico-sanitaria” si possono lecitamente realizzare con semplice comunicazione all’ente; all’art. 53 si prevede poi una sanzione per il mutamento di destinazione senz’opere illegittimo: ”Qualora il mutamento di destinazione d'uso senza opere edilizie, ancorché comunicato ai sensi dell'articolo 52, comma 2, risulti in difformità dalle vigenti previsioni urbanistiche comunali, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria…”.
Tale sanzione però non è esaustiva, anche a prescindere da quanto sancito dalla normativa nazionale di cui al § precedente, perché non prevede il caso, del tutto possibile e verificatosi nella specie, in cui l’asserito mutamento, oltre che non conforme alla normativa urbanistica, risulti in aggiunta contrario anche alle norme igienico sanitarie.
In tale ultimo caso, secondo logica, la sanzione non potrebbe essere comunque che quella della cessazione dell’attività e della rimessione in pristino, perché altrimenti –sempre beninteso prescindendo dalla normativa nazionale- si ingenererebbe il paradosso per cui qualsiasi attività vietata per ragioni di igiene e salute pubblica si potrebbe liberamente proseguire, al solo prezzo di una sanzione pecuniaria, ove essa configurasse mutamento di uso senza opere di un qualsiasi immobile, mentre si potrebbe inibire se posta in essere occasionalmente come uso di fatto, ovvero in una fattispecie oggettivamente meno grave (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 30.04.2010 n. 1658 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'istallazione di un impianto refrigerante sulla terrazza di copertura di un edificio è un intervento di manutenzione straordinaria.
L'istallazione di un impianto refrigerante sulla terrazza di copertura di un edificio è un intervento di manutenzione straordinaria, ex art. 31, comma 1b, della Legge n. 457 del 1978, illo tempore vigente, comportando lo stesso la realizzazione di un servizio tecnologico che non altera i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari, né modifica le destinazioni d’uso.
I suddetti lavori dovevano essere preceduti da d.i.a. e, in sua assenza, soggetti solo a sanzione pecuniaria (cfr. art. 4, commi 7 e 13, del D.L. n. 398 del 1993 convertito in Legge n. 493 del 1993, all’epoca in vigore) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 30.04.2010 n. 1194 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer rigettare un'istanza di condono edilizio è legittima una motivazione anche succinta, in quanto l’onere motivazionale può essere assolto mediante l’individuazione, nell’opera abusiva, di caratteristiche che ne impediscono il corretto inserimento nella zona oggetto di specifica tutela.
Il legislatore non impone all’Ente pubblico l’obbligo di indicare le prescrizioni tese a rendere l’intervento compatibile con il paesaggio tutelato. Non sussiste cioè a carico del Comune l’obbligo di proporre misure idonee ad assicurare un corretto inserimento dell’abuso edilizio nel contesto paesaggistico di riferimento, dovendo l’autorità adita limitarsi a valutare l’opera così come è, ed essendo semmai compito del privato interessato proporre con l’istanza di condono misure funzionali a ridimensionare l’impatto visivo dell’opera stessa.
L’atto impugnato, con il quale il Comune di Firenze -comunicando il parere contrario della commissione edilizia integrata- oppone un sostanziale diniego al rilascio del titolo edilizio richiesto, specifica la motivazione espressa dalla commissione stessa (“i materiali e le caratteristiche costruttive, aventi natura di temporaneità e prive di ogni intento di decoro, sono incompatibili con la tutela dei valori estetici tradizionali del luogo”).
Pertanto, sia pure in modo sintetico, l’amministrazione ha indicato gli elementi in base ai quali il manufatto è stato ritenuto incompatibile con il vincolo paesaggistico.
Del resto, la giurisprudenza amministrativa ha più volte statuito che è legittima una motivazione anche succinta, in quanto l’onere motivazionale può essere assolto mediante l’individuazione, nell’opera abusiva, di caratteristiche che ne impediscono il corretto inserimento nella zona oggetto di specifica tutela (Tar Toscana, III, 27/11/2006, n. 6052; Tar Campania, Napoli, VI, 04/08/2008, n. 9718).
Inoltre il legislatore non impone all’Ente pubblico l’obbligo di indicare le prescrizioni tese a rendere l’intervento compatibile con il paesaggio tutelato (Tar Toscana, III, 27/11/2006, n. 6052; Tar Campania, Napoli, IV, 13/06/2007, n. 6142). Non sussiste cioè a carico del Comune l’obbligo di proporre misure idonee ad assicurare un corretto inserimento dell’abuso edilizio nel contesto paesaggistico di riferimento, dovendo l’autorità adita limitarsi a valutare l’opera così come è, ed essendo semmai compito del privato interessato proporre con l’istanza di condono misure funzionali a ridimensionare l’impatto visivo dell’opera stessa.
Né rileva l’epoca remota di realizzazione dell’abuso, in quanto l’interesse del privato è necessariamente recessivo rispetto all’interesse sotteso all’apposizione del vincolo paesaggistico, valorizzato dall’art. 9 della Costituzione (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 30.04.2010 n. 1190 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIL BANDO CAMPANILISTA VA ANNULLATO!
1- Unione europea - Norme comunitarie - Art. 85 del Trattato istitutivo della Comunità Europea - Clausole di un bando che prefigurano un vantaggio a favore di imprese radicate nel territorio - Sono in contrasto con i principi di parità di trattamento delle opportunità imprenditoriali.
2- Appalto di servizi - Bando - Requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge - Limiti - Requisito dello svolgimento del servizio in un Comune della Provincia della stazione appaltante - Illegittimità - Ragioni.
1- I concetti di esperienza ed affidabilità ("indicazione dei principali servizi prestati" ed "efficienza" cui fanno riferimento il D.Lgs. n. 163/2006 e le norme comunitarie), non vengono rapportati ad una discriminante consistenza degli insediamenti di un'impresa in un determinato territorio, posto che la complessiva ottica della norma comunitaria e delle norme dei singoli ordinamenti nazionali non può certo eludere il generale principio contenuto nell'art. 85 del Trattato istitutivo della Comunità Europea in forza del quale vige, per l'appunto il divieto di "impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune".
Ne consegue che le clausole di un bando che prefigurano un vantaggio assolutamente condizionante per l'esito del procedimento di scelta del contraente a favore di imprese particolarmente radicate in un determinato ambito territoriale, risultano ex se incompatibili con i succitati principi e norme comunitarie e si pongono anche in contraddizione con i principi di parità di trattamento delle opportunità imprenditoriali che trovano fonte negli artt. 3 e 41, Cost..
2- Se è vero che la stazione appaltante, in sede di gara, può sempre chiedere requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, pur tuttavia tale circostanza deve sostanziarsi in richieste, comunque, non illogiche, ovvero in contrasto con norme primarie o manifestamente eterogenee rispetto allo scopo perseguito o, ancora, rispettose della par condicio dei concorrenti.
I requisiti richiesti, cioè, devono essere logici, adeguati, congrui e non suscettibili di precostituire situazioni di assoluto privilegio in favore di pochi soggetti o di determinare una preclusione insormontabile all'accesso al mercato di imprese in possesso di indici di affidabilità operativa (nella specie, il Collegio ha ritenuto quanto mai discriminante la richiesta di dimostrare l'esperienza del servizio di accertamento dei tributi, attraverso la presentazione di una referenza rilasciata obbligatoriamente da almeno un Comune della Provincia di Bari, dal momento che si creerebbero delle posizioni assolutamente dominanti nel mercato, andando a favorire gli interessi di quei pochi soggetti già presenti sul territorio, dando modo a questi ultimi di consolidare e di perpetuare la loro situazione di assoluto vantaggio, a tutto discapito degli altri concorrenti, non certo privi di esperienza, ma che vedono loro preclusa ogni chance per l'aggiudicazione del servizio) (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 27.04.2010 n. 1496 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull'installazione dei cartelli pubblicitari lungo le strade.
L’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), già oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile a quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere discrezionale, essendo titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (cfr. TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, 28.02.2008 n. 174).
Inoltre, nei casi come quelli sub esame, in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
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L'installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio. Infatti, l’autorizzazione all’esposizione dei mezzi pubblicitari e la concessione dell’uso del suolo pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità: la complessità della quale rende inconcepibile che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), tenuto conto che nessuna indicazione di segno contrario può desumersi dalla cosiddetta generalizzazione del silenzio-assenso conseguente alla riforma di cui alla legge 14.05.2005 n. 80, giacché quello concessorio è procedimento in cui è esercitata una potestà discrezionale, per la quale, alla luce dell’insegnamento della Corte Costituzionale (v. la sentenza 27.07.1995, n. 408), deve escludersi l’applicabilità del regime del silenzio- assenso.
In definitiva, in mancanza di un espresso provvedimento di concessione di suolo pubblico (non surrogabile, né allora né oggi, “per silentium”), l’autorizzazione alla installazione dei mezzi pubblicitari non può formarsi prescindendo dal rilievo della suddetta concessione.
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La Corte Costituzionale, con sent. 17.07.2002 n. 355, nel dichiarare infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 8, del D.L.gs. 507/1993, nella parte in cui preclude ai Comuni di autorizzare nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento, stante l’esistenza di un termine per detta approvazione -termine che assicurerebbe ex se una protezione adeguata al diritto di iniziativa economica del settore, vincolato da un limite reputato non irragionevole e non arbitrario giacché funzionale alla salvaguardia di beni di rilievo costituzionale, quali l’ambiente, l’arte, il paesaggio la sicurezza nella circolazione- ha osservato, nel medesimo contesto, che, in difetto di tale valutazione previa, risulterebbero appunto vanificati gli svariati interessi pubblici, sui quali l’attività potenzialmente verrebbe ad incidere.
La suddetta sentenza ha, infatti, significativamente affermato che la tutela degli interessi pubblici presenti nell’attività pubblicitaria, effettuata mediante l’installazione dei cartelloni, si articola ex D.Lgs. 507/1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle Amministrazioni comunali in maniera casuale ed arbitraria e, comunque, senza una chiara visione dell’assetto del territorio e delle sua caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità e l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle prescrizioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte” (Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).
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Il “contingentamento” dell'installazione di impianti pubblicitari non si pone in contrasto con la tutela costituzionale della libera iniziativa privata, giacché lo stesso art. 41 Cost. ammette la possibilità di limitare tale libertà onde contemperarla con l'utilità sociale.
Ed invero, nell'ambito semantico della “utilità sociale” rientra (e non potrebbe essere altrimenti) anche la protezione di valori costituzionali, quanto meno equiordinati al diritto di iniziativa economica, quali la difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibile all’art. 9 della Costituzione.
Pertanto, l’art. 3 del D.Lgs. n. 507/1993 si pone in coerenza con questa architettura chiara, correlando la previsione di vincoli alla pubblicità in funzione di esigenze di pubblico interesse, che vanno unitariamente considerati, in sede di una complessiva valutazione di compatibilità con la tutela dell'igiene pubblica e dell'estetica cittadina e gli altri interessi superindividuali, a vario titolo coinvolti nella specifica regolazione.
Siffatto potere discrezionale si esercita anche in sede di valutazione delle istanze autorizzatorie, "attraverso la selezione dell'interesse prevalente da perseguire nella platea di interessi pubblici e privati compresenti", ben potendo il Comune attribuire la prevalenza ad es. alle generali esigenze di sicurezza della circolazione, rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore.
Inoltre, il PGIP, nel disciplinare l'attività autorizzatoria in maniera coerente con l'esigenza di un'equilibrata protezione della variegata trama dei molteplici interessi -di natura urbanistica, edilizia, economica, culturale, viaria- tra loro interferenti e che in diversa misura vengono in rilievo nell'attività pubblicitaria, ben può circoscrivere anche l'affissione diretta, da parte dei privati, sugli impianti privati, ad una determinata superficie dell'intera superficie affissiva.
D'altronde, l'affissione diretta deve, in via tendenziale, consentirsi per un'estensione minore rispetto a quella affidata alla gestione pubblica, anche attraverso il concessionario, atteso che tra gli scopi perseguiti con l'istituzione del servizio delle pubbliche affissioni è compreso l'obiettivo, di natura perequativa, di assicurare, nonostante l'esistenza di una risorsa scarsa (quale la superficie affissiva), lo svolgimento dell'attività di affissione diretta, anche da parte di coloro che non dispongono di impianti propri, ponendo così le condizioni per un'effettiva concorrenza, sia pur limitata, tra le imprese operanti nel settore della pubblicità commerciale (le quali, diversamente, si vedrebbero precluso, di fatto, qualunque accesso al relativo mercato), senza con ciò porsi in violazione del principio di gerarchia delle fonti, fermo restando il rispetto per i canoni della ragionevolezza e della proporzionalità nella specifica opzione dosimetrica
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 27.04.2010 n. 541 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità della decisione con cui un comune ha negato il rinnovo della concessione demaniale ed ha deciso di bandire una gara per l'individuazione del concessionario cui assegnare il bene demaniale.
Alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica e, tra queste, sono specificamente ricomprese le concessioni demaniali marittime, poiché idonee a fornire un'occasione di guadagno a soggetti operanti nel libero mercato, devono applicarsi i principi discendenti dall'art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti. Infatti, anche nell'assegnazione di un bene demaniale occorre individuare il soggetto maggiormente idoneo a consentire il perseguimento dell'interesse pubblico, garantendo a tutti gli operatori economici una parità di possibilità di accesso all'utilizzazione dei beni demaniali.
Pertanto, è legittima la decisione con cui un comune ha negato al precedente concessionario il rinnovo della concessione demaniale ed ha deciso di bandire una gara per l'individuazione del concessionario cui assegnare il bene demaniale in questione (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 23.04.2010 n. 2085 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione -   Momento identificante la legittimità del manufatto.
La giurisprudenza (TAR Puglia Bari, sez. III, 22.07.2004, n. 3210) ha chiarito che ai fini della conformità urbanistica della ristrutturazione edilizia -laddove realizzata mediante ricostruzione dell'edificio demolito ed il mantenimento di tutti i parametri urbanistico edilizi preesistenti quali la volumetria, la sagoma, l'area di sedime ed il numero delle unità immobiliari- il parametro di riferimento è rappresentato dalla disciplina vigente all'epoca della realizzazione del manufatto come attestata dal titolo edilizio e non da quella sopravvenuta al momento della esecuzione dei lavori di ristrutturazione dovendosi fare salvo, in capo all'interessato, il diritto acquisito al mantenimento, conservazione e ristrutturazione dell'immobile esistente giacché la legittimazione urbanistica del manufatto da demolire si trasferisce su quello (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 22.04.2010 n. 1133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAANNULLAMENTO DEL NULLA OSTA PAESAGGISTICO DA PARTE DELLA SOPRINTENDENZA.
1. Concessione - Zone vincolate - Vincolo paesistico - Potere di annullamento della Soprintendenza - Natura - Conseguenze.
2. Concessione - Zone vincolate - Vincolo paesistico - Autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune - Annullamento della Soprintendenza - Conseguenze - Obblighi del Comune.

1. Il potere di annullamento della Soprintendenza del parere paesaggistico favorevole rilasciato dal Comune quale autorità locale delegata dalla regione non può essere qualificato come di controllo sugli atti regionali di assentimento della costruzione, quanto piuttosto quale potestà amministrativa attiva di cogestione dell'interesse paesistico in "condominio" con la Regione (o con gli enti da questa delegati): si tratta, cioè, d'una fattispecie a formazione progressiva, dove il provvedimento statale incide sugli effetti del provvedimento regionale.
Il potere d'annullamento della Sopraintendenza (cui sono stati delegati i poteri ministeriali in materia) non comporta un riesame complessivo delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dall'autorità locale, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione all'edificazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità, peraltro inclusivo di eventuali vizi funzionali suscettibili di iscrizione alle diverse figure sintomatiche di eccesso di potere, riconducibile al più generale potere di vigilanza sull'esercizio delle funzioni da parte delle Regioni o della autorità da queste delegate (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 25-11-2008 n. 5771; Cons. Stato, sez. VI, 28-08-2006 n. 5010; Cons. Stato, sez. VI, 23-05-2006 n. 3076).
2. Ove nel corso del procedimento di condono di un abuso edilizio e nell'esercizio del potere previsto dall'art. 82, D.Lgs. 24.07.1977 n. 616 (trasfuso nel T.U. 29.10.1999 n. 490, e poi nell'art. 146, D.Lgs. 22.01.2004 n. 42), la Soprintendenza annulli per difetto di motivazione l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal comune, quest'ultimo è titolare di un potere discrezionale, per il quale o ritiene che possa essere rilasciata una ulteriore autorizzazione paesaggistica, con una motivazione diversa da quella che ha condotto all'annullamento da parte dell'organo statale ovvero, anche sulla base delle valutazioni formulate da quest'ultimo, ritiene che non sussistano i presupposti per il rilascio di detta autorizzazione, ma in tal caso deve esporre le relative ragioni con adeguata motivazione, secondo i principi generali riguardanti l'esercizio delle pubbliche funzioni, e non può invece ingiungere senz'altro la demolizione del manufatto per il quale è stata proposta la domanda di condono, ma è tenuto a valutare se l'istanza (che da esso era già stata positivamente valutata sotto il profilo paesaggistico, con l'atto annullato per difetto di motivazione) è meritevole di essere accolta (Cons. Stato, sez. IV, 28-04-2008 n. 1865) (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 19.04.2010 n. 1407 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Crollo per cause naturali ante opere / in corso d’opera.
Ove un edificio pervenga ad una integrale demolizione, anche per cause naturali, dopo che per esso era stata rilasciata una concessione edilizia di ristrutturazione, questa perde la propria efficacia perché non esiste più l'edificio da ristrutturare, e per la costruzione del nuovo edificio occorre un diverso titolo abilitativo (così Consiglio di Stato, sez. V, 23.03.2000, n. 1610); peraltro, qualora la demolizione avvenga accidentalmente per l'imprevedibile grado di fatiscenza di strutture preesistenti e mentre una ristrutturazione edilizia è già in atto, e cioè durante un intervento inteso a conservare il fabbricato, essa non preclude il rilascio di una successiva concessione di ristrutturazione, che consenta il ripristino della sagoma e dei volumi preesistenti (Consiglio di Stato, sez. V, 18.08.1997, n. 917) (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.04.2010 n. 2175 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIDICITURA "ANTIMAFIA" FRA CERTIFICATO CAMERALE E INFORMATIVA PREFETTIZIA.
1- Appalto di servizi - Partecipazione e qualificazione - Requisiti generali - Antimafia - Informative del Prefetto - Requisiti - Poteri del Prefetto - Discrezionalità - Sussiste - Ratio.
2- Antimafia - Informazioni prefettizie - Art. 4, D.Lgs. n. 490/1994 - Natura - "Tentativo di infiltrazione" - Possono essere desunti anche da parametri non predeterminati normativamente - Limiti - Devono sussistere elementi che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la p.A..
3- Antimafia - Informazioni prefettizie - Così come previsto dal D.Lgs. 8 agosto 1994 n. 490 esistono tre categorie di informative prefettizie - Informativa supplementare - Requisiti - Conseguenze - Art. 1-septies, D.L. n. 629/1982 - Poteri dell'alto commissario antimafia.
4- Antimafia - Informazioni prefettizie - Antimafia - Informazioni prefettizie - Funzioni - Grado di approfondimento probatorio - Deve essere considerato il pericolo di collegamento fra l'impresa e la criminalità organizzata - Ratio.
5- Appalto di servizi - Stazione appaltante - Discrezionalità in presenza di informative antimafia - E' estremamente ridotto - Ratio - Inibizione dell'accesso al rapporto con la p.A. - E' sufficiente l'accertamento di meri elementi di sospetto - Conseguenze - Finalità.

6- Antimafia - Informazioni prefettizie - Antimafia - Informativa prefettizia - Certificato camerale munito dell'apposita dicitura "antimafia" - Svolgono due funzioni ben distinte - Ratio - Conseguenze.
1- Le informative del Prefetto in merito alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'impresa, rese ai sensi degli artt. 4, D.Lgs. n. 490/1994 e 10, D.P.R. n. 252/1998, costituiscono condizione per la stipulazione di contratti con la pubblica amministrazione ovvero per concessioni ed erogazioni e non devono provare l'intervenuta infiltrazione -essendo questa un "quid pluris"- ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza (1), fermo restando che non è sufficiente il mero sospetto, ma sono necessari accertamenti fondati su oggettivi elementi, atti a far denotare il rischio concreto di condizionamenti (2).
La Prefettura, nell'istituto in esame, è titolare di un potere discrezionale, che comporta una valutazione lata di interessi contrapposti, ossia quello relativo alla libertà di impresa e quello relativo alla tutela dell'uso delle risorse pubbliche (3): siffatto potere, proprio per i delicati interessi che la materia coinvolge, va esercitato con le necessarie cautele (4).
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(1) TAR Campania Napoli, sez. III, 06-12-2007 n. 19691.
(2) TAR Calabria Reggio Calabria 06-02-2008 n. 72.
(3) TAR Calabria Reggio Calabria 28-02-2007 n. 197.
(4) Cons. Stato, sez. IV, 04-05-2004 n. 2783; Cons. Stato, sez. V, 27-06-2006 n. 4135.

2- L'informazione prefettizia di cui all'art. 4, D.Lgs. 08.08.1994 n. 490 ("Disposizioni attuative della L. 17.01.1994 n. 47, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia") costituisce una tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che -in ragione delle peculiarità del fenomeno mafioso- prescinde dall'accertamento, in sede penale, di uno o più reati connessi all'associazione di tipo mafioso e non postula la prova di fatti di reato, della effettiva infiltrazione mafiosa nell'impresa o dell'effettivo condizionamento delle scelte dell'impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi, essendo sufficiente il "tentativo di infiltrazione", avente lo scopo di condizionare le scelte dell'impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato (5).
Tale scelta è coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concretizza in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell'intimidazione, dell'influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite.
Ed invero, i tentativi di infiltrazione mafiosa possono essere desunti anche da parametri non predeterminati normativamente, anche se, per evitare il travalicamento in uno "stato di polizia" e per salvaguardare i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono reputarsi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo altresì l'individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con le predette associazioni (6).
In definitiva, l'informativa antimafia deve fondarsi su di un quadro fattuale di elementi che, pur non dovendo assurgere necessariamente, a livello di prova (anche indiretta), siano tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l'"id quod plerumque accidit", l'esistenza di elementi che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto con la p.A..
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(5) Cons. Stato, sez. IV, 30-05-2005 n. 2796; Cons. Stato, sez. IV, 13-10-2003 n. 6187.
(6) TAR Sicilia Palermo, sez. III, 13-01-2006 n. 38; TAR Campania Napoli, sez. I, 19-01-2004 n. 115.

3- In base alla normativa vigente (D.Lgs. 08.08.1994 n. 490, recante "Disposizioni attuative della L. 17.01.1994 n. 47, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia"; D.P.R. 03.06.1998 n. 252, recante "Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia"), vengono individuate tre categorie di informative prefettizie: la prima, ricognitiva di cause di divieto, di per sé interdittiva, ai sensi dell'art. 4 co. 4, D.Lgs. n. 490/1994; la seconda, relativa ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate, la cui efficacia interdittiva è correlata alla valutazione del prefetto; la terza, costituita dalle informative supplementari (o atipiche), previste dall'art. 1-septies, D.Lgs. 06.09.1982 n. 629, convertito con modificazioni dalla L. 12.10.1982 n. 726, ed aggiunto dall'art. 2, L. 15.11.1988 n. 486, inerente ai poteri già dell'Alto Commissario Antimafia, il cui effetto interdittivo è dipendente da una valutazione discrezionale dell'amministrazione destinataria dell'informativa stessa, in via autonoma e discrezionale (7), alla luce dell'idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la p.A.: pertanto, essa non necessita di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso e si basa su indizi ottenuti con l'ausilio di particolari indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo perché riguardano la valutazione sull'idoneità morale del concorrente e non producono l'esclusione automatica dalla gara (8).
Invero, l'informativa supplementare si caratterizza per il fatto di essere fondata sull'accertamento di elementi che, pur evidenziando pericolo di collegamenti fra l'impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono un livello tale da esplicare efficacia interdittiva automatica.
Pertanto, essa non assume carattere vincolante e lascia un margine, benché molto ridotto, alla discrezionalità dell'amministrazione aggiudicatrice, che è chiamata a valutarne l'incidenza: ciò implica la necessità di una motivazione, che dovrà essere particolarmente ampia nel caso in cui si decida di instaurare o proseguire il rapporto con l'impresa pur a seguito dell'informativa, ma che non può, comunque, mancare anche nel caso opposto, in cui l'amministrazione decida di non instaurare o non proseguire il rapporto (9).
Essa è fondata sull'accertamento di elementi che, pur denotanti il pericolo di collegamenti tra l'impresa e la criminalità mafiosa, non raggiungono la soglia di gravità prevista dal citato art. 4, co. 4, D.Lgs. n. 490/1994, vuoi perché carenti di alcuni requisiti soggettivi od oggettivi pertinenti alle cause di divieto o sospensione, vuoi perché non integranti appieno il tentativo di infiltrazione.
La comunicazione, pertanto, non produrrebbe il divieto automatico di contrarre, ma si limiterebbe a fornire all'amministrazione interessata elementi utili per l'esercizio di ogni eventuale potere discrezionale.
Questo potere trova fondamento positivo nell'art. 1-septies, D.L. 06.09.1982 n. 629, convertito in legge, con modificazioni. con l'art. 1, L. 12.10.1982 n. 726, ai sensi del quale l'Alto commissario antimafia (le cui competenze sono state nelle more devolute ai Prefetti) può "comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni in materia di armi ed esplosivi e per lo svolgimento di attività economiche ... elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell'ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio, il rinnovo, la sospensione o la revoca delle licenze, autorizzazioni e degli altri titoli menzionati".
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(7) Cons. Stato, sez. IV, 15-11-2004 n. 7362.
(8) Cons. Stato, sez. V, 31-12-2007 n. 6902.
(9) TAR Lazio, sez. III, 12-05-2008 n. 3832; Cons. Stato, sez. VI, 03-05-2007 n. 1948; TAR Lazio, sez. II, 20-04-2006 n. 2876; TAR Campania Napoli, sez. I, 08-02-2006 n. 1791.

4- Nell'ottica del legislatore, le informative prefettizie rappresentano una sensibile anticipazione della soglia dell'autotutela amministrativa a fronte di possibili ingerenze criminali nella propria attività: da tale impostazione, si è fatta discendere la conseguenza che l'informativa prefettizia antimafia di cui all'art. 4, D.Lgs. 08.08.1994 n. 490 e all'art. 10, D.P.R. 03.06.1998 n. 252 è espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto con la criminalità organizzata, e prescinde, quindi, da rilevanze probatorie tipiche del diritto penale, per cercare di cogliere l'affidabilità dell'impresa affidataria dei lavori complessivamente intesa (10).
Conseguentemente, sotto il profilo del grado di approfondimento probatorio, si ritiene che l'art. 4, D.Lgs. 08.08.1994 n. 490, costituendo una misura di tipo preventivo, intesa a contrastare l'azione del crimine organizzato, può ben dare rilievo anche ad elementi che costituiscono solo indizi (che comunque non devono costituire semplici sospetti o congetture privi di riscontri fattuali) del rischio di coinvolgimento associativo con la criminalità organizzata delle imprese partecipanti al procedimento di evidenza pubblica (11).
Ed invero, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, anche in caso di proscioglimento, i fatti oggetto di un processo penale non perdono la loro idoneità a fungere da validi elementi di sostegno per un'informativa antimafia sfavorevole, in considerazione della maggiore incidenza probatoria degli indizi necessari a confortare l'ipotesi di un mero tentativo di infiltrazione mafiosa, e, quindi, tendenti a garantire la tutela dell'interesse sociale protetto nella sua massima soglia di anticipazione (12).
Detto in altri termini, gli elementi che denotano il pericolo di collegamento fra l'impresa e la criminalità organizzata, oggetto dell'informativa antimafia, hanno un mero valore sintomatico ed indiziario, non dovendo necessariamente assurgere a livello di prova, anche indiretta (13).
Pertanto, nell'ottica della tutela preventiva avanzata, il mancato intervento di una condanna penale non può valere ad escludere un quadro indiziario significativo, rimesso al prudente apprezzamento dell'autorità prefettizia, per conclusioni da rapportare sia alle difficoltà connesse all'accertamento di reati, spesso coperti dall'omertà o dal timore dei soggetti passivi coinvolti, sia alla dichiarata prevalenza -sul piano legislativo- dell'interesse pubblico ad approntare rimedi preventivi, nei confronti di ampi e notori fenomeni di criminalità organizzata, colpendo gli interessi economici della associazioni mafiose, a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di uno o più reati (14).
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(10) Cons. Stato, sez. VI, 17-05-2006 n. 2867.
(11) Cons. Stato, sez. VI, 02-10-2007 n. 5069.
(12) TAR Campania Napoli, sez. I, 18-05-2005 n. 6504.
(13) Cons. Stato, sez. IV, 29-04-2004 n. 2615.
(14) Cons. Stato, sez. VI, 16-04-2003 n. 19797.

5- Sul tema dell'ampiezza del potere discrezionale riconosciuto alla stazione appaltante in presenza di informative antimafia (con particolare riguardo alle fattispecie tipiche di natura successiva ed a quelle supplementari atipiche), la giurisprudenza (15) ha evidenziato come questo sia estremamente ridotto, trattandosi di un potere esercitatile solo in presenza di situazioni che, pur sussistendo controindicazioni antimafia, inducano comunque ad instaurare o proseguire il rapporto contrattuale o concessorio.
Pertanto, va considerato sufficiente l'accertamento di meri elementi di sospetto per far scattare il meccanismo di salvaguardia del sistema attraverso l'inibizione dell'accesso al rapporto con la p.A. per l'impresa sospettata di contiguità mafiosa, con la conseguenza che la facoltà di non inibire il vincolo esistente funge da contraltare a tale rigido meccanismo inibitorio, a presidio di interessi contingenti, che inducono a ritenere la prevalenza di questo sulle esigenze di tutela antimafia: è, quindi, in tal senso che s'impone all'Amministrazione di giustificare una scelta siffatta, che -ponendosi in antinomia con le esigenze che il legislatore ha voluto tutelare nella massima forma di anticipazione compatibile con i valori costituzionali di riferimento- si caratterizza per la sua natura eccezionale e richiede, all'uopo, una puntuale motivazione, per esplicitare le ragioni di deroga alla logica di un suo ordinario sviluppo, mediante l'adozione della misura inibitoria.
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(15) TAR Campania Napoli, sez. I, 28-02-2005 n. 1319; TAR Campania Napoli, sez. I, 28-02-2005 n. 1320.
6- A fronte di un'informativa prefettizia, in ordine alla valenza della certificazione negativa antimafia rilasciata dalla competente Camera di Commercio, ai sensi degli artt. 6 e 9, D.P.R. 03.06.1998 n. 252, va precisato che non possono essere assimilate, sul piano giuridico, due distinte fattispecie, preordinate ad assolvere a funzioni diverse, consistenti, rispettivamente, la certificazione della Camera di Commercio nell'accertamento della sussistenza o meno delle situazioni ostative di cui all'art. 10, L. 31.05.1965 n. 575 (decadenza, sospensione o divieto determinati dalla definitiva applicazione di misure di prevenzione antimafia, da sentenze penali di condanna o da altri provvedimenti del tribunale) e l'informativa antimafia nell'acquisizione di notizie inerenti ai tentativi di infiltrazione mafiosa.
Ed invero, il certificato camerale munito dell'apposita dicitura "antimafia" (al pari delle comunicazioni prefettizie alle quali è assimilato per legge) è idoneo a garantire l'insussistenza delle sole situazioni ostative contemplate dall'art. 10, L. n. 575/1965, ma giammai può estendere la sua efficacia fino ad assicurare l'inesistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, accertati mediante ulteriori indagini istruttorie, il cui esito è riportato nell'informativa prefettizia.
Invero, le valutazioni demandate alla competenza della Prefettura, al fine di verificare l'assenza di tentativi di infiltrazioni mafiose, involgono profili non coincidenti con quelli posti a base della certificazione camerale e possono comportare che l'informativa prefettizia abbia contenuti non favorevoli per la ditta interessata anche a fronte di una negativa certificazione antimafia.
In definitiva, la circostanza che il certificato camerale rechi la dicitura "antimafia", volta ad attestare l'inesistenza delle situazioni ostative di cui all'art. 10, L. n. 575/1965, non può assumere alcun rilievo per ritenere insussistente o contraddittoria la diversa ed autonoma situazione ostativa, costituita dall'esistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, riportata nell'apposita informativa prefettizia (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 16.04.2010 n. 480 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio condivide i rilievi delle parti appellanti, secondo cui il comma 1 dell’art. 9 della l. n. 122/1989 non circoscrive esclusivamente ai proprietari degli immobili interessati la legittimazione a realizzare i parcheggi agli stessi pertinenziali.
Infatti, la disposizione innanzi citata, dopo aver statuito che: “…I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti” aggiunge che: “…Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato (…)”.
Orbene, la forma impersonale utilizzata nella seconda proposizione richiamata comporta che i parcheggi collocati in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo o al piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati necessariamente dai proprietari dell’immobile, ma possono esserlo anche da terzi: evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le “aree pertinenziali esterne” potessero appartenere a soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi de quibus.
Inoltre, la locuzione “…Tali parcheggi” indica chiaramente che la seconda proposizione del comma 1 è riferita alla medesima ipotesi disciplinata dalla prima, ossia alla realizzazione di parcheggi “da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”; di conseguenza, anche la possibilità di derogare ai predetti strumenti deve intendersi estesa agli interventi posti in essere da terzi, oltre che dai proprietari.
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La nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
La pertinenzialità che il legislatore ha inteso considerare i(con la l. 122/1989) non è tanto quella materiale esistente tra l’edificio e l’area (sottostante, interna o esterna) destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è coerente con la ratio della legge nr. 122 del 1989, che è quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso operazioni speculative.

Una prima questione da affrontare nell’interpretazione del citato art. 9 della legge nr. 122 del 1989 –la cui formulazione non è certo delle più felici– è quella dell’individuazione dei soggetti cui è consentito realizzare i parcheggi interrati in deroga alle disposizioni degli strumenti urbanistici (tali essendo le caratteristiche della vicenda amministrativa per cui è causa).
Sul punto, occorre anzi tutto evidenziare l’estraneità alla vicenda di che trattasi dell’ipotesi contemplata dal comma 4 dello stesso art. 9, il quale faculta i Comuni a realizzare in proprio, su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse, dei “parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati” e da cedere in diritto di superficie: nella fattispecie, infatti, il Comune di Siena si è limitato ad assentire la realizzazione di parcheggi interrati da parte della società Pasqui Costruzioni S.r.l. su un suolo in disponibilità della stessa in quanto messole a disposizione da uno dei soggetti poi assegnatari dei box realizzati.
Ciò premesso, il Collegio condivide i rilievi delle parti appellanti, secondo cui il comma 1 dell’art. 9 non circoscrive esclusivamente ai proprietari degli immobili interessati la legittimazione a realizzare i parcheggi agli stessi pertinenziali.
Infatti, la disposizione innanzi citata, dopo aver statuito che: “…I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti” aggiunge che: “…Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato (…)”.
Orbene, la forma impersonale utilizzata nella seconda proposizione richiamata comporta che i parcheggi collocati in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo o al piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati necessariamente dai proprietari dell’immobile, ma possono esserlo anche da terzi: evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le “aree pertinenziali esterne” potessero appartenere a soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi de quibus (ciò che, come meglio si dirà appresso, ha rilievo anche ai fini della stessa definizione del concetto di “aree pertinenziali esterne”).
Inoltre, la locuzione “…Tali parcheggi” indica chiaramente che la seconda proposizione del comma 1 è riferita alla medesima ipotesi disciplinata dalla prima, ossia alla realizzazione di parcheggi “da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”; di conseguenza, anche la possibilità di derogare ai predetti strumenti deve intendersi estesa agli interventi posti in essere da terzi, oltre che dai proprietari.
Più delicata è la seconda questione interpretativa del comma 1 dell’art. 9, in ordine al significato da attribuire alla locuzione “aree pertinenziali esterne al fabbricato”: se cioè essa richiami una nozione di pertinenzialità “materiale”, come tale evocante un rapporto di accessorietà o asservimento tra area esterna e fabbricato necessariamente preesistente all’intervento realizzativo dei parcheggi interrati, ovvero faccia riferimento a una nozione “giuridica”, implicante semplicemente l’instaurazione di uno stabile legame tra parcheggio e unità immobiliare in forza del quale di essi non possa più disporsi separatamente, e quindi suscettibile anche di non preesistere all’intervento e di essere creato solo in un momento successivo alla realizzazione del parcheggio (alla stessa stregua di quanto più chiaramente previsto, per i parcheggi realizzati direttamente dal Comune, al successivo comma 4).
Pur ribadendo che il dato normativo nella specie è tutt’altro che limipido, il Collegio ritiene di dover propendere per la seconda lettura, aderendo alle prospettazioni in tal senso sviluppate dalle parti appellanti.
Al riguardo, giova in primo luogo richiamare il noto insegnamento secondo cui la nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 15.09.2009, nr. 5509; id., 23.07.2009, nr. 4636; id., 07.07.2009, nr. 3379).
Se ciò è vero, ne discende che non può ritenersi a priori inconfigurabile, nell’applicazione dell’art. 9 della legge nr. 122 del 1989, l’ipotesi in cui l’area esterna non si trovi in rapporto di immediata contiguità materiale con il fabbricato cui i realizzandi parcheggi sono destinati ad accedere: ciò, del resto, è in linea con la conclusione sopra raggiunta nel senso che detta area esterna possa originariamente essere anche di proprietà di soggetto diverso dal proprietario dell’immobile nei cui confronti i parcheggi sono destinati a divenire “pertinenziali” (nel caso di specie, la società Pasqui Costruzioni S.r.l. è stata autorizzata dal proprietario del suolo, il quale ha poi mantenuto la proprietà di due dei box realizzati).
Ma, a ben vedere, v’è un ulteriore e decisivo argomento testuale a sostegno della conclusione qui raggiunta, che è ricavabile dalla prima proposizione del comma 1 del più volte citato art. 9, laddove esso, con riferimento ai parcheggi che i proprietari possono realizzare nel sottosuolo o al pian terreno del fabbricato, li definisce come “parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari”: quasi che anche in questo caso il vincolo di pertinenzialità possa anche non preesistere alla realizzazione del parcheggio, ma sorgere successivamente in virtù di uno specifico atto di destinazione.
Ed invero, come si evince dalla lettura complessiva della norma, la pertinenzialità che il legislatore ha inteso considerare in questo caso non è tanto quella materiale esistente tra l’edificio e l’area (sottostante, interna o esterna) destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è coerente con la ratio della legge nr. 122 del 1989, che è quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso operazioni speculative (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.03.2010 n. 1842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

SICUREZZA LAVORO: Il lavoratore che tiene una condotta imprudente ed imprevedibile può essere l'unico responsabile in caso di infortunio.
Non sussiste responsabilità del datore di lavoro nel caso di una condotta del lavoratore imprudente ed imprevedibile, come l'utilizzo di una attrezzatura in modo improprio e in un ambito estraneo alle mansioni affidate.

La Corte di Cassazione, discostandosi da un orientamento consolidato, afferma che "quando la condotta tenuta dai lavoratori è del tutto imprevedibile ed è connotata da assoluta imprudenza, il rischio che ne consegue non è governabile, tanto da conferire forza eziologica esclusiva alla condotta imprudente del lavoratore stesso".
La sentenza in questione riguarda l'esecuzione degli impianti delle tubature di acqua potabile, di aria compressa e di gas metano da eseguirsi nell'ambito dei lavori edili in corso presso un capannone. La società appaltatrice ha subappaltato a due artigiani rispettivamente l'esecuzione dei lavori edili e di istallazione dei tubi stessi.
Nell'ambito di tale attività uno degli artigiani, avendo necessità di svolgere dei lavori ad altezza di circa 6 metri ed essendo il regolare mezzo di sollevamento in dotazione già impegnato, posizionava, con l'aiuto dell'altro artigiano, un cestello sopra le forche di un muletto, facendosi sollevare verso il luogo di lavoro e lo stesso, a causa della instabilità del cesto e del suo ribaltamento, cadeva al suolo da un'altezza di circa cinque metri battendo il capo in terra e decedendo per le gravi lesioni patite.
Dopo la condanna dell'amministratore della società committente, del direttore dei lavori e dei datori di lavoro della ditta appaltatrice, la Corte di Appello assolveva tutti gli imputati.
La Corte di Cassazione confermava l'assoluzione e rigettava il ricorso sulla base delle considerazioni esposte preliminarmente (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 23.02.2010 n. 7267 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Mutamento di sagoma, prospetti, superfici.
Il concetto di ristrutturazione edilizia, quale enunciato dall'art. 31, lett. d), l. 05.08.1978, n. 431 ("interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono anche portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), presuppone la c.d. “fedeltà” della ristruttarazione in quanto modalità estrema di conservazione dell'edificio preesistente nella sua consistenza strutturale, essendosi ritenuto che "la ricostruzione di un preesistente fabbricato senza variazione o alterazione della superficie, volumetria e destinazione d'uso, non incide sul carico urbanistico già esistente e non è pertanto assoggettato ad oneri né al rispetto degli indici sopravvenuti" (Cons. St., sez. V, 10.08.2000, n. 4397), comprendendosi anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.
L'art. 1 del d.lgs. 27.12.2002, n. 301 ha modificato l'art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, in tema di ristrutturazione edilizia, eliminando la locuzione "fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche di materiali a quello preesistente" e l'ha sostituita con l'espressione "ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente" (art. 1, lett. a).
Appare pertanto evidente che la nuova costruzione debba conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e e volumi (fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 18.03.2008, n. 1177) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 03.02.2010 n. 438 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Fedeltà della ricostruzione.
L’elemento che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica, (sia pure con la sovrapposizione di un «insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente») ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con ricostruzione, se non «fedele» comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.12.2009 n. 5268 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e nuova costruzione.
In caso di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, lo spostamento di volumetria non può, dunque, ritenersi ammissibile –pena lo sconfinamento nella differente ipotesi della nuova costruzione– laddove vada ad incidere sul requisito della identità di sagoma, superfici e volumi richiesto dall’art. 3, d.P.R. n. 380/2001.
L’elemento che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica, (sia pure con la sovrapposizione di un «insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente») ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con ricostruzione, se non «fedele» comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.12.2009 n. 5268 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Demolizione e ricostruzione integrale in Lombardia (l.r. 12/2005).
In caso di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, lo spostamento di volumetria non può, dunque, ritenersi ammissibile –pena lo sconfinamento nella differente ipotesi della nuova costruzione– laddove vada ad incidere sul requisito della identità di sagoma, superfici e volumi richiesto dall’art. 3, d.P.R. n. 380/2001.
Il T.U. dell'edilizia ha ricompreso tra gli interventi di ristrutturazione edilizia “quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
L'art. 1 del decreto legislativo 27.12.2002, n. 301 ha modificato l'art. 3, in parte qua, eliminando la locuzione “fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche di materiali a quello preesistente” e l’ha sostituita con l’espressione “ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente” (art. 1, lett. a).
Anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logico-sistematica della nuova normativa inducono tuttavia a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi (fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 18.03.2008, n. 1177) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.12.2009 n. 5268 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione -Demolizione e ricostruzione integrale.
Nella nozione di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 31, co. 1, lett. d), L. n. 457/1978, vanno ricomprese anche le ipotesi di totale demolizione e ricostruzione del fabbricato, a condizione che la ricostruzione porti alla realizzazione di un edificio sostanzialmente identico a quello preesistente, per sagoma, volume, superficie e caratteristiche tipologiche, potendosi giustificare la parziale diversità solo con riferimento ad elementi costitutivi secondari e tali comunque in concreto da non comportare una significativa alterazione strutturale o estetica.
Anche ai sensi della nuova normativa di cui al D.P.R. n. 380/2001 (art. 3, co. 1, lett. d), rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia gli interventi volti alla trasformazione dell’edificio che portino alla realizzazione di un edificio anche in tutto o in parte diverso dal precedente, attraverso la demolizione e ricostruzione, nel rispetto dei limiti di volumetria e di sagoma, oltre che ovviamente delle caratteristiche strutturali e tipologiche fondamentali e necessarie ad assicurare una continuità con la situazione preesistente.
Tutte le volte in cui tali limiti non vengano rispettati, l’intervento non può che ricondursi nell’ambito della previsione di cui alla successiva lettera e) della norma citata (nuova costruzione) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 23.11.2009 n. 2898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e restauro/risanamento conservativo.
Il discrimine tra gli interventi manutentivi o di restauro, per i quali è sufficiente la d.i.a e quelli di ristrutturazione, asserviti a permesso di costruire, è individuabile nella circostanza che i primi sono diretti a conservare l'edificio nel rispetto della sua tipologia, forma e struttura, senza alcun inserimento di elementi innovativi pur se sostitutivi di quelli precedenti, mentre i secondi sono diretti ad alterare, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica dell'immobile e comportano altresì l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi.
Pertanto, l'apposizione di una pavimentazione in cotto su di uno spazio esterno, già cementato, non è tale da dar luogo a quell'inserimento di elementi innovativi idoneo a connotare l'intervento come ristrutturazione edilizia (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.08.2009 n. 4805 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Nozione.
Per ristrutturazione deve intendersi un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, ivi compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione, ma con la stessa volumetria, sagoma ed area di sedime preesistenti (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Umbria, sentenza 23.07.2009 n. 437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione.
È legittima la delibera in cui vengono equiparati gli oneri per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelli previsti per gli interventi di nuova costruzione, in misura doppia rispetto a quella prevista per gli interventi di ristrutturazione.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione possa comportare aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di un edificio, attuato mediante demolizione e ricostruzione porta, invero, alla realizzazione di un organismo edilizio sostanzialmente nuovo: non appare quindi illogico ritenere che un intervento così radicale determini, di regola, un incremento del carico urbanistico pari a quello legato alla realizzazione di una nuova costruzione (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 21.07.2009 n. 4455).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Balconi.
La realizzazione di un balcone con conseguente modifica del prospetto del fabbricato cui accede costituisce opera di ristrutturazione edilizia esterna; intervento che esige, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, il titolo abilitativo del permesso a costruire, congiuntamente, nelle aree soggette a disciplina vincolistica, all’autorizzazione paesistica (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 26.06.2009 n. 3526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento che ordina la demolizione di manufatti abusivi è atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente e, dunque, non abbisogna di congrua motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, la quale è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato.
Il provvedimento che ordina la demolizione di manufatti abusivi è atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente (fra le tante, C.d.S., VI, 28.06.2004, n. 4743) e, dunque, non abbisogna di congrua motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, la quale è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato (TAR Campania, sez. IV, 04.07.2001, n. 3071; 13.06.2002, n. 3485; 04.02.2003, n. 617; 20.10.2003, n. 12962) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 26.06.2009 n. 3526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Demolizione e ricostruzione integrale in Lombardia (l.r. 12/2005).
La ristrutturazione «pesante» ben può comportare, ai sensi dell'art. 10, testo unico, la trasformazione dell'organismo preesistente, ma non postula la sua demolizione integrale; laddove, invece, vi sia demolizione integrale seguita da ricostruzione, l'intervento in tanto è assimilabile ad una ristrutturazione in quanto la ricostruzione sia fedele, si mantenga cioè nei limiti dell'organismo originario, come si evince dall'art. 3, primo comma, lettera d), dello stesso testo unico (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.06.2009 n. 3939 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e restauro/risanamento conservativo.
I lavori di demolizione e ricostruzione di un edificio fatiscente non rientrano nell'attività di straordinaria manutenzione, risanamento, restauro conservativo per la quale è sufficiente, ai sensi dell'art. 48 l. 05.08.1978 n. 457, la semplice autorizzazione del Sindaco, bensì in quella di ristrutturazione, per la quale è necessaria la concessione edilizia (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 20.05.2009 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Demolizione e ricostruzione integrale.
La trasformazione dell'edificio preesistente, finalizzata al suo recupero funzionale, può essere compiuta anche mediante la demolizione radicale e la ricostruzione fedele di parti rilevanti del manufatto, specie quando ciò risulti più conveniente sotto il profilo tecnico od economico, e questa possibilità può essere allargata alle ipotesi di totale demolizione e ricostruzione dell'edificio, purché il nuovo edificio corrisponda pienamente a quello preesistente (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 10.04.2009 n. 990 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e restauro/risanamento conservativo.
Per qualificare un intervento come ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi dell’edificio ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dello stesso per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente, sussistendo in questi casi un rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono invece la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (TAR Marche Ancona, 27.09.2004 , n. 1503; TAR Campania Napoli, sez. IV, 18.09.2003, n. 11499; Consiglio di stato, sez. V, 18.10.2002, n. 5775; Consiglio di Stato, V, 23.05.2000, n. 2988) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Molise, sentenza 27.03.2009 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e nuova costruzione.
Ai sensi dell'art. 22, comma 3, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività, in alternativa al permesso di costruire, gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso t.u., interventi che possono in effetti portare alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal preesistente; tuttavia la fattispecie concreta va ricondotta all'ipotesi specifica di ristrutturazione attuata mediante demolizione e ricostruzione, che è espressamente disciplinata dall'art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale richiedeva, nell'originaria formulazione, la "fedele ricostruzione" della preesistenza (quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali); successivamente, l'art. 1, d.lg. 27.12.2002 n. 301, pur espungendo dalla citata previsione normativa l'originario riferimento alla "fedele ricostruzione", ha comunque ribadito che: "Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica"; a fronte della tassativa previsione della fonte primaria, come ora ricostruita, ed in linea con le costanti acquisizioni giurisprudenziali, può quindi escludersi che l'intervento dichiarato sia riconducibile al novero della ristrutturazione -atteso che, come sopra chiarito, esso comporta rilevanti modifiche nella sagoma, nella superficie e volume rispetto al manufatto preesistente- dovendo piuttosto essere qualificato come di "nuova costruzione" e, in quanto tale, assoggettato al regime del permesso di costruire ed alle limitazioni imposte dalle norme urbanistiche vigenti nella zona territoriale di riferimento (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 16.03.2009 n. 1461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie in materia di ristrutturazione - Ampliamento vano finestra.
L'ampliamento di vano-finestra non rientra nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, né di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. b-c), d.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o la conservazione di elementi -anche strutturali- degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lett. c) del comma 1 dell'art. 10, d.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza un'oggettiva trasformazione della facciata del palazzo mediante la sostituzione e l'inserimento di elementi, nonché la modifica di altri (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 19.02.2009 n. 895 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Ampliamento vano finestra.
L'ampliamento di vano-finestra non rientra nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, né di restauro o risanamento conservativo (i quali presuppongono, ai sensi dell'art. 3, lett. b-c), d.P.R. n. 380/2001, la sostituzione o la conservazione di elementi -anche strutturali- degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio), ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui alla lettera c) del comma primo dell'articolo 10 d.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza un'oggettiva trasformazione della facciata del palazzo mediante la sostituzione e l'inserimento di elementi, nonché la modifica di altri (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 29.01.2009 n. 505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Nozione.
Fra gli interventi edilizi soggetti a previo rilascio del permesso di costruire l’art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. 06.06.2001 n. 380 ricomprende gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che determinino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.
Con riferimento al cambio di destinazione d’uso, la giurisprudenza ha escluso la necessità di permesso a costruire solo allorquando un organismo edilizio assicura la fisionomia e conservazione della destinazione d’uso, della collocazione e delle caratteristiche fisiche identificative dell’originario manufatto (cfr. Cons. Stato, V, 08.08.2003 n. 4593) (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.01.2009 n. 498 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e altre forme di intervento ai fini penali.
In tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso di un immobile attuato attraverso l’esecuzione di opere edilizie e realizzato dopo la sua ultimazione configura un’ipotesi di ristrutturazione edilizia che integra il reato di esecuzione di lavori in assenza di permesso di costruire (art. 44, lett. b), d.P.R. 06.06.2001, n. 380), in quanto l’esecuzione di lavori, anche se di modesta entità, porta alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.01.2009 n. 9894).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Condono edilizio.
Quando la demolizione e la successiva ricostruzione di un manufatto non danno luogo alla fedele riedificazione del precedente manufatto per sagoma, superficie e volume, non si è in presenza di ristrutturazione edilizia, bensì di nuova costruzione, per cui è necessario il rilascio di apposito titolo edilizio: è quindi legittima l’archiviazione della domanda di condono relativa al primo fabbricato, essendo effettivamente venuta meno la stessa opera per cui si riferiva la richiesta (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.12.2008 n. 6550 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Interventi su fabbricati abusivi.
Il regime della d.i.a. non è applicabile a lavori edilizi che interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, in quanto gli interventi ulteriori -sia pure riconducibili, nello loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche- ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (cfr., in termini, Cassazione penale, Sezione III, 19.04.2006, n. 21490, e 22.11.2007, n. 4087) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.11.2008 n. 19372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Interventi su fabbricati abusivi.
I lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi non sanati né condonati non sono assoggettabili al regime della d.i.a. poiché gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.10.2008 n. 45070).

EDILIZIA PRIVATADiscrimine tra ristrutturazione e altre forme di intervento ai fini penali.
In tema di reati edilizi, integra il reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. 06.06.2001, n. 380 la realizzazione di un terrazzo a tasca in assenza del permesso di costruire, in quanto si tratta di un intervento di ristrutturazione edilizia che comporta una modificazione della sagoma e delle superfici utili dell’edificio ai sensi dell’art. 10, comma primo, lett. c), d.P.R. citato (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.10.2008 n. 42892).

EDILIZIA PRIVATADiscrimine tra ristrutturazione e altre forme di intervento ai fini penali.
Costituisce nuova costruzione l'intervento di ricostruzione di un rudere, in quanto il risanamento conservativo, ed in genere gli interventi di ristrutturazione con o senza demolizioni, devono essere contestualizzati temporalmente nell'ambito di un intervento unitario volto nel suo complesso alla conservazione di un edificio che deve essere esistente e strutturalmente identificabile al momento di inizio dei lavori (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.10.2008 n. 42521).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Mutamento di destinazione d’uso.
In materia edilizia, le opere interne e gli interventi di ristrutturazione urbanistica, come pure quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qual volta comportino mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e, qualora debbano essere realizzati nei centri storici, anche nel caso in cui comportino mutamento di destinazione d'uso all'interno di una categoria omogenea (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 06.10.2008 n. 1822 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della determinazione del "dies a quo" di decorrenza del termine per ricorrere avverso un permesso di costruire, incombe a carico di chi eccepisce la tardività dell'impugnazione dare la prova dell'effettiva e piena conoscenza -anche attraverso elementi presuntivi, come l'intervenuta ultimazione dei lavori- del permesso di costruire da parte del ricorrente.
Se è vero che può essere ritenuto irricevibile per manifesta tardività il ricorso giurisdizionale avverso una concessione edilizia (ora permesso di costruire) proposto dai proprietari finitimi e colà stabilmente residenti, laddove il gravame sia stato proposto oltre un anno dal rilascio e comunque numerosi mesi dopo l'installazione del cartello recante gli estremi essenziali del provvedimento impugnato, posto che il lungo tempo trascorso, la natura appariscente dei lavori autorizzati e l'incontroversa stabile residenza dei ricorrenti in località attigua a quella in cui l'opera è stata realizzata rendono ragionevolmente fondata la conoscibilità del provvedimento stesso in data ben anteriore al sessantesimo giorno precedente a quello in cui detto ricorso è stato proposto (Consiglio Stato, sez. V, 03.10.1995, n. 1389), è vero altresì che ai fini della determinazione del "dies a quo" di decorrenza del termine per ricorrere, incombe a carico di chi eccepisce la tardività dell'impugnazione dare la prova dell'effettiva e piena conoscenza -anche attraverso elementi presuntivi, come l'intervenuta ultimazione dei lavori- del permesso di costruire da parte del ricorrente (TAR Campania Salerno, sez. II, 07.03.2008, n. 262).
Tuttavia, l'effettiva conoscenza dell'atto si concretizza, in via presuntiva, solo quando la costruzione realizzata riveli in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e la non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica dell'area, a meno che non si deduca l'assoluta inedificabilità dell'area (o analoghe censure), nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell'iniziativa in corso (TAR Sicilia Catania, sez. I, 08.02.2008, n. 225; Consiglio Stato, sez. IV, 24.12.2007, n. 6621; Consiglio Stato, sez. IV, 10.12.2007, n. 6342)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISui soggetti abilitati ad impugnare gli atti della P.A..
L'intervento "ad adiuvandum" può essere proposto nel processo amministrativo solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da soggetto che sia portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale (TAR Abruzzo Pescara, 22.09.2006, n. 567) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull'impugnazione del permesso di costruire.
Com’è noto, la legittimazione a impugnare il permesso di costruire va riconosciuta a coloro che possono vantare un proprio interesse legittimo, in quanto si trovino in una situazione di stabile collegamento -per l’esistenza di un diritto reale o obbligatorio- con la zona interessata dalla costruzione assentita e subiscano in concreto un pregiudizio dalla lesione dei valori urbanistici della zona medesima (ex multis: TAR Campania Napoli, sez. IV, 31.12.2007, n. 16690; TAR Sicilia Catania, sez. I, 09.10.2007, n. 1629; TAR Lazio Roma, sez. II, 17.11.2004, n. 13255) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa legittimazione a chiedere la concessione edilizia spetta solo a chi abbia, in virtù di un diritto reale o di una obbligazione, la facoltà di eseguire il progetto assentito.
Ai sensi dell’art. 4, comma 1, L. 28.01.1977 n. 10, la legittimazione a chiedere la concessione edilizia spetta solo a chi abbia, in virtù di un diritto reale o di una obbligazione, la facoltà di eseguire il progetto assentito.
Tale legittimazione compete anche al singolo condòmino riguardo ad un’opera da realizzare sulle parti comuni di un edificio, ma solo ove tale opera sia strettamente pertinenziale alla sua unità immobiliare, in virtù del combinato disposto degli artt. 1102 (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105 (concorso di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 (divieto al condominio di realizzare opere che danneggino le cose comuni) (Consiglio di Stato, sez. V, 23.06.1997, n. 699)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIOAnche l’amministratore di un condominio, se e quando munito di specifici poteri a lui conferiti dai singoli condomini, può richiedere il rilascio di una concessione edilizia in quanto la legge non esclude che i soggetti titolati possano avvalersi di altri soggetti, regolarmente incaricati secondo le regole generali per esercitare il loro diritto.
Con riferimento alla legittimazione ad agire dell’amministratore del condominio, questo Tribunale ha già avuto modo di chiarire che “anche l’amministratore di un condominio, se e quando munito di specifici poteri a lui conferiti dai singoli condomini, possa richiedere il rilascio di una concessione edilizia in quanto la legge non esclude che i soggetti titolati possano avvalersi di altri soggetti, regolarmente incaricati secondo le regole generali per esercitare il loro diritto. Ciò può facilmente verificarsi nell’ipotesi di lavori di ristrutturazione di uno stabile condominiale per i quali è richiesta la concessione edilizia o nel caso di demolizione e successiva ricostruzione di un edificio condominiale” (cfr. TAR Campania Napoli, sez. II, n. 435/1996) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl comune ha l’obbligo di verificare la documentazione allegata all’istanza di permesso di costruire, sebbene questo sia sempre rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, verificando compiutamente i titoli di proprietà dei condòmini e negandolo qualora non emerga la prova della sussistenza del titolo.
L'amministrazione comunale, ai fini del rilascio del permesso di costruire, è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio e nel caso di opere edilizie da realizzare in aree condominiali tale onere si considera assolto esclusivamente verificando il previo assenso degli altri condomini.
Se il rilascio del permesso di costruire impone all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi, onde l'accertamento del possesso del titolo a costruire costituisce una condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame dell'istanza, tuttavia deve ritenersi escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile.

L’amministrazione comunale –secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza- ha l’obbligo di verificare la documentazione allegata all’istanza di permesso di costruire, sebbene questo sia sempre rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, verificando compiutamente i titoli di proprietà dei condòmini e negandolo qualora non emerga la prova della sussistenza del titolo (Cons. Stato, Sez. 5ª, 22.06.2000 n. 3525; TAR Campania, Sez. 4ª, 17.06.2002 n. 3601).
L'amministrazione comunale, ai fini del rilascio del permesso di costruire, è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio (TAR Liguria Genova, sez. I, 29.11.2007, n. 1987), e nel caso di opere edilizie da realizzare in aree condominiali tale onere si considera assolto esclusivamente verificando il previo assenso degli altri condomini (v., ex multis, TAR Basilicata 18.12.2002 n. 1011).
Se il rilascio del permesso di costruire impone all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi, in tal senso inducendo la prescrizione di cui all'art. 4 comma 1, l. n. 10 del 1977 («la concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla [...]»), e successivamente quella di cui all'art. 11 comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 («il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo»), onde l'accertamento del possesso del titolo a costruire (da riconoscere a chiunque abbia, in virtù di un diritto reale o di obbligazione sull'immobile, la facoltà di eseguire i lavori in progetto) costituisce una condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame dell'istanza, tuttavia deve ritenersi escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile (TAR Emilia Romagna Parma, 21.02.2007, n. 53; Cons. Stato, Sez. V, 07.07.2005 n. 3730)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl concetto di disponibilità dell’area, ai fini del rilascio del titolo edilizio, non è “circoscritto alla dimostrazione della proprietà dell’immobile, ma indica l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell’immobile”, con la conseguenza che “la disponibilità manca non solo quando il richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di godimento che incidono sulla possibilità di edificazione del suolo.
Il concetto di disponibilità dell’area, ai fini del rilascio del titolo edilizio, non è “circoscritto alla dimostrazione della proprietà dell’immobile, ma indica l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell’immobile”, con la conseguenza che “la disponibilità manca non solo quando il richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di godimento che incidono sulla possibilità di edificazione del suolo" (così Cons. Stato, Sez. V, 22.06.2000 n. 3525 e TAR Veneto–Venezia, Sez. II, n. 3752/2004) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa perdita di efficacia del permesso di costruire per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto che legittimano la declaratoria di decadenza.
La decadenza dei permessi di costruire, infatti, non opera di per sé, bensì deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti. Tale provvedimento, ancorché a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e soggiace all'obbligo di motivazione di cui all'art. 3, l. n. 241 del 1990 nonché di previa comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall'art. 7, l. n. 241 del 1990.

L’eventuale decadenza del permesso per effetto dell’inerzia dei soggetti legittimati a costruire, infatti, non costituisce vizio idoneo ad inficiare la legittimità del provvedimento.
Sotto altro profilo, la perdita di efficacia del permesso di costruire per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto che legittimano la declaratoria di decadenza (Consiglio Stato , sez. IV, 29.01.2008, n. 249).
La decadenza dei permessi di costruire, infatti, non opera di per sé, bensì deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti. Tale provvedimento, ancorché a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e soggiace all'obbligo di motivazione di cui all'art. 3, l. n. 241 del 1990 nonché di previa comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall'art. 7, l. n. 241 del 1990 (TAR Lazio Roma, sez. I, 02.01.2008, n. 1)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’omessa indicazione e/o quantificazione del contributo di costruzione, nel permesso di costruire, è circostanza inidonea a determinare l’illegittimità del provvedimento.
Anche l'eventuale erronea determinazione degli oneri connessi al rilascio del permesso di costruire non determina, in ogni caso, l'illegittimità del titolo stesso e non giustifica la pretesa al suo annullamento giurisdizionale; ciò in quanto il procedimento di determinazione del contributo di urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto al procedimento di rilascio del permesso di costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un provvedimento che, diverso da quello concessivo del titolo a costruire, è autonomamente impugnabile e suscettivo di annullamento senza ripercussioni sul titolo abilitativo alla costruzione.

Il Collegio –a voler ammettere che il contributo sia dovuto, trattandosi di attività edilizia rivolta al recupero filologico di edificio preesistente, per il quale sussistono tutte le opere di urbanizzazione in loco- ritiene l’omessa indicazione e/o quantificazione del contributo di costruzione, nel permesso di costruire, circostanza inidonea a determinare l’illegittimità del provvedimento.
Infatti, anche l'eventuale erronea determinazione degli oneri connessi al rilascio del permesso di costruire non determinerebbe, in ogni caso, l'illegittimità del titolo stesso e non giustificherebbe la pretesa al suo annullamento giurisdizionale; ciò in quanto il procedimento di determinazione del contributo di urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto al procedimento di rilascio del permesso di costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un provvedimento che, diverso da quello concessivo del titolo a costruire, è autonomamente impugnabile e suscettivo di annullamento senza ripercussioni sul titolo abilitativo alla costruzione (Consiglio Stato, sez. IV, 31.01.1995, n. 37)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa rovina di un edificio, non importa a quali cause dovuta, fa venire meno la possibilità di ristrutturare l’edificio medesimo e determina solo la possibilità di procedere alla ricostruzione dello stesso.
Il concetto di ristrutturazione postula necessariamente la preesistenza di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, motivo per cui la ricostruzione su ruderi va assimilata ad una nuova edificazione.
In mancanza di norme contrarie, la ricostruzione di manufatti, ancorché crollati accidentalmente, soggiace alle norme urbanistiche vigenti al momento in cui viene emanato il permesso di costruire.

La giurisprudenza amministrativa ritiene che “la rovina di un edificio, non importa a quali cause dovuta, fa venire meno la possibilità di ristrutturare l’edificio medesimo (in particolare: Consiglio di Stato sez V sent. n. 819 del 1996) e determina solo la possibilità di procedere alla ricostruzione dello stesso”.
Il concetto di ristrutturazione, infatti, postula necessariamente la preesistenza di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, motivo per cui la ricostruzione su ruderi -come quella in esame- va assimilata ad una nuova edificazione (Consiglio di Stato, sez. V, n. 1261 del 1994, TAR Lombardia, Brescia n. 478/1996, TRGA Trento n. 126 del 1996).
In mancanza di norme contrarie, la ricostruzione di manufatti, ancorché crollati accidentalmente, soggiace alle norme urbanistiche vigenti al momento in cui viene emanato il permesso di costruire (Consiglio di stato, sez. V, n. 102 del 1989)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe eventuali difformità di esecuzione del manufatto edilizio rispetto al progetto approvato ed assentito non giustificano l'annullamento del provvedimento autorizzatorio, poiché la legittimità di questo va vista e considerata sulla base della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione e poiché la realizzazione della costruzione, pur essendo esecuzione del progetto approvato con il permesso di costruire, attiene ad un aspetto ulteriore ed esterno al titolo, ininfluente quindi sulla legittimità formale di esso.
L'annullamento del permesso di costruire presuppone necessariamente l'individuazione di un vizio originario ad essa afferente, cosa diversa dalla verifica della conformità o meno al provvedimento del comportamento tenuto dal destinatario nella fase di esecuzione dei lavori che, nel caso di mancata rispondenza delle opere realizzate al progetto assentito, potrebbe consentire, non l'annullamento, ma un intervento a fini sanzionatori o demolitori (TAR Campania Salerno, sez. II, 07.04.2003, n. 243).
Le eventuali difformità di esecuzione del manufatto edilizio rispetto al progetto approvato ed assentito non giustificano, pertanto, l'annullamento del provvedimento autorizzatorio, poiché la legittimità di questo va vista e considerata sulla base della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione e poiché la realizzazione della costruzione, pur essendo esecuzione del progetto approvato con il permesso di costruire, attiene ad un aspetto ulteriore ed esterno al titolo, ininfluente quindi sulla legittimità formale di esso (TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 21.09.2007, n. 1754)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Balconi.
La realizzazione di un balcone con conseguente modifica del prospetto del fabbricato cui accede costituisce opera di ristrutturazione edilizia esterna; intervento che esige, ai sensi dell’art. 10 comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, il titolo abilitativo del permesso a costruire, congiuntamente, nelle aree soggette a disciplina vincolistica, all’autorizzazione paesistica (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 21.08.2008 n. 9951 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento nel caso di ordine di demolizione di opere abusive, in quanto trattasi di provvedimento alla cui adozione l'Amministrazione comunale è vincolata per legge, a seguito dell'accertata abusività delle opere, cioè in virtù di un presupposto di fatto di cui il ricorrente doveva essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.
Non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento nel caso di ordine di demolizione di opere abusive, in quanto trattasi di provvedimento alla cui adozione l'Amministrazione comunale è vincolata per legge, a seguito dell'accertata abusività delle opere, cioè in virtù di un presupposto di fatto di cui il ricorrente doveva essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (cfr. questa Sezione, 26.01.2004, n. 287; cfr., altresì, TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10.07.2004, n. 4974; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 04.02.2004, n. 217; TAR Valle d’Aosta, 18.09.2002, n. 84).
Il provvedimento che ordina la demolizione di manufatti abusivi è atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente e, dunque, non abbisogna di congrua motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, la quale è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato.
Il provvedimento che ordina la demolizione di manufatti abusivi è atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente (fra le tante, C.d.S., VI, 28.06.2004, n. 4743) e dunque non abbisogna di congrua motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, la quale è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato (TAR Campania, sez. IV, 04.07.2001, n. 3071; 13.06.2002, n. 3485; 04.02.2003, n. 617; 20.10.2003, n. 12962) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 21.08.2008 n. 9951 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Mutamento di sagoma, prospetti, superfici.
Il collegio osserva che la questione da risolvere riguarda la qualificazione dell’intervento alla luce della previsione dell’art. 10, comma 1, lett. c), del dpr 06.06.2001, n. 380, che nel testo vigente attualmente ed al momento del rilascio del titolo qualifica come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare “…un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici…”.
La documentazione prodotta dal ricorrente comprova effettivamente che l’attività edilizia assentita comporterà un mutamento di rilievo nella disposizione degli immobili della controinteressata, così da creare un organismo edilizio parzialmente differente da quello preesistente, con la modificazione della sagoma e del volume, che verrà distribuito in due unità immobiliari; la verificazione disposta ha permesso di acquisire che la volumetria in progetto rimarrà inalterata, ma che differenti risulteranno ad esempio le disposizioni degli immobili nello spazio e la forma delle coperture.
Tanto premesso in fatto si osserva che la nozione di ristrutturazione edilizia va rimeditata alla luce delle modificazioni che l’art, 1 del d.lvo 27.12.2002, n. 301 ha apportato agli artt. 10 e 22 del dpr 06.06.2001, n. 380. In particolare la citata formulazione del citato articolo 10 va comparata con il testo previgente che ancorava la nozione in questione al mantenimento della sagoma e del volume dell’immobile oggetto dell’intervento.
Si nota innanzitutto che il legislatore del 2002 ha inteso rimarcare una cesura assai netta rispetto alla situazione preesistente, allorché si discuteva addirittura se la ristrutturazione potesse prevedere la demolizione e la ricostruzione, in allora definita fedele, dell’immobile di che si tratta.
Tuttavia le congiunzioni utilizzate dal legislatore per raccordare i concetti accolti dalla novella del 2002 non possono indurre a considerare che la ristrutturazione possa giungere a prevedere ogni tipo di modificazione indicata dalla norma: osserva la condivisa giurisprudenza (ad esempio cass. III pen. 26.10.2007, n. 47096, cons. Stato, IV, 16.03.2007, n. 1276) che è pur tuttavia necessario conservare una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione e nuova costruzione, potendo con ciò riferirsi soltanto a taluna delle modifiche enumerate dalla norma citata.
Nel caso in cui la sagoma, i prospetti e le superfici dell'immobile in questione risultino essere stati mutati, essendo invece rimasto quasi invariato il volume, cosicché ne risulti un manufatto assai differente da quello preesistente, non può pertanto applicarsi la nozione di ristrutturazione, apparendo invece più confacente la fattispecie che ha riguardo alla nuova costruzione (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 25.07.2008 n. 1543 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione.
Sulla base del generale principio che correla gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia comportante il pagamento di tale contributo la divisione ed il frazionamento di un’unità immobiliare in due o più unità qualora, a seguito di tale operazione e stante l’autonoma utilizzabilità delle stesse, si realizzi un aumento del carico urbanistico (C.d.S., sez. IV, 29/04/2004 n. 2611; TAR Toscana, sez. III, 22/01/2007 n. 62; TAR Lazio –RM- 04/01/2006 n. 36) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 15.07.2008 n. 352 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e restauro/risanamento conservativo.
Sono qualificabili interventi di restauro e risanamento conservativo gli interventi sistematici che, pur con rinnovo di elementi costitutivi dell'edificio preesistente, ne conservano tipologia, forma e struttura; per contro, rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia le opere rivolte a creare un organismo in tutto o in parte diverso da quello oggetto di intervento (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.06.2008 n. 2981 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e manutenzione straordinaria.
La ristrutturazione edilizia non è vincolata al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, né modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso) sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d'uso "compatibili" con l'edificio conservato).
La stessa attività di ristrutturazione, del resto, può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi dianzi enunciati.
L'elemento caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate analiticamente, ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.05.2008 n. 35897).

EDILIZIA PRIVATADiscrimine tra ristrutturazione e altre forme di intervento ai fini penali.
In tema di reati edilizi, anche dopo le modifiche apportate dal d.lg. 27.12.2002, n. 301 all'art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, gli interventi di ristrutturazione edilizia ricomprendono anche la demolizione e la ricostruzione del preesistente manufatto purché vi sia identità dell'area di sedime e ne rimangano inalterate la volumetria e la sagoma, configurandosi, diversamente, un intervento di "nuova costruzione" (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.04.2008 n. 28212 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Nozione secondo i regolamenti locali.
In tema di reati edilizi, in base alla regola della prevalenza degli interventi "definiti" su quelli previsti dagli strumenti urbanistici, deve escludersi che un intervento qualificato come di "nuova costruzione" ai sensi del comma primo dell’art. 3 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, possa essere degradato ad intervento di "ristrutturazione edilizia" dallo strumento urbanistico (fattispecie in materia di sequestro preventivo di un manufatto già esistente, oggetto di un intervento di demolizione e ricostruzione con alterazioni planovolumetriche e definito di "ristrutturazione edilizia" da un piano demaniale comunale, in contrasto con la formula definitoria dettata dall’art. 3 del citato d.P.R.) (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.04.2008 n. 28212).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione.
In base all’art. 3, l. n. 10 del 1977, la concessione edilizia, ora permesso di costruire, comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione ed al costo di costruzione e tale obbligo è esteso, ex art. 9 della legge, agli interventi di restauro, risanamento e ristrutturazione che comportino aumento delle superfici e mutamento delle destinazioni d’uso: ai fini della riliquidazione degli oneri di urbanizzazione, costituisce legittimo presupposto la sussistenza di un eventuale maggior carico urbanistico provocato dall’intervento eseguito in un fabbricato già autorizzato ed, in tale ambito, non deve tenersi conto esclusivamente di ristrutturazioni generali e globali di un edificio con necessari interventi esterni ed interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile, con la connessa necessità di sottoporre le relative concessioni al pagamento dei contributi riferiti all’avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sostenere il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (C.d.S. sez. IV 29.04.2004 n. 2611) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 21.03.2008 n. 1109 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanza temporale tra demolizione e ricostruzione.
Ai sensi dell’art. 31, lett. d), l. 05.08.1978 n. 457, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, volume e superficie fra il vecchio e il nuovo manufatto e venga comunque effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (si veda fra le tante: C. Stato, Sez. IV, 28.07.2005, n. 4011; Sez. V, 14.12.2006, n. 7445) (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.03.2008 n. 1177 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Esenzione dagli oneri di urbanizzazione.
L'art. 9, l. n. 10 del 1977 prevede l'esenzione dal pagamento degli oneri di costruzione, contemplando alcune specifiche ipotesi, fra le quali quelle degli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari (lettera d).
Non rientra in quest'ultima fattispecie, l'intervento edilizio comprendente tre unità abitative sia pur riconducibili alla proprietà ad uno o a più soggetti (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 13.03.2008 n. 472 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Condono edilizio.
Ai sensi dell’art. 2, comma 53, l. 23.12.1996 n. 662, la modifica della destinazione d’uso con o senza opere, anche se in difformità dalle previsioni urbanistiche, rientra nella tipologia 4 (opere di ristrutturazione edilizia e opere che abbiano determinato mutamento di destinazione d’uso) e non nella tipologia 1 della tabella allegata alla l. 28.02.1985 n. 47 (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.01.2008 n. 225 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e restauro/risanamento conservativo.
Gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione della superficie interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino la modifica e la ridistribuzione dei volumi non si configurano come interventi di risanamento conservativo, bensì di ristrutturazione edilizia, determinando un rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.12.2007 n. 6674 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Mutamento di destinazione  d'uso.
In caso di intervento edilizio integrante un mutamento di destinazione d’uso con rilevanti opere ne consegue la sottoposizione a titolo edilizio per ristrutturazione (cfr. ad es. TAR Liguria Genova, sez. I, 08.02.2006, n. 103) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 29.11.2007 n. 1988 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione.
Costante giurisprudenza ha affermato che il contributo per oneri di urbanizzazione ha funzione sostitutiva delle opere di urbanizzazione e quindi assolve alla funzione di ridistribuire i costi sociali delle relative opere facendole gravare sui soggetti che ne usufruiscono.
L’entità degli oneri è correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri (si veda Consiglio di Stato, sez. V, n. 120 del 1991); al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione d’uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri accessori (Tar Lombardia, Milano, sez. II, n. 4502 del 2003).
In sostanza, il mero riferimento al passaggio tra una destinazione all’altra nell’ambito della stessa categoria urbanistica non implica automaticamente la non dovutezza degli oneri, dovendosi accertare se non vi sia stato effettivamente mutamento del carico urbanistico (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 14.11.2007 n. 11213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Incrementi volumetrici.
Gli interventi comportanti incrementi volumetrici, anche interni, rientrano nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia e sono pertanto assoggettati a permesso di costruire ex artt. 3, comma 1, lett. d), e 10, d.P.R. n. 380 del 2001, non potendo configurarsi né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 06.11.2007 n. 10674).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Modiche volumetriche.
In materia edilizia, le "modifiche volumetriche" previste dall’art. 10 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 per le attività di ristrutturazione edilizia (assentibili, a scelta dell’interessato, o con permesso di costruire o con D.I.A.) devono consistere in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ovvero in incrementi volumetrici modesti, tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria (in motivazione la Corte, nell’enunciare il predetto principio, ha ulteriormente precisato che qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra la ristrutturazione edilizia e la nuova costruzione) (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.10.2007 n. 47046).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Modiche volumetriche.
È illegittimo un diniego di sanatoria opposto ad un intervento di ristrutturazione che comporti il recupero, con diversa destinazione d’uso, di un locale già adibito a rimessa, in quanto tale intervento non è tale da determinare ex novo un aumento di volumetria (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 16.10.2007 n. 3053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAEsorbitano dalla ristrutturazione edilizia le modifiche di sagoma, pianta e prospetti, che portino ad un aspetto esteriore del fabbricato radicalmente diverso da quello precedente.
Questo Tribunale è al corrente delle incertezze giurisprudenziali circa l’ammissibilità o meno degli aumenti di volumetria nel quadro di interventi di ristrutturazione edilizia.
A favore della soluzione positiva milita la definizione di legge, secondo la quale detti interventi possono portare alla formazione di “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso da quello precedente” (in questo senso molti precedenti giurisprudenziali hanno espressamente affermato che interventi sul patrimonio edilizio esistente che comportino aumenti di volumetria non possono ascriversi né alla manutenzione straordinaria, né al restauro e risanamento conservativo, ma, appunto, alla ristrutturazione edilizia: Cons. St., V, 23.07.1994, n. 807; v. anche Cons. St., V, 18.12.1997, n. 1581 e TAR Liguria, I, 24.06.1998, n. 288, in cui si afferma espressamente che la ristrutturazione edilizia tollera piccoli incrementi di volumetria e lievi variazioni di superficie).
Altra parte della giurisprudenza si è invece espressa per la soluzione negativa (Cons. St., V., 03.01.1992, n. 4; TAR Campania–Napoli, 04.12.2002, n. 7793), giungendo, in qualche caso, ad affermare che uno stesso intervento sul patrimonio esistente che comporti aumento di volume dovrebbe essere scisso in ristrutturazione edilizia per la parte che interessa le strutture conservate ed in nuova costruzione per quella che determina la creazione di volumi nuovi (TAR Molise, 28.06.2001, n. 190).
Inoltre, per le ipotesi di demolizione e successiva ricostruzione, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che tali interventi potessero considerarsi di ristrutturazione edilizia solo se la ricostruzione fosse “fedele”, ossia quando l’edificio ricostruito avesse, fra l’altro, lo stesso volume di quello demolito (v. fra le tante Cons. St., V, 08.08.2003, n. 4593 e Cons. St., V, 03.03.2004, n. 1023: tale principio è stato ora recepito nel testo unico approvato con D.P.R. 06.06.2001, n. 380), con la conseguenza che ammettere ampliamenti nelle ipotesi di ristrutturazione senza demolizione darebbe luogo ad un’irragionevole disparità di trattamento.
Ciò premesso, occorre muovere dal principio secondo il quale la ristrutturazione edilizia consiste in un intervento di recupero e riutilizzo di un immobile esistente e che l’immobile ristrutturato, ancorché divenuto in tutto o in parte diverso da quello precedente, deve mantenere le caratteristiche fondamentali di esso.
In questo quadro merita di essere condivisa la lettura secondo cui esorbitano dalla ristrutturazione edilizia le modifiche di sagoma, pianta e prospetti, che portino ad un aspetto esteriore del fabbricato radicalmente diverso da quello precedente.
Il problema è quindi circoscritto a quelle modifiche, che senza alterare detti elementi, aumentino la superficie e/o il volume interni rilevanti ai fini urbanistici.
A parere del Tribunale tali modifiche non escludono la configurabilità della ristrutturazione edilizia
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 16.10.2007 n. 3053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn assenza di una precisa identificazione degli elementi ostativi, la reiezione della domanda di sanatoria non è legittima, in quanto contraria al principio secondo cui l’Amministrazione è in ogni caso tenuta ad esprimere in maniera puntuale le ragioni ostative al rilascio della concessione in sanatoria, al fine di mostrare la completezza della fase istruttoria e la ponderazione di tutti gli interessi coinvolti nel procedimento.
In assenza di una precisa identificazione degli elementi ostativi, la reiezione della domanda di sanatoria non è legittima, in quanto contraria al principio secondo cui l’Amministrazione è in ogni caso tenuta ad esprimere in maniera puntuale le ragioni ostative al rilascio della concessione in sanatoria, al fine di mostrare la completezza della fase istruttoria e la ponderazione di tutti gli interessi coinvolti nel procedimento (Cons. St., V, 07.03.1987, n. 165; TAR Campania–Napoli, 11.12.2002, n. 7989; TAR Lombardia–Brescia, 26.11.2003, n. 1443) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 16.10.2007 n. 3053 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Chiusura di logge e balconi.
Interventi edilizi consistenti nella chiusura di balconi, logge, terrazze, e nella loro trasformazione in verande, sono ascrivibili alla categoria della ristrutturazione edilizia, che necessita di apposita concessione (ora permesso di costruire) (cfr. Cons. Stato Sez. 2^, 15.02.2006 n. 2462/2004, TAR Lazio 2^, 15.03.1990 n. 699, TAR Milano 2^, 27.08.1998 n. 2035), per cui la realizzazione di siffatti interventi senza titolo edilizio legittima perciò solo l’ordine di demolizione, ferma restando l’ammissibilità (astratta) di una sanatoria (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.09.2007 n. 5768 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e restauro/risanamento conservativo.
L'elemento differenziatore tra interventi di ristrutturazione edilizia e di risanamento conservativo è da ritenere costituito dal fatto che nella ristrutturazione il risultato può portare ad un edificio anche in tutto diverso dal precedente, nel caso di restauro e risanamento conservativo, il risultato va inteso e valutato nel complesso, e non nelle singole parti, per cui l'edificio deve restare il medesimo soprattutto come forma, sia pure con modifiche non rilevanti architettonicamente (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.05.2007 n. 3070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Nozione secondo i regolamenti locali.
L’art. 3 del T.U. n. 380/2001, il quale definisce la tipologia degli interventi edilizi, qualifica come “interventi di ristrutturazione edilizia” quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.
Ai sensi del comma 2 del citato articolo tale definizione prevale su quelle eventualmente difformi di cui agli strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
Il combinato disposto delle disposizioni in argomento comporta, in sostanza, che i regolamenti comunali non possono qualificare come ristrutturazione un intervento che non rientra nella tipologia divisata nel t.u. 06.06.2001 n. 380 e, quindi, non possono escludere dalla definizione tipi di intervento che invece vi rientrano (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 11.04.2007 n. 1669 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Apertura di porte e finestre.
L’apertura di porte e finestre non rientra fra gli interventi di manutenzione straordinaria e, in quanto opere non di mero ripristino bensì modificatrici dell’aspetto degli edifici, vanno ricomprese fra quelle di ristrutturazione edilizia per la cui realizzazione è necessario il rilascio della concessione edilizia (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Basilicata, sentenza 03.03.2007 n. 135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Esenzione dagli oneri di urbanizzazione.
La finalità dell'art. 9, l. 28.01.1977 n. 10, secondo cui il contributo per spese di urbanizzazione e costo di costruzione non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari, è quella di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti destinati all'abitazione di un solo nucleo familiare, sull'evidente presupposto che lo hanno già scontato o ne erano comunque esenti al momento della realizzazione, esonerando anche l'eventuale loro ampliamento, purché contenuto nella percentuale sopra indicata (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Marche, Sez. I, sentenza 31.01.2007 n. 8 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Frazionamento di singole unità abitative.
Ai sensi dell’art. 31, lett. h), l. n. 457 del 1978 l’applicazione delle tariffe previste per gli interventi di manutenzione straordinaria è possibile esclusivamente per le opere di accomodamento e vera e propria manutenzione di carattere straordinario che non alterino la consistenza fisica delle singole unità abitative; invero, ciò non accade in caso di frazionamento in due unità abitative dell’unità originaria, realizzandosi una struttura edilizia qualitativamente diversa dalla precedente cui si applicano le tariffe previste per gli interventi di ristrutturazione (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 22.01.2007 n. 62 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze.
Nella nozione di ristrutturazione edilizia rientrano anche gli interventi consistenti nella demolizione e nella successiva ricostruzione di un manufatto, a condizione che siano rispettate la sagoma e la volumetria della costruzione preesistente (da ultimo Cons. St., sez II, 2526/2004 del 22.02.2006).
Le norme in tema di distanze contenute negli strumenti urbanistici sopravvenuti disciplinano le nuove costruzioni e non riguardano affatto, in mancanza di contraria espressa e specifica previsione, gli interventi di ristrutturazione che osservano le distanze preesistenti fra edifici limitrofi (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 13.10.2006 n. 1209 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Demolizione e ricostruzione con volume inferiore.
Deve ritenersi illegittimo il titolo edilizio relativo ad un intervento edilizio di ristrutturazione che contempli demolizione e ricostruzione, laddove il nuovo edificio, pur caratterizzato da una volumetria inferiore, non rispetti le caratteristiche strutturali di quello demolito, per quanto attiene l’altezza ed il numero dei piani (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.08.2006 n. 5061 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze e nozione
Nell’ambito delle opere edilizie, la semplice "ristrutturazione" si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano (e, all’esito degli stessi, rimangano inalterate) le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la "ricostruzione" allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria, né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro.
In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di "nuova costruzione", da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 27.04.2006 n. 9637).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Esenzione dagli oneri di urbanizzazione.
Ai sensi dell’art. 17, 3° comma, lett. B), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, è soggetto agli oneri di concessione edilizia il permesso di costruire se gli interventi di restauro, risanamento conservativo e di ristrutturazione mutano la destinazione d’uso del fabbricato preesistente, anche se l’incremento di superficie e volume è inferiore al 20 per cento (Cons. St., Sez. V, 24.09.2001, n. 1427; 25.05.2004, n. 6289; TAR Toscana, 12.11.1984, n. 1398; TAR Marche, 12.02.1998, n. 250) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Marche, Sez. I, sentenza 17.03.2006 n. 92 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADiscrimine tra ristrutturazione e altre forme di intervento ai fini penali.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia, rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, si differenziano sia dalla manutenzione straordinaria in quanto non sono vincolati al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali, sia dal restauro e risanamento conservativo, che consente soltanto variazioni d'uso compatibili con l'edificio conservato (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.01.2006 n. 20776).

EDILIZIA PRIVATA: Discrimine tra ristrutturazione e restauro/risanamento conservativo.
Mentre gli interventi di restauro si caratterizzano per essere attuati con una serie di opere che non comportano l'alterazione delle caratteristiche edilizie dell'immobile da restaurare e rispettano gli elementi formali e strutturali dell'immobile, gli interventi di ristrutturazione edilizia sono viceversa caratterizzati dalla loro idoneità ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell'edificio (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 12.10.2005 n. 1350).

EDILIZIA PRIVATADiscrimine tra ristrutturazione e altre forme di intervento ai fini penali.
L'entrata in vigore dell'art. 1, comma 6, l. 21.12.2001 n. 443, poi superato, a far data dal 30.06.2003, dall'analogo disposto dell'art. 22 d.P.R. n. 380 del 2001 (t.u. dell'edilizia), ha consentito la effettuazione, previa semplice denuncia di inizio di attività in alternativa a concessioni e autorizzazioni edilizie, a scelta dell'interessato, delle ristrutturazioni comprensive di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, ma non ha sottratto al regime concessorio le opere di ristrutturazione di un preesistente fabbricato che abbiano comportato la modificazione dei prospetti.
Queste ultime integrano il reato in caso di mancato conseguimento della concessione edilizia, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, e, se relative a fatti antecedenti all'entrata in vigore del t.u. dell'edilizia, sono punibili, ex art. 2, comma 3, c.p., in base alle sanzioni poste dalla l. n. 47 del 1985, più favorevole (in motivazione la Corte ha specificato che gli interventi di ristrutturazione edilizia, come definiti dall'art. 31, lett. d), l. 05.08.1978 n. 457, qualora abbiano comportato la modificazione dei prospetti, non sono stati sottratti al regime concessorio a differenza di quanto verificatosi, per effetto degli art. 48 l. n. 457 cit. e 7 d.l. 23.01.1982 n. 9, per le opere di manutenzione straordinaria di cui alla precedente lett. b), degli interventi di restauro e risanamento conservativo di cui alla lett. c), nonché delle opere interne, assoggettate, dall'art. 26 l. n. 47 del 1985 e 4 d.l. 05.10.1993 n. 398 e successive modifiche, alla sola denuncia di inizio attività purché non comportassero modifiche dei prospetti) (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. V penale, sentenza 26.04.2005 n. 23668).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze.
Poiché nel concetto di ristrutturazione rientrano anche le opere di totale demolizione e di fedele ricostruzione di un edificio, ove la ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo fabbricato (fra le tante: Cons. St., Sez. V, 09.07.1990 n. 594; 18.12.1997 n. 1581; 20.10.1998 n. 1491; 03.04.2000 n. 1906; 09.10.2002 n. 5410), sono illegittime le Norme tecniche di attuazione di un comune che impongono il rispetto delle distanze dai confini e dalle strade laddove gli interventi di ristrutturazione edilizia siano attuati mediante demolizione e ricostruzione, perché in tal modo si impedisce nella sostanza la ricostruzione fedele del preesistente edificio (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 11.03.2004 n. 266 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze.
Il riattamento di un sottotetto di edificio esistente, con rialzo del medesimo, non costituisce realizzazione di un nuovo edificio, ma ristrutturazione dell'esistente.
Ne consegue che non trova applicazione la disciplina delle distanze dai confini e non esistono potenziali controinteressati, e che il recupero del sottotetto va considerato ristrutturazione ex art. 3, comma 2, della l.reg. Lombardia, 15.07.1996, n. 15, anche se comporta un aumento dell'altezza dell'edificio (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 18.09.2002 n. 1176 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze.
La demolizione e ricostruzione di un edificio rientra nel concetto di ristrutturazione edilizia allorché ricorrono i seguenti presupposti: sostituzione di elementi strutturali quali le pareti perimetrali, ricostruzione nel medesimo sito, cubatura identica salvo gli scostamenti di modesto rilievo correlati alla c.d. "tolleranza di cantiere" (variazione nel limite del 3% rispetto alle precedenti dimensioni per cubatura altezze, distanze ecc.) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.12.2001 n. 2400).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze.
La demolizione e ricostruzione di un edificio rientra nel concetto di ristrutturazione edilizia allorché ricorrono i seguenti presupposti: sostituzione di elementi strutturali quali le pareti perimetrali, ricostruzione nel medesimo sito, cubatura identica salvo gli scostamenti di modesto rilievo correlati alla c.d. "tolleranza di cantiere" (variazione nel limite del 3% rispetto alle precedenti dimensioni per cubatura altezze, distanze ecc.) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 05.12.2001 n. 2203).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze.
Nell’ambito delle opere edilizie, va tenuta distinta la semplice ristrutturazione, che si verifica ove gli interventi abbiano interessato un edificio del quale sussistano, ed, all’esito degli stessi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, sicché le modificazioni siano solo interne, dalla ricostruzione, ravvisabile allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, ed, in particolare, senza aumenti né della volumetria, né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro.
In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione, da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario (massima tratta da www.studiospallino.it - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 26.10.2000 n. 14128).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze.
Le limitazioni contenute nell'art. 19 legge n. 765 del 1967 e nel d.m. 01.04.1968 n. 1404 in tema di distanze legali delle costruzioni dal ciglio stradale, mentre non possono essere applicate in caso di interventi di semplice restauro e risanamento volti alla conservazione degli elementi strutturali, tipologici e formali dell'edificio, sono invece operanti in caso di ristrutturazione o di ricostruzione dal momento che, intervenendo sull'immobile in modo consistente e tale da modificarlo in tutto od in parte, si devono necessariamente osservare le limitazioni imposte allo "ius aedificandi" nell'interesse pubblico (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.05.1990 n. 356).

AGGIORNAMENTO AL 27.05.2010

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 25.05.2010 n. 120 "Testo del decreto-legge 25.03.2010, n. 40, coordinato con la legge di conversione 22.05.2010, n. 73, recante: «Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori.»".
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Dal 26.05.2010 è in vigore il novellato art. 6 del DPR n. 380/2001 in merito alla cosiddetta "attività edilizia libera".
L'articolo così riformulato ci pone numerosi interrogativi di interpretazione ed applicazione ma quello più cogente è questo:
in Lombardia si applica l'art. 6 DPR 380/2001 oppure trova ancora -e soltanto- applicazione l'art. 27 della L.R. 12/2005?
Interpellato ieri mattina il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sulla questione, il funzionario preposto al DPR 380/2001 ha risposto, gentilmente, rimandando la soluzione del quesito ai competenti Uffici Regionali.
Invero, della questione è già stato investito il Servizio Giuridico della Regione Lombardia lo scorso 14.05.2010 con uno specifico quesito, allorquando la Camera approvò -con modifiche- il testo del D.L. n. 40/2010 che sarebbe stato -poi- approvato in maniera "blindata" dal Senato, così come si è verificato realmente, dati i tempi ristretti per la conversione in legge del decreto.
Non ci resta che attendere un tempestivo -si spera- intervento della Regione Lombardia in merito, al fine di porre certezze operative fra gli addetti ai lavori (comuni e progettisti).

NEWS

INCENTIVO PROGETTAZIONEIl ripristino al 2% dell'incentivo alla progettazione interna è ancora lontano ...
Collegato lavoro, voto in commissione. Si allungano i tempi del ddl al Senato.
Si comincerà oggi pomeriggio a votare gli emendamenti (119) al collegato lavoro (ddl S.1167-B/BIS), subito dopo il parere della commissione Bilancio del Senato sull'unico emendamento del disegno di legge con una copertura finanziariao.
Ad anticiparlo a ItaliaOggi è Maurizio Castro (Pdl), relatore del collegato, che si avvia verso la sesta lettura nell'aula di palazzo Madama.
A mettere la briglia al ddl c'è però l'accelerazione della legge sulle intercettazioni che sarà in assemblea lunedì 31 maggio. «Noi», dichiara Castro, «apriremo le votazioni subito dopo aver ricevuto il pronunciamento della Bilancio, ma non siamo convocati poi prima del lunedì successivo. E, pertanto, credo che i lavori finiranno non prima del 1° giugno».
La data prevista perché i senatori possano esprimersi in Assemblea, l'esponente del centrodestra la colloca «intorno al 10 del prossimo mese, in modo da fare arrivare quanto prima il testo ai deputati per l'ultima lettura».
Sull'atteggiamento delle opposizioni, che hanno duramente contestato la rivisitazione dell'arbitrato per la risoluzione delle controversie, Castro non si attende grandi novità, ma ammette che «rispetto alla settimana scorsa, quando era sorta una polemica sul prolungamento di 30 giorni del termine entro il quale una persona licenziata a voce poteva presentare il ricorso, il clima appare più disteso. Si esprimeranno di certo contro il ddl», chiosa, «ma bisognerà capire se faranno ostruzionismo».
Quanto all'emendamento su cui si attende il parere della V commissione, quello di Filippo Saltamartini, stabilisce che i lavoratori che hanno «contratto infermità permanentemente invalidanti, o sono deceduti in conseguenza dell'esposizione all'amianto presente» sulle navi della marina militare vengano «ricompresi» tra i soggetti previsti nella finanziaria 2006: così lo stanziamento di 10 milioni annui già previsto viene incrementato a decorrere dal 2012 di 5 milioni. «Saremo sulle spine fino all'ultimo minuto», confida Saltamartini (articolo ItaliaOggi del 26.05.2010, pag. 29).

APPALTI: Il diniego d'accesso si paga caro. Procedimento rapido contro la pubblica amministrazione previsto dal codice dei contratti pubblici. Da impugnare la non trasparenza sui documenti di gara.
In occasione delle precedenti uscite, su queste pagine si è affrontato il tema del diritto di accesso nel settore degli appalti pubblici.
In particolare, si è avuto modo di esaminare il contenuto di tale diritto, spettante a ciascun concorrente, l'oggetto dello stesso nonché le limitazioni cui è sottoposto il suo esercizio.
Sotto tale ultimo profilo, si erano chiarite le motivazioni che fondano il diniego da parte dell'Amministrazione richiesta, senza che ciò ne comporti l'illegittimità del provvedimento.
Di seguito, a completamento dell'analisi del tema, si cercherà di delineare i rimedi esperibili laddove tali giustificazioni non sussistano, e dunque l'azione amministrativa risulti viziata.
I rimedi giurisdizionali avverso il diniego implicito o esplicito.
L'art. 13, comma 1, D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 (Codice dei Contratti Pubblici), pur facendo salve le disposizioni specifiche dettate dal Codice stesso, rinvia alle norme sul diritto di accesso dettate dalla Legge 07.08.1990 n. 241.
In virtù di tale richiamo, ed in assenza di specifiche disposizioni deroganti, dunque, il ricorso avverso il diniego dell'accesso deve essere proposto nei modi e nei termini di cui all'art. 25 della legge da ultimo citata.
Il procedimento impugnatorio ivi descritto presenta alcune peculiarità che lo distinguono nettamente dall'ordinario ricorso ex l. 1034/1971, tanto da dare origine ad una autonoma procedura accelerata.
L'art. 25 comma 4 prevede in particolare che «Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell' articolo 24 , comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5 [_]», a mente del quale «Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge 06.12.1971, n. 1034 , e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all'amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice Amministrativo».
Anzitutto, appare evidente il regime «accelerato» di cui gode il rimedio in esame, che soggiace ad un termine decadenziale «breve» di trenta giorni (invero, oggi in linea con le modifiche da ultimo introdotte al Codice con la L. 53/2010), e deve essere deciso entro ulteriori trenta giorni decorrenti dalla scadenza del termine per la presentazione del ricorso (rectius, dall'ultima notifica).
Va peraltro evidenziato come l'inutile decorso del termine suddetto, precluda definitivamente all'interessato la possibilità di accedere ai documenti richiesti, in assenza di nuovi elementi giustificanti l'ulteriore richiesta.
La giurisprudenza è infatti pacifica nel ritenere che «non è consentito superare il regime decadenziale previsto dall'art. 25, l. n. 241 del 1990, semplicemente reiterando l'istanza di accesso a fronte della mancata impugnazione del silenzio serbato dall'Amministrazione sulla prima istanza di accesso, in specie allorché la nuova domanda non sia giustificata da circostanze nuove. [_] La mancata emersione e valorizzazione di circostanze nuove osta, pertanto, alla reiterazione dell'istanza ostensiva, senza che possa assumere rilievo alcuno, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, la forma, esplicita o implicita, di reiezione dell'istanza estensiva.» (Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 30.07.2009 n. 4810; si veda anche TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 03.06.2009 n. 252, Cons. Stato, Sez. V, sentenza 12.03.2009 n. 1429).
Quanto al caso di silenzio (diniego) dell'Amministrazione, giova rilevare come in tal caso «per la formazione del silenzio impugnabile è necessario che l'Autorità chiamata a pronunciarsi mantenga, per tutto il tempo assegnatole per provvedere, un uniforme comportamento silente, in mancanza del quale costituirebbe un facile artificio prospettare l'accoglimento dell'istanza e infine negarla, invocando infine l'intervenuta decadenza per privare il richiedente del rimedio giustiziale.» (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 11.02.2010 n. 544).
Sotto il profilo dell'autonomia, l'azione in esame si presenta come completamente indipendente da eventuali altri giudizi incardinati tra le parti.
Il rimedio speciale previsto dall'art. 25 citato deve infatti ritenersi consentito anche in pendenza di un giudizio ordinario, all'interno del quale i documenti oggetto della domanda di accesso possono essere acquisiti, in via istruttoria, dal giudice.
Sul punto, il Giudice amministrativo è pacifico nel ritenere che «non vi sono ragioni per escludere l'ammissibilità del rimedio azionato in questa sede, con il rito speciale dell'accesso ex art. 25 l. 241/1990, anche in pendenza di ricorso giurisdizionale, in ragione tanto dell'autonomia del diritto di accesso rispetto alla pretesa azionata con il ricorso ordinario, quanto della semplice facoltatività del rimedio incidentale introdotto dalla l. 205/2000 che ha previsto la possibilità (ma non l'obbligo) di proporre il ricorso in materia di accesso anche incidentalmente all'interno del giudizio ordinario.» (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.01.2010 n. 5; si veda anche Cons. Stato, Sez. V, sentenza 10.02.2009 n. 741).
Peraltro, sul piano squisitamente processuale va appena osservato che l'autonomia della domanda di accesso comporta, in caso di autonomo ricorso avverso il diniego, che il giudice chiamato a decidere su tale domanda, dovrà verificare solo i presupposti legittimanti la richiesta, e non anche la rilevanza dei documenti richiesti rispetto al giudizio principale pendente.
Ciò, in quanto «il diritto alla trasparenza dell'azione amministrativa costituisce situazione attiva meritevole di autonoma protezione indipendentemente dalla pendenza e dall'oggetto di una controversia giurisdizionale e non è condizionata al necessario giudizio di ammissibilità e rilevanza cui è subordinata la positiva delibazione di istanze a finalità probatorie.» (Cons. Stato, Sez. V, sentenza 23.02.2010 n. 1067; si veda anche Cons. Stato n. 741 cit.).
Sempre sotto il profilo dell'autonomia, va da ultimo rilevato come «In tale ottica [_] il diritto di accesso non costituisce una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio, essendo in realtà diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita, così che la domanda giudiziale tesa ad ottenere l'accesso ai documenti è indipendente non solo dalla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere l'anzidetta situazione ma anche dall'eventuale infondatezza od inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre. [_]Pertanto il diritto di accesso non è ostacolato dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale gli stessi documenti potrebbero essere richiesti.» (Cons. Stato, n. 1067 cit.).
Quanto ai limiti posti alla tutela in esame, appare evidente come «il rimedio di cui all'art. 25 della l. n. 241 del 1990 non può essere utilizzato per costringere l'amministrazione a formare atti nuovi rispetto ai documenti amministrativi già esistenti, ovvero a compiere un'attività di elaborazione di dati e documenti, potendo essere impiegato esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già formati e fisicamente esistenti presso gli archivi dell'amministrazione nonché stabilmente posseduti.» (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 09.12.2009 n. 12606).
Infine, giova analizzare brevemente le possibili correlazioni intercorrenti tra la violazione del diritto di accesso, cui il rimedio in esame presta tutela, e le eventuali istanze risarcitorie derivanti dall'illegittimo diniego.
Sul punto, il Giudice Amministrativo ha chiarito che la specialità del rito rende «[_] inammissibile la domanda di risarcimento dei danni derivanti da lesione del diritto di accesso, allorché proposta con il rito accelerato ex art. 25 L. 241/1990, anziché con il rito ordinario; [_] il rito delineato nella disposizione citata, infatti, consente soltanto la tutela giurisdizionale del diritto di accesso alla documentazione amministrativa, non ammettendo la introduzione di domande diverse da quelle dirette all'accesso stesso» (Cons. Stato, Sez. IV, sentenza 10.08.2004 n. 5514; si veda anche TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 03.12.2009 n. 12437).
Da ultimo, merita un accenno la disposizione di cui al comma 5-bis L. 241/1990: in deroga all'ordinaria necessità della difesa tecnica, nei giudizi in materia di accesso (ex art. 25 l. 241 cit.), le parti possono stare in giudizio personalmente senza l'assistenza del difensore, e l'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente.
Conclusioni.
Dall'esame che precede appare evidente l'eccezionalità dello speciale regime dettato dall'art. 25 L. 241/1990 a tutela del diritto di accesso.
A confronto con l'ordinario ricorso giurisdizionale, che peraltro la parte è libera di adottare anche in relazione ad impugnazioni del diniego di accesso, il procedimento in questione si caratterizza per la celerità (poco più di sessanta giorni complessivi) e la non necessarietà della assistenza del difensore (che peraltro è comunque auspicabile, stanti le peculiarità ed i tecnicismi del diritto amministrativo).
Inoltre, il ricorso ex art. 25 L. 241/1990 appare completamente autonomo da eventuali altri giudizi civili o amministrativi, tanto già incardinati quanto di futura proposizione, i quali al loro volta non scontano alcuna preclusione in pendenza della tutela in esame.
Sul piano risarcitorio, invece, il rimedio in questa sede analizzato appare invece particolarmente penalizzante, non essendo ammissibile la relativa domanda all'interno di una impugnazione ex art. 25 cit., ma potendo la stessa trovare eventuale accoglimento solo mediante di proposizione di ricorso ordinario; ed anche in tal caso scontando comunque forti limitazioni, dal momento che «al limite, connessa e consequenziale alla richiesta di accesso potrebbe ritenersi soltanto la domanda per risarcimento dei danni derivanti dalla mancata (o tempestiva) ostensione, mentre esulerebbe in ogni caso la domanda di risarcimento dei danni derivanti quale conseguenza degli effetti (non già del negato o ritardato accesso, ma) degli atti dei quali si chiede l'accesso, ritenuti illeciti e/o illegittimi, in quanto violativi del diritto alla riservatezza e alla segretezza professionale. Tali situazioni sono infatti tutelabili dinanzi al giudice naturalmente competente, il giudice civile» (Cons Stato, n. 5515 cit.) (articolo ItaliaOggi del 26.05.2010, pag. 38).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: Nel caso in cui le previsioni urbanistiche costituiscono atti di pianificazione a contenuto singolo e i vincoli espropriativi vengano ad incidere in modo diretto e immediato sui soggetti destinatari del vincolo reiterato, il termine per l'impugnazione può decorrere dalla data di notifica.
Incontrastata giurisprudenza, espressa già dal Giudice d’appello nel 2001, dalla quale la Sezione non ravvisa ragioni per discostarsi, differenzia la fattispecie generica rappresentata dalla indifferenziata deliberazione dichiarativa della pubblica utilità scaturente dall’approvazione di una variante generale al piano regolatore, che interessi l’intero territorio comunale o vaste sue aree, dalla più specifica ipotesi, quale quella al vaglio della Sezione, in cui la variante e la connessa dichiarazione di pubblica utilità colpiscano singole determinate porzioni di territorio comunale, di proprietà di soggetti ben individuati. In tali evenienze la giurisprudenza è pacifica nello statuire che il termine decadenziale di sessanta giorni di cui all’art. 21 della L. TAR decorre non già dal giorno successivo all’ultimo di pubblicazione della delibera all’albo pretorio, bensì dalla sua comunicazione o notifica ai proprietari incisi.
Ebbe a precisare il Consiglio di Stato, che “nel caso in cui, invece, le previsioni urbanistiche costituiscono atti di pianificazione; a contenuto singolo e i vincoli espropriativi vengano ad incidere in modo diretto e immediato sui soggetti destinatari del vincolo reiterato, il termine per l'impugnazione può decorrere dalla data di notifica” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.10.2001, n. 5628). La decisione, che peraltro rinviene un precedente già in Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.02.2000, n. 939, è stata seguita da tutta la giurisprudenza successiva, la quale si è uniformata a siffatte coordinate esegetiche, talora valorizzando, in omaggio ai noti principi processuali amministrativi, oltre che la notifica, anche la piena conoscenza della deliberazione che impone il vincolo espropriativo sul bene privato: ex pluribus, TAR Sardegna, Sez. II, 19.10.2006, n. 2248; TAR Sicilia-Catania, Sez. I, 17.06.2003, n. 979; TAR Campania Napoli, sez. IV, 24.10.2002, n. 6609.
Segnala anche il Collegio che recentissimamente il Consiglio di Stato ha ribadito il rassegnato indirizzo precisando che “la variante specifica al PRG, pur costituendo un atto di pianificazione, ha un contenuto singolo e, quindi, incide in modo diretto e immediato sui soggetti destinatari della previsione; pertanto, il termine per la impugnazione decorre non dalla pubblicazione, ma dalla effettiva conoscenza del provvedimento” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21.04.2010 n. 2262).
L’atto di apposizione o di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio, comprimendo immediatamente la sfera giuridica del privato proprietario del fondo su cui è stato impresso è dotato di portata lesiva immediata e pertanto deve essere tempestivamente impugnato.
In tal senso è, del resto, pacificamente orientata la giurisprudenza (TAR Campania-Napoli, sez. V, 08.07.2009, n. 3788; TAR Campania-Salerno, Sez. I, 04.04.2008, n. 473; TAR Puglia-Bari, Sez. III, 11.09.2008, n. 2079; TAR Lazio-Roma, Sez. II, 14.09.2005, n. 6989) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza  21.05.2010 n. 2438 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'obbligo di motivazione è assolto quando dagli elementi dell'atto è possibile ricostruire l'iter motivazionale.
La giurisprudenza ha chiarito che l'obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo non può ritenersi violato quando, anche a prescindere dal tenore letterale dell'atto finale, i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l’iter motivazionale della determinazione assunta (Cons. Stato, IV, 10.05.2005 n. 2231) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.05.2010 n. 3190 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sono pertinenze le strutture asservite a esclusivamente a manufatti principali.
Giova richiamare il consolidato orientamento che riconosce il detto carattere pertinenziale alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (cfr. Cass. pen., sez. III, 27.11.1997, nr. 2660; Cons. Stato, sez. V, 07.12.2002, nr. 6126; id., 30.11.2000, nr. 6538) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.05.2010 n. 3127 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' granitico l'orientamento in ordine al carattere vincolato, e non discrezionale, che connota l’attività sanzionatoria del Comune sull’attività edilizia abusiva; in particolare, il giudizio di difformità dell’intervento rispetto alla normativa urbanistica, che costituisce il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni, non è affatto connotato da discrezionalità tecnica, ma integra un mero accertamento di fatto, sia pure condotto alla stregua di parametri tecnici.
La Sezione reputa addirittura superfluo richiamare il granitico orientamento in ordine al carattere vincolato, e non discrezionale, che connota l’attività sanzionatoria del Comune sull’attività edilizia abusiva; in particolare, il giudizio di difformità dell’intervento rispetto alla normativa urbanistica (o, che è lo stesso, al titolo abilitativo rilasciato), che costituisce il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni, non è affatto connotato da discrezionalità tecnica, ma integra un mero accertamento di fatto, sia pure condotto alla stregua di parametri tecnici (peraltro rigidamente predeterminati dalla normativa).
Ne discende che ben può il giudice verificare la correttezza di tale attività accertativa, non diversamente da quanto avviene allorché controlla l’esattezza di accertamenti tecnici condotti dalla p.a. in altri contesti (p.es. l’esattezza di una misurazione di distanze o di altezze).
Tanto premesso, nel caso di specie la Sezione condivide il giudizio espresso dal TAR, che ha reputato alquanto infelice la modalità espositiva prescelta dal Comune per motivare le proprie determinazioni in ordine alle opere de quibus: in particolare, riproducendo ex extenso i contenuti della relazione tecnica redatta in occasione del sopralluogo sul sito dell’intervento, l’Amministrazione ne ha riportato anche i passaggi in cui venivano usate formule ipotetiche o dubitative (“sembra predisposta…”, “potrebbero essere orientati…”), offrendo il destro all’odierna appellante per le doglianze con le quali ha lamentato l’assoluta incertezza della definizione dell’illecito contestato.
E, in effetti, se l’uso di formule del tipo di quelle sopra richiamate è comprensibile in un verbale di sopralluogo, laddove l’organo accertante altro non fa che riportare le proprie valutazioni in ordine a quanto constatato (che deve comunque essere descritto in maniera precisa), altrettanto non è consentito in un ordine di demolizione, laddove l’Amministrazione è tenuta a individuare in modo certo gli abusi contestati al privato.
Tuttavia, nella fattispecie da un lato non vi è motivo di dubitare della rispondenza al vero delle circostanze di fatto descritte nel citato verbale di sopralluogo, al di là della forma in cui sono esposte le successive valutazioni (e, difatti, parte appellante appunta le proprie critiche soprattutto su tali passaggi, senza invece riuscire –come meglio appresso si dirà– a confutare le predette circostanze di fatto, a fronte delle quali preferisce insistere nella tesi della rispondenza di quanto realizzato a quanto a suo tempo assentito); sotto altro profilo, come pure si dirà, il fatto stesso che l’istruttoria si sia conclusa con una misura ripristinatoria è sufficiente a dimostrare che il Comune abbia condiviso le valutazioni espresse in forma ipotetica dai funzionari accertatori, concludendo senz’altro nel senso dell’effettiva abusività dell’intervento.
Alla luce di ciò, deve ritenersi corretto l’operato del primo giudice, il quale ha ricostruito il percorso logico-argomentativo retrostante al provvedimento impugnato, sulla scorta del complesso documentale versato in atti, concludendo per la legittimità dell’operato del Comune al di là delle più volte richiamate incertezze e ambiguità formali (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.05.2010 n. 3126 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il TAR Lombardia-Milano ha annullato la D.G.R. 27.12.2007 n. 6420, limitatamente all'art. 3.2. dell'Allegato 1 (modello generale), relativa alla procedura per la Valutazione Ambientale di Piani e Programmi (denominata anche Valutazione Ambientale Strategica o VAS).
L
’individuazione dell’autorità competente per la VAS nell’ambito della stessa Amministrazione comunale tenuta all’approvazione del PGT è illegittima in quanto una struttura competente per la VAS completamente interna al Comune non offre sufficienti garanzie di imparzialità e terzietà nella valutazione ambientale, determinando una illegittima commistione fra funzioni di amministrazione attiva (approvazione PGT) e di controllo (valutazione ambientale), con la conseguenza di vanificare le finalità –previste dalla normativa comunitaria e da quella nazionale di attuazione– proprie della valutazione ambientale strategica.
Nel caso di specie il Comune di ..., in attuazione dell’art. 3.2 dell’allegato 1 alla delibera di Giunta del 27.12.2007, ha individuato l’autorità competente all’interno dello stesso Comune, scegliendo in particolare i Responsabili del Settore Urbanistica e del Settore Lavori Pubblici. Tale composizione dell’autorità competente, al di là di ogni valutazione sulla preparazione e sulla capacità professionale dei singoli operatori comunali, non appare in ogni caso rispettosa delle norme comunitarie e statali sopra riportate, in quanto appare assolutamente inidonea a garantire la necessaria imparzialità dell’autorità competente rispetto a quella procedente. Si aggiunga, inoltre, che il Responsabile del Settore Urbanistica del Comune, membro dell’autorità competente, risulta fra coloro che hanno contribuito alla predisposizione del documento di Piano, il che vale a rafforzare il convincimento del Collegio circa l’illegittimità della composizione dell’autorità competente, a causa dell’evidente commistione fra il ruolo di controllore e quello di controllato.
Nel secondo motivo, è denunciata la violazione, sotto molteplici profili, della normativa comunitaria, statale e regionale in materia di VAS (valutazione ambientale strategica) e a tale proposito l’esponente impugna, anche se solo in parte, la delibera di Giunta Regionale 27.12.2007 n. 8/6420 relativa alla procedura per la Valutazione Ambientale di Piani e Programmi (denominata anche Valutazione Ambientale Strategica o VAS).
Il Comune di ..., ai fini dell’obbligatoria sottoposizione del proprio PGT alla procedura di VAS, ha provveduto, con delibera di Giunta n. 38/2008 (doc. 6 del ricorrente), ad avviare il procedimento di valutazione ambientale strategica, individuando contestualmente la c.d. autorità competente per la VAS, costituta dal team composto da due dipendenti comunali, vale a dire il geom. ... ed il P.I.E. ..., rispettivamente Responsabile Settore Urbanistica e Sportello Unico Attività Produttive e Responsabile del Settore Lavori Pubblici.
Secondo il ricorrente, l’individuazione dell’autorità competente per la VAS nell’ambito della stessa Amministrazione comunale tenuta all’approvazione del PGT sarebbe illegittima, in quanto una struttura competente per la VAS completamente interna al Comune non offrirebbe sufficienti garanzie di imparzialità e terzietà nella valutazione ambientale, determinando una illegittima commistione fra funzioni di amministrazione attiva (approvazione PGT) e di controllo (valutazione ambientale), con la conseguenza di vanificare le finalità –previste dalla normativa comunitaria e da quella nazionale di attuazione– proprie della valutazione ambientale strategica.
Con riguardo a tale motivo, occorre dapprima evidenziare come sussista interesse ad agire in capo al ricorrente, visto che per effetto dell’accoglimento della censura sarebbe invalidato l’intero PGT, con obbligo per l’Amministrazione comunale di nuova adozione del Piano, nel rispetto però delle disposizioni in materia di VAS, sicché si configura in capo al geom. ... un interesse strumentale ad una riedizione del potere amministrativo, che potrebbe svolgersi in senso più favorevole al ricorrente (cfr. sul punto, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.01.2010, n. 188).
Preliminarmente, appaiono necessarie talune premesse relative alla valutazione ambientale strategica (VAS), alla luce della disciplina comunitaria e nazionale in materia.
La valutazione ambientale strategica è stata introdotta dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27.6.2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Lo scopo dichiarato della direttiva (art. 1), è quello di garantire un <<elevato livello di protezione dell’ambiente (...) all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile>>.
E’ stato peraltro notato, dalla dottrina, che l’istituto comunitario della VAS, unitamente a quello della valutazione di impatto ambientale-VIA, affonda le proprie radici in precedenti esperienze giuridiche statunitensi degli anni sessanta del secolo scorso ed anche in alcune iniziative delle Nazioni Unite per la protezione ambientale internazionale (si vedano a tale proposito i lavori della Commissione dell’ONU per l’ambiente e lo sviluppo, conclusi con il rapporto Brundtland del 1987, che enuncia per la prima volta il principio dello “Sviluppo Sostenibile”).
Tornando, ad ogni modo, alla disciplina comunitaria, si ricordi che la legge della Regione Lombardia n. 12/2005 sul governo del territorio, all’art. 4 (“Valutazione ambientale dei piani”), richiama espressamente la direttiva 2001/42/CE, rinviando a successive deliberazioni del Consiglio e della Giunta l’approvazione di indirizzi ed ulteriori adempimenti per la valutazione ambientale dei piani. In attuazione dell’art. 4 citato, il Consiglio Regionale ha approvato gli indirizzi generali per la valutazione suindicata, con deliberazione 13.03.2007 n. VIII/351, mentre con successiva delibera di Giunta 27.12.2007 n. 8/6420 è stata disciplinata la procedura per la VAS.
Lo Stato italiano ha dato compiuta attuazione alla direttiva 2001/42/CE con il decreto legislativo 16.01.2008 n. 4, quindi successivo alla regolamentazione regionale sopra richiamata.
Per effetto del citato decreto legislativo, è stata interamente riscritta la parte II del D.Lgs. 152/2006 (“Norme in materia ambientale”, c.d. Codice dell’ambiente) ed è stata dettata una specifica disciplina per la VAS agli articoli 4 e seguenti.
Tale disciplina è stata ritenuta costituzionalmente legittima ed espressione di potestà legislativa esclusiva statale, in quanto inerente alla materia della “tutela dell’ambiente”, che l’art. 117, comma 2°, lett. s), della Costituzione, riserva alla legislazione esclusiva dello Stato (cfr. Corte Costituzionale, 22.07.2009, n. 225).
L’art. 5, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 152/2006, definisce la VAS come valutazione ambientale di piani e programmi, comprendente lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l’elaborazione di un rapporto ambientale e la conseguente valutazione del piano o programma.
Nell’ambito della procedura di VAS, l’art. 5 distingue l’autorità competente (lettera p) dall’autorità procedente (lett. q); quest’ultima è definita come la pubblica amministrazione che elabora il piano o programma, mentre la prima è la pubblica amministrazione a cui compete l’attività di valutazione ambientale. Ai fini dell’individuazione dell’autorità competente, il successivo art. 7, comma 6°, ha cura di specificare che, in sede regionale, l’autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, valorizzazione e protezione ambientale.
Le ulteriori disposizioni sulla VAS contenute nel Codice dell’ambiente confermano, con chiarezza, la necessità di separazione fra le due differenti autorità –quella procedente e quella competente– il cui rapporto nell’ambito del procedimento di valutazione ambientale strategica appare tutto sommato dialettico, a conferma dell’intendimento del legislatore di affidare il ruolo di autorità competente ad un soggetto pubblico specializzato, in giustapposizione all’autorità procedente, coincidente invece con il soggetto pubblico che approva il piano (cfr., fra gli altri, art. 11, comma 2°; art. 12, comma 4°; artt. 13, 14 e 15).
Viene poi confermata l’assoluta obbligatorietà della VAS, tanto è vero che i provvedimenti amministrativi di approvazione di piani e programmi adottati senza la VAS, dove prescritta, <<sono annullabili per violazione di legge>> (art. 11, comma 5°).
Dall’esame della disciplina legislativa suindicata –di recepimento della direttiva 2001/42/CE– si giunge alla conclusione, secondo lo scrivente Tribunale, per cui, nella scelta dell’autorità competente, l’autorità procedente deve individuare soggetti pubblici che offrano idonee garanzie non solo di competenza tecnica e di specializzazione in materia di tutela ambientale, ma anche di imparzialità e di indipendenza rispetto all’autorità procedente, allo scopo di assolvere la funzione di valutazione ambientale nella maniera più obiettiva possibile, senza condizionamenti –anche indiretti– da parte dell’autorità procedente.
Qualora quest’ultima, infatti, individuasse l’autorità competente esclusivamente fra soggetti collocati al proprio interno, legati magari da vincoli di subordinazione gerarchica rispetto agli organi politici o amministrativi di governo dell’Amministrazione, il ruolo di verifica ambientale finirebbe per perdere ogni efficacia, risolvendosi in un semplice passaggio burocratico interno, con il rischio tutt’altro che remoto di vanificare la finalità della disciplina sulla VAS e di conseguenza di pregiudicare la corretta applicazione delle norme comunitarie, frustrando così gli scopi perseguiti dalla Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE, come quello di salvaguardia e promozione dello “sviluppo sostenibile”, espressamente enunciato all’art. 1 della direttiva, come già sopra evidenziato (si ricordi che lo “sviluppo sostenibile” costituisce uno degli scopi dell’Unione Europea, espressamente enunciato all’art. 3, comma 3°, del Trattato dell’Unione Europea in vigore dal 01.12.2009).
A tale proposito, pare utile al Collegio rammentare l’obbligo del giudice nazionale di interpretare il diritto interno alla luce di quello comunitario (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sez. VI, 03.09.2009 n. 5197 e TAR Piemonte, sez. I, 05.06.2009, n. 1563), in modo da garantire il c.d. “primato” di quest’ultimo sugli ordinamenti difformi degli Stati membri (sul “primato” del diritto comunitario, si veda Corte di Giustizia CE, sez. III, 19.11.2009 n. 314).
Nel caso di specie il Comune di ..., in attuazione dell’art. 3.2 dell’allegato 1 alla delibera di Giunta del 27.12.2007, ha individuato l’autorità competente all’interno dello stesso Comune, scegliendo in particolare i Responsabili del Settore Urbanistica e del Settore Lavori Pubblici.
Tale composizione dell’autorità competente, al di là di ogni valutazione sulla preparazione e sulla capacità professionale dei singoli operatori comunali, non appare in ogni caso rispettosa delle norme comunitarie e statali sopra riportate, in quanto appare assolutamente inidonea a garantire la necessaria imparzialità dell’autorità competente rispetto a quella procedente.
Si aggiunga, inoltre, che il Responsabile del Settore Urbanistica del Comune, membro dell’autorità competente, risulta fra coloro che hanno contribuito alla predisposizione del documento di Piano, il che vale a rafforzare il convincimento del Collegio circa l’illegittimità della composizione dell’autorità competente, a causa dell’evidente commistione fra il ruolo di controllore e quello di controllato.
Sono quindi illegittimi sia il provvedimento comunale di designazione dell’autorità competente sia quello regionale ivi impugnato, che prevede la composizione della suddetta autorità con soggetti scelti all’interno della differente autorità procedente.
L’illegittimità della delibera regionale del 2007 non è esclusa neppure dalla lettura della legislazione regionale in materia, vale a dire l’art. 4 della L.R. 12/2005. L’articolo si limita, infatti, sotto il profilo dell’individuazione dell’autorità competente, a rinviare a successive deliberazioni del Consiglio o della Giunta Regionale, senza però altro dire. Si aggiunga –e si perdoni l’ovvietà– che in materia di VAS la Regione è in ogni caso rigidamente subordinata alla disciplina comunitaria, sicché non appare certo possibile per l’Ente regionale introdurre deroghe alla medesima.
Peraltro, la stessa Regione Lombardia non pare essere stata sempre coerente con la propria delibera del 27.12.2007, tenuto conto che, con parere espresso dalla Struttura Valutazione Ambientale Strategica e Programmazione Negoziata con nota del 06.04.2009 n. 6818, indirizzato al Comune di Campodolcino, la citata Struttura regionale escludeva che il Sindaco potesse assumere il ruolo di autorità competente, allorché l’autorità procedente era stata individuata nell’Amministrazione comunale.
Nel parere si ricorda il principio, desumibile dal D.Lgs. 4/2008 e assolutamente condiviso dallo scrivente Collegio, della separazione dell’autorità competente rispetto a quella procedente e, con riguardo alla prima, della necessità di un suo sufficiente grado di autonomia e di competenza in materia di ambiente e sviluppo sostenibile (cfr. il parere regionale, doc. 9 del ricorrente).
Ciò premesso, il motivo n. 2 del ricorso principale appare suscettibile di accoglimento, con conseguente annullamento non solo –seppure in parte qua – della delibera regionale impugnata, ma anche della delibera di Giunta Comunale n. 38/2008 di istituzione dell’autorità competente in materia di VAS e delle deliberazioni consiliari n. 12 e n. 13 del 2009, recanti approvazione di un PGT viziato nella sua totalità per l’illegittimità della procedura di VAS, come sopra indicato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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In merito alla citata sentenza, si legga la nota 25.05.2010 n. 344 di prot. dell'ANCI Lombardia.

URBANISTICA: PGT - VAS - Autorità competente - Autorità procedente - Distinzione - Art. 5, lett. p e q - Necessità di separazione.
Nell’ambito della procedura di VAS, l’art. 5 del d.lgs. n. 152/2006 distingue l’autorità competente (lettera p) dall’autorità procedente (lett. q); quest’ultima è definita come la pubblica amministrazione che elabora il piano o programma, mentre la prima è la pubblica amministrazione a cui compete l’attività di valutazione ambientale.
Ai fini dell’individuazione dell’autorità competente, il successivo art. 7, comma 6°, ha cura di specificare che, in sede regionale, l’autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, valorizzazione e protezione ambientale.
Le ulteriori disposizioni sulla VAS contenute nel Codice dell’ambiente confermano, con chiarezza, la necessità di separazione fra le due differenti autorità -quella procedente e quella competente- il cui rapporto nell’ambito del procedimento di valutazione ambientale strategica appare tutto sommato dialettico, a conferma dell’intendimento del legislatore di affidare il ruolo di autorità competente ad un soggetto pubblico specializzato, in giustapposizione all’autorità procedente, coincidente invece con il soggetto pubblico che approva il piano (cfr., fra gli altri, art. 11, comma 2°; art. 12, comma 4°; artt. 13, 14 e 15).
PGT - VAS - Obbligatorietà della VAS - Art. 11, c. 5, d.lgs. n. 152/2006 - Piani e programmi adottati senza la VAS - Annullabilità per violazione di legge.
L’art. 11, c. 5, del d.lgs. n. 152/2006 conferma l’assoluta obbligatorietà della VAS, tanto è vero che i provvedimenti amministrativi di approvazione di piani e programmi adottati senza la VAS, dove prescritta, <<sono annullabili per violazione di legge>>.
PGT - VAS - Autorità procedente - Scelta dell’autorità competente - Requisiti - Competenza tecnica e specializzazione - Imparzialità e indipendenza - Individuazione dell’autorità competente tra soggetti collocati all’interno dell’autorità procedente, legati da vincoli di subordinazione gerarchica - Illegittimità - Ragioni.
Nella scelta dell’autorità competente all’elaborazione della VAS, l’autorità procedente deve individuare soggetti pubblici che offrano idonee garanzie non solo di competenza tecnica e di specializzazione in materia di tutela ambientale, ma anche di imparzialità e di indipendenza rispetto alla stessa autorità procedente, allo scopo di assolvere la funzione di valutazione ambientale nella maniera più obiettiva possibile, senza condizionamenti -anche indiretti- da parte dell’autorità procedente.
Qualora quest’ultima, infatti, individuasse l’autorità competente esclusivamente fra soggetti collocati al proprio interno, legati magari da vincoli di subordinazione gerarchica rispetto agli organi politici o amministrativi di governo dell’Amministrazione, il ruolo di verifica ambientale finirebbe per perdere ogni efficacia, risolvendosi in un semplice passaggio burocratico interno, con il rischio tutt’altro che remoto di vanificare la finalità della disciplina sulla VAS e di conseguenza di pregiudicare la corretta applicazione delle norme comunitarie, frustrando così gli scopi perseguiti dalla Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Nel caso di piano urbanistici, qualora l’intervento in consiglio comunale dell’amministratore in conflitto di interessi non abbia avuto alcun effetto sul regime giuridico delle aree dell’esponente, non esiste interesse di quest’ultimo alla denuncia della violazione dell’art. 78, visto che l’eventuale accoglimento del gravame avrebbe conseguenze soltanto su fondi non di proprietà del ricorrente, che non vedrebbe pertanto mutato il regime giuridico dei propri immobili.
L’art. 78 del D.Lgs. 267/2000, al comma 4° prevede, nel caso di piani urbanistici per i quali si sia verificata l’ipotesi di cui al comma 2° del medesimo articolo (vale a dire un conflitto di interessi, come sopra riportato), che siano annullate le sole parti dello strumento urbanistico per le quali sia stata accertata la correlazione fra il contenuto del medesimo e gli specifici interessi dell’amministratore pubblico e dei suoi parenti.
La disposizione del menzionato comma quarto è intesa, dalla più recente giurisprudenza, nel senso che l’eventuale conflitto di interesse dell’amministratore, quand’anche accertato, non travolge l’intero piano urbanistico ma solo le parti ritenute per così dire “collegate” all’interesse personale dell’amministratore medesimo, secondo il noto brocardo “utile per inutile non vitiatur”.
Di conseguenza, il proprietario di aree comprese nello strumento urbanistico ha interesse a denunciare la violazione dell’art. 78 citato, laddove provi che l’interesse personale del consigliere, che avrebbe dovuto imporre a quest’ultimo l’astensione, ha arrecato un diretto pregiudizio anche ai propri fondi.
In caso contrario, qualora l’intervento in consiglio dell’amministratore in conflitto di interessi non abbia avuto alcun effetto sul regime giuridico delle aree dell’esponente, non esiste interesse di quest’ultimo alla denuncia della violazione dell’art. 78, visto che l’eventuale accoglimento del gravame avrebbe conseguenze soltanto su fondi non di proprietà del ricorrente, che non vedrebbe pertanto mutato il regime giuridico dei propri immobili (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 08.07.2009 n. 1461 e Consiglio di Stato, sez. V, 12.06.2009 n. 3744)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Piani urbanistici - Ipotesi di conflitto di interesse - Art. 78 d.lgs. n. 267/2000 - Principio dell’”utile per inutile non vitiatur” - Proprietario di aree comprese nello strumento urbanistico - Interesse a denunciare la violazione dell’art. 78 - Presupposti.
L’art. 78 del D.Lgs. 267/2000, al comma 4° prevede, nel caso di piani urbanistici per i quali si sia verificata un’ipotesi di conflitto d’interesse, che siano annullate le sole parti dello strumento urbanistico per le quali sia stata accertata la correlazione fra il contenuto del medesimo e gli specifici interessi dell’amministratore pubblico e dei suoi parenti.
La disposizione è intesa, dalla più recente giurisprudenza, nel senso che l’eventuale conflitto di interesse dell’amministratore, quand’anche accertato, non travolge l’intero piano urbanistico ma solo le parti ritenute per così dire “collegate” all’interesse personale dell’amministratore medesimo, secondo il noto brocardo “utile per inutile non vitiatur”.
Di conseguenza, il proprietario di aree comprese nello strumento urbanistico ha interesse a denunciare la violazione dell’art. 78 citato, laddove provi che l’interesse personale del consigliere, che avrebbe dovuto imporre a quest’ultimo l’astensione, ha arrecato un diretto pregiudizio anche ai propri fondi (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 08.07.2009 n. 1461 e Consiglio di Stato, sez. V, 12.06.2009 n. 3744) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Deliberazione del consiglio comunale - Errore di verbalizzazione - Correzione - Nuove deliberazione consiliare - Appunti manoscritti dei consiglieri interessati - Insufficienza.
L’eventuale errore di verbalizzazione di un deliberazione del consiglio comunale deve essere corretto attraverso una nuova deliberazione dello stesso organo, non potendosi ammettere, pena la perdita di ogni valore di certezza giuridica proprio dell’atto pubblico, che il verbale possa essere integrato o addirittura smentito attraverso semplici dichiarazioni dei soggetti interessati o mediante appunti manoscritti di questi ultimi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: I proprietari delle aree comprese nel Piano Regolatore Generale (ma tale conclusione vale senza dubbio anche per il PGT, quale strumento urbanistico generale), non sono qualificabili come controinteressati al momento dell’impugnazione del Piano stesso né risultano tali le altre persone indicate in ricorso, visto che l’eventuale accoglimento di quest’ultimo non determinerebbe alcuna diretta ed immediata lesione della loro sfera giuridica, non essendo del resto sufficiente la semplice menzione di un soggetto nel provvedimento impugnato o nel ricorso, per fare assurgere al medesimo il ruolo di controinteressato.
Secondo pacifica giurisprudenza, i proprietari delle aree comprese nel Piano Regolatore Generale (ma tale conclusione vale senza dubbio anche per il PGT, quale strumento urbanistico generale), non sono qualificabili come controinteressati al momento dell’impugnazione del Piano stesso (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 02.03.2010 n. 1184 e sez. IV, 30.09.2008 n. 4712), né risultano tali le altre persone indicate in ricorso, visto che l’eventuale accoglimento di quest’ultimo non determinerebbe alcuna diretta ed immediata lesione della loro sfera giuridica, non essendo del resto sufficiente la semplice menzione di un soggetto nel provvedimento impugnato o nel ricorso, per fare assurgere al medesimo il ruolo di controinteressato (si veda a tale proposito, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 11.12.2007, n. 2004) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 25.05.2010

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CONVEGNI

Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Bergamo per martedì 08.06.2010 co-organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni ivi riportate.

Bottone "CONVEGNI" n. 1 convegno a Bergamo per giovedì 27.05.2010 organizzato dagli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri di Bergamo e rivolto, anche, ai Tecnici della Pubblica Amministrazione addetti ai ll.pp..

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Appalto, Responsabilità solidale e DURC: i chiarimenti del ministero dell’INPS.
Il Ministero del Lavoro, con l'interpello n. 3 del 02.04.2010 ha fornito alcune precisazioni sulla responsabilità solidale tra committente e appaltatore nonché tra appaltatore e subappaltatore, prevista dal D.Lgs. 273/2006 e dal D.L. 223/2006.
In quella occasione il Ministero ha chiarito che l'impresa solidalmente responsabile (ai sensi delle normativa citate) con un'altra impresa, irregolare dal punto di vista contributivo e previdenziale, ha diritto al rilascio del DURC. Il rapporto di solidarietà, infatti, non può inficiare il rapporto assicurativo e previdenziale che c'è tra l'impresa richiedente il Durc e gli istituti di riferimento per i propri dipendenti.
L’Inps, con il messaggio 12091/2010 ha fornito alcuni chiarimenti operativi.
In particolare, l’Inps ha precisato che il DURC positivo rilasciato all'impresa solidalmente responsabile con un'altra impresa (non regolare) dovrà riportare, nelle annotazioni, la denominazione sociale, il numero di posizione contributiva dell’azienda con la quale l'impresa risulta essere responsabile in solido, nonché anche l`ammontare della sorte contributiva dovuta a titolo di solidarietà (link a www.acca.it).

VARI: Dal 1° luglio 2010 tariffazione Bioraria dell'elettricità per tutti.
L'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (AEEG), con la delibera 25.02.2010 - ARG/elt 22/10, ha stabilito che dal 1° luglio 2010 verranno gradualmente introdotti prezzi biorari, cioè differenziati a seconda dei diversi momenti della giornata e dei giorni della settimana in cui si utilizza l'elettricità.
La cosiddetta “Bioraria”, che ad oggi esiste come possibilità di scelta per gli utenti, dal 1° luglio sarà automaticamente applicata a tutti coloro che hanno un contratto di fornitura di energia elettrica alle condizioni stabilite dall'Autorità ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA CANTIERI: Il ruolo e le responsabilità del coordinatore della sicurezza.
Sul sito della Direzione Provinciale del Lavoro di Modena è stato pubblicato un approfondimento, a firma dell’ing. M. Grandi, sulla figura e sulle responsabilità del Coordinatore della Sicurezza, dal titolo “IL COORDINATORE DEUS EX MACHINA DELLA SICUREZZA NEI CANTIERI?”.
L’approfondimento muove dalle recenti sentenze della cassazione penale (Sez. 4, 08.08.2010, n. 13236 e Sez. 4, 31.03.2010, n. 12596) che hanno confermato ancora una volta le responsabilità dei coordinatori per la sicurezza, a seguito di infortuni mortali occorsi a lavoratori operanti nei cantieri edili ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dalla Protezione Civile le Linee Guida per la progettazione degli interventi di rinforzo degli “edifici in aggregato.
Sono disponibili on line le “Linee Guida per il rilievo, l’analisi ed il progetto di interventi di riparazione e rafforzamento/miglioramento di edifici in aggregato”.
Le Linee Guida intendono fornire un quadro sistematico della metodologia e degli strumenti operativi per il rilievo, la diagnostica, la scelta degli interventi e la redazione finale del progetto di intervento su edifici in aggregato.
Avendo come oggetto l’edilizia in aggregato, le Linee Guida vedono, pertanto, come campo di applicazione principale il costruito dei centri storici. Questi ultimi, sviluppatisi e configuratisi nel tempo, secondo processi di accrescimento per lo più spontaneo, sono caratterizzati da edifici prevalentemente in muratura, ove la coesistenza di diverse e successive stratificazioni e modificazioni, talvolta incongrue, ha comportato l’insorgenza di specifici fattori di vulnerabilità sismica ... (link a www.acca.it).

VARI: La Guida alla valutazione del rischio chimico.
Il titolo IX del D.Lgs. 81/2008 come modificato dal D.Lgs. 106/2009 richiede di effettuare la valutazione del rischio chimico in ogni attività che utilizzi sostanze o preparati pericolosi per la salute e per la sicurezza.
La valutazione è un obbligo del datore di lavoro nella cui attività vengono utilizzati agenti chimici pericolosi a qualunque scopo. Il datore di lavoro deve effettuare la valutazione del rischio chimico in modo preventivo all’inizio dell’attività che comportino l’uso di agenti chimici pericolosi.
La valutazione del rischio chimico deve essere effettuata secondo i criteri dell’art. 223 del D.Lgs. 81/2008 ... (link a www.acca.it).

SINDACATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: EE.LL.: finanziamento delle risorse decentrate (CGIL-FP di Bergamo, nota 20.05.2010).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 21 del 24.05.2010, "Determinazione delle modalità per la predisposizione del piano degli interventi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici situati in zone soggette a rischio sismico - Fondi annualità 2009 (Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3864 del 31.03.2010)" (deliberazione G.R. 18.05.2010 n. 29 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 21.05.2010 n. 117 "Misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l’assegnazione di quote di emissione di CO2" (D.L. 20.05.2010 n. 72).

APPALTI: G.U. 17.05.2010 n. 113 "Regolamento sulla istruttoria dei quesiti giuridici" (Autorità per la Vigilanza su Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, provvedimento 04.05.2010).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: R. De Nictolis, Il recepimento della direttiva ricorsi (link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Bertuzzi, RAEE. La semplificazione degli adempimenti ambientali (DM 65/2010) (link a www.tuttoambiente.it).

LAVORI PUBBLICI: L. Lo Biundo, Collaudo di lavori pubblici (link a www.diritto.it).

APPALTI: Illegittima l’esclusione per omessa comunicazione dell’avvenuto versamento del contributo all’AVCP (link a www.mediagraphic.it).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Procedimento edilizio relativo ad una fattispecie di recupero edilizio in presenza di abusi.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente in ordine alla legittima definizione di un procedimento edilizio relativo ad una fattispecie complessa caratterizzata dalla possibilità di recupero di “tettoie in muratura chiuse su tre lati” in presenza di abusi edilizi (Regione Piemonte, parere n. 31/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Variante in corso d’opera con permesso di costruire. L. 47/1985 – D.P.R. 380/2001.
Si chiede un parere in merito alle varianti in corso d’opera a permesso di costruire, già previste dall’art. 15 della L. 47/1985 ed oggi disciplinate dall’art. 22, c. 2, DPR 380/2001 (Regione Piemonte, parere n. 30/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALI: Obbligatorietà del servizio di trasporto alunni. Scuola primaria e scuola media.
Il Comune di (omissis) ha proposto un quesito in merito alla obbligatorietà del servizio di trasporto alunni della scuola Primaria e Media sul proprio territorio (Regione Piemonte, parere n. 29/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

APPALTI SERVIZI: Bando di gara per l’affidamento di gestione bar in complesso sportivo comunale.
Viene richiesto a questo Servizio un parere in ordine all’affidamento della gestione di un bar ubicato in un complesso sportivo comunale (Regione Piemonte, parere n. 23/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sanzioni amministrative-pecuniarie (D.P.R. 380/2001 – L. 689/1981).
È posto il quesito se alle sanzioni amministrative pecuniarie comminate ai sensi del Testo unico in materia Edilizia (D.P.R. 380/2001) sia applicabile il pagamento in misura ridotta regolato dalla Legge 689/1981 (Regione Piemonte, parere n. 21/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Applicazione P.R.G.C. in tema di distanze.
Viene richiesto parere al Servizio scrivente in ordine all’interpretazione ed all’applicazione di situazioni –talora presenti nei Piani Regolatori Generali dei Comuni piemontesi– in tema di distanze.
Si tratta di stabilire quale sia la distanza dal confine di proprietà da mantenere nel caso di ampliamenti e nuove costruzioni, nel silenzio della norma sul punto, ed in presenza di disposizioni che disciplinano solamente il cd. indice di visuale libera richiamando poi quanto stabilito dal Codice Civile.
Il Comune elenca quindi una serie di casi e chiede al servizio di consulenza di valutare la correttezza delle soluzioni proposte (Regione Piemonte, parere n. 18/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi edilizi nelle zone qualificate come “centro storico”. L.R. 13/2007 – D. Lgs. 115/2008.
E’ chiesto parere in merito all’applicabilità della normativa, in materia di rendimento ed efficienza energetica nell’edilizia, di cui alla L.R. n. 13/2007 ed al D.Lgs. n. 115/2008 nel caso di interventi edilizi nelle zone qualificate quale “centro storico” del Comune (Regione Piemonte, parere n. 17/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistica. Compiti commissione locale paesaggio.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente in ordine all'oggetto di una domanda di autorizzazione paesaggistica e ai compiti della Commissione Locale per il Paesaggio (Regione Piemonte, parere n. 14/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia attuata con demolizione e ricostruzione.
Onerosità Si chiede parere in merito all’onerosità –ovvero all’eventuale gratuità– di un intervento di ristrutturazione edilizia da attuarsi mediante demolizione e ricostruzione di un fabbricato preesistente (Regione Piemonte, parere n. 1/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di una sala cinematografica è esente dal versamento degli oo.uu..
L'art. 20, commi 7 e 8, del D.L. 14.01.1994 n. 26, convertito in legge 01.03.1994 n. 153, è chiaro nel senso che “ai fini del rilascio delle concessioni edilizie, la volumetria necessaria per la realizzazione di sale cinematografiche non concorre alla determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli oneri di concessione”.
Pertanto non soltanto nelle due ipotesi previste (ripristino e trasformazione), secondo parte appellante, dalla delibera regionale, ma nella fattispecie principale –della costruzione della multisala cinematografica- non concorre (vi è esenzione) al calcolo della volumetria complessiva per il calcolo degli oneri di concessione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.05.2010 n. 3229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Siti di interesse nazionale - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006 - Attività di competenza del Ministro dell’Ambiente - Atti facenti capo al Ministero - Individuazione dei siti di interesse nazionale - Decreto di recepimento della Conferenza di Servizi.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 distingue tra atti ed attività di competenza del Ministro dell’Ambiente ed atti e attività facenti capo al Ministero. Rientra ad es. tra i primi l’individuazione, ai fini della bonifica, dei siti di interesse nazionale (art. 252, c. 2), dovendo la suddetta individuazione reputarsi atto attinente all’indirizzo politico-amministrativo in materia di bonifica.
La rilevanza politica di un tale atto risulta, del resto, confermata dalla necessità dell’intesa con le Regioni interessate, prescritta, per l’appunto, dal comma 2 dell’art. 252.
Si deve invece reputare che il decreto di recepimento della Conferenza di Servizi costituisca un mero atto di gestione, di competenza dirigenziale e non del Ministro, atteso che esso certamente non concerne le scelte di fondo che la P.A. è chiamata a compiere nel settore in, avendo invece ad oggetto la prescrizione di un singolo intervento.
INQUINAMENTO - Siti di interesse nazionale - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006 - Individuazione delle competenze - Intervento di messa in sicurezza di emergenza - Ministero.
L’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152 cit. attribuisce la competenza per i procedimenti di bonifica di cui al precedente art. 242, qualora abbiano ad oggetto i siti di interesse nazionale, “alla competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio”.
Se l’attribuzione delle relative competenze al “Ministero” (e non al Ministro, salve le tassative eccezioni) vale per gli atti del procedimento di bonifica, a fortiori essa deve valere per il decreto di recepimento della conferenza di servizi, avente ad oggetto un intervento di messa in sicurezza d’emergenza che investe una fase prodromica rispetto alla bonifica, e comunque non in grado di determinare il definitivo riassetto del sito (v. art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit.).
INQUINAMENTO - Siti di interesse nazionale - Atti del procedimento di bonifica - Competenza tecnico-gestionale degli organi esecutivi - Art. 4, c. 3 d.lgs. n. 165/2001- Generale principio di distinzione tra attività di governo e attività di gestione.
Gli atti del procedimento di bonifica dei siti di interesse nazionale, compresi quelli conclusivi, rientrano nella competenza tecnico-gestionale degli organi esecutivi (dirigenti), in quanto non contengono elementi di indirizzo politico-amministrativo che possano attrarre detta competenza nella sfera riservata agli organi di governo. Ciò, in base al generale principio di distinzione tra attività di governo ed attività di gestione, che presiede l’organizzazione ed il funzionamento delle P.A., alla luce anche dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001, secondo il quale le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 09.10.2009, n. 1738; TAR Toscana, Sez. II, 16.10.2008, n. 2287).
INQUINAMENTO - Siti di interesse nazionale - Bonifica - Art. 252, c. 4 d.lgs. n. 152/2006 - Procedimento - Concerto con il Ministero dello Sviluppo economico - Necessità - Esclusione.
Il concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico non è richiesto dall’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006: vi è assoluta coerenza tra la necessità dell’intesa con le Regioni nel procedimento di cui al comma 1 dell’art. 252 e l’assenza di una tale intesa o concerto nella disciplina di cui al successivo comma 4 (il quale si limita a chiedere che sia sentito il Ministero dello Sviluppo Economico).
Nel primo caso si tratta infatti di un procedimento (l’individuazione dei siti di bonifica di interesse nazionale) che attiene all’indirizzo politico-amministrativo, mentre negli altri casi si tratta di procedimenti preordinati all’adozione di atti di gestione, che proprio per detta ragione non necessitano del previo concerto a livello di vertice politico dei rispettivi apparati.
INQUINAMENTO - Bonifica - Conferenza di servizi - Intese e concerti ex art. 252 d.lgs. n. 152/2006 - Acquisizione all’interno della conferenza di servizi.
Nel modulo procedimentale della Conferenza di Servizi, i pareri, le intese ed i concerti di cui all’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 ed all’art. 15, comma 4, del d.m. n. 471/1999 possono ben essere acquisiti all’interno della Conferenza stessa, senza che poi, in sede di emanazione del provvedimento finale, si debba provvedere ad una nuova acquisizione (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, nn. 319/2009, cit. e 1738/2009, cit.).
INQUINAMENTO - Misure urgenti e definitive - Adozione - Responsabile dell’inquinamento - Proprietario incolpevole - Principio “chi inquina paga”.
Tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., ex multis, TAR Toscana, Sez. II, 17.04.2009, n. 665; id., 06.05.2009; nello stesso senso, TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 26.07.2007, n. 1254).
L’Amministrazione non può, cioè, imporre ai soggetti che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, TAR Veneto, Sez. II, 02.02.2002, n. 320).
L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
INQUINAMENTO - Principio “chi inquina paga” - Applicabilità alle misure di messa in sicurezza d’emergenza - Fondamento - Artt. 240 e ss. d.lgs. n. 152/2006.
Il principio “chi inquina, paga” vale, oltre che per le misure di bonifica, anche per le misure di messa in sicurezza d’emergenza, secondo la definizione che delle misure stesse è contenuta nell’art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152/2006 (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente).
Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152/2006).
INQUINAMENTO - Opere di recupero ambientale - Esecuzione d’ufficio - Rivalsa nei confronti del soggetto responsabile - Mancata individuazione - Esercizio delle garanzie gravanti sul terreno inquinato.
Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso -e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati- le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 10.07.2007, n. 5355; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2009, n. 1448).
INQUINAMENTO - Bonifica - Imposizione del barrieramento fisico - Analisi comparativa tra le diverse alternative. La P.A. è tenuta a valutare ed accertare non solo l’inefficacia di misure meno invasive della barriera fisica, ma anche l’effettiva necessità, efficacia e realizzabilità del sistema di contenimento fisico.
Pertanto, l’opzione per detto sistema, ovvero per un utilizzo combinato delle differenti tipologie di intervento, può legittimamente avere luogo soltanto all’esito di un’analisi comparativa tra le diverse alternative, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’area (TAR Lecce, Sez. I, n. 2247/2007, TAR Toscana, Sez. II, 14.10.2009, n. 1540; id., 18.12.2009, n. 3973).
In sintesi, detta analisi deve implicare la valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi delle differenti opzioni sul campo, con necessaria precisazione, da parte della P.A., non solo dei vantaggi effettivi connessi alla realizzazione della barriera fisica, ma anche della comparazione con i relativi svantaggi, fornendo la prova di aver adeguatamente valutato questi ultimi.
INQUINAMENTO - Barriera di contenimento fisico - Configurazione quale messa in sicurezza d’emergenza - Illegittimità - Natura di messa in sicurezza permanente.
La prescrizione di una misura avente natura di messa in sicurezza permanente, se non di vera e propria bonifica, è illegittimamente configurata quale messa in sicurezza d’emergenza.
Il richiamo all’esigenza di intervenire in via d’urgenza risulta infatti logicamente incompatibile con la prescrizione di un intervento, quale -nella specie- la barriera di contenimento fisico, la cui realizzazione e messa in opera richiede tempi verosimilmente lunghi, i quali ne palesano l’inidoneità sotto i profili dell’adeguatezza e della proporzionalità al conseguimento dello scopo (TAR Toscana, Sez. II, 14.10.2009, n. 1540; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, n. 2247/2007) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 19.05.2010 n. 1525 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: E' illegittima la costituzione da parte di una azienda sanitaria di una società interamente pubblica a cui è stata affidato in house lo svolgimento del servizio di pulizia ed ausiliariato presso le strutture ed i presidi di zona.
Il servizio di pulizia degli uffici e dei presidi ospedalieri non può essere considerato "strettamente necessario" al perseguimento delle finalità istituzionali dell'azienda sanitaria locale. La pulizia quotidiana dei locali è infatti strumentale al buon andamento di qualsivoglia ente o ufficio pubblico, nell'interesse di coloro che ivi lavorano e degli utenti che vi si recano, ai quali viene garantito il mantenimento di un ambiente salubre. I servizi di pulizie sono intrinsecamente comuni e generici, strumentali all'esercizio di qualunque attività pubblica o privata, erogabili da qualsiasi soggetto ed a favore di chiunque.
Il loro affidamento costituisce un appalto di servizi ed è soggetto alle regole dettate dal Codice dei contratti pubblici e dalle direttive comunitarie in materia di appalti, improntate alla tutela della concorrenza ed alla massima apertura dei mercati. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 3, c. 27, della l. n. 244 del 2007, è illegittima la costituzione da parte della Azienda sanitaria locale di una società interamente pubblica a cui è stata affidato, senza esperimento di gara, lo svolgimento del servizio di pulizia ed ausiliariato presso le strutture ed i presidi di zona, che resta in tal modo sottratto al mercato per gli anni a venire (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 17.05.2010 n. 1898 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Concorrenti dotate di certificazione di qualità - Riduzione della cauzione provvisoria - Presupposto - Corrispondenza tra la categoria prevalente dei lavori e quella a cui si riferisce la certificazione.
La facoltà di dimezzare la cauzione provvisoria, concessa alle concorrenti dotate di certificazione di qualità è giustificata dalla maggiore affidabilità strutturale ed operativa dell'impresa.
E’ pertanto necessario che tale requisito sia posseduto con riferimento all'oggetto specifico dell'appalto: deve ciò esservi corrispondenza tra la categoria prevalente dei lavori posti in gara e quella a cui si riferisce la certificazione di qualità (da ultimo, TAR Puglia Bari, sez. I, 03.06.2009, n. 1379 e già, perspicuamente, TAR Campania Napoli, sez. I, 28.06.2005, n. 8841) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 6538 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Associazione per cooptazione - Evenienza ordinaria contemplata dalla disciplina di riferimento.
In tema di appalti di lavori, la cd. associazione per cooptazione va ritenuta “evenienza positivamente contemplata dalla disciplina di riferimento”, che, come tale, “non esonda dai canoni di ordinarietà” (TAR Lazio Roma, sez. III, 11.11.2009, n. 11084).
Principio di unicità dell’impresa ausiliaria - Art. 49, c. 6 d.lgs. n. 163/2006 - Interpretazione.
L’art. 49, 6° comma d.lgs. 163/2006 (nella specie, nella sua rigida formulazione antecedente al successivo temperamento apportato con il d.lgs. n. 152 del 2008, inapplicabile ratione temporis acti) va semplicemente inteso , (in conformità al non contrastato orientamento giurisprudenziale e al diffuso intendimento dottrinario, fondato sul non equivoco tenore testuale della disposizione non meno che sulla ratio legis, intesa ad evitare l’eccessivo frazionamento dei requisiti e la consequenziale parcellizzazione delle reponsabilità: cfr., da ultimo, TAR Piemonte Torino, sez. I, 30.03.2009, n. 837) nel senso di vietare non già il ricorso ad un’unica ausiliaria per più di una categoria di qualificazione, sibbene il ricorso a più ausiliarie per un’unica categoria di qualificazione (c.d. divieto di avvalimento o -si paret - principio di unicità dell’impresa ausiliaria).
Disciplina di gara - Dichiarazione di sopralluogo - Finalità - Garanzia in favore dell’amministrazione.
Con riferimento alle clausole della disciplina di gara che prevedono apposite dichiarazioni dei concorrenti di aver visitato i luoghi di esecuzione dei lavori o dei servizi e di aver preso conoscenza delle condizioni locali che possono incidere sulla determinazione dei prezzi e delle condizioni contrattuali (già prevista, per i lavori pubblici, l’art. 1 d.p.r. 16.07.1962 n. 1063), la giurisprudenza esattamente distingue tra dichiarazione di sopralluogo a cura del partecipante e verbale di sopralluogo a cura della stazione appaltante, considerando generalmente sufficiente ai fini dell'ammissione alla gara la dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui esso sia stato eseguito, a meno che non sia espressamente richiesto anche uno specifico verbale di sopralluogo sulle relativa modalità (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 06.02.2001, n. 3063; Id., sez. V., 09.05.2000, n. 2668 e Id., sez. V, 30.06.2003, n. 2668); d’altra parte, la funzione della ridetta dichiarazione è unicamente quella di precludere all'appaltatore contestazioni basate sull'asserita mancata conoscenza dei luoghi e di ridurre al minimo le possibilità di modifiche contrattuali in sede di esecuzione, per cui l’onere posto a carico dell'impresa di visitare i luoghi dell'appalto prima di formulare la propria offerta è posto essenzialmente a garanzia dell'Amministrazione, garanzia che tale dichiarazione comunque viene ad assolvere anche nell'ipotesi cui l'impresa non avesse effettivamente preso visione delle condizioni locali dell'appalto per sua libera scelta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 07.07.2005, n. 3729) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 6537 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il rilascio del nulla osta edilizio in area soggetta a vincolo paesistico (ndr: autorizzazione paesaggistica) non può prescindere da un’adeguata motivazione.
Anche i provvedimenti amministrativi aventi effetti positivi, cioè ampliativi della sfera giuridica dei destinatari "devono basarsi su un'idonea motivazione, giacché l'indicazione delle ragioni su cui si fondano gli stessi agevola l'attuazione del principio costituzionale del buon andamento dell'azione amministrativa; a maggior ragione tale esigenza di adeguata motivazione deve essere rispettata nell'ipotesi di nulla osta edilizio in area soggetta a vincolo paesistico, attesa la tendenziale irreversibilità dell'alterazione dello stato dei luoghi ai fini dell'adeguata gestione dei vincoli paesistici.

Il potere della Soprintendenza si limita ad una verifica di mera legittimità del provvedimento autorizzatorio comunale. Tuttavia esso si estende ad ogni profilo di illegittimità ivi compreso l’eccesso di potere e la carenza di motivazione essendo ad essa assegnata una funzione di estrema difesa del vincolo allorché il provvedimento ne travalichi i limiti intrinseci. Infatti, la funzione dell’autorizzazione comunale è proprio quella di verificare la compatibilità dell’opera con le esigenze di conservazione dell’ambiente tutelato e non quella di consentire una oggettiva deroga al vincolo stesso (cfr. tra le tante Cons. Stato, Ad. Plen. 14.12.2001, n. 9).
Come riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa proprio con specifico riferimento alla materia di cui si controverte, anche i provvedimenti amministrativi aventi effetti positivi, cioè ampliativi della sfera giuridica dei destinatari "devono basarsi su un'idonea motivazione, giacché l'indicazione delle ragioni su cui si fondano gli stessi agevola l'attuazione del principio costituzionale del buon andamento dell'azione amministrativa; a maggior ragione tale esigenza di adeguata motivazione deve essere rispettata nell'ipotesi di nulla osta edilizio in area soggetta a vincolo paesistico, attesa la tendenziale irreversibilità dell'alterazione dello stato dei luoghi ai fini dell'adeguata gestione dei vincoli paesistici" (così Consiglio di Stato, VI Sez., 12.12.2002 n. 6785 che richiama, tra le altre decisioni, A.P. 22.07.1999 n. 20; TAR per l’Emilia Romagna, sez. II, n. 3666 del 2006; TAR per l’Emilia Romagna, sez. II, n. 3049/2009).
E’ pacifico in giurisprudenza che nell'esercizio del potere di cui all’art. 82 comma 9 del D.P.R. n. 616/1977 (come modificato dall’art. 1 della legge n. 431/1985) l'amministrazione statale non può sovrapporre le proprie valutazioni di merito a quelle già operate dall'autorità regionale o locale, ma deve limitarsi ad un controllo di legittimità, esteso peraltro a tutti i possibili vizi, ivi compreso il difetto di motivazione o l’eccesso di potere anche per travisamento dei fatti. Nel caso di specie la Soprintendenza, partendo da una verifica in concreto (attraverso l'esame della documentazione pervenuta) ha ravvisato una insuperabile carenza motivazionale nell'autorizzazione comunale poi annullata in quanto priva di un'adeguata illustrazione delle ragioni a sostegno della ritenuta compatibilità del manufatto in questione con la tutela prevista sull'area interessata.
La Soprintendenza, dunque, pur non prescindendo (né potendo prescindere) da un puntuale inquadramento della situazione di fatto, non ha sovrapposto la propria valutazione tecnico-discrezionale a quella dell'autorità comunale, ma ha riscontrato in quest'ultima un vizio di legittimità che anche il Collegio ritiene ravvisabile ed in relazione al quale il provvedimento impugnato risulta correttamente adottato.
Infatti, la Soprintendenza non solo ha accertato una carenza di motivazione dell’autorizzazione rilasciata ma ha rilevato che con particolare riferimento alla serra che la stessa “realizzata con materiali di fortuna appare un indecoroso baraccamento che con la sua presenza deturpa il paesaggio dell’area tutelata la quale oltre a formare un quadro naturale di singolare bellezza panoramica, costituisce un complesso di singolare valore estetico tradizionale in cui l’espressione della natura si fonda mirabilmente con quella del lavoro umano, offrendo altresì numerosi punti di vista accessibili al pubblico dai quali si possono godere visuali di notevole interesse”.
Quindi l’intervento in parola “comporterebbe l’alterazione di tratti caratteristici della località protetta che sono al ragione stessa per cui la località medesima è sottoposta a vincolo”.
Tale motivazione della Soprintendenza, riferita non soltanto alla cosiddetta “serra” bensì al tutti gli interventi abusivi ivi compresi l’ampliamento di superficie dell’appartamento del custode e le varianti estetiche dell’unità abitativa principale, costituiscono valutazioni di legittimità consentite alla Soprintendenza che ha ravvisato nella autorizzazione comunale un eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti con ciò giustificandosi l’annullamento dell’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’articolo 7 della legge 1497/1939 (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 14.05.2010 n. 4667 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Atti abilitativi edilizi - Procedimento - Proprietario del fondo vicino - Diritto di accesso agli atti - Art. 22 L. n. 241/1990.
Al proprietario del fondo vicino a quello su cui siano state realizzate nuove opere spetta il diritto di accesso a tutti gli atti abilitativi edilizi quando faccia valere l’interesse ad accertare il rispetto delle previsioni urbanistiche.

Al proprietario del fondo vicino a quello su cui siano state realizzate nuove opere spetta il diritto di accesso a tutti gli atti abilitativi edilizi quando faccia valere l’interesse ad accertare il rispetto delle previsioni urbanistiche (Cons. St. Sez. IV, sent. 21.11.2006, n. 6790).
Tale posizione, in quanto qualificata e differenziata e non meramente emulativa o preordinata ad un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, basta ai sensi dell’art. 22 della L. n. 241 del 1990 a legittimare il diritto di accesso alla documentazione amministrativa richiesta (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.05.2010 n. 2966 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Regione Puglia - Zone non esclusivamente industriali - Applicabilità del criterio differenziale - L.r. Puglia n. 3/2002 - Provvedimenti assunti anteriormente all’entrata in vigore della legge regionale - Criterio differenziale - Applicabilità - Nei comuni privi di zonizzazione acustica - Esclusione.
L’art. 3 della L.R. Puglia n. 3/2002 stabilisce, al terzo comma, che per le zone non esclusivamente industriali, oltre ai limiti massimi per il rumore ambientale, trova applicazione anche il cosiddetto "criterio differenziale", in base al quale non può essere superata la differenza di 5 db durante il periodo diurno e di 3 db durante il periodo notturno. Tale previsione è destinata a valere, in via immediata, anche nei Comuni privi della zonizzazione acustica (cfr. in tal senso TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. n. 3656/2007).
Con riguardo ai provvedimenti assunti anteriormente all’entrata in vigore della legge regionale, trova invece applicazione l’orientamento prevalso in giurisprudenza secondo cui, nelle more della classificazione del territorio comunale ai sensi dell’art. 6, primo comma - lett. a), della legge quadro n. 447 del 1995, operano i soli limiti "assoluti" di rumorosità, ma non anche quelli "differenziali" (cfr., tra molte, TAR Emilia Romagna, Parma, sent. n. 385/2008; TAR Friuli Venezia Giulia, sent. n. 578/2005; TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. n. 813/2004; TAR Veneto, sez. III, sent. n. 847/2004) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1896 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: In caso di modulistica non conforme al disciplinare di gara è sempre ammesso il potere di integrazione della documentazione richiesta dal bando a pena di esclusione.
L’applicazione dei principi in materia di favor partecipationis e di tutela dell’affidamento osta all’esclusione di un’impresa in caso di compilazione dell’offerta in conformità al modulo approntato dalla stazione appaltante, potendo eventuali parziali difformità rispetto al disciplinare costituire oggetto di richiesta di integrazione.
Nel caso di specie, la mancata indicazione nel fac-simile di domanda di partecipazione allegata al disciplinare di alcune delle dichiarazioni, da rendere a pena di esclusione presenti nel disciplinare, non poteva essere considerata circostanza tale da indurre in errore l’impresa partecipante, non trattandosi di un’ipotesi di contrasto tra le prescrizioni contenute nel disciplinare e quelle contenute nella allegata modulistica, ma di mancato richiamo nella seconda di dichiarazioni espressamente e chiaramente indicate come necessarie nel capitolato e presidiate dalla clausola di esclusione (TAR Molise, sentenza 14.05.2010 n. 213 - link a
www.mediagraphic.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Titolare del fondo - Dovere di diligenza - Vigilanza - Limiti.
Il dovere di diligenza che fa carico al titolare del fondo, non può arrivare al punto di richiedere un costante vigilanza, da esercitarsi giorno e notte, per impedire ad estranei di invadere l’area e, per quanto riguarda la fattispecie regolata dall’art. 14, comma 3, del D.L. vo n. 22 del 1997 (ora art. 192 del D.L. vo n. 152 del 2006) di abbandonarvi rifiuti.
La richiesta di un impegno di tale entità travalicherebbe oltremodo gli ordinari canoni della diligenza media (e del buon padre di famiglia) che è alla base della nozione di colpa, quando questa è indicata in modo generico, come nella specie, senza ulteriori specificazioni (Cfr., ex plurimis: C. di S., Sez. V, 08.03.2005, n. 935; TAR Campania, Sez. V, 05.08.2008, n. 9795) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 13.05.2010 n. 4924 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Impianti di telecomunicazione - Assimilabilità alle infrastrutture - Installazione sull’intero territorio comunale - Ammissibilità.
Gli impianti di telecomunicazione sono assimilabili alle infrastrutture, e dunque la loro installazione deve ritenersi in generale consentita sull’intero territorio comunale in modo da poter realizzare un’uniforme copertura di tutta l’area comunale interessata (Cons. St., sez. VI, 23.06.2008 n. 3133; Cons. St., sez. VI, 11.10.2007 n. 5342) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.05.2010 n. 2955 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La partecipazione del privato al procedimento può essere pretermessa qualora egli non sia in grado di fornire elementi che incidano sull’azione amministrativa.
La motivazione del provvedimento impugnato è esaustiva e comprensibile (assenza di attività autorizzata e/o conforme dal punto di vista urbanistico in zona residenziale) e che le garanzie partecipative, ai sensi dell’art. 21-octies, non inficiano la legittimità del provvedimento, il quale, alla luce delle risultanze istruttorie dell’ARPA, appare chiaramente, in concreto, vincolato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 03.12.2009, n. 7575).
In ogni caso, sulla falsariga dell’orientamento accolto dal Giudice d’appello, la partecipazione del privato al procedimento può essere pretermessa qualora egli non sia in grado di fornire elementi che incidano sull’azione amministrativa e, quindi, quando i fatti siano compiutamente acquisiti o gli interessi siano stati tutti valutati, come nel caso di specie.
Infatti, è in questo ultimo ambito che si colloca la norma di cui all’art. 21-octies comma 2, l. 07.08.1990 n. 241, che esclude l’annullabilità del provvedimento qualora l’esito non possa essere diverso, atteso che la ponderazione degli interessi e l’individuazione della ragione prevalente è da ritenersi ormai univoca, qualora, come nel caso di specie, risulti, anche in sede di giudizio, che l’apporto del privato in fase partecipativa sia irrilevante, non essendo in grado di incidere sulla ponderazione degli interessi.
In altre parole, l’onere di dimostrare che l’esito provvedimentale non sarebbe stato diverso, come si esprime l’art. 21-octies con riferimento all’essenza dell’avviso di avvio del provvedimento e alla sua possibile incidenza in termini di illegittimità, spetta all’Amministrazione solo allorquando il privato, in sede procedimentale ovvero in sede giurisdizionale, abbia introdotto elementi di fatto o punti di vista che avrebbero potuto condizionare l’esito dell’attività amministrativa, il che non si verifica nel caso di specie, atteso che, come detto, i motivi di ricorso appaiono inequivocabilmente infondati (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.05.2010 n. 2390 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla sussistenza della giurisdizione del g.a. per la controversia relativa al recesso da parte di comune da un consorzio costituito ai sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 267 del 2000.
Allorché uno degli Enti locali partecipanti deliberi di recedere dal consorzio costituito ai sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 267 del 2000, ci si trova in presenza dell'esercizio di un potere discrezionale conferito dalla legge in capo allo stesso Ente deliberante, tale da radicare la giurisdizione del giudice amministrativo.
Il consorzio tra Comuni è una particolare forma associativa prevista dalla legge, avente natura di ente pubblico, "per la gestione associata di uno o più servizi" nonché "per l'esercizio associato di funzioni": esso è quindi preordinato alla realizzazione di un servizio o di una funzione pubblica tale da assicurare, date le circostanze del caso concreto e previa valutazione delle necessità del territorio, maggiore affidamento di riuscita rispetto ad una gestione diretta lasciata alle amministrazioni singolarmente.
La decisione di entrare a far parte di un consorzio -e, correlativamente, quella di recedervi- è quindi preordinata alla migliore gestione (o almeno, a quella discrezionalmente ritenuta tale) del servizio pubblico che di volta in volta viene in considerazione: le relative deliberazioni prese dall'Ente locale, pertanto, rappresentano una modalità di esercizio del potere discrezionale che la legge conferisce all'amministrazione locale per la migliore gestione del servizio pubblico.
Non può dunque sostenersi, che i rapporti tra il consorzio e gli enti che ne fanno parte siano da inquadrare nei binari del diritto soggettivo e non dell'interesse legittimo: ne deriva, per le relative controversie, in base ai principi generali, la giurisdizione del giudice amministrativo (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.05.2010 n. 2388 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: Ove manchi la specifica autorizzazione a lottizzare, la lottizzazione abusiva sussiste e deve essere sanzionata anche se, per le singole opere facenti parte di tale lottizzazione, sia stata rilasciata una concessione edilizia.
Il Mura, successivamente al 1985, ha frazionato un proprio terreno della superficie di 10.000 mq. per ricavarne dieci lotti di circa 900 mq. ciascuno, più una strada centrale al terreno per mettere in comunicazione i lotti con la via pubblica. Nello stesso ricorso si afferma infatti che “il ricorrente nel 1986 ha proceduto al frazionamento di esso [del terreno agricolo di 10.000 mq] in 10 appezzamenti di 900 mq. circa, vendendone per atto pubblico alcuni…”.
Per giurisprudenza pacifica simile attività rientra nelle previsioni dettate dall’articolo 18 della legge 28.02.1985 n. 47 che così dispone: “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.”
La giurisprudenza ha chiarito, pronunciandosi in fattispecie di lottizzazioni abusive, che “l'art. 18, l. 28.02.1985 n. 47 disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva: la prima, c.d. materiale, relativa all'inizio della realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione; la seconda, c.d. formale (o cartolare), che si verifica allorquando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita, o altri atti equiparati, del terreno in lotti (che per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l'ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, e per altri elementi riferiti agli acquirenti, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio), creando così una variazione in senso accrescitivo sia del numero dei lotti che in quello dei soggetti titolari del diritto sul bene; il bene giuridico protetto dalla predetta norma, quindi, è non solo l'ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, ma anche (e soprattutto) l'effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè dal Comune), cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito” (Consiglio Stato, sez. IV, 11.10.2006, n. 6060) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 13.05.2010 n. 1169 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Solo concorsi aperti. I principi espressi dalla Consulta valgono anche per gli enti. Illegittime le progressioni riservate.
Sono illegittime progressioni di carriera integralmente riservate ai dipendenti degli enti che le bandiscono.

La sentenza 13.05.2010 n. 169 della Corte Costituzionale estende indubbiamente a tutte le amministrazioni, compresi gli enti locali, i suoi effetti anche se riferita alla legge regionale della Liguria 3/2009.
Con tale disposizione legislativa, la regione aveva previsto di bandire concorsi pubblici riservati a soggetti prestassero servizio con contratto di collaborazione coordinata e continuativa presso la regione stessa e i suoi enti strumentali regionali e che avessero almeno un anno di attività maturato nel triennio anteriore alla data di entrata in vigore della stessa legge ... (articolo ItaliaOggi del 21.05.2010 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Area vincolata - Esecuzione di opere soggette a denuncia di inizio attività (d.i.a.) - Disciplina della DIA - Artt. 22, co. 6, e 23, commi 3 e 4 del d.P.R. 380/2001 - Rilascio del nulla-osta dall’autorità preposta alla tutela del vincolo - Necessità.
Nelle ipotesi di interventi da effettuare su immobili siti in zone sottoposte a vincolo, la disciplina della DIA è ricavabile dal combinato disposto degli artt. 22, co. 6, e 23, commi 3 e 4 del d.P.R. 380/2001.
La prima norma consente la presentazione della denuncia anche con riferimento a tale tipologia di immobili, purché la realizzazione delle opere sia, comunque, preceduta dal rilascio, secondo lo schema delineato dal successivo articolo, del relativo atto di assenso, ovvero, del parere favorevole dell'Amministrazione comunale.
Pertanto, per gli interventi edilizi su manufatti in zona vincolata la denuncia di inizio attività costituisce titolo abilitativo solo se sia già stato rilasciato il nulla-osta dall'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (Cass. 20/03/2002, n. 246) (conferma ordinanza del Tribunale di Latina del 17/12/2009) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.05.2010 n. 17973 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Proprietario dell’area interessata - Responsabilità - Addebitabilità a titolo di dolo o colpa della violazione.
Dall’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 risulta che la responsabilità del proprietario o del titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area interessata da abbandono di rifiuti presuppone l’addebitabilità ad essi, a titolo di dolo o colpa, della violazione posta in essere dal responsabile (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 11.05.2010 n. 3795 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO - Acque di dilavamento dei parcheggi Assimilabilità a scarichi industriali - Esclusione.
Le acque di dilavamento dei parcheggi non sono assimilabili a scarichi industriali (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 11.05.2010 n. 3772 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Ricorso all’ordinanza contingibile e urgente - Illegittimità - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
In materia ambientale, in ipotesi di abbandono incontrollato di rifiuti, è esclusa la possibilità di ricorrere allo strumento atipico e eccezionale costituito dall’ordinanza contingibile ed urgente, rientrando tali fattispecie espressamente nel campo di applicazione dell’art. 192 D.L. vo n. 152/2006 che, a fronte di situazioni di inquinamento ambientale, appresta uno specifico rimedio.
RIFIUTI - Abbandono da parte di terzi ignoti - Proprietario del terreno - Responsabilità oggettiva - Inconfigurabilità - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
In caso di rinvenimento di rifiuti da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque il titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, per cui lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino (Cfr: TAR Campania, Sez. I; 19.03.2004, n. 3042, TAR Toscana, 12.05.2003, n. 1548, C. di S., IV Sez. 20.01.2003, n. 168).
Nel disposto normativo di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, incentrato su una rigorosa tipicità dell’illecito ambientale, non v’è alcun spazio per una responsabilità oggettiva: la regola di imputabilità a titolo di dolo o colpa non ammette eccezioni anche in relazione ad un’eventuale responsabilità solidale del proprietario dell’area ove si è verificato l’abbandono ed il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo.
RIFIUTI - Ricorso a ordinanze a valenza ambientale - Omissione della comunicazione di avvio del procedimento - Presupposto - Urgenza qualificata.
Il ricorso allo strumento dell’ordinanza contingibile ed urgente, o anche avente valenza ambientale, giustifica l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento unicamente in presenza di un’”urgenza qualificata”, in relazione alle circostanze del caso concreto, che deve essere debitamente esplicitata in specifica motivazione sulla necessità e l’urgenza di prevenire il grave pericolo alla cittadinanza (Cfr: TAR Campania, Sez. V, 03.02.2005, n. 764) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 11.05.2010 n. 3683 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: La clausola del bando che prescrive la presentazione attraverso la posta o a mezzo dei servizi privati di recapito postale ma non vieta espressamente la consegna diretta dell'offerta deve essere intesa come indicativa della possibilità di tale consegna.
La regola generale della presentazione diretta dell’offerta costituisce principio di libertà che non può essere derogata dal bando di gara, in quanto espressione dell’esigenza di rendere immuni i concorrenti dal rischio del mancato rispetto di formalità che non sono nella loro disponibilità (Consiglio Stato, sez. VI, 26.09.2003, n. 5504).
Pertanto, la clausola del bando che prescrive la presentazione attraverso la posta o a mezzo dei servizi privati di recapito postale ma non vieta espressamente la consegna diretta dell’offerta deve essere intesa come indicativa della possibilità di tale consegna (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.05.2010 n. 2835 - link a
www.mediagraphic.it).

APPALTI: In sede di verifica a campione ex art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), i requisiti di capacità economico-finanziaria non possono essere dimostrati mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà .
Sull'interpretazione delle sanzioni previste (incameramento della cauzione e segnalazione all'AVCP) dall'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006.

In sede di verifica a campione ex art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), i requisiti di capacità economico-finanziaria non possono essere dimostrati mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell'art. 47 del d.p.r. n. 445 del 2000. Deve rilevarsi, infatti, che nei rapporti con l'amministrazione è necessario distinguere due fasi: "quella iniziale, nella quale può farsi legittimamente uso della dichiarazione sostitutiva di atto notorio contestualmente alla presentazione della domanda di partecipazione alla gara e quella, successiva, nella quale l'attestazione del possesso dei requisiti di partecipazione deve essere necessariamente compiuta per mezzo della documentazione pubblica certificativa della qualità o dello stato richiesti e non può essere ammessa anche la modalità della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà". La regola della mancanza di validità delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, dunque, tende ad evitare che l'impresa possa depositare in sede di verifica a campione la medesima documentazione presentata in sede di presentazione dell'offerta. Tale regola può subire delle eccezioni unicamente nei casi in cui si tratti di dimostrare il possesso di documenti che siano già in possesso dell'amministrazione o che comunque essa stessa è tenuta a certificare (cfr. art. 43 del d.p.r. n. 445 del 2000).
L'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che quando l'impresa non fornisce la prova dei requisiti richiesti dall'amministrazione ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono non soltanto all'esclusione del concorrente dalla gara, ma anche all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità. Tale disposizione va, tuttavia, interpretata secondo un criterio logico e in relazione alla circostanza che non si debba trattare di una violazione lieve, tenendo conto anche della buona fede dell'impresa. Per stabilire dunque se la violazione sia stata non lieve occorre avere riguardo alla natura dell'"inadempimento" e agli effetti che ciò ha determinato sullo svolgimento della procedura di gara.
Nel caso di specie, la stazione appaltante non ha accertato la mancanza dei requisito ma ha riscontrato un'anomalia nelle modalità formali di dimostrazione del requisito richieste legittimamente dalla lex specialis. Inoltre, il comportamento dell'impresa non ha inciso negativamente sulla gara alterando il gioco della libera concorrenza. Ne consegue che deve essere parzialmente annullato l'atto con cui è stato disposto, unitamente alle "altre sanzioni", l'incameramento della cauzione provvisoria (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 11.05.2010 n. 717 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: I comuni possono limitare nei centri storici l’insediamento di attività che non siano tradizionali e/o qualitativamente rapportabili ai caratteri storici, architettonici e urbanistici dei centri medesimi.
È in discussione, nella pronuncia in rassegna, la legittimità degli atti con cui il Comune di Roma si è negativamente pronunciato sulla comunicazione con la quale la società ricorrente aveva comunicato al Municipio I-Centro Storico del Comune di Roma il trasferimento della propria attività commerciale.
Detta delibera consiliare sfugge, secondo i giudici del Consiglio di Stato, ai rimproveri mossi al suo indirizzo dall’appellante sotto il profilo del contrasto con i principi, nazionali e comunitari, in materia di liberalizzazione degli esercizi commerciali.
La normativa del cd. “decreto Bersani” (D.L. n. 223/2006), spiegano i giudici di Palazzo Spada, mira, infatti, alla liberalizzazione delle attività commerciali, escludendo che agli esercizi autorizzati possano essere posti limiti quantitativi e qualitativi di vendita delle merci (art. 3), ma non osta alla possibilità che i Comuni tutelino le attività tradizionali nei centri storici con disposizioni che non impediscono l’esercizio nei centri storici di attività diverse da quelle tradizionali anche se riservano a queste ultime i locali in cui erano svolte in precedenza.
Gli stessi principi costituzionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa economica e di tutela della concorrenza non escludono che esigenze di tutela di valori sociali di rango parimenti primario possano suggerire condizionamenti e temperamenti al dispiegarsi dei diritti individuali.
Detti limiti sono vieppiù costituzionalmente compatibili, oltre che in ragione dei confini temporali che li perimetrano, anche in virtù della considerazione che al titolare dell’esercizio dell’attività cessata non è imposto un puntuale sbarramento merceologico in quanto gli è consentito di intraprendere da subito qualsiasi attività appartenente al medesimo genere, alimentare o non alimentare, di quella venuta meno.
Va soggiunto che le misure in esame, concludono gli stessi giudici, senza imporre limitazioni quantitative e qualitative incompatibili con la disciplina nazionale, perseguono la concorrente finalità di tutelare il consumatore garantendo la permanenza, negli ambiti territoriali tutelati, di un’offerta variegata di beni e servizi che non sia depauperata di attività tradizionali altrimenti a rischio di estinzione (commento tratto da www.doumnetazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.05.2010 n. 2758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Parolacce in ufficio? Non sempre costituiscono reato.
Insulti, parolacce e volgarità, se pronunciate in ambiente lavorativo, possono, in determinate situazioni, diventare persino costruttive, con la conseguenza che chi le pronuncia non commette reato.
Al di là dell'«ineleganza» e della «rozzezza» con cui ci si può rivolgere al capo o ad un collega, in certi casi il turpiloquio può essere solo un modo per sollecitare il dibattito sul lavoro, potendo, addirittura, stimolare il miglioramento dell'organizzazione aziendale (Corte di Cassazione, Sez. V penale, sentenza 07.05.2010 n. 17672 - link a www.altalex.com).

APPALTI: L'incameramento della cauzione provvisoria in caso di mancata osservazione delle regole del patto di integrità non equivale a sanzione amministrativa.
Il Comune di Milano ha adottato un patto di integrità che racchiude regole di comportamento per le imprese, partecipanti ad una gara, già desumibili dalla disciplina positiva relativa alle procedure di evidenza pubblica e dai principi attinenti la materia.
Al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una gara il comune chiede la sottoscrizione del medesimo patto alle imprese. La procedura ha elevato l’accettazione di tale patto a presupposto necessario e condizionante per la partecipazione delle imprese alla specifica gara di cui trattasi.
L'impresa concorrente, inoltre, con la sottoscrizione, all’atto della presentazione della domanda, del patto d'integrità, accetta regole del bando che rafforzano comportamenti già doverosi per coloro che sono ammessi a partecipare alla gara (nella specie, la regola di non compiere atti limitativi della concorrenza) e che prevedono, in caso di violazione di tali doveri, sanzioni di carattere patrimoniale, oltre la conseguenza, ordinaria a tutte le procedure concorsuali, della estromissione dalla gara.
Viene dunque a individuarsi, quindi, innanzitutto, un onere, consistente nella sottoscrizione per adesione delle regole contenute nel Patto d'integrità, configurandosi l’accettazione delle regole in questo contenute come condizione imprescindibile per poter partecipare alla gara, e contestualmente dei doveri comportamentali , accompagnati dalla previsione di una responsabilità patrimoniale, aggiuntiva alla esclusione della gara, assunti su base pattizia rinvenendosi la loro fonte nel Patto d’integrità accettato dal concorrente con la sottoscrizione.
La previsione dei doveri stabiliti dal patto d’integrità con le correlative responsabilità di ordine patrimoniale come ulteriore prescrizione dei bandi di gara, è legittima poiché si inquadra nell’ambito dell’autonomia negoziale dell’amministrazione, nell’invito a contrattare, e di chi aspiri a diventare titolare di un futuro contratto, con l’accettazione dell’invito. Non si ravvisano preclusioni nell’ordinamento positivo soprattutto perché il patto contiene regole conformi a principi già considerati dall’ordinamento e già assistiti da responsabilità patrimoniale (quale la buona fede e la correttezza nelle trattative contrattuali).
Se questo è il quadro di riferimento l’escussione della cauzione provvisoria vale unicamente ad identificare e a quantificare fin dall’origine la conformazione e la misura della responsabilità patrimoniale del partecipante alla gara conseguente all'inadempimento dell'obbligo assunto con la sottoscrizione del patto d’integrità (l’orientamento è stato più recentemente confermato anche da Consiglio Stato, sez. V, 06.03.2006, n. 1053, secondo cui: il patto d’integrità nel suo insieme e nelle singole clausole assume il carattere di complesso di regole di comportamento per le imprese, già desumibili dalla disciplina positiva relativa alle procedure di evidenza pubblica e dai principi attinenti la materia e non già di sanzione privata incompatibile con il principio di legalità di cui all'art. 25 comma 2 cost.; ne consegue che l’incameramento della cauzione non ha carattere di sanzione amministrativa -come tale riservata alla legge e non a fonti di secondo grado o a meri atti della p.a.- ma costituisce la conseguenza dell’accettazione di regole e di doveri comportamentali, accompagnati dalla previsione di una responsabilità patrimoniale, aggiuntiva alla esclusione della gara, assunti su base pattizia, rinvenendosi la loro fonte nel patto d’integrità accettato dal concorrente con la sottoscrizione: da ultimo cfr. anche Consiglio Stato, sez. V, 08.09.2008, n. 4267) (commento tratto da www.doumnetazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 07.05.2010 n. 1386 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il divieto di edificare nelle fasce di rispetto stradale risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui lo stesso è di carattere assoluto, tanto che le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
La fascia di rispetto stradale determina, dunque, una limitazione dello ius aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del Regolamento del Codice della Strada, al suo interno non è consentito costruire, ricostruire o ampliare fabbricati.

Ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19 della l. 06.08.1967, n. 765) “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica”.
L’esistenza di limiti di edificazione da rispettare con riferimento al nastro di autostrade e strade, tanto fuori del centro abitato che nell’ambito di quest’ultimo, deriva direttamente dalla normativa del Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo 285/2002) e del suo Regolamento di attuazione, nonché per le sole autostrade dall’art. 9 della l. 729/1961.
La disciplina delle zone di rispetto stradale è oggi dettata dal Codice della Strada, approvato con il D.Lgs. n. 285/1992, e dal relativo Regolamento di cui al D.P.R. n. 495/1992.
E’ l’art. 26 del D.P.R. n. 495/1992 –in attuazione dell’art. 16 del Codice della Strada- che detta la disciplina relativa alle “fasce di rispetto fuori dai centri abitati”, prescrivendo che: “Fuori dai centri abitati… le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: …
d) 20 mt. per strade di tipo F, ad eccezione delle “strade vicinali”, come definite dall’art. 3, comma 1, n. 52 del Codice;
e) 10 mt. per le “strade vicinali” di tipo F
”;
A sua volta il comma 3 dispone:
"3. Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'articolo 4 del codice, ma all'interno delle zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo B;
c) 10 m per le strade di tipo C.
".
Il divieto in oggetto, secondo la costante interpretazione della giurisprudenza, risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui lo stesso è di carattere assoluto, tanto che le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. TAR Campania Salerno Sez. II sent. 1383 del 09.04.2009; Cassazione Civile, sezione II, n. 2164 del 03.02.2005).
In termini più generali, va comunque osservato che, poiché il Codice della Strada contiene norme di rango primario in una materia, quale è la sicurezza della circolazione stradale, attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato, tali norme devono ritenersi oggetto di immediata applicazione sull’intero territorio nazionale cosicché ad esse devono adeguarsi gli strumenti urbanistici locali, come del resto sistematicamente ricordano le deliberazioni regionali con le quali vengono approvati i P.R.G. e le relative varianti.
La fascia di rispetto stradale determina, dunque, una limitazione dello ius aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del Regolamento del Codice della Strada, al suo interno non è consentito costruire, ricostruire o ampliare fabbricati (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 2673 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimazione delle associazioni di categoria ad agire per l'accertamento dell'iniquità delle condizioni generali di contratto.
Una clausola del bando di gara che lasci in bianco un elemento essenziale del contratto, quale il termine di pagamento, vìola l'art. 64 del d.lgs. n. 163/06 (Codice dei contratti), in quanto rende impossibile la formulazione dell'offerta.

L'art. 8 del d.lgs. n. 231 del 2002 prevede la legittimazione delle associazioni di categoria, in rappresentanza delle imprese piccole e medie, a richiedere al giudice competente di accertare, previa eventuale pronuncia di inibitoria in via d'urgenza, la iniquità di condizioni generali di contratto ai sensi dell'art. 7 della medesima legge rispetto a clausole concernenti la data del pagamento e le conseguenze normative del ritardo nel medesimo. Le associazioni di categoria divengono così tutrici di interessi collettivi rispetto a clausole inserite nel bando o nei capitolati che possono, a causa della loro iniquità, avere un effetto dissuasivo rispetto ad una probabile e più ampia volontà di partecipazione. Si è così introdotta una forma generale di tutela collettiva contro l'utilizzazione di condizioni contrattuali inique collocata "a monte" rispetto alla tutela individuale del singolo imprenditore che abbia stipulato un contratto contenente clausole inique.
Una clausola del bando di gara che lasci "in bianco" un elemento essenziale del contratto, quale il termine di pagamento, vìola l'art. 64 del d.lgs. n. 163/06 (Codice dei contratti), in quanto rende impossibile la formulazione dell'offerta per mancanza di indicazioni relativamente ad un parametro essenziale della medesima. Il legislatore ha apprestato due livelli di tutela: uno demandato alle associazioni di categoria, al fine di inibire l'uso di condizioni generali di contratto qualora prefigurino clausole derogatorie della disciplina protettiva inique dal punto di vista commerciale; uno successivo, che consente al contrante danneggiato di chiedere l'accertamento della nullità della clausola, contrattata individualmente, qualora la medesima presenti le caratteristiche di iniquità di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 231/2002. In relazione alla specifica clausola relativa alle condizioni di pagamento, i bandi di gara possono prefigurare la specifica regolamentazione contrattuale ovvero sollecitare l'offerta del concorrente: l'amministrazione può limitarsi a individuare una regolamentazione dei tempi e modi di pagamento ovvero invitare il concorrente a formulare, sulla base di individuati parametri, un'offerta secondo lo schema dell'invito ad offrire, fermo restando che, ai sensi del combinato disposto dell'art. 64 e dell'alleg. IX A del d.lgs. n. 163/2006, l'individuazione delle modalità di pagamento costituisce elemento primario che il bando deve prevedere espressamente in attuazione della normativa comunitaria. L'art. 8 del d.lgs. n. 231/2002, nell'approntare una tutela collettiva avanzata avverso le condizioni generali unilateralmente predisposte in deroga ai parametri di legge, prevede che le stesse possano essere sindacate preventivamente rispetto alla conclusione del contratto, su impulso delle associazioni di categoria. Il sindacato si svolge in virtù dei parametri che dettano limiti e criteri di un'eventuale deroga in sede di contrattazione bilaterale alla disciplina normativa, sanzionando con la nullità la violazione di tali limiti e criteri qualora iniquo; pertanto le associazioni di categoria hanno il potere di sollecitare un sindacato preventivo di equità della clausola predisposta, in aderenza ai parametri di legge (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 05.05.2010 n. 2346 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Tempi di pagamento decisi alla stipula. Per il Tar la p.a. può rinviare i termini.
L'amministrazione può rinviare alla stipula del contratto di appalto la definizione dei termini di pagamento e degli interessi di mora, facendo riferimento alla prassi commerciale e all'oggetto del contratto; è invece illegittimo fare riferimento, in tale definizione, ai flussi finanziari di cassa e alla verifica sull'esistenza del debito.
È quanto afferma il Tar Piemonte, sezione prima, con la pronuncia del 05.05.2010 n. 2346 che prende in esame la disciplina dei termini di pagamento prevista dal decreto legislativo 231/02, alla luce di una clausola con la quale la stazione appaltante aveva stabilito che le parti, in sede di successiva stipulazione del contratto, avrebbero contrattato i termini di pagamento e il saggio degli interessi di mora, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura del servizio oggetto del contratto, ai flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione dell'azienda e ai tempi tecnici necessari alle verifiche dell'esistenza del debito (liquidazione delle fatture) ... (articolo ItaliaOggi del 21.05.2010 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per gli oneri di urbanizzazione ha ordinariamente funzione sostitutiva delle relative opere; in particolare, assolve all’obiettivo di ridistribuire i costi sociali delle stesse avuto riguardo all’aggravamento del carico urbanistico che l’intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere. Si ritiene infatti generalmente non dovuto ogni qual volta l’intervento stesso non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona.
In caso di abuso edilizio sanato col "condono edilizio", se il principio ispiratore della normativa del versamento degli oo.uu. è quello della corrispettività tra oneri di urbanizzazione e costi delle relative opere connesse all’edificazione, in ipotesi di non coincidenza tra la destinazione dell’intervento e quella della zona in cui lo stesso è stato realizzato è necessario rintracciare un criterio correttivo che consenta di evitare distorsioni nell’ottica di sistema; che consenta cioè di salvaguardare l’intento perequativo e la corrispettività sottesi all’obbligo di contribuzione –diretta o indiretta- correlato alla realizzazione di nuovi interventi edilizi: dovrà aversi riguardo non già alle astratte tipologie consentite dalla destinazione di zona bensì alla destinazione in concreto attuata dal manufatto, posto che –si ribadisce- oggetto di condono è proprio l’immobile in sé considerato, avulso dal contesto in cui lo stesso sia venuto a collocarsi.
Deve invero osservarsi che il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha ordinariamente funzione sostitutiva delle relative opere; in particolare, assolve all’obiettivo di ridistribuire i costi sociali delle stesse avuto riguardo all’aggravamento del carico urbanistico che l’intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere. Si ritiene infatti generalmente non dovuto ogni qual volta l’intervento stesso non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona (cfr. sul punto da ultimo Tar Campania, Napoli, 26.06.2008 n. 6271).
Che per espressa prescrizione di legge il quantum di tali oneri venga determinato attraverso tabelle che assumono tra i parametri di riferimento anche le destinazioni di zona previste dallo strumento urbanistico generale, non è dubitabile. Tuttavia, il presupposto della richiamata disciplina è l’ontologica coincidenza tra la destinazione di zona e la destinazione d’uso del manufatto da realizzarsi; coincidenza dalla quale in regime ordinario non può prescindersi, pena l’illegittimità del titolo autorizzatorio cui il computo degli oneri si riconnette.
Siffatto presupposto, tuttavia, può rivelarsi insussistente in ipotesi di condono extra ordinem.
In tali casi, invero, oggetto di sanatoria è l’opera in sé considerata, quand’anche in contrasto con la destinazione della zona in cui è stata realizzata. Il titolo autorizzatorio viene eccezionalmente rilasciato –a certe condizioni- proprio in assenza della conformità del manufatto alle previsioni dello strumento urbanistico generale; in particolare ai parametri e alle destinazioni di zona. In buona sostanza, alle norme dettate per l’edificazione della zona stessa.
Proprio tali deroghe giustificano il rimedio e le procedure straordinari.
Se, pertanto, il principio ispiratore della normativa di settore è quello della corrispettività tra oneri di urbanizzazione e costi delle relative opere connesse all’edificazione, in ipotesi di non coincidenza tra la destinazione dell’intervento e quella della zona in cui lo stesso è stato realizzato (come nella fattispecie in esame), è necessario rintracciare un criterio correttivo che consenta di evitare distorsioni nell’ottica di sistema; che consenta cioè di salvaguardare l’intento perequativo e la corrispettività sottesi all’obbligo di contribuzione –diretta o indiretta- correlato alla realizzazione di nuovi interventi edilizi.
Per preservare, dunque, il sostanziale collegamento tra il contributo concretamente dovuto e la specifica entità edilizia cui esso si riferisce, intesa nella sua natura, destinazione e consistenza non rimane che un opzione: dovrà aversi riguardo non già alle astratte tipologie consentite dalla destinazione di zona bensì alla destinazione in concreto attuata dal manufatto, posto che –si ribadisce- oggetto di condono è proprio l’immobile in sé considerato, avulso dal contesto in cui lo stesso sia venuto a collocarsi.
Non vi osta il dato normativo (la legge sul condono opera un mero rinvio alla legge n. 10/1977 per il pagamento degli oneri e questa non fornisce i criteri per l’applicazione delle tabelle ivi contemplate alla peculiare fattispecie della non coincidenza tra destinazione d’uso e destinazione di zona); e diversamente opinando si perverrebbe ad un risultato in contrasto con il richiamato principio della corrispettività: si farebbero gravare sul singolo intervento non già i costi rapportati all’aumento del carico insediativo determinato dall’intervento stesso, bensì i costi di urbanizzazione dell’intera zona in relazione ad una destinazione (nel caso di specie artigianale-produttiva) che resterebbe comunque estranea alla zona de qua. Questa, invero, nel suo complesso, conserverebbe la destinazione originaria.
In buona sostanza risulterebbe tradito proprio il principio ispiratore di tutta la disciplina e la quantificazione degli oneri di urbanizzazione finirebbe per assumere –al pari dell’oblazione- una valenza sanzionatoria estranea allo spirito della legge. Come già rimarcato, le disposizioni in materia di condono (più specificamente l’art. 37 della legge n. 47/1985 e la Circolare Ministero LL.PP. n. 2241 del 17.06.1995) operano un mero rinvio alle norme della legge n. 10/1977 in materia di oneri di urbanizzazione da corrispondersi in aggiunta all’oblazione; di tali disposizioni, pertanto, mutuano inevitabilmente la ratio della corrispettività (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: E' illegittima la decisione di un comune di escludere le associazioni temporanee di impresa da un bando per la costruzione di una scuola mediante leasing finanziario ex art. 160-bis del d.lgs. n. 163 del 2006 .
E' illegittima la decisione di un comune di escludere le associazioni temporanee di impresa da un bando per la costruzione di una scuola mediante leasing finanziario per la realizzazione di opere pubbliche ex art. 160-bis del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), in quanto l'amministrazione ha l'obbligo di porre tutti i concorrenti su un piano di perfetta parità e di riservare loro le stesse condizioni per prendere parte alla competizione.
Il legislatore disciplina le forme di partecipazione alla selezione per l'affidamento del contratto di leasing "in costruendo", e la stazione appaltante non può a sua discrezione scegliere la soluzione ritenuta più adeguata escludendo i raggruppamenti temporanei.
L'impostazione scelta dal comune di contrarre con il solo finanziatore e la necessità di ricorrere all'avvalimento (atipico) darebbe luogo ad una sostanziale "delega ad eseguire" da parte della società finanziaria ad un imprenditore edile che, pur non avendo partecipato alla gara, nei fatti è l'unico vero esecutore dell'appalto.
E' inaccettabile, infatti, che in un appalto di lavori il committente pubblico sia espropriato di qualsiasi potere nei confronti dell'impresa esecutrice e che attività che costituiscono prerogativa tipica dell'amministrazione aggiudicatrice -come la direzione lavori, la verifica degli stati di avanzamento, il controllo del rispetto degli obblighi di legge sulla sicurezza del lavoro, dell'osservanza dei minimi contrattuali e della corretta applicazione delle regole sul subappalto- vengano traslate su un soggetto privato, che sarebbe investito indebitamente di funzioni pubbliche (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1675 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIn materia di DURC, il comma 3 del D.M. 24.10.2007 configura come causa non ostativa "uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate... Non si considera grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione…": ma nel caso in esame la somma non versata costituiva, secondo quanto affermato nel ricorso a pag. 8, "il 20% della contribuzione annua".
A seguito dell'aggiudicazione provvisoria delle gare d'appalto di cui si discute l'amministrazione aggiudicatrice ha acquisito il DURC relativo alla società ricorrente, la cui posizione alla data del 05/02/2010 (di svolgimento delle procedure negoziate) è risultata irregolare per quanto riguarda il versamento dei contributi INPS;
Questo Tribunale ha già affrontato questioni analoghe giungendo, da ultimo nella sentenza 11.11.2009 n. 1606, alle seguenti conclusioni:
a) in tema di regolarità contributiva l’art. 38 del Codice dei contratti pubblici contiene distinte prescrizioni, di cui una (comma 1, lett. i) relativa alla fase della partecipazione alla gara, l'altra (comma 3, attraverso il richiamo all’art. 2 del D.L. n. 210/2002) riferita agli affidatari dei pubblici appalti, quali individuati all'esito della gara;
b) nella fase successiva all'individuazione del soggetto almeno potenzialmente affidatario del pubblico appalto l'amministrazione aggiudicatrice deve procedere ad una verifica che va estesa oltre i limiti stabiliti dall’art. 38, comma 1, lett. i), e che investe il più vasto ambito della regolarità contributiva, intesa come correntezza nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi;
c) il requisito in esame deve essere posseduto sin dal momento del primo contatto tra l'impresa e l'amministrazione aggiudicatrice, cioè alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara (anche per evitare che i concorrenti possano essere indotti a regolarizzare la propria posizione solo se ed in quanto si prospettino concrete possibilità di esito positivo della procedura a cui hanno chiesto di partecipare); fermo restando che il requisito deve poi essere mantenuto, altresì, alla data dell'affidamento;
d) il legislatore ha affidato agli enti previdenziali e assicurativi (INPS, INAIL e Casse edili) la competenza esclusiva a certificare la regolarità contributiva attraverso l'apposito documento, con la conseguente sottrazione alle stazioni appaltanti del potere/dovere di indagare ulteriormente in ordine al profilo in questione;
e) al DURC fa riferimento anche l’art. 17 della L.R. 13.07.2007 n. 38, che va applicato a prescindere da un suo espresso richiamo nel bando di gara ed è inequivoco nel subordinare l'aggiudicazione definitiva al positivo accertamento della regolarità contributiva mediante l'acquisizione di tale documento;
Nel caso di specie, non sussiste, a norma dell’art. 5 del D.M. 24/10/2007, il requisito della regolarità contributiva, né la situazione della ricorrente integra una causa non ostativa al rilascio del DURC, secondo quanto stabilito dall’art. 7 del medesimo D.M.; basta rilevare in proposito che il comma 3 della norma citata configura come causa non ostativa "uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate... Non si considera grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione…": ma nel caso in esame la somma non versata costituiva, secondo quanto affermato nel ricorso a pag. 8, "il 20% della contribuzione annua";
In conclusione, l'orientamento precedentemente seguito dalla Sezione nella materia risulta tuttora condivisibile e che in relazione ad esso l'operato dell'amministrazione aggiudicatrice non risulta affetto dei vizi dedotti nel ricorso (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 05.05.2010 n. 1241 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli impianti di telefonia mobile risultano compatibili con il vincolo di rispetto cimiteriale.
Le finalità della fascia di rispetto cimiteriale sono quelle della tutela dell’interesse pubblico sotto il profilo sanitario, urbanistico e di garanzia della tranquillità dei luoghi, ovverosia profili rispetto ai quali in nessun modo la realizzazione dell’opera per cui è causa si appalesa lesiva.
Gli impianti di telefonia mobile risultano pertanto compatibili con il vincolo di rispetto cimiteriale, la cui ratio non risulta in alcun modo compromessa da una scelta localizzativa degli stessi nella fascia di rispetto cimiteriale (cfr., Cons. Stato, VI, 28.2.2006 n. 894; TAR Lazio, II-bis, 19.04.2007 n. 4367; TAR Veneto, II, 11.02.2005 n. 644) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 05.05.2010 n. 1239 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer "coperture stagionali" la l.r. n. 12/2005 della Lombardia non detta prescrizioni analitiche circa le dimensioni di tali coperture; tuttavia ragioni di ordine sistematico ed anche –in parte– letterale, inducono alla conclusione che debba trattarsi di dimensioni tutto sommato contenute, essendo tali opere destinate alla protezione delle colture e dei piccoli animali, quindi con dimensioni compatibili con la sola funzione di protezione e non con altre funzioni, quali ad esempio l’accesso delle persone –siano esse dipendenti dell’impresa o clienti della stessa– o l’esercizio nella struttura di attività commerciale di vendita.
Del resto, relativamente alla protezione degli animali, la legge regionale ha cura di specificare che si tratta di animali <<piccoli>> ed <<allevati all’aria aperta>>, con ciò stesso escludendo il ricorso alle coperture stagionali per la protezione di bestiame di grossa taglia –si pensi ad esempio ad un allevamento bovino– in quanto tali coperture finirebbero per assumere dimensioni tali da cagionare un rilevante impatto sul territorio, impatto che sarebbe incompatibile con il regime di totale liberalizzazione dell’attività edilizia di cui al comma secondo dell’art. 33 l.r. n. 12/2005.
Le colture e gli allevamenti da proteggersi attraverso le indicate "coperture stagionali" devono essere <<a pieno campo>> e tale espressione deve intendersi nel senso che le coperture devono svolgere una funzione di sola protezione e non altre di carattere produttivo o tanto meno commerciale.
Quanto al requisito della “stagionalità”, lo stesso non può che riferirsi ad un fenomeno relativo ad una sola parte dell’anno e quindi, nel caso di una copertura stagionale, quest’ultima deve essere collocata per una parte dell’anno solare e rimossa per la parte successiva. Al contrario, la permanenza dell’opera per l’intero anno, seppure con caratteristiche tecniche differenti al variare delle stagioni, esclude di per sé che possa parlarsi di “copertura stagionale”.
Devono escludersi per le strutture di cui è causa (n. 4 strutture aventi ognuna dimensioni di 8 metri x 22,80 metri, quindi una superficie di circa 180 metri quadrati ciascuna per un totale di quasi 800 metri quadrati) sia il carattere di semplice “copertura” sia quello di “stagionalità”, richiesti invece dall’art. 33 della legge regionale 12/2005.
La costruzione di una serra, anche se in astratto facilmente amovibile, presuppone il rilascio di concessione edilizia (ora, ovviamente, permesso di costruire), allorché la serra soddisfi stabilmente le esigenze di esercizio dell’impresa agricola e sia quindi destinata ad un indeterminata permanenza al suolo, modificando così definitivamente l’assetto urbanistico ed edilizio di una zona.
Ritiene il Collegio di esaminare in via prioritaria il motivo contrassegnato con la lettera C, relativo alla corretta classificazione giuridica delle strutture di cui è causa, che il Comune reputa essere “serre”, mentre la ricorrente vorrebbe qualificare come “coperture stagionali”, le quali, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. d), della legge regionale 12/2005, possono essere realizzate senza alcun titolo edilizio.
La corretta qualificazione delle suddette strutture, infatti, assume rilevanza per la decisione di altri motivi di ricorso, fra cui in primo luogo quello contrassegnato con la lettera A, relativo al vincolo cimiteriale.
Ciò premesso, la pretesa della ricorrente di ricondurre alla figura delle “coperture stagionali” di cui al citato art. 33, le strutture dalla stessa realizzate, appare priva di pregio.
La lettera d) del secondo comma dell’art. 33, esclude la necessità di titolo edilizio per le <<coperture stagionali destinate a proteggere le colture ed i piccoli animali allevati all’aria aperta e a pieno campo, nelle aree destinate all’agricoltura>>.
Prescindendo dalla destinazione dell’area di cui è causa, occorre evidenziare come la legge regionale non detti prescrizioni analitiche circa le dimensioni di tali coperture; tuttavia ragioni di ordine sistematico ed anche –in parte– letterale, inducono alla conclusione che debba trattarsi di dimensioni tutto sommato contenute, essendo tali opere destinate alla protezione delle colture e dei piccoli animali, quindi con dimensioni compatibili con la sola funzione di protezione e non con altre funzioni, quali ad esempio l’accesso delle persone –siano esse dipendenti dell’impresa o clienti della stessa– o l’esercizio nella struttura di attività commerciale di vendita.
Del resto, relativamente alla protezione degli animali, la legge regionale ha cura di specificare che si tratta di animali <<piccoli>> ed <<allevati all’aria aperta>>, con ciò stesso escludendo il ricorso alle coperture stagionali per la protezione di bestiame di grossa taglia –si pensi ad esempio ad un allevamento bovino– in quanto tali coperture finirebbero per assumere dimensioni tali da cagionare un rilevante impatto sul territorio, impatto che sarebbe incompatibile con il regime di totale liberalizzazione dell’attività edilizia di cui al comma secondo dell’art. 33 citato.
Non si dimentichi poi, sempre con riguardo al dato letterale della norma, che le colture e gli allevamenti da proteggersi attraverso le indicate coperture devono essere <<a pieno campo>> e tale espressione deve intendersi nel senso, già sopra indicato, che le coperture devono svolgere una funzione di sola protezione e non altre di carattere produttivo o tanto meno commerciale.
Quanto al requisito della “stagionalità”, lo stesso non può che riferirsi ad un fenomeno relativo ad una sola parte dell’anno e quindi, nel caso di una copertura stagionale, quest’ultima deve essere collocata per una parte dell’anno solare e rimossa per la parte successiva. Al contrario, la permanenza dell’opera per l’intero anno, seppure con caratteristiche tecniche differenti al variare delle stagioni, esclude di per sé che possa parlarsi di “copertura stagionale”.
Si tratta, infatti, di quattro strutture, aventi ognuna dimensioni di 8 metri x 22,80 metri (cfr. doc. 6 e doc. 11 della ricorrente), quindi una superficie di circa 180 metri quadrati ciascuna per un totale di quasi 800 metri quadrati, destinate alla permanenza continua sul suolo, visto che le coperture sono sostituite semplicemente al cambio delle stagioni, come del resto ammesso nel ricorso (vedesi pag. 47 del medesimo, dove si parla di una <<duplice modalità di copertura>>, per la stagione estiva ed invernale), a nulla rilevando che, in presenza di particolari situazioni climatiche favorevoli, i teli siano eccezionalmente rimossi, per poi però essere nuovamente collocati, per agevolare il migliore sviluppo delle colture.
Del resto, la stessa documentazione fotografica di parte ricorrente (cfr. il suo doc. 25), evidenzia l’esistenza di strutture ampie, destinate non solo ad ospitare l’azienda florovivaistica, ma anche a consentire l’accesso del pubblico per l’esercizio dell’attività di vendita dei prodotti, visto che la signora Giani è titolare di autorizzazione regionale alla produzione ed al commercio di vegetali (doc. 4 ricorrente).
La documentazione fotografica del Comune (cfr. docc. 4, 5, 7 e 8 di quest’ultimo), mostra poi, con chiarezza, l’esistenza di ampie strutture, destinata alla coltivazione ed alla vendita, con accesso di pubblico.
Devono, di conseguenza, escludersi, per le strutture di cui è causa, sia il carattere di semplice “copertura” sia quello di “stagionalità”, richiesti invece dall’art. 33 della legge regionale 12/2005.
Neppure potrebbe sostenersi, come invece fatto in ricorso, che le quattro strutture sarebbero precarie e facilmente amovibili, per cui difetterebbe in capo alle stesso ogni requisito di stabilità, che presuppone il rilascio di un titolo abilitativo.
Si tratta, infatti, di opere infisse al suolo stabilmente, a nulla rilevando che le fondazioni in calcestruzzo riguardino non l’intero perimetro della struttura ma solo la parte in corrispondenza dell’ingresso, destinate a soddisfare esigenze di carattere continuativo, tanto è vero che le stesse sono presenti in loco ormai da tempo e che al loro interno è svolta senza soluzione di continuità l’attività imprenditoriale dell’esponente. Trattandosi poi di opere chiuse, salvo i limitatissimi periodi di scopertura per esigenze agricole, le stesse realizzano altresì nuovi volumi.
Pare corretta, di conseguenza, la loro qualificazione come vere e proprie “serre” e come tali necessitanti di un titolo abilitativo, conformemente al pacifico indirizzo giurisprudenziale, per il quale la costruzione di una serra, anche se in astratto facilmente amovibile, presuppone il rilascio di concessione edilizia (ora, ovviamente, permesso di costruire), allorché la serra soddisfi stabilmente le esigenze di esercizio dell’impresa agricola e sia quindi destinata ad un indeterminata permanenza al suolo, modificando così definitivamente l’assetto urbanistico ed edilizio di una zona (TAR Brescia, sez. I, 19.11.2009 n. 2223; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 19.11.2009 n. 2794; Consiglio di Stato, sez. IV, 06.03.2006 n. 1119; sez. V, 23.09.2002 n. 4832; sez. V, 08.06.2000 n. 3247; sez. V, 13.03.2000 n. 1299; Cassazione penale, sez. III, 10.01.2000)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe disposizioni sulla fascia di rispetto cimiteriale sono dettate da ragioni di ordine pubblico, sia di carattere igienico-sanitario sia di rispetto della sacralità dei luoghi di sepoltura, per cui il vincolo cimiteriale costituisce un’ipotesi di inedificabilità ex lege, destinata a prevalere su eventuali disposizioni difformi degli strumenti urbanistici generali.
Di conseguenza, in caso di opere abusive collocate in fascia cimiteriale, il diniego di sanatoria non deve necessariamente, al fine dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo, effettuare una comparazione fra le opere realizzate ed i valori salvaguardati dal vincolo, essendo sufficiente il richiamo a quest’ultimo.
Le serre poiché necessitanti di titolo edilizio devono reputarsi “nuove costruzioni”, per le quali vale il vincolo assoluto di inedificabilità (fascia di rispetto cimiteriale) di cui al citato art. 338 del RD 27.07.1934 n. 1265
La disciplina del c.d. vincolo cimiteriale sia contenuta nell’art. 338 del RD 27.07.1934 n. 1265 (Testo Unico delle leggi sanitarie), in forza del quale (comma 1°, secondo periodo), <<E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale>>, pur facendosi salve <<le deroghe ed eccezioni previste dalla legge>>.
Tali deroghe devono essere consentite, dopo la riforma dell’art. 338 introdotta dalla legge 166/2002, dal consiglio comunale, con le modalità procedurali indicate dallo stesso art. 338, le quali prevedono il parere dell’azienda sanitaria locale. Prima dell’entrata in vigore della citata legge 166/2002, le deroghe al vincolo cimiteriale erano invece autorizzate dal Prefetto.
Nella Regione Lombardia, l’art. 8 del Regolamento regionale 09.11.2004 n. 6 (articolo rubricato “Zona di rispetto cimiteriale”), richiama espressamente l’art. 338 sopra citato e prevede la possibilità di riduzione della fascia di rispetto fino ad un minimo di 50 metri, previo parere favorevole dell’ASL e dell’ARPA.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che le disposizioni sulla fascia di rispetto cimiteriale siano dettate da ragioni di ordine pubblico, sia di carattere igienico-sanitario sia di rispetto della sacralità dei luoghi di sepoltura, per cui il vincolo cimiteriale costituisce un’ipotesi di inedificabilità ex lege, destinata a prevalere su eventuali disposizioni difformi degli strumenti urbanistici generali.
Di conseguenza, in caso di opere abusive collocate in fascia cimiteriale, il diniego di sanatoria non deve necessariamente, al fine dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo, effettuare una comparazione fra le opere realizzate ed i valori salvaguardati dal vincolo, essendo sufficiente il richiamo a quest’ultimo (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 27.10.2009 n. 6547, che conferma analoga pronuncia della Sezione II di questo TAR; Consiglio di Stato, sez. IV, 12.03.2007 n. 1185; TAR Veneto, sez. II, 07.02.2008 n. 325; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 17.03.2008 n. 541 e TAR Campania, Napoli, sez. IV, 29.11.2007 n. 15615).

Nel caso di specie, non vi è dubbio, in fatto, che le strutture della sig.ra ... siano collocate ad una distanza inferiore di 200 metri dal perimetro cimiteriale (l’esponente non contesta, anzi conferma tale circostanza), tuttavia, secondo la ricorrente, le opere realizzate sarebbero compatibili con la fascia di rispetto, trattandosi di opere destinate dall’agricoltura, non contrastanti con le previsioni di vincolo.
Sotto tale profilo, la censura è però infondata, in quanto le strutture collocate dall’esponente non possono essere considerate, come sopra indicato in sede di trattazione del motivo C, come mere coperture, prive di ogni impatto urbanistico, ma devono invece reputarsi opere stabili, destinate in via permanente e continuativa all’esercizio sia dell’attività agricolo sia di quella connessa di vendita al pubblico, il quale pertanto accede abitualmente alle serre per i propri acquisti.
Trattandosi, quindi, di serre necessitanti di titolo edilizio, per le ragioni già sopra esposte, le stesse devono reputarsi “nuove costruzioni”, per le quali vale il vincolo assoluto di inedificabilità di cui al citato art. 338
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISe un atto amministrativo è fondato su una pluralità di motivi autonomi fra loro, è sufficiente la legittimità di uno solo di questi per impedire l’annullamento giurisdizionale dell’atto stesso.
In caso di atto amministrativo fondato su una pluralità di motivi autonomi fra loro, è sufficiente la legittimità di uno solo di questi per impedire l’annullamento giurisdizionale dell’atto stesso (Consiglio di Stato, sez. V, 29.05.2006 n. 3259; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 10.09.2009 n. 4647 e 13.01.2010 n. 22; sez. IV, 05.07.2006 n. 1705) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: L’articolo 9 del D.M. 1444/1968 consente “distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi , nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”. Tale deroga può applicarsi agli strumenti di recupero (ndr: Piani di Recupero) ma solo allorquando le opere preesistenti non vengano demolite ovvero vengano fedelmente ricostruite con gli ingombri originari; viceversa l’art. 9 citato non può mai riferirsi alle nuove costruzioni per le parti eccedenti i limiti dell’immobile demolito.
Il sig. Teseo impugna i citati provvedimenti di pianificazione (Piano di Recupero), lamentando che l’attuazione dello strumento urbanistico così deliberato comporterebbe fatalmente –a causa del costruendo fabbricato in luogo del modesto capannone esistente- una notevole violazione delle distanze rispetto all’immobile finitimo, di cui egli è comproprietario. Si tratterebbe peraltro di una demolizione irrazionalmente disposta su di un manufatto ancora valido e comunque ben suscettibile di interventi di restauro, risanamento e ristrutturazione.
Il ricorso trova accoglimento per l’assorbente fondatezza della prima censura con cui viene dedotta l’illegittimità del piano per violazione degli artt. 8 e 9 del D.M. 1444/1968, senza che in contrario possa essere invocato l’articolo 9 del citato D.M., ove si consentono “distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi , nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche” (il Comune resistente ha per l’appunto sostenuto che la valenza attuativa del piano di recupero –simile al piano particolareggiato- ben avrebbe legittimato la deroga alle distanze lamentata dal ricorrente).
Va infatti rilevato che tale deroga può applicarsi agli strumenti di recupero ma solo allorquando le opere preesistenti non vengano demolite ovvero vengano fedelmente ricostruite con gli ingombri originari; viceversa l’art. 9 citato non può mai riferirsi alle nuove costruzioni per le parti eccedenti i limiti dell’immobile demolito (tar Abruzzo -AQ- n. 903/2007, Cass. Civ. n. 3762/1989; C.S. sez. IV, n. 3929/2002).
Nel caso di specie non è controverso in atti né la rilevante diversità dimensionale del nuovo immobile rispetto al modesto manufatto preesistente, né la circostanza che le distanze rispetto al fabbricato di comproprietà del ricorrente si attesterebbero al di sotto dei limiti previsti dal citato D.M. 1444/1968 (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 05.05.2010 n. 395 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La sanzione pecuniaria per interventi ristrutturativi (abusivi) risulta essere misura eccezionale, alternativa alla demolizione solo ove risulti l'impossibilità del ripristino. Detta impossibilità può essere rilevata d'ufficio o fatta valere dall'interessato, ma comunque in una fase successiva all'ingiunzione, a carattere diffidatorio, che precede l'ordine di demolizione (quest'ultimo da emettere sulla base di specifici accertamenti dell'ufficio tecnico comunale, chiamato ad intervenire nella fase esecutiva sia in relazione all’applicazione dell’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/2001.
L’impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi alcuna valenza può avere quanto alle opere oggetto dell’ingiunzione di demolizione di cui all’ordinanza n. 891 del 2007, posto che l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 non contempla al riguardo l’irrogazione di una sanzione pecuniaria alternativa rispetto all’ingiunzione di demolizione (TAR Campania Napoli, sez. VII, 05.06.2008, n. 5244) e che, pertanto, la stessa non può trovare applicazione rispetto agli interventi, come quello in esame, caratterizzato dalla mancanza, rispetto alla sopraelevazione abusiva, di qualsiasi titolo abilitante all’edificazione (TAR Campania Napoli, sez. VII, 04.04.2008, n. 1883; TAR Campania Napoli, sez. VII, 28.12.2007, n. 16550).
La valutazione della possibilità o meno del ripristino deve infatti essere compiuta, ad opera dell’ufficio tecnico comunale, in sede di esecuzione dell’ingiunzione di demolizione.
La correttezza di siffatta conclusione si evince infatti da una lettura del combinato disposto dei primi due commi dell’art. 33 D.P.R. 380/2001 a mente dei quali “gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso. Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27.07.1978, n. 392 e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell'articolo 16 della medesima legge. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio”.
Detta conclusione risulta condivisa peraltro anche da una parte delle giurisprudenza, sia in relazione all’applicazione dell’art. 33, comma 2, d.p.r. 380/2001 (cfr. TAR Lazio Roma, sez. I, 17.04.2007, n. 3327 secondo cui “la sanzione pecuniaria per interventi ristrutturativi risulta essere misura eccezionale, alternativa alla demolizione solo ove risulti l'impossibilità del ripristino. Detta impossibilità può essere rilevata d'ufficio o fatta valere dall'interessato, ma comunque in una fase successiva all'ingiunzione, a carattere diffidatorio, che precede l'ordine di demolizione (quest'ultimo da emettere sulla base di specifici accertamenti dell'ufficio tecnico comunale, chiamato ad intervenire nella fase esecutiva (cfr. in tal senso TAR Lombardia, Brescia, 09.12.2002, n. 2213), sia in relazione all’applicazione dell’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/2001 (Consiglio Stato, sez. V, 21.05.1999, n. 587; TAR Campania Napoli, sez. VII, 05.06.2008, n. 5244)"
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 04.05.2010 n. 2501 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa distanza minima tra edifici di cui al D.M. 1444/1968 trova applicazione in caso di nuove costruzioni e non in caso di ristrutturazione mediante demolizione di edificio esistente e costruzione nel rispetto del volume e della sagoma originari, con mantenimento dell’originaria distanza.
Nel sesto mezzo, è lamentata la violazione della disciplina sulle distanza fra edifici, prevista sia dal codice civile sia dal DM 1444/1968.
La censura deve essere respinta, in quanto la normativa sopra indicata trova applicazione in caso di nuove costruzioni ma non, come nella presente controversie, di ristrutturazione mediante demolizione di edificio esistente e costruzione nel rispetto del volume e della sagoma originari, con mantenimento dell’originaria distanza (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 26.04.2007 n. 1991 e Cass. Civ., sez. II, 27.10.2009, n. 22689) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla legittimità dell'annullamento di un'aggiudicazione provvisoria per ragioni di pubblico interesse.
Sulla non configurabilità di alcuna responsabilità precontrattuale in capo all'amministrazione appaltante che si è motivatamente avvalsa della facoltà, prevista nel bando di gara, di non aggiudicare l'appalto per ragioni di pubblico interesse.

E' legittimo l'annullamento di un'aggiudicazione provvisoria disposto da una stazione appaltante per ragioni di superiore interesse pubblico, in quanto, come previsto dalla disciplina sulla contabilità generale della Stato, nonché per consolidata giurisprudenza, è concessa la facoltà, alla stazione appaltante, di eliminare gli atti divenuti inopportuni, laddove lo richiedano ragioni tali da giustificare il contrapposto sacrificio dell'interesse facente capo al soggetto aggiudicatario. Nel caso di specie, il superiore interesse pubblico è rappresentato dal mancato finanziamento comunitario per la realizzazione del servizio oggetto dell'appalto.
Non è configurabile la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante che si è motivatamente avvalsa della facoltà, prevista nel bando di gara, di non aggiudicare l'appalto per ragioni di pubblico interesse. Trattandosi di atto endoprocedimentale, l'aggiudicazione provvisoria determina soltanto una mera aspettativa di fatto alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata che, viceversa, può solo derivare dall'aggiudicazione definitiva. Pertanto, l'aggiudicazione provvisoria, anche se individua un potenziale aggiudicatario definitivo alla gara, è un atto ancora ad effetti instabili, del tutto interinali, che determina la nascita di una mera aspettativa. Nel caso di specie, è indubbio che la riprogrammazione ed il venir meno di parte dei finanziamenti comunitari abbiano influito in misura decisiva sulle determinazioni dell'amministrazione, costituendo giustificati motivi di mancata conclusione dell'appalto. Tale circostanza è idonea ad escludere l'elemento soggettivo del dolo o della colpa, a sua volta imprescindibile per integrare gli estremi della invocata responsabilità precontrattuale che, come noto, è riconducibile alla responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 del codice civile (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 03.05.2010 n. 2263 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: La mancata impugnazione del rendiconto impedisce l’autonoma contestazione del bilancio di previsione.
Il consigliere comunale può impugnare atti dell'amministrazione, nello specifico deliberazioni, solo quando dalle medesime sia leso il proprio ius ad officium e non già quando si lamenti una violazione di forma o sostanza: non si può, infatti, ritenere che ogni deliberazione sia ipoteticamente assoggettabile all'azione di impugnazione dei consiglieri dissenzienti. D'altro canto l'illegittimità, rilevabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dall'atto, non si traduce in una automatica lesione dello ius ad officium.
Inoltre, i consiglieri comunali, in quanto tali, non appaiono legittimati ad agire contro l'Amministrazione di appartenenza, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive; sicché, un ricorso di singoli consiglieri può ipotizzarsi soltanto allorché vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all'ufficio dei medesimi e quindi su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere.

L'approvazione del rendiconto, atto che deve essere allegato al bilancio di previsione, incide sul successivo sviluppo delle scritturazioni del bilancio medesimo. Ove non sia impugnata l'approvazione del rendiconto, la volizione in esso contenuta diventa immodificabile con la conseguente improcedibilità della domanda giudiziaria proposta avverso il bilancio di previsione rendicontato e approvato.
Tale motivo costituisce una delle ragioni che hanno spinto i giudici di Palazzo Spada al rigetto della domanda, proposta avverso la deliberazione del bilancio di previsione, da un gruppo di persone in qualità di cittadini e di consiglieri comunali. In riferimento alla prima veste assunta dalle persone ricorrenti, i giudici hanno evidenziato innanzitutto un difetto di legittimazione a ricorrere.
L'azione popolare di cui all'art. 7 della legge 142/1990 infatti offre uno strumento a ciascun elettore in caso di omissione di azione da parte dell'ente locale. L'azione non è invece attivabile quando l'amministrazione abbia proceduto ed anche quando si ritenga che l'azione posta in essere abbia profili di illegittimità.
L'azione popolare in effetti è uno strumento suppletivo o sostitutivo ed è destinata a tutelare diritti e interessi dell'ente in caso di inerzia dei suoi amministratori, Ammettere una azione popolare avverso una deliberazione significherebbe riconoscere all'azione un nuovo carattere di tipo correttivo nei confronti dell'agire amministrativo.
Per quanto riguarda il ruolo di consiglieri comunali, i magistrati della quinta sezione, riproponendo parte degli approdi giurisprudenziali in tema, hanno ribadito che il consigliere comunale può impugnare atti dell'amministrazione, nello specifico deliberazioni, solo quando dalle medesime sia leso il proprio ius ad officium e non già quando si lamenti una violazione di forma o sostanza:non si può infatti ritenere che ogni deliberazione sia ipoteticamente assoggettabile all'azione di impugnazione dei consiglieri dissenzienti. D'altro canto l'illegittimità, rilevabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dall'atto, non si traduce in una automatica lesione dello ius ad officium.
Inoltre, i consiglieri comunali, in quanto tali non appaiono legittimati ad agire contro l'Amministrazione di appartenenza, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive; sicché, un ricorso di singoli consiglieri può ipotizzarsi soltanto allorché vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all'ufficio dei medesimi e quindi su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere (ad es., scioglimento del Consiglio comunale e nomina di un commissario ad acta: cfr. Cons. St., sez. V, 31.01.2001, n. 358) (commento tratto da www.doumnetazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.04.2010 n. 2457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non può essere imposta, mediante regolamento comunale edilizio, l'osservanza di determinate distanze dagli edifici esistenti; ugualmente, ed anzi a maggior ragione, non si può pretendere di localizzare gli impianti ad una determinata distanza dal confine di proprietà, trattandosi di previsione che appare priva di giustificazione alcuna e rappresenta solo un indebito impedimento nella realizzazione di una rete completa di telecomunicazioni.
E' condivisibile l'affermazione contenuta nella decisione n. 8214/2009 secondo cui “- riguardo alla competenza regolamentare in materia, in particolare attribuita ai Comuni con l’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, la giurisprudenza ha precisato la differenza fra "criteri localizzativi” e “limiti alla localizzazione” ritenendosi consentiti i primi, in quanto recanti criteri specifici rispetto a localizzazioni puntuali, e non i secondi, in quanto recanti divieti generalizzati per intere aree (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI: 05.06.2006, n. 3452; 19.05.2008, n. 2287; 17.07.2008, n. 3596), dovendosi concludere, su questa base, che la citata norma del regolamento edilizio comunale, riguardando l’intero centro abitato, viene a rientrare nella normativa del secondo tipo;
- la realizzazione degli impianti in questione è subordinata soltanto all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del Codice, che pone una normativa speciale esaustiva dell’esame di diversi profili implicati, incluso quello della compatibilità edilizio-urbanistica dell’intervento, non occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli articoli 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI: 17.10.2008, 5044; 05.08.2005, n. 4159)
”.
Già in passato, peraltro, la Sezione, coerentemente con l’impostazione sopra riportata la cui piena condivisibilità deve ribadirsi in questa sede, aveva evidenziato che “il regolamento comunale che delinei la suddivisione del territorio comunale in tre tipologie di aree (maggiormente idonee, di attenzione e sensibili) si pone in contrasto con il d.lg. n. 259 del 2003, non consentendo tale decreto alle amministrazioni comunali di estendere la propria competenza sino a selezionare le aree del territorio, individuandone solo alcune come idonee ad ospitare gli impianti. L'installazione di impianti di telecomunicazione, infatti, deve ritenersi in generale consentita sull'intero territorio comunale in modo da poter realizzare, con riferimento a quelli di interesse generale, un'uniforme copertura di tutta l'area comunale interessata” (Consiglio Stato, sez. VI, 28.03.2007, n. 1431)
Tale orientamento è stato ancora di recente ribadito dalla Sezione (Consiglio Stato, sez. VI, 23.06.2008, n. 3133), e da esso non si ravvisano motivi per discostarsi.
Si è detto in passato, pertanto, che “va dichiarata l'illegittimità di un regolamento comunale adottato ai sensi dell'art. 8 comma 6 l. 22.02.2001 n. 36, laddove l'ente territoriale si sia posto quale obiettivo, sebbene non dichiarato, ma evincibile dal contenuto dell'atto regolamentare, quello di preservare la salute umana dalle emissioni elettromagnetiche promananti da impianti di radiocomunicazione (ad esempio attraverso la fissazione di distanze minime delle stazioni radio base da particolari tipologie d'insediamenti abitativi), essendo tale materia attribuita alla legislazione concorrente Stato-regioni dell'art. 117 cost., come riformato dalla l. cost. 18.10.2001 n. 3“ (Consiglio Stato, sez. VI, 20.12.2002, n. 7274).
Del pari, è stato rilevato che “come non può essere imposta, mediante regolamento comunale edilizio l'osservanza di determinate distanze dagli edifici esistenti; ugualmente, ed anzi a maggior ragione, non si può pretendere di localizzare gli impianti ad una determinata distanza dal confine di proprietà, trattandosi di previsione che appare priva di giustificazione alcuna e rappresenta solo un indebito impedimento nella realizzazione di una rete completa di telecomunicazioni” (Consiglio Stato, sez. VI, 25.06.2007, n. 3536).
Si è addirittura escluso che la stessa “causale” dell’esercizio della potestà regolamentare possa essere determinata da esigenze protettive di interessi diversi da quelli relativi a “valutazioni strettamente riguardanti interessi riferibili ad aspetti urbanistici, edilizi, architettonici, di decoro o di protezione del territorio” (Consiglio Stato, sez. VI, 06.08.2002, n. 4096).
Sul punto può aggiungersi che, ancora di recente, si è affermato che “ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici 22.02.2001 n. 36, i comuni possono adottare un regolamento atto ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione comunale ai campi elettromagnetici. Tuttavia, il potere regolamentare comunale non può implicare la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato, non rientrando tale potere nell'ambito delle competenze comunali. Non può, pertanto, il comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure derogatorie ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali, ad esempio, il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero, introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.) non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo (Consiglio Stato, sez. VI, 03.10.2007, n. 5098, ma si veda anche Consiglio Stato, sez. VI, 05.06.2006, n. 3332, secondo cui “è illegittimo il regolamento comunale che, in materia di installazione di impianti di telefonia mobile, contiene prescrizioni che non costituiscono espressione di pianificazione urbanistica, ma di tutela della salute e ciò in quanto la l. quadro 22.02.2001 n. 36 ha attribuito esclusivamente allo Stato la funzione di fissazione dei criteri e dei limiti rilevanti ai fini della protezione della popolazione dalle potenzialità nocive insite nell'esposizione ai campi magnetici”)"
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.04.2010 n. 2436 - link a www.giustizia-aministrativa.it).

APPALTI: Il diritto di accesso prevale sulla segretezza tecnica o commerciale.
Il diritto di accesso agli atti di una gara di appalto va concesso anche quando vi è l’opposizione di altri partecipanti controinteressati in tutela di segreti tecnici e commerciali, in quanto esso è prevalente rispetto l’esigenza di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 25.03.2010 n. 1657 - link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi pubblici: i bandi devono essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
Il bando di concorso indetto da un Comune deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
La mancata pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana di un bando di concorso pubblico contrasta insanabilmente con l'articolo 4 del D.P.R. 09.05.1994, n. 487 (regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi).
Secondo i giudici di Palazzo Spada tale norma, richiamando al primo comma la data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ai fini della decorrenza del termine perentorio dei trenta giorni per la presentazione delle domande di ammissione, prescrive un obbligo generalizzato per tutte le pubbliche amministrazioni di pubblicare i bandi di concorso nella GURI.
Il comma 1-bis (introdotto dall'articolo 4 del D.P.R. 30.10.1996, n. 693) prevede in particolare per gli enti locali territoriali la possibilità di sostituire la pubblicazione integrale del bando “con l'avviso di concorso contenente gli estremi del bando e l'indicazione della scadenza del termine per la presentazione delle domande”.
Secondo il Consiglio di Stato le previsioni sopra richiamate risultano pienamente conformi con quanto stabilito dall'articolo 35, comma 3, del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendente delle amministrazioni pubbliche) che si limita a prescrivere un'adeguata pubblicità della selezione.
Tali norme di dettaglio quindi non possono essere disapplicate delle singole amministrazioni, in quanto conformi “alla norma di rango superiore ed allo stesso dettato degli articoli 51 e 97 della Costituzione, che garantiscono il diritto di accesso agli impieghi pubblici di tutti i cittadini su di un piano di parità, esercitabile solo attraverso un sistema di pubblicità che favorisca la massima partecipazione” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.02.2010 n. 871 - link a www.altalex.com).

APPALTIPROCEDURE NEGOZIATE.
Il Tar Puglia precisato, in materia di procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara, che “l’articolo 57, comma 2°, lettera “b” del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006) prevede la procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando di gara, quale ipotesi di deroga al principio generale della gara pubblica, nel caso in cui “per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato”. Ricorre tale fattispecie, in relazione ad un sistema di telegestione e di risparmio energetico sugli impianti di pubblica illuminazione, laddove l’impresa, in ragione anche dei brevetti insiti nella sua proposta progettuale, si ponga come “unico interlocutore” per la fornitura del sistema medesimo”.
In riferimento ad una peculiare fattispecie, il Tar ha evidenziato che il procedimento di individuazione dell’operatore unico determinato, così come posto in essere, appare corretto e pienamente condivisibile.
Infatti, in primo luogo, la stazione appaltante, in qualità di Pubblica amministrazione, deve porsi il problema di individuare con precisione l’interesse o, rectius, l’esigenza pubblica da soddisfare.
Si tratta di un importante elemento, la cui corretta individuazione è decisiva, in quanto imprecise ricognizioni condizioneranno negativamente e, sovente, in modo irreparabile, l’agire futuro. Individuata correttamente l’esigenza, è possibile pervenire alla definizione tecnica del servizio, da ricercare sul mercato.
E’ evidente che l’identificazione del servizio e delle sue peculiari e, talora, esclusive caratteristiche, deve avvenire con estremo rigore da parte della Pubblica amministrazione, in modo da poter comprendere e, poi, dimostrare, la possibilità, o meno del ricorso al mercato, cioè alla gara pubblica, oppure la necessità di contrattare con un unico operatore economico. Solo a questo punto, cioè dopo aver individuato il “bisogno pubblico” e definito il servizio nei suoi elementi tecnici, è possibile valutare l'eventuale sussistenza di "motivi di natura tecnica", implicanti la contrattazione con un solo soggetto, cioè l'affidamento senza gara.
In buona sostanza, la precisa qualificazione del servizio, a seguito della ricognizione delle pubbliche esigenze, si rivela estremamente importante ai fini della trasparenza e della correttezza dell’azione amministrativa, in quanto si pone come decisivo discrimen fra la “regola” della gara pubblica e la sua antitetica “eccezione”, rappresentata dalla procedura negoziata. Solo dopo tale "percorso", appare corretta e legittima la procedura negoziata.
La stazione appaltante deve illustrare tale intero percorso procedurale, con adeguata ed esaustiva motivazione, affinché il suo agire possa essere sottoposto ad un controllo, invero delicato, in quanto si ha a che fare con il risultato di una valutazione di discrezionalità tecnica.
E’ ben evidente che solo la puntuale illustrazione di tale percorso consentirà al giudice di non travalicare i suoi limiti, verificando la plausibilità logica dell’agire complessivo (commento tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 29.01.2010 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: AUTENTICAZIONE SOTTOSCRIZIONE FIDEJUSSORI.
Il Tar Lazio ha affermato che “la clausola della lettera di invito, che prevede l’autenticazione della sottoscrizione della fideiussione, deve ritenersi meritevole di tutela, in quanto garantisce la provenienza del documento in maniera più forte rispetto all’uso della modulistica della banca o dell’assicurazione, anche se si tratti di soggetti sottoposti alla vigilanza ed all’iscrizione in un apposito albo”. Il Tar Lazio si inserisce nel dibattito giurisprudenziale in materia, conferendo spunti sicuramente innovativi.
Primariamente, i giudici laziali prendono atto, come censurato da parte dell’impresa ricorrente esclusa, che la prescrizione non trova fondamento nella legge, nel senso che non è contemplata in alcuna disposizione normativa. Tuttavia, ciò non vuol dire che essa sia priva di ragionevolezza: “non può, infatti, ritenersi in contrasto con la disciplina legislativa, che non lo prevede espressamente, ma neppure lo esclude”.
Invero, la mancanza di apposita previsione legislativa non può condurre, di per sé, a ritenere la clausola vietata dall’ordinamento. Di conseguenza, si deve verificare, se tale clausola possa, comunque, essere inserita dalle stazioni appaltanti nell’ambito della discrezionalità, attribuita loro quali amministrazioni pubbliche o nell’ ambito dell’autonomia privata, quali contraenti di diritto privato. In tale ultimo senso, il Tar Lazio dà luogo a spunti innovativi.
Viene significativamente rilevato che, nell’ambito dei rapporti di diritto privato, le parti hanno un’ampia autonomia anche nella determinazione della forma del contratto. L’articolo 1352 del codice civile attribuisce alle parti l’autonomia di regolare la forma di un successivo contratto da stipulare. Il comma 4° dell’articolo 1326 prevede che il proponente possa richiedere un determinata forma per l’accettazione della proposta.
In particolare, nella fideiussione, in considerazione della particolare gravosità dell’impegno del garante, l’autonomia della parti si esplica, ad esempio, nella stipulazione del beneficio della preventiva escussione del debitore, beneficio che, peraltro, è previsto espressamente nella disciplina codicistica (art. 75, comma 4°, per la cauzione provvisoria e 113, comma 2°, per l’aggiudicazione definitiva). Dunque, non vi è alcun dubbio che la stazione appaltante possa espressamente richiedere, nelle prescrizioni del bando o della lettera di invito, ulteriori prescrizioni.
A ben vedere, la richiesta di una determinata forma per il rilascio della fideiussione (scrittura privata autenticata, art. 2703 c.c.), deve essere ricondotta all’autonomia privata, diversamente dalla richiesta di dichiarazioni e certificazioni per le quali valgono i principi di semplificazione a cui effettivamente l’ordinamento della pubblica amministrazione è informato. In tale ambito, la clausola in esame appare, secondo il Tar, meritevole di tutela, in quanto garantisce la provenienza del documento in maniera più forte rispetto all’uso della modulistica della banca o dell’assicurazione, anche se si tratti di soggetti sottoposti alla vigilanza ed all’iscrizione in un apposito albo (commento tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 15.01.2010 n. 280 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIATTESTAZIONE SOA: POSSIBILITA’ DI ULTERIORI REQUISITI IN SEDE DI GARA.
Il Consiglio di Stato ha affrontato il delicato problema della discussa legittimità, per una stazione appaltante, di poter introdurre requisiti ultronei rispetto all’attestazione SOA, in materia di appalto di lavori.
In merito, ha statuito che: “Non appare ragionevole la clausola del bando di gara, che, ai fini del possesso di un dato requisito, ulteriore rispetto all’attestazione SOA, equipara la fattispecie di “avere in corso di esecuzione i lavori” alla distinta situazione di “aver già eseguito i lavori”.
Infatti, è evidente la differenza e la conseguente irragionevolezza dell’equiparazione, tra la situazione di una impresa, che ha correttamente realizzato determinati lavori per un certo importo e chi, come l’aggiudicataria, ha solo ricevuto la consegna o, comunque, iniziato dei lavori, potendo pregiarsi, in sostanza, solo di essersi aggiudicata una gara.
Siffatti lavori, solo iniziati e non ultimati, non esprimono alcuna valenza per l’affidabilità dell’impresa
” (commento tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.01.2010 n. 14 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione amministrativa: il patema d'animo non integra la "turbativa pubblica".
Laddove una autorizzazione sia rilasciata con la clausola di salvezza della c.d. “turbativa pubblica” essa non può essere rintracciata nel semplice fatto che la “quasi totalità dei residenti”, di una zona non meglio identificata, avrebbe sottoscritto due esposti nei quali si riferirebbe -  quanto é dato comprendere– di danni irreversibili provocati dalle radiazioni emanate dalla stazione radio base oggetto della autorizzazione.
Così facendo l’Amministrazione ha erroneamente interpretato il significato di “turbativa pubblica”, locuzione che deve essere intesa in senso oggettivo, ossia come situazione che turba la collettività procurando alla stessa disturbi, danni, o alterazioni di qualsiasi tipo ma comunque oggettivamente riscontrabili, e non, invece, come situazione che viene percepita dai cittadini come possibile fonte di danni o disturbi: il semplice patema d’animo generato da una determinata situazione, insomma, non é idoneo ad integrare una situazione di “turbativa pubblica”.
Così si è pronunciato il TAR Puglia in ordine al ricorso promosso da un operatore del settore della telefonia mobile avverso un provvedimento amministrativo finalizzato alla revoca di precedente autorizzazione rilasciata per il posizionamento di una antenna “su gomma” all’interno di un appezzamento di terreno privato
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 25.09.2009 n. 2124 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATASono esenti dal versamento degli oo.uu. quelle superfici necessarie alla realizzazione delle sale cinematografiche ivi compresa la volumetria per gli ingressi, le uscite, le biglietterie, i servizi igienici e le cabine di proiezione.
Non sono, invece, esentate dal pagamento degli oneri concessori gli altri locali contestualmente realizzati e destinati al tempo libero e quelli comunque a destinazione promiscua con dette ulteriori attività nonché quelli diretti ad offrire un ulteriore servizio a favore degli spettatori o per lo svolgimento di un’attività commerciale o di ristorazione ma non strettamente necessari per l’attività cinematografica.

L’articolo 20, comma settimo, del D.L. 14.01.1994, n. 26, convertito in legge 01.03.1994, n. 153, precisa che “ai fini del rilascio delle concessioni edilizie, la volumetria necessaria per la realizzazione di sale cinematografiche non concorre alla determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli oneri di concessione”.
Nel caso in esame, dalla documentazione prodotta in atti dalla parte, risultano, invece, corrisposti, perché pretesi dal Comune, gli oneri per l’intera superficie dell’intervento edilizio.
Il Comune, pertanto, dovrà restituire l’importo percepito in eccedenza, in violazione della citata normativa.
A tal fine il Comune dovrà scomputare dalla superficie complessiva dell’intervento quelle necessarie alla realizzazione delle sale cinematografiche ivi compresa la volumetria per gli ingressi, le uscite, le biglietterie, i servizi igienici e le cabine di proiezione.
Non sono, invece, esentate dal pagamento degli oneri concessori gli altri locali contestualmente realizzati e destinati al tempo libero e quelli comunque a destinazione promiscua con dette ulteriori attività nonché quelli diretti ad offrire un ulteriore servizio a favore degli spettatori o per lo svolgimento di un’attività commerciale o di ristorazione ma non strettamente necessari per l’attività cinematografica (TAR per la Campania–Napoli, sez. 4^, n. 10364 del 09.06.2004) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 04.05.2007 n. 444 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 17.05.2010

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Il Senato approva la Legge Comunitaria 2009: DIA per gli impianti di energie rinnovabili fino ad 1MW.
Per realizzare impianti a energie rinnovabili di potenza fino a 1 MW sarà sufficiente la DIA (denuncia di inizio attività).
La disposizione è prevista dalla Legge Comunitaria 2009 approvata in Senato.
L'articolo 17, al comma 1 lettera c), stabilisce "l'assoggettamento alla disciplina della DIA di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, per gli impianti per la produzione di energia elettrica con capacità di generazione non superiore ad un MW elettrico di cui all'articolo 2, lettera e), del decreto legislativo 29.12.2003, n. 387, alimentate dalle fonti di cui alla lettera a)" ... (link a www.acca.it).

SICUREZZA CANTIERI: L'impianto elettrico e l'impianto di terra del cantiere edile.
Sul sito della regione Campania è disponibile un documento, curato dall'Ing. Antonio Scalzi, dal titolo "Impianto elettrico di terra e di cantiere".
Il documento contiene tutte le informazioni per la corretta realizzazione dell'impianto elettrico e di terra del cantiere e per le opportune verifiche da parte dei coordinatori della sicurezza.
L'autore, ad esempio, chiarisce che nei cantieri è obbligatoria l'installazione esclusivamente di quadri ASC, cioè quadri costituiti da un contenitore in materiale isolante, con all'interno montati e cablati dispositivi di protezione: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Detrazioni fiscali per l'efficienza energetica: analisi, risultati e prospettive.
Lo scorso 4 maggio si è tenuto l'incontro "Detrazioni fiscali per l'efficienza energetica: analisi, risultati e prospettive" organizzato dall'ENEA sulle detrazioni fiscali del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti.
L'incontro ha fornito l'occasione per stilare un bilancio dei risultati ottenuti e per discutere delle implicazioni della scadenza delle agevolazioni, fissata al 31.12.2010.
Le detrazioni fiscali del 55%, introdotte dalla Legge Finanziaria 2007 e confermate fino alla fine di quest'anno, rappresentano la misura più concreta per limitare il consumo di energia e le emissioni nel settore edile, a cui si deve circa un terzo del consumo di energia per gli usi finali ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Incentivi per l'acquisto di case ad "alta efficienza": nuovi chiarimenti del Ministero dello sviluppo economico.
Il Ministero dello Sviluppo Economico, in risposta ad alcuni quesiti posti dall'ANCE, secondo quanto riportato sul sito dell'Associazione nazionale dei Costruttori, ha fornito ulteriori chiarimenti sui contributi per gli immobili ad alta efficienza energetica definiti dal D.M. del 26.03.2010.
Il Ministero ha chiarito che per superficie utile bisogna riferirsi alla definizione di superficie utile contenuta nell'Allegato A, pt. 32, del D.Lgs. 192/2005 ovvero la superficie netta calpestabile di un edificio riferita alle sole parti riscaldate, il cui valore è riportato nell'attestato di certificazione energetica dell`immobile (Allegato 6 dell'Allegato A al DM 26/06/2009) ... (link a www.acca.it).

PUBBLICO IMPIEGO - SICUREZZA CANTIERI: Dall'ISPESL la guida alla valutazione e la gestione dello stress lavoro-correlato.
Il Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) ha individuato, tra i rischi per i quali occorre effettuare la valutazione negli ambienti di lavoro, lo stress lavoro-correlato.
L'obbligo della valutazione del rischio stress lavoro-correlato, secondo le disposizioni dell'art. 28 del Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), decorre dal momento in cui la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro rende disponibili le proprie indicazioni.
Lo stesso art. 28, tuttavia, prevede che, in assenza di tali indicazioni, l'obbligo decorra comunque dal 1° agosto 2010 ... (link a www.acca.it).

LAVORI PUBBLICI: Materiali da costruzione: in gazzetta il decreto. Per la prima volta prezzi in diminuzione.
Sulla Gazzetta Ufficiale del 05.05.2010 n. 103 è stato pubblicato il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 09.04.2010 recante "Rilevazione dei prezzi medi per l'anno 2008 e delle variazioni percentuali, superiori al dieci per cento, relative all'anno 2009, ai fini della determinazione delle compensazioni dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi".
Nel provvedimento è contenuta la rilevazione dei prezzi medi dei materiali 2008 e la variazione percentuale del 2009 sul 2008.
I prezzi dei materiali, per la prima volta, fanno registrare un forte calo ... (link a www.acca.it).

VARI: Le regole per una guida ecocompatibile: guidare sicuri e consumare meno.
La direttiva 1999/94/CEE, recepita in Italia con il decreto del Presidente della Repubblica 17.02.2003, n. 84, richiede agli Stati membri di pubblicare annualmente una guida sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 delle autovetture al fine di fornire ai consumatori informazioni utili per un acquisto consapevole di autovetture nuove, con lo scopo di contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra e al risparmio energetico.
È disponibile sul sito del Governo l'edizione 2010 della "GUIDA SUL RISPARMIO DI CARBURANTE E SULLE EMISSIONI DI CO2".
La Guida fornisce anche indicazioni sulla manutenzione corretta dei veicoli e sullo stile di guida. Tra queste: curare la manutenzione eseguendo i necessari controlli e le registrazioni previste dalla casa costruttrice. In particolare, cambiare l'olio regolarmente e smaltirlo correttamente. Consigliato, inoltre, di non viaggiare con condizioni di carico gravose, perché il peso del veicolo influenza fortemente i consumi.
Alcune regole pratiche e una corretta manutenzione dell'auto permettono di ridurre i consumi e le emissioni di CO2 del 10/15% migliorando anche la sicurezza su strada: ... (link a www.acca.it).

VARI: Conto Energia 2011 in dirittura arrivo: le novità.
Secondo quanto affermato dall'Ing. Montanino del G.S.E., e riportato da più fonti, la nuova bozza del conto energia per l'incentivazione del fotovoltaico è in attesa dell'approvazione della nuova Conferenza unificata Stato-Regioni, che avverrà probabilmente nelle prossime settimane.
Numerose le novità previste: anzitutto riduzioni degli incentivi dal 12% al 25%, a seconda dei casi ... (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

VARI: G.U. 14.05.2010 n. 111, suppl. ord. n. 89, "Approvazione della guida al risparmio di carburante ed alle emissioni di CO2, ai sensi dell’articolo 4, decreto del Presidente della Repubblica 17.02.2003, n. 84, riguardante il regolamento di attuazione della direttiva 1999/94/CE concernente la disponibilità di informazioni sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 da fornire ai consumatori per quanto riguarda la commercializzazione di autovetture nuove" (Ministero dello Sviluppo Economico, decreto 26.04.2010).

LAVORI PUBBLICI: G.U. 05.05.2010 n. 103 "Rilevazione dei prezzi medi per l’anno 2008 e delle variazioni percentuali, superiori al dieci per cento, relative all’anno 2009, ai fini della determinazione delle compensazioni dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, decreto 09.04.2010).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: G. Guzzo, L’APPALTO PUBBLICO: FISIOLOGIA E PATOLOGIA DELLA VICENDA CONTRATTUALE NEL NUOVO SCHEMA LEGISLATIVO E GIURISPRUDENZIALE (link a www.giustizia-amministrativa.it).

NEWS

APPALTIAppalti, il negoziato è l'eccezione. Novità del procedimento che riduce la discrezionalità mantenendo la flessibilità operativa. Procedura di gara snella e innovativa a scelta del contraente.
La procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara, disciplinata dall'art. 56 del D.Lgs. n. 163/2006 (così detto «Codice dei contratti pubblici»), è una procedura di scelta del contraente che costituisce una specie di spartiacque tra la rigida formalizzazione delle procedure aperte e ristrette e la maggiore snellezza operativa che invece caratterizza, sempre nel rispetto dei principi generali dell'attività contrattuale pubblica, le procedure negoziate.
Inoltre, è una procedura che si caratterizza per alcuni aspetti innovativi di grande interesse, introdotti dal legislatore comunitario e recepiti fedelmente dalla norma nazionale, che possono, però, presentare qualche difficoltà a livello operativo.
Aspetti generali. Il tratto comune della procedura negoziata preceduta da bando di gara rispetto alle altre procedure negoziate disciplinate dal Codice è che si tratta di una procedura eccezionale, utilizzabile, cioè, nei soli casi e alle condizioni specifiche espressamente previste dalla norma. Dopo le modifiche introdotte dal secondo decreto correttivo al Codice dei contratti (D.Lgs. n. 113/2007), le ipotesi di ricorso alla procedura negoziata preceduta da bando di gara sono rimaste solo due: quando, dopo l'esperimento di una procedura aperta o ristretta o di un dialogo competitivo, tutte le offerte presentate sono irregolari oppure inammissibili, in ordine a quanto disposto dal Codice in relazione ai requisiti degli offerenti e delle offerte, purché restino sostanzialmente ferme le condizioni iniziali del contratto (lettera «a del comma 1 dell'art. 56, applicabile a forniture e servizi di qualsiasi importo e a lavori fino a 1 milione di euro); nel caso di appalti di lavori pubblici realizzati unicamente a scopo di ricerca, sperimentazione o messa a punto, e non per assicurare una redditività o il recupero dei costi di ricerca e sviluppo (lettera «d» del comma 1 dell'art. 56, applicabile ai soli lavori, indipendentemente dall'importo) ... (articolo ItaliaOggi del 12.05.2010).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale si applica anche nel caso di opere che costituiscono mera sopraelevazione di un edificio esistente.
Come è noto, la giurisprudenza della Suprema Corte e quella del Consiglio di Stato convergono nell’affermare che il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale si applica anche nel caso di opere che costituiscono –come nel caso all’esame- mera sopraelevazione di un edificio esistente (cfr. Cass. Civile II Sez. n. 2164 del 2005 e Consiglio di Stato IV Sez. n. 5716 del 2002) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.05.2010 n. 3032 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrodotti ad alta tensione - Campi elettromagnetici - Profili di tutela del diritto alla salute - Rispetto del DPCM 23/04/1992 - Sufficienza.
Con riguardo ai profili di tutela del diritto alla salute connessi con i campi elettromagnetici derivanti dagli elettrodotti ad alta tensione, il rispetto del DPCM 23/04/1992 che ha normativamente recepito i limiti indicati dalle Istituzioni Sanitarie specializzate è sufficiente ai fini della legittimità dell’atto autorizzatorio delle linee stessi (cfr. TAR Lombardia, 14/05/1994 n. 302).
Installazione di linee elettriche - procedimento di espropriazione - Disciplina normativa - R.D. 11.12.1933, n. 1775 - Specifiche forme di pubblicità - Disciplina ex L. 241/1990 - Applicabilità - Esclusione.
Il procedimento di espropriazione per l'installazione di linee elettriche è disciplinato specificamente dal r.d. 11.12.1933 n. 1775, recante il testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, i cui artt. 111 e 112 prevedono specifiche forme di pubblicità (la pubblicazione della domanda di autorizzazione nel foglio degli annunzi legali della provincia), finalizzate a consentire agli interessati un'attiva partecipazione al procedimento.
Tale disciplina, che assume carattere di specialità rispetto a quella di carattere generale di cui alla l. n. 241 del 1990 e non può ritenersi abrogata per effetto di essa, deve peraltro ritenersi sufficiente a soddisfare le esigenze poste a base del principio del giusto procedimento, anche tenuto conto che un procedimento del genere è destinato a coinvolgere un numero estremamente alto di soggetti, non sempre individuabili in modo agevole; pertanto, è legittimo il comportamento dell'amministrazione che, nel procedimento culminato con l'emissione del decreto di autorizzazione provvisoria all'opera, segue le indicazioni dei citati artt. 111 e 112, r.d. n. 1775 del 1933, omettendo la comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei proprietari dell'area interessata dall'elettrodotto (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 17/11/2005, n. 2058) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.05.2010 n. 2389 - link a www.
ambientediritto.it).

ENTI LOCALI: Consorzio tra comuni - Natura - Finalità - Adesione o recesso - Esercizio del potere discrezionale - Controversie - Giurisdizione - Giudice amministrativo.
Il consorzio tra Comuni è una particolare forma associativa prevista dalla legge (art. 31 del d.lgs. n. 267 del 2000), avente natura di ente pubblico (cfr. Cass., sez. un., n. 14475 del 2002), “per la gestione associata di uno o più servizi” nonché “per l’esercizio associato di funzioni”: esso è quindi preordinato alla realizzazione di un servizio o di una funzione pubblica tale da assicurare, date le circostanze del caso concreto e previa valutazione delle necessità del territorio, maggiore affidamento di riuscita rispetto ad una gestione diretta lasciata alle amministrazioni singolarmente.
La decisione di entrare a far parte di un consorzio -e, correlativamente, quella di recedervi- è quindi preordinata alla migliore gestione del servizio pubblico che di volta in volta viene in considerazione: le relative deliberazioni prese dall’Ente locale, pertanto, rappresentano una modalità di esercizio del potere discrezionale che la legge conferisce all’amministrazione locale per la migliore gestione del servizio pubblico.
Non può dunque sostenersi che i rapporti tra il consorzio e gli enti che ne fanno parte siano da inquadrare nei binari del diritto soggettivo e non dell’interesse legittimo: ne deriva, per le relative controversie, in base ai principi generali, la giurisdizione del giudice amministrativo (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.05.2010 n. 2388 - link a www.
ambientediritto.it).

VARIL'uso improprio del pass invalidi non è reato.
Non commette reato l'automobilista che parcheggia in zona vietata esponendo in auto il contrassegno dell'invalido civile appartenente a un parente rimasto a casa. Rischia soltanto la multa.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. V. penale, con la sentenza 12.05.2010 n. 18080, che ha reso definitivo il dissequestro di un automobile appartenente a un 64enne di Firenze accusato dalla Procura di «falso stato di accompagnatore di persona invalida».
L'uomo aveva parcheggiato in divieto di sosta (e quindi non negli spazi riservati agli invalidi dalle strisce gialle) esponendo il contrassegno appartenente alla suocera.
Già il Tribunale delle libertà toscano che non aveva convalidato la misura restrittiva. Al contrario i giudici avevano osservato che non c'era stato dolo nel comportamento dell'automobilista che, con buona probabilità, aveva dimenticato il contrassegno in auto. Inutilmente la pubblica accusa ha fatto ricorso in Cassazione contro questa decisione.
Infatti, la quinta sezione penale nel respingerlo ha precisato che la semplice esposizione del contrassegno invalidi sull'auto da persona diversa dal titolare, «in assenza di altri qualificanti comportamenti, non integra quella condotta positiva necessaria per ravvisare il delitto di sostituzione di persona di cui all'articolo 494c.p., che consisterebbe dunque nel tentativo di attribuirsi il falso stato di accompagnatore di invalido».
In altri termini «per potersi ravvisare il reato di tentata sostituzione di persona è necessario un comportamento positivo suscettivo di trarre in inganno». Cosa non avvenuta secondo la Corte. Infatti la semplice esposizione del contrassegno invalidi sull'auto non è un reato tanto più che in questo caso che il contrassegno potrebbe essere stato dimenticato nell'auto utilizzata in altre occasioni anche per il trasporto della suocera invalida (articolo ItaliaOggi del 13.05.2010, pag. 39).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità dell'affidamento diretto a delle cooperative del servizio di igiene urbana ai sensi dell'art. 5 L. 08.11.1991, n. 381.
E' illegittimo l'affidamento diretto a delle cooperative del servizio di igiene urbana ai sensi dell'art. 5 L. 08.11.1991, n. 381.
L'art. 5, c. 1, della citata L. 38/1991 sull'inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, infatti, nel riferirsi alla "fornitura di beni e servizi", offre agli enti pubblici e alle società di capitali a partecipazione pubblica la possibilità di stipulare, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, con le cooperative che svolgono attività agricole, industriali, commerciali o di servizi finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate, convenzioni aventi ad oggetto la fornitura di beni e servizi -diversi da quelli socio-sanitari ed educativi e di importo inferiore a quello preso in considerazione dalle direttive comunitarie in materia di appalti- in favore dell'amministrazione richiedente e non già l'affidamento di servizi pubblici locali, quale è quello di igiene urbana (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2010 n. 2829 - link a www
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PUBBLICO IMPIEGORischia una sanzione il dirigente pubblico che fuma in ufficio.
Rischia una sanzione il docente universitario o il dirigente pubblico che fuma nella sua stanza. Non solo. Non può impugnare davanti al giudice il verbale di contestazione della violazione amministrativa.
Lo si evince dalla sentenza 10.05.2010 n. 11281 della Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la quale è stato dichiarato improponibile l'opposizione contro il verbale di contestazione della violazione.
Una docente universitaria era solita fumare nella sua stanza nella quale riceveva alunni e collaboratori. In corridoio erano stati appesi i divieti. La donna non era mai stata colta sul fatto ma da sempre aveva ammesso di fumare liberamente alla sua scrivania. Così era scattata la contestazione da parte dell'Ateneo.
Lei l'aveva impugnata di fronte al giudice di pace di Perugia che però aveva respinto. A questo punto la docente ha presentato ricorso in Cassazione che si è incagliato in un importante scoglio processuale.
Infatti, hanno sostenuto gli Ermellini, la contestazione da parte dell'università non poteva essere impugnata in sede giurisdizionale: «Il verbale di accertamento di una violazione amministrativa è impugnabile in sede giudiziale unicamente se concerne l'inosservanza di norme sulla circolazione stradale, giacché solo in tale caso è idoneo ad acquisire valore ed efficacia di titolo esecutivo per la riscossione dell'importo della pena pecuniaria prefissata, mentre, quando riguarda il mancato rispetto di norme relative ad altre materie, non incide ex se sulla situazione giuridica soggettiva del trasgressore ed è destinato esclusivamente a contestargli il fatto e a segnalargli la facoltà di estinguere l'obbligazione sanzionatoria mediante un pagamento in misura ridotta, in difetto del cui esercizio l'autorità competente valuterà la fondatezza dell'accertamento» (articolo ItaliaOggi del 12.05.2010 - link a www.corteconti.it).

APPALTI: Sui limiti del diritto di accesso agli atti di gara.
L'art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti) prevede, a tutela del diritto alla riservatezza dei partecipanti alle procedure di affidamento, l'esclusione del diritto di accesso e di ogni forma di divulgazione in ordine alle informazioni fornite dai concorrenti nell'ambito delle giustificazione delle proprie offerte, che costituiscano segreti tecnici o commerciali, ciò al fine di evitare che operatori economici in diretta concorrenza tra loro possano utilizzare l'accesso unicamente per giovarsi delle specifiche conoscenze possedute da altri, allo scopo di conseguire un indebito vantaggio commerciale all'interno del mercato.
Tuttavia, l'esclusione del diritto di accesso è subordinata alla manifestazione di interesse da parte del concorrente al quale si riferiscono i documenti cui altri intende accedere. D'altra parte, l'art. 13, d.lgs. n. 163/2006, al comma 6 consente l'accesso finalizzato alla difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso. Detta previsione sancisce la prevalenza del c.d. accesso difensivo, disposta dall'art. 24, c. 7, l. n. 241/1990 (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.05.2010 n. 2814 - link a www
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EDILIZIA PRIVATA: Titolo autorizzatorio edilizio - Impugnazione - Legittimazione - Criterio della vicinitas.
La legittimazione alla proposizione del ricorso finalizzato all’annullamento di un titolo autorizzatorio edilizio rilasciato ad un controinteressato va riportata al criterio della c.d. vicinitas, intesa come una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, che esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione (Consiglio Stato, sez. IV, 12.05.2009, n. 2908; tra le tante, si vedano anche: TAR Toscana Firenze, sez. III, 26.02.2010, n. 536; TAR Trentino Alto Adige Trento, 09.02.2010, n. 46; TAR Campania Salerno, sez. II, 13.07.2009, n. 3987; TAR Lombardia Milano, sez. II, 09.07.2009, n. 4345) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 10.05.2010 n. 1098 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Interventi finalizzati alla realizzazione di depositi merci e materiali - Lavori non urbanisticamente rilevanti - Assimilazione agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo - Nuova costruzione - Inconfigurabilità - Fattispecie: area destinata a esposizione di autovetture a fini commerciali.
Gli interventi finalizzati alla realizzazione di depositi di merci e materiali che comportino l’esecuzione di lavori non urbanisticamente rilevati (come nel caso in cui sia prevista solo la ripulitura del terreno) non integrino <<l'ipotesi di modificazione urbanisticamente rilevante del territorio, soggetta a concessione edilizia, …. quand'anche il suolo così ripulito sia destinato all'esposizione di autovetture a fini commerciali>> (TAR Lombardia Milano, sez. I, 29.10.2008, n. 5222) e devono pertanto essere assimilati agli interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo previsti dalle prime tre lettere dell’art. 3, 1° comma del t.u. n. 380 del 2001 e contrapposti agli interventi di <<nuova costruzione>>, giustamente considerati maggiormente invasivi per il territorio e soggetti ad un regime autorizzatorio maggiormente rigoroso (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 10.05.2010 n. 1094 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Il concessionario dello jus sepulchri risulta titolare esclusivamente di quei poteri e diritti che gli siano stati trasferiti.
Com'è noto, i cimiteri costituiscono demanio pubblico ai sensi dell'art. 824 comma 2 cod. civ..
Il servizio di illuminazione votiva (ricompreso già dal d.m. 31.12.1983 tra i c.d. servizi pubblici a domanda individuale, ovvero non erogati alla generalità ma a specifiche categorie di utenti, e assoggettato a tariffe ai fini dell'assicurazione di predeterminati tassi di copertura del relativo costo di gestione, determinate con deliberazioni annuali anteriori all'approvazione del bilancio ed a questo allegate: art. 172, comma 1, lettera c), d.lgs. 18.08.2000, n. 267) costituisce concessione di servizio pubblico (sia pure a domanda individuale), necessariamente regolata nelle forme delle c.d. concessioni-contratto, e quindi caratterizzata dalla combinazione di due atti (uno unilaterale -di natura provvedimentale- della P.A. e uno bilaterale -o negoziale-, rappresentato da una convenzione tra P.A. e privato concessionario), che danno vita ad una fattispecie complessa (su tale pacifica qualificazione del servizio d'illuminazione votiva come servizio pubblico locale tra le tante, Cass., SS.UU., 17.09.1998, n. 9261; Cons. Stato, Sez. V, 10.06.2002, n. 3213 e 11.09.2000, n. 4795; nonché TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 09.01.2007, n. 4, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 06.05.2005, 3397).
La controversia in questione, riguardante la richiesta di annullamento di un atto amministrativo, legittimante l’installazione di un pannello fotovoltaico, avanzata dal titolare di una concessione del servizio pubblico di illuminazione votiva all’interno del cimitero comunale, attiene all’ambito della concessione,ambito che il concessionario ritiene violato.
Deve preliminarmente verificarsi la compatibilità del pannello fotovoltaico in questione con l’atto di concessione del servizio di illuminazione votiva, affidato alla ditta ricorrente con delibera di C.C. 159/1990 e sottoscritto in data 18.07.1991, nonché con l’atto di concessione di suolo nel cimitero comunale per la realizzazione della cappella del sig. Cordella Vincenzo, culminato nel permesso di costruire n. 743/2005, oltre che la conformità dello stesso al regolamento edilizio ed alle norme vigenti .
Gioverà ricordare in materia di jus sepulchri che la giurisprudenza risulta consolidata sui seguenti principi :
- nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro nasce da una concessione da parte dell'autorità amministrativa di un'area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale, e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti dell'amministrazione, nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell'ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla p.a. di esercitare il potere di revoca della concessione (Cass., sez. un., 07-10-1994, n. 8197).
Inoltre, una volta costituita, legittimamente, la concessione di uso (ius sepulchri), la relativa facoltà gode di una protezione piena ed assoluta nei confronti dei privati, ma non nel rapporto con l'amministrazione in quanto l'acquisto della relativa facoltà resta sempre subordinato all'adozione di un apposito provvedimento di trasferimento.
Difatti, il concessionario risulterà titolare esclusivamente di quei poteri e diritti che gli siano stati trasferiti, dovendosi escludere che in capo allo stesso possano sorgere poteri e facoltà non trasferiti e consentiti, atteso che le concessioni di un'area di terreno ovvero di una porzione di edificio in un cimitero pubblico comportano un uso eccezionale del bene (che è demaniale in forza dell'art. 824 c.c.) ,consentito nei termini ristretti del vincolo concessorio, senza che possano residuare attività, diritti o poteri residuali non espressamente previsti e disciplinati nella concessione-contratto (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 08.05.2010 n. 1089 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Individuazione dei confini tra fondi finitimi - Amministrazione - Presenza di muri a secco - Adeguata considerazione - Risultanze catastali - Valenza probatoria residuale.
In situazioni dominicali risalenti e connotate anche da condizioni del territorio particolari, quali l’acclività e la natura scoscesa dei terreni, la presenza di segni materiali esteriori di antica origine quali muri in pietra realizzati con tecnica a secco, soprattutto se esistenti tra fondi posti a dislivello, deve essere adeguatamente considerata dall’Amministrazione nella individuazione dei reali confini tra fondi finitimi: la stessa non può infatti arrestarsi al dato emergente dalle risultanze catastali, che sono dotate di una valenza probatoria soltanto residuale e pertanto cedevole a fronte di emergenze di natura reale.
E’, del resto, patrimonio memoriale comune il dato che i muri a secco nelle campagne e nei territori montani more solito sostanziano dei veri e propri confini tra fondi, rappresentando la reale situazione dominicale in maniera ben più fedele che non le risultanze del catasto terreni (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 07.05.2010 n. 2356 - link a www.
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APPALTI: Sulla legittimità del provvedimento di esclusione da una gara per violazione del Patto di Integrità, allegato al bando, conseguente alla presenza di forme di collegamento sostanziale tra imprese, riconducibili ad un unico centro decisionale.
Sulla legittimità delle previsioni relative all'escussione della cauzione provvisoria, contenute nel Patto di Integrità allegato al bando di gara.

E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una stazione appaltante nell'ipotesi in cui emergano elementi tali da far presumere l'esistenza di forme di collegamento sostanziale tra imprese concorrenti, riconducibili ad un unico centro di interessi, in quanto siffatta condotta vìola le prescrizioni contenute nel bando di gara, nonché nel Patto di Integrità, con cui la società si è espressamente impegnata a non accordarsi con altri partecipanti per non limitare la concorrenza; ciò, peraltro, pregiudica seriamente il corretto svolgimento della gara, anche alla luce della normativa comunitaria, secondo cui il funzionamento delle gare pubbliche è garantito soltanto nel caso in cui le imprese partecipanti si trovino in posizione di reciproca ed effettiva concorrenza.
E' legittimo il Patto di Integrità nella parte in cui prevede l'incameramento della cauzione provvisoria, ciò in quanto esso rappresenta un sistema di condizioni che rafforzano comportamenti già doverosi per i concorrenti, e che prevedono sanzioni a carattere patrimoniale, nel caso di violazione di detti doveri. Tale previsione, unitamente alle relative responsabilità di ordine patrimoniale, è da considerare pienamente legittima, giacché siffatta ipotesi va inquadrata nell'ambito dell'autonomia negoziale sia dell'amministrazione sia di chi aspiri a diventare titolare di un futuro contratto. L'escussione della cauzione provvisoria, nel caso di specie, vale unicamente a quantificare la misura della responsabilità patrimoniale del partecipante alla gara, conseguente all'inadempimento dell'obbligo assunto con la sottoscrizione del patto d'integrità, il quale assume, quindi, il carattere di un complesso di regole comportamentali per le imprese; ne consegue che l'incameramento della cauzione non ha carattere di sanzione amministrativa, come tale riservata alla legge, ma costituisce la conseguenza dell'accettazione di regole di condotta, accompagnate dalla previsione di una responsabilità patrimoniale, assunte su base pattizia (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 07.05.2010 n. 1386 - link a www
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EDILIZIA PRIVATA: Titolo abilitativo edilizio - Annullamento in autotutela - Per la realizzazione di difformità rispetto al titolo assentito - Illegittimità - Presupposti dell’esercizio del potere di autotutela - Esistenza di un vizio di legittimità originario.
Presupposto indefettibile del legittimo esercizio del potere di autotutela c.d. decisoria culminante nell’adozione di provvedimenti di secondo grado di annullamento di precedenti provvedimenti, è, ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, l’esistenza e l’acclaramento di un vizio di legittimità originario che affligga il provvedimento oggetto dell’autotutela decisoria.
Laddove, invece, il provvedimento sia e rimanga all’attualità del tutto legittimo, l’eventuale contegno del privato che sostanzi una difformità esecutiva rispetto al contenuto delle facoltà concesse con il provvedimento, può rilevare unicamente ai fini del’adozione di misure sanzionatorie repressive (nella specie, procedimento sanzionatorio ex artt. 31 e ss. d.P.R. n. 380/2001, per la realizzazione di difformità rispetto al titolo abilitativo edilizio legittimamente assentito) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 07.05.2010 n. 2356 - link a www.
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APPALTI: Sulla legittimità dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad un concorrente che abbia omesso di firmare e sottoscrivere una pagina dell'allegato alla busta contenente la propria offerta.
La volontà di sanzionare con l'esclusione l'inosservanza di una specifica modalità di presentazione delle offerte deve essere chiaramente espressa nel bando di gara, sicché, in mancanza di tale univoca previsione, resta preclusa ogni diversa conclusione in ordine a non previste conseguenze sanzionatorie dell'irregolare trasmissione dei plichi.
In ogni caso, nell'"incertezza circa l'interpretazione della portata precettiva di una clausola ambigua, deve accordarsi prevalenza all'interesse pubblico alla più ampia partecipazione dei concorrenti".
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara d'appalto adottato da una stazione appaltante nei confronti di un'impresa che abbia omesso di firmare una pagina dell'allegato alla busta contenente la propria offerta, dalla lettura della lex specialis risulta come l'obbligo di apporre la firma del legale rappresentante, "pena l'esclusione dalla gara", riguarda esclusivamente la stessa lettera di invito, il capitolato e lo schema di contratto, ma non anche, specificamente, gli allegati (TAR Lazio-Roma, Sez. I, sentenza 03.05.2010 n. 9134 - link a www
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APPALTI: Sulla natura non provvedimentale delle deliberazioni adottate dall'Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici.
Ha natura non provvedimentale e, in quanto tale, è priva di reale e concreta attitudine lesiva, la deliberazione assunta dall'Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici e la relativa nota di comunicazione, con cui in esito all'esame dell'accordo transattivo, intercorso tra l'amministrazione comunale e un'impresa in relazione ai lavori per la costruzione della piscina comunale, è stata sottoposta a censura la condotta del Comune per l'"eccessiva tolleranza accordata" nei rapporti con l'impresa ed è stata contestualmente disposta la segnalazione della questione alla Procura della Corte dei conti per gli eventuali accertamenti di competenza.
L'art. 4, della l. n. 109 del 1994, riconosceva all'Autorità poteri di vigilanza sull'intero sistema dei lavori pubblici. Ciò posto, il potere di vigilanza concretamente esplicato nel caso di specie non può aver prodotto conseguenze lesive della sua sfera giuridica, avendo l'Autorità espresso sostanzialmente un proprio "avviso" sulla vicenda, inidoneo, in quanto tale, a recare direttamente ed immediatamente alcun pregiudizio (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.05.2010 n. 2503 - link a www
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AMBIENTE-ECOLOGIA: Principio di precauzione - Applicazione - Produzione normativa, adozione di atti generali o di misure cautelari - Livello di rischio puntualmente definito dai poteri decisori centrali - Applicabilità - Esclusione.
L’applicazione del principio di precauzione comporta, in concreto, che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri deve tradursi in una prevenzione precoce, anticipatoria rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche.
E’ evidente, peraltro, che la portata del principio in esame può riguardare la produzione normativa in materia ambientale o l’adozione di atti generali ovvero, ancora, l’adozione di misure cautelari, ossia tutti i casi in cui l’ordinamento non preveda già parametri atti a proteggere l’ambiente dai danni poco conosciuti, anche solo potenziali.
Ne consegue che il principio di precauzione non può essere invocato, viceversa, laddove il livello di rischio connesso a determinate attività sia stato puntualmente definito dai decisori centrali sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, attraverso la puntuale indicazione di limiti e di prove (“test di cessione”) cui devono conformarsi le successive determinazioni delle autorità locali (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 03.05.2010 n. 2294 - link a www.
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APPALTI: Sull'illegittimità della ricostruzione postuma della documentazione di gara in caso di smarrimento delle buste contenenti le offerte.
E' illegittimo l'operato di una stazione appaltante che, a seguito dello smarrimento delle buste contenenti le offerte presentate dalle imprese concorrenti, abbia consentito la "ricostruzione" postuma della documentazione di gara, in quanto, per giurisprudenza consolidata, in materia di pubblici appalti il principio di conservazione degli atti giuridici ha carattere recessivo rispetto alla tutela della concorrenza e della par condicio.
Una simile prassi, infatti, porterebbe alla vanificazione del principio di trasparenza e del diritto dei concorrenti di agire in giudizio, garantito dagli artt. 24, 103, 111 e 113 Cost., nonché dalla Direttiva 1989/665/CE e successive modifiche. Inoltre la stazione appaltante, quando entra in possesso dei plichi contenenti le offerte di gara, comprese le specifiche tecniche della prestazione, diviene titolare dell'onere di custodirle con diligenza, assumendo ogni responsabilità in caso di manomissioni o smarrimento, pertanto nell'ipotesi di mancato ritrovamento degli atti di gara, la procedura non può validamente proseguire (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 03.05.2010 n. 1699 - link a www
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EDILIZIA PRIVATAL'ordine di demolizione deve seguire automaticamente all'accertamento dell'illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali.
E' inammissibile il ricorso proposto avverso il verbale di accertamento dell'inottemperanza alla precedente ingiunzione di demolizione di opere edilizie abusive, redatto dal personale della Polizia Municipale, in quanto il suddetto atto ha valore endoprocedimentale ed efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate.
La circostanza che nel verbale di accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione ex art. 7 l. 28.02.1985 n. 47 sia stata omessa l'individuazione dell'area da acquisire al patrimonio comunale non comporta l'illegittimità dell'accertamento ma soltanto l'impossibilità, per il Comune, di procedere alla immissione nel possesso e alla trascrizione nei registri immobiliari, in quanto, in mancanza di espressa previsione legislativa, nulla vieta che il comune possa procedere, in un secondo tempo, all'individuazione dell'area oggetto di acquisizione ai fini dell'immissione nel possesso e della trascrizione.

La consolidata giurisprudenza ha, da tempo, chiarito che il termine di cui all'art. 4 della l. 28.02.1985 n. 47 definisce solo l’ambito della legale durata del provvedimento di sospensione dei lavori. Pertanto, una volta scaduto detto termine, la sospensione dei lavori non ha più efficacia; ma ciò non comporta affatto che il Comune perda il potere di adottare i provvedimenti repressivi della violazione edilizia perpetrata.
La giurisprudenza (cfr. TAR Campania, Sez. IV, 12.04.2005 n. 3780 e Sez. III, 01.12.2008 n. 20721) ha evidenziato che lo specifico presupposto che differenzia il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 4 l. n. 47 del 1985 (ora art. 31 del TU dell'edilizia), rispetto a quello ex art. 7 della stessa legge (ora l'art. 27 del TU dell'edilizia) va rinvenuto -sul presupposto della localizzazione delle opere abusive su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità, ovvero destinate ad opere e spazi pubblici o ad interventi di edilizia residenziale pubblica- nella necessità di reintegrare con immediatezza il bene protetto, pregiudicato dall'abusivo intervento edilizio.
Ne consegue che in tal caso l'ordine di demolizione deve seguire automaticamente all'accertamento dell'illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali (anche in ordine alla scelta se procedere alla demolizione o unicamente alla acquisizione al patrimonio dell'ente), al fine di impedire che il trascorrere del tempo determini il consolidarsi di situazioni soggettive che potrebbero impedire l'applicazione della sanzione ripristinatoria
E' inammissibile il ricorso proposto avverso il verbale di accertamento dell'inottemperanza alla precedente ingiunzione di demolizione di opere edilizie abusive, redatto dal personale della Polizia Municipale, in quanto il suddetto atto ha valore endoprocedimentale ed efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate (cfr. ex multis: TAR Campania, Sez. VII, 16.12.2009 n. 8816).
La giurisprudenza ha rilevato che la circostanza che nel verbale di accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione ex art. 7 l. 28.02.1985 n. 47 sia stata omessa l'individuazione dell'area da acquisire al patrimonio comunale non comporta l'illegittimità dell'accertamento ma soltanto l'impossibilità, per il Comune, di procedere alla immissione nel possesso e alla trascrizione nei registri immobiliari, in quanto, in mancanza di espressa previsione legislativa, nulla vieta che il comune possa procedere, in un secondo tempo, all'individuazione dell'area oggetto di acquisizione ai fini dell'immissione nel possesso e della trascrizione (cfr. (TAR Sicilia, sez. II, 10.05.2007 n. 1334, TAR Lazio Latina, 18.02.1992 n. 102)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1626 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' soggetto a concessione edilizia ogni intervento sul territorio sia quando vi sia la realizzazione di opere murarie, sia quando si intenda realizzare un intervento sul territorio che, pur non richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo.
In relazione allo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva e preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso, va affermata la necessarietà della concessione edilizia.
Deve ritenersi soggetto a concessione lo spianamento di un terreno agricolo ed il riporto di sabbia e ghiaia, al fine di ottenerne un piazzale per deposito e smistamento di autocarri e containers.
Non è necessario il permesso per costruire modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno.
La realizzazione di una recinzione metallica collocata lungo il confine di proprietà, di un piazzale per la sosta degli automezzi creato mediante sbancamento e riporto di ghiaia nonché di una vasca per la raccolta delle acque di risulta del lavaggio non costituiscono pertinenze e richiedono la preventiva emissione del titolo abilitativo, determinando un consistente impatto sull'assetto del territorio, tenuto conto che l'incidenza è sensibilmente accresciuta dalla loro realizzazione in un contesto tipicamente agricolo.
La L. n. 28.1.1977 n. 10, vigente all’epoca dei fatti, all’art. 1 -“Trasformazione urbanistica del territorio e concessione di edificare”- disponeva che: “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge”.
L'interpretazione di tale norma aveva dato luogo a contrasti, dato che la giurisprudenza e la dottrina avevano elaborato due indirizzi ermeneutici: secondo il primo, avrebbero dovuto essere assoggettati a titolo abilitativo solo gli interventi di portata -simultaneamente- urbanistica ed edilizia. Invero, osservavano i fautori della tesi in esame, l'uso congiunto delle due espressioni (urbanistica ed edilizia) nel citato articolo escluderebbe l'assoggettamento al previo rilascio del titolo degli interventi che, pur non mancando di impatto urbanistico, siano privi di consistenza materiale di opere edilizie.
Secondo l'opposto indirizzo, l'art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 sulla edificabilità dei suoli, che pone la regola della soggezione a concessione di ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, non comprende le sole attività di edificazione, ma tutte quelle consistenti in una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica (cfr.: Cons. St., Sez. V, 31.01.2001, n. 343; Cons. St., Sez. V, 20.12.1999, n. 2125; Cons. St., Sez. V, 01.03.1993, n. 319; tale orientamento è condiviso anche dalla giurisprudenza ordinaria: cfr. Cass. pen., 14.10.1988; Cass. pen., sez. III, 24.10.1997, n. 10709; Cass. pen., sez. VI, 24.07.1997, n. 8520). La giurisprudenza favorevole a tale tesi ha aggiunto che l'art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 imponeva al soggetto attuatore di munirsi di concessione edilizia per ogni attività che comporti la trasformazione del territorio attraverso l'esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e l'alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale ed estetico, o solo funzionale (cfr. Cons. St., Sez. VI, 26.09.2003, n. 5502).
La Sezione, condividendo quanto rilevato dal Cons. St. Sez. V con la decisione n. 7325 dell’11.11.2004, opta per la seconda interpretazione, dovendosi affermare che è soggetto a concessione edilizia ogni intervento sul territorio sia quando vi sia la realizzazione di opere murarie, sia quando si intenda realizzare un intervento sul territorio che, pur non richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul suolo (cfr. Cons. St., Sez. V, 14.12.1994, n. 1486; Cons. St., Sez. VI, 27.01.2003, n. 419; Cons. St., Sez. V, 06.04.1998, n. 415).
Alla stregua di tale generale principio, in relazione allo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva e preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso, va affermata (cfr. Cons. St. Sez. V, 22.12.2005 n. 7343) la necessarietà della concessione edilizia.
Tale indirizzo, peraltro, risulta corroborato dalla risalente interpretazione del Giudice penale, secondo cui deve ritenersi soggetto a concessione lo spianamento di un terreno agricolo ed il riporto di sabbia e ghiaia, al fine di ottenerne un piazzale per deposito e smistamento di autocarri e containers (cfr. Cass. pen., 09.06.1982).
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Passando ad esaminare la connessa questione, relativa alla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di opere di recinzione, va posto in luce che occorre distinguere le differenti situazioni alla stregua di due parametri: la natura e le dimensioni delle opere e la loro destinazione e funzione (cfr. TAR Lombardia, Sez. IV, 29.12.2009, n. 6266; TAR Lazio, Sez. II, 11.09.2009, n. 8644).
In base a tale criterio, può affermarsi che non è necessario il permesso per costruire modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà. Al contrario, la concessione è necessaria quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull'assetto edilizio del territorio.
Applicando siffatti principi alla fattispecie all’esame, va affermato che l’opera realizzata (la costruzione di un muro di cinta, alto circa m. 0,80 e lungo m. 120, con soprastanti paletti in ferro atti a fissare una rete di protezione) non integra un’ipotesi di mero esercizio dello ius excludendi alios, ma una modifica dell’assetto del territorio. Altrettanto è a dirsi dello spandimento di uno strato di ghiaia rullato sul manto erboso.
Siffatta conclusione risulta in linea con quanto già affermato dalla Sezione (cfr. sentenza n. 32 dell’11.01.2006) laddove ha rilevato che “La realizzazione di una recinzione metallica collocata lungo il confine di proprietà, di un piazzale per la sosta degli automezzi creato mediante sbancamento e riporto di ghiaia nonché di una vasca per la raccolta delle acque di risulta del lavaggio non costituiscono pertinenze e richiedono la preventiva emissione del titolo abilitativo, determinando un consistente impatto sull'assetto del territorio, tenuto conto che l'incidenza è sensibilmente accresciuta dalla loro realizzazione in un contesto tipicamente agricolo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1626 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un manufatto in legno di m. 1,50 x 1,50 x 2 "semplicemente appoggiato al suolo ed in attesa di essere distrutto" ed una roulotte "temporaneamente parcheggiata in loco" costituiscono elementi suscettibili di alterare durevolmente lo stato del suolo inedificato, soggetti, come tali, a concessione edilizia.
Quanto agli ulteriori motivi, relativi alla parte dell’ordine di demolizione concernente il manufatto in legno di m. 1,50 x 1,50 x 2 e la roulotte, il ricorrente rivela di non avervi alcun concreto interesse allorché dichiara che il primo è “semplicemente appoggiato al suolo ed in attesa di essere distrutto (come sarà distrutto)” e la seconda solo “temporaneamente parcheggiata” in loco, manifestando quindi, al riguardo, acquiescenza alla prescrizione di ripristinare lo stato dei luoghi.
Va, comunque, rilevato che trattasi di elementi suscettibili di alterare durevolmente lo stato del suolo inedificato, soggetti, come tali, a concessione edilizia (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 30.04.2010 n. 1177 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti di energia rinnovabile - Esigenze di semplificazione procedimentale e di liberalizzazione del sistema - Normativa nazionale e comunitaria - Adempimenti istruttori posti a carico del privato - Criterio di stretta interpretazione ed applicazione.
L’esigenza di semplificazione procedimentale e di liberalizzazione del sistema riveste natura particolarmente accentuata in materia di impianti di energia rinnovabile, se solo si tiene in debito conto, da un lato, che gli impianti stessi sono considerati dalla normativa nazionale (d.lgs. n. 387 del 2003) come opere di interesse pubblico; dall’altro lato, che la normativa comunitaria di riferimento (2001/77/CE), nell’ottica di una progressiva liberalizzazione del mercato dell’energia, esprime un netto “favor” per la produzione di energia derivante da fonti rinnovabili e per la realizzazione dei relativi impianti: in tale prospettiva, il legislatore comunitario impone così agli stati membri di rimuovere ogni ostacolo normativo o di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità di questo tipo. Atteso l’obiettivo di massima semplificazione perseguito, ogni tipo di adempimento istruttorio posto a carico del privato deve essere soggetto ad un criterio di stretta interpretazione ed applicazione.
Impianti di produzione di energia elettrica da FER - Comune - Introduzione di discipline regolatrici - Strumentazione urbanistica e piano regolamentare - Art. 12, c. 7 d.lgs. n. 387/2003.
Il Comune ha facoltà - anche in relazione a quanto previsto dall’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003, nonché dalla legge regionale pugliese n. 31 del 2008, circa le aree di particolare pregio agricolo - di introdurre preventivamente discipline regolatrici degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, sia a livello di strumentazione urbanistica (per quanto attiene ai criteri ed ai limiti di localizzazione) sia sul piano regolamentare (per quanto attiene in particolare al procedimento istruttorio, in diretta applicazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.), di modo che un siffatto quadro normativo comunale possa poi fungere da parametro di conformità dei successivi interventi proposti mediante DIA.
Impianti di produzione di energia elettrica da FER - Opere di interesse pubblico - Natura di opera pubblica - Esclusione.
Gli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, benché di interesse pubblico, non sono comunque classificabili quali opere pubbliche.
Impianti di produzione di energia elettrica - Interferenze con le linee di comunicazione elettronica - Nulla osta ministeriale - Procedimento urbanistico - Diversità.
Il nulla osta ministeriale circa l’assenza di interferenze con le linee di comunicazione elettronica deve essere acquisito all’interno del procedimento, puntualmente delineato dalla legge regionale pugliese n. 25 del 2008, concernente la costruzione e l’esercizio di linee ed impianti elettrici, il quale si colloca -in funzione dell’esercizio dell’impianto stesso- su un piano diverso rispetto a quello urbanistico, tanto più che diversa - rispetto a quella comunale - è l’autorità che provvede ad attivarlo ed a concluderlo (Provincia) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1064 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Interventi soggetti a D.I.A. - Art. 23 T.U.ED. - Amministrazione procedente - Condizioni ostative ulteriori rispetto alle previsioni normative - Illegittimità.
Poiché l’art. 23 del testo unico edilizia richiede che gli interventi soggetti a D.I.A., ai fini della loro ammissibilità, siano unicamente conformi agli strumenti urbanistici ed edilizi, alle norme di sicurezza ed a quelle di carattere igienico-sanitario, si deve ritenere che fuori da tali ipotesi la PA procedente non possa prospettare condizioni ostative alla realizzazione dell’intervento ulteriori o afferenti ad interessi non rientranti tra quelli eminentemente ascritti alla sua sfera di competenza (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1064 - link a www.
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APPALTI: Integrazione e regolarizzazione documentale - Art. 46 codice degli appalti - Limiti.
L’integrazione e la regolarizzazione documentale ai sensi dell’art. 6, legge n. 241/1990 e dell’art. 46 del codice degli appalti sono possibili purché non risulti violata la par condicio, dovendosi quindi escluderne l’utilizzazione suppletiva dell’inosservanza di adempimenti procedimentali significativi o dell’omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione dalla gara (cfr.: Tar Catania, IV, n. 395/2010).
Inoltre, la regolarizzazione non può essere riferita agli elementi essenziali della domanda, salvo che gli atti tempestivamente prodotti contribuiscano a fornire ragionevoli indizi circa il possesso del requisito di partecipazione non espressamente documentato; infine, si richiede l’equivocità delle clausole del bando relative alla dichiarazione od alla documentazione da integrare o chiarire (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 29.04.2010 n. 1287 - link a www.
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APPALTI: Certificazione ed accertamento della regolarità contributiva - Disciplina vigente nella Regione Siciliana.
Nella Regione siciliana, vige, in tema di certificazione ed accertamento della regolarità contributiva dei soggetti partecipanti alle pubbliche gare, una disciplina speciale e differenziata, rinvenibile nel testo dell’art. 19 della legge n. 109 del 1994, come modificato ed integrato in più riprese dalla legislazione regionale, e dalle disposizioni attuative emanate con D.A. LL.PP. del 24.02.2006, in forza delle quali la regolarità contributiva al momento della gara è documentata mediante produzione di certificazione rilasciata dall’INPS, all’INAIL e dalla Cassa edile (art. 1) ed è “certificata e/o attestabile anche attraverso la produzione di DURC “ (art. 2) “di data non anteriore a 120 giorni dal rilascio” (art. 4) (termine successivamente ridotto a 90 gg.): la corretta esegesi delle disposizioni citate, non lascia spazio a dubbi interpretativi se completata con l’esame delle disposizioni contenute negli artt. 5 e 6 del citato decreto, contenenti disposizioni relative ai casi in cui il concorrente non depositi o non sia, comunque, in grado di depositare i documenti di cui ai precedenti artt. 1 e 2 (silenzio-assenso; contenzioso sulla regolarità contributiva; produzione di dichiarazione sostitutiva).
Ne consegue che la regolarità contributiva è correttamente dimostrata ai fini della ammissione alla gara con la presentazione del DURC valido ed efficace sulla base di quanto prescritto dalle disposizioni precedentemente citate, senza che, all’atto dell’aggiudicazione provvisoria null’altro debba essere richiesto al concorrente che abbia presentato il suddetto documento, completo in ogni sua parte, senza doversi avvalere degli strumenti suppletivi di cui all’art. 5 o della dichiarazione sostitutiva di cui al successivo art. 6 del decreto citato (CGA sent. n. 526/2009) (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 29.04.2010 n. 1287 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Impianti per le comunicazioni elettroniche - Struttura progettata - Impiego di cemento armato - Zona sismica - Art. 18 L. n. 64/1974 - Applicabilità - Fondamento.
In tema di impianti per le comunicazioni elettroniche, ove la struttura progettata prevede anche l’impiego di cemento armato e si trova in zona sismica, trova applicazione l’art. 18 della L. 64/1974: è irrilevante il fatto che detta disposizione di legge non sia espressamente richiamata nel catalogo dei documenti previsto dall’allegato 13 del Codice della Comunicazioni Elettroniche, trattandosi di norma che deve essere necessariamente applicata nel particolare caso in cui le infrastrutture di telecomunicazioni siano in concreto progettate con particolari modalità tali da rientrare sotto l’ambito previsionale della predetta legge (TAR icilia-Catania, Sez. I, sentenza 28.04.2010 n. 1255 - link a www.
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APPALTI: Sulla legittimità dell'esclusione di un concorrente che abbia presentato l'offerta economica all'interno di una busta trasparente.
Il riconoscimento di vantaggi sotto il profilo fiscale e contributivo, nell'ottica di un favor legislativo per le cooperative sociali, e l'assenza di finalità di lucro non precludono alle stesse di competere nelle procedure per l'aggiudicazione degli appalti pubblici.

E' legittimo il provvedimento di esclusione adottato da una commissione nei confronti di un concorrente che abbia presentato la propria offerta economica all'interno di una busta trasparente, in quanto, per costante giurisprudenza, in una gara basata sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa i principi (inderogabili) della parità di condizioni tra i concorrenti e del regolare ed imparziale svolgimento della gara possono essere rispettati solo se l'offerta economica resta segreta fintanto che non siano state valutate l'ammissibilità dei concorrenti alla gara e le componenti tecnico-qualitative dell'offerta.
L'esclusione da una gara d'appalto di un soggetto che sia Cooperativa sociale e ONLUS senza fine di lucro non ha alcun fondamento testuale, dato che la normativa nazionale non ha mai richiesto tra i requisiti di partecipazione alle procedure concorsuali la qualità di impresa commerciale né il fine di lucro. D'altro canto l'introduzione di norme di favore nei confronti di tali soggetti non dà luogo ad alcuna diminuzione della loro capacità giuridica con riferimento alla partecipazione alle gare anche in virtù dell'art. 1, c. 8, della Dirett. 18/2004/CE (recepito dall'art. 3, c. 19, del D.Lgs. 163/2006) secondo il quale la locuzione "prestatore di servizi" designa "una persona fisica o giuridica ... che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di ....servizi". La direttiva europea pone quindi come condizione preliminare essenziale per poter contrattare con le stazioni appaltanti l'essere già presente sul mercato, senza alcuna limitazione alla configurazione giuridica. In definitiva, le norme generali in materia di partecipazione alle gare pubbliche non legittimano l'esclusione delle Cooperative sociali, e non residuano dubbi circa la loro possibilità di concorrere all'aggiudicazione degli appalti sopra la soglia comunitaria ai sensi della direttiva 2004/18.
Inoltre, il principio della parità di trattamento non è violato per il solo motivo che le amministrazioni ammettono la partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di organismi che beneficiano di sovvenzioni, che consentono loro di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri concorrenti: infatti, se il legislatore comunitario avesse avuto l'intenzione di obbligare le stazioni appaltanti ad escludere tali offerenti, l'avrebbe espressamente indicato (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 26.04.2010 n. 3831 - link a www
.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nell’ambito della fascia di rispetto autostradale o stradale il vincolo di inedificabilità è assoluto per cui sono irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima; il divieto di costruire è infatti in questo caso correlato alla esigenza di assicurare un’area libera utilizzabile dal concessionario dell’autostrada -all’occorrenza- per installarvi cantieri, depositare materiali, per necessità varie e, comunque, per ogni necessità di gestione relativa ad interventi in loco sulla rete autostradale.
Le opere abusive realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale, al di fuori del perimetro del centro abitato, se realizzate dopo l’imposizione del vincolo, non sono suscettibili di sanatoria anche se si tratta di mere sopraelevazioni di manufatti preesistenti ed anche se l’opera resti al di sotto del livello della strada.

Nell’ambito della fascia di rispetto autostradale o stradale, come è stato chiarito dalla giurisprudenza (vedi ex multis C.d..S. 25.09.2002 n. 4927), il vincolo di inedificabilità è assoluto per cui sono irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima; il divieto di costruire è infatti in questo caso correlato alla esigenza di assicurare un’area libera utilizzabile dal concessionario dell’autostrada -all’occorrenza- per installarvi cantieri, depositare materiali, per necessità varie e, comunque, per ogni necessità di gestione relativa ad interventi in loco sulla rete autostradale.
Premesso che il divieto di edificazione nell’ambito della fascia di rispetto autostradale è assoluto, nel caso di specie le opere abusive non risultano condonabili poiché innegabilmente hanno comportato un aumento della superficie utile del fabbricato preesistente; inoltre, secondo la citata giurisprudenza seguita anche da questo TAR (vedi Sez. 3^, 12.02.2003 n. 277), le opere abusive realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale, al di fuori del perimetro del centro abitato, se realizzate dopo l’imposizione del vincolo, non sono suscettibili di sanatoria anche se si tratta di mere sopraelevazioni di manufatti preesistenti ed anche se l’opera resti al di sotto del livello della strada (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 25.06.2007 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso di sopraelevazione di preesistente fabbricato non è possibile derogare alle distanze fissate dal piano mediante allineamento col sottostante corpo di fabbrica, atteso che, in assenza di una apposita norma derogatoria, le due porzioni di fabbricato, in quanto eseguite in tempi diversi, restano regolate dalla disciplina vigente al momento della rispettiva costruzione.
Deve trovare applicazione, nel caso di specie, l'indirizzo giurisprudenziale e i principi già più volte affermati da questo Tribunale, secondo cui “nel caso di sopraelevazione di preesistente fabbricato non è possibile derogare alle distanze fissate dal piano mediante allineamento col sottostante corpo di fabbrica, atteso che, in assenza di una apposita norma derogatoria, le due porzioni di fabbricato, in quanto eseguite in tempi diversi, restano regolate dalla disciplina vigente al momento della rispettiva costruzione” (Tar Sardegna n. 2014 del 27.09.2006; Tar Lazio, Roma, sez. II, n. 557/1995; Tar Piemonte, Torino, n. 849/2001).
Le medesime censure risultano altresì fondate anche avuto riguardo alla demolizione e ricostruzione del corpo di fabbrica destinato a pollaio, dovendosi ritenere che il mutamento di destinazione d’uso della parte di fabbricato in questione e il mutamento delle caratteristiche edilizie del medesimo, comporti che l’intervento edilizio debba essere correttamente qualificato come nuova costruzione e, in quanto tale, debba essere soggetto alle limitazioni imposte dalle norme urbanistiche in vigore al momento in cui viene esaminata la domanda di concessione edilizia ed in particolare a quelle stabilite dalle norme di attuazione del vigente piano di fabbricazione del Comune di Narcao in materia di distanze dai confini e dai fabbricati già esistenti (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 15.03.2007 n. 455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe sopraelevazioni, poiché pacificamente includibili nella categoria delle “nuove opere”, risultano sottoposte al regime delle distanze previsto per queste ultime, pur se con opportune armonizzazioni con il principio della prevenzione; per cui, in linea generale, sia il preveniente che il prevenuto possono costruire sul filo della precedente costruzione, e, solo se non ritengano di rispettare tale linea costruttiva, devono osservare dall’altro fabbricato, indipendentemente dal superamento o meno del livello di quest’ultimo, il distacco minimo previsto dal codice civile o dal regolamento locale.
Osserva il Tribunale che, se è certamente vero che una sostituzione (eventualmente con modifiche) della struttura costituente la copertura di un edificio già esistente non può, ex sé, costituire una sopraelevazione, poiché in tal caso l’attività edilizia viene ad essere soltanto volta ad assicurare il permanere di un elemento accessorio indispensabile per l’immobile; tuttavia quando –come nel caso di specie– l’esecuzione di lavori comporta innovazioni tali da determinare la creazione di un nuovo volume utile per il proprietario (ancorché “tecnico”, cioè non utilizzabile per fini abitativi, esso risulta però destinato ad un uso diverso, quale “lavanderia”, “stenditoio”, etc.), è evidente che l’opera non può non qualificarsi come “sopraelevazione”, trattandosi di nuove fabbriche, dotate di autonoma utilità e determinanti l’innalzamento dell’originaria altezza dell’edificio (cfr. Cass. Civ. n° 7764 del 20.07.1999; Cass. Civ. n° 10568 del 24.10.1998; Cass. Civ. n° 5839 dell’01.07.1997; Cass. Civ. n° 5164 del 10.06.1997; Tribunale Bologna 24.06.1998, in Arch. Locazioni 1999, 286).
Ebbene, anche le sopraelevazioni, poiché pacificamente includibili nella categoria delle “nuove opere”, risultano sottoposte al regime delle distanze previsto per queste ultime, pur se con opportune armonizzazioni con il principio della prevenzione; per cui, in linea generale, sia il preveniente che il prevenuto possono costruire sul filo della precedente costruzione, e, solo se non ritengano di rispettare tale linea costruttiva, devono osservare dall’altro fabbricato, indipendentemente dal superamento o meno del livello di quest’ultimo, il distacco minimo previsto dal codice civile o dal regolamento locale (cfr. Cass. Civ. n° 9726 del 27.09.1993; Cass. Civ. n° 11284 del 15.10.1992; Cass. Civ. n° 8849 del 27.08.1990; Cass. Civ. n° 4352 del 24.06.1983; Cass. Civ. n° 3742 del 18.06.1982): ma nel caso di specie, oltre a non essere stata rispettata la linea costruttiva originaria (atteso che il nuovo “tetto termico” risulta posto a distanza di mt. 0,88 dal confine, ove insistono le preesistenti fabbriche), comunque la normativa locale attualmente vigente impone in via assoluta un distacco di mt. 5,00 dal confine stesso o di mt. 10,00 da fabbriche, cosicché la normativa sulla prevenzione viene ad essere recessiva e non più applicabile.
Pertanto, in definitiva, è da escludere che a Barone Francesco potesse essere consentito di realizzare una sopraelevazione in allineamento con l’originaria costruzione, per cui la nuova opera avrebbe dovuto rispettare le distanze imposte dalla citata normativa regolamentare locale in vigore (cfr. Cass. Civ. n° 200 dell’08.01.2001; Cass. Civ. n° 10864 del 30.10.1998; Cass. Civ. n° 5246 dell’11.06.1997; Cass. Civ. n° 3817 del 09.06.1986) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 29.11.2005 n. 2479 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl sopralzo di un fabbricato esistente è subordinato al rispetto delle norme sulle distanze dalle strade o da altre costruzioni.
Il rilascio del titolo edilizio, con riguardo alla parte dell’intervento qualificabile come nuova costruzione, è subordinato al rispetto delle norme sulle distanze dalle strade o da altre costruzioni (v. Cass. Civ., Sez. II, 16.03.2000, n. 3054; id., 24.05.2000, n. 6809; TAR Veneto, sez. II, 22.04.2005, n. 1778, relative ad interventi di sopraelevazione di edifici esistenti) (TAR Valle d'Aosta, sentenza 18.10.2005 n. 109 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo i principi generali elaborati in campo civilistico in materia di distanze tra edifici, anche la sopraelevazione è considerata nuova costruzione, la quale deve osservare le distanze prescritte dalla legge.
In base alle disposizioni del Codice della Strada e del suo regolamento di attuazione, fuori dai centri abitati (come nel caso di specie ove è stato perimetrato il centro abitato), è fatto divieto di costruire o ampliare gli edifici fronteggianti le strade.
Detto divieto risulta reiterato, in quanto norma di principio volta a tutelare la pubblica incolumità, inderogabile da parte delle amministrazioni, rispetto alla disciplina previgente (r.d. n. 1740/1933, art. 1 rimasto in vigore a seguito dell’emanazione del vecchio codice della strada del 1959; d.m. 01.04.1968, n. 1404, art. 4).
Dette prescrizioni continuano a trovare applicazione, indipendentemente dall’avvenuta classificazione delle strade ad opera delle amministrazioni locali, stante il disposto di cui all’art. 234 del Codice della Strada, nella parte in cui dispone che “…Fino all’attuazione di tali adempimenti (classificazione delle strade ad opera degli enti proprietari) si applicano le previgenti disposizioni in materia”.
Il richiamo, contenuto nel provvedimento impugnato, alla sentenza di questo Tribunale, n. 5363/2003, risulta pertinente nella parte in cui si afferma che le disposizioni contenute nella legge regionale n. 24/1985, le quali consentono l’ampliamento degli edifici esistenti ubicati nelle zone di protezione delle strade di cui al D.M. n. 1404/1968, sono divenute incompatibili con l’art. 26 del regolamento esecutivo del nuovo codice della strada e soprattutto con l’art. 16 dello stesso codice, da cui il divieto di realizzare ampliamenti fronteggianti le strade.
Detta incompatibilità deve ritenersi sussistente anche con riferimento alla disciplina previgente ancora applicabile nelle more dell’attuazione delle nuove disposizioni; pertanto, non può trovare applicazione il richiamo alla normativa regionale effettuato dalle norme contenute nel regolamento edilizio comunale.
Nel caso di specie l’intervento progettato dal ricorrente risulta in contrasto con il divieto suddetto quanto meno con riferimento alla parte in cui viene progettata la sopraelevazione dell’edificio esistente, in quanto, secondo i principi generali elaborati in campo civilistico in materia di distanze tra edifici, anche la sopraelevazione è considerata nuova costruzione, la quale deve osservare le distanze prescritte dalla legge (cfr. C.d.S., Sez. IV, n. 744/1980; Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n. 37/1997) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 22.04.2005 n. 1778 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA L’obbligo del rispetto della distanza minima tra fabbricati frontistanti è previsto non soltanto a tutela dei proprietari frontisti, ma anche per finalità di pubblico interesse e va dunque rispettato anche nel caso di costruzioni abusive ed a prescindere se sia intervenuta la relativa sanatoria amministrativa.
Anche chi ha costruito abusivamente può pretendere che l’altro fabbricato, pure eseguito illegittimamente, sia ridotto a distanza legale o, se del caso, abbattuto.
Non può fondatamente sostenersi che il rilascio del provvedimento di condono edilizio è precluso dalla violazione delle norme sulle distanze, essendo l’atto volto a regolare i rapporti tra privato costruttore e pubblica amministrazione e restando naturalmente illesi i diritti dei terzi, che potranno essere fatti valere in sede di giurisdizione civile, chiedendo, a seconda dei casi, la demolizione delle opere abusive od il risarcimento dei danni.
Le norme disciplinanti la distanza tra fabbricati, da osservare in sede di rilascio di concessione di costruzione, sono applicabili anche nel caso di sopraelevazione di un fabbricato preesistente.

Il Tribunale deve disattendere l’eccezione della controinteressata, secondo cui l’obbligo di rispettare le distanze legali non sussisterebbe, nella specie, in quanto il fabbricato frontista è abusivo.
Per vero, l’obbligo citato è previsto non soltanto a tutela dei proprietari frontisti, ma anche per finalità di pubblico interesse e va dunque rispettato anche nel caso di costruzioni abusive ed a prescindere se sia intervenuta la relativa sanatoria amministrativa (cfr. Cass. civ., II Sez., 24.05.2004 n. 9911 e 02.08.1995 n. 8476).
Ne consegue, sotto il versante del diritto civile, anche chi ha costruito abusivamente può pretendere che l’altro fabbricato, pure eseguito illegittimamente, sia ridotto a distanza legale o, se del caso, abbattuto (cfr. Cass. civ., I Sez., 17.11.2003 n. 17339).
Infine, non può fondatamente sostenersi che il rilascio del provvedimento di condono è precluso dalla violazione delle norme sulle distanze, essendo l’atto volto a regolare i rapporti tra privato costruttore e pubblica amministrazione e restando naturalmente illesi i diritti dei terzi, che potranno essere fatti valere in sede di giurisdizione civile, chiedendo, a seconda dei casi, la demolizione delle opere abusive od il risarcimento dei danni (cfr. Cons. Stato, IV Sez., 16.10.1998 n. 1306; TAR Toscana, III Sez., 11.03.2004 n. 675).
Tanto esposto, al collegio non resta che prendere atto di quel che tra i contendenti è rimasto fuori discussione: e cioè che la sopraelevazione del fabbricato della controinteressata si pone a distanza inferiore, per circa la metà, rispetto a quella legale di ml. 3, contenuta nell’art. 873 c.c. (sulla tassatività ed inderogabilità delle norme sulle distanze dai fabbricati, cfr. Cass. civile, II Sez., 03.08.1999 n. 8383; Cons. Stato, IV Sez., 12.07.2002 n. 3929).
D’altro canto, le norme disciplinanti la distanza tra fabbricati, da osservare in sede di rilascio di concessione di costruzione, sono applicabili anche nel caso di sopraelevazione di un fabbricato preesistente (cfr. Cass. civile, II Sez., 07.12.2004 n. 22895; TAR Molise 05.07.1990, n. 186)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 22.04.2005 n. 665 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'obbligo del rispetto della distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici esistenti è inderogabile anche per la p.a. preposta al rilascio della concessione edilizia.
Il controricorso avversario si limita ad osservare che la concessione edilizia rilasciata fa salvi i diritti dei terzi e che "non spetta al Giudice Amministrativo indagare sulla effettiva distanza tra le costruzioni o sulla natura delle stesse circa la loro contiguità".
Il Collegio a tal proposito osserva che, per costante giurisprudenza, l'obbligo del rispetto della distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici esistenti è inderogabile anche per la p.a. preposta al rilascio della concessione edilizia (Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 17.05.2000, n. 240, TAR Sicilia, sez. 2^, Catania, 16.12.1993, n. 1003) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 31.01.2005 n. 140 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUna costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica.
Come correttamente evidenziato dal TAR, il ricorrente stava realizzando una costruzione che era solo in parziale aderenza con quanto costruito in precedenza dal Sig. Greco, con superamento in altezza del muro di confine, con la conseguenza che parte della nuova costruzione era stata edificata ad una distanza di circa 5 metri dalla preesistente parete finestrata del confinante, mentre il limite minimo in questi casi era stabilito in 10 metri dalla locale normativa urbanistica.
L’appellante non contesta detta situazione di fatto ma sostiene che essendoci un muro di confine tra i due fabbricati non occorreva rispettare alcuna distanza per la nuova costruzione.
Occorre invece tener presente che una costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.11.2004 n. 7746 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della conformità urbanistica, laddove la ristrutturazione edilizia -anche mediante ricostruzione dell’edificio demolito- mantiene tutti i parametri urbanistico edilizi preesistenti quali la volumetria, la sagoma, l’area di sedime, il numero delle unità immobiliari, la conformità urbanistica di riferimento è quella vigente all’epoca della realizzazione del manufatto come attestata dal titolo edilizio, e non quella sopravvenuta al momento della esecuzione dei lavori di ristrutturazione. Laddove, invece, la ristrutturazione comporti interventi che mutino i parametri urbanistico-edilizi già assentiti con il titolo originario, quali ad esempio, l’aumento del numero delle unità immobiliari o il mutamento di destinazione d’uso è richiesta la conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento dell’esecuzione dei lavori di ristrutturazione.
Il concetto di ristrutturazione edilizia, quale enunciato dall’art. 31, lett. d, l. 05.08.1978, n. 431 “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono anche portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, ha subito nel tempo diversificate interpretazioni e diffuse incertezze soprattutto con riguardo alla ristrutturazione per demolizione e ricostruzione nella ricerca del quid novi che distingue la fattispecie dalla ristrutturazione.
La oggettiva difficoltà di individuazione del “novum” ammissibile è stata variamente trattata dalla giurisprudenza attestatasi su posizioni contrapposte a seconda che il concetto di ristrutturazione fosse collegato all’obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione in quanto nuova costruzione, ovvero alla soggezione dell’intervento alla più limitativa normativa sopravvenuta.
Ad un primo orientamento che escludeva la demolizione e ricostruzione dalla fattispecie di ristrutturazione (Cons. St., V, 09.02.1996, n. 144), è seguito l’orientamento trasfuso nel Testo Unico dell’edilizia che ha compreso la fattispecie nella categoria della “ristrutturazione” purché “fedele” in quanto modalità estrema di conservazione dell’edificio preesistente nella sua consistenza strutturale, essendosi ritenuto che “la ricostruzione di un preesistente fabbricato senza variazione o alterazione della superficie, volumetria e destinazione d’uso, non incide sul carico urbanistico già esistente e non è pertanto assoggettato ad oneri né al rispetto degli indici sopravvenuti" (Cons. St., V, 10.08.2000, n. 4397).
In recepimento degli indirizzi giurisprudenziali formatisi in materia, il TU dell’edilizia (06.06.2001, n. 380) ha ricompreso tra gli interventi di ristrutturazione edilizia “quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
L’art. 1, co. 6, l. 443/2001 ha ricompreso tali interventi tra quelli ammissibili previa denuncia di inizio attività, sostanzialmente considerando l’intervento “conservativo” e non “nuova costruzione”.
L’art. 1 del d.lgs. 27.12.2002, n. 301 ha modificato l’art. 3, in parte qua, eliminando la locuzione “fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche di materiali a quello preesistente” sostituito da “ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente” (art. 1, lett. a).
La demolizione e ricostruzione ha, quindi, assunto una tipicità legislativa che ne fa una figura autonoma nell’ambito della più ampia categoria della ristrutturazione edilizia, identificabile ove demolizione e ricostruzione mantenga sagoma e volumetria della preesistente costruzione.
Ciò, tuttavia, non consente di ritenere degradata ad intervento edilizio minore la ristrutturazione (solo perché operata mediante ricostruzione “con la stessa volumetria e sagoma” ex d.lgv. 301/2002), dovendosi ritenere implicito anche nel concetto di ristrutturazione quale delineato dal suddetto decreto legislativo, il rispetto degli standards che attiene alla individuazione del bene sotto l’aspetto dell’inserimento della costruzione nel territorio quale risulta disciplinato dall’attività pianificatoria del Comune.
Ne consegue che, ai fini della conformità urbanistica, laddove la ristrutturazione edilizia anche mediante ricostruzione dell’edificio demolito, mantiene tutti i parametri urbanistico edilizi preesistenti quali la volumetria, la sagoma, l’area di sedime, il numero delle unità immobiliari, la conformità urbanistica di riferimento è quella vigente all’epoca della realizzazione del manufatto come attestata dal titolo edilizio, e non quella sopravvenuta al momento della esecuzione dei lavori di ristrutturazione.
In tal caso, infatti, è fatto salvo in capo all’interessato, il diritto acquisito al mantenimento, conservazione e ristrutturazione dell’immobile esistente, in quanto la legittimazione urbanistica del manufatto da demolire si trasferisce su quello ricostruito.
Laddove la ristrutturazione comporti interventi che mutino i parametri urbanistico-edilizi già assentiti con il titolo originario, quali ad esempio, l’aumento del numero delle unità immobiliari o il mutamento di destinazione d’uso è richiesta la conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento dell’esecuzione dei lavori di ristrutturazione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 22.07.2004 n. 3210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa facciata dell’edificio non va confusa o compresa nel concetto di sagoma che, invece, indica la forma della costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che assume l’edificio. Ne consegue che la previsione di balconi in luogo di finestre, essendo relativa al prospetto non riguarda il concetto di sagoma.
I prospetti costituiscono, infatti, un quid pluris rispetto alla sagoma, attenendo all’aspetto esterno e, quindi, al profilo estetico architettonico.

Va osservato che l’intervento progettato, malgrado lo svuotamento effettuato all’interno del fabbricato, risulta rispettoso della precedente sagoma intesa quale involucro esterno (contorno del fabbricato), essendo rispettate le mura perimetrali e l’ingombro dell’edificio.
La modifica dei prospetti, sui quali si è incentrata la difesa giudiziale dell’amministrazione attiene alla facciata dell’edificio sicché non va confusa o compresa nel concetto di sagoma che –come detto- indica la forma della costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che assume l’edificio. Ne consegue che la previsione di balconi in luogo di finestre, essendo relativa al prospetto non riguarda il concetto di sagoma.
I prospetti costituiscono, infatti, un quid pluris rispetto alla sagoma, attenendo all’aspetto esterno e, quindi, al profilo estetico architettonico.
La difformità dei prospetti rispetto all’esistente non rileva di per sé nella fattispecie in esame quale delineata dal legislatore, ma può essere indizio della modifica dei parametri vincolanti, siano quelli fissati dalla legge (volumetria e sagoma), siano quelli rivenienti dalla disciplina urbanistico –edilizia della zona.
Né potrebbe sostenersi che la omissione del riferimento ai prospetti nella definizione legislativa della ristrutturazione ex art. 3, T.U. 380/2001 sia dovuta a mera dimenticanza, ovvero che il concetto di sagoma comprenda anche il prospetto, atteso che nella diversa fattispecie di ristrutturazione di cui all’art. 10, TU 380/2001, i prospetti sono menzionati espressamente e separatamente dalla sagoma
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 22.07.2004 n. 3210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'articolo 878 del codice civile si riferisce soltanto ad un muro che abbia entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni e non racchiuda, quindi, uno spazio coperto con una propria volumetria come nel caso in esame e, pertanto, le norme tecniche di attuazione di un Comune non sono autorizzate a modificare la definizione codicistica.
Il ricorrente, in qualità di proprietario confinante, ha impugnato la concessione edilizia in epigrafe indicata, nonché l'articolo 27, commi 4° e 5°, delle NTA della variante al PRG, sulla quale si fonda il rilascio del suddetto provvedimento, con il quale la controinteressata è stata autorizzata a costruire un fabbricato ad uso autorimessa, di altezza di circa m. 3, da porsi sul confine di proprietà per un fronte di m. 4, deducendone l’illegittimità sotto vari profili.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Non si sono costituiti in giudizio né la provincia di Ferrara né la controinteressata.
L'istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 399 del 25.06.2003 e la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza del 18.03.2004.
Il ricorso è fondato con specifico riferimento alle censure di violazione degli articoli 873 e 878 del codice civile e di eccesso di potere per irragionevolezza e falso presupposto di diritto.
Già in un'analoga controversia promossa dall'odierno ricorrente avverso un'altra simile costruzione da realizzare sempre sul confine di proprietà da parte di un altro confinante, sul lato nord, questo Tribunale Amministrativo Regionale, con sentenza n. 2770 del 31.12.2003, ha rilevato uno specifico contrasto tra l'articolo 27, comma quinto, delle predette norme tecniche di attuazione rispetto agli articoli suddetti del codice civile.
Infatti, la citata disposizione comunale dispone che "nelle zone residenziali è possibile, anche in deroga alle distanze fissate dall'articolo 12 delle presenti norme, l'edificazione sul confine di proprietà di edifici, privi di pareti finestrate, di altezza esterna, intesa come massimo ingombro, inferiore a metri tre, senza necessità di convenzione tra confinanti, intendendo tali edifici come muri di cinta, ai sensi del codice civile".
Invero, come già precisato dalla suddetta sentenza, l'articolo 878 del codice civile si riferisce soltanto ad un muro che abbia entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni e non racchiuda, quindi, uno spazio coperto con una propria volumetria come nel caso in esame e, pertanto, le norme tecniche di attuazione di un Comune non sono autorizzate a modificare la definizione codicistica.
Del resto la strumentazione urbanistica del Comune intimato, per regola generale, all'articolo 12, lettera c, dispone che gli interventi di nuove costruzioni debbano osservare una distanza minima di 5 metri dai confini di proprietà, riducibile a metri 3 soltanto con apposita convenzione tra confinanti, con ciò escludendo l'applicazione diretta del criterio civilistico della prevenzione, di cui all’articolo 873 del codice civile, che non può indirettamente essere reintrodotto attraverso un'illogica ed illegittima equiparazione di una vera e propria costruzione, a tutti gli effetti, ad un muro privo di volumetria coperta (TAR Emilia Romagna, sez. II, sent. n. 2770 del 31.12.2003).
Per tali ragioni, di carattere assorbente rispetto alle ulteriori censure dedotte, il ricorso va accolto, e per l’effetto, si conferma l’annullamento dell'articolo 27, comma 5°, delle NTA della variante al PRG del comune di Poggiorenatico (FE), ivi comprese, in parte qua, le deliberazioni di adozione e di approvazione meglio indicate in epigrafe (già pronunciato con la citata sentenza del TAR Emilia Romagna, sez. II, sent. n. 2770 del 31.12.2003), nonché, per illegittimità derivata, la concessione edilizia impugnata n. C034/2002 rilasciata a Masina Margherita (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 08.04.2004 n. 509 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione tecnica di “ristrutturazione edilizia” include anche la demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente con la medesima volumetria e sagoma.
Alla stregua dell’insegnamento giurisprudenziale prevalente e condivisibile nonché dell’espressa definizione contenuta nell’art. 1, sesto comma, lettera b), della recente Legge 21.12.2001 n. 443, la nozione tecnica di “ristrutturazione edilizia” include anche la demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente con la medesima volumetria e sagoma (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.01.2003 n. 232 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa “sagoma” di una costruzione concerne il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedono superfici sporgenti non rientrano nella nozione di sagoma.
E’ noto che la “sagoma” di una costruzione concerne il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedono superfici sporgenti non rientrano nella nozione di sagoma (Corte di Cassazione penale, III Sezione, 09.02.1998 n. 3849) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.01.2003 n. 232 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La “sagoma” attiene alla conformazione planivolumetrica della costruzione ed al suo perimetro inteso sia in senso verticale sia orizzontale.
La Corte suprema ha avvertito (cfr., per tutte, Cass. pen, Sez. III, 27.03.1998, n. 3849) che la “sagoma” attiene alla conformazione planivolumetrica della costruzione ed al suo perimetro inteso sia in senso verticale sia orizzontale.
La sagoma di una costruzione, quindi, concerne il contorno che viene ad assumere l'edificio ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti rientrano nella nozione di sagoma e sono sottoposte al regime delle c.d. varianti in corso d'opera (TAR Basilicata, sentenza 17.10.2002 n. 628 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è stata realizzata dopo l’imposizione del vincolo autostradale.
Il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n. 729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni. Pertanto, le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopralevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.

Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di 60 metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l’imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria, anche se si tratti di mere soprelevazioni di manufatti preesistenti ed anche se l’opera resti al di sotto del livello della strada.
A tale riguardo giova premettere che, ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19 della l. 06.08.1967, n. 765) “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica”.
Tale vincolo di inedificabilità è configurato come assoluto nel caso di autostrade per le aree situate al di fuori del centro abitato, perché -ai sensi del D.M. 01.04.1968- è esclusa ogni possibilità di deroga alla distanza minima, fissata in 60 metri (la fascia di rispetto è, invece, ridotta a 25 metri all’interno del perimetro del centro abitato ed è derogabile a mente dell’articolo 9, comma 1 della legge 24.07.1961, n. 729).
Il ricorrente, che ha realizzato un’opera abusiva all’interno della predetta fascia di rispetto ed al di fuori del perimetro del centro abitato, non può, inoltre, avvalersi della possibilità di sanatoria offerta dall’articolo 32, comma 4, lettera c), della citata legge n. 47 del 1985 (per cui “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: […] c) in contrasto con le norme del D.M. 01.04.1968 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.04.1968, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”), perché nella fattispecie in esame il vincolo sull’area era stato imposto prima della costruzione del manufatto.
Trova, allora, applicazione la norma di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47, che esclude la possibilità di sanatoria delle opere di cui al precedente articolo 31 “quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: […] d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.
In tal senso si è espressa sia la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193, per cui non è suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è stata realizzata dopo l’imposizione del vincolo autostradale; v. anche Cass. civ., 26.01.2000, n. 841, che per tale ragione esclude la natura edificatoria del terreno rientrante nella fascia di rispetto) sia quella del Consiglio di Stato (Sez. V, 08.09.1994, n. 968, che qualifica come inedificabile l’area ricompresa nella predetta fascia di rispetto).
Va, inoltre, osservato che il carattere assoluto del vincolo sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche dell’opera realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n. 729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che costituiscano mere sopraelevazioni (v. la citata Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.09.2002 n. 4927 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 13.05.2010

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: Sulla questione della necessità o meno della D.I.A. per l'installazione di impianti fotovoltaici ed eolici.
Semplificazione amministrativa per gli impianti per la produzione di energia da FER.

Con d.g.r. 25.11.2009, n. 10622, pubblicato sul BURL in data 01/12/2009 Serie Straordinaria n. 48, sono state pubblicate le “Linee guida per autorizzazione di impianti per la produzione di energia da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) – Impianti fotovoltaici, eolici e Valutazione Impatto Ambientale degli stessi”.
Dette linee guida sono volte ad armonizzare l’esercizio delle funzioni amministrative per autorizzare gli impianti di produzione di energia da fonti energetiche rinnovabili, funzioni conferite alle Province lombarde con legge regionale n. 26 del 12.12.2003 (articolo 28, comma 1, lettera e-bis).
Regione Lombardia ha da tempo avviato un percorso volto alla promozione e incentivazione delle fonti rinnovabili attraverso la definizione di specifiche azioni all’interno del Piano d’Azione per l’Energia, mancava però un sistema di regole semplificato e condiviso con gli enti locali preposti al rilascio dell’autorizzazione ai sensi del d.lgs. 387/2003.
Le presenti Linee guida sviluppano il percorso amministrativo per arrivare a realizzare un qualsiasi impianto per la produzione di energia da FER, mentre dal punto di vista tecnico affrontano solo le tecnologie fotovoltaico ed eolico.
Le rimanenti tecnologie, impianti a biomassa, impianti a gas di discarica, a gas residuati dai processi di depurazione e biogas verranno affrontate in un secondo momento.
L’intera pubblicazione sul BURL è corredata anche dalle “Linee guida per le valutazioni ambientali degli impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile” strumento necessario per svolgere correttamente la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA e di VIA per gli stessi impianti.
Di seguito le due circolari emanate da Regione Lombardia che chiariscono alcuni punti delle Linee guida:
2- Chiarimenti in merito alla d.G.R. 25.11.2009 n. 10622 "Linee guida per l'autorizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti Energetiche Rinnovabili (FER) - impianti fotovoltaici ed eolici" (circolare 25.03.2010 n. 2);
1- Chiarimenti in merito alla d.G.R. 25.11.2009 n. 10622 "Linee guida per l'autorizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti Energetiche Rinnovabili (FER) - impianti fotovoltaici ed eolici per la valutazione ambientale degli stessi impianti" (circolare 02.03.2010 n. 1).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: L. D'Angelo, Il ritardo amministrativo: qualche implicazione sistematica (link a www.altalex.com).

NEWS

VARI: Sviluppo economico, una guida per inquinare meno.
Pubblicata sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico la GUIDA 2010 sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 delle autovetture.
All'interno della guida è possibile consultare i dati dei consumi nei vari cicli (urbano, extraurbano e misto) e delle emissioni di tutti i modelli di automobile in vendita al 28.02.2010, completi anche di una lista dei modelli che emettono meno anidride carbonica, divisi per alimentazione a benzina o a gasolio.
Una menzione speciale viene riservata ad alcuni modelli che ottengono gli stessi risultati mediante alimentazione "bifuel" (con utilizzo di GPL o metano), oppure con propulsione ibrida (motore a benzina più motore elettrico).
La Guida offre, inoltre, consigli agli automobilisti per una guida ecocompatibile, con suggerimenti utili anche dal punto di vista della sicurezza stradale e dell'economicità.
I consigli sono utili anche per limitare l'inquinamento da gas di scarico, problema collegato a quello delle emissioni di anidride carbonica (un'automobile più efficiente produce minori emissioni di entrambi i tipi).
Minori consumi permettono anche di ridurre le importazioni di petrolio, con effetti benefici sulla bilancia commerciale (link a www.governo.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante e già al concorrente medesimo.
Questi è pertanto obbligato a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare alcuna selezione delle condanne eventualmente riportate ed omettendo pertanto la dichiarazione di alcune di esse sulla base meri criteri personali.
L’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configura come causa autonoma di esclusione.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di discostarsi, le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante e già al concorrente medesimo.
Questi è pertanto obbligato a indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare alcuna selezione delle condanne eventualmente riportate ed omettendo pertanto la dichiarazione di alcune di esse sulla base meri criteri personali (C.d.S., sez. IV, 10.02.2009, n. 740; sez. V, 06.12.2007, n. 6221).
Orbene, nel caso in esame, non vi è alcun dubbio sulla circostanza (giammai oggetto di qualsiasi contestazione) che effettivamente nella autodichiarazione resa dal legale rappresentante dell’Impresa Pietro Vitali s.r.l. ai fini della partecipazione alla gara di cui si discute era stata omessa l’indicazione delle sentenze penali di condanne pronunciante nei confronti dei signori Pietro e Mosè Vitali.
E’ stata in tal modo violata espressamente la lex specialis di gara, come ha puntualmente precisato l’amministrazione appaltante nella motivazione dell’impugnato provvedimento di decadenza dall’aggiudicazione, atteso che “…la legge –nonché il bando e il disciplinare di gara con relativi allegati– obbliga(va) i partecipanti alle gare a rendere dichiarazioni complete e veritiere, recanti l’esatta indicazioni di tutti i precedenti penali, ivi inclusi quelli per i quali sia stato concesso il beneficio della non menzione”.
Sul punto deve ricordarsi che è stato altrettanto condivisibilmente affermato che l’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configura come causa autonoma di esclusione (sez. V, 12.04.2007, n. 1723)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.05.2010 n. 2822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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Il Consiglio di Stato conferma il pronunciamento del TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 02.07.2009 n. 4257 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo per gli oneri di urbanizzazione si ritiene non dovuto ogni qual volta l’intervento non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona.
Il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha ordinariamente funzione sostitutiva delle relative opere; in particolare, assolve all’obiettivo di ridistribuire i costi sociali delle stesse avuto riguardo all’aggravamento del carico urbanistico che l’intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere. Si ritiene infatti generalmente non dovuto ogni qual volta l’intervento stesso non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona (cfr. sul punto da ultimo Tar Campania, Napoli, 26.06.2008 n.6271).
Che per espressa prescrizione di legge il quantum di tali oneri venga determinato attraverso tabelle che assumono tra i parametri di riferimento anche le destinazioni di zona previste dallo strumento urbanistico generale, non è dubitabile. Tuttavia, il presupposto della richiamata disciplina è l’ontologica coincidenza tra la destinazione di zona e la destinazione d’uso del manufatto da realizzarsi; coincidenza dalla quale in regime ordinario non può prescindersi, pena l’illegittimità del titolo autorizzatorio cui il computo degli oneri si riconnette.
Siffatto presupposto, tuttavia, può rivelarsi insussistente in ipotesi di condono extra ordinem.
In tali casi, invero, oggetto di sanatoria è l’opera in sé considerata, quand’anche in contrasto con la destinazione della zona in cui è stata realizzata. Il titolo autorizzatorio viene eccezionalmente rilasciato –a certe condizioni- proprio in assenza della conformità del manufatto alle previsioni dello strumento urbanistico generale; in particolare ai parametri e alle destinazioni di zona. In buona sostanza, alle norme dettate per l’edificazione della zona stessa.
Proprio tali deroghe giustificano il rimedio e le procedure straordinari.
Se, pertanto, il principio ispiratore della normativa di settore è quello della corrispettività tra oneri di urbanizzazione e costi delle relative opere connesse all’edificazione, in ipotesi di non coincidenza tra la destinazione dell’intervento e quella della zona in cui lo stesso è stato realizzato (come nella fattispecie in esame), è necessario rintracciare un criterio correttivo che consenta di evitare distorsioni nell’ottica di sistema; che consenta cioè di salvaguardare l’intento perequativo e la corrispettività sottesi all’obbligo di contribuzione –diretta o indiretta- correlato alla realizzazione di nuovi interventi edilizi.
Per preservare, dunque, il sostanziale collegamento tra il contributo concretamente dovuto e la specifica entità edilizia cui esso si riferisce, intesa nella sua natura, destinazione e consistenza non rimane che un opzione: dovrà aversi riguardo non già alle astratte tipologie consentite dalla destinazione di zona bensì alla destinazione in concreto attuata dal manufatto, posto che –si ribadisce- oggetto di condono è proprio l’immobile in sé considerato, avulso dal contesto in cui lo stesso sia venuto a collocarsi.
Non vi osta il dato normativo (la legge sul condono opera un mero rinvio alla legge n. 10/1977 per il pagamento degli oneri e questa non fornisce i criteri per l’applicazione delle tabelle ivi contemplate alla peculiare fattispecie della non coincidenza tra destinazione d’uso e destinazione di zona); e diversamente opinando si perverrebbe ad un risultato in contrasto con il richiamato principio della corrispettività: si farebbero gravare sul singolo intervento non già i costi rapportati all’aumento del carico insediativo determinato dall’intervento stesso, bensì i costi di urbanizzazione dell’intera zona in relazione ad una destinazione (nel caso di specie artigianale-produttiva) che resterebbe comunque estranea alla zona de qua. Questa, invero, nel suo complesso, conserverebbe la destinazione originaria.
In buona sostanza risulterebbe tradito proprio il principio ispiratore di tutta la disciplina e la quantificazione degli oneri di urbanizzazione finirebbe per assumere –al pari dell’oblazione- una valenza sanzionatoria estranea allo spirito della legge. Come già rimarcato, le disposizioni in materia di condono (più specificamente l’art. 37 della legge n. 47/1985 e la Circolare Ministero LL.PP. n. 2241 del 17.06.1995) operano un mero rinvio alle norme della legge n. 10/1977 in materia di oneri di urbanizzazione da corrispondersi in aggiunta all’oblazione; di tali disposizioni, pertanto, mutuano inevitabilmente la ratio della corrispettività
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di condono edilizio, il momento rispetto al quale va calcolato l’importo degli oneri di urbanizzazione è quello di presentazione della domanda di condono e non già in quello di rilascio della concessione stessa.
Nel caso di concessione in sanatoria  ex art. 31 della legge n. 47/1985 la costruzione precede e non segue il rilascio del titolo, sicché la giurisprudenza ha individuato il momento rispetto al quale va calcolato l’importo degli oneri di urbanizzazione in quello di presentazione della domanda di condono e non già in quello di rilascio della concessione stessa, preso in considerazione dalla legge n. 10/1977 (e oggi dal T.U. edilizia) in relazione però all’ordinario regime edilizio (cfr. C.d.S., Sez. V, 17.09.2002, n. 4716) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: A prescindere dalla ricostruzione dottrinaria alla quale si aderisca, la D.i.a. va impugnata comunque nel termine decadenziale.
Il caso commentato dimostra come la tutela nei confronti della DIA prescinda dalla scelta dottrinaria in ordine alla sua natura. In effetti sia che si voglia ricondurre la denuncia nell'alveo degli atti privati, sia che le si voglia attribuire il valore di provvedimento (di implicito provvedimento), quando si voglia evidenziare l'irregolarità della medesima non si può prescindere dal ricorso alla via giudiziaria in tempi utili. Anche un ricorso avverso una DIA deve essere pertanto presentato nel termine decadenziale di 60 giorni dall'avvenuta conoscenza della DIA come stabilito dall'art. 21 della legge TAR.
Secondo i giudici di Palazzo Spada quand'anche si volesse attribuire alla DIA il valore di atto privato, l'azione volta all'accertamento della insussistenza dei suoi requisiti sarebbe comunque assoggettata al termine decadenziale. Se poi, come è accaduto nel caso oggetto della sentenza, il privato abbia impugnato la nota dell'amministrazione con la quale la medesima, negando la necessità del ricorso all'autotutela, confermava la validità della DIA, di certo, la tardività dell'impugnazione sarebbe manifesta.
A fronte di un’istanza di un privato intesa a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela, l’Amministrazione non ha alcun obbligo di rispondere in modo espresso; dal che non può non discendere anche che, qualora l’istanza sia riscontrata con un atto nel quale l’Amministrazione si limita a escludere l’avvio di un procedimento di autotutela, tale atto non è autonomamente impugnabile, risolvendosi in una mera conferma della legittimità del precedente operato della stessa Amministrazione, ormai definitivo e inoppugnabile (al contrario, in caso di effettivo esercizio dei poteri di autotutela, gli atti eventualmente posti in essere –di annullamento, revoca o quant’altro– potranno naturalmente essere impugnati dagli interessati, costituendo rinnovata esplicazione del potere pubblico).
In definitiva, la persona interessata che abbia avuto conoscenza dell'esistenza della DIA, legittimamente può far valere i propri diritti seguendo strade alternative a quella della proposizione di un ricorso giurisdizionale (esercizio di azioni in sede civile, sollecitazione di interventi in autotutela alla stessa Amministrazione comunale), ciò però, a causa del decorso del tempo, le preclude la possibilità di poter in seguito esperire tale rimedio (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.05.2010 n. 2558 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri concessori sono a carico di chi richiede l'autorizzazione edilizia e non dell'acquirente dell'opera realizzata in base al titolo.
E’ invero pacifico (art. 4 legge n. 10/1977) che gli oneri di costruzione connessi al rilascio di una concessione edilizia debbano essere assolti da colui che chiede l’autorizzazione e, successivamente, realizza le opere di trasformazione edilizia ed urbanistica assentite, ovvero dai suoi successori o aventi causa nella titolarità del titolo edilizio subentrati nell’esercizio dell’attività edificatoria, restando infondata la pretesa di rivolgere la richiesta di tale adempimento ai soggetti acquirenti delle opere realizzate in forza dell’autorizzazione edilizia (cfr: Cass. Civ., III, 17.06.1996 n. 5541) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1079 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero solo quando l’impresa documenti di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altre commesse. – Tar per la Puglia sede di Bari 1702/2010 
I canoni della ragionevolezza e del favor partecipationis non consentono di sanzionare con l’esclusione dalla gara i concorrenti che incorrano in incompletezze o errori lievi e meramente formali, privi di incidenza sulla par condicio e sul corretto svolgimento della procedura (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.12.2008 n. 5931).
Quanto alla misura del lucro cessante risarcibile, in adesione al più recente orientamento della giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13.06.2008 n. 2967; Id., sez. VI, 09.06.2008 n. 2751; Id., sez. VI, 21.05.2009 n. 3144), il Collegio ritiene che il criterio del 10% del prezzo, ai sensi dell’art. 345 della legge n. 2248 del 1865, se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l’utile che una impresa trae dall’appalto, non possa essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, che rischierebbe di condurre al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore più favorevole dell’impiego del capitale. Appare allora preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, prova desumibile in primis dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara.
La stessa giurisprudenza ha inoltre precisato che il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero solo quando l’impresa documenti di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altre commesse, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità e con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile, in applicazione del principio dell’aliunde perceptum. Con la specificazione che l’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum grava non sull’Amministrazione, ma sull’impresa ricorrente
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 03.05.2010 n. 1702 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Fanghi di depurazione - Utilizzo in agricoltura - Disciplina applicabile - D.Lgs. n. 99/1992 - Art. 92, c. 6 d.lgs. n. 152/2006 - Rinvio al Codice di Buona Pratica Agricola.
Il D.Lg. 99/1992, emesso in attuazione della direttiva comunitaria 86/278, per disciplinare l’uso di fanghi di depurazione in agricoltura, pur favorendone la corretta utilizzazione, ha il preciso scopo di “evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull’uomo”.
Per conseguire tale finalità, detta disposizioni precise e dettagliate, che concretano una disciplina completa ed esauriente, la quale, allo stato, è l’unica applicabile al settore. Infatti il successivo D.Lg. 152/2006, pur occupandosi delle “zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola”, non detta prescrizioni puntuali, ma rinvia (art. 92, comma 6) al Codice di Buona Pratica agricola, di cui al D.M. del Ministero delle politiche agricole e forestali del 19.04.1999, che, a sua volta, rinvia anch’esso al D.Lg. 99/1992.
RIFIUTI - Fanghi di depurazione - Utilizzo in agricoltura - Limiti previsti dal d.lgs. n. 99/92 - Provincia - Previsione di limiti diversi o ulteriori - Competenza - Esclusione.
In tema di utilizzo di fanghi in agricoltura, la Provincia (sino a quando la Regione non abbia legiferato sul punto) non ha alcun potere di imporre ulteriori o diversi limiti rispetto a quelli espressamente indicati dal D.Lg. 99/1992 (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 03.05.2010 n. 299 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Norme e vincoli a tutela dell’ambiente - Competenza legislativa e amministrativa in materia urbanistica - Friuli Venezia Giulia - Art. 4, n. 12 dello Statuto.
La possibilità di dettare norme, stabilire vincoli e procedure a tutela dell'ambiente naturale deve ritenersi compresa nella competenza legislativa e amministrativa in materia urbanistica, che è comune a tutte le Regioni a statuto ordinario come a quelle statuto speciale: per il Friuli-Venezia Giulia l’urbanistica è indicata fra le materie di competenza primaria dall’art. 4 n. 12 dello Statuto (Cfr., secondo una giurisprudenza risalente, Cons. St., VI, 15.09.1986, n. 720).
Pianificazione del territorio - Comuni - Coerenza con gli altri strumenti pianificatori esistenti - Piani territoriali paesistici - Tendenziale unitarietà ed omogeneità dei diversi strumenti pianificatori.
In sede di pianificazione del territorio i Comuni non possono in alcun caso trascurare l'esistenza e la cogenza di altri strumenti pianificatori, ancorché riconducibili ad altri soggetti istituzionali (in particolare, i Comuni non possono disattendere i piani territoriali paesistici elaborati dalla Regione od altri piani similari), considerata la tendenziale unitarietà ed omogeneità delle previsioni che devono caratterizzare, in un coordinato assetto globale, i diversi strumenti pianificatori del territorio: questo perché il potere pianificatore è preordinato alla ordinata programmazione e sviluppo delle aree abitate ed alla salvaguardia dei valori non solo urbanistici, ma anche dei valori ambientali esistenti (Cfr., ex pluribus, Cons. Stato, IV Sez., 14.12.1993, n. 1068; TAR Lazio, II, 14.09.1994, n. 1028).
Autorità comunale - Vincoli discendenti da provvedimenti a tutela degli interessi storico, ambientale e paesistico - Pedissequo recepimento - Esclusione - Nuove e ulteriori limitazioni - Introduzione - Possibilità.
L'Autorità urbanistica, nell'esercizio dei suoi poteri di pianificazione, non è vincolata - di norma - al pedissequo recepimento dei vincoli discendenti dai provvedimenti adottati dalle Amministrazioni preposte alla tutela degli interessi di carattere storico, ambientale e paesistico, ma è legittimata ad una nuova e diversa valutazione degli stessi: la quale, nel rispetto dei vincoli predetti, può portare a nuove ed ulteriori limitazioni (Cfr., secondo una giurisprudenza risalente, Cons. Stato, Ap., 19.03.1985, n. 6; TAR Toscana, 16.11.1987, n. 1349).
Beni di valore ambientale e paesistico - Categoria originariamente di interesse pubblico - Vincoli - Equiparazione ai vincoli imposti con provvedimenti amministrativi comportanti l’espropriazione - Esclusione.
I beni aventi valore ambientale e paesistico costituiscono una categoria originariamente di interesse pubblico, rispetto alla quale è da escluderne l'equiparazione a quella relativa ai vincoli imposti con provvedimenti amministrativi comportanti la espropriazione: vincoli - questi ultimi - soggetti all'obbligo costituzionalmente garantito di corrispondere un indennizzo.
Territorio comunale - Scelte urbanistiche - Specifica motivazione - Necessità - Esclusione - Variante.
Le scelte urbanistiche che l'Amministrazione compie per la disciplina del territorio comunale non comportano di regola la necessità di una specifica motivazione che tenga conto delle aspirazioni dei privati (Cfr., per tutte, Cons. St., Ap., 21.10.1980, n. 37; IV Sez., 11.01.1985, n. 2; IV Sez., 02.07.1983, n. 488; TAR Friuli-Venezia Giulia, 24.09.1994, n. 349 e 26.07.2006, n. 482; 23.02.2002, n. 50).
Tale principio (che comunque non preclude al giudice amministrativo di verificare se le scelte operate siano irrazionali o manifestamente illogiche e contraddittorie) è operante anche quando l'Autorità urbanistica adotti una variante, anche generale, al piano vigente (Cfr. Cons. St., IV Sez., 30.06.1993, n. 642; IV Sez., 02.07.1983, n. 488), sulla base di una diversa valutazione delle esigenze pubbliche (Cfr., Cons. St., IV Sez., 20.03.1985, n. 96), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione d'accompagnamento al progetto di modificazione (Cfr. Cons. St., IV Sez., 04.03.1993, n. 240; IV Sez., 11.12.1979, n. 1141), pur quando la variante disponga vincoli sulla proprietà privata, prevedendone l'espropriazione o la inedificabilità assoluta (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 267 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: L'acquisizione sanante si applica anche ai beni culturali.
Non vi è dubbio che l’acquisizione sanante sia un istituto di carattere generale avente la specifica finalità di far conseguire all’amministrazione pubblica un bene anche nel caso del mancato esito fruttuoso di procedure espropriative in precedenza svolte. Il Collegio non ravvisa, pertanto, alcun ostacolo all’applicabilità dell’istituto nelle ipotesi in cui la medesima esigenza acquisitiva venga in rilievo in rapporto a beni culturali.
Sarebbe del resto illogico e non costituzionalmente orientato un diverso opinare giacché -come condivisibilmente osservato dal TAR- i beni culturali (per di più, nella specie, già vincolati) sono maggiormente bisognosi di una tutela pubblica, soprattutto se compromessi sul piano strutturale o funzionale (C.G.A.R.S., sentenza 21.04.2010 n. 558 - link a www.altalex.com).

URBANISTICA: La natura espropriativa o conformativa di un vincolo va individuata in concreto.
La natura espropriativa o conformativa del vincolo va verificata non in astratto, ma sulla base della concreta disciplina urbanistica impressa ai singoli suoli, al fine di accertare –per l’appunto– se la destinazione impressa agli stessi si risolva in una sostanziale ablazione ovvero, non svuoti di contenuto i diritti dominicali dei proprietari (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.04.2010 n. 1982 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: Illuminazione pubblica, telegestione e risparmio energetico, affidamento diretto.
Ai sensi del Codice dei contratti pubblici, deve ritenersi legittima la delibera di affidamento diretto e senza gara dell’appalto per la realizzazione di un sistema di telegestione e di risparmio energetico sugli impianti di illuminazione pubblica comunale (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 29.01.2010 n. 372 - link a www.altalex.com).

APPALTI: La verifica dell’incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell’impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all’esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato.
E' legittimo il provvedimento di esclusione da una gara in relazione ad una sentenza di condanna con sentenza passata in giudicato per delitto che incide sul rapporto fiduciario che si deve instaurare con la P.A..
L’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configura come causa autonoma di esclusione dalla gara.
La giurisprudenza afferma, –se si eccettuano i reati relativi a condotte delittuose individuate dalla normativa antimafia– in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, che la verifica dell’incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell’impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all’esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato (cfr. Cons. St., sez. V, 18.10.2001, n. 5517; id., 25.11.2002, n. 6482). 
La giurisprudenza di questo Consiglio ritiene legittimo il provvedimento di esclusione da una gara in relazione ad una sentenza di condanna con sentenza passata in giudicato per delitto che incide sul rapporto fiduciario che si deve instaurare con la P.A. (cfr. Cons. St., sez. IV, 20.01.2004, n. 2358).
La giurisprudenza è pressoché unanime nell’affermare che l’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configura come causa autonoma di esclusione dalla gara. Questo Giudice (cfr. Cons. St., sez. V, 06.06.2002, n. 3183) ha, infatti, sostenuto che, ai sensi dell’art. 17, lett. m) del D.P.R. n. 34 del 2000, l’esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti per l’ammissione agli appalti si configura come causa di esclusione (cfr., con riferimento alla omessa dichiarazione delle sentenze di condanna riportate, Cons. St., sez. V, 25.01.2003, n. 352; Cons. St., sez. VI, 05.09.2002, n. 4483).
La ratio dell’art. 75, lett. c), del D.P.R. n. 554/1999 è, infatti, quella di assicurare che la pubblica amministrazione contragga con società i cui titolari, amministratori e direttori tecnici siano persone affidabili moralmente e professionalmente (cfr. Cons. St., sez. V, 12.10.2002, n. 5523) (Cons. Stato, Sez. V, sentenza 12.04.2007 n. 1723 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 10.05.2010

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Detrazioni 55%: aggiornata la guida ENEA.
Il D.M. 26.01.2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 35 del 12/02/2010, ha modificato i valori limite di trasmittanza, previsti nel D.M. 11.03.2008, per usufruire delle detrazioni fiscali del 55%.
Il decreto, che è entrato in vigore 30 giorni dopo la pubblicazione, cioè lo scorso 14 marzo, ha originato alcuni dubbi circa i limiti da applicare per il periodo 01.01.2010–14.03.2010.
L'ENEA, di concerto con la Segreteria Tecnica del ministero dello Sviluppo economico, ha chiarito che è possibile osservare i limiti precedenti (quelli cioè stabiliti dal D.M. 11.03.2008) per coloro che hanno acquistato, commissionato o ordinato tra il 1° gennaio e il 14 marzo 2010 interventi di riqualificazione afferenti al comma 345 della Finanziaria 2007, e che sarebbero soggetti a nuovi valori di trasmittanza più restrittivi.
Con l'occasione l'ENEA ha aggiornato la pubblicazione "La casa evoluta - Detrazione IRPEF del 55% per interventi di risparmio energetico sugli edifici", che tratta i seguenti temi: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per il risparmio energetico è possibile derogare alle distanze legali.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 92 del 21.04.2010 è stato pubblicato il d.lgs. 29.03.2010, n. 56 recante "Modifiche ed integrazioni al decreto 30.05.2008, n. 115, recante attuazione della direttiva 2006/32/CE, concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e recante abrogazioni della direttiva 93/76/CEE.".
Tra le modifiche apportate al provvedimento segnaliamo quelle apportate all'art. 11.
L'art. 11 del provvedimento prevede incentivi "urbanistici" per gli edifici (di nuova costruzione o esistenti) più efficienti dal punto di vista energetico.
Per gli edifici di nuova costruzione, in particolare, il comma 1 del suddetto articolo prevede che non siano considerati nei computi per la determinazioni dei volumi, delle superfici e nei rapporti di copertura:
- gli spessori delle murature esterne, delle tamponature o dei muri portanti superiori ai 30 centimetri (per la sola parte eccedente, fino ad un massimo di 25 cm.);
- il maggiore spessore dei solai e tutti i maggiori volumi e superfici necessari all'esclusivo miglioramento dei livelli di isolamento termico o di inerzia termica degli edifici (fino ad un massimo di 15 cm. per i solai intermedi).
Sempre nel rispetto di tali limiti è permesso derogare a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito:
- alle distanze minime tra edifici;
- alle distanze minime di protezione del nastro stradale;
- alle altezze massime degli edifici.

Per gli edifici esistenti, sui quali si intende realizzare interventi di riqualificazione energetica che comportano maggiori spessori delle murature esterne e degli elementi di copertura, è prevista (art. 11 comma 2) la deroga alle normative nazionali e locali, alle distanze minime tra edifici e dalle strade:
- nella misura massima di 20 cm. per il maggiore spessore delle pareti verticali esterne e delle altezze massime degli edifici;
- nella misura massima di 25 cm. per il maggior spessore degli elementi di copertura.

Tale deroga può essere esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti.
In base alle modifiche apportare dal D.Lgs. 56/2010, in entrambi i precedenti casi e sempre nel rispetto dei limiti predetti, è ora possibile derogare anche alle distanze minime dai confini della proprietà.
È stata quindi ampliata la casistica originariamente prevista dal D.Lgs. 115/2008, che prevedeva la possibilità di non considerare gli spessori aggiuntivi di elementi verticali, solai e coperture, derogando ad altezze massime e distanze minime tra edifici ...
(link a www.acca.it).

SICUREZZA CANTIERITutto sul PiMUS (Piano di Montaggio, Uso e Smontaggio dei Ponteggi).
Il PiMUS è un documento operativo, da realizzare per ogni specifico lavoro in cui è presente un ponteggio, che deve essere preso a riferimento dal personale addetto al montaggio, all'uso e allo smontaggio dei ponteggi, al fine di garantire:
* la loro sicurezza durante l'attività
* la sicurezza di chi, pur non utilizzando il ponteggio, è "interessato" dalla sua presenza: altri lavoratori del cantiere, abitanti o fruitori di uno stabile in corso di ristrutturazione
Il PiMUS è da redigere:
* per il ponteggio metallico fisso, indipendentemente da dimensioni, complessità e necessità di progetto
* per un impalcato o un'altra opera provvisionale costruita con elementi di ponteggi metallici fissi
* per un ponteggio realizzato con elementi in legno
II PiMUS non deve essere redatto:
* per la realizzazione di opere provvisionali diverse dai ponteggi, quali ponti su ruote (trabattelli), ponti su cavalietti, parapetti, ....
La redazione del PiMUS è a carico dell'impresa che monta e smonta il ponteggio e deve essere predisposto prima di iniziare le attività sul ponteggio.
Sul sito della Regione Campania è disponibile un documento dal titolo "Tutto sul Piano di Montaggio Uso e Smontaggio dei Ponteggi" a cura dell'ing. Antonio Scalzi
... (link a www.acca.it).

APPALTI: La gestione della sicurezza negli appalti pubblici: gli atti degli incontri organizzati da ITACA.
ITACA (Istituto per l'innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale) ha reso disponibili sul proprio sito gli atti relativi a tre incontri (Palermo, Torino, Roma) sul tema della gestione della sicurezza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Il 09.03.2010, presso la Sala delle Conferenze della Camera dei Deputati a ROMA, si è tenuto l'ultimo incontro del ciclo organizzato dal Gruppo di Lavoro interregionale "Sicurezza e Appalti" di ITACA in collaborazione con le Regioni Sicilia, Piemonte e Lazio.
Sono disponibili on line gli atti di tutti gli incontri del ciclo che risultano di notevole interesse per i professionisti e le imprese che operano nell'ambito delle opere pubbliche ma anche quelle che prevalentemente operano con committenti privati.
Di seguito il dettaglio degli interventi: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'installazione degli ascensori in sicurezza.
SuvaPro è la divisione che si occupa della sicurezza sul lavoro di SUVA, azienda autonoma di diritto pubblico, l'assicuratore più importante in Svizzera nel campo dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni.
Nell'ambito dell'attività di prevenzione, SUVA ha predisposto un opuscolo informativo indirizzato ai responsabili dei lavori sui cantieri e agli installatori delle ditte fornitrici di ascensori.
La pubblicazione illustra alcune semplici regole per garantire la sicurezza nell'uso dei ponteggi per vani ascensore e nel montaggio di ascensori senza l'ausilio di ponteggi.
La pubblicazione è articolare nei seguenti capitoli: ... (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: Attività edilizia libera: novità nella conversione in legge del D.L. 40/2010.
Il nuovo testo reintroduce l'obbligo della relazione tecnica, la cui inosservanza ha però sanzioni lievi. Norme per reti in banda larga e fibra ottica.
Nella seduta del 06/05/2010 la Camera dei Deputati ha approvato, con voto di fiducia sul maxi-emendamento interamente sostitutivo, la conversione in legge del D.L. 40/2010 (cosiddetto «decreto Incentivi»).
Il provvedimento, il cui testo ha con ogni probabilità assunto la sua veste finale, passa ora al Senato per la conversione in legge definitiva che dovrà avvenire entro il 25/05/2010.
Attività edilizia libera.
Come noto l'art. 5, il cui testo è stato ora interamente sostituito rispetto alla versione originaria, è volto ad ampliare, mediante la sostituzione dell'art. 6 del D.P.R. 380/2001, le tipologie di interventi rientranti nell'attività edilizia libera, realizzabili senza alcun titolo abilitativo anziché mediante denuncia di inizio attività (DIA). Le nuove tipologie riguardano, in particolare, interventi di manutenzione straordinaria, opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, pannelli solari, fotovoltaici e termici senza serbatoio di accumulo esterno, aree ludiche senza fini di lucro ed elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici (commi 1 e 2).
Il nuovo testo, nel sopprimere la clausola che faceva salve le disposizioni più restrittive della disciplina regionale, prevede peraltro che le Regioni a statuto ordinario possano estendere la semplificazione a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti, individuare ulteriori interventi edilizi per i quali è necessario trasmettere al comune la relazione tecnica ovvero stabilire ulteriori contenuti per la medesima relazione tecnica (comma 6).
Il nuovo testo dell'art. 6 differenzia l'attività edilizia libera in due categorie, a seconda che occorra una previa comunicazione all'amministrazione comunale dell'inizio dei lavori, anche per via telematica, da parte dell'interessato, insieme con le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore (comma 2). Esclusivamente per i lavori di manutenzione straordinaria, che includono nel nuovo testo l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, la comunicazione deve contenere i dati identificativi dell'impresa alla quale intende affidare la realizzazione dei lavori.
Per tali lavori, inoltre, il nuovo testo prevede la trasmissione all'amministrazione di una relazione tecnica, con la quale un tecnico abilitato assevera che i lavori siano conformi agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non preveda alcun titolo abilitativo. Il tecnico deve altresì dichiarare di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente (comma 4).
Su tale ultimo punto si osserva che la nuova norma sembra essere addirittura più restrittiva rispetto alla normativa vigente prima dell'emanazione del decreto-legge, secondo la quale, pur in presenza di dichiarazione di inizio attività (DIA), il progettista abilitato non deve necessariamente dichiarare di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente.
Ai sensi del nuovo comma 5, per tutti gli interventi l'interessato provvede alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale entro 30 giorni dal momento della variazione, secondo quanto previsto dall'articolo 34-quinquies, comma 2, lettera b), della L. 80/2006.
Viene inoltre specificato che la mancata comunicazione dell'inizio dei lavori o la mancata trasmissione della relazione tecnica comportano la sanzione pecuniaria di 258 euro che può essere ridotta a due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione (comma 7).
Il comma 8, infine, semplifica la procedura relativa al rilascio del certificato di prevenzione incendi (CPI) per gli interventi citati, prevedendo che il CPI, ove richiesto, sia rilasciato in via ordinaria con l'esame a vista.
Installazione di reti e di impianti di comunicazione elettronica.
Il maxi-emendamento ha introdotto anche il nuovo art. 5-bis, che mediante inserimento dell'art. 87-bis del D.Leg.vo 259/2003 introduce procedure semplificate per la realizzazione delle infrastrutture necessarie alla rete di banda larga mobile.
In particolare, si prevede che per avviare l'installazione di apparati con tecnologia UMTS[53] o di altre tecnologie, su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti, è richiesta la sola denuncia di inizio attività. La denuncia resta priva di effetti ove entro 30 giorni dalla presentazione della domanda sia intervenuto un provvedimento di diniego da parte dell'ente locale competente, ovvero un parere negativo da parte dell'organismo di controllo.
Il comma 2, sostituendo il comma 15-bis dell'art. 2 della L. 133/2008, interviene sulle procedure di installazione delle reti e degli impianti di comunicazione in fibra ottica. Il comma 15-bis dispone attualmente che per le predette opere la profondità minima dei lavori di scavo, anche in deroga a quanto stabilito dalla normativa vigente, può essere ridotta previo accordo con l'ente proprietario della strada.
Secondo il nuovo testo, la possibile riduzione della profondità viene condizionata alla circostanza che l'ente gestore dell'infrastruttura civile non comunichi specifici motivi ostativi entro 30 giorni dal ricevimento della denuncia di inizio attività che deve essere presentata all'Amministrazione territoriale competente da parte dell'operatore della comunicazione, entro 30 giorni dall'inizio dei lavori (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - in merito si legga:
1- l'intero testo licenziato dalla Camera ed ora al Senato - AS 2165 oppure 2- per una migliore leggibilità e raffronto l'estratto riguardante il novellato art. 6 del DPR n. 380/2001 - AS 2165).

SINDACATI

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il personale nei processi di esternalizzazione ed internalizzazione di servizi pubblici locali (CGIL-FP di Bergamo, nota 26.04.2010).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA E DIPARTIMENTO DIGITALIZZAZIONE PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

PUBBLICO IMPIEGOArt. 55-septies del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, introdotto dall'art. 69 del d.lgs. 27.10.2009, n. 150 - Trasmissione per via telematica dei certificati di malattia. Indicazioni operative (circolare 19.03.2010 n. 1/2010 - link a www.innovazionepa.gov.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Di Rosa, Quando meno te lo aspetti … ti vien detto di bonificare. Ancora incertezze in materia di bonifiche (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: NUOVE PROCEDURE DI RICORSO NEGLI APPALTI PUBBLICI - D.LGS. N. 53 DEL 20.03.2010 DI MODIFICA DEL CODICE DEGLI APPALTI - NUOVO TESTO COORDINATO DEL D. LGS. 163/2006 (link a www.ancebrescia.it).

APPALTI: Gare d’appalto: Illegittima la clausola che favorisce “di fatto” la partecipazione delle imprese locali (link a www.mediagraphic.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: La "correlazione immediata e diretta" che impone l'astensione ai consiglieri comunali nella votazione del P.I. (link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI: D. Meneguzzo, L'indirizzo di posta elettronica o il numero fax sono previsti o prevedibili a pena di esclusione dalle gare? (link a http://venetoius.myblog.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla questione delle gare per il gas (link a http://venetoius.myblog.it):
3-  Ma sulle gare per il gas l'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato dice il contrario della Corte dei Conti;
2-  D. Meneguzzo, La Corte dei Conti della Lombardia pensa che debbano essere stoppate le gare per il gas;
1-  E' competente la giunta e non il consiglio comunale per indire la gara per il gas.

EDILIZIA PRIVATA: S. Bigolaro, La disciplina degli interventi edilizi nelle zone agricole del Veneto: la situazione attuale e l’insegnamento del “caso Cortina (link a http://venetoius.myblog.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Consorzi, l'ente non paga. La natura pubblicistica esclude il versamento. Concordi dottrina e giurisprudenza. Niente oneri per i permessi retribuiti del vicesindaco.
Il Comune deve corrispondere a un consorzio, ai sensi dell'art. 80 del decreto legislativo n. 267/2000, gli oneri per permessi usufruiti dal vicesindaco, dipendente del menzionato consorzio, per lo svolgimento del mandato elettivo?
Occorre preliminarmente fare un'analisi della normativa che disciplina i consorzi e della loro natura giuridica.
L'articolo 35 comma 8 della legge finanziaria per l'anno 2002 ha disposto che per l'esercizio dei servizi pubblici a rilevanza economica gli enti locali, entro il 30.06.2003, trasformassero le aziende ed i consorzi di cui al all'articolo 31, comma 8, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 in società di capitali, mentre lo stesso articolo 35, nell'apportare modifiche al comma 8 dell'articolo 31 del citato Testo unico sull'ordinamento degli enti locali, ha previsto che ai consorzi che gestiscono servizi pubblici privi di rilevanza economica si applicassero le medesime disposizioni applicabili alle aziende speciali.
Con tale intervento il legislatore ha pertanto introdotto un diverso regime giuridico tra i consorzi che svolgono servizi pubblici a rilevanza economica e quelli privi di tale rilevanza.
Per quanto può rivelarsi utile ai fini del quesito in questione si richiamano, in merito al concetto di rilevanza economica, i criteri elaborati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (sez. V 10.05.2001, cause C223/99 e C 260/99) in base ai quali i servizi privi di rilevanza economica sono tutti quei servizi che normalmente vengono fomiti per ragioni solidaristiche, senza scopo di lucro e senza prospettiva di profitto, mentre la rilevanza economica è data dal rischio della gestione, rischio che sussiste anche nell'ipotesi in cui il costo del servizio non sia coperto integralmente dal prezzo pagato dagli utenti bensì al ripiano contribuisca anche la pubblica amministrazione. Nell'ambito del nostro ordinamento è stato affermato in merito al concetto di economicità che l'attività economica organizzata, a prescindere dalla forma giuridica assunta dall'impresa, si traduce nell'astratta idoneità di essa a coprire i costi di produzione.
Per quanto più attiene agli aspetti concernenti la natura giuridica del consorzio in questione si osserva che l'individuazione della natura pubblica o privata di un ente o di una società è divenuta particolarmente problematica a seguito della costante evoluzione del diritto comunitario e del connesso fenomeno delle «privatizzazioni».
Come osserva la dottrina più aggiornata si riteneva, in passato, che la qualifica di ente pubblico investisse il campo generale delle sue azioni mentre l'evolversi del diritto comunitario consente ora di affermare che, almeno nei settori toccati da interventi comunitari, ci possano essere enti pubblici settoriali, qualificabili cioè come pubblici solo in questi settori mentre, negli altri settori, non toccati dall'ordinamento comunitario, il soggetto permane perfettamente privato.
Il diritto comunitario sposa quindi una nozione flessibile di ente pubblico che ben si coniuga con la sua natura sostanzialistica che, nel risolvere problemi qualificatori, si avvale del cosiddetto principio dell'effetto utile il quale fa si che la miglior soluzione del caso concreto sia quella più corrispondente al fine che la norma comunitaria vuole perseguire.
In altri termini. per quanto attiene più in particolare le procedure di gara e in particolare al fine di assicurare la piena concorrenza tra le imprese, la logica comunitaria consente di comprendere, tra le pubbliche amministrazioni tenute alla procedura di evidenza pubblica, non solo i soggetti formalmente pubblici ma anche quelli con veste privata.
Sulla scia del diritto comunitario anche la legge nazionale, in campi specifici, connota come pubblico un determinato ente rinunciando a una definizione universale e sottoponendolo alla giurisdizione amministrativa mentre, al di fuori di questi ambiti, lo stesso rimane totalmente privato. Questo accade in almeno due settori quali quello dell'accesso e quello degli appalti ove alcuni soggetti di diritto sono qualificati come pubblici ai soli fini di quei settori (Cons. stato n. 1206/2001).
Sussistono pertanto soggetti pubblici ai fini degli appalti, dell'accesso e del controllo della Corte dei conti, tenuto conto che ciò che rileva ai sensi dell'art. 100 Cost., è che le finanze siano pubbliche e soggetti privati ad altri fini. Con l'avvento del diritto comunitario quindi, meno attento alle forme e più vicino all'aspetto sostanziale, un ente viene considerato pubblico quando è titolare di un potere appunto pubblico ed è sottoposto a un controllo anch'esso pubblico indipendentemente dalla circostanza che abbia una cornice formalmente privatistica.
Un ulteriore elemento che può rilevarsi d'ausilio per individuare la sostanziale natura dell'ente è quello concernente la titolarità (pubblica o privata) del capitale sociale, che nel caso di specie risulta essere totalmente pubblico.
Parimenti anche gli aspetti legati al rapporto di lavoro possono rivelarsi d'aiuto nell'individuare la natura pubblica o privata dell'ente datore di lavoro. Nel caso in esame, pur tenuto conto dell'attuale mutevole assetto ordinamentale degli enti pubblici, si ritiene che la circostanza che gli oneri previdenziali per i dipendenti del consorzio in questione siano versati all'Inpdap sia senz'altro un elemento che lascia propendere per la natura pubblica del consorzio.
Si osserva peraltro che proprio il decreto legislativo 30.06.1994, n. 479 normativa con la quale è stato istituito l'lnpdap (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) dispone tra l'altro, all'art. 4 comma 2, che l'istituto svolge i compiti precedentemente affidati all'ente nazionale di previdenza per i dipendenti degli enti locali, tipologia di enti tra i quali rientra il consorzio in esame.
Può infine rivelarsi d'ausilio l'esame dell'atto costitutivo del Consorzio in questione, nel prevedere che per il conseguimento dello scopo il Consorzio riceve in conto capitale dai singoli enti partecipanti beni. impianti e quant'altro utile alla gestione dell'oggetto sociale, viene espressamente richiamato l'art. 114 del Testo Unico degli enti locali ove (con riferimento alle aziende speciali) è previsto che le stesse sono enti strumentali dell'ente locale.
In conclusione, delineato come sopra l'assetto normativo concernente i consorzi tra enti locali e preso atto delle considerazioni della dottrina più autorevole e della giurisprudenza, è da ritenere che, ai fini applicativi del disposto dell'art. 80 del Testo unico sugli enti locali il consorzio abbia natura di ente pubblico e conseguentemente il comune non è tenuto a corrispondere allo stesso gli oneri per i permessi retribuiti usufruiti dal vice sindaco (articolo ItaliaOggi del 07.05.2010, pag. 35).

EDILIZIA PRIVATA: Paesaggio addio: arriva l'abuso legale.
Il decreto del ministro Bondi tiene in vita il Codice per i beni paesaggistici ma, nello stesso tempo, contiene norme per aggirarlo.
Verande, terrazzini, lucernari: torna la logica del «ciascuno è libero a casa sua». Senza controlli ... (articolo l'Unità del 07.05.2010 - link a www.corteconti.it).

APPALTIDurc in attesa del regolamento attuativo del Codice appalti.
In attesa dell'approvazione del Regolamento attuativo del Codice degli appalti, la questione della durata della validità del Documento unico di regolarità contributiva è ancora oggetto di dibattito dottrinale tra i sostenitori della validità mensile, sia per la partecipazione all'affidamento dei lavori che per consentire il regolare pagamento delle fatture, e coloro che invece propendono per la validità trimestrale del certificato.
A tale riguardo, nemmeno giova l'interpretazione ondivaga dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici che nel parere 31/2009 (peraltro non vincolante nemmeno per le parti in causa) si pronunciava per la validità mensile e limitata a una sola fase lavorativa, mentre nella recente determinazione n. 1/2010 afferma la validità trimestrale del Durc in quanto ciò consente alle stazioni pubbliche appaltanti di estendere la garanzia della regolarità su un maggiore periodo che può comprendere anche più fasi lavorative.
L'interpretazione sistematica delle disposizioni in materia, operata dall'Autorità di Vigilanza nel parere 31/2009, è tra l'altro carente laddove manca di menzionare l'art. 41, dpr 445/2000 (T.u. sulla documentazione amministrativa) quale regola generale la quale prevede che «i certificati rilasciati dalle pubbliche amministrazioni attestanti stati, qualità personali e fatti non soggetti a modificazioni hanno validità illimitata. Le restanti certificazioni hanno validità di sei mesi dalla data di rilascio se disposizioni di legge o regolamentari non prevedono una validità superiore» ... (articolo ItaliaOggi del 07.05.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti elettrici a raccolta. Pubblicato in Gazzetta l'atteso decreto destinato a distributori e installatori. Dal 18 giugno ritiro gratuito uno contro uno.
Dal 18.06.2010 si potrà andare in un negozio di elettrodomestici, acquistare il proprio pc, frigo, lavatrice, ferro da stiro e pretendere il ritiro gratuito dell'usato da buttare.
Lo prevede il nuovo regolamento per la gestione dei Raee (rifiuti elettrici ed elettronici) da parte di distributori e installatori approvato con decreto n. 65 dell'08.03.2010 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 102 del 04.05.2010.
Un regolamento indispensabile alla piena operatività del sistema di raccolta e trattamento dei «tecnorifiuti» che era atteso da ben due anni e che entrerà in vigore il 19 di maggio (ma a questa data, per il ritiro dei rifiuti «domestici», bisogna aggiungere altri 30 giorni previsti dal dlgs 151/2005).
«Con la pubblicazione del decreto si compie un passo importante per favorire e incrementare la raccolta differenziata di rifiuti elettrici ed elettronici in Italia» ha dichiarato Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom, uno dei consorzi per il recupero e il riciclo degli elettrodomestici, «dal 18 giugno tutti i cittadini potranno consegnare gratuitamente ai negozianti l'apparecchiatura da buttare quando ne acquisteranno una nuova equivalente. Già da qualche mese il centro di coordinamento Raee, le associazioni della distribuzione e Anci stanno lavorando per definire i dettagli applicativi di questa norma»
«Prevedere un iter semplificato anche per le apparecchiature elettriche ed elettroniche professionali», ha aggiunto Luciano Teli, direttore generale del Consorzio ecoR'it, «è un significativo aiuto alle imprese italiane e all'avvio definitivo del sistema Raee».
I nuovi obblighi. Destinatari delle nuove norme sono i distributori, gli installatori e i gestori dei centri di assistenza tecnica di nuove apparecchiature elettriche ed elettroniche. Il decreto distingue tra gestione dei Raee domestici (provenienti da nuclei domestici e anche con altra origine ma analoghi per natura e quantità) e gestione dei Raee professionali (prodotti dalle attività amministrative ed economiche e non rientranti nei domestici).
I distributori, oltre che al ritiro uno-contro-uno dei Raee domestici a fine vita, saranno tenuti al raggruppamento finalizzato al trasporto presso i centri raccolta e alla tenuta del registro di carico e scarico, con le modalità previste dal decreto stesso. A tali obblighi sono tenuti, entro certi limiti, anche gli installatori e i gestori dei centri di assistenza tecnica. Le imprese che si occuperanno della raccolta e del trasporto dei rifiuti dei Raee dovranno essere iscritte all'Albo nazionale gestori ambientali.
L'obbligo di raggruppamento per il trasporto ai centri raccolta e di tenuta del registro sussisterà, anche per i Raee «professionali», per distributori, installatori e gestori dei centri di assistenza di apparecchiature professionali che siano stati formalmente incaricati dai produttori di provvedere al ritiro nell'ambito di un sistema di raccolta (articolo ItaliaOggi del 06.05.2010, pag. 26).

ENTI LOCALI: OSSERVATORIO VIMINALE/  La commissione non decade. I dimissionari verranno sostituiti da altri componenti della stessa lista. Se vengono meno i consiglieri l'organo resta in piedi.
In assenza di specifica previsione regolamentare, la contestuale decadenza di tre componenti da una commissione consiliare, formata da cinque membri, si estende all'intera commissione?
Le commissioni consiliari previste dall'articolo 38, comma 6, del dlgs n. 267/2000, una volta istituite sulla base di una facoltativa previsione statutaria, sono disciplinate dall'apposito regolamento comunale con l'unico limite, posto dal legislatore, riguardante il rispetto del criterio proporzionale nella composizione.
Come è noto, esse sono organi strumentali dei consigli («il consiglio si avvale di commissioni») e, in quanto tali, ne costituiscono componenti interne, prive di una competenza autonoma e distinta da quella a essi attribuita.
Il vigente statuto comunale dell'ente in questione, rinviando ad un apposito regolamento la disciplina delle competenze delle commissioni consiliari, nonché il loro funzionamento e le modalità di rapporto con il consiglio, stabilisce, tra l'altro, in conformità alla legge, che debbono essere composte proporzionalmente da tutti i gruppi consiliari, garantendo la partecipazione della minoranza, prevedendo in particolare, che devono essere costituite «nel corso della prima seduta valida dopo: una modifica di statuto o di regolamento che le riguardano, ovvero dopo la seduta di insediamento del consiglio. In ogni caso entro 30 giorni».
Premesso, dunque, che in base alle disposizioni statutarie è comunque fatto obbligo di istituire le commissioni consiliari, è da ritenere che l'eventuale decadenza dei singoli consiglieri, ai quali segue la surroga con altri neo consiglieri, non comporta la decadenza della commissione, bensì la sostituzione dei componenti con altrettanti consiglieri appartenenti alle stesse liste, e dunque ai medesimi gruppi, in ossequio al richiamato principio di proporzionalità, di modo che non venga di fatto alterata la configurazione «politica» dell'organo di derivazione (articolo ItaliaOggi del 23.04.2010, pag. 35).

CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO VIMINALE/ ONERI CONTRIBUTIVI A CARICO DELL'ENTE.
Secondo quali modalità deve applicarsi la normativa di cui all'art. 86, comma 1 e 2, del Tuel?
L'art. 86 del decreto legislativo n. 267/2000, attribuisce all'ente locale l'onere di effettuare, per gli amministratori, ivi indicati, che svolgono l'attività lavorativa, i versamenti degli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi ai rispettivi istituti, dandone comunicazione tempestiva al datore di lavoro, secondo le diverse modalità prescritte dai commi 1 e 2 della citata norma.
In particolare, il predetto adempimento è previsto al comma 1, per i lavoratori dipendenti collocati in aspettativa non retribuita, e al comma 2 per i lavoratori non dipendenti, intendendo per tali i cosiddetti lavoratori autonomi.
Da ciò discende che l'amministrazione locale è tenuta, per i suoi amministratori, al suddetto versamento, limitatamente al periodo in cui l'amministratore abbia svolto il mandato, anche se non sia stata presentata una istanza dall'interessato ed anche se l'amministratore non eserciti più il proprio mandato (articolo ItaliaOggi del 23.04.2010, pag. 35).

CORTE DEI CONTI

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi facili, in regione si può. La Corte conti Basilicata assolve gli amministratori che avevano affidato una consulenza esterna. Consiglieri coperti da immunità per gli atti di organizzazione.
Consigli regionali esenti da responsabilità per incarichi di consulenze allegri. È nelle stanze dei parlamentini regionali che si ferma l'applicabilità delle le rigorose norme tendenti al contenimento dei costi per incarichi esterni. Sicché, il consiglio regionale della Basilicata nonostante la presenza di nove dirigenti e 46 funzionari direttivi con profilo amministrativo può legittimamente incaricare un avvocato esterno, per la riorganizzazione del consiglio regionale. E questo nonostante l'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001 e i tantissimi vincoli posti dalla legge al ricorso a consulenti esterni.
Secondo la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Basilicata, intervenuta sulla questione con sentenza 24.03.2010 n. 91, infatti, non risulta possibile muovere rilievi né ai consiglieri regionali, né al dirigente competente, per il munifico incarico di «riorganizzazione», che, come spesso accade, chissà perché viene assegnato a chi dell'organizzazione non fa parte.
A nulla sono valsi i rilievi espressi dal procuratore, secondo il quale non solo la dotazione organica del consiglio regionale era certamente dotata delle professionalità necessarie per attendere alla funzione affidata all'esterno, ma il risultato finale non è stato di alcuna utilità e, soprattutto, l'ipotesi di riorganizzazione non ha tenuto in alcun conto gli obiettivi di contenimento delle spese di personale ... (articolo ItaliaOggi del 07.05.2010 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

AMBIENTE-ECOLOGIATarsu sui rifiuti industriali venduti. Il comune può assimilarli a quelli urbani.
Sono soggetti a Tarsu i residui di produzione industriale, anche se venduti ad altra azienda, qualora il comune abbia approvato una delibera che li assimila a quelli urbani.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. tributaria, che -con la sentenza 05.05.2010 n. 10797-, ha respinto il ricorso di una società che chiedeva il rimborso della Tarsu sui dei residui di tessuto venduti, previo stoccaggio, ad altre aziende.
I giudici della sezione tributaria hanno individuato un solo paletto al pagamento della tassa: la delibera del comune che assimila i residui ai rifiuti urbani. Delibera che, dopo il decreto Ronchi (n. 22 del 1997) è pienamente legittima.
Sul punto gli Ermellini hanno messo nero su bianco che «deve constatarsi che la decisione della commissione tributaria regionale della Puglia, ha correttamente applicato, con congrua motivazione, le norme citate, dando per altro atto della delibera di assimilazione del rifiuti speciali in questione, non pericolosi, (ritagli in tessuto misto cotone) ai rifiuti urbani».
E ancora, ha spiegato il Collegio, «con riferimento al periodo interessato dalle istanze di rimborso deve quindi conclusivamente rilevarsi che, con l'abrogazione della legge n. 146 del 1994, art. 39 ad opera della legge n. 128 del 1998, art. 17, è divenuto pienamente operante il disposto del dlgs n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g) che consente ai comuni di deliberare, come nella specie è avvenuto, l'assimilazione ai rifiuti urbani di quelli non pericolosi derivanti da attività economiche, con la conseguenza che, in riferimento, alle annualità di imposta successive al 1997, assumono decisivo rilievo le indicazioni dei regolamenti comunali circa la assimilazione dei rifiuti provenienti da attività industriali a quelli urbani ordinari, senza che per tali residui rilevi il fatto di essere ceduti a terzi».
In altre parole, dice la Cassazione, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, «ai sensi degli artt. 6 e 7 dlgs 05.02.1997 n. 22 (il primo dei quali ha trasposto nell'ordinamento interno la definizione comunitaria di rifiuto, alla quale concorrono un criterio tabellare, che delimita oggettivamente la categoria dei rifiuti, e un riferimento soggettivo determinante, costituito dall'intenzione del detentore, ovvero dal suo obbligo, di disfarsi delle sostanze o degli oggetti in questione), i residui delle lavorazioni industriali e artigianali costituiscono rifiuti speciali e sono, quindi, assoggettati al relativo regime» (articolo ItaliaOggi del 07.05.2010, pag. 34).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Progetti di sviluppo di aree urbane - Sottoposizione a VIA - Superfici inferiori a 40 ha - Esclusione - All. B, punto 7, lett. b), d.P.R. 12.04.1996.
Ai sensi dell'all. B), punto 7, lett. b), del D.P.R. 12.04.1996, devono essere sottoposti alla valutazione di impatto ambientale i soli progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ha, sicché è correttamente escluso dal procedimento in questione il progetto inerente un’area di superficie inferiore (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza  05.05.2010 n. 1236 - link a www.ambientediritto.it).

ESPROPRIAZIONE: Decreto di occupazione anticipata dei beni - Art. 22-bis d.P.R. n. 327/2001 - Destinatari della procedura espropriativa - Numero superiore a 50 - Vincolo preordinato all’esproprio - Dichiarazione di pubblica utilità - Immissione in possesso.
L’art. 22-bis DPR 327/2001 prevede testualmente che il decreto di occupazione anticipata dei beni immobili necessari possa essere emanato senza particolari indagini o formalità, allorché il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50.
Secondo l’interpretazione prevalente, in presenza dei presupposti procedimentali prescritti dalla norma per l'emanazione dell'ordinanza di occupazione d'urgenza (vincolo preordinato all'esproprio e dichiarazione di pubblica utilità, l'Amministrazione può immettersi senz'altro nel possesso dell'area in esecuzione della suddetta ordinanza, per realizzare le opere per le quali vi è stata l'approvazione del progetto e lo stanziamento delle relative risorse, essendo sufficiente che l'ordinanza di occupazione si limiti a richiamare espressamente la dichiarazione di pubblica utilità, che costituisce l'unico presupposto e che consenta di rilevare l'urgenza della realizzazione delle opere (Consiglio Stato, sez. IV, 29.05.2009, n. 3353) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza  05.05.2010 n. 1236 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl confinante ha interesse a ricorrere contro un ampliamento di edificio, il quale vanta ovviamente quale titolo di legittimazione uno stabile collegamento (“vicinitas”).
La ristrutturazione del precedente fabbricato e il suo ampliamento, con conseguente maggior carico abitativo, rendono infatti evidente l’interesse a ricorrere del proprietario dell’edificio confinante, il quale vanta ovviamente quale titolo di legittimazione uno stabile collegamento (“vicinitas”) con l’area su cui il provvedimento impugnato interviene (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.05.2010 n. 2565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita, può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere ubicati all'interno di questa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica.
Resta dunque estraneo a tale nozione il volume del vano scale.

Per costante giurisprudenza, la nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita, può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere ubicati all'interno di questa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica.
Resta dunque estraneo a tale nozione il volume del vano scale (cfr. V Sez. n. 120 del 02.03.1994) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.05.2010 n. 2565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’azione di accertamento di insussistenza dei presupposti per la d.i.a., costituente in tale ipotesi il rimedio a disposizione del terzo che si ritenga leso dall’intervento posto in essere in esecuzione di essa, deve restare anch’essa soggetta al termine decadenziale di 60 giorni ex art. 21 della legge 06.12.1971, nr. 1034, decorrente dalla conoscenza della d.i.a..
Il primo giudice ha aderito alla tesi secondo cui la d.i.a. costituisce un atto di natura privata, recentemente sostenuta –come noto- dalla Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato (dec. nr. 917 del 09.02.2009); permangono però a tutt’oggi pronunce nelle quali la d.i.a. viene qualificata come provvedimento implicito, impugnabile secondo gli ordinari criteri (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 13.01.2010, nr. 72).
Anche a voler effettivamente aderire alla tesi “privatistica”, appare corretto concludere –come ritenuto dal giudice di primo grado– che l’azione di accertamento di insussistenza dei presupposti per la d.i.a., costituente in tale ipotesi il rimedio a disposizione del terzo che si ritenga leso dall’intervento posto in essere in esecuzione di essa, debba restare anch’essa soggetta al termine decadenziale di 60 giorni ex art. 21 della legge 06.12.1971, nr. 1034, decorrente dalla conoscenza della d.i.a. (in tale senso, la citata decisione nr. 917 del 2009).
Laddove, al contrario, si propenda per la natura provvedimentale della d.i.a., a fortiori essa dovrà essere impugnata nel medesimo termine a partire dal perfezionarsi del titolo abilitativo implicito, alla scadenza del trentesimo giorno dalla presentazione della dichiarazione (ovvero, come ordinariamente accadrà, dal momento della conoscenza che il terzo abbia avuto di tale titolo).
Devono considerarsi validi anche in tale settore (in materia di d.i.a.) i consolidati principi giurisprudenziali per cui, a fronte di un’istanza di un privato intesa a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela, l’Amministrazione non ha alcun obbligo di rispondere in modo espresso; dal che non può non discendere anche che, qualora l’istanza sia riscontrata con un atto nel quale l’Amministrazione si limita a escludere l’avvio di un procedimento di autotutela, tale atto non è autonomamente impugnabile, risolvendosi in una mera conferma della legittimità del precedente operato della stessa Amministrazione, ormai definitivo e inoppugnabile (al contrario, in caso di effettivo esercizio dei poteri di autotutela, gli atti eventualmente posti in essere –di annullamento, revoca o quant’altro– potranno naturalmente essere impugnati dagli interessati, costituendo rinnovata esplicazione del potere pubblico)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.05.2010 n. 2558 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'Autorità sui lavori ha le armi spuntate. Cds: delibere non impugnabili al Tar.
Le deliberazioni dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici non sono impugnabili al Tar perché mancano della natura di provvedimento amministrativo; si tratta di avvisi e pareri utili ad orientare gli operatori del settore ma che non inidonei a recare alcun pregiudizio.
Lo stabilisce il Consiglio di stato, Sez. VI, con la sentenza 03.05.2010 n. 2503, che affronta la questione dell'impugnabilità delle deliberazioni dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
I giudici ribaltano il giudizio di primo grado che invece aveva accolto il ricorso di un comune contro una deliberazione. La vicenda oggetto della delibera riguardava una transazione effettuata dal comune con una impresa relativamente a lavori di realizzazione di una piscina comunale. Nella delibera (del 2003) l'Autorità aveva censurato la condotta dell'amministrazione comunale ritenuta «eccessivamente tollerante» e aveva nello stesso tempo provveduto alla segnalazione della questione alla Procura della Corte dei conti. A fronte del ricorso contro la delibera, il Tar Lombardia nel 2005 aveva accolto il ricorso, respingendo l'eccezione di inammissibilità presentata dall'Autorità e dichiarando l'atto impugnato illegittimo per mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, nonché per difetto di istruttoria.
Il Consiglio di stato riforma il giudizio di primo grado accogliendo proprio l'istanza di inammissibilità rigettata dal Tar Lombardia e puntando l'attenzione sulla natura degli atti dell'Autorità (in questo caso le deliberazioni che l'organismo emette partendo da segnalazioni di casi specifici). I giudici si esprimono infatti nel senso della natura non provvedimentale della deliberazione, ritenuta quindi «priva di reale e concreta attitudine lesiva».
La sentenza giunge a tale conclusione partendo dai contenuti dei poteri di vigilanza sull'intero sistema dei lavori pubblici che la legge (la legge Merloni, prima, e il Codice oggi, peraltro su tutta la materia dei contratti pubblici) assegna all'organismo presieduto da Luigi Giampaolino. In particolare l'Autorità deve infatti vigilare sull'osservanza della disciplina legislativa e regolamentare e verificare la regolarità delle procedure di affidamento esperite.
Lo svolgimento di questi poteri di vigilanza (che prendono le mosse da istanze e segnalazioni dei soggetti coinvolti nei procedimenti) viene messo in relazione alla necessità che l'Autorità garantisca i più generali principi di efficienza, efficacia, tempestività, trasparenza e correttezza nella materia dei lavori pubblici (oggi dei contratti pubblici in genere e quindi anche delle forniture e dei servizi). Se questa è quindi la finalità dell'attività di verifica e controllo svolta dall'Autorità, il Consiglio di stato afferma che «il potere di vigilanza concretamente esplicato nei confronti dell'appellato non può aver prodotto conseguenze lesive della sua sfera giuridica, avendo l'Autorità espresso sostanzialmente un proprio avviso sulla vicenda, inidoneo, in quanto tale, a recare direttamente ed immediatamente alcun pregiudizio».
La deliberazione dell'Autorità rimane sprovvista della natura provvedimentale anche con riguardo alla considerazione che la delibera dichiari il comportamento della stazione appaltante, nel caso esaminato, come connotato da «eccessiva tolleranza accordata» all'impresa: manca infatti, anche sotto questo profilo dichiarativo, qualsiasi «concreta determinazione incidente sia sugli atti adottati che sui comportamenti tenuti».
In conclusione, quindi, si è in presenza soltanto di «un contributo utile all'orientamento dei comportamenti degli operatori del settore dei lavori pubblici» (articolo ItaliaOggi del 08.05.2010, pag. 25).

ATTI AMMINISTRATIVI: Una amministrazione non può recedere liberamente da un accordo di programma (nella specie: recesso unilaterale di un comune da un accordo di programma sottoscritto per la realizzazione di un ponte sul fiume).
Quale modulo organizzativo di regolazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti, l'accordo di programma viene prescelto come alternativa al modello della amministrazione per singoli provvedimenti che, invece, si caratterizza per la pluralità di procedimenti amministrativi condotti in modo autonomo. In mancanza di una clausola espressa sul diritto di recesso unilaterale, l'accordo di programma può essere modificato solo con il consenso di tutte le parti contraenti, mentre il comune che intende recedere dall'accordo potrà censurare in sede giurisdizionale il rifiuto delle altre parti di modificare l'assetto degli interessi originariamente concordato, qualora tale rifiuto non sia conforme al principio di leale collaborazione tra gli enti pubblici (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1635 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accordo di programma - Art. 15 L. n. 241/1990 - Mancato richiamo all’art. 11, c. 4 - Diritto di recesso - Esclusione - Salva l’ipotesi di specifica previsione in convenzione.
Il mancato richiamo dell’art. 15 l. 241/1990, norma generale sugli accordi di programma, alla disposizione dell’art. 11, co. 4, stessa legge, che regola invece l’accordo tra amministrazione e privato e prevede la possibilità per l’amministrazione di recedere dall’accordo salva corresponsione di un indennizzo, induce a ritenere che, salvo il caso in cui siano state le stesse parti a prevedere il diritto di recesso nel momento in cui hanno concordato tra loro il regolamento pattizio, il contenuto dell’accordo sia modificabile solo mediante una nuova determinazione espressa da tutte le amministrazioni contraenti che giungono ad una nuova sistemazione concordata dell’assetto degli interessi sottostanti all’azione amministrativa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1635 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto autostradale - Vincolo di inedificabilità assoluto - Fondamento - D.M. 01.04.1968 n. 1404.
Nell’ambito della fascia di rispetto autostradale di 60 metri, prevista dal D.M. 01.04.1968 n. 1404, il vincolo di inedificabilità è assoluto (Cons. Stato, Sez. V, 25.09.2002 n. 4927), essendo a tal fine irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima; il divieto di costruire è infatti in questo caso correlato alla esigenza di assicurare un’area libera utilizzabile dal concessionario dell’autostrada -all’occorrenza- per installarvi cantieri, depositare materiali, per necessità varie e, comunque, per ogni necessità di gestione relativa ad interventi in loco sulla rete autostradale (Tar Toscana, 25.06.2007, n. 934) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1628 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: CAVE E MINIERE - Regione Lombardia - Art. 6 L.r. n. 14/1998 - Nuovi ambiti territoriali estrattivi - Individuazione in prossimità delle aree già interessate da attività estrattive - Presupposto dell’esaurimento dei preesistenti giacimenti - Necessaria ricorrenza - Esclusione - Ragioni.
Il secondo comma dell’art. 6 della L.r. Lombardia n. 14/1998, per il quale gli ambiti territoriali estrattivi da identificare “devono accorpare aree contigue a quelle oggetto di attività, con priorità rispetto all’apertura di altre aree”, ha unicamente fissato il principio per il quale i nuovi ambiti vanno posti in prossimità delle aree già interessate da attività estrattive, sul presupposto -riferibile alla discrezionalità del legislatore regionale- che le cave debbano essere il più possibile accorpate, per consentirne una più efficace vigilanza e per salvaguardare le aree ambientali non incise dalla loro coltivazione (cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 6233/2005).
Dal medesimo principio non può invece trarsi, in via interpretativa, la conclusione per cui l’individuazione di nuovi ambiti potrebbe avere luogo solo a seguito dell’esaurimento dei preesistenti giacimenti.
Tale conclusione, oltre a non essere consentita dal dato letterale della norma, urterebbe con i principi riguardanti la pianificazione, poiché -in sede di approvazione del nuovo piano- la Regione -per esigenze di salvaguardia dell’ambiente- può valutare se le aree individuate nel piano precedente siano ancora suscettibili di ulteriori coltivazioni ovvero risultino tanto compromesse da far ridurre o eliminare la precedente capacità estrattiva, con l’individuazione di altre aree idonee (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 30.04.2010 n. 1207 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICALe osservazioni e le opposizioni al piano regolatore generale di un Comune si riferiscono a due distinte sfere di interessi; le prime si sostanziano in suggerimenti di modifica o delle linee generali del piano o di previsioni specifiche di esso, che incidono su situazioni di interesse diffuso di tutti i residenti nella zona; le seconde si concretizzano in vere e proprie censure a specifiche previsioni urbanistiche che, riguardando in modo diretto l'opponente, incidono su posizioni di interesse legittimo del proprietario leso dall'atto di pianificazione e non rientrano, quindi, nel modello partecipativo ma costituiscono, al contrario, esercizio di un vero e proprio interesse oppositivo.
Le suddette osservazioni ed opposizioni impongono all'Amministrazione l’obbligo di motivare congruamente la loro eventuale reiezione, in modo che sia assicurata l'esigenza che le scelte urbanistiche siano non soltanto formalmente legittime, ma anche in concreto razionali ed opportune nell'interesse reale della popolazione.

Va premesso che le osservazioni e le opposizioni al piano regolatore generale di un Comune si riferiscono a due distinte sfere di interessi; le prime, infatti, si sostanziano in suggerimenti di modifica o delle linee generali del piano o di previsioni specifiche di esso, che incidono su situazioni di interesse diffuso di tutti i residenti nella zona; le seconde, invece, si concretizzano in vere e proprie censure a specifiche previsioni urbanistiche che, riguardando in modo diretto l'opponente, incidono su posizioni di interesse legittimo del proprietario leso dall'atto di pianificazione e non rientrano, quindi, nel modello partecipativo ma costituiscono, al contrario, esercizio di un vero e proprio interesse oppositivo (Cfr. TAR Puglia, II, 20.10.1994, n. 1379).
Detto questo, è pacifico, alla stregua dei principi generali, che le suddette osservazioni ed opposizioni impongono all'Amministrazione, anche in ossequio al citato art. 3 della legge 07.08.1990, n. 241, l’obbligo di motivare congruamente la loro eventuale reiezione, in modo che sia assicurata l'esigenza che le scelte urbanistiche siano non soltanto formalmente legittime, ma anche in concreto razionali ed opportune nell'interesse reale della popolazione (Cfr. Csi, 01.06.1993, n. 227; TRGA, Bolzano, 25.02.1998, n. 42).
E’ stato, peraltro, avvertito che non si rende necessaria una motivazione particolarmente penetrante, essendo sufficiente una motivazione dalla quale possa evincersi con chiarezza la ratio del provvedimento di rigetto (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., 15.07.1999 n. 1237 e Csi. 01.02.2001 n. 42; TAR Sicilia, 21.01.2008, n. 66 e 18.01.2000, n. 44; TRGA, 23.04.2002, n. 174).
L’Autorità deliberante, dal parere acquisito nella fase istruttoria, può discrezionalmente discostarsi in fase costitutiva col solo onere –secondo consolidati principi- di evidenziare con completezza le ragioni logiche e giuridiche che la inducono a disattendere il giudizio formulato dall’organo che ha emesso quel parere (Cfr., ex pluribus, Cons. St., IV, 10.08.2007, n. 4393) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 30.04.2010 n. 265 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non potrà considerarsi equipollente alla chiusura del plico mediante ceralacca la chiusura con nastro adesivo e l'apposizione della ceralacca su un lato dello stesso.
 Il «sigillo con ceralacca» risponde all'esigenza di garantire che il plico non possa essere aperto se non a prezzo di manometterne visibilmente la chiusura. La conferma dell'autenticità della chiusura originaria proveniente dal mittente, garantita dalla chiusura in ceralacca, è finalizzata ad evitare manomissioni del contenuto del plico stesso e, quindi, a garantire la necessaria segretezza di tale offerta, a tutela della par condicio, nel rispetto del principio dell'integrità e imputabilità dell'offerta che governa la materia delle gare pubbliche, sicché non potrà considerarsi equipollente alla chiusura del plico mediante ceralacca la chiusura con nastro adesivo e l'apposizione della ceralacca su un lato dello stesso.
Nel caso di specie veniva esclusa dalle successive fasi della procedura una concorrente in quanto, in sede di verifica delle offerte, è risultato che il plico esterno, contenente le singole buste relative alla documentazione e alla offerta economica, recava il sigillo con ceralacca sui lembi di chiusura della scatola nella parte superiore ma non anche nella parte inferiore, come prescritto dalle modalità di presentazione delle offerte (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.04.2010 n. 2453 - link a
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APPALTI: Sulla disciplina riguardante le informative antimafia atipiche: differenze con le informative tipiche.
L'informativa antimafia atipica, a differenza di quella tipica, non ha carattere interdittivo, ma consente l'attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità nella valutazione dei rapporti contrattuali, alla luce dell'idoneità morale del concorrente ad assumere la posizione di contraente con la p.a.; pertanto, essa non necessita di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per provare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di stampo mafioso, e si basa su indizi derivanti da particolari indagini che possono risalire anche ad eventi remoti, perché riguardano la valutazione sull'idoneità morale del concorrente e non producono l'esclusione automatica dalla gara.
Dette informative rappresentano, quindi, una sensibile anticipazione della soglia dell'autotutela amministrativa a fronte di possibili ingerenze criminali nella propria attività: ne consegue che, l'informativa prefettizia antimafia di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 490/1994 è espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto con la criminalità organizzata, a prescindere da rilevanze probatorie tipiche del diritto penale.
La fase istruttoria del procedimento finalizzato a comunicare la presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte di un'impresa, si concreta nell'acquisizione di tutte le informazioni provenienti dalle autorità di pubblica sicurezza, al fine di effettuare una obiettiva valutazione sulla possibilità di un eventuale utilizzo distorto dei finanziamenti pubblici destinati ad iniziative private e devoluti al settore degli appalti pubblici.
Non possono tuttavia ritenersi sufficienti fattispecie fondate su mere congetture prive di riscontro fattuale, in quanto si richiede, comunque, la sussistenza di circostanze obiettivamente sintomatiche di collegamenti con le predette associazioni. Pertanto, il parametro valutativo sarà calibrato sul criterio della "qualificata probabilità".
In riferimento al caso di specie, secondo la giurisprudenza amministrativa, è illegittima l'informativa prefettizia negativa basata sul rapporto di mera parentela o affinità tra amministratori o soci di un'impresa con elementi malavitosi, essendo necessari ulteriori indizi, tali da fornire, nel loro complesso, un fondamento oggettivo al giudizio di possibilità che l'impresa possa agevolare le attività criminali, anche indirettamente (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.04.2010 n. 2441 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'Amministrazione non può legittimamente escludere un'impresa dalla procedura in presenza di una clausola di gara ambigua, incerta o comunque non univoca.
In presenza di una clausola di gara ambigua, incerta o comunque non univoca, l’Amministrazione non può legittimamente escludere un’impresa dalla procedura, ostandovi il principio del favor partecipationis nonché la tutela dell’interesse pubblico a selezionare la migliore offerta, da cui deriva la necessità di garantire la massima partecipazione possibile (TAR Lombardia Milano, sez. IV, 27.01.2010, n. 184; TAR Lazio Roma, sez. III, 01.02.2008, n. 899; TAR Liguria Genova, sez. I, 17.03.2006, n. 254; Consiglio Stato, sez. V, 18.01.2006, n. 127).
Pertanto e’ illegittimo il provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione provvisoria in favore di un costituendo r.t.i. dal momento che le motivazioni poste a fondamento di tale decisione si fondano, in parte su considerazioni estranee alla lettera della lex specialis e in parte su un’interpretazione irragionevolmente restrittiva di una clausola ambigua del disciplinare di gara; un’interpretazione, peraltro, contrastante con lo specifico chiarimento reso dalla stazione appaltante alla concorrente nel corso della procedura di gara TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 28.04.2010 n. 2088 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - RIFIUTI - Ordinanza di rimozione e bonifica - Responsabilità del proprietario del terreno - Individuazione - Fattispecie: comproprietari di aree inquinate per responsabilità di una società fallita.
La responsabilità del proprietario del terreno nel quale si ritrovano abbandonati rifiuti deve essere accertata in concreto quanto meno a titolo di colpa e di tale responsabilità se ne deve dare atto nel provvedimento che ordina la rimozione dei rifiuti (nella fattispecie, i destinatari dell’ordinanza di bonifica erano stati individuati non come soci o amministratori della società fallita responsabile del’inquinamento, ma come comproprietari delle aree da bonificare: in mancanza della prova di un ruolo attivo nelle scelte imprenditoriali della società fallita, viene meno il titolo per richiedere agli stessi una condotta di ripristino del sito inquinato dai rifiuti abbandonati).
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Ordinanza di rimozione e bonifica - Competenza - Comune - Sussistenza - Art. 192, c. 3 d.lgs. n. 152/2006.
A mente dell’art. 192 D.lgs. 152/2006, terzo comma, il Comune è senza dubbio pienamente competente ad emanare le ordinanza di rimozione dei rifiuti e di redazione di un piano di bonifica di un'area inquinata.
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Ordinanze di bonifica emesse a carico del responsabile dell’inquinamento - Esecuzione in danno - Facoltà - Condizioni.
Il Comune non ha nessun obbligo di eseguire in danno le ordinanza emesse a carico del responsabile dell’inquinamento e ben può procedere a tale operazione solo quando ha verificato che nessun altro strumento a sua disposizione si è rivelato praticabile.
L’esecuzione d’ufficio delle ordinanze emesse, nella specie, contro la società fallita responsabile dell’inquinamento, pertanto, non può essere ritenuta come presupposto di legittimità per poter procedere all’emissione dell’ordinanza di bonifica nei confronti dei proprietari dell’area (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.04.2010 n. 1159 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Contratti a due vie. Tar Toscana: status speciale per calmierare il mercato. Niente gara per la Cassa depositi.
I contratti che vengono stipulati da stato, regioni, enti pubblici, enti locali o organismi di diritto pubblico con la Cassa depositi e prestiti sono esenti dall'applicazione della normativa che impone il ricorso a forme di selezione ad evidenza pubblica.
Sono queste le conclusioni a cui è giunto il TAR Toscana, Sez. I, con sentenza 27.04.2010 n. 1042, pronunciandosi in merito ad un ricorso presentato da un istituto di credito per l'annullamento dell'atto con cui una stazione appaltante non procedeva all'aggiudicazione nei confronti dell'unico istituto partecipante in quanto, così come previsto nel disciplinare di gara, l'offerta presentata era peggiore di quella effettuata da Cassa depositi e prestiti spa.
Nello specifico la procedura aperta, con modalità telematica, riguardava l'erogazione di mutui ventennali e trentennali alle aziende e agli enti del servizio sanitario toscano, sulla base di un contratto normativo da sottoscrivere con la stazione appaltante, valido fino al 31.12.2011. L'offerta doveva esprimere due spread riferiti l'uno a mutui ventennali e l'altro a mutui trentennali, la cui media sarebbe stata assunta a base per l'assegnazione del punteggio.
Il disciplinare prevedeva che la gara non sarebbe stata aggiudicata all'offerta migliore se questa fosse risultata superiore a quella effettuata da Cassa dd.pp. In particolare il giudice amministrativo, pronunciandosi sul merito, ha respinto la tesi dell'istituto di credito, precisando che le censure della ricorrente si basano sull'assunto secondo il quale la Cassa avrebbe dovuto ricevere lo stesso trattamento di un qualunque operatore privato nell'ambito della gara in esame, non potendo la stazione appaltante prevedere un confronto finale tra l'offerta vincitrice nella procedura e quella formulata dalla Cassa perché, in tal modo, questa sarebbe stata illegittimamente sottratta alle regole dell'evidenza pubblica.
Al contrario, in base a quanto stabilito dall'art. 19, comma 2, del dlgs n. 163/06 queste non si applicano agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da un'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore ad un'altra amministrazione aggiudicatrice in base ad un diritto esclusivo di cui essa beneficia in virtù di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, purché tali disposizioni siano compatibili con il Trattato europeo.
Per giungere a dette conclusioni il giudice ritiene opportuno definire preliminarmente il regime a cui la Cassa è sottoposta e qualificare giuridicamente detto organismo. In particolare sul primo punto, nel ricostruirne le modifiche statutarie intervenute, precisa che il comma 7 dell'art. 5 del dl n. 269/2003 (convertito nella legge n. 326/2003), individua le funzioni della Cassa tra cui proprio quella di finanziare lo stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e gli organismi di diritto pubblico, utilizzando fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale, di buoni fruttiferi postali, assistiti dalla garanzia dello stato e fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie anch'essi con possibile garanzia statale.
Per quanto riguarda la qualificazione giuridica giunge alla conclusione che la Cassa possieda i requisiti propri dell'organismo di diritto pubblico, come definito dall'art. 3, comma 26, del dlgs 12.04.2006, n. 163, in quanto si tratta «di un soggetto dotato di personalità giuridica, sottoposto indubbiamente ad una influenza pubblica essendo il suo capitale in mano allo stato, e si può anche ritenere che sia istituita per soddisfare esigenze di interesse generale che non hanno carattere industriale o commerciale». Scopo della Cassa, infatti è quello di fornire provvista finanziaria alle pubbliche amministrazioni statali e locali al fine di consentire loro di svolgere le proprie funzioni istituzionali laddove, rivolgendosi al mercato, tali mezzi sarebbero reperibili a condizioni più onerose.
Sulla base di dette riflessioni il giudice ritiene di non accogliere le richieste della parte ricorrente precisando, inoltre, che il mancato assoggettamento alle procedure ad evidenza pubblica riguarda non solo le operazioni previste dall'art. 13 del dm economia del 06.10.2004 che impone la pubblicità delle condizioni generali dei prestiti di scopo mediante l'emanazione di apposite circolari da pubblicare in Gazzetta Ufficiale e nel sito telematico della Cassa, ma anche tutte le rimanenti proposte di finanziamento che Cassa può erogare in base alla sua stessa legge istitutiva, a condizioni diverse, per categorie omogenee di soggetti o di finalità, a favore di amministrazioni aggiudicatrici, per lo svolgimento di interventi di interesse pubblico.
Queste ultime, infatti, sempre a parere del Collegio, non contrastano con i principi comunitari e si inquadrano in una coerente missione istituzionale «che, con efficace espressione, è stata definita calmieramento del mercato per consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di svolgere le proprie funzioni senza indebitarsi a condizioni gravose» (articolo ItaliaOggi del 08.05.2010, pag. 25).

APPALTI: ATI orizzontali - Indicazione delle parti da eseguire - Assenza di specifica previsione della lex specialis - Necessità - Esclusione.
Non è necessario, in mancanza di una previsione esplicita della lex specialis, che le ATI orizzontali indichino le parti da eseguire o le percentuali, perché la distribuzione del lavoro per ciascuna impresa non rileva all’esterno e tutte le imprese sono responsabili in solido dell’intero.
Avvalimento - Libertà di forma - Normativa comunitaria di riferimento - Principio di massima accessibilità al mercato delle commesse pubbliche - Soggetti parte di un raggruppamento costituendo - Avvalimento - Possibilità - Schema o tipo specifico di contratto di avvalimento.
Stante che nell'ordinamento interno italiano non è previsto uno schema o un tipo specifico di contratto di avvalimento tra imprese (sicché deve ritenersi che esso può rivestire qualunque forma, anche non esattamente documentale, e la sua esistenza può essere provata in qualunque modo idoneo), deve concludersi che, tenuto conto della normativa comunitaria di riferimento (artt. 47, comma 3, e 48, comma 4, dir. 2004/18/CE: “un raggruppamento di operatori economici […] può fare affidamento sulle capacità dei partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti”) e del principio di massima accessibilità al mercato delle commesse pubbliche, vada ammessa la possibilità di avvalimento anche per i soggetti parte di un raggruppamento costituendo, e ciò non solo nei confronti dei soggetti esterni ma anche degli stessi partecipanti al raggruppamento (TAR Lazio, Sez. I, 22 maggio 2008, n. 4820) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 26.04.2010 n. 3832 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa - Offerta - Requisito della segretezza - Utilizzo di busta trasparente - Agevole lettura dei prezzi - Esclusione dalla gara - Legittimità.
In una gara basata sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa i principi (inderogabili) della parità di condizioni tra i concorrenti e del regolare ed imparziale svolgimento della gara possono essere rispettati solo se l’offerta economica resta segreta fintanto che non siano state valutate l’ammissibilità dei concorrenti alla gara e le componenti tecnico-qualitative dell’offerta.
Ne deriva la legittimità dell’esclusione disposta in caso di utilizzo di una busta trasparente tale da consentire una agevole lettura dei prezzi offerti indicati nella prima pagina. Ciò che rileva infatti, al di là delle caratteristiche del contenitore, è il dato obiettivo della leggibilità, anche parziale, dell’offerta economica in un momento in cui non può essere conosciuta.
Impresa legittimamente esclusa dalla gara - Interesse a contestare l’aggiudicazione - Presupposti.
Un’impresa legittimamente esclusa da una gara d'appalto ha interesse a contestare l'aggiudicazione ad altri quando dimostri, al fine della rinnovazione della gara, che nessun altro concorrente aveva titolo a partecipare (Cons. Stato, V, n. 2871/2009; n. 2629/2008; VI n. 2016/2008).
Cooperative sociali e ONLUS senza fine di lucro - Esclusione dalle gare d’appalto - Assenza di fondamento normativo.
L'esclusione da una gara d'appalto di un soggetto che sia Cooperativa sociale e ONLUS senza fine di lucro non ha alcun fondamento testuale, dato che la normativa nazionale non ha mai richiesto tra i requisiti di partecipazione alle procedure concorsuali la qualità di impresa commerciale né il fine di lucro (cfr. Consiglio di Stato, sez. V - 08/07/2002 n. 3790; TAR Brescia, I, 27.10.2008 n. 1440).
In definitiva, le norme generali in materia di partecipazione alle gare pubbliche non legittimano l'esclusione delle Cooperative sociali, e non residuano dubbi circa la loro possibilità di concorrere all'aggiudicazione degli appalti sopra la soglia comunitaria ai sensi della direttiva 2004/18.
Ammissione alla gara di soggetti che beneficiano di sovvenzioni - Principio della parità di trattamento - Violazione - Esclusione.
Il principio della parità di trattamento non è violato per il solo motivo che le amministrazioni ammettono la partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di organismi che beneficiano di sovvenzioni, che consentono loro di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri concorrenti: infatti, se il legislatore comunitario avesse avuto l'intenzione di obbligare le stazioni appaltanti ad escludere tali offerenti, l'avrebbe espressamente indicato (Corte di giustizia CE, sez. VI - 7/12/2000 procedimento C-94/99) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 26.04.2010 n. 3831 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: La stazione appaltante, in sede di gara, può chiedere requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, sempre che tali requisiti siano logici, adeguati e congrui e non compromettano la libera concorrenza.
La stazione appaltante, in sede di gara, può sempre chiedere requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, pur tuttavia tale circostanza deve sostanziarsi in richieste, comunque, non illogiche, ovvero in contrasto con norme primarie o manifestamente eterogenee rispetto allo scopo perseguito o, ancora, rispettose della par condicio dei concorrenti. I requisiti richiesti, cioè, devono essere logici, adeguati, congrui e non suscettibili di precostituire situazioni di assoluto privilegio in favore di pochi soggetti o di determinare una preclusione insormontabile all'accesso al mercato di imprese in possesso di indici di affidabilità operativa.
Nel caso di specie, pertanto, risulta quanto mai discriminante la richiesta di dimostrare l'esperienza del servizio di accertamento dei tributi, attraverso la presentazione di una referenza rilasciata obbligatoriamente da almeno un Comune della Provincia, dal momento che si creerebbero delle posizioni assolutamente dominanti nel mercato, andando a favorire gli interessi di quei pochi soggetti già presenti sul territorio, dando modo a questi ultimi di consolidare e di perpetuare la loro situazione di assoluto vantaggio, a tutto discapito degli altri concorrenti, non certo privi di esperienza, ma che vedono loro preclusa ogni chance per l'aggiudicazione del servizio (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 24.04.2010 n. 1496 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Assoggettamento di un bene al vincolo di interesse particolarmente importante - L. n. 1089/1939 - Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Mancanza - Invalidità del provvedimento di vincolo.
Qualora si inizi il procedimento di assoggettamento di un bene immobile o mobile al vincolo ex L. 01.06.1939 n. 1089 (interesse particolarmente importante), occorre previamente comunicare l'avvio del procedimento ai soggetti interessati, in applicazione della l. 07.08.1990 n. 241, a pena di invalidità del provvedimento di vincolo (cfr. TAR Toscana, Sez. I, 08.07.2008 n. 1742; n. 523, TAR Toscana, Sez. I, 27.11.2006 n. 6030, TAR Abruzzo L'Aquila, 25.07.2003, Consiglio Stato, Sez. VI, 04.04.2003 n. 1751) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.04.2010 n. 1599 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia - Ricostruzione dell’edificio demolito - Parametro di riferimento - Disciplina vigente all’epoca della realizzazione del manufatto - Diritto acquisito al mantenimento dell’immobile esistente.
Ai fini della conformità urbanistica della ristrutturazione edilizia -laddove realizzata mediante ricostruzione dell'edificio demolito ed il mantenimento di tutti i parametri urbanistico edilizi preesistenti quali la volumetria, la sagoma, l'area di sedime ed il numero delle unità immobiliari- il parametro di riferimento è rappresentato dalla disciplina vigente all'epoca della realizzazione del manufatto come attestata dal titolo edilizio e non da quella sopravvenuta al momento della esecuzione dei lavori di ristrutturazione dovendosi fare salvo, in capo all'interessato, il diritto acquisito al mantenimento, conservazione e ristrutturazione dell'immobile esistente giacché la legittimazione urbanistica del manufatto da demolire si trasferisce su quello ricostruito (TAR Puglia Bari, sez. III, 22.07.2004, n. 3210) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 22.04.2010 n. 1133 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI - VARI: Detriti in strada, ditta responsabile. Cassazione: sicurezza da garantire.
I titolari della ditta edile che, dopo i lavori, abbandona del materiale pericoloso in strada sono penalmente responsabili. Mentre la condanna di chi ha commissionato il lavoro scatta solo nel caso in cui venga dimostrato che era in grado di accorgersi «dell'inadeguatezza delle misure di sicurezza».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. IV penale, con la sentenza 19.04.2010 n. 15081, che ha respinto il ricorso dei titolari di una ditta edile, ma ha accolto quello del committente, accusati di aver lasciato in strada della calce che aveva provocato un grave incidente a un bambino.
Il minore aveva perso l'uso dell'occhio destro perché, giocando con l'amichetto con il materiale trovato in strada, era venuto a contatto con la calce.
Per questo fatto erano stati condannati i due fratelli, titolari della piccola azienda, e il committente dei lavori. Contro la decisione della Corte d'appello di Caltanissetta i tre hanno fatto ricorso in Cassazione. La Suprema corte ha confermato la responsabilità dei vertici dell'azienda ma ha annullato con rinvio la condanna nei confronti del committente precisando che in questi casi la responsabilità di questo è soggetta a paletti più stringenti.
In particolare con queste interessanti motivazioni la Cassazione ha precisato che «il committente di lavori dati in appalto deve adeguare la sua condotta a due fondamentali regole di diligenza e prudenza» e cioè «scegliere l'appaltatore e più in genere il soggetto al quale affidare l'incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa».
Infine non deve «ingerirsi nella esecuzione dei lavori». In altri termini, anche quando non si ingerisce nella esecuzione dei lavori dati in appalto, il committente rimane comunque «obbligato a verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati». Questo anche perché, «in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il contratto d'appalto determina il trasferimento dal committente all'appaltatore della responsabilità nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo stesso committente assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore» (articolo ItaliaOggi del 20.04.2010, pag. 20).

APPALTI: Sul procedimento di verifica dell'anomalia delle offerte.
L'art. 88, c. 3, ultimo periodo del d.lgs. n 163/2006 (Codice di contratti), nel disporre che la stazione appaltante, avvalendosi, se del caso, di un'apposita commissione tecnica, esamina gli elementi costitutivi dell'offerta tenendo conto delle giustificazioni fornite, "e può richiedere per iscritto ulteriori chiarimenti, se resi necessari o utili a seguito di tale esame", impone che la richiesta scritta degli accennati "ulteriori chiarimenti" abbia un contenuto dettagliato e precisi l'oggetto su cui debbano vertere i chiarimenti stessi.
Ne consegue che, nel caso di specie, è illegittima l'assunzione ad uno dei motivi dell'esclusione di un'offerta siccome ritenuta non aver superato il vaglio di anomalia, di un profilo di perplessità, poi elevato a quid novi motivazionale della determinazione di esclusione, non esplicitato nelle richieste di chiarimenti e, conseguentemente, non reso oggetto di approfondimenti e controdeduzioni dell'impresa sottoposta al giudizio di congruità e rispetto al quale la concorrente non sia stata perciò posta in grado di fornire giustificazioni integrative.
Il microsistema in cui si dipana il sub procedimento di verifica dell'anomalia delle offerte è ispirato al principio dell'effettività del contraddittorio, il quale esige che l'impresa assoggettata allo scrutinio di congruità venga edotta dall'Amministrazione o dagli organi di gara di tutti gli elementi di giudizio, oltre che, dei parametri di raffronto che la commissione intenda utilizzare per la formulazione del suo sindacato e sui quali l'impresa deve poter misurare le sue stesse valutazioni ed esporre le sue controdeduzioni.
Tale specificazione è richiesta in ossequio al principio di leale collaborazione, tra concorrente e p.a., in vista del conseguimento del comune obiettivo di appurare l'affidabilità e la bontà dell'offerta, il quale non rappresenta solo lo scopo utilitaristico avuto di mira dall'impresa sottoposta a scrutinio e potenziale aggiudicataria, ma anche e principalmente un obiettivo dell'Amministrazione, la quale ha interesse ad acclarare se l'offerta in parola, risultata la migliore, è congrua ed accettabile.
Deve sussistere corrispondenza tra i profili di perplessità o di criticità di un'offerta posti a fondamento del giudizio di anomalia e gli aspetti di perplessità e problematicità della medesima evidenziati nella richiesta di giustificazioni integrative e fatti oggetto degli ulteriori chiarimenti richiesti all'impresa, non potendo la valutazione negativa di inaccettabilità per incongruità dell'offerta, fondarsi su profili che non siano stati contestati all'impresa e su cui quindi essa non abbia potuto controdedurre nella precedente fase istruttoria (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 19.04.2010 n. 1951 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - Disciplina normativa forestale - Disciplina paesaggistica - Tutela del bosco - Presupposti differenti - Costruzione in zona sottoposta a vincolo forestale e paesistico - Atti autorizzativi distinti.
Mentre la disciplina normativa forestale (R.d.l. n. 3267/1923; d.lgs. n. 227/2001: L.r. Lombardia n. 27/2004) tutela il bosco in quanto tale, cioè quale elemento fondamentale per lo sviluppo socio-economico e per la salvaguardia ambientale del territorio della Repubblica italiana, la disciplina paesaggistica tutela il bosco in quanto espressione dei valori naturali ed estetici del territorio.
Si comprende, allora, perché, in caso di costruzione che si trovi in zona sottoposta sia a vincolo forestale che a vincolo paesistico, occorrano tre distinti atti autorizzativi:
- l’autorizzazione forestale ex artt. 7 R.d. n. 3267/1923, 4 d.lgs. n. 227/2001 e 4 legge regionale Lombardia n. 27/2004;
- l’autorizzazione paesaggistica da parte dell’ente preposto, ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. n. 42/2004 e 80 L.R. Lombardia n. 12/2005;
- il permesso di costruire da parte del Comune, che può essere rilasciato soltanto nel caso in cui siano state previamente rilasciate le predette autorizzazioni paesaggistiche e forestali che ne costituiscono il presupposto legale (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 14.04.2010 n. 1078 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - RIFIUTI - Requisizione di un’area per lo stoccaggio dei rifiuti solidi urbani - Derequisizione - Presupposto - Cessazione dello stato di necessità - Obbligo di ripristino dello stato originario dei luoghi - Esclusione - Obbligo di far precedere la derequisizione dalla bonifica - Esclusione - Responsabilità contrattuale dell’autorità beneficiaria della requisizione.
In base alla normativa vigente la derequisizione trova il suo unico presupposto di legittimità nella cessazione dello stato necessitante valorizzato dalla precedente requisizione, non essendo condizionata dall’assolvimento dell’obbligo di ripristino dello stato originario dei luoghi (nella specie, bonifica delle aree requisite inquinate dal percolato dei RSU ivi stoccati).
Invero, tale obbligo discende direttamente dalla legge in virtù della posizione di custode assunta dall’autorità beneficiaria della requisizione e può dar luogo, in caso di inosservanza, a distinta responsabilità contrattuale, ma giammai può influire sulla legittimità del provvedimento di derequisizione, che deve essere emanato senza indugio al cessare degli eventi necessitanti, per consentire al privato inciso il riacquisto delle facoltà inerenti al diritto di proprietà.
Ne consegue che, nella specie, la derequisizione non deve necessariamente essere preceduta dalla bonifica.
INQUINAMENTO - Bonifica - Obbligo - Disponibilità dell’area compromessa - Irrilevanza - Condotta determinativa dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento - Trasferimento dell’immobile - Irrilevanza.
L’obbligo di bonifica prescinde dalla disponibilità dell’area compromessa e si collega semplicemente alla condotta determinativa dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento: in altre parole, il responsabile del degrado è sempre tenuto a ripristinare la precedente situazione ambientale, indipendentemente dal rapporto giuridico sussistente in relazione al bene contaminato.
Ne deriva che il soggetto individuato come responsabile di attività inquinanti, giammai può perdere tale qualità con il semplice trasferimento della detenzione dell’immobile in altre mani (nella specie, trasferimento -a seguito di derequisizione- dal Comune responsabile dell’inquinamento ai proprietari dell’area, che era stata requisita dal medesimo comune per far fronte agli interventi richiesti dall’emergenza ambientale in Campania).
INQUINAMENTO - Bonifica - Obbligo - Responsabile dell’inquinamento - Qualifica di proprietario o detentore del terreno inquinato - Interventi di bonifica - Onere reale.
L’obbligo di bonifica grava sull’effettivo responsabile dell’inquinamento, mentre la mera qualifica di proprietario o detentore del terreno inquinato non implica l’obbligo di effettuazione della bonifica, e le autorità amministrative hanno il dovere di ricercare ed individuare il responsabile dell’inquinamento, non potendo costringere il titolare dell’area a porre in essere gli interventi necessari (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 05.09.2005 n. 4525; TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 02.04.2008 n. 791; TAR Campania Napoli, Sez. I, 12.12.2005 n. 20141).
Tutt’al più il proprietario dell’area ha l’onere di eseguire gli interventi ambientali al fine di evitare l’espropriazione del terreno, gravato ex lege da onere reale e privilegio speciale (cfr. TAR Piemonte, Sez. I, 21.11.2008 n. 2928; TAR Toscana, Sez. II, 30.05.2008 n. 1541) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 08.04.2010 n. 1824 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l’assetto delle singole proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio del territorio.
La realizzazione di una recinzione non richiede la concessione edilizia (ora permesso di costruire) soltanto quando la stessa, per natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione, non incida in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio.
Pertanto, come affermato dalla giurisprudenza, cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, “non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l’assetto delle singole proprietà; occorre, invece, il permesso, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, incidendo esso in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio del territorio” (TAR Lazio, Roma, II, 11.09.2009, n. 8644) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 02.04.2010 n. 963 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L'esame dell'incidenza del CCNL proposto da un concorrente sulla congruità e affidabilità dell'offerta deve essere svolto dimostrando come il trattamento economico previsto nel contratto sia o meno conforme al precetto dell'art. 36, Cost..
Nell'ordinamento attuale, venuto meno il contenuto normativo dell'art. 2070, c.c., vige il principio per il quale, se il datore di lavoro non aderisce al sindacato imprenditoriale firmatario dell'accordo collettivo della cui applicazione si tratti, non vi è un obbligo giuridico per l'imprenditore stesso di applicare il contratto corrispondente all'effettiva attività economica esercitata (cfr. Sez. un. civ., sent. 26.03.1997 n. 2665; Cass. civ., sez. lav., sent. 13.07.2009 n. 16340)
Anche l'art. 118, c. 6, d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici), quando pone il problema d'individuare quale sia il contratto collettivo di lavoro "in vigore nel settore", deve essere interpretato nel quadro dei principi derivanti dall'orientamento ormai costante della Cassazione: il che comporta, che l'esame dell'incidenza del CCNL proposto da un concorrente (nella specie CCNL metalmeccanici) sulla congruità e affidabilità dell'offerta deve essere svolto dimostrando come il trattamento economico previsto nel contratto sia o meno conforme al precetto dell'art. 36, Cost. (tenuto conto anche di quanto previsto, in tema di verificazione delle offerte anomale, dall'art 87, c. 3, codice dei contratti pubblici, con la conseguenza che l'offerta economica non rispettosa dei concordati minimi salariali dev'essere, in tali casi, automaticamente esclusa dalla gara) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.03.2010 n. 1813 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’omessa menzione della futura acquisizione dell’area nulla toglie alla legittimità dell’ordine di demolizione del fabbricato abusivo.
Il provvedimento impugnato reca l’ordine di demolizione delle opere abusive, precedentemente descritte, entro il termine perentorio di 90 giorni dalla data di notifica, con ripristino integrale dello stato dei luoghi, e senza pregiudizio delle sanzioni penali e pecuniarie, precisando che, in caso di inadempimento, si provvederà alla demolizione d’ufficio, a spese dei responsabili dell’abuso.
Manca dunque soltanto l’indicazione che il bene e l’area di sedime verrà acquisita di diritto gratuitamente al patrimonio disponibile del Comune nel caso in cui il responsabile dell’abuso non provveda alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, come invece richiesto dall’art. 6 della l.r. Umbria 03.11.2004, n. 21, applicabile, in quanto norma di dettaglio, ai sensi dell’art. 2 della stessa legge, in luogo delle invocate (e comunque sostanzialmente analoghe) disposizioni degli artt. 31 e 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia).
Tale omissione non inficia peraltro l’ordine demolitorio, che enuncia correttamente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche ad esso sottese, ed anche il suo specifico contenuto ed effetto sanzionatorio.
La successiva (ed eventuale) acquisizione dell’immobile al patrimonio del Comune è un effetto legale dell’inadempimento, e si verifica (dandosene i presupposti) «di diritto», come dispone la norma citata.
Nondimeno ci si può chiedere se detto effetto si verifichi ugualmente anche quando non ne sia fatta esplicita menzione nell’atto, o se al contrario perché esso si produca occorra un nuovo atto che integri il precedente, anche al fine di individuare esattamente l’area da acquisire. Non è però questa la sede per rispondere a tale quesito; esso sarà rilevante a di interesse attuale solo nell’ipotesi che, scaduto inutilmente il termine per la demolizione, il Comune voglia procedere all’acquisizione dell’immobile.
Allo stato è sufficiente osservare che l’omessa menzione della futura acquisizione dell’area nulla toglie alla legittimità dell’ordine di demolizione (TAR Umbria, sentenza 26.03.2010 n. 219 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La violazione dell’art. 3, comma 4, della legge 241/1990 (la mancata indicazione, nel provvedimento, dell’Autorità cui è possibile ricorrere e del relativo termine) non determina l’illegittimità dell’atto, bensì la possibilità, a certe condizioni, della remissione in termini per errore scusabile.
Per quanto concerne la mancata indicazione, nel provvedimento, dell’Autorità cui è possibile ricorrere e del relativo termine, pure censurate con il motivo oggetto di scrutinio, occorre ricordare come, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, la violazione dell’art. 3, comma 4, della legge generale sul procedimento amministrativo non determina l’illegittimità dell’atto, bensì la possibilità, a certe condizioni, della remissione in termini per errore scusabile (tra le tante, TAR Toscana, Sez. II, 06.04.2009, n. 565; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 04.05.2009, n. 387; TAR Lazio, Sez. III, 18.10.2006, n. 10462; Cons. Stato, Sez. VI, 16.05.2006, n. 2763) (TAR Umbria, sentenza 26.03.2010 n. 219 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato, e non sull’Amministrazione, che, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, quindi, il provvedimento di demolizione.
L’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato, e non sull’Amministrazione, che, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, quindi, il provvedimento di demolizione (tra le tante, TAR Piemonte, Sez. I, 04.09.2009, n. 2247; TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 26.10.2005, n. 4099; TAR Umbria, 10.07.2003, n. 589); e nel caso di specie prova sufficiente della riconducibilità del manufatto abusivo ad epoca risalente a non meno di trentacinque anni orsono non possono certamente ritenersi le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà versate in atti.
Peraltro l’emanazione di un provvedimento che ordini la demolizione di un’opera edilizia abusiva non deve essere preceduta dall’accertamento e dimostrazione ad opera dell’Amministrazione comunale che all’epoca della realizzazione l’opera fosse abusiva, essendo sufficiente l’accertamento della permanenza dell’opera abusiva nel momento in cui il provvedimento è adottato (Cons. Stato, Sez. II, 30.01.1991, n. 772).
Inoltre l’irrogazione della sanzione della demolizione di opere abusive non incontra limiti di prescrizione e dunque, una volta accertatane l’esistenza, l’adozione del provvedimento di demolizione non richiede una specifica motivazione sul punto della presumibile realizzazione dell’abuso stesso in epoca risalente e della ampiezza del tempo trascorso (TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 18.02.2003, n. 116).
Ciò specie se, come è nel caso di specie, l’opera abusiva insiste su di un territorio sottoposto, nella sua interezza, a vincolo paesaggistico, ipotesi nella quale la sanzione demolitoria costituisce l’ordinaria e legittima reazione ordinamentale dell’accertata abusività (ex multis TAR Abruzzo, Pescara, 04.06.2008, n. 558) (TAR Umbria, sentenza 26.03.2010 n. 219 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una tettoia, configurandosi quale opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze, è subordinata al rilascio del permesso di costruire, diversamente dal pergolato, che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore; la tettoia, invece, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile.
La nozione di pergolato si caratterizza per l’assenza di tamponature laterali e di copertura. La trasformazione del pergolato in tettoia (realizzata, come nel caso di specie, in cemento e con copertura in tegole) determina la creazione di un nuovo volume.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che la realizzazione di una tettoia, configurandosi quale opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze, è subordinata al rilascio del permesso di costruire, diversamente dal pergolato, che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore; la tettoia, invece, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile (Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 10534) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 17.03.2010 n. 1168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 è una disposizione tassativa ed inderogabile, la quale trova applicazione anche nel caso in cui solo una delle pareti antistanti risulti finestrata e non entrambe.
Il permesso di costruire impugnato ha consentito, sul terreno confinante con quello dei ricorrenti, la realizzazione di un intervento edilizio che, per le sue caratteristiche (demolizione integrale dell’esistente; costruzione di un edificio a due piani in luogo di quello precedente ad un solo piano, il quale utilizza in parte la volumetria preesistente, che era collocata in manufatti ora non riedificati, e si prolunga in parallelo con l’edificio dei ricorrenti per una lunghezza ben maggiore del precedente) non può essere qualificato come di semplice ricostruzione.
Tale nuovo edificio si colloca alla distanza di 8 metri circa dalla casa del Gobbi, mentre avrebbe dovuto rispettare la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, prescritta, tra l’altro, dall’art. 20 delle n.t.a. applicabili alla fattispecie e, comunque dall'art. 9, d.m. 02.04.1968 n. 1444: né si ravvisa contrasto tra quest’ultima norma regolamentare e l’altra disposizione qui citata.
Il fatto che, dopo la presentazione del ricorso sia stata presentata dai controinteressati una denuncia d’inizio attività al Comune, destinata a modificare la parete finestrata, occludendo le relative vedute, non basta a far venir meno l’originario profilo d’illegittimità del provvedimento (appunto costituito dalla violazione del ripetuto art. 9).
Infatti, per costante giurisprudenza (tra le ultime, TAR Liguria Genova, sez. I, 30.06.2009, n. 1621), la norma de qua è intesa a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario.
Si tratta poi di disposizione tassativa ed inderogabile, la quale trova applicazione anche nel caso in cui solo una delle pareti antistanti risulti finestrata e non entrambe (Cass., sez. II, 26.10.2007, n. 22495): ciò che appunto continua a verificarsi nella fattispecie (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 16.03.2010 n. 823 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’ampliamento di volumetria utile può conseguire ad un intervento di ristrutturazione edilizia quando però esso risulti contenuto all’interno della sagoma dell’edificio preesistente, il quale non deve essere stato fatto oggetto, preliminarmente, di demolizione totale: in tale ultimo caso, infatti, il nuovo edificio deve rispecchiare fedelmente la sagoma e la volumetria del fabbricato preesistente onde potersi qualificare l’intervento di ricostruzione come ristrutturazione edilizia.
Come già la Sezione ha avuto modo di rimarcare (cfr. sentenza n. 2888/2009), l’ampliamento di volumetria utile può conseguire ad un intervento di ristrutturazione edilizia (come si desume dal combinato disposto degli artt. 10, lett. c), e 3, comma 1, lett. e.1), del D.P.R. 380/2001), quando però esso risulti contenuto all’interno della sagoma dell’edificio preesistente, il quale non deve essere stato fatto oggetto, preliminarmente, di demolizione totale: in tale ultimo caso, infatti, il nuovo edificio deve rispecchiare fedelmente la sagoma e la volumetria del fabbricato preesistente onde potersi qualificare l’intervento di ricostruzione come ristrutturazione edilizia.
Ritiene il Collegio che l’art. 9 comma 2 D.P.R. 380/2001, attesa la forza cogente conseguente alla sua natura di norma legislativa di rango primario, integri in via automatica gli strumenti urbanistici generali già approvati alla data di entrata in vigore del testo unico, comportandone sostanzialmente la disapplicazione laddove essi prevedano l’obbligo dello strumento attuativo anche per dar corso ad interventi di ristrutturazione edilizia. Esso costituisce allo stesso tempo una norma di principio della quale i Comuni debbono evidentemente attenersi nella approvazione dei nuovi strumenti urbanistici (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 10.03.2010 n. 888 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il rifiuto del destinatario di ricevere il diniego di d.i.a vale a considerare eseguita ex art. 138 c.p.c. la notifica dell'atto, con conseguente decorrenza dei termini per la sua impugnazione.
Anche nel procedimento amministrativo vale il principio generale ex art. 138 c.p.c., secondo il quale in caso di notificazione (o comunicazione) a mani proprie (e cioè direttamente al destinatario), in caso di rifiuto del destinatario di ricevere l'atto, la notificazione si considera valida (Consiglio Stato, sez. IV, 05.10.2004, n. 6490) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.02.2010 n. 383 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di d.i.a., è possibile che i terzi, che ritengano di essere pregiudicati dall’effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito, possono agire innanzi al Giudice amministrativo per chiedere l’annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l’Amministrazione può impedire gli effetti della DIA.
La eccezione relativa alla non immediata impugnabilità della DIA viene a cadere in considerazione dell’accoglimento del primo motivo dell’appello n. 10341/2008 con cui si deduce, appunto, l’erroneità della decisione appellata che ha ritenuto non impugnabile la DIA e che viene qui di seguito esaminato.
E’ noto che sul punto questa Sezione, dopo alcune pronunce di diverso segno, ha assunto un orientamento meditato (con sentenza n. 5811 del 25.11.2008) che qui è condiviso, in ordine alla possibilità che i terzi, che ritengano di essere pregiudicati dall’effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito, possono agire innanzi al Giudice amministrativo per chiedere l’annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l’Amministrazione può impedire gli effetti della DIA (nello stesso senso anche Sez. VI n. 1550 del 05.04.2007 e Sez. V n. 172 del 20.01.2003 mentre a diverse conclusioni è giunta la stessa Sez. VI con decisione n. 717/2009).
Appaiono decisive nel caso qui all’esame, a sostegno della tesi della diretta impugnabilità della DIA, le considerazioni svolte nella sentenza qui richiamata che ha, in particolare, posto in rilievo la previsione espressa nella nuova formulazione dell’articolo 19, terzo comma, della legge n. 241 del 07.08.1990 del potere dell’Amministrazione di annullare in via di autotutela il titolo conseguente alla DIA nonché la possibilità “dell’accertamento della inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo“ con equiparazione di questa ipotesi al permesso annullato (articolo 38, comma 2-bis, del DPR 06.06.2001 n. 380).
Queste norme si giustificano solo con la sostanziale assimilazione del titolo conseguito in esito alla presentazione della DIA ed al decorso del termine di legge (dato all’Amministrazione per verificarne i presupposti) ad un titolo abilitativo esplicito.
Si deve, inoltre, considerare comunque che nel caso qui in esame almeno altre due ragioni sostanziali inducono a ritenere che vi sia una equiparazione piena con il permesso di costruire anche al fine della diretta impugnabilità dell’atto di assenso implicito.
In primo luogo l’articolo 41 della legge regionale n. 12 dell’11.03.2005 equipara in tutto il permesso di costruire alla DIA consentendo al privato di scegliere in via alternativa l’uno o l’altro strumento procedimentale.
E’, quindi, chiaro che se non si vuole ridurre la tutela giurisdizionale del terzo, in forza di un atto di autonomia riferibile alla volontà di un altro soggetto privato, di regola portatore di interessi contrapposti con quelli del terzo, si deve garantire a quest’ultimo anche la diretta impugnabilità della DIA così come accade per il permesso di costruire (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.01.2010 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’ingiunzione a demolire deve essere rivolta al responsabile dell’abuso, anche se non proprietario del suolo.
La corretta individuazione dei mappali interessati dagli abusi edilizi attiene alla fase successiva all’adozione dell’ordine di demolire, ovvero alle operazioni di acquisizione dell’immobile conseguenti all’accertata mancata demolizione dei manufatti abusivi.
A fronte dell’abuso edilizio non può opporsi alcuna valutazione discrezionale con riguardo alla sanzione demolitoria, in quanto il giudizio di antigiuridicità o illiceità della condotta del privato è contenuto nella legge.

L’ingiunzione a demolire, come risulta dal tenore letterale dell’art. 7 della legge n. 47/1985, deve essere rivolta al responsabile dell’abuso, anche se non proprietario del suolo (Cons. giust. sic., 13/04/1992, n. 143). Pertanto il ricorrente è tenuto ad attuare la misura repressiva per il solo fatto di essere autore dell’illecito: la circostanza che l’abuso insista su area appartenente a terzi non inficia di per sé la validità del provvedimento.
La corretta individuazione dei mappali interessati dagli abusi edilizi attiene alla fase successiva all’adozione dell’ordine di demolire, ovvero alle operazioni di acquisizione dell’immobile conseguenti all’accertata mancata demolizione dei manufatti abusivi, e quindi non può incidere sulla validità dell’atto impugnato.
L’esatta indicazione delle aree è necessaria solo ai fini del procedimento di acquisizione coattiva, successivo all’accertamento dell’inosservanza dell’ordine di demolizione, e non può incidere sulla legittimità della sanzione demolitoria, il cui contenuto ha lo scopo di porre in condizione il destinatario di eliminare le opere abusive, scopo che nel caso di specie è stato raggiunto con la puntuale descrizione dei manufatti realizzati senza titolo (Cons. Stato, V, 06/09/1999, n. 1015; TAR Toscana, III, 20/01/2009, n. 24; idem, 06/02/2008, n. 117; TAR Campania, Napoli, III, 17/12/2007, n. 16311).
A fronte dell’abuso edilizio non può opporsi alcuna valutazione discrezionale con riguardo alla sanzione demolitoria, in quanto il giudizio di antigiuridicità o illiceità della condotta del privato è contenuto nella legge, sicché non v’è ragione di evidenziare la preminenza dell’interesse pubblico (ex multis: Cons. Stato, V, 30/09/2002, n. 5058) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 07.08.2009 n. 1381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISolo in virtù dell’art. 2 della legge n. 191 del 16/06/1998 (in vigore dal 05/07/1998) il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, inducendo a ritenere che la competenza ad adottare le ordinanze di demolizione possa far capo al dirigente solo dopo l’entrata in vigore della predetta norma.
L’art. 7 della legge n. 47/1985 demanda al Sindaco la competenza ad adottare l’ordine di demolizione.
Successivamente l’art. 51 della legge n. 142/1990, nel testo novellato dall’art. 6 della legge n. 127/1997, ha posto il problema di stabilire se il dirigente abbia la competenza ad emanare gli atti di gestione per effetto diretto di tale norma di legge o se invece l’applicazione del nuovo sistema di competenze sia condizionata all’emanazione di norme statutarie o regolamentari che specifichino gli atti di gestione demandati alla competenza degli organi burocratici.
Al riguardo il Consiglio di Stato, con interpretazione che il Collegio condivide, ha statuito che lo spostamento delle competenze ai dirigenti degli enti locali, previsto dall’art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997, non è automatico, ma è subordinato alla previa approvazione delle modifiche statutarie e regolamentari idonee a determinare le modalità relative a detto spostamento: tale norma introduce una statuizione vincolante ma con valenza di principio, destinata perciò ad essere recepita da ciascun ente locale secondo il proprio ordinamento. A differenza dell’amministrazione statale, nella quale il passaggio delle competenze gestionali in capo ai dirigenti avviene ope legis, per i Comuni l’operatività del nuovo riparto di attribuzioni è subordinata all’emanazione di atti normativi di livello subprimario (Cons. Stato, I, 28/04/1999, n. 535; TAR Lombardia, Milano, III, 02/02/2000, n. 492).
Occorre altresì considerare che solo in virtù dell’art. 2 della legge n. 191 del 16/06/1998 (in vigore dal 05/07/1998, ovvero successivamente all’adozione dell’atto impugnato), il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, inducendo a ritenere che la competenza ad adottare le ordinanze di demolizione possa far capo al dirigente solo dopo l’entrata in vigore della predetta norma (TAR Campania, Napoli, IV, 22/02/2000, n. 465; idem, I, 05/07/2000, n. 2642).
L’art. 2 della legge n. 191 del 16/06/1998 ha ricompreso tra gli atti di gestione le misure repressive degli abusi edilizi; coerentemente l’art. 107, comma 3, lettera “g”, del d.lgs. n. 267/2000 attribuisce ai dirigenti le competenze in materia di repressione dell’abusivismo edilizio. Il comma 5 del predetto art. 107 statuisce inoltre, analogamente a quanto precedentemente previsto dal citato art. 2, che le disposizioni che conferiscono agli organi politici (tra cui il Sindaco) l’adozione di atti di gestione o di provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti.
Orbene, la legge regionale che attribuisce al Sindaco la potestà di ingiungere la demolizione di opere abusive deve essere interpretata, in base all’art. 107, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, in senso conforme ai principi generali dell’ordinamento, in modo tale da tenere ferma la competenza del dirigente nell’adozione degli atti di gestione, comprendenti l’ordinanza demolitoria (TAR Toscana, III, 18/12/2002, n. 3398)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 07.08.2009 n. 1381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della legittimità dell’annullamento del permesso di costruire è sufficiente che si sia verificata una dichiarazione di conformità dei luoghi rilasciata dal direttore dei lavori, non corrispondente alla realtà dei fatti.
La errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base del rilascio dell’atto della concessione edilizia che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.

E’ legittimo l’operato dell’Amministrazione che ha annullato d’ufficio un permesso di costruire rilasciato sul presupposto di una rappresentazione dello stato dei luoghi e della volumetria preesistente successivamente rivelatasi non veritiera.
Allorquando un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla pubblica amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa.

Ai fini della legittimità dell’annullamento del permesso di costruire è sufficiente che si sia verificata una dichiarazione di conformità dei luoghi rilasciata dal direttore dei lavori, non corrispondente alla realtà dei fatti.
Nella specie, il presupposto essenziale per la verifica della congruenza della cubatura dell’edificio progettato in ampliamento è stato determinato –con la dichiarazione di conformità dei luoghi rispetto al progetto approvato, rilasciata dal direttore dei lavori in data 19.04.2004– dalla condizione di impraticabilità del sottotetto di corso generale Torelli 73, considerato quale volume tecnico ed escluso dal computo della cubatura.
Il permesso di costruire 16/2004 “prevede lavori di modifica all’abitazione di corso Generale Torelli 73 tali da consentire l’integrazione in un'unica unità immobiliare con la nuova costruzione in ampliamento e che, quindi oltre al calcolo unitario della cubatura sopra argomentato, l’edificio si configura come un unicum inscindibile, per cui può essere invalidato del permesso di costruire n. 16/2004 per esubero di cubatura rispetto a quella consentita”.
Il completamento dell’opera autorizzata con il permesso di costruire n. 16/2004 comporterebbe un eccesso di cubatura: secondo il comune “porterebbe ad una cubatura superiore al valore massimo consentito dall’indice di fabbricabilità della zona”.
Inoltre, come ha osservato il comune, “è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del permesso di costruire n. 16/2004 del 23.04.2004, determinato dallo stesso soggetto richiedente”.
La errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base del rilascio dell’atto della concessione edilizia che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto (in tal senso anche C. Stato, V, 12.10.2004, n. 6554).
Nella specie, l’errato calcolo della cubatura ammissibile è stato determinato proprio con la dichiarazione di conformità dei luoghi rilasciata dal direttore dei lavori in data 19.04.2004.
E’ legittimo l’operato dell’Amministrazione che ha annullato d’ufficio un permesso di costruire rilasciato sul presupposto di una rappresentazione dello stato dei luoghi e della volumetria preesistente successivamente rivelatasi non veritiera.
Allorquando un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla pubblica amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.12.2008 n. 6554 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un locale sottotetto mediante vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante un scala interna è indice rilevatore dell’intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati.
I volumi tecnici sono quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali -e quindi sono computabili ai fini della volumetria consentita– le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli do sgombero; e non è volume tecnico il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.
La nozione di “volume tecnico” può essere utilmente attribuita ad opere edilizie completamente prive di una autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.

La giurisprudenza amministrativa ha stabilito che la realizzazione di un locale sottotetto mediante vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante un scala interna è indice rilevatore dell’intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati (Consiglio di Stato, sez. V, 31.01.206 n. 354; cfr. in tal senso anche TAR Calabria–Catanzaro – Sez.II, 07.02.2006 n. 125).
Lo stesso Consiglio di Stato ha altresì precisato che i volumi tecnici sono quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali -e quindi sono computabili ai fini della volumetria consentita– le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli do sgombero; e non è volume tecnico il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Consiglio di Stato, sez. V, 13.05.1997 n. 483).
Applicando dette coordinate ermeneutiche al caso in esame ne deriva che la nozione di “volume tecnico” può essere utilmente attribuita ad opere edilizie completamente prive di una autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa. Al di fuori di tale ambito, ritiene il Collegio che il concetto non può essere utilizzato né dall’amministrazione né dal privato al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica (cfr. anche TAR Milano – sez. II, 04.04.2002 n. 1337).
Ed invero, per l’identificazione della nozione di volume tecnico assumono valore tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, ossia che il manufatto abbia un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione; il secondo ed il terzo negativi, ricollegati all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono essere ubicate all’interno della parte abitativa e dall’altro ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra i volumi e le esigenze edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinale a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale. (cfr. TAR Napoli–Sez. IV, 28.02.2006 n. 2451 e TAR Palermo - sez. III, n. 424 del 21.02.2006).
La rilevante altezza media rispetto al piano di gronda, seppur non utile ai fini della abitabilità (siccome ridotta in misura minima rispetto al precedente progetto), non consente di qualificare il relativo volume come sottotetto non computabile, trattandosi in realtà di una mansarda (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13.05.1997 n. 483). Inoltre, come già precisato dalla giurisprudenza amministrativa richiamata, l’accessibilità mediante una scala interna, della stessa tipologia e dimensione di quella prevista per accedere ai piani immediatamente inferiori, nonché la previsione di una ampia finestra di “aerazione” e di una ulteriore apertura per accedere al terrazzo calpestabile, costituiscono indici rilevatori della effettiva natura della cubatura progettata, già ex se non proporzionata –quindi– alla mentovata destinazione ad uso di locale tecnologico (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 09.07.2007 n. 1749 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il torrino vano fine corsa ascensore può essere definito come volume tecnico, in quanto rientrano nel concetto di volume tecnico quelle opere edilizie, adibite alla sistemazione di impianti in rapporto di strumentalità necessaria con l’uso dell’edificio in cui vengono collocati e che non possono essere sistemati all’interno della parte abitativa.
I locali aventi una destinazione complementare a quella residenziale, come la mansarda, la soffitta, gli stenditoi chiusi ed i ripostigli, non rientrano nell’ambito dei cd. volumi tecnici e perciò vanno computati ai fini della volumetria e/o dell’altezza consentita.

Il torrino vano fine corsa ascensore può essere definito come volume tecnico, in quanto rientrano nel concetto di volume tecnico quelle opere edilizie, adibite alla sistemazione di impianti in rapporto di strumentalità necessaria con l’uso dell’edificio in cui vengono collocati e che non possono essere sistemati all’interno della parte abitativa, come per es. gli impianti termici, gli impianti idrici e gli impianti di ascensore comprensivi del torrino vano fine corsa ascensore (cfr. sul punto C.d.S. Sez. V Sent. n. 483 del 13.05.1997; TAR Lecce Sez. III Sent. n. 143 del 15.01.2005), mentre i locali aventi una destinazione complementare a quella residenziale, come la mansarda, la soffitta, gli stenditoi chiusi ed i ripostigli, non rientrano nell’ambito dei cd. volumi tecnici e perciò vanno computati ai fini della volumetria e/o dell’altezza consentita.
Di norma i volumi tecnici non vanno computati sia dal calcolo della volumetria che dal calcolo dell’altezza dell’edificio e delle distanze ragguagliate all’altezza, fatte salve puntuali disposizioni dello strumento urbanistico (TAR Basilicata, sentenza 23.05.2007 n. 456 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il box da realizzarsi al di fuori del perimetro dell’originario fabbricato deve essere completamente interrato non rilevando, per dato letterale e logico inequivocabile, il fatto che la struttura risulti interrata parzialmente su due lati.
L’art. 9 della L. n. 122/1989 distingue a seconda che i parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari siano realizzati all'interno del perimetro del fabbricato esistente ovvero (dopo la modifica di cui all’art. 17 della legge n. 127/1997) in aree pertinenziali esterne.
Nella prima fattispecie, infatti, è ammessa la realizzazione nel sottosuolo degli immobili ovvero nei locali siti al piano terreno; nella seconda fattispecie il parcheggio può essere realizzato unicamente "nel sottosuolo".
In quest’ultima ipotesi rientra il caso di specie.
Ne consegue che il manufatto, da realizzarsi al di fuori del perimetro dell’originario fabbricato, doveva essere completamente interrato non rilevando, per dato letterale e logico inequivocabile, il fatto che la struttura risultasse interrata parzialmente su due lati (cfr. sul punto TAR Toscana, III, 15.01.2004, n. 13; v. anche per alcuni profili Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 26.06.2000, n. 299).
Più esattamente una tale conclusione trova conforto sul piano letterale nel riferimento alla realizzazione del parcheggio nel solo sottosuolo (senza aperture alla ammissibilità di un parcheggio seminterrato e in contrapposizione alla più ampia deroga nella ipotesi di parcheggio all’interno dell’originario perimetro del fabbricato) e sul piano logico nella natura eccezionale e di stretta interpretazione della norma derogatoria (CGARS, sentenza 27.10.2006 n. 588 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 06.05.2010

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Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Bergamo per giovedì 13 maggio 2010 organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni ivi riportate.

UTILITA'

PUBBLICO IMPIEGO: REGOLAMENTO PER L’EROGAZIONE DI PRESTITI AGLI ISCRITTI ALLA GESTIONE UNITARIA DELLE PRESTAZIONI CREDITIZIE E SOCIALI ISTITUITA PRESSO L’INPDAP.
Nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del 13.04.2010 è stato pubblicato il regolamento per l'erogazione di piccoli prestiti (annuali, biennali e triennali) e di prestiti pluriennali (quinquennali e decennali) agli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, istituita presso l'Inpdap.
Le regole, in vigore dal prossimo 1° luglio, disciplinano sia le erogazioni rimborsabili da uno a tre anni che i prestiti pluriennali diretti e indicano inoltre la procedura da seguire per le richieste di finanziamento.

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 04.05.2010 n. 102 "Regolamento recante modalità semplificate di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) da parte dei distributori e degli installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), nonché dei gestori dei centri di assistenza tecnica di tali apparecchiature" (D.M. 08.03.2010 n. 65).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: F. Saitta, Contratti pubblici e riparto di giurisdizione: prime riflessioni sul decreto di recepimento della direttiva n. 2007/66/CE (d.lgs. 53/2010) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

NEWS

ENTI LOCALI - VARI: I semafori T-red? Legittimi.
In arrivo multe per 60 milioni. Valide le sanzioni bloccate dopo l'inchiesta dei pm di Verona (articolo Corriere della Sera del 05.05.2010 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALIGli enti locali dribblano il dissesto. L'allarme del Viminale: c'è una difficoltà finanziaria sommersa. Poteri sostitutivi ai prefetti. Per evitare critiche i sindaci evitano il default. E non risanano.
Sarà perché mettere in piazza i risultati di una gestione economica dissennata, esponendosi al pubblico ludibrio dei cittadini e dei media, non fa piacere a nessuno. O perché molto spesso ignorano i possibili futuri benefici di un risanamento radicale nei conti. E preferiscono tirare a campare vivendo alla giornata, nella speranza che prima o poi arrivi il classico aiutino da Roma, come successo con Catania qualche anno fa che si salvò dal default solo grazie a un sostanzioso assegno del governo Berlusconi.
Fatto sta che sindaci e presidenti di provincia si dimostrano sempre più restii nel dichiarare lo stato di dissesto degli enti che amministrano ... (articolo ItaliaOggi del 04.05.2010 - link a www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Garante privacy: sì alle telecamere nei depositi dei rifiuti.
Videosorveglianza lecita in tutte le aree preposte al deposito di rifiuti urbani se finalizzata al rilevamento di illeciti.
Ad allargare il novero delle attività sottoponibili a controllo via telecamere è il Garante della privacy, che con la nuova deliberazione generale dell'08.04.2010 in materia di videosorveglianza ha rimosso il limite stabilito dalla stessa Autority con il provvedimento 29.04.2004, che limitava il videocontrollo all'abbandono di rifiuti urbani in aree non consentite.
La nuova delibera (in G.U. del 29.04.2010 n. 99) sostituisce l'omonimo e citato provvedimento del 2004, riformulando tutte le regole per la videosorveglianza sui depositi dei rifiuti. In base al nuovo provvedimento del 2010 l'occhio elettronico potrà vigilare in due precisi contesti.
Secondo il tenore del provvedimento 2010 la videosorveglianza potrà infatti essere utilizzata per monitorare il rispetto delle disposizioni su modalità, tipologia e orario di deposito dei rifiuti la cui violazione è sanzionata amministrativamente, sempre che risultino inefficaci o inattuabili altre misure di controllo (articolo ItaliaOggi del 04.05.2010, pag. 27).
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Nuove regole per l'uso dei sistemi di videosorveglianza.
Varate dal Garante per la protezione dei dati personali le nuove regole alle quali soggetti pubblici e privati dovranno conformarsi per installare telecamere e sistemi di videosorveglianza.
I cittadini che transitano in aree sorvegliate devono essere informati con cartelli visibili. I sistemi di videosorveglianza installati da soggetti pubblici e privati collegati alle forze di polizia richiedono uno specifico cartello informativo. Le telecamere istallate per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica invece non devono essere segnalate.
Le immagini registrate possono essere conservate per un periodo limitato e fino ad un massimo di 24 ore (fatte salve speciali esigenze relative a indagini di polizia e giudiziarie). Per attività particolarmente rischiose è ammesso un periodo più ampio.
Nei luoghi di lavoro è vietato il controllo a distanza dei lavoratori, sia all'interno degli edifici, sia in altri luoghi di prestazione del lavoro. Negli ospedali e luoghi di cura è vietata la diffusione di immagini di persone malate mediante monitor quando questi sono collocati in locali accessibili al pubblico. E' ammesso, in casi indispensabili, il monitoraggio dei pazienti ricoverati in particolari reparti (per es., rianimazione), ma l'accesso alle immagini è consentito solo al personale autorizzato e ai familiari dei ricoverati. Negli Istituti scolastici: è ammessa l'installazione di sistemi di videosorveglianza per la tutela contro gli atti vandalici, solo negli orari di chiusura (link a www.governo.it).

APPALTI: Risarcimento difficile per i danni della PA. La pregiudiziale limita il numero dei ricorsi.
A dieci anni dal debutto ancora dissidi tra Consiglio di Stato e Cassazione ... (articolo Il Sole 24 Ore del 03.05.2010 - link a www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALIPer il conseguimento delle finalità istituzionali le PA devono avvalersi in via prioritaria delle loro strutture interne.
Il principio alla base della decisione dei giudici contabili laziali trae origine dalle disposizioni costituzionali.
Secondo la Carta fondamentale, la pubblica amministrazione deve uniformare i propri comportamenti a criteri di legalità, economicità, efficienza ed imparzialità. Dal che consegue il corollario secondo il quale essa, per provvedere all'assolvimento dei compiti istituzionali, deve prioritariamente avvalersi delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto. Rispetto alla regola generale, il ricorso ad esterni costituisce un’eccezione.
Tale presupposto correla necessariamente le concrete condizioni di ammissibilità dell’istituto all’episodicità ed alla straordinarietà del relativo conferimento. Seppure è rimessa allo spazio discrezionale della pubblica amministrazione la valutazione degli “obiettivi determinati” da perseguire attraverso collaborazioni esterne “a termine”, tale scelta può essere esercitata solo in presenza di “esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio”.
Stante il presente quadro riepilogativo, i giudici laziali hanno affrontato non solo il caso del ricorso all’esterno ma anche l’ipotesi della reiterazione degli incarichi medesimi.
Le motivazioni addotte per giustificare la reiterazione di un incarico a termine non possono essere generiche: in questo modo infatti la reiterazione non solo contrasterebbe con il parametro della temporaneità ma anche con quello dell’efficiente impiego di risorse pubbliche, ridondando in un palese profilo di irrazionalità della scelta amministrativa adottata, ben sindacabile dalla Corte dei Conti, abilitata ad un controllo di ragionevolezza delle scelte adottate dall’amministrazione.
E’ noto infatti che il giudice contabile debba verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente pubblico (Cass. n. 4956 del 2005). A ciò non osta la riconducibilità all’area della discrezionalità (e quindi dell’insindacabilità giurisdizionale) di qualunque articolazione dell’agire amministrativo purché compiuta nel rispetto dei fini istituzionali dell’ente (Cass. 7024 del 2006 ); infatti le aree di discrezionalità vanno ricondotte al principio di legalità e quindi al sindacato indiretto (quale quello dell’eccesso di potere) in sede giurisdizionale; con la conseguenza che il giudice può riesaminare l’interpretazione e l’applicazione di norme giuridiche espresse negli atti amministrativi; e con l’effetto ulteriore che eventuali articolazioni dell’agire amministrativo (da ritenersi, e nella misura in cui sono da ritenersi) contra legem non possono farsi rientrare nella sfera della discrezionalità, in contrasto con il principio di legalità dell’amministrazione e di pienezza della tutela giurisdizionale.
Pertanto se anche un primo atto di incarico all’esterno è lecito e trova la sua ragionevolezza nella specificità dell’intervento e nelle concrete condizioni in cui versa l’ente, non si può predicare la ragionevolezza della reiterazione di incarichi senza che ciò sia supportato da motivazioni specifiche.
Secondo i giudici, gli amministratori non possono eludere il requisito del termine da apporre alle convenzioni (“convenzioni a termine” ex art. 110, c 6, tu 267 del 2000; “determinando preventivamente durata … della collaborazione” ex art. 7, c 6, dlgs 165 del 2001), concretando un danno per l’amministrazione comunale, sub specie dell’impiego non funzionale ed efficiente di risorse pubbliche; non potendo in via generale l’amministrazione –alla luce del richiamato quadro ordinamentale- avvalersi ordinariamente di consulenze esterne, a fortiori allorché se ne giustifichi l’utilizzo attraverso un apparato motivazionale contenutisticamente generico, riproposto per di più diacronicamente in modo pedissequo.
Questo comportamento costituisce un vizio sintomatico evidente di un utilizzo dell’istituto esorbitante rispetto al fine pubblico da perseguire ed intrinsecament e dannoso (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio, sentenza 27.04.2010 n. 873 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Sempre vincolanti le indicazioni date dal centro.
Cosa succede dopo una deliberazione della Sezione Autonomie della Corte dei Conti? Gli enti locali sono sempre costretti ad adeguarsi? E' necessario rifare i calcoli delle spese di personale?
A questi dubbi ha risposto la Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per il Piemonte con il parere 15.04.2010 n. 31/2010 ... (articolo Il Sole 24 Ore del 03.05.2010 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Enti fuori patto a mobilità incerta.
Secondo la Corte dei Conti l'istituto è sempre bloccato, secondo l'Economia no.
La Sezione del Piemonte, col parere 16.03.2010 n. 22/2010, sostiene lo stop a prescindere dall'impatto sulla spesa che invece è determinante per la ragioneria generale (articolo ItaliaOggi del 03.05.2010 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTILa non esatta corrispondenza tra il contenuto della dichiarazione indicato nel disciplinare di gara e quello del modello di istanza predisposto dalla stazione appaltante è da considerarsi una svista ascrivibile al comportamento dell’amministrazione.
La non esatta corrispondenza tra il contenuto della dichiarazione indicato nel disciplinare di gara e quello del modello di istanza predisposto dalla stazione appaltante è da considerarsi una svista ascrivibile al comportamento dell’amministrazione e non può pertanto comportare l’operatività della comminatoria generale di esclusione di cui al disciplinare, in conformità ai principi di favor partecipationis e di tutela dell’incolpevole affidamento (Cons. St. Sez. VI, n. 7278/2004).
Ritiene il Collegio di attenersi all’orientamento secondo cui la semplice incompletezza delle dichiarazioni, rinvenibile nel caso di specie, è comunque suscettibile di essere superata attraverso accertamenti da parte della p.a., nell’esercizio della specifica potestà amministrativa ricorrente ogni volta sussista un’obiettiva incertezza o una sanabile incompletezza di una dichiarazione, e con la richiesta di integrazioni da parte delle interessate, in osservanza dei principi di buon andamento e di legalità sostanziale dell’azione amministrativa (Cons. St., Sez. V, 18.03.2002, n. 1558; 11.01.2006, n. 36) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza  29.04.2010 n. 2461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIALa Regione che verifichi l’opportunità di creare una cava ha l’onere di coinvolgere gli enti locali nella scelta, rimettendo gli atti alla provincia perché acquisisca il parere degli stessi.
Sulla possibilità di introdurre modificazioni al Piano Cave della Provincia anche da parte del Consiglio regionale la giurisprudenza si è confrontata con la prassi applicativa che ha conosciuto come ordinaria modalità operativa quella che era configurata dalla legge come mera eventualità: essa ha quindi elaborato un criterio interpretativo delle norme volto a ricondurre ad unità sistematica il procedimento, assicurando in ogni fase il rispetto dell’interesse partecipativo di ognuno dei portatori d’interesse (pubblici e privati).
Nel vigore del precedente regime normativo, è stato affermato che “Stante la particolare articolazione del procedimento di formazione o revisione del Piano cave, nel quale intervengono fin dalla fase iniziale di predisposizione del progetto tutti gli enti locali interessati dalle previsioni del Piano -secondo quanto delineato dalla L.r. Lombardia n. 18/1982- è del tutto palese che, ove la Regione intenda discostarsi dalla proposta iniziale riservata alla competenza dell'Amministrazione provinciale, deve enunciare le ragioni di tale scelta; diversamente il Piano sarebbe il risultato di una decisione arbitraria della Regione e si porrebbe in contrasto con il dettato della legge regionale che configura il Piano medesimo come atto complesso, derivante dal concorso di volontà di soggetti diversi” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 12/11/2003 n. 7261).
Più recentemente il Consiglio di Stato (sez. VI – 06/06/2008 n. 2743) –valorizzando la funzione di co-gestione degli interessi pubblici esercitata dai due Enti espressamente coinvolti nel procedimento– ha statuito che “la Regione, una volta constatata l’opportunità di destinare alla creazione di una cava un territorio, trascurato dalla provincia competente, che quindi non ha acquisito il parere del comune interessato, ha l’onere di coinvolgere gli enti locali nella scelta, rimettendo, a tale scopo, gli atti alla provincia perché acquisisca il parere del comune interessato e formuli le proprie osservazioni al riguardo”.
Questo Tribunale (sez. I – 08/02/2010 n. 618) ha recentemente osservato, con un ragionamento che il Collegio condivide, che l’omissione procedimentale in proposito non ha un significato formale, ma sostanziale. Proprio perché il procedimento viene a configurarsi –nell’ottica del legislatore regionale e della conseguente prassi applicativa– come una serie di cerchi concentrici nell’ambito dei quali è possibile introdurre modificazioni, è necessario che sia sulle stesse coerentemente assicurato il contraddittorio istruttorio al fine di non pervenire alla scelta di soluzioni non rispettose dei principi dettati dalla stessa legge regionale in tema di Piani cave: il principio del giusto procedimento si deve coniugare quindi anche con quello dell’adeguata istruttoria procedimentale, al fine di armonizzare i divergenti interessi coinvolti nella procedura pianificatoria estrattiva.
La pronuncia citata, nel recepire i principi enucleati dalla sentenza di questo Tribunale 04/05/2009 n. 893, ha posto in luce che: “La legge in questione, è necessario premetterlo per chiarezza, disciplina il piano delle cave come piano “provinciale”, ovvero demanda a detto ente la sua formazione, sentiti gli enti minori che il suo territorio compongono, ovvero i Comuni; la legge stessa quindi non va interpretata, almeno fin quando sia possibile evitarlo, nel senso di svuotare dette competenze, e in particolare di accentrare la formazione del piano al superiore livello regionale.
Tale risultato, oltretutto, sarebbe contrario al principio costituzionale di sussidiarietà verticale, là dove esso impone di allocare le competenze presso gli enti locali di livello il più possibile vicino al cittadino, e quindi di evitare non necessarie ingerenze degli enti di livello superiore, in primo luogo lo Stato, ma anche la Regione. … le norme degli artt. 7 e 8 comma 1 della l.r. 14/1998, là dove prevedono che alla proposta presentata dalla Provincia sentiti i Comuni la Giunta regionale possa apportare “integrazioni e modifiche” da sottoporre poi al Consiglio regionale per l’approvazione finale, va interpretata nel senso che si possano apportare in modo puro e semplice solo modifiche di mero dettaglio, ovvero imposte dall’adeguamento ad obblighi normativi.
In tutti gli altri casi, non va stravolto il carattere provinciale del piano, e quindi le modifiche non si possono inserire se non ripetendo la procedura che ha condotto alla proposta arrivata alla Giunta: le modifiche stesse vanno apportate al disegno generale della proposta adottata e su di esse devono pronunciarsi non solo i Comuni, ma anche tutti gli organi tecnici deputati ad esprimere il loro parere sul piano in parola
”.
Anche se la pronuncia n. 893/2009 è stata annullata con rinvio dal Consiglio di Stato per difetto di contraddittorio (sez. V – 02/03/2010 n. 1184), i principi in essa affermati mantengono coerenza logica ed efficacia (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 22.04.2010 n. 1607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL'omissione della comunicazione di avvio del procedimento è giustificata dall'esigenza della tutela della pubblica incolumità.
Come affermato ripetutamente dalla giurisprudenza amministrativa, la presenza di urgenze c.d. “qualificate” in relazione alle circostanze del caso concreto di prevenire un imminente e grave pericolo alla cittadinanza, giustifica l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento, perché sussiste un rapporto di conflittualità e di logica sovraordinazione tra l'esigenza di tutela immediata della pubblica incolumità e l'esigenza del privato inciso dall'atto amministrativo di avere conoscenza dell'avvio del procedimento (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. V, 25.02.2009 n. 1083; TAR Lazio Roma, Sez. II, 20.01.2006 n. 455; TAR Abruzzo L'Aquila, 14.12.2004 n. 1337) (TAR Marche, sentenza 20.04.2010 n. 196 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla decorrenza del termine di prescrizione dell'indennità pecuniaria per abusi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata.
Con D.D.S. n. 7220 del 07.09.2009, notificato il 05.11.2009, la Soprintendenza intimata ha richiesto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 come sostituito dall’art. 27 del D.lgs. n. 157/2006, il pagamento della somma di euro 30.389,37, quale indennità per il profitto conseguito con la realizzazione dell’opera abusiva in area di notevole interesse paesaggistico.
Ritiene il Collegio che, a prescindere da ogni altra valutazione nel merito, il credito dell’Amministrazione si sia ormai prescritto.
Ed invero, anche a voler accedere alla tesi sostenuta dall’Amministrazione e confermata da autorevole Giurisprudenza (cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1464, ma vedi contra questa stessa Sezione, nn. 987/2007 e 1215/2006 e TAR Lazio, II, 20.04.2002, n. 3370), secondo la quale l'art. 15 della legge nr. 1497 del 1939 (divenuto poi art. 164 del d.lgs. nr. 490 del 1999, ed oggi l'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004) va interpretato nel senso che l'indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa (e non una forma di risarcimento del danno), che come tale prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28.07.2006, nr. 4690; Cons. Stato, sez. IV, 15.11.2004, nr. 7405; id. 03.11.2003, nr. 7047; Cons. Stato, sez. VI, 03.04.2003, nr. 1729; Cons. Stato, sez. IV, 12.11.2002, nr. 6279; Cons. Stato, sez. VI, 08.11.2000, nr. 6007; id. 06.06.2000, nr. 3185), è da dire che è altrettanto incontestata l'applicabilità a tale sanzione del principio di cui all'art. 28 della legge n. 689 del 1981.
Detta norma stabilisce, infatti, che "il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione": disposizione quest'ultima applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.
Nell'applicare tale regola, tuttavia, con riguardo all'individuazione del dies a quo della decorrenza della prescrizione, occorre tener conto della particolare natura degli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni.
Inoltre, per la decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158, comma I, cod. pen.); pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo, come la determinazione di applicare la sanzione pecuniaria, può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13.07.2006, nr. 4420; Cons. Stato, sez. IV, 02.06.2000, nr. 3184).
Più in particolare, è stato giustamente osservato che per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla sua ultimazione), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l'ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente.
Dalle considerazioni che precedono si ricava, dunque, che nel campo dell'illecito amministrativo -che, come quello in esame, integra un'ipotesi di illecito formale consistente nell'omessa richiesta della preventiva autorizzazione- la permanenza cessa (e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere) o con l'irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell'autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma (cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 11.04.2002, nr. 4; Cons. Stato, sez. VI, 12.05.2003, nr. 2653; id. 30.10.2000, nr. 5851)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 25.03.2010 n. 938 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'intervenuta sanatoria dell'abuso edilizio non fa ex se venir meno la potestà sanzionatoria per la diversa violazione paesaggistica, ma non anche che essa non spiega alcuna influenza sulla permanenza di quest'ultima; ne consegue che proprio il momento del rilascio della sanatoria costituisce il dies a quo della prescrizione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 28 della legge nr. 689 del 1981.
Come è noto, ai sensi dell'art. 32 della legge 28.02.1985, nr. 47, e s.m.i., gli abusi edilizi realizzati in aree vincolate, al di fuori dei casi in cui il successivo art. 33 prevede espressamente l'insanabilità, sono suscettibili di sanatoria subordinatamente al rilascio del parere favorevole da parte dell'autorità preposta al vincolo; la stessa disposizione aggiunge che il rilascio del titolo abilitativi edilizio in sanatoria estingue anche il reato derivante dalla violazione del vincolo.
Orbene, continua la citata sentenza del Consiglio di stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1464, parte appellante richiama giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui, stante l'autonomia della violazione paesaggistica rispetto a quella urbanistica, il conseguimento della concessione edilizia in sanatoria non farebbe venire meno la potestà sanzionatoria dell'Amministrazione per la violazione del vincolo; si aggiunge anche che, sempre in virtù dell'autonomia e separatezza dei due procedimenti sanzionatori, neanche il parere di compatibilità paesaggistica rilasciato dall'autorità preposta al vincolo nell'ambito del procedimento di condono, essendo appunto un mero atto endoprocedimentale all'interno del ben diverso procedimento relativo alla violazione edilizia, non è idoneo a far cessare la permanenza della violazione paesaggistica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.11.2004, nr. 7405; id. 04.02.2004, nr. 395).
Senza disconoscere i principi su cui si fonda tale orientamento (è da ritenere) che gli stessi non siano incompatibili con la diversa opinione, altrettanto diffusa, secondo cui laddove risulti che il responsabile della violazione non si è limitato a munirsi del predetto parere endoprocedimentale, ma abbia concluso positivamente la procedura di condono, il provvedimento di concessione in sanatoria non può non determinare la cessazione delle permanenza anche dell'illecito paesaggistico (cfr. Cons. Stato, sez. II, 09.04.2008, nr. 708/2005; Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2007, nr. 1585; Cons. Stato, sez. V, 13.07.2006, nr. 4420; CGARS, 02.03.2006, nr. 79).
Al riguardo, va anzitutto osservato che non è del tutto vero che il parere favorevole reso dall'autorità preposta al vincolo nell'ambito del procedimento per la sanatoria di abusi edilizi realizzati in zona vincolata costituisca un atto meramente interno a tale procedimento, privo di ogni riflesso sulla diversa violazione paesaggistica: ciò si ricava, a tacer d'altro, dalla già richiamata disposizione ex art. 32 della legge nr. 47 del 1985, secondo cui, una volta ottenuto il predetto parere (da cui non può prescindersi per il conseguimento del condono nella fattispecie), la successiva concessione in sanatoria determina l'estinzione non solo del reato edilizio, ma anche del reato "per la violazione del vincolo".
E’ pur vero che tale previsione è destinata a spiegare effetti principalmente in ambito penalistico, determinando la non punibilità del reato conseguente alla violazione del vincolo (mentre, come si è sopra visto, diversi sono i parametri di definizione dell'illecito amministrativo connesso); tuttavia, è evidente che essa depone chiaramente nel senso di una convergenza, all'interno di un unico procedimento di sanatoria, tra il parere dell'autorità preposta al vincolo e quello specificamente urbanistico-edilizio del Comune, ai fini dell'eliminazione contestuale di entrambi gli illeciti, quello edilizio e quello paesaggistico.
Ne discende che, una volta ottenuta la concessione in sanatoria, il responsabile dell'abuso null'altro è tenuto a fare, né può fare, con riferimento all'ulteriore violazione di natura paesaggistica, atteso che l'autorità preposta al vincolo ha già compiutamente e definitivamente espresso il proprio avviso rilasciando il parere di compatibilità che costituisce presupposto imprescindibile per il condono delle opere abusive eseguite in zona vincolata; opinare diversamente implicherebbe l'obbligo del responsabile dell'abuso, il quale abbia ottenuto il condono e intenda rimuovere anche la violazione paesaggistica, di richiedere alla Soprintendenza un nuovo parere di compatibilità destinato a "duplicare" quello già rilasciato nel procedimento di sanatoria edilizia.
Poiché, però, un tale aggravio procedimentale non trova alcun riscontro nella normativa vigente in materia, l'alternativa sarebbe ritenere che la permanenza della violazione paesaggistica, in un'ipotesi del genere, sia destinata a perdurare indefinitamente, con conseguente sostanziale imprescrittibilità della sanzione pecuniaria, ovvero che l'unico modo che il responsabile avrebbe a disposizione per sottrarsi alla potestà sanzionatoria dell'Amministrazione sarebbe quello di demolire le opere realizzate: il che non solo è palesemente assurdo a fronte di opere ormai in possesso di regolari titoli abilitativi, anche sotto il profilo della compatibilità paesaggistica, ma probabilmente comporta la violazione del principio della alternatività tra sanzioni ripristinatorie e sanzioni pecuniarie che lo stesso art. 164 del d.lgs. nr. 490/1999 ha recepito.
In conclusione, il principio di autonomia delle due tipologie di violazioni va rettamente inteso nel senso che l'intervenuta sanatoria dell'abuso edilizio non fa ex se venir meno la potestà sanzionatoria per la diversa violazione paesaggistica, ma non anche che essa non spiega alcuna influenza sulla permanenza di quest'ultima; ne consegue che proprio il momento del rilascio della sanatoria costituisce il dies a quo della prescrizione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 28 della legge nr. 689 del 1981.
L'opposto avviso, oltre a comportare -come detto- la sostanziale imprescrittibilità della sanzione pecuniaria de qua, si porrebbe in contrasto con fondamentali principi di matrice penalistica (come noto richiamati dalla ridetta legge nr. 689 del 1981 anche in materia di illeciti amministrativi), alla stregua dei quali la nozione di illecito a carattere permanente ovvero con effetti permanenti postula necessariamente, pena il configurarsi di una sorta di non ammissibile responsabilità oggettiva, che il responsabile dell'illecito conservi la possibilità di far cessare la permanenza dell'illecito stesso, ovvero di rimuoverne gli effetti
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 25.03.2010 n. 938 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'acquisizione gratuita di una sopraelevazione abusiva di un fabbricato che per la restante parte risulta legittimamente realizzato, si estende esclusivamente alla parte del lastrico solare che rappresenta la effettiva area di sedime dell'abuso, senza incidere sull'area materialmente e giuridicamente impegnata urbanisticamente dalle altre parti dell'edificio che possono, viceversa, essere conservate. Tuttavia, una volta demolito l'abuso, il comune può anche procedere alla restituzione ai precedenti titolari dell'area non avendo più interesse a mantenerne la titolarità.
Con il provvedimento impugnato il Comune ha deliberato il mantenimento gratuito al proprio patrimonio del piano terzo sottotetto del suindicato immobile, ai sensi e per gli effetti dell’art 7, comma 5, legge 47/1985 del 28.02.1985 e dell’art. 31 DPR 380/2001.
Asseriscono i ricorrenti che sarebbe stato fatto cattivo uso della norma calendata, che consente solo eccezionalmente l’acquisizione al patrimonio del Comune del manufatto abusivo, privilegiandone la demolizione.
Tutte le argomentazioni prospettate dai ricorrenti appaiono fondate sia in punto di fatto sia in punto di diritto.
Ed invero, la predetta norma richiede che “l'opera acquisita deve essere demolita con ordinanza del sindaco a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali”.
Nonostante il chiaro tenore della norma e l’espressa conforme richiesta rivolta al Consiglio comunale in seno alla proposta di delibera approntata dall’Ufficio Tecnico, nessuno dei predetti interessi è stato rappresentato nella deliberazione consiliare impugnata.
Già questo sarebbe sufficiente per consentire l’accoglimento del ricorso.
Il Collegio ritiene di dover confermare quanto in precedenza precisato (cfr. TAR Catania, I, 20.04.2009, n. 758) circa la possibilità di discutere della legittimità della estensione degli effetti dell’ordinanza di demolizione, in quanto occasionata da un provvedimento acquisitivo esorbitante quanto alla individuazione del bene da acquisire e, quindi, da demolire.
Ed invero, “l'acquisizione gratuita di una sopraelevazione abusiva di un fabbricato che per la restante parte risulta legittimamente realizzato, si estende esclusivamente alla parte del lastrico solare che rappresenta la effettiva area di sedime dell'abuso, senza incidere sull'area materialmente e giuridicamente impegnata urbanisticamente dalle altre parti dell'edificio che possono, viceversa, essere conservate. Tuttavia, una volta demolito l'abuso, il comune può anche procedere alla restituzione ai precedenti titolari dell'area non avendo più interesse a mantenerne la titolarità" (cfr. TAR Campania Napoli, sez. IV, 04.01.2002, n. 74; TAR Lazio Latina, 26.03.1997, n. 236)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 25.03.2010 n. 937 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione della domanda di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 rende inefficace l'ordinanza di demolizione adottata anteriormente dal Comune, atteso che essa deve essere sostituita o dalla concessione in sanatoria o da un nuovo provvedimento sanzionatorio.
Il Comune, nel caso in cui il procedimento attivato dal privato si concluda con il diniego del permesso di costruire (ex art. 36 del dPR 380/2001) in sanatoria, dovrà comunque adottare una nuova ordinanza di demolizione.

Come affermato più volte dalla Sezione e dalla giurisprudenza amministrativa in generale, la presentazione della domanda di sanatoria, nel caso specifico, ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, rende inefficace, nella parte di riferimento, l'ordinanza di demolizione adottata anteriormente dal Comune, atteso che essa deve essere sostituita o dalla concessione in sanatoria o da un nuovo provvedimento sanzionatorio (TAR Piemonte Torino, sez. I, 30.10.2008, n. 2721; TAR Campania Napoli, sez. IV, 15.09.2008, n. 10133).
Invero, il riesame dell'abusività dell'opera al fine di verificarne la eventuale sanabilità -provocato dall'istanza della società ricorrente- comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito (di accoglimento o di rigetto) o implicito (di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (TAR Campania Napoli, sez. VI, 06.11.2008, n. 19285) e, nel caso di specie, il provvedimento esecutivo della sentenza del giudice amministrativo.
In altri termini, il Comune, pur nel caso in cui il procedimento attivato dal privato si concluda con il diniego del permesso di costruire in sanatoria, dovrà comunque adottare una nuova ordinanza di demolizione (TAR Sicilia Catania, sez. I, 15.10.2007, n. 1669) o,nel caso di specie,un nuovo atto esecutivo della pronuncia del giudice.
Pertanto, il ricorso va dichiarato improcedibile, essendo venuto meno l’iniziale interesse a ricorrere, posto che l'atto impugnato, in quanto inefficace, non è più idoneo a ledere l'interesse della parte ricorrente, con la conseguenza che, nel caso di concessione in sanatoria, il ricorrente non ha più interesse a coltivare il ricorso avverso l'ingiunzione a demolire, mentre, nel caso di diniego, dovrà impugnare il nuovo provvedimento repressivo (TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 24.07.2007, n. 1033) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 25.03.2010 n. 850 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel rilasciare il permesso di costruire, il Comune può tener conto dell’esistenza di diritti di terzi che contrastino con l’edificazione.
Seppure il rilascio della concessione edilizia legittimi la susseguente attività edificatoria a seguito di un rapporto che intercorre tra il richiedente ed il Comune, ciò non significa che le Amministrazioni non possano non tener conto dell’esistenza di diritti di terzi che contrastino con l’edificazione, qualora essi constino obiettivamente (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 25.03.2010 n. 89 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'omessa indicazione in un atto dell'Autorità a cui ricorrere, come anche l'omessa indicazione dei termini di impugnazione, costituisce mera irregolarità, insuscettibile di determinare l'illegittimità dell'atto.
L'art. 3, l. n. 241 del 1990 consente l'uso della motivazione per relationem con riferimento ad altri atti dell'amministrazione, che devono essere comunque indicati e resi disponibili.
Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, l'omessa indicazione in un atto dell'Autorità a cui ricorrere, come anche l'omessa indicazione dei termini di impugnazione, costituisce mera irregolarità, insuscettibile di determinare l'illegittimità dell'atto; da tale omissione può discendere, all'occorrenza ed in presenza di altre significative circostanze, soltanto una rimessione in termini per errore scusabile (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 12.03.2009, n. 1460; TAR Lazio Roma, sez. I, 03.11.2009, n. 10741; TAR Toscana Firenze, sez. II, 03.07.2009, n. 1178).
Deve essere, altresì, evidenziato che l'art. 3, l. n. 241 del 1990 consente l'uso della motivazione per relationem con riferimento ad altri atti dell'amministrazione, che devono essere comunque indicati e resi disponibili, fermo restando che questa disponibilità dell'atto va intesa nel senso che all'interessato deve essere consentito di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, sicché non sussiste l'obbligo dell'amministrazione di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (cfr., ex multis, TAR Lazio Roma, sez. III, 27.10.2008, n. 9158; TAR Campania Napoli, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 940 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza di demolizione costituisce atto dovuto e rigorosamente vincolato, affrancato dalla ponderazione discrezionale del confliggente interesse al mantenimento in loco della res, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato. Essa è da ritenersi sorretta da adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella compiuta descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo edilizio.
L’indicazione dei dati catastali e l’individuazione dell’area di sedime delle opere abusive non deve compiersi al momento dell’adozione del provvedimento con il quale viene ingiunta la demolizione bensì in quello successivo in cui viene accertata l’inottemperanza e si procede all’acquisizione dell’area di sedime.
L'ordine di sospensione dei lavori non costituisce necessario presupposto di legittimità dell'ingiunzione a demolire, ben potendo quest'ultima essere emanata immediatamente all'esito dell'accertamento della realizzazione di opere abusive.
Il Collegio sottolinea che per giurisprudenza costante l'ordinanza di demolizione costituisce atto dovuto e rigorosamente vincolato, affrancato dalla ponderazione discrezionale del confliggente interesse al mantenimento in loco della res, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato.
Pertanto, essa è da ritenersi sorretta da adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella compiuta descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo edilizio (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 08.10.2009, n. 5203).
L'abusività costituisce di per sé motivazione sufficiente per l'adozione della misura repressiva in questione. Ne consegue che in presenza di un'opera abusiva, l'autorità amministrativa è tenuta ad intervenire, non sussistendo alcuna discrezionalità dell'Amministrazione in relazione al provvedere.
Proprio in considerazione della natura vincolata del provvedimento, già prima della formulazione dell'art. 21-octies l. 07.08.1990 n. 241, un'ordinanza di demolizione di opere abusive, adottata in mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, doveva ritenersi illegittima soltanto quando non fosse accertata in giudizio la sua superfluità; nel caso di specie, una specifica comunicazione dell'avvio del procedimento era effettivamente superflua, poiché dagli atti di causa emerge, come di seguito si avrà modo di specificare, che l'emanazione dell'impugnato provvedimento ha costituito atto dovuto e che anche a seguito della comunicazione di avvio del procedimento il contenuto dell'atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
L’indicazione dei dati catastali e l’individuazione dell’area di sedime delle opere abusive non deve compiersi al momento dell’adozione del provvedimento con il quale viene ingiunta la demolizione bensì in quello successivo in cui viene accertata l’inottemperanza e si procede all’acquisizione dell’area di sedime (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 26.01.2000, n. 341; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 26.06.2009, n. 3530).
La consolidata giurisprudenza ha sottolineato che l'ordine di sospensione dei lavori non costituisce necessario presupposto di legittimità dell'ingiunzione a demolire, ben potendo quest'ultima essere emanata immediatamente all'esito dell'accertamento della realizzazione di opere abusive (cfr., TAR Campania Napoli, sez. VI, 06.11.2008, n. 19290)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 940 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato.
Ai fini della legittima installazione di un box, è necessaria la concessione edilizia, posto che soltanto le costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, sono esenti dall'assoggettamento alla concessione edilizia, mentre è sicuramente sottoposto al predetto regime un box che, pur se non infisso al suolo ma solo aderente in modo stabile, sia destinato ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Perché un'opera edilizia avente carattere precario, in forza della sua facile amovibilità, venga sottratta all'obbligo di concessione edilizia, è necessario che sia destinata ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei.
Non può considerarsi pertinenza in senso urbanistico ed edilizio il manufatto che, per essere costruito a ridosso e con appoggio su un fabbricato principale, realizza in effetti un ampliamento dello stesso, diventando parte integrante di esso.

Nella fattispecie in esame, come emerge dall’ordinanza di demolizione gravata, le opere contestate sono consistite nella realizzazione di una tettoia e nella collocazione di due box prefabbricati che, secondo quanto affermato dalla stessa difesa dei ricorrenti nell’atto introduttivo del presente giudizio, sono stati collocati su pavimento battuto in cemento.
Per giurisprudenza costante, alla quale questo Collegio presta adesione, il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio, come nel caso di un intervento edilizio che non sia coessenziale al bene principale e che possa essere utilizzato in modo autonomo e separato (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n. 4848).
Con specifico riferimento ai box prefabbricati la stessa giurisprudenza ha anche evidenziato che, ai fini della legittima installazione di un box, è necessaria la concessione edilizia, posto che soltanto le costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, cioè destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, sono esenti dall'assoggettamento alla concessione edilizia, mentre è sicuramente sottoposto al predetto regime un box che, pur se non infisso al suolo ma solo aderente in modo stabile, sia destinato ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante. Pertanto perché un'opera edilizia avente carattere precario, in forza della sua facile amovibilità, venga sottratta all'obbligo di concessione edilizia, è necessario che sia destinata ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei (cfr., ex multis, TAR Lazio Roma, sez. II, 04.05.2007, n. 3973).
Applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie oggetto del presente giudizio non vi è dubbio che il carattere pertinenziale delle opere abusivamente poste in essere debba essere escluso emergendo, peraltro, lo stabile collocamento dei box sul pavimento cementato, la destinazione ad uso non temporaneo e l’irreversibile trasformazione del territorio che la loro collocazione ha comportato. Con specifico riferimento alla tettoia, inoltre, la censura si palesa inammissibile per genericità prima ancora che infondata, posto che il carattere pertinenziale della stessa viene solo asserito ma non vengono articolate argomentazioni, riferite alle caratteristiche strutturali e funzionali, idonee a confortare la pretesa accessorietà della stessa.
Deve essere evidenziato, inoltre, che, come affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, non può considerarsi pertinenza in senso urbanistico ed edilizio il manufatto che, per essere costruito a ridosso e con appoggio su un fabbricato principale, realizza in effetti un ampliamento dello stesso, diventando parte integrante di esso (Cons. St., sez. IV, 12.03.2007, n. 1219)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 940 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ordinanza di demolizione abuso edilizio può essere emanata nei confronti del proprietario, anche se non è responsabile dello stesso.
L'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario, anche se non responsabile dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l'ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione, salvo ovviamente la non operatività, in questo particolare caso, della diversa ed autonoma sanzione dell’acquisizione gratuita al patrimonio del comune (cfr. ex multis, TAR Umbria Perugia, 23.07.2009, n. 441; TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 10.04.2009, n. 450; TAR Lazio Roma, sez. II, 03.02.2009, n. 1061) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 24.03.2010 n. 304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La sussistenza di un vincolo idrogeologico non determina l’assoluta impossibilità di edificare, essendo consentito ai proprietari dei terreni vincolati di chiedere la rimozione del vincolo nella misura necessaria a consentire la realizzazione della costruzione.
Anche la normativa vigente ratione temporis, non vietava in modo assoluto l’edificazione in zone soggette a vincolo idrogeologico: l’art. 12 del R.D. n. 3267 del 1923 prevede che “i proprietari dei terreni compresi nelle zone vincolate possono separatamente chiedere che i propri terreni siano in tutto od in parte esclusi dal vincolo. Per ottenere tale esclusione dovranno farne domanda al Comitato forestale”. Infatti, la sussistenza di un vincolo idrogeologico non determina l’assoluta impossibilità di edificare, essendo consentito ai proprietari dei terreni vincolati di chiedere la rimozione del vincolo nella misura necessaria a consentire la realizzazione della costruzione (cfr. Consiglio di Stato, V, 14.04.1993, n. 480).
Similmente, la legge regionale n. 33 del 1988 subordinava l’edificazione nelle zone sottoposte a vincolo idrogeologico al rilascio dell’autorizzazione conseguente all’accertamento che l’attività antropica in ordine alla quale il provvedimento fosse richiesto, non incidesse negativamente sugli assetti del suolo (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 23.03.2010 n. 697 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Sui termini di impugnazione di un Piano Particolareggiato.
Non può ritenersi che il termine per l'impugnazione del piano particolareggiato decorra dalla data di notificazione dello stesso al ricorrente, essendo ciò previsto esclusivamente per aree incise da puntuali interventi di trasformazione urbanistica, rispetto alle quali il termine stesso decorre dalla data di notifica delle nuove disposizioni programmatiche ai proprietari delle porzioni immobiliari interessate (cfr. Tar Lazio, Roma, II sez, n. 10155 del 20.11.2002).
Poiché, nel caso di specie, si impugna il piano particolareggiato nella parte in cui stabilisce prescrizioni in ordine ad immobile di proprietà di soggetto terzo (immobile confinante con quello di proprietà del ricorrente), il termine di impugnazione decorre dalla data della relativa pubblicazione, in forza dei pacifici principi giurisprudenziali secondo cui il termine di impugnazione del piano particolareggiato decorre:
a) per i proprietari dei beni vincolati, dal giorno della notificazione individuale;
b) per i soggetti non direttamente contemplati nel piano, come appunto nel caso di specie, dalla data della relativa pubblicazione (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 22.03.2010 n. 356 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: V'è l’obbligo di astensione del titolare di un pubblico ufficio dal procedimento di adozione di atti nei quali sia interessato egli stesso o un suo prossimo congiunto.
E' stato dimostrato che nella seduta della Commissione edilizia che ha rilasciato il parere il 06.07.2001 fosse presente, quale componente il signor ... cognato del controinteressato (in quanto coniugato con la di lui sorella ...).
E’ evidente che nel caso in questione il signor ... si doveva astenere dal partecipare alla seduta della commissione edilizia che trattava la pratica di suo cognato in ossequio alla disposizione di cui all’art. 78 del t.u.e.l. (D.lgs. n. 267/2000), che sancisce l’obbligo di astensione del titolare di un pubblico ufficio dal procedimento di adozione di atti nei quali sia interessato egli stesso o un suo prossimo congiunto; tale obbligo sussiste per il fatto che chi è portatore di un interesse personale, potenzialmente in conflitto con l’interesse pubblico di cui deve avere cura, non può prendere parte alla discussione e alla votazione in cui è implicato il proprio interesse o quello di propri parenti o affini entro il quarto grado.
Tale obbligo comporta non solo il divieto di partecipare alla votazione finale, ma anche di partecipare alla discussione e l’obbligo di allontanamento dalla seduta prima della discussione dell’approvazione della relativa proposta di deliberazione” (così. TAR Emilia Romagna-Parma, sez. I, 22.09.2009, n. 675)
(TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 22.03.2010 n. 356 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’acquisizione gratuita di una sopraelevazione abusiva di un fabbricato, che per la restante parte risulta legittimamente realizzato, si estende esclusivamente alla parte del lastrico solare che rappresenta l'effettiva area di sedime dell'abuso, senza incidere sull'area materialmente e giuridicamente impegnata urbanisticamente dalle altre parti dell'edificio che possono essere viceversa conservate.
L’acquisizione gratuita di una sopraelevazione abusiva di un fabbricato, che per la restante parte risulta legittimamente realizzato, si estende esclusivamente alla parte del lastrico solare che rappresenta l'effettiva area di sedime dell'abuso, senza incidere sull'area materialmente e giuridicamente impegnata urbanisticamente dalle altre parti dell'edificio che possono essere viceversa conservate (TAR Lazio sez. Latina, n. 236 del 26.03.1997).
Ciò peraltro non esclude che una volta demolito l’abuso, il Comune possa anche procedere alla restituzione ai precedenti titolari dell’area non avendo più interesse nel mantenerne la titolarità (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 04.01.2002 n. 74 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 03.05.2010

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Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a Bergamo per giovedì 13 maggio 2010 organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le istruzioni ivi riportate.

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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Norme Tecniche per le Costruzioni: guida dettagliata all’applicazione.
L’Ordine dei Geologi del Lazio ha organizzato lo scorso mese di marzo un corso di aggiornamento professionale sulla nuova normativa per le costruzioni (D.M. 14.01.2008) Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC 2008) Teoria ed applicazioni nella progettazione geologica e geotecnica.
Il corso è stato tenuto dal prof. Eros Aiello, dell’Università degli studi di Siena.
Il corso, strutturato in 12 moduli, è concettualmente diviso in due parti: nella prima parte le recenti normative tecniche sono illustrate da un punto di punto di vista teorico; nella seconda parte, invece, si trova una serie di applicazioni pratiche in ambito geotecnico: dalle fondazioni alle opere di sostegno alla di stabilità dei pendii.
L’Ordine dei Geologi del Lazio ha reso disponibile on line la documentazione del corso.
Nella documentazione sono riportati anche esempi di relazione geologica e geotecnica sulla base della normativa tecnica illustrata (link a www.acca.it).

VARI: On line la Nuova Guida al Conto Energia del GSE (Gestore dei Servizi Elettrici).
Il Gestore dei Servizi Energetici ha reso disponibile on line la quinta edizione della Guida al Conto Energia, aggiornata a marzo 2010.
La pubblicazione, curata dal GSE in collaborazione con l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, costituisce un utile supporto per tutti coloro che intendono realizzare un impianto fotovoltaico e richiedere al GSE i relativi incentivi.
L’edizione di aprile 2010, oltre a riportare l’aggiornamento delle tariffe incentivanti ai valori del 2010, tiene conto delle novità conseguenti alla pubblicazione della Legge Sviluppo 99/2009 e della delibera AEEG ARG/elt 186/2009.
La Legge 99/2009, infatti,introduce alcune misure a favore dello sviluppo del fotovoltaico, tra le quali, secondo il GSE, sono da evidenziare: ... (link a www.acca.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SICUREZZA CANTIERI: Dalle Regioni la guida operativa "Valutazione e Gestione del Rischio da Stress Lavoro-Correlato".
L’obbligo della valutazione del rischio stress lavoro-correlato, secondo le disposizioni dell’art. 28 del Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), decorre dal momento in cui la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro rende disponibili le proprie indicazioni.
Lo stesso art. 28, tuttavia, prevede che, in assenza di tali indicazioni, l’obbligo decorra comunque dal 1° agosto 2010.
Il Comitato tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro ha attivato, in assenza delle indicazioni, uno specifico gruppo di lavoro in tema di valutazione dello stress lavoro-correlato.
Il gruppo, insediato il 16 dicembre, ha predisposto la guida operativa "Valutazione e Gestione del Rischio da Stress Lavoro-Correlato" sulla base degli indirizzi e delle proposte già elaborate dalle singole regioni, approvata il 25.03.2010.
La guida è strutturata nei seguenti capitoli: ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: 55% - Dall’Agenzia delle Entrate nuovi chiarimenti sulle agevolazioni per il risparmio energetico.
Con la Circolare n. 21/E del 23.04.2010 l’Agenzia delle Entrate fornisce alcuni chiarimenti in merito a oneri deducibili, crediti d'imposta e detrazioni.
In particolare, per quanto riguarda gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti (articolo 1, commi 20-24, legge 244/2007), l’Agenzia delle Entrate precisa che: ... (link a www.acca.it).

ENTI LOCALI - VARI: Videosorveglianza: le nuove regole del Garante della Privacy.
L'Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha varato le nuove regole per i soggetti (pubblici e privati) che hanno installato telecamere e sistemi di videosorveglianza.
Per adeguarsi alle nuove disposizioni è stato fissato un periodo variabile, a seconda degli adempimenti, da un minimo di sei mesi ad un massimo di un anno.
Il provvedimento , che sostituisce quello del 2004, introduce importanti novità.
Ecco in sintesi le regole fissate dal Garante ... (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dal 1° luglio obbligatori nuovi valori per la trasmittanza degli infissi.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 92 del 21 aprile scorso è stato pubblicato il d.lgs. 29.03.2010, n. 56 recante "Modifiche ed integrazioni al decreto 30.05.2008, n. 115, recante attuazione della direttiva 2006/32/CE, concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e recante abrogazioni della direttiva 93/76/CEE".
Il provvedimento modifica, oltre al D.Lgs. 30.05.2008, n. 115, il D.Lgs. 19.08.2005, n. 192 recante "Attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia".
In particolare l'articolo 7 del D.Lgs 56/2010 modifica l'allegato C del decreto legislativo 19.08.2005, n. 192, più precisamente la tabella 4.b, anticipando dal 1° gennaio 2011 al 1° luglio 2010 i valori limite della trasmittanza termica centrale dei vetri previsti dal decreto 192/2005.
I nuovi valori, in vigore il prossimo 01.07.2010, in funzione della zona climatica, sono i seguenti: ... (link a www.acca.it).

CONDOMINIO: Sicurezza in condominio: dal Ministero del Lavoro tutti i chiarimenti.
Il Ministero del Lavoro, nell'apposita sezione (FAQ) del sito, ha pubblicato le risposte ai quesiti sull’applicazione del Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) nell’ambito del condominio.
Di seguito i quesiti che hanno avuto risposta dal Ministero:
•    Chi è tenuto ad adempiere agli obblighi di sicurezza che gravano sul condominio?
•    Per il condominio la redazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) è prevista esclusivamente in presenza di lavoratori dipendenti che non rientrano nel campo del contratto collettivo dei proprietari dei fabbricati? (Risposta a quesito del 19.04.2010)
•    Per l’adempimento dell’obbligo di informazione (articolo 36 del D.Lgs. n. 81/2008) nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 3, comma 9, è corretta l’effettuazione di una comunicazione scritta al lavoratore che contenga i requisiti previsti dall’articolo 36 ma non quelli previsti per il DVR negli artt. 28 e 29? (Risposta a quesito del 19.04.2010)
•    Nel caso in cui il condominio sia datore di lavoro (per la presenza di dipendenti ai quali si applichi il contratto collettivo dei proprietari di fabbricati o altra tipologia di lavoratore) e di contemporaneo “affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi” (di cui all’articolo 26) il condominio medesimo deve intendersi “datore di lavoro” anche nei confronti di tali imprese o lavoratori autonomi con applicazione dei conseguenti obblighi?
•    Ove il condominio, che sia “datore di lavoro” nei confronti di lavoratori ai quali si applichi il contratto collettivo dei proprietari di fabbricati o altra tipologia di lavoratore, affidi “lavori, servizi o forniture” a impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi, ex articolo 26 del “Testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro, potrà indifferentemente ottemperare all’obbligo di fornire “informazioni dettagliate” (art. 26, comma 1, lett. b), e a quello di “informarsi reciprocamente” (art. 26, comma 2, lett. b), con una comunicazione (nel caso di non sussistenza di rischi da interferenze) oppure con la predisposizione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza (in caso contrario)?
(link a www.acca.it).

GURI - BUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 6° suppl. straord. al n. 17 del 30.04.2010, "Approvazione del Documento concernente: «Linee guida per la sostenibilità ambientale -in particolare per la riduzione delle emissioni di CO2- delle azioni di comunicazione e partecipazione»" (decreto D.U.O. 15.04.2010 n. 3767 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 5° suppl. straord. al n. 17 del 30.04.2010, "Approvazione degli allegati tecnici relativi ad ambiti merceologici prioritari per la implementazione di un sistema di beni e servizi verdi, in attuazione della d.g.r. n. 8/10831 del 16.12.2009" (decreto D.U.O. 15.04.2010 n. 3766 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI - VARI: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 17 del 29.04.2010, "I nuovi Assessori della Giunta Regione Lombardia" (link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 28.04.2010 n. 98, suppl. ord. n. 80, "Modifiche al Modello unico di dichiarazione ambientale (MUD)" (D.P.C.M. 27.04.2010).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 17 del 26.04.2010, "Approvazione del 3° aggiornamento dell'elenco degli Enti locali idonei all'esercizio delle funzioni paesaggistiche loro attribuite dall'art. 80 della legge regionale 11.03.2005 n. 12" (decreto D.G. 12.04.2010 n. 3539 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: D. Prinari, APPUNTI SUL NUOVO PREAVVISO DI RICORSO NELLA CONTRATTUALISTICA PUBBLICA ITALIANA (link a www.diritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: F. Montefinese, ATTIVITA’ ESTRATTIVA E RICICLAGGIO DEGLI INERTI. Nella gestione dei rifiuti inerti un paradosso tutto italiano (link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, La soppressione delle Autorità d'Ambito Territoriale di cui alla Legge 26.03.2010, n. 42: occorre riflettere entro un quadro di assetti e valori, piuttosto che invocare criteri efficientisti (link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: S. Picone, Tutela dell’ambiente e realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, Politica del fare o politica del “combinare guai” (AL n. 4/2010).

QUESITI & PARERI

ENTI LOCALISanzioni amministrative (procedimenti connessi).
Il sindaco del Comune di (omissis) riferisce che l’ente che rappresenta aderisce ad una Comunità collinare-Unione di Comuni, alla quale è stato trasferito il corpo di polizia locale.
Il sindaco chiede se le sanzioni amministrative (ed i procedimenti connessi) irrogate per violazione di norme regolamentari o in materie diverse, quali, ad esempio: commercio, rifiuti, volantinaggio, etc, siano di pertinenza dei singoli comuni o se rientrino, invece, nella competenza dell’Unione di comuni. La prassi attualmente in vigore prevede che le ordinanze ingiunzioni e i provvedimenti preventivi e conseguenti siano emanati da ogni singolo comune, seguendo il principio derivante dalla legge n. 689/1981 (Regione Piemonte, parere n. 32/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

PUBBLICO IMPIEGOMobilità personale. Procedure applicative.
Il Comune di (omissis), avendo assunto un dipendente, a seguito di concorso, da meno di un anno, chiede se, qualora pervenisse da altro Comune richiesta di mobilità, possa discrezionalmente concedere o meno il nulla osta o se, diversamente, nel caso in esame la mobilità non possa essere comunque concessa, attesa la brevissima permanenza del dipendente presso l’attuale sede, anche in relazione alle clausole ed ai richiami di legge riportate nel contratto individuale e alle nuove disposizioni del decreto legislativo 150/2009 (Regione Piemonte, parere n. 27/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

PUBBLICO IMPIEGOTrattamento economico del personale nella giornata festiva.
Il Comune (omissis) rivolge quesito per sapere quale sia il trattamento economico spettante al dipendente comunale che occasionalmente lavori nella giornata di domenica, in particolare chiedendo quale trattamento economico debba essere corrisposto in tal caso in aggiunta al riposo compensativo.
Precisa che il dubbio nasce in quanto ritiene che il CCNL disciplini in modo preciso il trattamento spettante quando il dipendente lavora durante la domenica interessata alla consultazione elettorale, mentre non è altrettanto chiara la disciplina in caso di lavoro svolto durante le altre domeniche (Regione Piemonte, parere n. 26/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

PUBBLICO IMPIEGOProcedimento concorso per soli titoli.
Il Comune di (omissis) chiede se sia possibile effettuare, tramite concorso per soli titoli, il passaggio di due dipendenti, rispettivamente da D3 e B3 orizzontale in D3 e B3 giuridico (Regione Piemonte, parere n. 25/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAAggiornamento oneri di urbanizzazione.
Il quesito è posto in materia di aggiornamento dell’entità degli oneri di urbanizzazione (Regione Piemonte, parere n. 24/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALI: Rinnovo forma associativa funzioni e servizi scolastici.
Il Comune di (omissis) partendo da una concreta situazione di difficoltà nel rinnovare una forma associativa convenzionale con altri Comuni in materia di gestione di funzioni e servizi scolastici, pone quesito in merito alla partecipazione alle spese fra Comuni utilizzanti la stessa sede di Scuola Media inferiore ubicata presso uno degli Enti Locali in questione (proprietario dell’immobile sede anche di Scuola Elementare), in particolare in merito all’obbligatorietà e/o agli eventuali termini di discrezionalità di partecipazione degli Enti fruitori della scuola alle spese di gestione e manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, investimento (per ampliamento, nuove costruzioni, adeguamento per la sicurezza etc.), alla fattibilità di un ipotesi di “affitto” -con preghiera di indicare, in caso di parere positivo, l’esatta tipologia negoziale da utilizzare– ed infine circa l’ipotesi di un servizio convenzionato di trasporto scolastico con costi ripartiti in base al numero degli alunni, senza tener conto della diversità delle distanze da coprire per raggiungere la sede scolastica nonché della diversità morfologica del territorio (Regione Piemonte, parere n. 20/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Utilizzo graduatoria per assunzione personale.
Il Comune di (omissis) con 650 abitanti e con 3 dipendenti in servizio chiede se, alla luce delle disposizioni vigenti in materia di personale, possa procedere, attraverso l’utilizzo di una graduatoria approvata nel 2004, alla sostituzione, nello stesso anno, di un dipendente che si è dimesso in data 10.01.2009 (Regione Piemonte, parere n. 19/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Assimilabilità rifiuti imballaggio ai rifiuti solidi urbani.
Il Comune (omissis), con nota telematica del 02.02.2010, ha proposto un quesito in merito alla assimilabilità dei rifiuti da imballaggio ai rifiuti solidi urbani interni ed alle conseguenze che ne derivano in termini di strutturazione del servizio di raccolta e di tassabilità delle superfici ove gli stessi sono prodotti (Regione Piemonte, parere n. 16/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA E DIPARTIMENTO DIGITALIZZAZIONE PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

PUBBLICO IMPIEGOIl medico rischia se non visita il paziente. Circolare di Brunetta sulle sanzioni, penali e non, per i falsi certificati.
I medici cadranno sotto la scure del ministro Brunetta se rilasceranno certificati ai pubblici dipendenti senza averli opportunamente visitati. Come richiesto, invece, dalla buona pratica medica che impone di trarre i dati clinici dalla visita del paziente.

Con la circolare 28.04.2010 n. 5/2010 il ministro della funzione pubblica ha dettato i chiarimenti sulla stretta introdotta dalla riforma che prende il suo nome. Visto che molte sono state le richieste di delucidazioni giunte al dicastero dalla categoria.
La nota ripercorre le diverse fattispecie di responsabilità (penale e non) previste dall'art. 55-quinquies del Testo unico sul pubblico impiego (modificato dal dlgs 150/2009). Partendo dalla più grave che prevede la reclusione da uno a cinque anni e la multa da 400 a 1.600 euro per il medico che rilascia un certificato falso o falsamente attesta lo stato di malattia di un dipendente pubblico. In questo caso il camice bianco concorre nel reato commesso da quest'ultimo ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 29 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALIInformazioni per la gestione delle caselle di Posta Elettronica Certificata (circolare 19.04.2010 n. 2/2010 - link a www.innovazionepa.gov.it).

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Gettoni di presenza limitati. La legge prevede espressamente i casi di estensione del beneficio economico. Esclusi i membri della conferenza dei capigruppo.
Il comune deve corrispondere il gettone di presenza ai componenti della conferenza dei capigruppo, tenuto conto che il regolamento del consiglio comunale equipara la conferenza dei capigruppo alle commissioni consiliari?

Lo status degli amministratori locali è disciplinato dal capo IV del decreto legislativo n. 267/2000, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. In particolare, l'art. 82, comma 2, del Testo unico dispone la corresponsione del gettone di presenza ai consiglieri comunali e provinciali per la partecipazione alle sedute di consiglio e commissioni.
La Conferenza dei capigruppo, avendo competenza in materia di programmazione dei lavori del consiglio e di coordinamento delle attività delle commissioni consiliari, non può essere comunque equiparata a queste, che svolgono funzioni consultive, istruttorie, di studio e di proposta direttamente finalizzate alla preparazione dell'attività del consiglio ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 33 - link a www.corteconti.it).

CONSIGLIERI COMUNALIOSSERVATORIO VIMINALE/ Deleghe ai consiglieri.
Può il sindaco conferire deleghe ai consiglieri di «particolari settori comunali»?

Nella ipotesi del quesito si verifica una delega generica di specifici uffici e servizi, senza individuazione alcuna del contenuto della stessa o delle limitazioni riguardo le funzioni conferite.
Lo statuto comunale dell'ente in questione, non dedica alcuna disciplina alle deleghe interorganiche ai consiglieri comunali, mentre nel disciplinare «competenze e funzionamento della giunta», prevede in capo al sindaco la conferibilità agli assessori dell'esercizio delle funzioni ad esso attribuite per gli uffici e i servizi, secondo le sue direttive ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 33 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Enti, la valutazione può attendere. L'obbligo di costituzione di un organismo ad hoc entro il 30 aprile non si applica alle autonomie. Comuni, province e regioni hanno tempo fino a tutto il 2010.
Gli enti locali e le regioni non devono costituire necessariamente entro oggi il proprio organismo indipendente di valutazione. Tale obbligo si applica alle amministrazioni statali, mentre i comuni, le province e le regioni hanno tempo fino a tutto il 2010 per approvare le disposizioni regolamentari e per nominare questo organismo. Nella regolamentazione delle sue attività non si applicano i vincoli dettati per le amministrazioni statali, ivi comprese le indicazioni sulla composizione dettate dalla Commissione per la valutazione, l'integrità e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni (Civit).
Con il protocollo che tale commissione firmerà con l'Anci, l'Upi e la Conferenza dei presidenti delle regioni saranno fissati gli ambiti entro cui gli enti locali saranno sottoposti alla vigilanza ed all'indirizzo della stessa Civit. Fino alla entrata in vigore del regolamento che ogni ente deve approvare, continuerà a svolgere la propria attività il nucleo di valutazione. Appare opportuno che i regolamenti disciplino la fase transitoria, in particolare per l'eventuale inclusione nell'organismo indipendente di valutazione dei componenti del nucleo e dettino le modalità di coordinamento con le altre forme di controllo interno ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

APPALTIVerifica ad ampio raggio sulle ditte straniere negli appalti. Conclusioni dell'avvocato generale della corte UE.
È legittimo, dal punto di vista comunitario, prevedere un sistema di registrazione ai fini fiscali di concorrenti stranieri che intendano partecipare a gare di appalto; è altresì legittimo e opportuno, dal punto di vista dell'omogeneità delle valutazioni, che la verifica dei requisiti sia effettuata da un organo diverso dalla stazione appaltante.
Sono queste le conclusioni dell'avvocato generale Juliane Kokott presentate alla Corte di Giustizia il 15.04.2010 nella causa C-74/09, che ha ad oggetto una fattispecie relativa all'aggiudicazione dell'appalto dei lavori di ristrutturazione del palazzo Berlaymont di Bruxelles, sede della Commissione europea.
Era infatti successo che il consorzio aggiudicatario dei lavori avesse fra i suoi componenti alcuni soggetti non registrati ai fini fiscali in Belgio e la registrazione ai fini fiscali era richiesta dall'allora vigente normativa belga sugli appalti, oltre ad essere prevista come condizione di gara, al fine di garantire che gli offerenti avessero adempiuto e adempissero in futuro gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e delle tasse nonché dei contributi previdenziali.
La questione affrontata nella causa era quindi quella della legittimità di tale richiesta di registrazione rispetto alla direttiva 93/37/CEE all'epoca vigente, sotto il profilo di un possibile ostacolo al principio generale della libera prestazione di servizi ... (articolo ItaliaOggi del 29.04.2010, pag. 33 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOLimiti alla mobilità. Brunetta: i mini-enti non sono un serbatoio di dipendenti. I vincoli alle assunzioni restano fermi.
Le procedure di mobilità non devono essere utilizzate per aggirare i limiti alle assunzioni e i vincoli al contenimento della spesa per il personale. Per questo, bisogna evitare che i comuni con meno di 5.000 abitanti, non soggetti al patto di stabilità e svincolati dai limiti alle assunzioni, siano utilizzati come un «serbatoio da cui le altre p.a. possano attingere dipendenti» aggirando la legge.
Rispondendo alla camera a un'interrogazione della deputata leghista Giovanna Negro, il ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta, è stato chiaro: le regole in materia di mobilità tra i vari comparti della p.a. non possono essere interpretate a maglie larghe perché «la mobilità, pur rappresentando sempre uno strumento finanziariamente da privilegiare, si configura in termini di neutralità di spesa solo se si svolge tra amministrazioni entrambe sottoposte a vincoli in materia di assunzioni a tempo indeterminato» ... (articolo ItaliaOggi del 29.04.2010, pag. 24 - link a www.corteconti.it).

APPALTIGare, accesso a verbali e offerte. Il rifiuto a consultare la documentazione relativa ai concorsi è legittimo per i concorrenti esclusi. Limitazioni da parte della p.a. per tutelare il segreto industriale.
Recentemente, su queste stesse pagine, si è avuto modo di analizzare il delicato tema del diritto di accesso alle giustificazioni prezzi formulate dai concorrenti di una pubblica gara, anche alla luce della più recente giurisprudenza. Intimamente connessa con tale tema è la più ampia materia del diritto di accesso agli atti di gara, ivi inclusi i verbali della commissione giudicatrice e le offerte degli altri partecipanti, di cui appunto le giustificazioni ne costituiscono elemento di specificazione.
L'accesso a verbali e offerte degli altri concorrenti.
Il tema in esame risulta oggi disciplinato, quanto al settore degli appalti, dall'art. 13 del dlgs 12.04.2006 n. 163 «Codice dei Contratti Pubblici», e, fatte salve le deroghe sancite dalla norma medesima, dagli artt. 22 e seguenti della legge 07.08.1990 n. 241 in forza dell'espresso richiamo compiuto dal comma 1.
Per regola generale (art. 22, comma 3, legge 241/1990), e salve le limitazioni di cui a breve, «Tutti i documenti amministrativi sono accessibili», e il relativo diritto può essere esercitato (art. 23) «nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti».
Quanto all'ambito di estensione oggettiva del suddetto diritto, se da un lato questo può essere esercitato in relazione ai soli documenti in possesso della p.a., dall'altro il giudice amministrativo ha chiarito a più riprese che «l'attività amministrativa, cui gli art. 22 e 23 legge 241/1990 correlano il diritto d'accesso, ricomprende non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dall'intensa conformazione pubblicistica» (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 19.01.2010 n. 189; Cons. stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2010 n. 1470).
Il diritto di accesso, si è detto, subisce talune limitazioni normativamente previste. Anzitutto, la stessa legge 241/1990 (art. 24) specificatamente esclude l'accesso: per i documenti coperti da segreto di stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801; nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
Inoltre, il diritto di accesso deve assolutamente escludersi laddove il suo esercizio risulti preordinato a un controllo generalizzato dell'operato dell'amministrazione.
Accanto alle limitazioni, per così dire, di ordine generale, il Codice introduce propri limiti autonomi all'esercizio del diritto in esame, attraverso la previsione di particolari limiti oggettivi e soggettivi all'accessibilità degli atti concernenti le procedure di affidamento dei contratti pubblici, e mediante l'introduzione di veri e propri doveri di non divulgare il contenuto di determinati atti, assistiti da apposite sanzioni di carattere penale.
Come chiarito dalla giurisprudenza, «tale disciplina, essendo destinata a regolare in modo completo tutti gli aspetti relativi alla conoscibilità degli atti e dei documenti rilevanti nelle diverse fasi di formazione ed esecuzione dei contratti pubblici, costituisce una sorta di microsistema normativo collegato all'idea della peculiarità del settore considerato, pur all'interno delle coordinate generali dell'accesso tracciate dalla legge n. 241 del 1990» (Cons. stato, Sez. V, sentenza 09.12.2008, n. 6121).
Specificatamente l'art. 13 oltre a individuare fattispecie di differimento dell'accesso (comma 2), prevede in modo puntuale una serie di esclusioni oggettive al diritto medesimo (comma 5).
In riferimento all'accesso alle offerte degli altri concorrenti, particolarmente delicata appare la previsione di cui al comma 5, lett. a, relativa, appunto, alle informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, sottoposte al divieto di ostensione laddove costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali, e non ricorrano i presupposti derogatori di cui al comma 6. Si è avuto modo in altra occasione di esaminare il contenuto e la portata delle disposizioni citate in riferimento alle giustificazioni prezzi, le cui conclusioni ben trovano applicazione anche ai casi in esame.
In aggiunta , tuttavia, particolare attenzione meritano in questa sede le osservazioni compiute dal giudice amministrativo, il quale, dopo aver considerato come «la norma [art. 13, c. 6, dlgs 163/06] sembra ripetere, specificandoli, i principi dell'art. 24, legge n. 241 cit., che stabilisce una complessa operazione di bilanciamento tra gli interessi contrapposti alla trasparenza e alla riservatezza», ha evidenziato come «il linguaggio utilizzato dal codice dei contratti è però diverso: più puntuale e restrittivo, definisce esattamente l'ambito di applicazione della esclusione dall'accesso».
E in particolare, «in primo luogo, sul versante della legittimazione soggettiva attiva, la disposizione riguarda solo il concorrente che abbia partecipato alla selezione; la preclusione all'accesso è invece totale qualora la richiesta sia formulata da un soggetto terzo, che pure dimostri di avere un interesse differenziato, alla stregua della legge generale sul procedimento [_].
In secondo luogo, sul piano oggettivo, l'accesso eccezionalmente consentito è strettamente collegato alla sola esigenza di una difesa in giudizio; in questa prospettiva, quindi, la previsione è molto più restrittiva di quella contenuta nell'art. 24, legge n. 241 cit., la quale contempla un ventaglio più ampio di possibilità consentendo l'accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale. Per non dilatare in modo irragionevole la portata della norma, si deve ritenere che essa imponga di effettuare un accurato controllo in ordine alla effettiva utilità della documentazione richiesta, alla stregua di una sorta di prova di resistenza
» (Cons. stato, n. 6121 cit.; si veda anche Cons. stato, Sez. VI, ordinanza 05.02.2010 n. 524; TAR Milano, Sez. I, sentenza 29.01.2010 n. 201).
Va precisato, peraltro, che «soltanto i soggetti utilmente ammessi alla ponderazione comparativa delle offerte (e non, quindi, quelli esclusi) si trovano destinatari di una posizione qualificata e differenziata la quale, pur nella necessaria osservanza delle modalità temporali che assistono la conoscibilità degli atti (differimento ex art. 13 dlgs 163/2006), consente ai medesimi l'esercizio del diritto di accesso relativamente alle proposte presentate dagli altri concorrenti, laddove il pregiudizio dai primi lamentati (e, conseguentemente, le esigenze di tutela che essi intendano far valere) trovi fondamento proprio nello svolgimento dell'attività di selezione e valutazione delle offerte» (TAR Roma, Sez. I, 09.07.2008 n. 6488).
Fatte tali premesse in ordine all'estensione oggettiva e soggettiva del diritto di accesso, in relazione al suo eventuale differimento opposto dalla stazione appaltante richiesta, si precisa che questo può avvenire solo nei confronti delle offerte (tecniche e economiche) presentate dagli altri concorrenti, e non già anche in riferimento ai documenti e ai verbali di gara. Sul punto, è infatti chiara la giurisprudenza nel ritenere che «il diritto di accesso può essere differito fino alla aggiudicazione solo in relazione alle offerte presentate dalle società partecipanti e non poteva viceversa essere opposto alla richiesta di documenti che aveva a oggetto i documenti attestanti i requisiti di ammissione alla gara, i verbali di gara e i provvedimenti di riammissione alla procedura delle società che in un primo tempo erano state escluse» (TAR Bari, Sez. I, sentenza 18.11.2008 n. 2612).
Quanto alle modalità dell'esercizio del diritto di accesso nei confronti degli atti e documenti di gara (ivi comprese le offerte dei concorrenti), va precisato sin d'ora che queste si estrinsecano tanto nella visione della documentazione richiesta, quanto nell'estrazione di copia della stessa.
Non sussiste, cioè, una compressione del diritto in virtù dell'oggetto della richiesta d'accesso, dovendo la p.a., salvo i divieti e le limitazioni sopra analizzate, in via generale consentire al concorrente non solo la visione dei documenti richiesti, ma anche l'estrazione di loro copia.
Ciò in quanto, «né l'art. 13, co. 6, dlgs n. 163/2006, né l'art. 24, nella formulazione risultante a seguito della legge n. 15/2005, prevedono che l'accesso cosiddetto difensivo, come tale prevalente sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale, possa e debba essere esercitato nella forma della sola visione, senza estrazione di copia».
Quanto alla disciplina generale, in particolare, l'intervenuta normativa di cui alla legge n. 15 del 2005, modificativa in parte qua della legge n. 241 del 1990, comporta che debba ricomprendersi nel diritto di accesso sia la visione che il rilascio di copia del documento, attesa l'abrogazione della disposizione dettata dall'art. 24, comma 2, lett. d), nella formulazione originaria della legge n. 241/1990, che prevedeva, invece, a tutela della riservatezza dei terzi, persone e imprese, la possibilità di escludere il diritto d'accesso “garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”: abrogazione che fa ritenere superata ogni possibilità di distinguere tra le due indicate modalità di accesso» (Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 19.10.2009 n. 6393; si veda anche TAR Torino, Sez. I, sentenza 08.05.2008 n. 1015; TAR Bari, Sez. I, sentenza 14.09.2006 n. 3220).
Conclusioni.
Dall'analisi che precede si è visto come il diritto d'accesso sconti alcune limitazioni sia soggettive che oggettive. Sotto il primo profilo, possono esercitare legittimamente nei confronti dei documenti di gara (e specificatamente, offerte e verbali) il diritto in esame solo i soggetti che hanno partecipato alla procedura di gara medesima, e non ne siano stati esclusi.
Sotto il secondo profilo, il diritto in questione deve ritenersi recessivo laddove sussistano comprovate esigenze di segretezza e tutela di segreti industriali, tale limitazione potendo tuttavia subire una deroga nei casi in cui l'esercizio dell'accesso sia propedeutico alla tutela giurisdizionale dei diritti del richiedente. In tal caso, l'amministrazione deve consentire l'accesso, adottando «accorgimenti utili a evitare la divulgazione di eventuali segreti tecnici o commerciali, inibendo la estrazione di copia [solo] di quelle parti dei documenti da cui potrebbero trarsi informazioni sui dati da mantenere segreti, se e nella misura in cui la loro acquisizione non risulti in ogni caso utile al ricorrente per la difesa dei propri interessi» (Cons. stato, Ord. n. 524 cit.).
Quanto alle concrete modalità di esercizio dell'accesso, questo può essere differito, nei casi e nei tempi previsti dalla legge, in riferimento alle sole offerte dei concorrenti, dovendosi invece ritenere, nel silenzio della norma, i verbali e gli atti di gara relativi alle condizioni di ammissibilità immediatamente ostensibili; e in ogni caso l'accesso deve intendersi «pieno», e cioè sia nella forma della presa visione, che dell'estrazione di copia (articolo ItaliaOggi del 28.04.2010, pag. 38).

APPALTIAppalti pubblici, mini-restyling. Entra in vigore da oggi il decreto legislativo 53/2010 che modifica il Codice dei contratti. Ricorsi in tempi ridotti. Arbitrati, tetto a 100 mila euro.
Ridotto a 30 giorni il termine per presentare ricorso nelle gare di appalto contro l'aggiudicazione definitiva e contro i bandi immediatamente lesivi; divieto di stipula del contratto fino a 35 giorni dopo la comunicazione dell'aggiudicazione definitiva; tetto massimo di 100 mila euro per gli arbitrati.

Sono queste solo alcune delle novità contenute nel decreto legislativo n. 53 del 20.03.2010, di attuazione della direttiva 2007/66/Ce, che modifica le direttive 89/665/Cee e 92/13/Cee sulle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti pubblici, pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 84 del 12.04.2010 e in vigore da oggi.
Fra le principali novità del decreto, che contiene diverse modifiche al Codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) si segnala innanzitutto l'ampliamento del periodo di tempo intercorrente tra la comunicazione dell'aggiudicazione definitiva (da parte della stazione appaltante) e la stipulazione del contratto di appalto.
La disposizione avrà l'effetto di allungare, sia pure di poco, il tempo per la stipula del contratto: si passerà dai 30 giorni, stabiliti nell'attuale codice dei contratti pubblici all'articolo 11, comma 10, ai 35 giorni. In questo lasso di tempo i partecipanti non aggiudicatari potranno quindi esercitare un più ampio diritto di accesso ai documenti, anche finalizzato alla proposizione di ricorsi (in questi 35 giorni sarà vietata anche l'esecuzione di urgenza di cui all'articolo 11, comma 9 del Codice) ... (articolo ItaliaOggi del 27.04.2010, pag. 21 - link a www.corteconti.it).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALISe delibera di aumento dell'addizionale comunale all'Irpef, pur essendo stata approvata nel 2008, è stata pubblicata sul sito internet del ministero dell'economia nel mese di marzo 2009, l'aumento dell'aliquota non può che decorrere dal 1° gennaio del 2009.
Lo ha chiarito la Sezione autonomie della Corte dei Conti, con la deliberazione 29.04.2010 n. 12.
Delibere tardive. La pubblicazione tardiva sul sito internet del mineconomia di una delibera di aumento addizionale Irpef (adottata nel marzo del 2008), va inquadrata nella categoria delle «partecipazioni» previste per gli atti che devono essere portati a conoscenza dei destinatari (nel caso in esame i contribuenti) per produrre i loro effetti, in quanto ne limitano la sfera giuridica o fanno nascere a loro carico obblighi.
In tali casi non si verifica la retroattività, per cui la produzione degli effetti del provvedimento avviene solo dal momento in cui si concretizza il requisito della pubblicazione (obbligatoria). Secondo la Corte, questa ipotesi è in armonia con il principio di irretroattività sancito dallo statuto dei diritti del contribuente, in virtù del quale «relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono».
Pertanto, a fronte di una pubblicazione nel sito del Mef avvenuta nel mese di marzo 2009, l'aumento dell'aliquota Irpef non può che decorrere da quest'ultima data e, più precisamente, sin dal 1° gennaio dell'anno di inserimento nel sito ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 29 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALIL'ente locale non può accollarsi l'onere economico di assicurare le abitazioni dei propri residenti in caso di furto, scasso e rapina.
Lo ha chiarito la Sezione autonomie della Corte dei Conti, con la deliberazione 29.04.2010 n. 11.
Il comune non assicura le case. Anche se non espressamente vietato dalla legge, non si possono assicurare le abitazioni dei cittadini residenti nel territorio con un onere che sia a carico del bilancio del comune.
Per la Corte, la scelta non può condividersi soprattutto in considerazione di parametri quali l'effettiva corrispondenza al principio della solidarietà sociale, che verrebbe meno, per esempio, nel caso di sproporzione tra danno subito e risarcimento accordato come anche nel caso di sproporzione tra il danno subito e la sua incidenza sull'assetto patrimoniale complessivo del danneggiato (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 29 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGOEnti locali, concorsi interni addio. Raffica di chiarimenti della sezione autonomie. Non retroattive le delibere (in ritardo) sull'addizionale. Progressioni verticali per non più del 50% dei posti.
Da quest'anno, gli enti locali non possono più bandire concorsi interamente riservati al personale interno ma, per espressa previsione dell'articolo 62 della riforma Brunetta del pubblico impiego, potranno riservare a questi una quota che non superi il 50% dei posti messi a concorso. Ciò in quanto l'articolo 91 del Tuel, nella parte in cui prevede concorsi interamente riservati al personale dipendente, deve ritenersi abrogato per incompatibilità con il citato dlgs n. 150/2009.
Lo ha chiarito la Sezione autonomie della Corte dei Conti, con la deliberazione 29.04.2010 n. 10.
Concorsi interni addio. L'articolo 62 della riforma Brunetta dispone che, dall'1/1/2010, negli enti locali, le progressioni di carriera si svolgano con le regole del concorso pubblico. Altresì, è ammesso che al personale già in servizio, in possesso del titolo di studio previsto per l'accesso dall'esterno, si possa riservare una quota non superiore al 50% del totale dei posti.
Tuttavia, un ente locale ha sollevato il problema in merito a una presunta «antinomia» tra quanto appena evidenziato e il contenuto dell'articolo 31 della stessa norma, ove si prevede che l'ente deve adeguare i propri regolamenti entro il 31/12/2010, precisando che, nelle more, agli enti locali si applicano le disposizioni vigenti. L'ipotesi, pertanto, è quella di intendere tale disposizione nel senso di una proroga, legittimando l'ente alla continuazione di procedure difformi dai principi fissati dal dlgs n. 150/2009 ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 29 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOIl fondo per la produttività nei questionari dei revisori. Sempre più attenzione da parte della corte conti sulla contrattazione integrativa.
Le linee guida e i relativi questionari, che gli organi di revisione contabile degli enti locali debbono trasmettere alla Corte dei conti relativamente al bilancio di previsione 2010, contengono una nuova sezione riferita alla costituzione e ripartizione del fondo per il miglioramento della produttività dei dipendenti.
Si tratta, come si vedrà nel prosieguo, della sezione 8 del questionario allegato alla deliberazione 16.04.2010 n. 9/aut/2010 della Sezione autonomie della stessa Corte dei Conti.
L'argomento della contrattazione integrativa degli enti locali ha registrato, negli ultimi anni, un'attenzione crescente da parte del legislatore e della stessa Corte dei conti.
La legge finanziaria per il 2006 ha disposto la trasmissione, da parte del collegio dei revisori dei conti degli enti locali, di una relazione sul bilancio di previsione (e una sul rendiconto). Tale adempimento deriva dall'abolizione dei controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti e dall'introduzione del cosiddetto controllo collaborativo della sezione regionale di controllo della Corte, alla quale i revisori debbono inviare la relazione. Tale controllo collaborativo si fonda su cinque capisaldi: sana e corretta gestione, verifica dell'indebitamento, mantenimento degli equilibri di gestione, monitoraggio sul patto di stabilità e infine risultati delle società partecipate ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 30 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGOPiù soldi a chi rispetta il Patto.
Gli enti locali possono prevedere risorse aggiuntive alla contrattazione decentrata solo a condizione di aver rispettato il patto di stabilità sia negli anni precedenti, sia nell'anno in corso.

Lo chiarisce la Corte dei conti, Sez. regionale di controllo del Veneto, con il parere 26.03.2010 n. 38/2010, in risposta ad un quesito posto da un comune in merito alle modalità di attuazione dell'articolo 40, comma 3-quinquies, del dlgs 165/2001, come recentemente modificato dal dlgs 150/2009.
Detta disposizione stabilisce che «gli enti locali possono destinare risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla comunicazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni ... in ogni caso nel rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di analoghi strumenti del contenimento della spesa» ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALICORTE CONTI/ La sezione di Trento stigmatizza una prassi diffusa tra gli enti. Organizzazione ai dirigenti. Illegittimo l'affidamento di consulenze esterne.
L'organizzazione delle amministrazioni è una competenza che spetta in via prioritaria ai dirigenti. Affidamenti di incarichi di consulenza a questo scopo, dunque, si rivelano una inutile duplicazione dei costi, specie se fondati sull'erroneo presupposto che l'incombenza non sia appannaggio dei dirigenti.
Sono queste le conclusioni tratte dalla sentenza 22.03.2010 n. 8 della Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale di Trento, che ha condannato il dirigente di un servizio convenzionato di polizia municipale, per aver assegnato una consulenza, finalizzata alla modifica dell'assetto organizzativo del corpo.
I giudici contabili stigmatizzano in maniera tranciante un vero e proprio vezzo delle amministrazioni, consistente nel compiere continuamente modifiche organizzative, talora anche di poco conto, facendole comunque passare come strategiche e, di conseguenza, avvalersi di incaricati esterni esperti in materia aziendalistica. Come se l'attività organizzativa non fosse una specifica funzione degli organi amministrativi, in collaborazione e secondo le direttive degli organi politici.
Particolarmente dura è la sentenza nell'evidenziare che la riorganizzazione, se attivata allo scopo di applicare alle amministrazioni le tecniche della scienza aziendale, si rivela potenzialmente poco utile ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTAZIONEIncarichi di progettazione ai raggi X. Devono essere valutati dai revisori e trasmessi ai giudici contabili
Soggetti alla valutazione del collegio dei revisori dei conti e all'invio alla sezione regionale della Corte dei conti anche gli incarichi di progettazione e quelli conferiti alle persone giuridiche.

Lo ha stabilito la Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo del Piemonte, col parere 18.03.2010 n. 23/2010, che contiene argomentazioni, tuttavia, difficilmente condivisibili.
Secondo i magistrati contabili, le disposizioni dell'articolo 1, comma 42, della legge 311/2004 sono ancora vigenti. Tuttavia, esse non fondano più l'obbligo da parte delle amministrazioni locali di chiedere ai revisori dei conti una valutazione preventiva sul rispetto del presupposto dell'assenza di professionalità interne, allo scopo di assicurare la legittimità degli incarichi di collaborazione esterna ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

GIURISPRUDENZA

ESPROPRIAZIONE: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Potere espropriativo ex art. 95, cc. 1 e 2, d.lgs. n. 42/2004 - Presupposti differenti rispetto al potere espropriativo ex artt. 96 e 97 - Delega del potere agli enti locali.
L’attribuzione del potere espropriativo di cui all’art. 95, cc. 1 e 2 del d.lgs. n. 42/2004 (nel caso di beni culturali mobili e immobili, nei confronti dei quali l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica) è caratterizzata da presupposti evidentemente differenti rispetto alle successive previsioni degli artt. 96; in particolare, una differenza sostanziale è indubbiamente costituita dalla possibilità di delegare il potere espropriativo agli enti locali o ad altri enti pubblici che è prevista dall’art. 95 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma non dalle successive previsioni degli artt. 96 e 97 (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 28.04.2010 n. 1037 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Sull'illegittimità di un provvedimento di aggiudicazione nell'ipotesi di presentazione di un DURC relativo soltanto ad uno o più determinati ambiti territoriali.
E' illegittimo il provvedimento di aggiudicazione di un appalto adottato da un'amministrazione nei confronti di un concorrente che, ai fini dell'ammissione alla gara, abbia prodotto un DURC relativo ad un ambito territoriale determinato e non, invece, all'intero territorio nazionale.
Il documento unico di regolarità contributiva (DURC), introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 210/2002, viene emesso dalla Cassa edile competente a condizione che la verifica della regolarità contributiva abbia dato esito positivo e che la Cassa stessa abbia verificato, "a livello nazionale", che l'impresa non rientri nel novero di quelle segnalate come irregolari; inoltre, ai fini dell'art. 19, c. 12-bis, L. n. 109/1994, non sono valide le attestazioni rilasciate dalle Casse edili se riferite a uno o più cantieri, in quanto esse hanno l'obbligo di attestare la regolarità contributiva senza limitazione a singoli appalti.
Il DURC utile ai fini dell'ammissione alle gare d'appalto, pertanto, deve poter rilevare la situazione globale dell'impresa, a prescindere dalla sua ubicazione territoriale (C.G.A.R.S., Sez. giurisdizionale, sentenza 28.04.2010 n. 635 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sito degradato - Imposizione del vincolo paesaggistico-ambientale - Preclusione - Inconfigurabilità - Prevenzione dell’aggravamento del degrado e perseguimento del possibile recupero.
La qualificazione di rilevanza paesaggistico-ambientale di un sito non è determinata dal suo grado d'inquinamento -che, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di tutela-, l'imposizione del relativo vincolo servendo piuttosto a prevenire l'aggravamento della situazione e di perseguirne il possibile recupero (Consiglio di Stato, sez. V, 27.03.2000, n. 1761, Consiglio di Stato, sez. VI, 02.11.2007, n. 5662).
Vincolo paesaggistico - Compromissione del’ambiente ad opera di preesistenti realizzazioni - Nuove costruzioni in contrasto con il vincolo - Adozione di provvedimenti sanzionatori.
Ogni eventuale situazione di compromissione dell'ambiente ad opera di preesistenti realizzazioni, non esime l'amministrazione dall'assumere provvedimenti sanzionatori nei riguardi delle nuove costruzioni eseguite in contrasto con il vincolo paesaggistico ed anzi maggiormente richiede, per la legittimità dell'azione amministrativa, che ulteriori interventi non deturpino ulteriormente l'ambiente protetto. (Consiglio di Stato, sez. IV, 30.06.2005, n. 3547).
Nulla osta paesaggistico - Verifica di correttezza del provvedimento regionale di conformità - Necessità di effettivo sopralluogo - Esclusione.
In tema di rilascio di nullaosta paesaggistico, l'attività di verifica della correttezza del provvedimento regionale di conformità, di cui all'art. 7, l. 29.06.1939 n. 1497, effettuata sia dalla soprintendenza sia dall'autorità centrale -previa acquisizione di tutti gli atti necessari a consentire il pieno ed esaustivo apprezzamento dell'incidenza dell'intervento edilizio sull'assetto paesistico territoriale della zona e circostante- non implica, necessariamente, il compimento di effettivo sopralluogo ma può limitarsi alla valutazione documentale della condotta procedimentale tenuta dall'ente (TAR Calabria Catanzaro, 09.11.1999, n. 1335) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2010 n. 2377 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di impianti radioelettrici - Titoli abilitativi - Ente competente al rilascio - Art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Ente Locale - Interpretazione ex art. 118 Cost. - Comune.
L'individuazione del Comune quale ente abilitato al rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la realizzazione degli impianti radioelettrici discende, dal d.lgs. n. 259/2003, letto alla luce dell'art. 118 Cost..
L'art. 87, commi 2 e 9, del d.lgs. n. 259/2003, pur indicando in modo generico l'ente locale competente al ricevimento delle istanze ed al rilascio dei titoli abilitativi (utilizzando la testuale espressione "l'ente locale"), deve infatti essere interpretato nel senso che attribuisca al Comune tale competenza (Consiglio Stato , sez. VI, 28.06.2007, n. 3792).
Stazione radio base - Autorizzazione - Formazione del silenzio assenso - Decorrenza - Individuazione - Parere favorevole dell’ARPA - Necessità ai soli fini dell’attivazione.
In tema di autorizzazione per la costruzione di una stazione radio-base, il termine per la formazione del silenzio-assenso di cui all'art. 87, IX comma del DLgs n. 259/2003 decorre dalla presentazione della domanda corredata dal progetto, e non dalla ricezione, da parte del Comune, del parere dell'Arpa, in quanto ai sensi dell'art. 87, IV comma del citato DLgs n. 259 il deposito del parere preventivo favorevole dell'Arpa non è prescritto per la formazione del titolo edilizio ovvero per l'inizio dei lavori, ma solo per l'attivazione dell'impianto (Tar Veneto n. 1283/2007 TAR Lecce, II, 24.08.2006 n. 4279; TAR Catania, II, 23.09.2005 n. 1478).
Impianti radioelettrici - Insediamento - Competenza regolamentare comunale - Art. 8 L. n. 36/2001 - Differenza tra “criteri localizzativi” e “limiti alla localizzazione”.
In tema di competenza regolamentare per il corretto insediamento degli impianti radioelettrici, attribuita ai Comuni con l’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, la giurisprudenza ha precisato la differenza fra ‘criteri localizzativi” e “limiti alla localizzazione” ritenendosi consentiti i primi, in quanto recanti criteri specifici rispetto a localizzazioni puntuali, e non i secondi, in quanto recanti divieti generalizzati per intere aree (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI: 05.06.2006, n. 3452; 19.05.2008, n.2287; 17.07.2008, n. 3596).
Impianti radioelettrici - Realizzazione - Autorizzazione ex art. 87 Cod. telecomunicazioni - Permesso di costruire ex d.p.r. n. 380/2001 - Necessità - Esclusione.
La realizzazione degli impianti radioelettrici è subordinata soltanto all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del Codice delle telecomunicazioni, che pone una normativa speciale esaustiva dell’esame di diversi profili implicati, incluso quello della compatibilità edilizio-urbanistica dell’intervento, non occorrendo perciò il permesso di costruire di cui agli articoli 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI: 17.10.2008, 5044; 05.08.2005, n. 4159).
Installazione di impianti di telecomunicazione - Regolamento comunale - Suddivisione del territorio comunale in tre tipologie, di cui solo una idonea ad ospitare impianti - Illegittimità - Fondamento.
Il regolamento comunale che delinei la suddivisione del territorio comunale in tre tipologie di aree (maggiormente idonee, di attenzione e sensibili) si pone in contrasto con il d.lgs. n. 259 del 2003, non consentendo tale decreto alle amministrazioni comunali di estendere la propria competenza sino a selezionare le aree del territorio, individuandone solo alcune come idonee ad ospitare gli impianti.
L'installazione di impianti di telecomunicazione, infatti, deve ritenersi in generale consentita sull'intero territorio comunale in modo da poter realizzare, con riferimento a quelli di interesse generale, un'uniforme copertura di tutta l'area comunale interessata.(Consiglio Stato, sez. VI, 28.03.2007, n. 1431).
Localizzazione degli impianti di telecomunicazione - Regolamento comunale - Obbligo di rispettare determinate distanze dai confini - Illegittimità.
Come non può essere imposto, mediante regolamento comunale edilizio l'osservanza di determinate distanze dagli edifici esistenti, ugualmente, ed anzi a maggior ragione, non si può pretendere di localizzare gli impianti ad una determinata distanza dal confine di proprietà, trattandosi di previsione che appare priva di giustificazione alcuna e rappresenta solo un indebito impedimento nella realizzazione di una rete completa di telecomunicazioni (Consiglio Stato , sez. VI, 25.06.2007, n. 3536).
Insediamento urbanistico e territoriale degli impianti - Potere regolamentare comunale - Art. 8, c. 6 L. n. 36/2001 - Fissazione di limiti di esposizione diversi da quelli stabiliti dallo Stato - Illegittimità - Introduzione di misure funzionali alla tutela della salute - Competenze comunali - Estraneità.
Ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 22.02.2001 n. 36, i comuni possono adottare un regolamento atto ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione comunale ai campi elettromagnetici.
Tuttavia, il potere regolamentare comunale non può implicare la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato, non rientrando tale potere nell'ambito delle competenze comunali.
Non può, pertanto, il comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure derogatorie ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali, ad esempio, il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero, introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.) non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo (Consiglio Stato , sez. VI, 03.10.2007, n. 5098; Consiglio Stato, sez. VI, 05.06.2006, n. 3332) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2010 n. 2371 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI:  Disco rosso alle gare con il filtro provinciale.
È illegittimo, dal punto di vista del diritto comunitario e nazionale, limitare l'accesso ad una gara soltanto ai soggetti che abbiano già operato nella stessa provincia in cui viene svolta la gara.

Lo afferma il TAR Puglia-Bari, Sez. I, con la sentenza 27.04.2010 n. 1496, rispetto ad una procedura aperta per l'affidamento triennale dei servizi di accertamento delle entrate tributarie (Ici e Tarsu).
In particolare, nel disciplinare di gara, era previsto che la comprova dell'esperienza del candidato nello svolgimento di servizi di accertamento congiunto di Ici e Tarsu, dovesse avvenire attraverso la «presentazione di almeno tre referenze di Comuni, di cui almeno uno nella Provincia di Bari».
L'illegittimità della prescrizione viene dichiarata dai giudici in primo luogo con riguardo ai principi di parità di trattamento e non discriminazione che il Codice dei contratti enuncia all'articolo 2 come vincolanti per l'operato delle stazioni appaltanti.
Ma la violazione viene evidenziata anche con riguardo ai principi rinvenibili nel Trattato europeo, in particolare rispetto a quello della libera prestazione dei servizi e la libera circolazione dei lavoratori che non possono essere in alcun modo limitato, dicono i giudici, attraverso l'obbligo per le imprese di avere la loro sede di attività in un determinato luogo, ovvero imponendo una determinata residenza a persone e ad imprese.
Nel diritto comunitario le limitazioni e le deroghe a questi principi possono essere eccezionalmente previste soltanto se giustificate da motivi di interesse pubblico superiore, e comunque devono risultare proporzionate rispetto al fine da perseguire.
Richiedendo quindi lo svolgimento del servizio di riscossione presso un Comune della Provincia, la stazione appaltante ha introdotto una clausola illogica e illegittima, «in quanto viene precluso l'ingresso nel mercato di nuovi soggetti, a scapito e detrimento della libera concorrenza, che come si è detto costituisce un principio cardine dell'ordinamento nazionale e comunitario».
La sentenza evidenzia anche che l'accertamento dell'esperienza del concorrente non può essere perseguito in danno del più generale principio tutelato dall'articolo 85 del Trattato (divieto di «impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune).
Nel determinare un vantaggio del tutto condizionante l'esito della gara, la stazione appaltante ha quindi introdotto un elemento in se incompatibile non soltanto con le norme comunitarie, ma anche con i principi costituzionali di parità di trattamento e di libertà dell'iniziativa economica (articoli 3 e 41 della costituzione).
La sentenza, pur non contestando il diritto per l'amministrazione di introdurre negli atti di gara requisiti anche ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge (codice dei contratti o dpr 554/99), precisa però che la giurisprudenza ha ormai chiarito che tali requisiti devono comunque essere sempre «logici, adeguati, congrui e non suscettibili di precostituire situazioni di assoluto privilegio in favore di pochi soggetti o di determinare una preclusione insormontabile all'accesso al mercato di imprese in possesso di indici di affidabilità operativa». E proprio ciò sarebbe avvenuto, con la costituzione di una posizione dominante sul mercato a vantaggio dei pochi soggetti già presenti sul territorio.
Va ricordato al riguardo che su questo tema già diversi anni fa l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (determinazione n. 3/2000) aveva censurato un bando in cui si chiedeva condizionava l'ammissione ad una gara la prova dell'iscrizione all'albo della provincia in cui aveva sede il comune che aveva bandito la gara. Evidentemente dagli errori non si impara (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 20).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica - Istanza - Pubblicità - Art. 87, c. 4 d.lgs. n. 259/2003 - Partecipazione al procedimento dei soggetti interessati - Assenza di specifiche prescrizioni sulle specifiche forme pubblicitarie da adottare - Forma più idonea nel caso concreto.
In tema di installazione di infrastrutture di comunicazioni elettronica, il precetto contenuto nell’art. 87, c. 4 del d.lgs. n. 259/2003 (“lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l’istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell’impianto”) va osservato dall’Amministrazione al fine di mettere in condizione i soggetti interessati di partecipare al procedimento volto al rilascio del titolo abilitativo; in assenza di specifiche prescrizioni in ordine alle modalità delle forme pubblicitarie da adottare, l’Amministrazione è comunque tenuta a prediligere quella che si riveli più idonea, nel caso concreto, a rendere nota la pendenza del procedimento ai cittadini che ne vogliano prendere parte (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18.04.2005, n. 1773; TAR Puglia-Lecce, Sez. II, n. 3758/2008).
Installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica - Normativa statale e regionale (Puglia) - Promozione della coubicazione.
La normativa statale e regionale disciplinante la materia delle installazioni delle infrastrutture di comunicazioni elettronica (artt. 49, comma 1, lett. f, 86, comma 2 e 89, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 259/2003, L.r. Puglia n. 5/2002 e Regolamento regionale n. 14/2006), sulla scia del legislatore comunitario, promuove la coubicazione degli impianti di telefonia anche per ridurre l’impatto ambientale prodotto dalle strutture di sostegno.
Impianti di comunicazione elettronica - Acquisizione del parere ARPA - Condizione per il perfezionamento del titolo edilizio - Esclusione - Necessità al solo fine dell’attivazione.
L’acquisizione del parere tecnico preventivo dell’ARPA è necessaria solo al fine di procedere all’attivazione dell’impianto di comunicazioni elettronica, non anche per il perfezionamento del titolo edilizio.
Ciò, peraltro, oltre ad essere stato confermato da diverse pronunce, è stato prima ancora chiarito in sede normativa (cfr. punto A1 del Regolamento regionale della Puglia n. 14/2006) (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 27.04.2010 n. 1024 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione paesaggistiche in sanatoria - Illegittimità - Art. 146, c. 12, d.lgs. n. 42/2004 - Eccezioni - Ipotesi tassative ex art. 167 - Procedura.
L'art. 146 comma 12 -nella versione modificata dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 157 del 2006- prevede che non possano più essere rilasciate autorizzazione paesaggistiche "in sanatoria", ossia successive alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, salvo le ipotesi tassative volte a sanare "ex post" gli interventi abusivi di cui all'art. 167.
In tali casi deve essere instaurata un'apposita procedura ad istanza della parte interessata che contempla l'accertamento della compatibilità paesaggistica, demandato all'amministrazione preposta alla gestione del vincolo, previa acquisizione del parere -non solo obbligatorio, ma vincolante- della Soprintendenza (cfr., TAR Lombardia Brescia, sez. I, 27.03.2009, n. 709).
Abusi edilizi in aree vincolate - Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 - Sanzione - Rinvio all’art. 44 del d.P.R. n. 380/2001 - Interpretazione.
Il rinvio operato dall’art. 181 del d. lgs. n. 42 del 2004 al solo art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001 si giustifica in relazione alla circostanza che esso è operato al solo fine delle determinazione della sanzione penale non valendo certo ad escludere l’irrogazione delle altre sanzioni correlate agli abusi commessi e, in primis, di quella demolitoria che costituisce la regola nelle ipotesi di interventi non compatibili con i valori paesaggistici tutelati (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.04.2010 n. 1550 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Adozione del provvedimento di demolizione - Natura - Atto dovuto - Motivazione - Limiti - Interesse pubblico alla rimozione dell’abuso.
In materia urbanistica, il presupposto per l'adozione dell'ordine di demolizione di opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione dell'opera in difformità dalla concessione o in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo "in re ipsa" l'interesse pubblico alla sua rimozione (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.04.2010 n. 1550 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere di recinzione - Valutazione in ordine alla necessità del permesso di costruire - Parametri - Recinzione di fondi rustici senza opere murarie - Manifestazione del diritto di proprietà - Ius excludendi alios.
La valutazione in ordine alla necessità della concessione edilizia (ora: permesso di costruire), per la realizzazione di opere di recinzione deve essere effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione; in base a tale criterio, dunque, non è necessario il permesso per costruire per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o comunque la delimitazione e l'assetto delle singole proprietà (cfr., ex multis, TAR Lombardia Milano, sez. IV, 29/12/2009, n. 6266) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.04.2010 n. 1547 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVINON SEMPRE IL SILENZIO E' D'ORO!
1. Atto amministrativo - Silenzio - Inadempimento - Configurazione - Casi - Ragioni.
2. Giudizio amministrativo - In materia di silenzio - Fondatezza della pretesa - Accertamento - Casi e ragioni.
3. Giudizio amministrativo - In materia di silenzio - Fasi - Nomina del Commissario ad acta - Disciplina.

1. L'obbligo di provvedere rispetto ad un'istanza del privato, sorge in capo alla P.A. anche in assenza di una disposizione puntuale e specifica, potendosi essa desumersi anche da prescrizioni di carattere generico e dai principi generali regolatori dell'azione amministrativa.
Sicché, può affermarsi che, a prescindere dall'esistenza di una specifica disposizione normativa impositiva dell'obbligo, quest'ultimo sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento; tutte quelle volte in cui, quindi, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni, qualunque esse siano, di quest'ultima (Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 11-05-2007 n. 2318; Cons. Stato, sez. IV, 14-12-2004 n. 7975; Cons. Stato, sez. V, 15-03-1991 n. 250; TAR Puglia Lecce, sez. III, 23-07-2009 n. 1930; TAR Campania Salerno, sez. II, 20-07-2009 n. 4133; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 11-06-2009 n. 3200).
2. L'oggetto del procedimento giurisdizionale sul silenzio, nella configurazione acceleratoria stabilita dall'art. 21-bis, L. n. 1034/1971 (introdotto dall'art. 2, L. n. 205/2000), è, in via generale, la verificazione dell'esistenza o meno di un obbligo di provvedere in capo alla p.A. e non anche l'esame della fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente.
L'oggetto della decisione deve essere, dunque, unicamente l'accertamento dell'esistenza di un obbligo di provvedere, potendo il giudice spingersi fino all'accertamento della pretesa sostanziale non semplicemente quando l'amministrazione debba porre in essere un'attività vincolata ma unicamente nel caso in cui, in presenza di quest'ultima, la fondatezza della pretesa appaia ictu oculi e di immediata evidenza, risultando solo in tale ipotesi, anche con riferimento alla ratio ed alle caratteristiche del rito previsto dall'art. 21-bis, irragionevole e contrario a principi di economia processuale rimettere ad un successivo giudizio la definizione di una controversia allo stato già risolvibile (Cons. Stato, sez. V, 15-03-1991, n. 250).
3. Anche se l'art. 21-bis, co. 2, L. n. 1034/1971, prevede due distinte fasi processuali: una relativa all'ordine all'Amministrazione di provvedere ed un'altra, eventuale in caso di inottemperanza della stessa al predetto ordine, avente ad oggetto la nomina di un "commissario ad acta", appare del tutto coerente con la ratio acceleratoria della L. n. 205/2000 ritenere che, quando il ricorrente ne faccia esplicita richiesta, in sede di impugnazione del silenzio, si debba provvedere, in caso di accoglimento di detto ricorso, anche alla contestuale nomina del commissario, al fine di evitare all'interessato l'inutile aggravio di una ulteriore autonoma istanza giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V, 16-01-2002 n. 230) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.04.2010 n. 1545 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Convenzioni urbanistiche - Proprietario attuatore - Previsione a suo carico della realizzazione di opere eccedenti il valore del contributo di urbanizzazione - Legittimità.
Sono legittime le pattuizioni della convenzione urbanistica che accollino al proprietario-attuatore la realizzazione di opere eccedenti il valore del contributo di urbanizzazione (C.S. V 10.06.1998 n. 807, Tar Lombardia Brescia 27.07.2005 n. 784) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 22.04.2010 n. 1936 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Le indicazioni grafiche delle planimetrie allegate al piano regolatore costituiscono parte integrante di esse.
Nel caso di specie parte grafica e parte normativa non risultano in contrasto ma in rapporto di complementarità posto che le prime integrano le disposizioni della seconda, senza entrare in necessario contrasto, potendosi leggere le une alla luce delle altre.
Per giurisprudenza consolidata, le indicazioni grafiche delle planimetrie allegate al piano regolatore ne costituiscono infatti parte integrante, come prescrizioni da interpretare ed applicare alla luce e nei limiti delle prescrizioni normative contenute nello stesso piano (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 22.04.2010 n. 985 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 presuppone la doppia conformità: alla disciplina vigente al momento della realizzazione dell'abuso ed a quella al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria.
L'istituto dell'accertamento di conformità, previsto dall’art. 36, DPR 380/2001 è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza titolo abilitativo, ma comunque conformi alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono individuata in base ad un duplice parametro temporale.
In virtù di tale parametro quanto edificato deve risultare conforme alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione e a quella al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria: c.d. principio della doppia conformità (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 22.04.2010 n. 985 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sui presupposti che devono sussistere per disporre la revoca degli atti amministrativi.
Sulla possibilità di ottenere il risarcimento dei danni derivanti da una revoca legittima di un provvedimento amministrativo.
Ai sensi dell'art. 21-quinques della l. n. 241/1990, sussistono tre presupposti alternativi a fondamento del potere di adozione di un provvedimento di revoca:
a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse;
b) mutamento della situazione di fatto;
c) nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.
La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi), in cui l'amministrazione nell'esercizio di tale diritto gode di ampia discrezionalità.
Anche nell'ipotesi di revoca legittima, è possibile che al privato derivino danni risarcibili, e non meramente indennizzabili, ciò, tuttavia, solo allorquando il pregiudizio subito da concorrente sia diretta conseguenza non già dell'atto di revoca, bensì di altre illegittimità commesse dall'amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.04.2010 n. 2244 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sulla legittimità di un provvedimento adottato dalla CCIAA recante diniego alla domanda di accesso ad un lodo arbitrale conclusivo depositato dalla stessa amministrazione.
Secondo una consolidata giurisprudenza, non tutti i documenti materialmente custoditi presso una P.A. hanno natura amministrativa e, pertanto, soggetti alla disciplina in materia di diritto di accesso ex art. 22 della L. n. 241/1990, ma soltanto quelli formati o, comunque, detenuti dalla P.A. nell'esercizio dei suoi compiti istituzionali, vale a dire i soli atti che presentino rilevante attinenza all'iter del procedimento.
Ne consegue che, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento adottato dalla Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura (CCIAA) recante diniego alla domanda di accesso ad un lodo arbitrale conclusivo depositato dalla stessa amministrazione, motivato essenzialmente con il rilievo per cui "pur depositato presso l'ente camerale, il lodo stesso non può essere considerato documento amministrativo, in quanto esso è atto di natura privata, destinato a regolare negozialmente i rapporti fra le parti in virtù di convenzione arbitrale fra le stesse intercorsa, che soggiace al regolamento camerale solo in riferimento alla gestione delle fasi del procedimento. L'ente gestore del procedimento, infatti, non interviene nella fase di formazione dell'atto né è parte dello stesso, ma pone le regole del procedimento volto all'emissione del lodo, alle quali le parti decidono liberamente di soggiacere al momento di presentazione della domanda. Il lodo pertanto non promana dalla P.A. né è espressione di un'attività amministrativa, è privo dei requisiti essenziali propri del provvedimento amministrativo, alla cui categoria non può essere assimilato. Dalla natura contrattuale del lodo, discende come conseguenza la mancata riconoscibilità in capo ad esso della natura di documento amministrativo di cui all'art. 22 della l. 241/1990" e dunque deve ritenersi sottratto all'accesso per cui è causa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.04.2010 n. 1595 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTII soggetti che abbiano commesso violazioni dei doveri relativi al pagamento di imposte e di tasse, definitivamente accertati, sono esclusi dalla partecipazione alle gare di appalto.
Il Collegio ritiene che il giudice di primo grado abbia correttamente fatto applicazione dei condivisibili principi contenuti nella circolare n. 34/E del 25.05.2007, con la quale l’Agenzia delle entrate ha fornito gli indirizzi operativi ai propri uffici locali in merito alle modalità di attestazione della regolarità fiscale delle imprese partecipanti a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, alla luce della nuova normativa introdotta dal d.lgs. 163/2006.
Si ricorda che sulla base dell’art. 38, comma 1, lett. g), del d.lgs. 163/2006, i soggetti che abbiano commesso violazioni dei doveri relativi al pagamento di imposte e di tasse, definitivamente accertati, sono esclusi dalla partecipazione alle gare di appalto.
Secondo la menzionata circolare vi è regolarità fiscale quando, alternativamente:
- a carico dell’impresa, non risultino contestate violazioni tributarie mediante atti ormai definitivi per decorso del termine di impugnazione, ovvero, in caso di impugnazione, qualora la relativa pronuncia giurisdizionale sia passata in giudicato;
- in caso di violazioni tributarie accertate, la pretesa dell’amministrazione finanziaria risulti, alla data di richiesta della certificazione, integralmente soddisfatta, anche mediante definizione agevolata.
La circolare precisa inoltre che non può essere considerata irregolare la posizione dell’impresa partecipante qualora sia ancora pendente il termine di sessanta giorni per l’impugnazione (o per l’adempimento) ovvero, qualora sia stata proposta impugnazione, non sia passata ancora in giudicato la pronuncia giurisdizionale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.04.2010 n. 2213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Diniego basato su considerazioni di carattere estetico - Assenza di specifiche disposizioni normative o di piano - Assenza di vincoli storico-paesaggistici - Illegittimità.
In mancanza di specifiche disposizioni primarie e secondarie o dello strumento urbanistico comunale, non può essere negata la concessione edilizia in base a generiche considerazioni di carattere estetico, non tradotte in norme o previsioni urbanistiche, relativamente ad aree su cui le norme vigenti non impediscono di costruire e su cui non sussistono vincoli di carattere storico-artistico o paesaggistico (TAR Veneto, II, 04.07.2001, n. 1971) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.04.2010 n. 1834 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGOPROGRESSIONE DI CARRIERA? SOLO SE MERITATA...
1. Pubblico impiego - Mansioni - Superiori - Svolgimento - Effetto - Progressione di carriera - Non sussiste - Ragioni.
2. Pubblico impiego - Inquadramento - In una superiore qualifica - Condizioni necessarie - Ragioni.

1. Lo svolgimento di fatto di mansioni superiori rispetto alla qualifica di quadramento dei pubblici dipendenti deve ritenersi del tutto irrilevante ai fini della progressione della carriera e ciò in ragione del fatto che il rapporto di pubblico impiego è connotato (tra l'altro) dai principi di imparzialità, efficienza e buon andamento di cui agli articoli 97 e 98 della costituzione; principi che implicano la necessità che ogni passaggio di qualifica formale avvenga tramite procedura selettiva.
2. Nell'ambito del pubblico impiego, in difetto di una specifica e puntuale disciplina legislativa o contrattuale, deve ritenersi non consentito l'inquadramento automatico nella qualifica superiore solo perché muta la pianta organica; ciò in quanto occorre a tal fine sempre una procedura concorsuale finalizzata all'individuazione del dipendente più meritevole ad occupare il posto oggetto di nuova istituzione (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. III, sentenza 20.04.2010 n. 1429 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Procedimento - Strumento preventivo di tutela ambientale - Prescrizioni - Radicale diniego.
Il procedimento di valutazione di impatto ambientale è, per sua natura e per sua configurazione normativa, uno strumento preventivo di tutela dell’ambiente, che si svolge prima rispetto all’approvazione del progetto, il quale dovrà essere modificato secondo le prescrizioni intese ad eliminare o ridurre l’incidenza negativa per l’ambiente (cfr. TAR Liguria, Sez. I, 15.06.2006, n. 563) a condizione che ciò sia possibile e che non si imponga il radicale diniego di approvazione del progetto.
VIA - Tutela preventiva dell’interesse pubblico - Profili elevati di discrezionalità amministrativa - Sindacato giurisdizionale - Limiti.
La valutazione di impatto ambientale, giacché finalizzata alla tutela preventiva dell’interesse pubblico, non si risolve in un mero giudizio tecnico, ma presenta profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte della P.A., ove non siano manifestamente illogiche ed incongrue (C.d.S., Sez. V, 21.11.2007, n. 5910; C.d.S., Sez. V, n. 4206/2009; TAR Lazio, Roma, Sez. I, n. 5403/2007).
VIA - Principio di precauzione - Mera possibilità, insuscettibile di esclusione, di alterazioni negative - Opposizione alla realizzazione di un’attività - Discrezionalità amministrativa.
La valutazione di impatto ambientale comporta una valutazione anticipata finalizzata, nel quadro del principio comunitario di precauzione, alla tutela preventiva dell’interesse pubblico ambientale.
Ne deriva che, in presenza di una situazione ambientale connotata da profili di specifica e documentata sensibilità, anche la semplice possibilità di un’alterazione negativa va considerata un ragionevole motivo di opposizione alla realizzazione di un’attività: anche alla luce degli ampi profili di discrezionalità amministrativa che presenta la valutazione di impatto ambientale sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici, sfugge, pertanto, al sindacato giurisdizionale la scelta discrezionale della P.A. di non sottoporre beni di primario rango costituzionale, qual è quello dell’integrità ambientale, ad ulteriori fattori di rischio che, con riferimento alle peculiarità dell’area, possono implicare l’eventualità, non dimostrabile in positivo ma neanche suscettibile di esclusione, di eventi lesivi (così C.d.S., Sez. VI, 04.04.2005, n. 1462, in relazione ad un caso di inquinamento di una falda acquifera).
DIRITTO DELL’ENERGIA - VIA - Illegittimità del procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Illegittimità derivata del giudizio di compatibilità ambientale - Esclusione - Autonomia.
L’eventuale illegittimità del procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, non può dispiegare alcuna illegittimità derivata sulla valutazione negativa di compatibilità ambientale, stante l’autonoma funzione di quest’ultima (cfr. TAR Liguria, Sez. I, n. 563/2006) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 986 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela paesistica - Protezione dei valori estetici e tradizionali - Concordanza e fusione fra l’espressione della natura e il lavoro umano.
E’ illogico considerare il paesaggio un bene limitato alle sole componenti naturalistiche, senza tenere conto degli insediamenti umani (e specialmente di quelli tradottisi in opere pregevoli sotto il profilo storico-artistico) che vi si inseriscono.
In base alla normativa di riferimento, infatti, può affermarsi che ciò che ha rilievo, ai fini della protezione dei valori estetici e tradizionali che formano oggetto della tutela paesistica, è la “spontanea concordanza e fusione fra l’espressione della natura e quella del lavoro umano” (C.d.S., Sez. VI, 09.05.2006, n. 2539; v. anche CGARS, Sez. Giurisd., 29.07.2005, n. 480) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 986 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO - Interesse a ricorrere - Mero ripristino della legalità violata - Insufficienza - Lesione diretta ed attuale della situazione soggettiva protetta - Art. 100 c.p.c. - Atti amministrativi generali e regolamentari.
In base all’art. 100 c.p.c. (applicabile anche al processo amministrativo), non si può riconoscere un interesse a ricorrere per il mero ripristino della legalità violata, allorché non si sia ancora verificata una lesione, diretta ed attuale, della situazione soggettiva protetta: detto principio trova peculiare applicazione per gli atti amministrativi generali e per quelli a carattere regolamentare, i cui vizi risultano immediatamente contestabili solo laddove di per sé preclusivi del soddisfacimento dell’interesse protetto, mentre sono altrimenti deducibili come fonte di illegittimità derivata dell’atto consequenziale, quando sia quest’ultimo a venire impugnato, insieme all’atto presupposto, in quanto concretamente lesivo (C.d.S., Sez. VI, 12.11.2008, n. 5661) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 986 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non può essere accordata alcuna proroga del permesso di costruire in relazione a ritardi dovuti ad un contenzioso causato da un’opera abusiva (riconosciuta tale da una sentenza del Tar non sospesa dal Consiglio di Stato).
Si ha proroga della concessione edilizia (ora permesso di costruire) solo qualora nel corso dell'esecuzione dei lavori si siano verificati dei fatti non imputabili al titolare della concessione, che abbiano ritardato i suddetti lavori, onde non far ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti a lui non attribuibili.

I ritardi dovuti ad un contenzioso causato da un’opera abusiva (riconosciuta tale da una sentenza del Tar non sospesa dal Consiglio di Stato), non consentono il rilascio di alcuna proroga del permesso di costruire.
Alla luce di ciò risulta corretto il diniego operato dal Comune dato che, in materia edilizia, le norme sulla proroga dei termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti a permesso di costruire di cui all'art. 15 del DPR n. 380 del 2001 sono di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più (Cass. penale 19.03.2008 n. 19101).
Si ha infatti proroga della concessione edilizia solo qualora, ferma restando la capacità edificatoria dell'area interessata, nel corso dell'esecuzione dei lavori si siano verificati dei fatti non imputabili al titolare della concessione, che abbiano ritardato i suddetti lavori, onde non far ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti a lui non attribuibili (TAR Milano 08.03.2007 n. 372).
Risulta quindi condivisibile il diniego opposto dal Comune di Acqualagna, considerato che, in tutta evidenza, la vicenda contenziosa relativa ad un abuso edilizio, che ha tra l’altro visto la ricorrente, finora, soccombente in giudizio, non può certo integrare un ritardo “non imputabile” alla ricorrente, per cui il Comune correttamente ha negato la proroga ex art. 15 DPR 380/2001 e ha, successivamente, rilasciato un nuovo permesso di costruire.
Alla luce di ciò la proroga non poteva essere rilasciata fin dall’inizio, appunto perché non vi era stato alcuno degli “impedimenti” previsti dall’art. 15 del DPR 380/2001, considerato che l’impedimento è stato originato dall’abuso commesso dal ricorrente e dalla successiva vicenda contenziosa.
Quindi il diniego opposto dal Comune è giustificato, dato che, quando un provvedimento negativo è fondato su più ragioni, la conformità a legge di una sola di esse è sufficiente a giustificarlo (Cds Sez. IV 10.12.2007, n. 6325, Tar Genova 26.11.2008 n. 2041) (TAR Marche, sentenza 20.04.2010 n. 193 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento stesso, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Non è prevista dall'ordinamento la risarcibilità del danno da ritardo "puro", ovverosia disancorato dalla dimostrazione giudiziale della meritevolezza di tutela dell'interesse pretensivo fatto valere.

L’omissione della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del privato, nel caso in cui il provvedimento negativo abbia natura vincolata, comporta l’applicazione della clausola di sanatoria di cui all’art. 21-octies, c. 2, della legge 241/1990. Tale clausola prevede che non sia annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Tar Lazio Roma 03.05.2007 n. 317, Tar Basilicata 05.12.2007, Tar Napoli 25.03.2009 n. 1661). Deve quindi essere considerata irrilevante la mancata comunicazione ex art. 10-bis legge 241/1990.
La legittimità e la natura vincolata del provvedimento impugnato portano quindi al respingimento di tutti i motivi di ricorso. Non ha altresì rilevanza alcuna la dedotta contraddittorietà di alcuni atti del Comune con il successivo diniego, dato che si trattava comunque di comunicazioni che attenevano alla fase della rimessione in pristino, che era propedeutica a qualunque altra determinazione.
La legittimità del provvedimento impugnato esclude l’ingiustizia dell’eventuale danno subito dalla ricorrente.
Per quanto riguarda il danno da ritardo, lo stesso non può essere considerato sussistente. Come noto, con l'art. 7 della legge 18.06.2009 n. 69, è stato introdotto nell'ambito della l. n. 241/1990 l'art. 2-bis, secondo il quale le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
Tale disposizione non è applicabile alla fattispecie in esame, per cui occorre fare riferimento alla normativa previgente, nella quale non era previsto un meccanismo riparatore dei danni causati dal ritardo procedimentale in sé e per sé considerato.
Ne deriva che, per quanto riguarda i fatti di causa, l'inerzia amministrativa può rilevare, ai fini del risarcimento, solo se si accerta la sua illegittimità e si ha il concreto esercizio della funzione amministrativa in senso favorevole all'interessato o, quanto meno, la sua esplicazione virtuale mediante un giudizio prognostico.
Va, a tal proposito, richiamata la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 15.09.2005, nella quale è stata affermata la non risarcibilità del danno da ritardo "puro", ovverosia disancorato dalla dimostrazione giudiziale della meritevolezza di tutela dell'interesse pretensivo fatto valere (cfr. Tar Palermo 16.12.2009 n. 2000).
Ne deriva, che, conformemente a quanto condivisibilmente ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa prevalente, con riferimento alla situazione normativa antecedente alla l. 18.06.2009, n. 69, il danno da ritardo non ha autonomia strutturale rispetto alla fattispecie procedimentale, da cui scaturisce, essendo legato inscindibilmente alla positiva finalizzazione di quest'ultima, né si presenta quale ordinaria ipotesi di riparazione per equivalente (CdS Sez. V 02.03.2009 n. 1162) (TAR Marche, sentenza 20.04.2010 n. 193 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La natura di temporaneità di un'opera non si riferisce ai profili funzionali bensì alle caratteristiche costruttive e al tipo di materiale utilizzato.
La natura di temporaneità non si riferisce ai profili funzionali dell’opera bensì alle caratteristiche costruttive e al tipo di materiale utilizzato (nella fattispecie si tratta di una una tettoia in struttura metallica e copertura in legno).
Pare, invero, al Collegio che l’opera di che trattasi sia destinata a dare al costruttore una utilità prolungata, di fatto destinata a durare nel tempo e per tali manufatti la giurisprudenza in maniera uniforme ha affermato come gli stessi siano riconducibili alla nozione di “costruzioni” e, come tali, necessitano di un titolo edilizio (cfr. Tar Lazio Roma sez. II 03/02/2006 n. 780; Tar Sardegna Sez. II 27/09/2006 n.2013; Tar Campania Napoli Sez. IV 28/02/2006 n. 2451).
Vista dunque la consistenza, le caratteristiche e l’uso di quanto posto in essere ed accertato, si è di fronte ad un’opera edilizia vera e propria, comportante un’alterazione dello stato dei luoghi e per ciò stesso soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 19.04.2010 n. 961 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L'ordinanza contingibile ed urgente adottata ai sensi dell’art. 9 della L. n. 447 del 26.10.1995 deve essere motivata da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente.
La previsione dell’art. 9 della l. n. 447 del 1995 è preordinata a tutelare la salute della collettività e non del singolo cittadino.

Come evidenziato dalla più recente giurisprudenza “l’ordinanza contingibile ed urgente adottata ai sensi dell’art. 9 della L. n. 447 del 26.10.1995, integrando particolari forme di contenimento e riduzione delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria totale o parziale delle attività, deve essere motivata da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente … Né può sostenersi con un qualche fondamento che il presupposto ricorra laddove un privato lamenti emissioni fastidiose di rumori -situazione questa la cui tutela appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario- mentre la previsione dell’art. 9 della l. n. 447 del 1995 è preordinata a tutelare la salute della collettività” (cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 29/09/2009 n. 2142).
Da un lato la predetta ordinanza è destina ad esaurire la sua efficacia nel momento in cui il soggetto destinatario realizzerà gli interventi di bonifica acustica effettivamente idonei a ricondurre la situazione nei limiti di legge (e riconosciuti tali dalla p.a.), dall’altro le caratteristiche del procedimento de quo (contraddistinto anche dall’“effetto sorpresa” indispensabile per l’efficacia dei controlli) “gli conferiscono quella specialità che giustifica la deroga ai principi generali in tema di partecipazione previsti dagli artt. 7 e segg. l. n. 241/1990” (TAR Puglia, Bari, Sez. I, 04/12/2006 n. 5639).
Quanto all’inosservanza delle tecniche e delle modalità di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico previste dall’art. 4 del DPCM 14/11/1997 e dal DM 16/03/1998 si deve, poi, sottolineare che l’allegato B al DM 16/03/1998 prevede che “il rilevamento in ambiente abitativo deve essere eseguito sia a finestre aperte che chiuse al fine di individuare la situazione più gravosa” e che tale situazione è stata riscontrata –nel rispetto di tutte le prescrizioni tecniche e nella medesima serata– proprio nella situazione a finestre aperte, in misura sufficiente ad integrare la violazione della normativa di riferimento (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 15.04.2010 n. 1931 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili.
Il vincolo prescinde dalla caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione (sancito prima dall'art. 9 della L. n. 729/1961 e poi dal successivo D.M. n. 1404 del 1968) non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, ad esempio per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.

Come chiarito da univoca giurisprudenza penale ed amministrativa, le fasce di rispetto previste dal codice della strada, che comportano l'inedificabilità assoluta dell'area, vanno incluse tra i vincoli previsti dal citato articolo 33, lett. d).
Ed infatti il codice stradale prevede, nell'ipotesi di violazione di dette fasce, l'obbligo per l'autore della stessa di "ripristino dei luoghi a proprie spese" (u.c. degli artt. 16, 17, 18, 19 cod. vigente). Deve, allora, escludersi l'applicabilità della sanatoria prevista dalla L. n. 326 del 2003 alle opere costruite abusivamente (Cons. St., sez. IV, 05.07.2000, n. 3731; cfr. Cass. Pen., Sez. III, 25-11-2008 n. 47106).
Rileva la Sezione che il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili (posti in evidenza dalla fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 133 del 1971, che ha evidenziato anche come il vincolo rilevi pur quando sopraggiunga alla realizzazione del manufatto, in ragione della riconducibilità del relativo regime giuridico alla categoria identificata dalla normativa primaria).
Il vincolo, infatti, prescinde dalla caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione (sancito prima dall'art. 9 della L. n. 729/1961 e poi dal successivo D.M. n. 1404 del 1968) non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, ad esempio per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni (Consiglio di Stato, sez. IV, 18.10.2002, n. 5716; id., 30.09.2008, n. 4719; id. 12.02.2010, n. 772).
D’altra parte, la correlazione del vincolo di rispetto stradale con la tutela di interessi fondamentali della collettività traspare dalla semplice osservazione dell’entità e quantità delle opere accessorie necessarie per tutelare i diritti fondamentali delle persone che abitano in insediamenti sorti incontrollatamente a ridosso delle sedi stradali (barriere antiacustiche, barriere antisfondamento, strumenti di protezione e mitigazione visiva ed ambientale, ecc. ), opere poste a carico delle finanze pubbliche e, quindi, dell’intera collettività.
Non rileva in contrario la giurisprudenza di questo Consiglio, sulla realizzabilità nella fascia di rispetto di manufatti completamente interrati e di modesta entità, tale da non compromettere gli interessi pubblici coinvolti (C.d.S sez. V, 19.06.2003, n. 3641 ).
Infatti, nel caso di specie la domanda di condono ha riguardato un vano seminterrato, quindi parzialmente sporgente dal terreno, tale da compromettere i sopra evidenziati profili di viabilità e di sicurezza.
Quanto al profilo della rilevanza della situazione di fatto in mancanza di formale provvedimento di perimetrazione del centro abitato, richiamato dal TAR per ritenere illegittimo il parere negativo, osserva la Sezione che il TAR ha considerato sussistente una circostanza rimasta indimostrata nel corso del giudizio.
L’articolo 41-septies della legge n. 1150 del 1942, come modificato con l'art. 19 della legge 06.08.1967, n. 765, ha disposto che “fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell'edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada, ... stabilite con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l'interno, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge”.
Il TAR, al riguardo, ha ritenuto che, all’epoca della sua realizzazione, il manufatto si trovava nel centro abitato, desumendo tale situazione da una presunzione, cioè dal fatto che solo nel settembre 1998 il Comune di Diso ha formalmente delimitato il territorio comunale: ciò varrebbe come “conferma a posteriori di una situazione preesistente di fatto e valutabile come tale già all’epoca del procedimento di sanatoria”.
Ritiene la Sezione che un’operazione ermeneutica del genere non sia corretta, poiché ha invertito l’onere della prova disciplinato dalla legge, spettando a chi richieda il condono l'onere di dimostrare il fatto che si sostiene e l'epoca dell'abuso e la sussistenza dei relativi presupposti (Cons. St., sez. IV, 12.02.2010, n. 772; id., 24.12.2008, n. 6548; V, 27.09.1996, n. 1275).
Inoltre, il TAR non ha considerato che il provvedimento di perimetrazione è stato emesso a distanza di oltre 20 anni dalla commissione dell’abuso e da esso, pertanto, non può ricavarsi nessuna presunzione di conformità dello stato di fatto esistente all’epoca dell’abuso stesso rispetto a quello ricostruito ed accertato con il provvedimento formale di limitazione del centro abitato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.04.2010 n. 2076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer l'identificazione della nozione di volume tecnico rilevano tre parametri: il primo, positivo e di tipo funzionale costituto dall'esistenza di un rapporto di strumentalità necessaria tra il manufatto e l'utilizzo della costruzione a cui accede; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno della parte abitativa, e dall'altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Pertanto, rientrano in tale nozione solo le opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.

Il locale costruito in adiacenza al torrino scala non può essere qualificato come volume tecnico pertinenziale realizzabile senza i prescritti titoli abilitativi costituiti dal permesso di costruire e dall’autorizzazione paesaggistica, come condivisibilmente sostenuto dall’amministrazione in seno alle impugnate determinazioni.
Per consolidata giurisprudenza “per l'identificazione della nozione di volume tecnico rilevano tre parametri: il primo, positivo e di tipo funzionale costituto dall'esistenza di un rapporto di strumentalità necessaria tra il manufatto e l'utilizzo della costruzione a cui accede; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno della parte abitativa, e dall'altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti. Pertanto, rientrano in tale nozione solo le opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa” (così, fra le ultime, Tar Campania, Napoli, sezione quarta, 09.09.2009, n. 4903).
In breve, “non è riconducibile alla nozione di volume tecnico la realizzazione di un locale la cui estensione (12 mq) risulta pari a quella di un comune vano di abitazione, ed in merito al quale manchi qualsiasi previsione —in sede progettuale— circa la destinazione del locale stesso alla collocazione di impianti a servizio dell'abitabilità degli ambienti” (Cons. Stato, sezione quarta, 11.04.2007, n. 1654); e ciò a maggior ragione ove, come qui accade, si sia in presenza di un locale munito di tre vani finestre e pavimento in monocottura, che ne fanno decisamente prefigurare una diversa utilizzazione.
Tale ultima constatazione rende più agevole la conclusione che la riconducibilità del locale alla nozione di volume tecnico non può essere affermata, come qui avvenuto, in base all’assunto che “l’altezza di mt. 2,10 esclude che si sia in presenza di un locale abitabile”, conseguendone invero una ragione in più per ordinarne la demolizione ad evitarne utilizzi impropri, anche solo potenziali, ovvero in base all’ulteriore assunto, formulato in via apodittica senza alcun concreto riscontro tecnico, della necessità dell’intervento, nella consistenza avutasi, in ragione “del mutamento del verso di salita delle rampe
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 14.04.2010 n. 1973 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASul ripristino dello stato dei luoghi nel caso di abuso edilizio in zona paesaggisticamente vincolata.
In generale, l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi (nel caso di abusi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata) è in re ipsa poiché “la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali” (cfr., C. Cost. ord.za 12/20.12.2007 nr. 439 nonché C.Cost. 07.11.2007 nr. 367 sul valore primario ed assoluto del paesaggio) "elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa” (Tar Campania, questa sezione sesta, sentenza n. 4844/2008), fermo comunque che, in presenza della operata qualificazione delle opere realizzate e non rilasciabile a sanatoria il titolo abilitativo paesaggistico, alcuno spazio era comunque rinvenibile per far luogo alla sola sanzione pecuniaria (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 14.04.2010 n. 1973 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La nozione di ripa presuppone l’immediata contiguità di questa con la strada, onde ove il requisito della contiguità viene a mancare, in quanto tra la strada ed il fondo altri terreni si frappongono, è ai proprietari di questi fondi che deve essere addebitato il mancato rispetto degli obblighi stabiliti dall’art. 31 del codice della strada.
Il ricorso in esame è rivolto avverso l’ordinanza contingibile e urgente n. 21/2003 prot. 8239 in data 14.11.2003 recante ordine di provvedere alla messa in sicurezza entro 48 ore dalla notifica dell’ordinanza il tratto di terreno interessato dal distacco dei massi che hanno provocato lo smottamento procedendo successivamente alla pulizia ripristino della strada e delle strutture danneggiate.
L’art 31 del codice della strada, rubricato, manutenzione delle ripe, stabilisce: “1. I proprietari devono mantenere le ripe dei fondi laterali alle strade, sia a valle che a monte delle medesime, in stato tale da impedire franamenti o cedimenti del corpo stradale, ivi comprese le opere di sostegno di cui all'art. 30, lo scoscendimento del terreno, l'ingombro delle pertinenze e della sede stradale in modo da prevenire la caduta di massi o di altro materiale sulla strada. Devono altresì realizzare, ove occorrono, le necessarie opere di mantenimento ed evitare di eseguire interventi che possono causare i predetti eventi.
2. Chiunque viola le disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 155 a Euro 624.
3. La violazione suddetta importa a carico dell'autore della violazione la sanzione amministrativa accessoria del ripristino, a proprie spese, dello stato dei luoghi, secondo le norme del capo I, sezione II, del titolo VI
”.
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la nozione di ripa presuppone l’immediata contiguità di questa con la strada, onde ove il requisito della contiguità viene a mancare, in quanto tra la strada ed il fondo altri terreni si frappongono, è ai proprietari di questi fondi che deve essere addebitato il mancato rispetto degli obblighi stabiliti dall’art. 31 (Cass. civ. III, 02.08.2002 n. 10112).
Ne consegue che illegittimamente l’ordinanza de qua è stata emessa nei confronti del ricorrente atteso che tra il fondo di proprietà di quest’ultimo e la strada si interpone il fondo di proprietà di altro soggetto (TAR Liguria, sentenza 14.04.2010 n. 1661 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICATRASFORMAZIONE DA ZONA AGRICOLA A ZONA RESIDENZIALE-COMMERCIALE: CHI E COME SI PUO' RICORRERE A TUTELA DELL'AMBIENTE.
1. Giudizio amministrativo - Procedura - Legittimazione - Attiva - Associazioni di protezione ambientale - Strutture territoriali - Non sussiste - Ragioni.
2. Giudizio amministrativo - Procedura - Legittimazione - Attiva - Concessione edilizia - Proprietario di immobile sito in zona interessata dalla costruzione -Sussiste.
3. Piani urbanistici - Regolatore generale - Impugnazione - Inammissibilità - In caso di mancata notifica alla Regione - Sussistenza - Ragioni.

1. La speciale legittimazione delle associazioni di protezione ambientale a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi, riconosciuta dall'art. 18, L. n. 349/1986, riguarda l'associazione ambientalistica nazionale formalmente riconosciuta e non le sue strutture territoriali, che non possono ritenersi munite di autonoma legittimazione processuale neppure per l'impugnazione di provvedimenti ed efficacia territorialmente limitata.
Ed infatti, il carattere nazionale o ultraregionale dell'Associazione costituisce al tempo stesso presupposto del riconoscimento e limite della legittimazione speciale, che ha dunque carattere ontologicamente unitario.
Solo l'Associazione nazionale in quanto tale è dunque titolare ex lege, proprio in virtù delle caratteristiche che ne consentono il riconoscimento, della legittimazione alla causa e solo questa è giusta parte anche nel caso di giudizio introdotto dall'impugnazione di provvedimenti ad effetti ambientali circoscritti (Cons. Stato, sez. IV, 14-04-2006 n. 2151; vedi anche cfr. TAR Veneto, sez. II, 26-02-2007 n. 513).
2. La legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V, 07-05-2008 n. 2086; Cons. Stato, sez. IV, 12-09-2007 n. 4821; Cons. Stato, sez. V, 05-02-2007 n. 452).
3. Il ricorso avverso le disposizioni di P.R.G. deve essere notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in considerazione della natura complessa dell'atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva.
L'omesso assolvimento di tale onere implica l'inammissibilità del ricorso, per la sua mancata notificazione a una delle autorità emananti (Cons. Stato, sez. V, 19-05-1998 n. 616) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.04.2010 n. 1323 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAOve risulti dal progetto del piano esecutivo che si voglia effettuare una attività vietata dalle prescrizioni di livello superiore, il Sindaco può senz'altro respingere l'istanza e non investire il Consiglio comunale, le cui valutazioni -nel corso dello specifico procedimento- non potrebbero comunque porsi con esse in contrasto.
Ove invece il progetto superi tale vaglio di conformità, le ulteriori determinazioni spettano al Consiglio comunale, che può pronunciarsi su tutti i suoi aspetti, in ordine ai profili riguardanti le modifiche del territorio e l'assetto dei rapporti col richiedente.

L'art. 43 della L.R. Piemonte n. 56 del 1977 ha distinto in due fasi il procedimento di valutazione dei progetti di piani esecutivi convenzionati.
Nella prima, il Sindaco esamina se vi sia la compatibilità tra il progetto del piano esecutivo, e dei suoi allegati, con la normativa vigente e con gli strumenti di pianificazione delle aree in questione (siano essi di rilievo urbanistico, paesaggistico o comunque previsti dalla legislazione speciale). Nella fase del riscontro della normativa applicabile, anche in base ai princìpi di efficienza e del buon andamento, il Sindaco può riscontrare la sussistenza di ragioni radicalmente preclusive all'accoglimento del progetto, costituite dal riscontrato contrasto con un atto di pianificazione.
Il relativo potere si caratterizza per la sua natura essenzialmente vincolata, nel senso che -ove risulti dal progetto del piano esecutivo che si voglia effettuare una attività vietata dalle prescrizioni di livello superiore- il Sindaco può senz'altro respingere l'istanza e non investire il Consiglio comunale, le cui valutazioni -nel corso dello specifico procedimento- non potrebbero comunque porsi con esse in contrasto.
Ove invece il progetto superi tale vaglio di conformità, le ulteriori determinazioni spettano al Consiglio comunale, che può pronunciarsi su tutti i suoi aspetti, in ordine ai profili riguardanti le modifiche del territorio e l'assetto dei rapporti col richiedente (Cons. St. sez. VI 16.02.2005 n. 500)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 09.04.2010 n. 1752 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAL’approvazione del piano di lottizzazione, pur se conforme al piano regolatore generale, non è atto dovuto ma costituisce sempre espressione del potere discrezionale dell’autorità (a livello comunale o regionale) chiamata a valutare l’opportunità di dare attuazione –in un certo momento ed in certe condizioni– alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità ma non di formale coincidenza.
Pacifica giurisprudenza, in relazione ai piani attuattivi, ha puntualizzato che: “l’approvazione del piano di lottizzazione, pur se conforme al piano regolatore generale, non è atto dovuto ma costituisce sempre espressione del potere discrezionale dell’autorità (a livello comunale o regionale) chiamata a valutare l’opportunità di dare attuazione –in un certo momento ed in certe condizioni– alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità ma non di formale coincidenza” (Cons. St. sez. IV n. 248 del 2008); affermando il suddetto principio il giudice d’appello ha escluso, in capo agli aspiranti all’approvazione del piano esecutivo, persino di una “concreta aspettativa”, neppure prospettandosi la ben più radicale tesi della natura di atto dovuto dell’approvazione, prospettata in ricorso.
Pare dunque evidente come non sia sostenibile la natura di atto dovuto dell’approvazione.
Per contro, pur presentandosi l’approvazione del piano ampiamente discrezionale, è corretto che l’atto, anche di eventuale diniego come quello impugnato, non possa prescindere da una motivazione. Seppure infatti la materia urbanistica veda la pianificazione generale normalmente sottrarsi a specifici oneri di motivazione, altra è la soluzione nell’ipotesi, come quella per cui è causa, di specifiche istanze riguardanti specifici soggetti interessati da un particolare intervento urbanistico di carattere attuativo. D’altro canto che l’atto impugnato fosse soggetto ad un onere di motivazione, correttamente, non è neppure posto in dubbio dall’amministrazione resistente che sostiene la sussistenza di una idonea motivazione dell’atto, dando sostanzialmente per scontato che tale motivazione fosse necessaria
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 09.04.2010 n. 1752 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOSOSPENSIONE CAUTELARE DEL PUBBLICO DIPENDENTE.
1. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - Rapporti con il giudizio penale - Sospensione cautelare - Natura - Conseguenze - Ragioni.
2. Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - Rapporti con il giudizio penale - Conclusione di quest'ultimo - Effetti sull'attività della p.A..

3. Atto amministrativo - Discrezionalità - Obblighi partecipativi - Non sussistono - Casi - Ragioni.
1. Il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio del pubblico dipendente ristretto in vincoli per misure penali è privo di carattere sanzionatorio e, finché dura la misura interdittiva, esso è giustificato dall'impossibilità di esecuzione della prestazione nel periodo della custodia cautelare.
Cessata quest'ultima, il perdurare della sospensione dal servizio acquista ragion d'essere e presupposti diversi, riferibili alla prioritaria esigenza di tutela dell'immagine, del prestigio e, in certi casi, anche della sicurezza dell'Amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 14-05-2003 n. 2557; TAR Basilicata Potenza, sez. I, 09-07-2008 n. 384).
2. E' pacifico che, quando il dipendente pubblico è sospeso dal servizio perché raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare, l'Amministrazione datrice non sia obbligata a riammetterlo automaticamente in servizio, al momento in cui venga meno la misura interdittiva.
Viceversa, l'Amministrazione deve effettuare una valutazione discrezionale di fatti e comportamenti ascritti alla responsabilità del proprio dipendente e, in relazione alla gravità dei medesimi, potrà decidere di non riammetterlo in servizio, per evitare che la riammissione rechi turbamento o nocumento all'attività pubblica e l'eventuale risonanza ambientale nuoccia all'immagine di essa (TAR Campania Napoli, sez. VI, 03-05-2007 n. 4656).
3. Allorché la sospensione cautelare dal servizio, sia adottata con valutazione discrezionale dell'Amministrazione circa il comportamento posto in essere dal proprio dipendente, in condizioni di urgenza e celerità, stante la preminente esigenza di tutelare gli interessi di rilievo pubblico coinvolti e il prestigio dell'Amministrazione, potenzialmente compromesso dalla condotta del dipendente, è comprensibile come il relativo procedimento non sia gravato dagli obblighi partecipativi e dalle garanzie di cui agli artt. 7 e 8, L. n. 241/1990 (Cons. Stato, sez. VI, 11-01-2010 n. 19) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Molise, sentenza 08.04.2010 n. 176 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Qualora lo strumento urbanistico presenti un contrasto tra quanto indicato nella parte grafica e quanto prescritto dalla parte normativa, deve essere data prevalenza alla statuizione normative rispetto a quella grafica, costituente un’esplicazione della disciplina normativa.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, qualora lo strumento urbanistico presenti un contrasto tra quanto indicato nella parte grafica e quanto prescritto dalla parte normativa, deve essere data prevalenza alla statuizione normative rispetto a quella grafica, costituente un’esplicazione della disciplina normativa (Tar Campania, Napoli, IV, 07/06/2004, n. 9254; Tar Toscana, II, 15/12/1995, n. 720).
Invero, la rappresentazione grafica costituisce parte integrante del regolamento urbanistico solo se sia coerente con le relative norme (Cons. Stato, IV, 13/11/1998, n. 1520; idem, 12/06/2007, n. 3081) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 06.04.2010 n. 932 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini del calcolo del contributo concessorio dovuto per il condono edilizio rileva l’incremento del carico urbanistico derivante dall’abuso edilizio nel suo insieme, ovvero la partecipazione dell’immobile, nella nuova conformazione, all’utilità derivante dall’urbanizzazione esistente.
Ai fini del calcolo del contributo concessorio dovuto per il condono edilizio rileva l’incremento del carico urbanistico derivante dall’abuso edilizio nel suo insieme, ovvero la partecipazione dell’immobile, nella nuova conformazione, all’utilità derivante dall’urbanizzazione esistente: ciò giustifica la contestata richiesta economica dell’amministrazione, finalizzata a far partecipare il concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la costruzione, nell’assetto condonato, ne ritrae; non rileva in senso contrario la realizzazione, ultimata da tempo, delle opere di urbanizzazione (Cons. Stato, IV, 24/12/2009, n. 8757) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 06.04.2010 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La modifica, pur limitata, delle aperture esterne ed il parziale spostamento e modifica dei vani interni sono nell’insieme ascrivibili alla ristrutturazione edilizia, definita dall’art. 31, comma 1, lettera d), della legge n. 457/1978, comportando la creazione di un organismo edilizio diverso, in parte, dal manufatto originariamente assentito quanto all’aspetto esterno ed alla distribuzione degli spazi interni.
Con il secondo rilievo le ricorrenti sostengono che le opere in oggetto sono riconducibili alla manutenzione o, tutt’al più, al restauro e risanamento conservativo, e quindi non sono onerose.
L’assunto non è condivisibile.
La modifica, pur limitata, delle aperture esterne ed il parziale spostamento e modifica dei vani interni sono nell’insieme ascrivibili alla ristrutturazione edilizia, definita dall’art. 31, comma 1, lettera d), della legge n. 457/1978, comportando la creazione di un organismo edilizio diverso, in parte, dal manufatto originariamente assentito quanto all’aspetto esterno ed alla distribuzione degli spazi interni (Tar Lazio, Roma, II, 23/09/1991, n. 1414; Tar Toscana, III, 15/04/2002, n. 745), mentre il locale esterno costituisce un ampliamento, o comunque una nuova edificazione.
Né potrebbe sostenersi che detto vano aggiuntivo, contenendo la caldaia, costituisca volume tecnico, non avendo l’istante fornito un principio di prova circa l’impossibilità di ubicare la caldaia medesima all’interno del fabbricato principale e circa il rapporto di proporzionalità tra la superficie del nuovo locale e le esigenze sottese alla realizzazione dell’impianto (Tar Puglia, Lecce, I, 14/08/2003, n. 5492). Peraltro, il vano de quo è destinato anche a ripostiglio (documento n. 14 depositato in giudizio dalla parte ricorrente), il quale non costituisce volume tecnico (Cons. Stato, V, 13/05/1997, n.483) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 06.04.2010 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Non si può utilizzare l'istituto dell'avvalimento per dimostrare di possedere il requisito soggettivo della certificazione di qualità.
La certificazione di qualità costituisce un requisito di natura soggettiva delle imprese per il quale non appare possibile utilizzare l'istituto dell'avvalimento disciplinato dall'art. 49 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici).
E' stato sottolineato, sia dalla giurisprudenza, sia, in sede consultiva, dall'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici, che l'avvalimento è stato previsto limitatamente alla "richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA".
La certificazione di qualità è, invece, da ritenersi requisito soggettivo dell'impresa, preordinato a garantire all'amministrazione appaltante la qualità dell'esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute. Obiettivo che, per essere effettivamente perseguito, richiede necessariamente che la certificazione di qualità riguardi direttamente l'impresa appaltatrice.
Con riferimento ai raggruppamenti temporanei di imprese, il requisito della certificazione di qualità eventualmente richiesto dal bando deve essere posseduto singolarmente da ciascuna impresa del raggruppamento, quantomeno nelle associazioni (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 06.04.2010 n. 665 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAUna serra (soprattutto se di rilevanti dimensioni come quella di specie), ancorché costituita da strutture agevolmente rimovibili destinate a far fronte ad esigenze connesse a coltivazioni ortofruttifere, è soggetta al previo rilascio del permesso di costruire in quanto destinata ad alterare in modo duraturo l'assetto del territorio.
Per giurisprudenza pacifica, è necessario, in ragione dell'incidenza volumetrica e del mutato carico urbanistico, il previo rilascio di un permesso di costruire ogni qualvolta si intenda realizzare un intervento sul territorio comportante la modifica dello stato dei luoghi e, quindi, anche per quei manufatti che, pur non necessariamente infissi al suolo o semplicemente aderenti a quest'ultimo, alterino lo stato dei luoghi in modo definitivo e rilevante e non meramente occasionale (TAR Campania Napoli, sez. VIII, 14.01.2010, n. 95)
Con specifico riferimento alla costruzione di una serra si è affermato che tale opera (soprattutto se di rilevanti dimensioni come quella di specie), ancorché costituita da strutture agevolmente rimovibili destinate a far fronte ad esigenze connesse a coltivazioni ortofruttifere, è soggetta al previo rilascio del permesso di costruire in quanto destinata ad alterare in modo duraturo l'assetto del territorio (Consiglio Stato, sez. IV, 06.03.2006, n. 1119; Consiglio Stato, sez. V, 23.09.2002, n. 4832; TAR Lombardia Brescia, sez. I, 19.11.2009, n. 2223) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 01.04.2010 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza titolo abilitativo e, pertanto, abusive e non necessita di particolare motivazione sull’interesse pubblico in confronto al sacrificio imposto al privato o sulla eventuale sanabilità delle opere.
Gli atti di repressione degli abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata (essendo atti dovuti in assenza del titolo necessario per l'avvenuta trasformazione del territorio), con la conseguenza che, non essendo richiesti (normalmente) apporti partecipativi del soggetto destinatario, non devono essere preceduti da alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento.

L’ordine di demolizione di opere abusive è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza titolo abilitativo e, pertanto, abusive (giurisprudenza costante: fra le tante TAR Campania Napoli, sez. II, n. 2042 del 20.04.2009; TAR Campania Napoli, sez. VI, 14.07.2008 , n. 8761; TAR Campania Napoli, sez. VII, 05.06.2008 , n. 5244; Consiglio Stato, sez. IV, 06.06.2008, n. 2705) e non necessita di particolare motivazione sull’interesse pubblico in confronto al sacrificio imposto al privato o sulla eventuale sanabilità delle opere.
Infatti, ai sensi del comma 2 dell'art. 31 del D.P.R. 380 del 2001, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione delle opere abusive.
Per giurisprudenza pacifica, inoltre, gli atti di repressione degli abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata (essendo atti dovuti in assenza del titolo necessario per l'avvenuta trasformazione del territorio), con la conseguenza che, non essendo richiesti (normalmente) apporti partecipativi del soggetto destinatario, non devono essere preceduti da alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento (TAR Campania Napoli, sez. II, n. 2042 del 20.04.2009; TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.08.2008, n. 9710; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 29.07.2008, n. 9538), anche alla luce di quanto disposto dall'art. 21-octies della legge 07.08.1990 n. 241, introdotto dall'art. 14 della legge 11.02.2005 n. 15, che esclude possa essere annullato un provvedimento qualora sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Consiglio Stato, sez. VI, 06.06.2008, n. 2733)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 01.04.2010 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Può essere legittimamente autorizzato un intervento edificatorio pur in assenza del piano particolareggiato, nel caso in cui il lotto interessato risulta inserito in un contesto già urbanizzato nel senso che il carattere completamente urbanizzato di una zona consente di derogare alla prescrizione del piano regolatore generale che subordina il rilascio del permesso di costruire all'obbligo della previa adozione di uno strumento urbanistico attuativo, sia esso un piano particolareggiato o una lottizzazione convenzionata.
La giurisprudenza ha costantemente ribadito il principio che può essere legittimamente autorizzato un intervento edificatorio pur in assenza del piano particolareggiato, nel caso in cui il lotto interessato risulta inserito in un contesto già urbanizzato (cfr. di recente TAR Puglia Lecce, sez. III, 11.04.2009, n. 715, nel senso che il carattere completamente urbanizzato di una zona consente di derogare alla prescrizione del piano regolatore generale che subordina il rilascio del permesso di costruire all'obbligo della previa adozione di uno strumento urbanistico attuativo, sia esso un piano particolareggiato o una lottizzazione convenzionata (Cons. Stato, sez. V, n. 4411 del 19.07.2008, n. 4276 dell'01.08.2007) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 31.03.2010 n. 5319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI balconi aggettanti sono computabili nel volume solo se costituiscono corpo di fabbrica (cioè aggetti chiusi volti a separare l’ambiente interno da quello esterno) e non quando invece siano aperti su tre lati.
In materia di computo del volume fabbricabile, i balconi aggettanti sono computabili nel volume solo se costituiscono corpo di fabbrica (cioè aggetti chiusi volti a separare l’ambiente interno da quello esterno) e non quando invece siano aperti su tre lati, come affermato da costante giurisprudenza (cfr., di recente, Consiglio di Stato, sez. IV, 07.07.2008, n. 3381) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 31.03.2010 n. 5319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACiò che rende computabili i balconi ai fini della misurazione delle distanze tra fondi finitimi è la loro riconducibilità al concetto di costruzione edilizia, comportando essi un ampliamento della consistenza dell'edificio tale da doversi senz'altro considerare nel calcolo delle distanze legali.
In merito alla distanza minima di 10 mt. tra fabbricati, il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della predetta distanza solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò.

Al riguardo va ricordato che, come affermato da costante giurisprudenza, ai fini del computo delle distanze, assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti ed oggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all'interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell'igiene.
Infatti, ciò che rende computabili i balconi ai fini della misurazione delle distanze tra fondi finitimi è la loro riconducibilità al concetto di costruzione edilizia, comportando essi un ampliamento della consistenza dell'edificio tale da doversi senz'altro considerare nel calcolo delle distanze legali (TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 06.04.2009, n. 432).
La giurisprudenza ha ormai chiarito la natura di norma di ordine pubblico dell’art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, che prescrive la distanza minima di 10 mt. lineari tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, precisando tuttavia che il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della predetta distanza solo nel caso in cui una norma di piano preveda ciò (TAR Liguria Genova, sez. I, 10.07.2009, n. 1736) ed ha altresì precisato che i muri di contenimento non possono essere considerati “costruzioni” ai fini della disciplina della distanze (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2954 del 13.6.2008) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 31.03.2010 n. 5319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’espressione legislativa “titolo per richiederlo” (il permesso di costruire) è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un’attività costruttiva.
Tale posizione soggettiva non coincide con il solo diritto di proprietà, ma anche con altri diritti reali o addirittura personali di godimento, purché attribuiscano al titolare la facoltà di attuare interventi sull’immobile.

Come noto, l’art. 35, comma 1, della legge regionale 12/2005 –riprendendo analoga formulazione dell’art. 11 del DPR 380/2001– stabilisce che il permesso di costruire venga rilasciato <<al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo>> e l’espressione legislativa “titolo per richiederlo” è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un’attività costruttiva (Consiglio di Stato, sez. IV, 15.02.1985, n. 47 e sez. V, 15.03.2001, n. 1507).
Tale posizione soggettiva non coincide con il solo diritto di proprietà, ma anche con altri diritti reali o addirittura personali di godimento, purché attribuiscano al titolare la facoltà di attuare interventi sull’immobile (Consiglio di Stato, sez. V, 28.05.2001, n. 2882).
Tenuto conto, pertanto, che la mancanza della proprietà o di altro titolo idoneo preclude il rilascio del permesso di costruire, l’Amministrazione comunale è chiamata allo svolgimento di un’attività istruttoria, per accertare la sussistenza del titolo legittimante.
Tuttavia, al Comune spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia (giurisprudenza pacifica: si vedano Consiglio di Stato, sez. V, 04.02.2004, n. 368 e la sentenza di questo Tribunale, sezione II, n. 1157 del 06.02.2009, per la quale: <<L'amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia -anche se questa è sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi- e se il titolo non viene provato è legittimo che il rilascio della concessione venga negato.
Tale principio è desumibile dall'art. 4 comma 1, l. 28.01.1977 n. 10, secondo cui la "concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla", come confermato dall'art. 11, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 in base al quale "il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo".
Per cui, la verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto, anche se deve escludersi un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in considerazione, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria dell'immobile
>>) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANessun affidamento può essere invocato da chi abbia conseguito un provvedimento favorevole in base ad una rappresentazione errata della realtà; e l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia non richiede la presenza di un interesse pubblico attuale e concreto, a giustificazione del ricorso all'autotutela, quando il rilascio della concessione sia derivato da un'erronea rappresentazione dei fatti.
Per giurisprudenza costante, nessun affidamento può essere invocato da chi abbia conseguito un provvedimento favorevole in base ad una rappresentazione errata della realtà; e l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia –implicito nel provvedimento impugnato, che dispone di ricondurre il sottotetto non nello stato “condonato” (nel 1990), ma in quello assentito con la licenza edilizia originaria (del 1963)- non richiede la presenza di un interesse pubblico attuale e concreto, a giustificazione del ricorso all'autotutela, quando il rilascio della concessione sia derivato da un'erronea rappresentazione dei fatti (non importa se dolosa o colposa) da parte del privato richiedente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24.12.2008 n. 6554; Sez. V, 29.09.1999 n. 1213; Cons. giust. amm. 27.10.2006 n. 588)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI requisiti di abitabilità dei sottotetti sono stabiliti da una fonte primaria (l.r. Lombardia 11.03.2005 n. 12 per il governo del territorio), non derogabile neppure in sede di condono (cioè di sanatoria eccezionale) degli abusi edilizi, posto che l’art. 35 della legge n. 47 del 1985 prevede il rilascio del certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, ma non in deroga a norme legislative.
Come statuito di recente da questo Tribunale (sent. 30.11.2009 n. 5213), i requisiti di abitabilità dei sottotetti sono stabiliti da una fonte primaria (legge regionale 11.03.2005 n. 12 per il governo del territorio), non derogabile neppure in sede di condono (cioè di sanatoria eccezionale) degli abusi edilizi, posto che l’art. 35 della legge n. 47 del 1985 prevede il rilascio del certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, ma non in deroga a norme legislative (cfr., sul tema, Corte Cost. 18.07.1996 n. 256) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.03.2010 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACon la nuova formulazione della legge 241/1990, anche la “dichiarazione” di inizio attività in materia urbanistico-edilizia è stata disciplinata nel senso che, ove non sia stata interdetta nei termini l'esecuzione dell'opera, l'amministrazione, nel caso in cui l'opera edilizia non sia conforme alle disposizioni prescritte per la sua realizzazione, può intervenire sulla situazione così determinatasi -e cioè rimuovere gli effetti dell'atto abilitativo tacito formatosi per effetto del decorso del termine- solo con un atto di autotutela, analogo a quello che sarebbe possibile adottare per rimuovere un'autorizzazione espressa.
Una volta formatosi il titolo edilizio conseguente alla d.i.a., l'intervento in autotutela dell'Amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento.
Ai fini del tempestivo esercizio del potere inibitorio, in materia di d.i.a., è necessario far riferimento al momento in cui l’atto interdittivo venga partecipato al suo destinatario e cioè il termine è osservato soltanto se prima della sua maturazione (30 gg. dalla data di presentazione della d.i.a. al protocollo comunale) l'atto sia non soltanto adottato, ma anche notificato.

Deve essere condivisa la censura con cui il ricorrente deduce l’intervenuta estinzione del potere inibitorio riservato all’Amministrazione nel caso di interventi edilizi realizzabili con d.i.a..
Al riguardo, è utile osservare che, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, della legge 241/1990, come sostituito dall'articolo 3 del d.l. 35/2005, convertito in legge 80/2005, applicabile ratione temporis alla vicenda in esame, “l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione (...) adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione stessa, in ogni caso non inferiore a 30 giorni”.
La giurisprudenza più recente (cfr. TAR Campania, Napoli, II, 07.03.2008, n. 1167; TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 02.10.2007, n. 2253) ritiene che con la nuova formulazione della legge 241/1990, anche la “dichiarazione” di inizio attività in materia urbanistico-edilizia sia stata disciplinata nel senso che, ove non sia stata interdetta nei termini l'esecuzione dell'opera, l'amministrazione, nel caso in cui l'opera edilizia non sia conforme alle disposizioni prescritte per la sua realizzazione, può intervenire sulla situazione così determinatasi -e cioè rimuovere gli effetti dell'atto abilitativo tacito formatosi per effetto del decorso del termine- solo con un atto di autotutela, analogo (anche per quanto riguarda i presupposti ed il modus procedendi) a quello che sarebbe possibile adottare per rimuovere un'autorizzazione espressa.
In altri termini, una volta formatosi il titolo edilizio conseguente alla d.i.a., l'intervento in autotutela dell'Amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento (cfr. TAR Sicilia, Catania, I, 09.01.2008, n. 74).
Ai fini del tempestivo esercizio del potere inibitorio è necessario far riferimento al momento in cui l’atto interdittivo venga partecipato al suo destinatario.
Sul punto, vale richiamare il tenore della disposizione normativa di riferimento –art. 23, comma 6, del d.p.r. 380/2001- secondo cui “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento….”.
Ad una piana lettura della richiamata disposizione, appare, invero, dirimente il chiaro tenore del contenuto precettivo della disposizione di riferimento, dal quale si evince la natura recettizia del provvedimento de quo, sicché il dies ad quem è rappresentato dalla sua notifica, nel senso che il termine è osservato soltanto se prima della sua maturazione l'atto sia non soltanto adottato, ma anche notificato (cfr. TAR Campania, Napoli, Sezione II, n. 2093 dell’11.04.2008; idem, 25.06.2005, n. 8707)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 30.03.2010 n. 1725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa disciplina delle distanze legali tra costruzioni di cui all'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 è applicabile anche alle sopraelevazioni e nel caso di edifici pubblici.
E' noto infatti che la disciplina delle distanze legali tra costruzioni di cui all'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 è applicabile anche alle sopraelevazioni.
La fattispecie riguarda la costruzione della sede centrale del Comando provinciale dei Vigili del fuoco.
In mancanza di una disposizione delle norme attuative del P.R.G. che, per la zona SP, detti una speciale disciplina sulle distanze delle opere di interesse statale dalle altre costruzioni, debbono dunque trovare diretta applicazione i limiti di cui all’art. 9, comma 1, n. 2, del D.M. 02.04.1968, n. 1444, il quale trae dall'art. 41-quinquies della legge urbanistica la forza di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni (Cons. di St., V, 26.10.2006, n. 6399; cfr. anche TAR Liguria, I, 30.6.2009, n. 1621; id., 19.12.2006, n. 1711; id., 07.07.2005, n. 1027).
Ed è appena il caso di osservare che, quand’anche la deroga alle prescrizioni spaziali contenuta nell’art. 19 delle N.T.A. del P.R.I.S. dovesse ritenersi applicabile anche alle opere di interesse statale (il che pacificamente non è, non rientrando lo Stato tra gli enti locali territoriali), la disposizione, di natura regolamentare, dovrebbe essere disapplicata perché in contrasto con il D.M. 02.04.1968, n. 1444, che trae dall’art. 41-quinquies, comma 8, della L. 17.08.1942, n. 1150 la natura di norma primaria (in tal senso Cons. di St., IV, 05.12.2005, n. 6909), ad essa sovraordinata.
E’ noto infatti che il giudice amministrativo, in conformità al principio di gerarchia delle fonti, anche in sede di giurisdizione generale di legittimità ha il potere di disapplicare un regolamento non conforme a legge (TAR Lombardia, IV, 18.07.2007, n. 5424)
(TAR Liguria, sentenza 26.03.2010 n. 1235 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive resta essenzialmente la constatata realizzazione dell’opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), con la conseguenza che nella ricorrenza del predetto requisito l’ingiunzione demolitoria costituisce praticamente un atto dovuto.
L'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può essere emanata nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, considerando che l’abuso edilizio costituisce un illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto.
La repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
Per giurisprudenza costante “l’eventuale compatibilità delle opere con la normativa urbanistica vigente non può assumere efficacia dirimente in assenza di un’istanza di sanatoria, potendo tale profilo assumere precipuo rilievo, ai fini dell’accertamento di conformità in sede di procedura di sanatoria dell’opera abusiva, ma non potendo esso costituire –come è ovvio– un implicito surrogato dell’assenso edilizio concretamente non rilasciato; del resto, va aggiunto per inciso, chi ha costruito senza concessione, seppur in conformità allo strumento urbanistico vigente, non gode nemmeno di un’aspettativa alla sanatoria (che, si ribadisce, nella specie non risulta peraltro essere stata richiesta) incondizionata e illimitata nel tempo.
Per questo motivo, ed è elemento direttamente connesso alle lagnanze dei ricorrenti, la conformità urbanistica non costituisce elemento che porta di per sé a declassare l’interesse pubblico a reagire contro l’abuso edilizio, con le conseguenze del caso sotto il profilo del corredo motivazionale del provvedimento ingiuntivo contestato.
Più in generale, va ribadito che il presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive resta essenzialmente la constatata realizzazione dell’opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), con la conseguenza che nella ricorrenza del predetto requisito l’ingiunzione demolitoria costituisce praticamente un atto dovuto
” (Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 3443/2002).
Quanto al profilo della valutazione degli interessi urbanistici ed ambientali, i provvedimenti che irrogano sanzioni previste dalla legge in materia edilizia non necessitano in generale di alcuna specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico a disporre il ripristino della situazione conforme a legge, con la sola eccezione che di seguito verrà specificamente affrontata, in cui tra l’illecito e la sanzione demolitoria sia decorso un notevole lasso di tempo (TAR Veneto, Sez. II - sentenza 13.03.2008 n. 605; TAR Veneto, Sez. II - sentenza 26.02.2008, n. 454; TAR Lombardia-Milano, Sez. II - sentenza 08.11.2007 n. 6200), né il Comune ha discrezionalità nello stabilire le sanzioni derivanti dall’inosservanza della normativa urbanistica e di tutela ambientale.
Oggetto del ricorso è l’ingiunzione di demolizione che, come noto, può essere emanata anche nei confronti del proprietario estraneo all’abuso, e non la successiva ed eventuale acquisizione, soltanto preannunciata nel provvedimento de quo.
Infatti, per giurisprudenza costante, l’ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può essere emanata nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, considerando che l’abuso edilizio costituisce un illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto (cfr. ex multis TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 08.08.2008, n. 1649).
Nel provvedimento de quo, peraltro, la ricorrente è indicata non solo quale soggetto responsabile ma anche correttamente quale proprietaria, per cui l’eventuale erroneità dell’indicazione della stessa quale responsabile, risulta del tutto irrilevante potendo il provvedimento legittimante fondarsi sull’altro presupposto, del pari indicato nel provvedimento, della proprietà dell’immobile abusivo.
Per un orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, seguito di recente da questa Sezione (cfr. TAR Campania–Napoli, Sez. IV, n. 2357 del 05.05.2009) la repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi.
In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (C.d.S., Sez. V, 04.03.2008, n. 883; C.d.S. Sez. V, n. 3270/2006)
(TAR Campania-Napolil, Sez. IV, sentenza 23.03.2010 n. 1563 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGOMalato, ma non era a casa. Scusato: stava da mamma.
Il lavoratore assente per malattia, che non si fa trovare in casa dal medico fiscale, non è sanzionabile se è andato a fare visita alla madre ricoverata in ospedale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la sentenza 09.03.2010 n. 5718.
La pronuncia fornisce un ulteriore chiarimento su come debba interpretarsi la normativa che prevede la trattenuta dell'intera giornata di retribuzione per chi si assenta durante le ore di reperibilità. E si aggiunge a un'altra sentenza, emanata dalla Corte costituzionale, con la quale è stato stabilito che la trattenuta non può essere disposta fino a quando il medico fiscale non abbia fatto un ulteriore tentativo e che anche questo sia andato a vuoto (78/88).
La Cassazione, peraltro, fin dal 2004 ha spiegato che l'assenza alla visita di controllo, per non essere sanzionata dalla perdita del trattamento economico di malattia «può essere giustificata, oltre che dal caso di forza maggiore, da ogni situazione la quale, ancorché non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale dell'assicurato, secondo un accertamento riservato al giudice del merito (n. 22065/2004)».
Ma questa volta si è spinta a decidere anche nel merito, rigettando il ricorso e chiarendo ulteriormente che fornire assistenza alla propria madre ricoverata in un centro specialistico di riabilitazione e «priva di altro sostegno morale in quanto divorziata e senza altri familiari» configura un'esigenza di solidarietà e di vicinanza familiare senz'altro meritevole di tutela nell'ambito dei rapporti etico-sociali garantiti dalla Costituzione (art. 29). E comunque il lavoratore aveva anche spiegato che l'orario di visita presso il centro sanitario coincideva con quello di reperibilità.
La posizione assunta dalle magistrature superiori consente di trarre alcune conclusioni.
In primo luogo, è illegittima la trattenuta della giornata di retribuzione se il medico fiscale non dimostra di avere fatto almeno due tentativi, andati a vuoto, in orari diversi per rintracciare il lavoratore assente. E in ogni caso se l'irreperibilità è dovuta a forza maggiore o alla necessità di soddisfare un interesse meritevole di tutela, l'assenza è comunque giustificata (articolo ItaliaOggi del 27.04.2010, pag. 37).

ATTI AMMINISTRATIVI: Associazioni ambientalistiche: il ricorso deve provenire dalla rappresentanza nazionale.
Il Consiglio di Stato ha definitivamente fissato il principio secondo cui la legittimazione ad “intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi”, prevista dall’ art. 18 della legge n. 349/1986, spetta alla sola associazione ambientalistica nazionale -destinataria del decreto di individuazione di cui all’art. 13 della legge citata- e non alle sue strutture territoriali, le quali non possono ritenersi munite di autonoma legittimazione neppure per l'impugnazione di un provvedimento ad efficacia territorialmente limitata.
Nemmeno un eventuale disposizione dello statuto dell’associazione o un accordo fra gli associati potrebbe portare a derogare lo speciale regime pubblicistico sulla legittimazione ad agire, che discende dall’art. 13 della legge n. 349/1986 e dal provvedimento ministeriale attuativo.
Di più: la carenza di legittimazione all’impugnativa non può neppure "formare oggetto di sanatoria in virtù di successivo atto di ratifica". Questa potrebbe infatti intervenire a convalida del difetto di rappresentanza organica della persona fisica che ha promosso la lite, ma non al fine di conferire, sul piano sostanziale, la legittimazione alla contestazione dell’atto di rilievo ambientale ad ente che ne è privo, essendo la titolarità dell’ azione -nei limiti e per l’ oggetto individuato dall’ art. 18 comma quinto, della legge n. 349/1986– riservata alle sole associazioni selezionate ai sensi dell’ art. 13 della legge medesima.
La sentenza ha condannato Legambiente alla rifusione delle spese di giudizio (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.03.2010 n. 1410 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Alla lavoratrice madre o al lavoratore padre di figli con handicap in situazione di gravità, deve riconoscersi il diritto ad usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale, di due ore di permesso giornaliero retribuito per ciascun bambino rientrante in tale categoria fino al compimento del terzo anno di vita.
La Corte Suprema di Cassazione ha deciso che alla lavoratrice madre o al lavoratore padre di figli con handicap in situazione di gravità, deve riconoscersi il diritto ad usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale, di due ore di permesso giornaliero retribuito per ciascun bambino rientrante in tale categoria fino al compimento del terzo anno di vita.
Il principio espresso dalla Cassazione trae origine dalla vicenda di un lavoratore, padre di due gemelli riconosciuti portatori di handicap in situazione di gravità, a cui è stato negato, dal datore di lavoro, il diritto ad usufruire di due permessi giornalieri retribuiti ai sensi dell'art. 33 della legge 104/1992 e dell'art. 42 del decreto legislativo 151/2001.
La Corte ha motivato la sua decisione sostenendo che, se fosse limitata l'assistenza a sole due ore si creerebbe una irragionevole disparità di trattamento, che non era nelle intenzioni del legislatore, rispetto all'ipotesi di pluralità di bambini non svantaggiati, per i quali viene prevista all'art. 41 del D.Lgs. 151/2001 la moltiplicazione dei periodi di riposo giornaliero.
La sentenza riveste notevole importanza a seguito della riforma del processo civile che consente alla Cassazione di dichiarare inammissibili i ricorsi contro sentenze che decidono in conformità ai principi di diritto enunciati dalla Cassazione stessa, in pratica una volta che la Cassazione ha deciso in un modo, se le vengono sottoposte questioni analoghe può limitarsi a rigettarle (Corte di Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 25.02.2010 n. 4623).

EDILIZIA PRIVATAChi ha costruito senza concessione, seppur in conformità allo strumento urbanistico vigente, non gode di un’aspettativa alla sanatoria incondizionata e illimitata nel tempo.
Il presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive resta essenzialmente la constatata realizzazione dell’opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), con la conseguenza che nella ricorrenza del predetto requisito l’ingiunzione demolitoria costituisce praticamente un atto dovuto.
L’indicazione dell’area di sedime non costituisce elemento essenziale dell’ingiunzione di demolizione ma solo dell’ordinanza di acquisizione.
L’ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può essere emanata nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, considerando che l’abuso edilizio costituisce un illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto.
La repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi. In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.

Per giurisprudenza costante “l’eventuale compatibilità delle opere con la normativa urbanistica vigente non può assumere efficacia dirimente in assenza di un’istanza di sanatoria, potendo tale profilo assumere precipuo rilievo, ai fini dell’accertamento di conformità in sede di procedura di sanatoria dell’opera abusiva, ma non potendo esso costituire –come è ovvio– un implicito surrogato dell’assenso edilizio concretamente non rilasciato; del resto, va aggiunto per inciso, chi ha costruito senza concessione, seppur in conformità allo strumento urbanistico vigente, non gode nemmeno di un’aspettativa alla sanatoria (che, si ribadisce, nella specie non risulta peraltro essere stata richiesta) incondizionata e illimitata nel tempo. Per questo motivo, ed è elemento direttamente connesso alle lagnanze dei ricorrenti, la conformità urbanistica non costituisce elemento che porta di per sé a declassare l’interesse pubblico a reagire contro l’abuso edilizio, con le conseguenze del caso sotto il profilo del corredo motivazionale del provvedimento ingiuntivo contestato. Più in generale, va ribadito che il presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive resta essenzialmente la constatata realizzazione dell’opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), con la conseguenza che nella ricorrenza del predetto requisito l’ingiunzione demolitoria costituisce praticamente un atto dovuto” (Consiglio di Stato sez. V, sentenza n. 3443/2002).
Per giurisprudenza costante l’indicazione dell’area di sedime non costituisce elemento essenziale dell’ingiunzione di demolizione ma solo dell’ordinanza di acquisizione: “siffatta specificazione è elemento essenziale del provvedimento di accertamento della mancata ottemperanza alla demolizione: la legge n. 47 del 1985 ha infatti distinto, nell’ambito dell’articolo 7, i due atti, di ingiunzione e acquisitivo, basando il primo sul presupposto dell’abuso, con il contenuto proprio della contestazione della trasgressione e dell’ordine di demolizione, e, il secondo, sul presupposto della verifica di inottemperanza al primo, con l’effetto proprio dell’acquisizione. Requisiti dell’ingiunzione di demolizione sono perciò l’esistenza della condizione che la rende vincolata, cioè l’accertata esecuzione di opere abusive, e il conseguente ordine di demolizione, non anche la specificazione puntuale della portata delle successive sanzioni, richiamate nell’atto quanto alla tipologia preordinata dalla legge, ma recate con successivo, eventuale provvedimento” (ex multis C.d.S., Sez. V, 26.01.2000, n. 341; Consiglio di Stato, Sez .IV, 26.09.2008 n. 4659).
Per giurisprudenza costante l’ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può essere emanata nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, considerando che l’abuso edilizio costituisce un illecito permanente e che l’ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto (cfr. ex multis Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 08.08.2008, n. 1649). Nel provvedimento de quo infatti i ricorrenti sono indicati non solo quali soggetti responsabili ma anche quali proprietari, per cui l’eventuale erroneità dell’indicazione degli stessi quali responsabili, risulta del tutto irrilevante potendo il provvedimento legittimante fondarsi sull’altro presupposto, del pari indicato nel provvedimento, della proprietà dell’immobile abusivo.
Per un orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, seguito di recente da questa Sezione (cfr TAR Campania (NA) Sez. IV n. 2357 del 05.05.2009), la repressione dell'abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi.
In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l'esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (C.d.S., Sez. V, 04.03.2008, n. 883; C.d.S. Sez. V, n. 3270/2006)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 29.12.2009 n. 9620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Il provvedimento amministrativo è sufficientemente motivato con il richiamo per relationem ad altro atto che non deve essere allegato al provvedimento medesimo, essendo sufficiente che esso venga reso disponibile, rimettendo cioè la concreta disponibilità all’attivazione dell’interessato a mezzo del diritto di accesso ed eventualmente dei poteri di acquisizione istruttoria propri del giudice in sede giurisdizionale.
Per consolidata giurisprudenza il provvedimento amministrativo è sufficientemente motivato con il richiamo per relationem ad altro atto (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 16.10.2006, n. 6165) che non deve essere allegato al provvedimento medesimo, essendo sufficiente che esso venga reso disponibile, rimettendo cioè la concreta disponibilità all’attivazione dell’interessato a mezzo del diritto di accesso ed eventualmente dei poteri di acquisizione istruttoria propri del giudice in sede giurisdizionale (TAR Sicilia Palermo, sez. I, 23.05.2006, n. 1230).
Ed invero, la mancata allegazione al provvedimento definitivo degli atti presupposti (autonomi o endoprocedimentali) non determina la sua illegittimità, ma al più comporta la non decorrenza dei termini di decadenza
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 29.12.2009 n. 9620 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Insidia stradale e pericolo occulto: l'onere della prova a carico del danneggiato.
Perché possa sussistere una responsabilità ex art. 2043 c.c. da “insidia” in occasione di lavori di scavo e pavimentazione della sede stradale, è necessario che il danneggiato dimostri tanto la pericolosità oggettiva dell'insidia, quanto la sua imprevedibilità e inevitabilità con l'uso della normale diligenza (TRIBUNALE Caltanissetta, Sez. civile, sentenza 19.12.2009 n. 614 - link a www.
altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAL'esercizio dei poteri repressivi in materia di abusi edilizi non incontra alcun termine di decadenza o di prescrizione.
L'interessato ha l'onere di provare le proprie affermazioni circa l'epoca di realizzazione del manufatto abusivo.
I provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, compresa l'ordinanza di demolizione, in quanto atti vincolati, non richiedono una specifica motivazione su puntuali ragioni di interesse pubblico o sulla comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati.
Il Collegio osserva che l'esercizio dei poteri repressivi in materia di abusi edilizi non incontra alcun termine di decadenza o di prescrizione (cfr., ex pluribus, Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.04.2004, n. 2529); l'interessato ha l'onere di provare le proprie affermazioni circa l'epoca di realizzazione del manufatto abusivo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 12.10.1999, n. 1440); i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, compresa l'ordinanza di demolizione, in quanto atti vincolati, non richiedono una specifica motivazione su puntuali ragioni di interesse pubblico o sulla comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati (Cfr. TAR Friuli-Venezia Giulia, 13.12.2006, n. 808) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 05.06.2009 n. 427 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAL'approvazione del piano di lottizzazione, pur se conforme al piano regolatore generale, non è atto dovuto ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell'Autorità (a livello comunale o regionale) chiamata a valutare l'opportunità di dare attuazione -in un certo momento ed in certe condizioni- alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest'ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza.
L'approvazione del piano di lottizzazione, pur se conforme al piano regolatore generale o al programma di fabbricazione, non è atto dovuto, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell'Autorità (a livello comunale o regionale), chiamata a valutare l'opportunità di dare attuazione -in un certo momento ed in certe condizioni- alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest'ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza; pertanto, per evidenti motivi di opportunità, l'attuazione dello strumento generale può essere articolata per tempi, o per modalità, in relazione alle esigenze dinamiche che si manifestano nel periodo di vigenza dello strumento generale (Sez. IV, 02.03.2004, n. 957) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.01.2008 n. 248 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVINon è possibile accordare il risarcimento del danno da ritardo della p.a. nel caso in cui i provvedimenti adottati in ritardo risultino di carattere negativo per colui che ha presentato la relativa istanza di rilascio e le statuizioni in essi contenute siano divenute intangibili per la omessa proposizione di una qualunque impugnativa.
Secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (Ad. Plen. 15.09.2005, n. 7; Sez. VI, 31.01.2006, n. 321), non è possibile accordare il risarcimento del danno da ritardo della p.a. nel caso in cui i provvedimenti adottati in ritardo risultino di carattere negativo per colui che ha presentato la relativa istanza di rilascio e le statuizioni in essi contenute siano divenute intangibili per la omessa proposizione di una qualunque impugnativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.01.2008 n. 248 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7 della l. n. 241/1990, non è richiesta quando il procedimento è stato attivato su istanza di parte.
Non si può annullare il provvedimento afflitto da vizi procedimentali o formali qualora, per il carattere vincolato del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Secondo la costante giurisprudenza (cfr. ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 20.12.2005, n. 7257), la previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7 della l. n. 241/1990, non è richiesta quando il procedimento è stato attivato su istanza di parte.
La norma di cui all’art. 21-octies, comma 2, parte prima, della l. n. 241/1990, com’è noto, esclude che si possa annullare il provvedimento afflitto da vizi procedimentali o formali (tra i quali l’indirizzo giurisprudenziale cui il Collegio ritiene di aderire include anche il vizio di motivazione: TAR Sardegna, Sez. II, 31.03.2006, n. 476; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 08.05.2006, n. 1173) qualora, per il carattere vincolato del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2007 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di abusi edilizi, è legittima l’effettuazione di accertamenti a sorpresa da parte della P.A. qualora le circostanze lo impongano per garantire la genuinità di tali accertamenti.
Si deve considerare legittima l’effettuazione di accertamenti a sorpresa da parte della P.A. qualora le circostanze lo impongano per garantire la genuinità di tali accertamenti (C.d.S., Sez. VI, 18.05.2004, n. 3190) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2007 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lo sbancamento del terreno non può, da solo, essere considerato quale inizio dei lavori, non essendo di per sé idoneo a dimostrare la volontà effettiva del titolare della concessione di realizzare il manufatto assentito.
Per la giurisprudenza consolidata lo sbancamento del terreno non può, da solo, essere considerato quale inizio dei lavori, non essendo di per sé idoneo a dimostrare la volontà effettiva del titolare della concessione di realizzare il manufatto assentito (cfr., ex plurimis, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 11.05.2006, n. 3480; C.d.S., Sez. IV, 03.10.2000, n. 5242) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2007 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’adozione di un nuovo strumento urbanistico non può incidere sulla pretesa del titolare della concessione edilizia ad ottenerne la proroga ex art. 4 l. 10/1977 giacché l’opposta tesi, la quale considera la proroga assoggettabile alla normativa sopravvenuta, non tiene conto dell’eccezionalità del rimedio previsto dall’art. 4 della l. n. 10 cit. rispetto al diverso istituto del rinnovo della concessione scaduta.
Nel caso in cui il provvedimento di proroga della concessione edilizia viene richiesto dopo nuove previsioni dello strumento urbanistico, queste non possono di regola interferire su detta richiesta, alla luce del principio di irretroattività dell’atto amministrativo, né si può applicare l’istituto della salvaguardia, poiché ai fini della proroga la normativa sopravvenuta resta irrilevante, non potendo essa incidere su degli atti validi ed efficaci al momento della sua entrata in vigore.
Il procedimento di rilascio della proroga della concessione ha natura vincolata, essendo il rilascio stesso condizionato all’accertamento della ricorrenza dei relativi presupposti: ciò, sul rilievo che la proroga è atto sfornito di una propria autonomia, che accede all’originaria concessione ed opera soltanto lo spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia, con il corollario, dunque, che dalla natura vincolata del procedimento di rilascio della concessione edilizia non potrebbe non farsi discendere la vincolatività del procedimento di rilascio della proroga di essa.

La giurisprudenza ha chiarito che l’adozione di un nuovo strumento urbanistico non può incidere sulla pretesa del titolare della concessione edilizia ad ottenerne la proroga ex art. 4 cit., giacché l’opposta tesi, la quale considera la proroga assoggettabile alla normativa sopravvenuta, non tiene conto dell’eccezionalità del rimedio previsto dall’art. 4 della l. n. 10 cit. rispetto al diverso istituto del rinnovo della concessione scaduta (TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 08.04.2005, n. 1979).
Invero, nel caso in cui il provvedimento di proroga della concessione edilizia viene richiesto dopo nuove previsioni dello strumento urbanistico, queste non possono di regola interferire su detta richiesta, alla luce del principio di irretroattività dell’atto amministrativo, né si può applicare l’istituto della salvaguardia, poiché ai fini della proroga la normativa sopravvenuta resta irrilevante, non potendo essa incidere su degli atti validi ed efficaci al momento della sua entrata in vigore (TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 03.07.2001, n. 1308).
Al Collegio non sfugge l’utilizzo, nell’art. 4, quarto comma, della l. n. 10/1977, del verbo “potere” a proposito dell’ottenimento della proroga (“…il termine di ultimazione….può essere prorogato…”), cioè del verbo che contraddistingue, nel linguaggio legislativo, la presenza di un potere discrezionale della P.A., né il Collegio ignora che, alla stregua di un orientamento giurisprudenziale, il potere del Comune di valutare la presenza o meno dei requisiti per accordare la proroga avrebbe natura discrezionale (C.d.S., Sez. V, 17.01.2000, n. 283). A tale stregua, non sarebbe quindi applicabile alla fattispecie de qua l’art. 21-octies, comma 2, prima parte, della l. n. 241/1990, che concerne la sola attività vincolata della Pubblica Amministrazione.
In contrario, ritiene tuttavia il Collegio che il procedimento di rilascio della proroga della concessione abbia natura vincolata, essendo il rilascio stesso condizionato all’accertamento della ricorrenza dei relativi presupposti: ciò, sul rilievo che la proroga è atto sfornito di una propria autonomia, che accede all’originaria concessione ed opera soltanto lo spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia (TAR Puglia, Lecce, n. 1979/2005, cit.), con il corollario, dunque, che dalla natura vincolata del procedimento di rilascio della concessione edilizia non potrebbe non farsi discendere la vincolatività del procedimento di rilascio della proroga di essa.
Se ne deduce l’applicabilità, al caso in esame, dell’art. 21-octies, comma 2, prima parte, cit., e quindi la non annullabilità del diniego gravato, tenuto conto:
- della natura vincolata del procedimento di proroga;
- della riconducibilità dei vizi di motivazione alla categoria dei vizi formali ex art. 21-octies cit., e del conseguente potere, in capo al giudice, di analizzare anche profili motivazionali non esplicitati nell’originario provvedimento amministrativo, ma esternati, ad integrazione della motivazione ed in ordine ad elementi già preesistenti, anche in un momento successivo e per opera di un soggetto diverso, ossia del difensore della P.A. (cfr. TAR Sardegna, n. 476/2006, cit.);
- della circostanza che, come già evidenziato, nel caso di specie è palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2007 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICASulla competenza della Soprintendenza ad esprimere il parere su di una lottizzazione.
La competenza delle Soprintendenze ad esprimere pareri in materia di lottizzazione è fissata dall’art. 28 della l. 17.08.1942, n. 1150 (legge urbanistica), come modificata dalla L. 765 del 1967, che al comma secondo dispone: “Nei comuni forniti di programma di fabbricazione ed in quelli dotati di piano regolatore generale fino a quando non sia stato approvato il piano particolareggiato di esecuzione, la lottizzazione di terreni a scopo edilizio può essere autorizzata dal Comune previo nulla osta del provveditore regionale alle opere pubbliche, sentita la sezione urbanistica regionale, nonché la competente soprintendenza”.
L’espressione del parere della Soprintendenza è basato su un giudizio che attiene alla discrezionalità tecnica dell’Amministrazione ed è sindacabile in sede di legittimità solo per difetto di motivazione, illogicità manifesta ed errore di fatto (cfr. ex plurimis Cons. St., VI Sez., n. 1766/2001) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.01.2005 n. 256 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAL’imposizione di vincolo di notevole interesse storico-artistico non è condizionato ad una ponderazione dell’interesse culturale con altri interessi, pubblici e privati, dovendosi riconoscere al primo, in conformità all’art. 9 Cost., un valore assoluto e, quindi, una prevalenza istituzionale.
Costituisce principio affermato in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI sez. n. 4658/00) che l’imposizione di vincolo di notevole interesse storico-artistico non è condizionato ad una ponderazione dell’interesse culturale con altri interessi, pubblici e privati, dovendosi riconoscere al primo, in conformità all’art. 9 Cost., un valore assoluto e, quindi, una prevalenza istituzionale
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.01.2005 n. 256 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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