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AGGIORNAMENTO AL 31.05.2010 |
ã |
CONVEGNI |
Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a
Bergamo per martedì 08.06.2010 co-organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le
istruzioni ivi riportate. |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Il decreto "incentivi" è legge: al
via gli interventi di edilizia libera e "quasi
libera".
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 120 del
25.05.2010 è stato pubblicata la L. 73/2010,
legge di conversione del Decreto "incentivi"
(D.L. 40/2010).
Il Decreto Legge 25.03.2010 n. 40, entrato
in vigore il 26.03.2010, prevede, all'art.
5, la riscrittura dell'art. 6 (Attività
edilizia libera) del D.P.R. 380/2001, Testo
Unico dell'Edilizia.
Inizialmente il D.L. prevedeva la
possibilità di realizzare, senza alcun
titolo abilitativo, gli interventi edilizi
di manutenzione ordinaria e straordinaria
(che non comportano l'aumento del numero
delle unità immobiliari) , "salvo più
restrittive disposizioni previste dalla
disciplina regionale (...)".
In base al testo pubblicato le norme
nazionali prevalgono su quelle regionali
mentre per la manutenzione straordinaria
sarà di nuovo obbligatorio l'intervento del
tecnico.
Il nuovo testo dell'art. 6 del T.U.
dell'edilizia distingue due tipologie di
lavori:
- quelli, realizzabili senza alcun titolo
abilitativo, individuati dal 1° comma
- quelli, per i quali è necessario inviare
una comunicazione preventiva al comune,
individuati dal comma 2°.
Rientrano negli interventi realizzabili
senza alcun titolo abilitativo:
a)
gli interventi di manutenzione ordinaria;
b)
gli interventi volti all'eliminazione di
barriere architettoniche che non comportino
la realizzazione di rampe o di ascensori
esterni, ovvero di manufatti che alterino la
sagoma dell'edificio;
c)
le opere temporanee per attività di ricerca
nel sottosuolo che abbiano carattere
geognostico, ad esclusione di attività di
ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite
in aree esterne al centro edificato;
d)
i movimenti di terra strettamente pertinenti
all'esercizio dell'attività agricola e
le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi
gli interventi su impianti idraulici agrari;
e)
le serre mobili stagionali, sprovviste di
strutture in muratura, funzionali allo
svolgimento dell'attività agricola.
Gli interventi individuati dal comma 2° sono
invece i seguenti:
a)
gli interventi di manutenzione straordinaria
di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b),
ivi compresa l'apertura di porte interne o
lo spostamento di pareti interne, sempre che
non riguardino le parti strutturali
dell'edificio, non comportino aumento del
numero delle unità immobiliari e non
implichino incremento dei parametri
urbanistici;
b)
le opere dirette a soddisfare obiettive
esigenze contingenti e temporanee e ad
essere immediatamente rimosse al cessare
della necessità e, comunque, entro un
termine non superiore a novanta giorni;
c)
le opere di pavimentazione e di finitura di
spazi esterni, anche per aree di sosta, che
siano contenute entro l'indice di
permeabilità, ove stabilito dallo strumento
urbanistico comunale, ivi compresa la
realizzazione di intercapedini interamente
interrate e non accessibili, vasche di
raccolta delle acque, locali tombati;
d)
i pannelli solari, fotovoltaici e termici,
senza serbatoio di accumulo esterno, a
servizio degli edifici, da realizzare al di
fuori della zona A) di cui al Decreto del
Ministro per i lavori pubblici 02.04.1968,
n. 1444;
e)
le aree ludiche senza fini di lucro e gli
elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici.
Per la seconda tipologia di interventi (2°
comma) sarà necessario inviare
preliminarmente al comune una comunicazione
di inizio lavori, cui dovranno essere
allegati:
- i dati identificativi dell'impresa alla
quale si intende affidare la realizzazione
dei lavori;
- una relazione tecnica provvista di data
certa e corredata degli opportuni elaborati
progettuali, a firma di un tecnico
abilitato;
- una dichiarazione del tecnico che asseveri
di non avere rapporti di dipendenza con
l'impresa né con il committente e che i
lavori sono conformi agli strumenti
urbanistici approvati e ai regolamenti
edilizi vigenti e che per essi la normativa
statale e regionale non prevede il rilascio
di un titolo abilitativo.
A differenza di quanto accade per la
presentazione della DIA, non sarà necessario
attendere 30 giorni per avviare i lavori che
potranno avere inizio subito.
Vale la pena sottolineare, inoltre, che per
la denuncia di inizio attività non è
attualmente richiesta né l'apposizione della
data certa sulla relazione tecnica né la
dichiarazione di indipendenza del tecnico
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Il vademecum delle opere provvisionali di
sicurezza.
Le opere provvisionali sono tutte quelle
strutture ed opere provvisorie indipendenti
dalla struttura del fabbricato e che non
faranno parte dell'opera compiuta.
Le OPERE PROVVISIONALI possono suddividersi,
in base al loro utilizzo, in:
- opere di servizio:
- opere di sicurezza;
- opere di sostegno ... (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
I Chiarimenti di Confindustria sul
Rappresentante dei Lavoratori per la
Sicurezza.
A seguito dei quesiti pervenuti da parte di
numerose aziende associate Confindustria
Firenze ha fornito alcuni chiarimenti sulle
disposizioni del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. che
si occupano della figura del Rappresentante
dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).
La sede locale di Confindustria chiarisce
che il RLS è una persona eletta o designata
per rappresentare le esigenze dei lavoratori
nei confronti della direzione aziendale per
quanto concerne gli aspetti della salute e
della sicurezza durante il lavoro.
Il Rappresentante dei Lavoratori per la
Sicurezza è quindi una figura liberamente
individuata dai lavoratori dipendenti in
tutte le aziende o unità produttive e la sua
designazione non costituisce, pertanto, un
adempimento obbligatorio posto a carico del
datore di lavoro.
Nelle aziende (o unità produttive) che
occupano fino a 15 lavoratori, il RLS è di
norma eletto direttamente dai lavoratori al
loro interno oppure è individuato per più
aziende nell'ambito territoriale o del
comparto produttivo ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sicurezza nelle operazioni di rimozione
dei depositi di GPL in serbatoi fissi
interrati.
Con la nota n. 7589 del 06.05.2010 la
Direzione Centrale per la Prevenzione e
Sicurezza Tecnica Area III fornisce
chiarimenti sulla "Rimozione di depositi
di g.p.l. in serbatoi fissi da parte di
ditte terze".
In particolare la nota sottolinea che
durante l'effettuazione di
visite-sopralluogo finalizzate al rilascio
del certificato di prevenzione incendi per
depositi di g.p.l. in serbatoi fissi
interrati di piccola capacità, gli
incaricati dell'accertamento hanno
riscontrato, oltre al deposito interrato
oggetto di richiesta collegato agli impianti
utilizzatori, la presenza di un altro
serbatoio, scollegato, fuori terra,
semplicemente appoggiato e privo di
ancoraggi e protezioni, contenente ancora
g.p.l.
Quest'ultimo serbatoio risultava quello
precedentemente installato, rimosso a cura
di una nuova azienda subentrata per la
fornitura del g.p.l. e proprietaria del
serbatoio per il quale era stata avanzata
richiesta di rilascio di C.P.I.
La nota precisa dunque che: ... (link a
www.acca.it). |
SICUREZZA LAVORO:
La sintesi dei compiti del medico competente.
L'AUSL di Verona ha reso disponibile un
documento dal titolo "la sintesi dei
compiti del medico competente" che
illustra, dettagliatamente, compiti e
responsabilità del medico competente.
Il medico competente collabora con il datore
di lavoro e con il servizio di prevenzione e
protezione alla valutazione dei rischi: ...
(link a www.acca.it). |
ENTI LOCALI:
Energie rinnovabili e risparmio energetico:
avviso di finanziamento dal Ministero dello
Sviluppo Economico.
Nell'ambito dell'attuazione del Programma
Operativo Interregionale (POI) "Energie
rinnovabili e risparmio energetico", il
Ministero dello Sviluppo Economico ha
emanato un avviso di finanziamento
finalizzato ad avviare una procedura ad
evidenza pubblica per la selezione di
progetti di impianti per la produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili su
edifici di proprietà di:
- amministrazioni statali;
- regioni;
- provincie;
- comuni;
- comunità montane delle regioni Campania,
Calabria, Puglia e Sicilia ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Disponibili gli atti del convegno ISPESL - "La
sicurezza degli impianti elettrici e dei
dispositivi medici nelle strutture sanitarie".
Il 10 maggio scorso, a Napoli, si è svolto
il convegno dal titolo "La sicurezza degli
impianti elettrici e dei dispositivi medici
nelle strutture sanitarie".
Nel corso del Convegno sono state illustrate
le disposizioni legislative relative agli
impianti elettrici e ai rischi connessi
all'uso dei dispositivi medici.
In particolare l'attenzione è stata posta
sulla valutazione della sicurezza elettrica
(con particolare riguardo agli aspetti e ai
rischi delle strutture sanitarie) e
sull'individuazione delle principali
criticità relative ai rischi per la salute
derivanti dall'utilizzo delle
apparecchiature elettriche e dall'utilizzo
scorretto dei dispositivi o dall'utilizzo di
dispositivi difettosi.
Questi gli interventi dei relatori nel corso
del convegno: ... (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BUR (e anteprima( |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 24.05.2010 n. 119, suppl. ord. n. 97, "Definizione
dei criteri per determinare il divieto di
balneazione, nonché modalità e specifiche
tecniche per l’attuazione del decreto
legislativo 30 maggio 2008, n. 116, di
recepimento della direttiva 2006/7/CE,
relativa alla gestione della qualità delle
acque di balneazione" (Ministero della
Salute,
decreto
30.03.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 24.05.2010 n. 119, suppl. ord. n. 96, "Piano
nazionale delle misure protettive contro le
emergenze radiologiche" (D.P.C.M.
19.03.2010). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Applicazione del DM 37 del
22.01.2008. Verifica dell’obbligo di
allegare alla domanda di titolo abitativo il
progetto dell’impianto.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente
in ordine alla legittima applicazione del
D.M. (Sviluppo Economico) n. 37 del
22.01.2008 ed in particolare dell’art. 5,
comma 1, laddove parrebbe prevedere (ad
avviso del Comune richiedente) l’obbligo di
allegare alla domanda di titolo abilitativo
edilizio il progetto dell’impianto, sempre
ed indipendentemente dalle caratteristiche
dimensionali e di potenza di esso (Regione
Piemonte,
parere n.
37/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi edificatori nelle zone
agricole.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente
in ordine all'atto di impegno previsto
dall’art. 25, comma 7, L.U.R. per gli
interventi edificatori nelle zone agricole.
(Regione Piemonte,
parere n.
36/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Esonero dal contributo di
costruzione. Art. 17, comma 3, lettera c),
del TU Edilizia.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente
in ordine all'esonero dal contributo di
costruzione previsto dall’art. 17, comma 3,
lett. c), T.U. Edilizia ”per gli
impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti
nonché per le opere di urbanizzazione,
eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici” (Regione
Piemonte,
parere n.
33/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI -
ENTI LOCALI:
R. G. Vaccari,
E' necessario pubblicare all'albo le
deliberazioni immediatamente eseguibili per
renderle efficaci? (link a
http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Studio Legale Spallino,
La ristrutturazione
edilizia in Lombardia - BREVE REPERTORIO DI
GIURISPRUDENZA (Sondrio, 27.05.2010)
(tratto da link a www.studiospallino.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO: Fino
al 2013 progressioni di carriera senza
aumenti. La cura Tremonti mette nel
congelatore la riforma brunetta.
La manovra finanziaria mette in un angolo la
riforma Brunetta. Le conseguenze del
congelamento degli stipendi dei dipendenti
pubblici, compresi anche gli emolumenti
legati ai risultati, a quanto da essi
percepito nel 2010 impone un sostanziale
stop agli effetti che il dlgs 150/2009
intendeva produrre sul merito e
l'efficienza.
Sebbene il testo della manovra non preveda
un'espressa sospensione dell'attuazione del
dlgs 150/2009, gli effetti concreti delle
disposizioni sul contenimento della spesa
per stipendi e il blocco dei contratti fino
al 2013 producono conseguenze
sostanzialmente identiche.
In quanto al blocco dei contratti, verrà a
mancare per quattro anni un elemento
fondamentale della riforma: la
ristrutturazione delle risorse che
ciascun'amministrazione destina alla
contrattazione decentrata, in modo tale che,
come prevede la norma programmatica
contenuta nell'articolo 40, comma 2-bis, del
d.lgs 165/2001, risulti prevalente la parte
del salario accessorio collegata alla
valutazione del merito individuale ...
(articolo
ItaliaOggi del 28.05.2010 - link a www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ O al comune o in regione. Ma la
decadenza può essere promossa anche da
qualsiasi elettore. Il consiglio solleva
l'incompatibilità del sindaco.
Quali adempimenti l'amministrazione comunale
deve adottare a seguito della proclamazione
del sindaco a consigliere regionale?
Spetta al consiglio comunale contestare al
primo cittadino la causa di incompatibilità
sopravvenuta, ai sensi e con le modalità
previste dall'art. 69 del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267.
All'esito della menzionata procedura le
funzioni del sindaco, dichiarato decaduto
dal consiglio comunale saranno svolte, ai
sensi dell'art. 53 Tuel, dal vicesindaco con
contestuale avvio, da parte della prefettura
competente, della procedura di scioglimento
dell'ente ai sensi dell'art. 141 comma l
lett. b) n. 1 Tuel.
Diversamente, nel caso il consiglio comunale
ritenesse non sussistere la causa di
incompatibilità sopravvenuta sarà possibile
esperire ricorso giurisdizionale avverso la
relativa delibera.
Si osserva infine che, indipendentemente
dall'avvio da parte del consiglio comunale
della procedura in argomento, la decadenza
dalla carica di sindaco può essere promossa
ai sensi dell'art. 70 del citato Tuel da
qualsiasi cittadino elettore del comune o da
chiunque altro vi abbia interesse nonché dal
prefetto.
OSSERVATORIO VIMINALE/
Rimborsi per il consigliere
provinciale.
L'amministrazione
provinciale è tenuta a rimborsare ad una
società gli oneri previsti dall'art. 80 del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 nel
caso in cui il consigliere provinciale, per
il quale vengono richiesti i rimborsi,
risulti essere dipendente e al contempo
comproprietario della ditta medesima in
quanto titolare di una quota del 20% del
capitale sociale?
AI fine di rispondere compiutamente al
quesito occorrerà accertare,
indipendentemente dalla circostanza che la
società provvede al versamento dei
contributi previdenziali ed assistenziali,
se il rapporto di lavoro svolto dal
consigliere provinciale presso la società di
cui detiene parte del capitale sociale possa
essere qualificato come rapporto di lavoro
subordinato.
I caratteri distintivi possono essere
individuati, sulla base dell'art. 2094 c.c.
e della contrattazione collettiva, nella
prestazione del proprio lavoro intellettuale
o manuale alle dipendenze e sotto la
direzione dell'imprenditore, nel diritto del
lavoratore a percepire uno stipendio,
nell'essere adibito alle mansioni o funzioni
previste per la qualifica di appartenenza.
Viceversa, qualora il rapporto di lavoro sia
carente di alcuno degli elementi evidenziati
ed il lavoratore in questione, nell'ambito
della società suddetta, sia socio con poteri
di amministrazione e di gestione della
stessa, si ritiene non siano configurabili
gli elementi del rapporto di lavoro
subordinato.
OSSERVATORIO VIMINALE/
Effetti del patteggiamento.
È applicabile l'art. 58 Tuel a un
consigliere comunale che è stato condannato
nel 1992 per il delitto previsto dall'art.
73 del dpr 09/10/1990 n. 309, per illecita
detenzione di sostanze stupefacenti?
L'equiparazione a condanna della sentenza
emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p.,
sancita dall'art. 58, comma 2, del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, è stata
introdotta dalla legge 13.12.1999, n. 475, e
si applica, in base a specifica statuizione
della stessa legge, alle sentenze emesse, in
sede di patteggiamento, successivamente alla
data della sua entrata in vigore.
Pertanto, nell'ipotesi del quesito in esame,
atteso che la sentenza di condanna è stata
emanata anteriormente a tale data, rimane
preclusa l'applicazione delle norme ostative
all'assunzione delle cariche elettive recate
dal citato art. 58 (cfr. Corte di
cassazione, sentenza n. 13356 del 7 ottobre
2000)
(articolo ItaliaOggi del 28.05.2010, pag.
43). |
NOTE,
CIRCOLARI & COMUNICATI |
EDILIZIA PRIVATA:
Le deroghe alle norme di prevenzioni
incendi - Indirizzi sui criteri di
ammissibilità (Ministero
dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del
Fuoco,
nota
20.05.2010 n. 8269 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rimozione di depositi di g.p.l. in
serbatoi fissi interrali da parte di ditte
terze (Ministero
dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del
Fuoco,
nota
06.05.2010 n. 7589 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recinzione di protezione deposito di
bombole di GPL presso impianti stradali di
distribuzione carburanti - Chiarimenti (Ministero
dell'Interno, Dipartimento dei Vigili del
Fuoco,
nota
06.05.2010 n. 7588 di prot.). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Sul regime transitorio degli
affidamenti e delle concessioni di
distribuzione del gas naturale: le scadenze
previste dall'art. 23, I c., del D.L. n. 273
del 2005 non violano il principio di
certezza del diritto.
La Corte di Giustizia, con la decisione del
17.07.2008 nella causa C-347/2006, ha
stabilito sia che la direttiva 2003/55 non
osta alla fissazione da parte degli Stati
membri della durata del periodo transitorio
al termine del quale deve cessare
anticipatamente una concessione di
distribuzione del gas, sia che gli artt. 43
CE, 49 CE e 86, n. 1, CE, non ostano al
prolungamento della durata di esso periodo,
purché esso possa essere considerato
necessario al fine di permettere lo
scioglimento dei rapporti contrattuali a
condizioni accettabili in funzione dello
svolgimento del servizio pubblico e dal
punto di vista economico, il quale ha senso
solo se riferito ad un periodo di
prolungamento temporale significativo,
atteso che un periodo di prolungamento
relativamente breve, non idoneo a comportare
conseguenze sfavorevoli ai singoli o alle
imprese, è da considerare anche non idoneo a
comportare la violazione del principio di
certezza del diritto che la Corte ha
stabilito che fosse meritevole di tutela.
L'art. 23, I c., del D.L. n. 273 del 2005,
ha stabilito che "Il termine del periodo
transitorio previsto dall'art. 15, c., 5,
del decreto legislativo 23.05.2000, n. 164,
è prorogato al 31.12.2007 ed è
automaticamente prolungato fino al
31.12.2009 qualora si verifichi almeno una
delle condizioni indicate al c. 7 del
medesimo art. 15".
Le scadenze previste per il periodo
transitorio prima della emanazione del D.L.
n. 273 del 2005, non sono state variate da
questo in maniera tanto significativa da
comportare conseguenze sfavorevoli, anche
economiche, inaccettabili in capo ai singoli
e alle imprese, perché di entità tale da non
violare il principio di certezza del diritto
che la Corte di Giustizia ha inteso tutelare
con le direttive e la decisione sopra
riportate.
Scopo dell' adozione dell'art. 23 del D. L.
n. 273 del 2005 è stato quello di porre una
disciplina unitaria in tutto il territorio
nazionale in materia di regime transitorio
degli affidamenti e delle concessioni di
distribuzione del gas naturale, al precipuo
scopo di tutelare la libera concorrenza in
materia, per non ingenerare il rischio di
abuso della posizione di privilegio
derivante dal protrarsi dell'esercizio, in
regime di monopolio, del servizio pubblico
locale.
Non vi è dubbio, pertanto, che le previsioni
contenute nel citato art. 23 del D. L. n.
273 del 2005, a prescindere dalla natura di
dettaglio o meno, siano state dettate dallo
Stato a tutela della concorrenza, in materia
riservata alla propria legislazione e senza
incidere sulla potestà legislativa delle
Regioni in materia (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 21.05.2010 n. 3216 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gare, il cessionario non eredita
gli errori. Il Cds: nessuna esclusione per
il cedente.
Non può essere esclusa
da un gara l'impresa che subentra ad una
società che non ha adempiuto agli obblighi
previdenziali, perché il codice dei
contratti nulla afferma in materia di
cessioni d'azienda.
La questione è stata presa in esame dal
Consiglio di Stato, Sez. V, che, con la
sentenza 21.05.2010 n. 3213, ha
approfondito la problematica conseguente al
fatto che il dlgs 163/2006, non contiene
alcuna norma esplicita che preveda, in caso
di cessione d'azienda, il trasferimento alla
cessionaria dei requisiti soggettivi del
cedente. Di conseguenza, va considerato
irrilevante il fatto che il cedente
dell'impresa che aveva partecipato alla gara
avesse un debito tributario e previdenziale
che gli avrebbe inibito la partecipazione
alle gare.
Secondo il Cds, il fatto che in base al
codice contratti «sono esclusi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi, né possono essere
affidatari di subappalti, e non possono
stipulare i relativi contratti i soggetti
che hanno commesso violazioni,
definitivamente accertate, rispetto agli
obblighi relativi al pagamento delle imposte
e tasse secondo la legislazione italiana o
dello Stato in cui sono stabiliti».
Perché a tal proposito, spiega la sentenza,
«in materia di procedure ad evidenza
pubblica le clausole di esclusione poste
dalla legge o dal bando in ordine alle
dichiarazioni cui è tenuta la impresa
partecipante alla gara sono di stretta
interpretazione, dovendosi dare esclusiva
prevalenza alle espressioni letterali in
esse contenute restando preclusa ogni forma
di estensione analogica diretta a
evidenziare significati impliciti, che
rischierebbe di vulnerare l'affidamento dei
partecipanti, la par condicio dei
concorrenti e l'esigenza della più ampia
partecipazione». «Pertanto, dice
la sentenza 3213/2010, le norme di legge
e di bando che disciplinano i requisiti
soggettivi di partecipazione alle gare
pubbliche devono essere interpretate nel
rispetto del principio di tipicità e
tassatività delle ipotesi di esclusione, che
di per sé costituiscono fattispecie di
restrizione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall'art. 41 della
Costituzione, oltre che dal Trattato Ce».
Del resto, dice il Cds, già in primo grado
il Tar Campania aveva rilevato che manca nel
codice appalti una norma, con effetto
preclusivo, che preveda in caso di cessione
d'azienda un obbligo di dichiarazioni in
ordine ai requisiti soggettivi della cedente
riferita sia agli amministratori e direttori
tecnici della cedente sia ai debiti
tributari e previdenziali dalla stessa
contratti.
Ne discende che in assenza di tale norma e
per il principio di personalità della
responsabilità non può essere esclusa dalla
gara l'impresa cessionaria del ramo
d'azienda che non ha presentato le
dichiarazioni sulla posizione della cedente
(articolo ItaliaOggi del 25.05.2010, pag.
29). |
APPALTI:
Sull'illegittimità dell'operato
di una commissione giudicatrice che non
abbia rispettato l'obbligo di segretezza ed
integrità delle offerte presentate dai
concorrenti.
E' illegittimo l'operato di una commissione
giudicatrice che sia venuta meno all'obbligo
di predisporre particolari cautele a tutela
della integrità e della conservazione dei
plichi contenenti le offerte tecniche ed
economiche presentate dai concorrenti,
nonché di farne esplicita menzione nel
verbale di gara, in quanto pur in mancanza
di espressa previsione in tal senso da parte
del legislatore, l'integrità dei plichi è
elemento sintomatico della segretezza delle
offerte stesse e della par condicio di tutti
i concorrenti, del rispetto dei principi di
buon andamento e imparzialità cui deve
conformarsi l'azione amministrativa, sanciti
dall'art. 97 Cost. (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 21.05.2010 n. 3203 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'espressione “Stato” contenuta
nell’inciso normativo di cui all'art. 38,
comma 1, lett. c), del d.lgs. 163/2006 deve
essere interpretata come “stato-comunità” o
meglio come Stato membro della Comunità
Europea poiché le stazioni appaltanti, per
valutare la moralità professionale
dell'operatore economico interessato
all’aggiudicazione dell'appalto, devono
prendere in considerazione i reati compiuti
all'interno di tutti gli Stati membri.
La necessità di dichiarare tutti i
provvedimenti penali subiti, risponde alla
finalità di consentire all’Amministrazione
la più ampia valutazione del caso concreto,
per stabilire la rilevanza o meno di una
data condanna penale.
La mancata dichiarazione, da parte
dell’imprenditore, della esistenza di
condanne penali a suo carico costituisce una
circostanza che ha valore autonomo e che
incide sulla sua moralità professionale
indipendentemente da un’espressa previsione
di esclusione automatica nella lex specialis.
Non ha pregio la tesi sostenuta dalla difesa
dell’Azienda resistente, secondo cui
l’obbligo di dichiarazione dei reati
commessi dovrebbe ritenersi limitata ai “reati
gravi in danno dello Stato o della Comunità,
che incidono sulla moralità professionale”,
ex art. 38, c. 1, lett. c, D.Lgs. n.
163/2006, nell’ambito dei quali non
potrebbero essere ricompresi quelli commessi
dalla controinteressata.
Il Collegio ha già avuto modo di affermare
che il legislatore del Codice dei contratti
pubblici non ha inteso circoscrivere la
facoltà di esclusione in capo alle stazioni
appaltanti a determinate tipologie di reato
qualificate dal soggetto passivo.
Tale conclusione è giustificata in primo
luogo dal fatto che una simile restrizione
non si evince dalla normativa comunitaria,
di cui alla direttiva 2004/18/CE, par. 2,
lett. c), inoltre va considerato che una
specifica categoria di reati in danno dello
Stato o in danno della Comunità non esiste
nel diritto penale.
Se fosse assunta l’interpretazione
prospettata dalla ricorrente la norma
diverrebbe di difficile applicazione ed il
suo ambito di applicazione assumerebbe
confini evanescenti.
Si deve invece ritenere che il legislatore
abbia inteso, con tale espressione,
allargare l'area dei reati che possono
essere presi in esame ai fini
dell'esclusione dalle gare per pubblici
appalti, consentendo alle stazioni
appaltanti di valutare non solo quelli
compiuti nello Stato italiano, ma anche
quelli commessi sul territorio di tutta la
Comunità Europea.
L'espressione “Stato” contenuta
nell’inciso normativo di cui all'art. 38,
comma 1, lett. c), del d.lgs. 163/2006 deve
quindi essere interpretata come “stato-comunità”
o meglio come Stato membro della Comunità
Europea poiché le stazioni appaltanti, per
valutare la moralità professionale
dell'operatore economico interessato
all’aggiudicazione dell'appalto, devono
prendere in considerazione i reati compiuti
all'interno di tutti gli Stati membri (TAR
Lombardia, Milano, Sez. I, 24.10.2007 n.
6162).
La necessità di dichiarare tutti i
provvedimenti penali subiti, risponde alla
finalità di consentire all’Amministrazione
la più ampia valutazione del caso concreto,
per stabilire la rilevanza o meno di una
data condanna penale.
La rilevanza o meno dei fatti oggetto delle
pronunce penali ai fini della successiva
valutazione del possesso dei requisiti da
parte del concorrente, non è rimessa
all’apprezzamento dell’impresa che ha,
invece, l’obbligo di dichiarare tutte le
sentenze emesse nei suoi confronti, con la
conseguenza che l’omessa indicazione,
nell’ambito di un’autocertificazione, di una
sentenza di condanna, si atteggia come
autocertificazione non veritiera cui
consegue l’esclusione dalla gara (TAR
Lombardia, Sez. I, 19.06.2008 n. 2096).
La mancata dichiarazione, da parte
dell’imprenditore, della esistenza di
condanne penali a suo carico costituisce una
circostanza, che ha valore autonomo, e che
incide sulla sua moralità professionale
(C.S. Sez. V, 18.09.2003 n. 5320, Consiglio
di Stato, Sez. V, 02/10/2009 n. 6006, Cons.
Stato, Sez. V, 20.04.2009, n. 2364),
indipendentemente da un’espressa previsione
di esclusione automatica nella lex
specialis.
In contrario non rileva neppure, come
sostenuto dalla difesa dell’Azienda
resistente, che i provvedimenti penali non
dichiarati siano antecedenti di oltre un
triennio alla pubblicazione del bando di
gara. Tale limite temporale è infatti
menzionato dal citato art. 38, c. 1, lett.
c, solo per estendere l’obbligo di
dichiarazione delle condanne subite, nei
limiti del triennio, “anche nei confronti
dei soggetti cessati dalla carica”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 18.05.2010 n. 1565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI: IMMOBILI
DI "PREGIO" E LORO DISMISSIONE.
1.- Demanio e patrimonio - Dismissione beni
- Immobile di pregio ex D.M. 31.07.2002 -
Riesercizio potere amministrativo -
Possibilità - Sussiste.
2.- Immobile - Qualifica - Di pregio - Ai
sensi del D.M. 31.07.2002 - Nel centro
storico - Modifica criterio - Adozione nuovo
decreto ministeriale - Ammissibilità.
3.- Procedimento amministrativo -
Partecipazione - Decreto identificativo del
pregio di un immobile - Attività
propedeutica alla dismissione - Art. 7, L.
n. 241/1990 - Applicabilità - Non sussiste.
4.- Demanio e patrimonio - Dismissione beni
- Procedura - Art. 3, co. 8, co. 13 e co.
20, L. n. 401/2001 - Legittimità della norma
- Principi di uguaglianza, imparzialità e
buon andamento - Rispetto.
1.-
Non esistono elementi normativi per potere
ritenere che, una volta qualificato
l'immobile oggetto del procedimento di
cartolarizzazione, come di pregio in base ad
uno dei criteri di cui alla delibera
allegata al D.M. 31.07.2002, il potere si
sia definitivamente consumato e non possa
essere nuovamente esercitato, per esempio in
via di autotutela oppure a seguito di
pronuncia giurisdizionale di annullamento
della classificazione adottata in prima
battuta.
2.-
Il fatto che un immobile venga inserito fra
quelli "di pregio" in ragione
dell'allocazione nel centro storico non
esclude che esso possa risultare tale anche
in ragione del suo valore commerciale: e che
quindi, in caso di illegittimità della
classificazione adottata esclusivamente alla
stregua del primo criterio, non possa, in
esito a nuova istruttoria, emergere la
sussistenza di ulteriore profili di
rilevanza del pregio dell'immobile alla
stregua di altri criteri (la sentenza di
annullamento, per vizi di legittimità, della
classificazione dell'immobile per cui è
causa come "di pregio" in ragione della sua
erronea qualificazione come appartenente al
centro storico del Comune di Napoli, implica
un obbligo di esecuzione e conformazione
dell'azione successiva al giudicato nel
senso della riapertura del procedimento ai
fini della verifica della sussistenza di
possibili ulteriori profili di rilevanza).
3.-
L'attività svolta dall'Amministrazione ai
fini dell'adozione del decreto
identificativo degli immobili di pregio è
propedeutica all'effettiva dismissione degli
immobili medesimi e finalizzata agli
accertamenti istruttori volti a dettare
regole generali di pianificazione
dell'ulteriore azione in vista dei futuri
singoli atti di dismissione e, per tali
ragioni, non soggiace alla norma di cui
all'art. 7, L. n. 241/1990.
4.-
E' coerente con i principi di uguaglianza,
imparzialità e buon andamento dell'azione
amministrativa la previsione normativa
dell'art. 3, co. 8, co. 13 e co. 20, L. n.
401/2001 e ss.mm., che regola la dismissione
di beni del patrimonio pubblico in modo da
assicurare, unitamente al differente
trattamento di situazioni obbiettivamente
diverse (immobili di pregio e non),
l'efficace vendita di tali beni secondo
valori realistici e conformi alle
indicazioni del mercato
(massima tratta da http://mondolegale.it/ -
TAR Lazio-ROMA, Sez. II,
sentenza 14.05.2010 n. 11275 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appartiene alla giurisdizione
esclusiva del g.a. l'impugnazione degli atti
di una gara ad evidenza pubblica per la
scelta del contraente cui affidare un
appalto pubblico di fornitura.
La commissione di gara non può in alcun caso
introdurre ulteriori elementi di valutazione
delle offerte rispetto a quelli indicati
nella lex specialis.
Ai sensi dell'art. 244 c. 1, d.lvo.
12.04.2006 n. 163, l'impugnazione degli atti
di una procedura di una gara ad evidenza
pubblica per la scelta del contraente, cui
affidare un appalto pubblico di fornitura, a
partire dal bando di gara fino al
provvedimento di aggiudicazione definitiva,
appartiene alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, cui è tuttavia
preclusa ogni indagine sulla sorte del
contratto conseguente all'annullamento
dell'aggiudicazione.
In attuazione dei principi di legalità, buon
andamento, imparzialità, par condicio e
trasparenza, la commissione di gara non può
in alcun caso introdurre ulteriori elementi
di valutazione delle offerte rispetto a
quelli indicati nella lex specialis,
ovvero modificare quelli in essa contenuti
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2010 n. 2959 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: PIANO
COMUNALE DI ZONIZZAZIONE ACUSTICA.
Ambiente - Inquinamento
- Acustico - Legge quadro sull'inquinamento
acustico n. 447/1995 - Limiti "assoluti" di
rumorosità - Evoluzione normativa -
Applicabilità dei limiti "differenziali"
nella fase di transizione - Fattispecie.
Nelle more della classificazione del
territorio comunale ai sensi dell'articolo
6, primo comma, lett. a), della legge quadro
sull'inquinamento acustico n. 447 del 1995,
operano i soli limiti "assoluti" di
rumorosità, ma non anche quelli "differenziali"
(1).
Depone in tal senso l'univoca formulazione
dell'articolo 8, comma 1, del d.p.c.m.
14.11.1997, secondo cui: "In attesa che i
comuni provvedano agli adempimenti previsti
dall'art. 6, comma 1, lett. a) della legge
26.10.1995 n. 447, si applicano i limiti di
cui all'articolo 6, comma 1, del d.p.c.m. 1
marzo 1991". Ove si fosse voluto far
sopravvivere integralmente il regime
transitorio di cui all'articolo 6 del
decreto (che al primo comma regola i limiti
"assoluti" ed al secondo comma regola
i limiti "differenziali") sarebbe
stato necessario un rinvio integrale alla
disciplina previgente.
D'altra parte, non persuade la tesi che, per
giustificare il richiamo parziale al solo
primo comma dell'articolo 6, adduce la
diretta applicabilità dei limiti "differenziali"
perché ancorati, quanto al loro ambito di
riferimento, ad una suddivisione del
territorio (aree diverse da quelle
esclusivamente industriali) che si
ricaverebbe ex se dalla disciplina
urbanistica, sì da non richiedere una
specifica norma che ne autorizzi
l'operatività nella fase transitoria per i
Comuni sprovvisti del piano di zonizzazione
acustica.
In realtà, già nella vigenza del d.p.c.m.
01.03.1991 i limiti "differenziali"
erano circoscritti alle zone non
esclusivamente industriali e, ciò
nonostante, si era avvertita la necessità di
effettuarne un esplicito richiamo al fine di
garantirne l'operatività fin dalla fase
transitoria, con la conseguenza che il
rinvio operato al solo primo comma dell'art.
6 depone inequivocabilmente per una scelta
normativa che ha voluto subordinare, a
partire dal 1997, l'applicabilità del
criterio "differenziale"
all'introduzione della disciplina a regime,
e cioè all'adozione del piano comunale di
zonizzazione acustica (nel caso di specie
il Comune ha ordinato al ricorrente, con
ordinanza sindacale, di attuare tutte le
idonee misure tecniche ed organizzative per
l'abbattimento delle emissioni rumorose
provenienti dal proprio panificio, onde
ricondurre gli impianti al rispetto del
"limite differenziale di immissione in
ambiente abitativo ed in periodo di
riferimento notturno" previsto dal d.p.c.m.
14.11.1997, con l'obbligo di produrre entro
lo stesso termine l'esito delle indagini
fonometriche effettuate, a sue spese, dalla
A.U.S.L. BA/4 ovvero da tecnico abilitato.
Tuttavia, non avendo il Comune di Bari
provveduto alla prescritta zonizzazione
acustica, all'epoca dei fatti controversi
non operava il criterio "differenziale", con
conseguente illegittimità dell'ordinanza
impugnata, fondata proprio sull'accertato
superamento del limite differenziale
notturno di immissione).
---------------
(1) TAR Emilia Romagna Parma, n.
385/2008; TAR Friuli Venezia Giulia, n.
578/2005; TAR Lombardia Milano, sez. I, n.
813/2004; TAR Veneto, sez. III, n. 847/2004
(massima tratta da http://mondolegale.it/ -
TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1896 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: In
merito all'abbandono di rifiuti, la
responsabilità del proprietario o del
titolare di diritti reali o personali di
godimento presuppone l’addebitabilità ad
essi, a titolo di dolo o colpa, della
violazione posta in essere dal responsabile.
La Sezione ritiene fondata ed assorbente la
censura con cui parte ricorrente prospetta
l’illegittimità dell’atto impugnato per
violazione dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006
in quanto non sarebbero dimostrati i profili
di dolo o colpa necessari per l’imposizione
dell’obbligo di rimozione dei rifiuti e di
ripristino in capo alla società ricorrente.
Infatti l’art. 192 d.lgs. n. 152/2006,
(attualmente vigente e che ha riprodotto le
disposizioni previste nell’art. 14 d.lgs. n.
22/1997) dispone che chiunque viola il
divieto di abbandono e deposito
incontrollato “è tenuto a procedere alla
rimozione, all’avvio a recupero o allo
smaltimento dei rifiuti ed al ripristino
dello stato dei luoghi in solido con il
proprietario e con i titolari di diritti
reali o personali di godimento sull’area, ai
quali tale violazione sia imputabile a
titolo di dolo o colpa, base agli
accertamenti effettuati, in contraddittorio
con i soggetti interessati, dai soggetti
preposti al controllo”.
In particolare dalla norma in esame risulta
che la responsabilità del proprietario o del
titolare di diritti reali o personali di
godimento presuppone l’addebitabilità ad
essi, a titolo di dolo o colpa, della
violazione posta in essere dal responsabile.
Nel provvedimento impugnato non sono nemmeno
dedotti, in concreto, profili di
responsabilità a titolo di dolo o colpa, in
capo alla parte ricorrente, necessari per
l’imposizione dell’obbligo di rimozione dei
rifiuti fermo restando che, a tal fine, non
è sufficiente una generica “culpa in
vigilando” (C.d.S. Sezione V,
08.03.2005, n. 935; C. di S. Sezione V,
25.08.2008, n. 4061)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 10.05.2010 n. 3444 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è legittimo imporre agli
operatori di telecomunicazione, per la posa
dei cavi e altre infrastrutture nel
sottosuolo, oneri economici ulteriori
rispetto alle spese per la ricostruzione
della strada, alla Tosap e al Cosap (art. 93
d.lgs. n. 259/2003).
Il tassativo disposto dell'art. 93, c. 2,
del d.lgs. n. 259/2003 (c.d. Codice delle
Comunicazioni) esclude la legittimità
dell'imposizione agli operatori di
telecomunicazione per gli interventi di
manomissione della sede stradale, di oneri
finanziari o reali diversi rispetto alla
tassa di occupazione di suolo pubblico a al
canone per l'occupazione di suolo o aree
pubbliche e, in particolare, di indennizzi
per il degrado e il deterioramento dei beni
demaniali, tanto più ove i sistemi di
computo di tali indennizzi siano
caratterizzati da fattori probabilistici ed
aleatori, configgenti con il tenore
tassativo già del primo periodo dell'art.
93, comma 2 del d.lgs. n. 259/2003 ed
estranei all'impianto della norma, che è
ispirato ad un criterio di determinatezza.
Pertanto, sono illegittime le previsioni
regolamentari locali (nel caso di specie,
l'art. 11 del regolamento del Comune di
Torino contenente "norme per l'esecuzione
delle manomissioni e dei ripristini dei
sedimi stradali della Città da parte dei
grandi utenti del sottosuolo") che
permettano agli Enti locali di richiedere
agli operatori di telecomunicazioni il
pagamento sia di oneri economici o reali
diversi e aggiuntivi rispetto ai due tributi
suindicati, sia di qualsiasi altro tipo di
indennità.
L'art. 23 Cost. che stabilisce che "nessuna
prestazione personale o patrimoniale può
essere imposta se non in base alla legge",
di cui l'art. 93 del d.lgs. n. 259/2003
costituisce attuazione, si oppone a una
siffatta richiesta contenuta in norma
regolamentare locale priva di copertura
legislativa.
Il principio comunitario di non
discriminazione, applicato al settore delle
telecomunicazioni, impone non solo di
assicurare agli operatori di comunicazione
degli altri Stati membri lo stesso
trattamento assicurato a quelli italiani, ma
interdice anche di assoggettare a
differenziati regimi di prelievo le attività
economiche espletate nei veri Paesi della
Comunità e vieta, quindi, che gli operatori
di comunicazione italiani siano assoggettati
in una Regione a condizioni economiche più
gravose rispetto a quelle praticate sia in
altre Regioni italiane che in altri Stati
membri (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 08.05.2010 n. 2362 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: R.T.I.
COSTITUENDI E INTESTAZIONE DELLA POLIZZA
FIDEIUSSORIA.
1.Appalto di servizi -
Cauzione - Di partecipazione - Intestazione
- A tutte le imprese del R.T.I. partecipante
alla gara - Non è necessaria.
1.
Nel caso di partecipazione a una gara di
appalto di un costituendo raggruppamento
temporaneo di imprese, è necessario non
tanto che la polizza fidejussoria sia
intestata a tutte le imprese che vi fanno
parte, quanto piuttosto che la garanzia sia
operativa nei confronti di tutti i
partecipanti al raggruppamento.
Ciò che rileva è che la polizza fideiussoria
garantisca i rischi connessi al possibile
inadempimento di tutte le imprese
dell'A.T.I. costituenda (in particolare il
rischio relativo alla mancata sottoscrizione
del contratto d'appalto per fatto
dell'aggiudicatario).
Diversamente ragionando si determinerebbe
una carenza di garanzia per la stazione
appaltante tante volte quante la mancata
sottoscrizione non sia imputabile alla
capogruppo designata ma alle mandanti; ciò,
in ipotesi, in quanto:
a) sono state queste ultime a non conferire
il mandato alla capogruppo designata messa
così nella impossibilità di sottoscrivere il
contratto;
b) le dichiarazioni non veritiere circa il
possesso dei requisiti individuali di
partecipazione sono state rese da una delle
mandanti (peraltro non è configurabile una
ipotesi di responsabilità indiretta o per
fatto altrui della capogruppo che non
potrebbe essere chiamata a rispondere per
fatto di altro soggetto) (Cons. Stato, Ad.
Plen., 04.10.2005 n. 8; Cons. Stato
21-11-2006 n. 680; TAR Lombardia Milano,
sez. I, 19-04-2007 n. 1876; TAR Sardegna,
sez. I, n. 1116/2008; TAR Calabria
Catanzaro, sez. I, n. 317/2008; Cons. Stato,
sez. V, n. 2400/2009; Cfr. TAR Emilia
Romagna, sez. I, n. 617/2009)
(massima tratta da http://mondolegale.it/ -
TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 07.05.2010 n. 1843 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Hanno interesse alla impugnativa
di una trattativa privata i soggetti che,
pur avendone i requisiti ed aspirino alla
partecipazione alla trattativa stessa, non
siano stati messi in grado di prendere parte
alla procedura.
Il servizio "fornitura del servizio di
ideazione, organizzazione, comunicazione,
etc., finalizzate alla realizzazione del
progetto di marketing territoriale", rientra
nella tipologia di contratti elencati
all'alleg. IIB del Codice dei contratti
pubblici.
Le imprese operanti in un determinato
settore sono legittimate ad impugnare la
delibera di affidamento di un servizio a
trattativa privata, ovvero le determinazioni
riguardanti le modalità di conferimento e
svolgimento del servizio, anche al solo fine
di ottenere l'annullamento della gara ovvero
dell'affidamento diretto, nonché il rinnovo
della procedura a cui intendono partecipare,
non avendo l'obbligo di documentare il
possesso di una capacità operativa
paragonabile a quella del soggetto
prescelto, in quanto ciò assume rilevanza
solo nella successiva fase di partecipazione
alla gara e di aggiudicazione. Pertanto,
hanno interesse a ricorrere avverso una
trattativa privata i soggetti che, pur
avendone i requisiti ed aspirando alla
partecipazione alla trattativa stessa, non
siano stati messi in grado di prendere parte
alla procedura, anche in relazione alla
mancata pubblicazione di un apposito bando
di gara. (Nella specie, un soggetto
associativo privo di scopo di lucro).
Il servizio "fornitura del servizio di
ideazione, organizzazione, comunicazione,
pubbliche relazioni ed ufficio stampa,
sponsoring e fund raising finalizzate alla
realizzazione del progetto di marketing
territoriale", non rientra nell'ambito
di applicazione delle disposizioni del
d.lgs. n. 163/2006, bensì di quelle indicate
all'art. 20, c. 1 del medesimo decreto, e
ciò in ragione della sussumibilità
dell'affidamento nella tipologia di
contratti elencati all'allegato IIB del
Codice dei contratti pubblici.
Tale aspetto assume rilievo alla luce art.
27, c. 1, del citato d.lgs. n. 163/2006,
secondo cui: affinché l'affidamento possa
avvenire in assenza di qualsivoglia
procedura selettiva, esso deve essere
assistito da evidenti "ragioni di natura
tecnica o artistica ovvero attinenti alla
tutela di diritti esclusivi", tali da
poter affidare il contratto "unicamente
ad un operatore economico determinato".
Nel caso di specie, fermo restando che
l'amministrazione non ha fatto riferimento a
ragioni di natura artistica legittimanti
l'affidamento diretto, non può ritenersi la
qualificazione dell'oggetto della
prestazione quale "opera dell'ingegno",
in quanto è lo stesso concreto contenuto del
servizio da svolgere a non rientrare nel
novero delle ipotesi per le quali è ammesso
l'affidamento senza gara, ancorché
informale.
La circostanza che la pubblicità dei bandi
di gara degli appalti di cui all'allegato II
B del d.lgs. n. 163 del 2006 non sia
formalmente prevista da alcuna disposizione
di legge statale o regionale impedisce che
la relativa omissione possa qualificarsi
violazione rilevante ai sensi dell'art.
245-bis del d.lgs. n. 163 del 2006 (con
conseguente, in ipotesi, dichiarazione di
inefficacia del contratto), dovendo essa
valutarsi limitatamente ai fini della
verifica del rispetto dei principi
comunitari (primo fra tutti quello di
trasparenza e di economicità).
Pertanto, poiché pur sussistendo nella
specie l'obbligo di esperire una procedura
di gara per l'affidamento del servizio per
cui è causa, non veniva in rilievo, sulla
base della legislazione regionale (quanto
alla pubblicazione nella G.U.R.S.) e
comunitaria (quanto alla pubblicazione nella
G.U.U.E.), alcun obbligo di pubblicazione,
non può farsi luogo alla formale
dichiarazione di inefficacia del contratto
ai sensi dell'art. 245-bis, c. 1, lett. b)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 06.05.2010 n. 6406 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla variazione d'uso, senza
opere, della destinazione di un terreno in
contrasto con le norme igienico-sanitarie.
L’eventuale possibilità di qualificare l’uso
del terreno -per cui è causa- come mutamento
di destinazione di uso senza opere non
comporta di per sé che la sanzione
pecuniaria prevista dalla legge per tale
abuso sia l’unica applicabile, così come
sostenuto dalla difesa della parte
ricorrente.
Tale conseguenza sarebbe esclusa comunque ai
sensi della normativa nazionale, in quanto
per gli articoli 31 e 32 del T.U. 380/2001
un mutamento di destinazione d’uso
comporterebbe pur sempre una variazione
essenziale, soggetta a rimessione in
pristino attraverso la cessazione
dell’attività vietata: così per tutte in
giurisprudenza sul principio TAR Liguria,
sez. I, 29.10.2008 n. 1862.
Si deve poi, comunque, considerare la
disciplina del cambio di destinazione d’uso
senza opere così come risulta dalla l.r.
Lombardia 11.03.2005 n. 12.
All’art. 52 di essa si prevede che i “mutamenti
di destinazione d'uso di immobili non
comportanti la realizzazione di opere
edilizie, purché conformi alle previsioni
urbanistiche comunali ed alla normativa
igienico-sanitaria” si possono
lecitamente realizzare con semplice
comunicazione all’ente; all’art. 53 si
prevede poi una sanzione per il mutamento di
destinazione senz’opere illegittimo: ”Qualora
il mutamento di destinazione d'uso senza
opere edilizie, ancorché comunicato ai sensi
dell'articolo 52, comma 2, risulti in
difformità dalle vigenti previsioni
urbanistiche comunali, si applica la
sanzione amministrativa pecuniaria…”.
Tale sanzione però non è esaustiva, anche a
prescindere da quanto sancito dalla
normativa nazionale di cui al § precedente,
perché non prevede il caso, del tutto
possibile e verificatosi nella specie, in
cui l’asserito mutamento, oltre che non
conforme alla normativa urbanistica, risulti
in aggiunta contrario anche alle norme
igienico sanitarie.
In tale ultimo caso, secondo logica, la
sanzione non potrebbe essere comunque che
quella della cessazione dell’attività e
della rimessione in pristino, perché
altrimenti –sempre beninteso prescindendo
dalla normativa nazionale- si ingenererebbe
il paradosso per cui qualsiasi attività
vietata per ragioni di igiene e salute
pubblica si potrebbe liberamente proseguire,
al solo prezzo di una sanzione pecuniaria,
ove essa configurasse mutamento di uso senza
opere di un qualsiasi immobile, mentre si
potrebbe inibire se posta in essere
occasionalmente come uso di fatto, ovvero in
una fattispecie oggettivamente meno grave
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 30.04.2010 n. 1658 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'istallazione
di un impianto refrigerante sulla terrazza
di copertura di un edificio è un intervento
di manutenzione straordinaria.
L'istallazione di un impianto refrigerante
sulla terrazza di copertura di un edificio è
un intervento di manutenzione straordinaria,
ex art. 31, comma 1b, della Legge n. 457 del
1978, illo tempore vigente, comportando lo
stesso la realizzazione di un servizio
tecnologico che non altera i volumi e le
superfici delle singole unità immobiliari,
né modifica le destinazioni d’uso.
I suddetti lavori dovevano essere preceduti
da d.i.a. e, in sua assenza, soggetti solo a
sanzione pecuniaria (cfr. art. 4, commi 7 e
13, del D.L. n. 398 del 1993 convertito in
Legge n. 493 del 1993, all’epoca in vigore)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 30.04.2010 n. 1194 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
rigettare un'istanza di condono edilizio è
legittima una motivazione anche succinta, in
quanto l’onere motivazionale può essere
assolto mediante l’individuazione,
nell’opera abusiva, di caratteristiche che
ne impediscono il corretto inserimento nella
zona oggetto di specifica tutela.
Il legislatore non impone all’Ente pubblico
l’obbligo di indicare le prescrizioni tese a
rendere l’intervento compatibile con il
paesaggio tutelato. Non sussiste cioè a
carico del Comune l’obbligo di proporre
misure idonee ad assicurare un corretto
inserimento dell’abuso edilizio nel contesto
paesaggistico di riferimento, dovendo
l’autorità adita limitarsi a valutare
l’opera così come è, ed essendo semmai
compito del privato interessato proporre con
l’istanza di condono misure funzionali a
ridimensionare l’impatto visivo dell’opera
stessa.
L’atto impugnato, con il quale il Comune di
Firenze -comunicando il parere contrario
della commissione edilizia integrata- oppone
un sostanziale diniego al rilascio del
titolo edilizio richiesto, specifica la
motivazione espressa dalla commissione
stessa (“i materiali e le caratteristiche
costruttive, aventi natura di temporaneità e
prive di ogni intento di decoro, sono
incompatibili con la tutela dei valori
estetici tradizionali del luogo”).
Pertanto, sia pure in modo sintetico,
l’amministrazione ha indicato gli elementi
in base ai quali il manufatto è stato
ritenuto incompatibile con il vincolo
paesaggistico.
Del resto, la giurisprudenza amministrativa
ha più volte statuito che è legittima una
motivazione anche succinta, in quanto
l’onere motivazionale può essere assolto
mediante l’individuazione, nell’opera
abusiva, di caratteristiche che ne
impediscono il corretto inserimento nella
zona oggetto di specifica tutela (Tar
Toscana, III, 27/11/2006, n. 6052; Tar
Campania, Napoli, VI, 04/08/2008, n. 9718).
Inoltre il legislatore non impone all’Ente
pubblico l’obbligo di indicare le
prescrizioni tese a rendere l’intervento
compatibile con il paesaggio tutelato (Tar
Toscana, III, 27/11/2006, n. 6052; Tar
Campania, Napoli, IV, 13/06/2007, n. 6142).
Non sussiste cioè a carico del Comune
l’obbligo di proporre misure idonee ad
assicurare un corretto inserimento
dell’abuso edilizio nel contesto
paesaggistico di riferimento, dovendo
l’autorità adita limitarsi a valutare
l’opera così come è, ed essendo semmai
compito del privato interessato proporre con
l’istanza di condono misure funzionali a
ridimensionare l’impatto visivo dell’opera
stessa.
Né rileva l’epoca remota di realizzazione
dell’abuso, in quanto l’interesse del
privato è necessariamente recessivo rispetto
all’interesse sotteso all’apposizione del
vincolo paesaggistico, valorizzato dall’art.
9 della Costituzione
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 30.04.2010 n. 1190 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: IL
BANDO CAMPANILISTA VA ANNULLATO!
1- Unione europea -
Norme comunitarie - Art. 85 del Trattato
istitutivo della Comunità Europea - Clausole
di un bando che prefigurano un vantaggio a
favore di imprese radicate nel territorio -
Sono in contrasto con i principi di parità
di trattamento delle opportunità
imprenditoriali.
2- Appalto di servizi - Bando - Requisiti
ulteriori rispetto a quelli previsti dalla
legge - Limiti - Requisito dello svolgimento
del servizio in un Comune della Provincia
della stazione appaltante - Illegittimità -
Ragioni.
1-
I concetti di esperienza ed affidabilità ("indicazione
dei principali servizi prestati" ed "efficienza"
cui fanno riferimento il D.Lgs. n. 163/2006
e le norme comunitarie), non vengono
rapportati ad una discriminante consistenza
degli insediamenti di un'impresa in un
determinato territorio, posto che la
complessiva ottica della norma comunitaria e
delle norme dei singoli ordinamenti
nazionali non può certo eludere il generale
principio contenuto nell'art. 85 del
Trattato istitutivo della Comunità Europea
in forza del quale vige, per l'appunto il
divieto di "impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza
all'interno del mercato comune".
Ne consegue che le clausole di un bando che
prefigurano un vantaggio assolutamente
condizionante per l'esito del procedimento
di scelta del contraente a favore di imprese
particolarmente radicate in un determinato
ambito territoriale, risultano ex se
incompatibili con i succitati principi e
norme comunitarie e si pongono anche in
contraddizione con i principi di parità di
trattamento delle opportunità
imprenditoriali che trovano fonte negli
artt. 3 e 41, Cost..
2-
Se è vero che la stazione appaltante, in
sede di gara, può sempre chiedere requisiti
ulteriori rispetto a quelli previsti dalla
legge, pur tuttavia tale circostanza deve
sostanziarsi in richieste, comunque, non
illogiche, ovvero in contrasto con norme
primarie o manifestamente eterogenee
rispetto allo scopo perseguito o, ancora,
rispettose della par condicio dei
concorrenti.
I requisiti richiesti, cioè, devono essere
logici, adeguati, congrui e non suscettibili
di precostituire situazioni di assoluto
privilegio in favore di pochi soggetti o di
determinare una preclusione insormontabile
all'accesso al mercato di imprese in
possesso di indici di affidabilità operativa
(nella specie, il Collegio ha ritenuto
quanto mai discriminante la richiesta di
dimostrare l'esperienza del servizio di
accertamento dei tributi, attraverso la
presentazione di una referenza rilasciata
obbligatoriamente da almeno un Comune della
Provincia di Bari, dal momento che si
creerebbero delle posizioni assolutamente
dominanti nel mercato, andando a favorire
gli interessi di quei pochi soggetti già
presenti sul territorio, dando modo a questi
ultimi di consolidare e di perpetuare la
loro situazione di assoluto vantaggio, a
tutto discapito degli altri concorrenti, non
certo privi di esperienza, ma che vedono
loro preclusa ogni chance per
l'aggiudicazione del servizio)
(massima tratta da http://mondolegale.it/ -
TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 27.04.2010 n. 1496 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'installazione
dei cartelli pubblicitari lungo le strade.
L’autorizzazione alla installazione di
impianti pubblicitari è subordinata alla
valutazione in ordine alla sua compatibilità
con il diverso interesse pubblico generale
alla ordinata regolamentazione degli spazi
pubblicitari (che non possono essere
indiscriminatamente lasciati alla libera
iniziativa privata), già oggetto di una
specifica disciplina, non sovrapponibile a
quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere discrezionale, essendo
titolare sia delle funzioni relative alla
sicurezza della circolazione (ciò che
comporta la titolarità del potere
autorizzatorio dell'installazione di
impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse (cfr. TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I, 28.02.2008 n.
174).
Inoltre, nei casi come quelli sub esame, in
cui viene richiesta l’affissione di impianti
pubblicitari direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
---------------
L'installazione di mezzi pubblicitari su
suolo pubblico postula un provvedimento di
concessione dell’uso del medesimo, non
bastando a tale scopo il solo provvedimento
autorizzatorio. Infatti, l’autorizzazione
all’esposizione dei mezzi pubblicitari e la
concessione dell’uso del suolo pubblico
presuppongono valutazioni differenti,
essendo attinenti alla tutela di interessi
pubblici diversi, poiché, mentre il
procedimento autorizzatorio si esaurisce nel
sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata
con l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità: la complessità della quale rende
inconcepibile che si possa formare
tacitamente il provvedimento finale
concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV,
26.07.2005, n. 3421), tenuto conto che
nessuna indicazione di segno contrario può
desumersi dalla cosiddetta generalizzazione
del silenzio-assenso conseguente alla
riforma di cui alla legge 14.05.2005 n. 80,
giacché quello concessorio è procedimento in
cui è esercitata una potestà discrezionale,
per la quale, alla luce dell’insegnamento
della Corte Costituzionale (v. la sentenza
27.07.1995, n. 408), deve escludersi
l’applicabilità del regime del silenzio-
assenso.
In definitiva, in mancanza di un espresso
provvedimento di concessione di suolo
pubblico (non surrogabile, né allora né
oggi, “per silentium”),
l’autorizzazione alla installazione dei
mezzi pubblicitari non può formarsi
prescindendo dal rilievo della suddetta
concessione.
---------------
La Corte
Costituzionale, con sent. 17.07.2002 n. 355,
nel dichiarare infondata la sollevata
questione di legittimità costituzionale
dell’art. 36, comma 8, del D.L.gs. 507/1993,
nella parte in cui preclude ai Comuni di
autorizzare nuovi impianti fino
all’approvazione del regolamento, stante
l’esistenza di un termine per detta
approvazione -termine che assicurerebbe
ex se una protezione adeguata al diritto
di iniziativa economica del settore,
vincolato da un limite reputato non
irragionevole e non arbitrario giacché
funzionale alla salvaguardia di beni di
rilievo costituzionale, quali l’ambiente,
l’arte, il paesaggio la sicurezza nella
circolazione- ha osservato, nel medesimo
contesto, che, in difetto di tale
valutazione previa, risulterebbero appunto
vanificati gli svariati interessi pubblici,
sui quali l’attività potenzialmente verrebbe
ad incidere.
La suddetta sentenza ha, infatti,
significativamente affermato che la tutela
degli interessi pubblici presenti
nell’attività pubblicitaria, effettuata
mediante l’installazione dei cartelloni, si
articola ex D.Lgs. 507/1993, in un duplice
livello di intervento: l’uno, di carattere
generale e pianificatorio, mirante ad
escludere che le autorizzazioni possano
essere rilasciate dalle Amministrazioni
comunali in maniera casuale ed arbitraria e,
comunque, senza una chiara visione
dell’assetto del territorio e delle sua
caratteristiche abitative, estetiche,
ambientali e di viabilità e l’altro, a
contenuto particolare e concreto, in sede di
provvedimento autorizzatorio, con il quale
le diverse istanze dei privati vengono
ponderate alla luce delle prescrizioni di
piano e solo se sono conformi a tali
previsioni possono essere soddisfatte”
(Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).
--------------
Il “contingentamento”
dell'installazione di impianti pubblicitari
non si pone in contrasto con la tutela
costituzionale della libera iniziativa
privata, giacché lo stesso art. 41 Cost.
ammette la possibilità di limitare tale
libertà onde contemperarla con l'utilità
sociale.
Ed invero, nell'ambito semantico della “utilità
sociale” rientra (e non potrebbe essere
altrimenti) anche la protezione di valori
costituzionali, quanto meno equiordinati al
diritto di iniziativa economica, quali la
difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibile all’art. 9 della
Costituzione.
Pertanto, l’art. 3 del D.Lgs. n. 507/1993 si
pone in coerenza con questa architettura
chiara, correlando la previsione di vincoli
alla pubblicità in funzione di esigenze di
pubblico interesse, che vanno unitariamente
considerati, in sede di una complessiva
valutazione di compatibilità con la tutela
dell'igiene pubblica e dell'estetica
cittadina e gli altri interessi
superindividuali, a vario titolo coinvolti
nella specifica regolazione.
Siffatto potere discrezionale si esercita
anche in sede di valutazione delle istanze
autorizzatorie, "attraverso la selezione
dell'interesse prevalente da perseguire
nella platea di interessi pubblici e privati
compresenti", ben potendo il Comune
attribuire la prevalenza ad es. alle
generali esigenze di sicurezza della
circolazione, rispetto al pur rilevante
interesse economico di cui sono portatori
gli imprenditori del settore.
Inoltre, il PGIP, nel disciplinare
l'attività autorizzatoria in maniera
coerente con l'esigenza di un'equilibrata
protezione della variegata trama dei
molteplici interessi -di natura urbanistica,
edilizia, economica, culturale, viaria- tra
loro interferenti e che in diversa misura
vengono in rilievo nell'attività
pubblicitaria, ben può circoscrivere anche
l'affissione diretta, da parte dei privati,
sugli impianti privati, ad una determinata
superficie dell'intera superficie affissiva.
D'altronde, l'affissione diretta deve, in
via tendenziale, consentirsi per
un'estensione minore rispetto a quella
affidata alla gestione pubblica, anche
attraverso il concessionario, atteso che tra
gli scopi perseguiti con l'istituzione del
servizio delle pubbliche affissioni è
compreso l'obiettivo, di natura perequativa,
di assicurare, nonostante l'esistenza di una
risorsa scarsa (quale la superficie
affissiva), lo svolgimento dell'attività di
affissione diretta, anche da parte di coloro
che non dispongono di impianti propri,
ponendo così le condizioni per un'effettiva
concorrenza, sia pur limitata, tra le
imprese operanti nel settore della
pubblicità commerciale (le quali,
diversamente, si vedrebbero precluso, di
fatto, qualunque accesso al relativo
mercato), senza con ciò porsi in violazione
del principio di gerarchia delle fonti,
fermo restando il rispetto per i canoni
della ragionevolezza e della proporzionalità
nella specifica opzione dosimetrica
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 27.04.2010 n. 541 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità della decisione
con cui un comune ha negato il rinnovo della
concessione demaniale ed ha deciso di
bandire una gara per l'individuazione del
concessionario cui assegnare il bene
demaniale.
Alle concessioni di beni pubblici di
rilevanza economica e, tra queste, sono
specificamente ricomprese le concessioni
demaniali marittime, poiché idonee a fornire
un'occasione di guadagno a soggetti operanti
nel libero mercato, devono applicarsi i
principi discendenti dall'art. 81 del
Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in
materia di appalti, quali quelli della loro
necessaria attribuzione mediante procedure
concorsuali, trasparenti, non
discriminatorie, nonché tali da assicurare
la parità di trattamento ai partecipanti.
Infatti, anche nell'assegnazione di un bene
demaniale occorre individuare il soggetto
maggiormente idoneo a consentire il
perseguimento dell'interesse pubblico,
garantendo a tutti gli operatori economici
una parità di possibilità di accesso
all'utilizzazione dei beni demaniali.
Pertanto, è legittima la decisione con cui
un comune ha negato al precedente
concessionario il rinnovo della concessione
demaniale ed ha deciso di bandire una gara
per l'individuazione del concessionario cui
assegnare il bene demaniale in questione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 23.04.2010 n. 2085 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Momento identificante
la legittimità del manufatto.
La giurisprudenza (TAR Puglia Bari, sez. III,
22.07.2004, n. 3210) ha chiarito che ai fini
della conformità urbanistica della
ristrutturazione edilizia -laddove
realizzata mediante ricostruzione
dell'edificio demolito ed il mantenimento di
tutti i parametri urbanistico edilizi
preesistenti quali la volumetria, la sagoma,
l'area di sedime ed il numero delle unità
immobiliari- il parametro di riferimento è
rappresentato dalla disciplina vigente
all'epoca della realizzazione del manufatto
come attestata dal titolo edilizio e non da
quella sopravvenuta al momento della
esecuzione dei lavori di ristrutturazione
dovendosi fare salvo, in capo
all'interessato, il diritto acquisito al
mantenimento, conservazione e
ristrutturazione dell'immobile esistente
giacché la legittimazione urbanistica del
manufatto da demolire si trasferisce su
quello (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV,
sentenza 22.04.2010 n. 1133 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: ANNULLAMENTO
DEL NULLA OSTA PAESAGGISTICO DA PARTE DELLA
SOPRINTENDENZA.
1. Concessione - Zone
vincolate - Vincolo paesistico - Potere di
annullamento della Soprintendenza - Natura -
Conseguenze.
2. Concessione - Zone vincolate - Vincolo
paesistico - Autorizzazione paesaggistica
rilasciata dal Comune - Annullamento della
Soprintendenza - Conseguenze - Obblighi del
Comune.
1.
Il potere di annullamento della
Soprintendenza del parere paesaggistico
favorevole rilasciato dal Comune quale
autorità locale delegata dalla regione non
può essere qualificato come di controllo
sugli atti regionali di assentimento della
costruzione, quanto piuttosto quale potestà
amministrativa attiva di cogestione
dell'interesse paesistico in "condominio"
con la Regione (o con gli enti da questa
delegati): si tratta, cioè, d'una
fattispecie a formazione progressiva, dove
il provvedimento statale incide sugli
effetti del provvedimento regionale.
Il potere d'annullamento della
Sopraintendenza (cui sono stati delegati i
poteri ministeriali in materia) non comporta
un riesame complessivo delle valutazioni
tecnico-discrezionali compiute dall'autorità
locale, tale da consentire la
sovrapposizione o sostituzione di una
propria valutazione di merito a quella
compiuta in sede di rilascio
dell'autorizzazione all'edificazione, ma si
estrinseca in un controllo di mera
legittimità, peraltro inclusivo di eventuali
vizi funzionali suscettibili di iscrizione
alle diverse figure sintomatiche di eccesso
di potere, riconducibile al più generale
potere di vigilanza sull'esercizio delle
funzioni da parte delle Regioni o della
autorità da queste delegate (ex multis,
Cons. Stato, sez. VI, 25-11-2008 n. 5771;
Cons. Stato, sez. VI, 28-08-2006 n. 5010;
Cons. Stato, sez. VI, 23-05-2006 n. 3076).
2.
Ove nel corso del procedimento di condono di
un abuso edilizio e nell'esercizio del
potere previsto dall'art. 82, D.Lgs.
24.07.1977 n. 616 (trasfuso nel T.U.
29.10.1999 n. 490, e poi nell'art. 146,
D.Lgs. 22.01.2004 n. 42), la Soprintendenza
annulli per difetto di motivazione
l'autorizzazione paesaggistica rilasciata
dal comune, quest'ultimo è titolare di un
potere discrezionale, per il quale o ritiene
che possa essere rilasciata una ulteriore
autorizzazione paesaggistica, con una
motivazione diversa da quella che ha
condotto all'annullamento da parte
dell'organo statale ovvero, anche sulla base
delle valutazioni formulate da quest'ultimo,
ritiene che non sussistano i presupposti per
il rilascio di detta autorizzazione, ma in
tal caso deve esporre le relative ragioni
con adeguata motivazione, secondo i principi
generali riguardanti l'esercizio delle
pubbliche funzioni, e non può invece
ingiungere senz'altro la demolizione del
manufatto per il quale è stata proposta la
domanda di condono, ma è tenuto a valutare
se l'istanza (che da esso era già stata
positivamente valutata sotto il profilo
paesaggistico, con l'atto annullato per
difetto di motivazione) è meritevole di
essere accolta (Cons. Stato, sez. IV,
28-04-2008 n. 1865)
(massima tratta da http://mondolegale.it/ -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 19.04.2010 n. 1407 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Crollo per cause naturali
ante opere / in corso d’opera.
Ove un edificio pervenga ad una integrale
demolizione, anche per cause naturali, dopo
che per esso era stata rilasciata una
concessione edilizia di ristrutturazione,
questa perde la propria efficacia perché non
esiste più l'edificio da ristrutturare, e
per la costruzione del nuovo edificio
occorre un diverso titolo abilitativo (così
Consiglio di Stato, sez. V, 23.03.2000, n.
1610); peraltro, qualora la demolizione
avvenga accidentalmente per l'imprevedibile
grado di fatiscenza di strutture
preesistenti e mentre una ristrutturazione
edilizia è già in atto, e cioè durante un
intervento inteso a conservare il
fabbricato, essa non preclude il rilascio di
una successiva concessione di
ristrutturazione, che consenta il ripristino
della sagoma e dei volumi preesistenti
(Consiglio di Stato, sez. V, 18.08.1997, n.
917) (massima tratta da
www.studiospallino.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 16.04.2010 n. 2175 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: DICITURA
"ANTIMAFIA" FRA CERTIFICATO CAMERALE E
INFORMATIVA PREFETTIZIA.
1- Appalto di servizi -
Partecipazione e qualificazione - Requisiti
generali - Antimafia - Informative del
Prefetto - Requisiti - Poteri del Prefetto -
Discrezionalità - Sussiste - Ratio.
2- Antimafia - Informazioni prefettizie -
Art. 4, D.Lgs. n. 490/1994 - Natura -
"Tentativo di infiltrazione" - Possono
essere desunti anche da parametri non
predeterminati normativamente - Limiti -
Devono sussistere elementi che sconsigliano
l'instaurazione di un rapporto dell'impresa
con la p.A..
3- Antimafia - Informazioni prefettizie -
Così come previsto dal D.Lgs. 8 agosto 1994
n. 490 esistono tre categorie di informative
prefettizie - Informativa supplementare -
Requisiti - Conseguenze - Art. 1-septies,
D.L. n. 629/1982 - Poteri dell'alto
commissario antimafia.
4- Antimafia - Informazioni prefettizie -
Antimafia - Informazioni prefettizie -
Funzioni - Grado di approfondimento
probatorio - Deve essere considerato il
pericolo di collegamento fra l'impresa e la
criminalità organizzata - Ratio.
5- Appalto di servizi - Stazione appaltante
- Discrezionalità in presenza di informative
antimafia - E' estremamente ridotto - Ratio
- Inibizione dell'accesso al rapporto con la
p.A. - E' sufficiente l'accertamento di meri
elementi di sospetto - Conseguenze -
Finalità.
6- Antimafia -
Informazioni prefettizie - Antimafia -
Informativa prefettizia - Certificato
camerale munito dell'apposita dicitura
"antimafia" - Svolgono due funzioni ben
distinte - Ratio - Conseguenze.
1-
Le informative del Prefetto in merito alla
sussistenza di tentativi di infiltrazione
mafiosa nell'impresa, rese ai sensi degli
artt. 4, D.Lgs. n. 490/1994 e 10, D.P.R. n.
252/1998, costituiscono condizione per la
stipulazione di contratti con la pubblica
amministrazione ovvero per concessioni ed
erogazioni e non devono provare
l'intervenuta infiltrazione -essendo questa
un "quid pluris"- ma devono
sufficientemente dimostrare la sussistenza
di elementi dai quali è deducibile il
tentativo di ingerenza (1), fermo restando
che non è sufficiente il mero sospetto, ma
sono necessari accertamenti fondati su
oggettivi elementi, atti a far denotare il
rischio concreto di condizionamenti (2).
La Prefettura, nell'istituto in esame, è
titolare di un potere discrezionale, che
comporta una valutazione lata di interessi
contrapposti, ossia quello relativo alla
libertà di impresa e quello relativo alla
tutela dell'uso delle risorse pubbliche (3):
siffatto potere, proprio per i delicati
interessi che la materia coinvolge, va
esercitato con le necessarie cautele (4).
--------------
(1) TAR Campania Napoli, sez. III,
06-12-2007 n. 19691.
(2) TAR Calabria Reggio Calabria 06-02-2008
n. 72.
(3) TAR Calabria Reggio Calabria 28-02-2007
n. 197.
(4) Cons. Stato, sez. IV, 04-05-2004 n.
2783; Cons. Stato, sez. V, 27-06-2006 n.
4135.
2-
L'informazione prefettizia di cui all'art.
4, D.Lgs. 08.08.1994 n. 490 ("Disposizioni
attuative della L. 17.01.1994 n. 47, in
materia di comunicazioni e certificazioni
previste dalla normativa antimafia")
costituisce una tipica misura cautelare di
polizia, preventiva ed interdittiva, che -in
ragione delle peculiarità del fenomeno
mafioso- prescinde dall'accertamento, in
sede penale, di uno o più reati connessi
all'associazione di tipo mafioso e non
postula la prova di fatti di reato, della
effettiva infiltrazione mafiosa nell'impresa
o dell'effettivo condizionamento delle
scelte dell'impresa da parte di associazioni
o soggetti mafiosi, essendo sufficiente il "tentativo
di infiltrazione", avente lo scopo di
condizionare le scelte dell'impresa, anche
se tale scopo non si è in concreto
realizzato (5).
Tale scelta è coerente con le
caratteristiche fattuali e sociologiche del
fenomeno mafioso, che non necessariamente si
concretizza in fatti univocamente illeciti,
potendo fermarsi alla soglia
dell'intimidazione, dell'influenza e del
condizionamento latente di attività
economiche formalmente lecite.
Ed invero, i tentativi di infiltrazione
mafiosa possono essere desunti anche da
parametri non predeterminati normativamente,
anche se, per evitare il travalicamento in
uno "stato di polizia" e per
salvaguardare i principi di legalità e di
certezza del diritto, non possono reputarsi
sufficienti fattispecie fondate sul semplice
sospetto o su mere congetture prive di
riscontro fattuale, occorrendo altresì
l'individuazione di idonei e specifici
elementi di fatto, obiettivamente
sintomatici e rivelatori di concrete
connessioni o collegamenti con le predette
associazioni (6).
In definitiva, l'informativa antimafia deve
fondarsi su di un quadro fattuale di
elementi che, pur non dovendo assurgere
necessariamente, a livello di prova (anche
indiretta), siano tali da far ritenere
ragionevolmente, secondo l'"id quod
plerumque accidit", l'esistenza di
elementi che sconsigliano l'instaurazione di
un rapporto con la p.A..
---------------
(5) Cons. Stato, sez. IV, 30-05-2005 n.
2796; Cons. Stato, sez. IV, 13-10-2003 n.
6187.
(6) TAR Sicilia Palermo, sez. III,
13-01-2006 n. 38; TAR Campania Napoli, sez.
I, 19-01-2004 n. 115.
3-
In base alla normativa vigente (D.Lgs.
08.08.1994 n. 490, recante "Disposizioni
attuative della L. 17.01.1994 n. 47, in
materia di comunicazioni e certificazioni
previste dalla normativa antimafia";
D.P.R. 03.06.1998 n. 252, recante "Regolamento
recante norme per la semplificazione dei
procedimenti relativi al rilascio delle
comunicazioni e delle informazioni antimafia"),
vengono individuate tre categorie di
informative prefettizie: la prima,
ricognitiva di cause di divieto, di per sé
interdittiva, ai sensi dell'art. 4 co. 4,
D.Lgs. n. 490/1994; la seconda, relativa ad
eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa
tendenti a condizionare le scelte e gli
indirizzi delle società o delle imprese
interessate, la cui efficacia interdittiva è
correlata alla valutazione del prefetto; la
terza, costituita dalle informative
supplementari (o atipiche), previste
dall'art. 1-septies, D.Lgs. 06.09.1982 n.
629, convertito con modificazioni dalla L.
12.10.1982 n. 726, ed aggiunto dall'art. 2,
L. 15.11.1988 n. 486, inerente ai poteri già
dell'Alto Commissario Antimafia, il cui
effetto interdittivo è dipendente da una
valutazione discrezionale
dell'amministrazione destinataria
dell'informativa stessa, in via autonoma e
discrezionale (7), alla luce dell'idoneità
morale del partecipante alla gara di
assumere la posizione di contraente con la
p.A.: pertanto, essa non necessita di un
grado di dimostrazione probatoria analogo a
quello richiesto per dimostrare
l'appartenenza di un soggetto ad
associazioni di tipo camorristico o mafioso
e si basa su indizi ottenuti con l'ausilio
di particolari indagini che possono risalire
anche ad eventi verificatisi a distanza di
tempo perché riguardano la valutazione
sull'idoneità morale del concorrente e non
producono l'esclusione automatica dalla gara
(8).
Invero, l'informativa supplementare si
caratterizza per il fatto di essere fondata
sull'accertamento di elementi che, pur
evidenziando pericolo di collegamenti fra
l'impresa e la criminalità organizzata, non
raggiungono un livello tale da esplicare
efficacia interdittiva automatica.
Pertanto, essa non assume carattere
vincolante e lascia un margine, benché molto
ridotto, alla discrezionalità
dell'amministrazione aggiudicatrice, che è
chiamata a valutarne l'incidenza: ciò
implica la necessità di una motivazione, che
dovrà essere particolarmente ampia nel caso
in cui si decida di instaurare o proseguire
il rapporto con l'impresa pur a seguito
dell'informativa, ma che non può, comunque,
mancare anche nel caso opposto, in cui
l'amministrazione decida di non instaurare o
non proseguire il rapporto (9).
Essa è fondata sull'accertamento di elementi
che, pur denotanti il pericolo di
collegamenti tra l'impresa e la criminalità
mafiosa, non raggiungono la soglia di
gravità prevista dal citato art. 4, co. 4,
D.Lgs. n. 490/1994, vuoi perché carenti di
alcuni requisiti soggettivi od oggettivi
pertinenti alle cause di divieto o
sospensione, vuoi perché non integranti
appieno il tentativo di infiltrazione.
La comunicazione, pertanto, non produrrebbe
il divieto automatico di contrarre, ma si
limiterebbe a fornire all'amministrazione
interessata elementi utili per l'esercizio
di ogni eventuale potere discrezionale.
Questo potere trova fondamento positivo
nell'art. 1-septies, D.L. 06.09.1982 n. 629,
convertito in legge, con modificazioni. con
l'art. 1, L. 12.10.1982 n. 726, ai sensi del
quale l'Alto commissario antimafia (le cui
competenze sono state nelle more devolute ai
Prefetti) può "comunicare alle autorità
competenti al rilascio di licenze,
autorizzazioni, concessioni in materia di
armi ed esplosivi e per lo svolgimento di
attività economiche ... elementi di fatto ed
altre indicazioni utili alla valutazione,
nell'ambito della discrezionalità ammessa
dalla legge, dei requisiti soggettivi
richiesti per il rilascio, il rinnovo, la
sospensione o la revoca delle licenze,
autorizzazioni e degli altri titoli
menzionati".
---------------
(7) Cons. Stato, sez. IV, 15-11-2004 n.
7362.
(8) Cons. Stato, sez. V, 31-12-2007 n. 6902.
(9) TAR Lazio, sez. III, 12-05-2008 n. 3832;
Cons. Stato, sez. VI, 03-05-2007 n. 1948;
TAR Lazio, sez. II, 20-04-2006 n. 2876; TAR
Campania Napoli, sez. I, 08-02-2006 n. 1791.
4-
Nell'ottica del legislatore, le informative
prefettizie rappresentano una sensibile
anticipazione della soglia dell'autotutela
amministrativa a fronte di possibili
ingerenze criminali nella propria attività:
da tale impostazione, si è fatta discendere
la conseguenza che l'informativa prefettizia
antimafia di cui all'art. 4, D.Lgs.
08.08.1994 n. 490 e all'art. 10, D.P.R.
03.06.1998 n. 252 è espressione della logica
di anticipazione della soglia di difesa
sociale ai fini di una tutela avanzata nel
campo del contrasto con la criminalità
organizzata, e prescinde, quindi, da
rilevanze probatorie tipiche del diritto
penale, per cercare di cogliere
l'affidabilità dell'impresa affidataria dei
lavori complessivamente intesa (10).
Conseguentemente, sotto il profilo del grado
di approfondimento probatorio, si ritiene
che l'art. 4, D.Lgs. 08.08.1994 n. 490,
costituendo una misura di tipo preventivo,
intesa a contrastare l'azione del crimine
organizzato, può ben dare rilievo anche ad
elementi che costituiscono solo indizi (che
comunque non devono costituire semplici
sospetti o congetture privi di riscontri
fattuali) del rischio di coinvolgimento
associativo con la criminalità organizzata
delle imprese partecipanti al procedimento
di evidenza pubblica (11).
Ed invero, secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, anche in caso di
proscioglimento, i fatti oggetto di un
processo penale non perdono la loro idoneità
a fungere da validi elementi di sostegno per
un'informativa antimafia sfavorevole, in
considerazione della maggiore incidenza
probatoria degli indizi necessari a
confortare l'ipotesi di un mero tentativo di
infiltrazione mafiosa, e, quindi, tendenti a
garantire la tutela dell'interesse sociale
protetto nella sua massima soglia di
anticipazione (12).
Detto in altri termini, gli elementi che
denotano il pericolo di collegamento fra
l'impresa e la criminalità organizzata,
oggetto dell'informativa antimafia, hanno un
mero valore sintomatico ed indiziario, non
dovendo necessariamente assurgere a livello
di prova, anche indiretta (13).
Pertanto, nell'ottica della tutela
preventiva avanzata, il mancato intervento
di una condanna penale non può valere ad
escludere un quadro indiziario
significativo, rimesso al prudente
apprezzamento dell'autorità prefettizia, per
conclusioni da rapportare sia alle
difficoltà connesse all'accertamento di
reati, spesso coperti dall'omertà o dal
timore dei soggetti passivi coinvolti, sia
alla dichiarata prevalenza -sul piano
legislativo- dell'interesse pubblico ad
approntare rimedi preventivi, nei confronti
di ampi e notori fenomeni di criminalità
organizzata, colpendo gli interessi
economici della associazioni mafiose, a
prescindere dal concreto accertamento in
sede penale di uno o più reati (14).
---------------
(10) Cons. Stato, sez. VI, 17-05-2006 n.
2867.
(11) Cons. Stato, sez. VI, 02-10-2007 n.
5069.
(12) TAR Campania Napoli, sez. I, 18-05-2005
n. 6504.
(13) Cons. Stato, sez. IV, 29-04-2004 n.
2615.
(14) Cons. Stato, sez. VI, 16-04-2003 n.
19797.
5-
Sul tema dell'ampiezza del potere
discrezionale riconosciuto alla stazione
appaltante in presenza di informative
antimafia (con particolare riguardo alle
fattispecie tipiche di natura successiva ed
a quelle supplementari atipiche), la
giurisprudenza (15) ha evidenziato come
questo sia estremamente ridotto, trattandosi
di un potere esercitatile solo in presenza
di situazioni che, pur sussistendo
controindicazioni antimafia, inducano
comunque ad instaurare o proseguire il
rapporto contrattuale o concessorio.
Pertanto, va considerato sufficiente
l'accertamento di meri elementi di sospetto
per far scattare il meccanismo di
salvaguardia del sistema attraverso
l'inibizione dell'accesso al rapporto con la
p.A. per l'impresa sospettata di contiguità
mafiosa, con la conseguenza che la facoltà
di non inibire il vincolo esistente funge da
contraltare a tale rigido meccanismo
inibitorio, a presidio di interessi
contingenti, che inducono a ritenere la
prevalenza di questo sulle esigenze di
tutela antimafia: è, quindi, in tal senso
che s'impone all'Amministrazione di
giustificare una scelta siffatta, che
-ponendosi in antinomia con le esigenze che
il legislatore ha voluto tutelare nella
massima forma di anticipazione compatibile
con i valori costituzionali di riferimento-
si caratterizza per la sua natura
eccezionale e richiede, all'uopo, una
puntuale motivazione, per esplicitare le
ragioni di deroga alla logica di un suo
ordinario sviluppo, mediante l'adozione
della misura inibitoria.
---------------
(15) TAR Campania Napoli, sez. I,
28-02-2005 n. 1319; TAR Campania Napoli,
sez. I, 28-02-2005 n. 1320.
6-
A fronte di un'informativa prefettizia, in
ordine alla valenza della certificazione
negativa antimafia rilasciata dalla
competente Camera di Commercio, ai sensi
degli artt. 6 e 9, D.P.R. 03.06.1998 n. 252,
va precisato che non possono essere
assimilate, sul piano giuridico, due
distinte fattispecie, preordinate ad
assolvere a funzioni diverse, consistenti,
rispettivamente, la certificazione della
Camera di Commercio nell'accertamento della
sussistenza o meno delle situazioni ostative
di cui all'art. 10, L. 31.05.1965 n. 575
(decadenza, sospensione o divieto
determinati dalla definitiva applicazione di
misure di prevenzione antimafia, da sentenze
penali di condanna o da altri provvedimenti
del tribunale) e l'informativa antimafia
nell'acquisizione di notizie inerenti ai
tentativi di infiltrazione mafiosa.
Ed invero, il certificato camerale munito
dell'apposita dicitura "antimafia"
(al pari delle comunicazioni prefettizie
alle quali è assimilato per legge) è idoneo
a garantire l'insussistenza delle sole
situazioni ostative contemplate dall'art.
10, L. n. 575/1965, ma giammai può estendere
la sua efficacia fino ad assicurare
l'inesistenza di eventuali tentativi di
infiltrazione mafiosa, accertati mediante
ulteriori indagini istruttorie, il cui esito
è riportato nell'informativa prefettizia.
Invero, le valutazioni demandate alla
competenza della Prefettura, al fine di
verificare l'assenza di tentativi di
infiltrazioni mafiose, involgono profili non
coincidenti con quelli posti a base della
certificazione camerale e possono comportare
che l'informativa prefettizia abbia
contenuti non favorevoli per la ditta
interessata anche a fronte di una negativa
certificazione antimafia.
In definitiva, la circostanza che il
certificato camerale rechi la dicitura "antimafia",
volta ad attestare l'inesistenza delle
situazioni ostative di cui all'art. 10, L.
n. 575/1965, non può assumere alcun rilievo
per ritenere insussistente o contraddittoria
la diversa ed autonoma situazione ostativa,
costituita dall'esistenza dei tentativi di
infiltrazione mafiosa, riportata
nell'apposita informativa prefettizia
(massima tratta da http://mondolegale.it/ -
TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 16.04.2010 n. 480 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio condivide i rilievi delle parti
appellanti, secondo cui il comma 1 dell’art.
9 della l. n. 122/1989 non circoscrive
esclusivamente ai proprietari degli immobili
interessati la legittimazione a realizzare i
parcheggi agli stessi pertinenziali.
Infatti, la disposizione innanzi citata,
dopo aver statuito che: “…I proprietari di
immobili possono realizzare nel sottosuolo
degli stessi ovvero nei locali siti al piano
terreno dei fabbricati parcheggi da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari, anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti” aggiunge che: “…Tali parcheggi
possono essere realizzati, ad uso esclusivo
dei residenti, anche nel sottosuolo di aree
pertinenziali esterne al fabbricato (…)”.
Orbene, la forma impersonale utilizzata
nella seconda proposizione richiamata
comporta che i parcheggi collocati in aree
esterne ai fabbricati, a differenza di
quelli posti nel sottosuolo o al piano
terreno degli stessi, non devono essere
realizzati necessariamente dai proprietari
dell’immobile, ma possono esserlo anche da
terzi: evidentemente il legislatore, non
potendo escludersi che le “aree
pertinenziali esterne” potessero appartenere
a soggetti diversi dai proprietari
dell’immobile, ha ritenuto di non dover
limitare solo a questi ultimi la
legittimazione a chiedere il permesso per
realizzarvi i parcheggi de quibus.
Inoltre, la locuzione “…Tali parcheggi”
indica chiaramente che la seconda
proposizione del comma 1 è riferita alla
medesima ipotesi disciplinata dalla prima,
ossia alla realizzazione di parcheggi “da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari, anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti”; di conseguenza, anche la
possibilità di derogare ai predetti
strumenti deve intendersi estesa agli
interventi posti in essere da terzi, oltre
che dai proprietari.
---------------
La nozione edilizia di pertinenzialità ha
connotati significativamente diversi da
quelli civilistici, assumendo in essa
rilievo decisivo non tanto il dato del
legame materiale tra pertinenza ed immobile
principale, quanto il dato giuridico che la
prima risulti priva di autonoma destinazione
e di autonomo valore di mercato e che
esaurisca la propria destinazione d’uso nel
rapporto funzionale con l’edificio
principale, così da non incidere sul carico
urbanistico.
La pertinenzialità che il legislatore ha
inteso considerare i(con la l. 122/1989) non
è tanto quella materiale esistente tra
l’edificio e l’area (sottostante, interna o
esterna) destinata ad accogliere il
parcheggio, ma quella giuridica esistente
tra ciascun singolo posto auto da realizzare
e una specifica unità immobiliare, nel senso
di creare fra di essi un nesso di
inscindibilità: ciò che è coerente con la
ratio della legge nr. 122 del 1989, che è
quella di venire incontro al bisogno di
parcheggi dei residenti nelle aree urbane
evitando al tempo stesso operazioni
speculative.
Una prima questione da affrontare
nell’interpretazione del citato art. 9 della
legge nr. 122 del 1989 –la cui formulazione
non è certo delle più felici– è quella
dell’individuazione dei soggetti cui è
consentito realizzare i parcheggi interrati
in deroga alle disposizioni degli strumenti
urbanistici (tali essendo le caratteristiche
della vicenda amministrativa per cui è
causa).
Sul punto, occorre anzi tutto evidenziare
l’estraneità alla vicenda di che trattasi
dell’ipotesi contemplata dal comma 4 dello
stesso art. 9, il quale faculta i Comuni a
realizzare in proprio, su aree comunali o
nel sottosuolo delle stesse, dei “parcheggi
da destinare a pertinenza di immobili
privati” e da cedere in diritto di
superficie: nella fattispecie, infatti, il
Comune di Siena si è limitato ad assentire
la realizzazione di parcheggi interrati da
parte della società Pasqui Costruzioni
S.r.l. su un suolo in disponibilità della
stessa in quanto messole a disposizione da
uno dei soggetti poi assegnatari dei box
realizzati.
Ciò premesso, il Collegio condivide i
rilievi delle parti appellanti, secondo cui
il comma 1 dell’art. 9 non circoscrive
esclusivamente ai proprietari degli immobili
interessati la legittimazione a realizzare i
parcheggi agli stessi pertinenziali.
Infatti, la disposizione innanzi citata,
dopo aver statuito che: “…I proprietari
di immobili possono realizzare nel
sottosuolo degli stessi ovvero nei locali
siti al piano terreno dei fabbricati
parcheggi da destinare a pertinenza delle
singole unità immobiliari, anche in deroga
agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti
edilizi vigenti” aggiunge che: “…Tali
parcheggi possono essere realizzati, ad uso
esclusivo dei residenti, anche nel
sottosuolo di aree pertinenziali esterne al
fabbricato (…)”.
Orbene, la forma impersonale utilizzata
nella seconda proposizione richiamata
comporta che i parcheggi collocati in aree
esterne ai fabbricati, a differenza di
quelli posti nel sottosuolo o al piano
terreno degli stessi, non devono essere
realizzati necessariamente dai proprietari
dell’immobile, ma possono esserlo anche da
terzi: evidentemente il legislatore, non
potendo escludersi che le “aree
pertinenziali esterne” potessero
appartenere a soggetti diversi dai
proprietari dell’immobile, ha ritenuto di
non dover limitare solo a questi ultimi la
legittimazione a chiedere il permesso per
realizzarvi i parcheggi de quibus
(ciò che, come meglio si dirà appresso, ha
rilievo anche ai fini della stessa
definizione del concetto di “aree
pertinenziali esterne”).
Inoltre, la locuzione “…Tali parcheggi”
indica chiaramente che la seconda
proposizione del comma 1 è riferita alla
medesima ipotesi disciplinata dalla prima,
ossia alla realizzazione di parcheggi “da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari, anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti”; di conseguenza, anche la
possibilità di derogare ai predetti
strumenti deve intendersi estesa agli
interventi posti in essere da terzi, oltre
che dai proprietari.
Più delicata è la seconda questione
interpretativa del comma 1 dell’art. 9, in
ordine al significato da attribuire alla
locuzione “aree pertinenziali esterne al
fabbricato”: se cioè essa richiami una
nozione di pertinenzialità “materiale”,
come tale evocante un rapporto di
accessorietà o asservimento tra area esterna
e fabbricato necessariamente preesistente
all’intervento realizzativo dei parcheggi
interrati, ovvero faccia riferimento a una
nozione “giuridica”, implicante
semplicemente l’instaurazione di uno stabile
legame tra parcheggio e unità immobiliare in
forza del quale di essi non possa più
disporsi separatamente, e quindi
suscettibile anche di non preesistere
all’intervento e di essere creato solo in un
momento successivo alla realizzazione del
parcheggio (alla stessa stregua di quanto
più chiaramente previsto, per i parcheggi
realizzati direttamente dal Comune, al
successivo comma 4).
Pur ribadendo che il dato normativo nella
specie è tutt’altro che limipido, il
Collegio ritiene di dover propendere per la
seconda lettura, aderendo alle
prospettazioni in tal senso sviluppate dalle
parti appellanti.
Al riguardo, giova in primo luogo richiamare
il noto insegnamento secondo cui la nozione
edilizia di pertinenzialità ha connotati
significativamente diversi da quelli
civilistici, assumendo in essa rilievo
decisivo non tanto il dato del legame
materiale tra pertinenza ed immobile
principale, quanto il dato giuridico che la
prima risulti priva di autonoma destinazione
e di autonomo valore di mercato e che
esaurisca la propria destinazione d’uso nel
rapporto funzionale con l’edificio
principale, così da non incidere sul carico
urbanistico (cfr., ex plurimis, Cons.
Stato, sez. IV, 15.09.2009, nr. 5509; id.,
23.07.2009, nr. 4636; id., 07.07.2009, nr.
3379).
Se ciò è vero, ne discende che non può
ritenersi a priori inconfigurabile,
nell’applicazione dell’art. 9 della legge nr.
122 del 1989, l’ipotesi in cui l’area
esterna non si trovi in rapporto di
immediata contiguità materiale con il
fabbricato cui i realizzandi parcheggi sono
destinati ad accedere: ciò, del resto, è in
linea con la conclusione sopra raggiunta nel
senso che detta area esterna possa
originariamente essere anche di proprietà di
soggetto diverso dal proprietario
dell’immobile nei cui confronti i parcheggi
sono destinati a divenire “pertinenziali”
(nel caso di specie, la società Pasqui
Costruzioni S.r.l. è stata autorizzata dal
proprietario del suolo, il quale ha poi
mantenuto la proprietà di due dei box
realizzati).
Ma, a ben vedere, v’è un ulteriore e
decisivo argomento testuale a sostegno della
conclusione qui raggiunta, che è ricavabile
dalla prima proposizione del comma 1 del più
volte citato art. 9, laddove esso, con
riferimento ai parcheggi che i proprietari
possono realizzare nel sottosuolo o al pian
terreno del fabbricato, li definisce come “parcheggi
da destinare a pertinenza delle singole
unità immobiliari”: quasi che anche in
questo caso il vincolo di pertinenzialità
possa anche non preesistere alla
realizzazione del parcheggio, ma sorgere
successivamente in virtù di uno specifico
atto di destinazione.
Ed invero, come si evince dalla lettura
complessiva della norma, la pertinenzialità
che il legislatore ha inteso considerare in
questo caso non è tanto quella materiale
esistente tra l’edificio e l’area
(sottostante, interna o esterna) destinata
ad accogliere il parcheggio, ma quella
giuridica esistente tra ciascun singolo
posto auto da realizzare e una specifica
unità immobiliare, nel senso di creare fra
di essi un nesso di inscindibilità: ciò che
è coerente con la ratio della legge
nr. 122 del 1989, che è quella di venire
incontro al bisogno di parcheggi dei
residenti nelle aree urbane evitando al
tempo stesso operazioni speculative
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.03.2010 n. 1842 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SICUREZZA LAVORO:
Il lavoratore che tiene una
condotta imprudente ed imprevedibile può
essere l'unico responsabile in caso di
infortunio.
Non sussiste responsabilità del datore di
lavoro nel caso di una condotta del
lavoratore imprudente ed imprevedibile, come
l'utilizzo di una attrezzatura in modo
improprio e in un ambito estraneo alle
mansioni affidate.
La Corte di Cassazione, discostandosi da un
orientamento consolidato, afferma che "quando
la condotta tenuta dai lavoratori è del
tutto imprevedibile ed è connotata da
assoluta imprudenza, il rischio che ne
consegue non è governabile, tanto da
conferire forza eziologica esclusiva alla
condotta imprudente del lavoratore stesso".
La sentenza in questione riguarda
l'esecuzione degli impianti delle tubature
di acqua potabile, di aria compressa e di
gas metano da eseguirsi nell'ambito dei
lavori edili in corso presso un capannone.
La società appaltatrice ha subappaltato a
due artigiani rispettivamente l'esecuzione
dei lavori edili e di istallazione dei tubi
stessi.
Nell'ambito di tale attività uno degli
artigiani, avendo necessità di svolgere dei
lavori ad altezza di circa 6 metri ed
essendo il regolare mezzo di sollevamento in
dotazione già impegnato, posizionava, con
l'aiuto dell'altro artigiano, un cestello
sopra le forche di un muletto, facendosi
sollevare verso il luogo di lavoro e lo
stesso, a causa della instabilità del cesto
e del suo ribaltamento, cadeva al suolo da
un'altezza di circa cinque metri battendo il
capo in terra e decedendo per le gravi
lesioni patite.
Dopo la condanna dell'amministratore della
società committente, del direttore dei
lavori e dei datori di lavoro della ditta
appaltatrice, la Corte di Appello assolveva
tutti gli imputati.
La Corte di Cassazione confermava
l'assoluzione e rigettava il ricorso sulla
base delle considerazioni esposte
preliminarmente (Corte di Cassazione, Sez.
IV penale,
sentenza 23.02.2010 n. 7267 -
link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Mutamento
di sagoma, prospetti, superfici.
Il concetto di ristrutturazione edilizia,
quale enunciato dall'art. 31, lett. d), l.
05.08.1978, n. 431 ("interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme sistematico di opere che possono
anche portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente"),
presuppone la c.d. “fedeltà” della
ristruttarazione in quanto modalità estrema
di conservazione dell'edificio preesistente
nella sua consistenza strutturale, essendosi
ritenuto che "la ricostruzione di un
preesistente fabbricato senza variazione o
alterazione della superficie, volumetria e
destinazione d'uso, non incide sul carico
urbanistico già esistente e non è pertanto
assoggettato ad oneri né al rispetto degli
indici sopravvenuti" (Cons. St., sez. V,
10.08.2000, n. 4397), comprendendosi anche
gli interventi consistenti nella demolizione
e successiva fedele ricostruzione di un
fabbricato identico quanto a sagoma, volumi,
area di sedime e caratteristiche dei
materiali, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica.
L'art. 1 del d.lgs. 27.12.2002,
n. 301 ha modificato l'art. 3 del D.P.R. n.
380 del 2001, in tema di ristrutturazione
edilizia, eliminando la locuzione "fedele
ricostruzione di un fabbricato identico,
quanto a sagoma, volumi, area di sedime e
caratteristiche di materiali a quello
preesistente" e l'ha sostituita con
l'espressione "ricostruzione con la
stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente" (art. 1, lett. a).
Appare pertanto evidente che la nuova
costruzione debba conservare le
caratteristiche fondamentali dell'edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio debba riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma,
superfici e e volumi (fra le tante Cons.
Stato, sez. IV, 18.03.2008, n. 1177) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 03.02.2010 n. 438
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Fedeltà della ricostruzione.
L’elemento che contraddistingue la
ristrutturazione dalla nuova edificazione
deve rinvenirsi nella già avvenuta
trasformazione del territorio, mediante una
edificazione di cui si conservi la struttura
fisica, (sia pure con la sovrapposizione di
un «insieme sistematico di opere, che
possono portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente»)
ovvero la cui stessa struttura fisica venga
del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo
caso- con ricostruzione, se non «fedele»
comunque rispettosa della volumetria e della
sagoma della costruzione preesistente
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.12.2009 n. 5268 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
nuova costruzione.
In caso di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione, lo spostamento
di volumetria non può, dunque, ritenersi
ammissibile –pena lo sconfinamento nella
differente ipotesi della nuova costruzione–
laddove vada ad incidere sul requisito della
identità di sagoma, superfici e volumi
richiesto dall’art. 3, d.P.R. n. 380/2001.
L’elemento che contraddistingue la
ristrutturazione dalla nuova edificazione
deve rinvenirsi nella già avvenuta
trasformazione del territorio, mediante una
edificazione di cui si conservi la struttura
fisica, (sia pure con la sovrapposizione di
un «insieme sistematico di opere, che
possono portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente»)
ovvero la cui stessa struttura fisica venga
del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo
caso- con ricostruzione, se non «fedele»
comunque rispettosa della volumetria e della
sagoma della costruzione preesistente
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.12.2009 n. 5268 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Demolizione
e ricostruzione integrale in Lombardia (l.r.
12/2005).
In caso di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione, lo spostamento
di volumetria non può, dunque, ritenersi
ammissibile –pena lo sconfinamento nella
differente ipotesi della nuova costruzione–
laddove vada ad incidere sul requisito della
identità di sagoma, superfici e volumi
richiesto dall’art. 3, d.P.R. n. 380/2001.
Il T.U. dell'edilizia ha ricompreso tra gli
interventi di ristrutturazione edilizia “quelli
consistenti nella demolizione e successiva
fedele ricostruzione di un fabbricato
identico quanto a sagoma, volumi, area di
sedime e caratteristiche dei materiali,
fatte salve le sole innovazioni necessarie
per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
L'art. 1 del decreto legislativo 27.12.2002,
n. 301 ha modificato l'art. 3, in parte qua,
eliminando la locuzione “fedele
ricostruzione di un fabbricato identico,
quanto a sagoma, volumi, area di sedime e
caratteristiche di materiali a quello
preesistente” e l’ha sostituita con
l’espressione “ricostruzione con la
stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente” (art. 1, lett. a).
Anche escludendo il superato criterio della
fedele ricostruzione, esigenze di
interpretazione logico-sistematica della
nuova normativa inducono tuttavia a ritenere
che la ristrutturazione edilizia, per essere
tale e non finire per coincidere con la
nuova costruzione, debba conservare le
caratteristiche fondamentali dell'edificio
preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio debba riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma,
superfici e volumi (fra le tante Cons.
Stato, sez. IV, 18.03.2008, n. 1177)
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.12.2009 n. 5268 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -Demolizione
e ricostruzione integrale.
Nella nozione di ristrutturazione edilizia,
ai sensi dell’art. 31, co. 1, lett. d), L.
n. 457/1978, vanno ricomprese anche le
ipotesi di totale demolizione e
ricostruzione del fabbricato, a condizione
che la ricostruzione porti alla
realizzazione di un edificio sostanzialmente
identico a quello preesistente, per sagoma,
volume, superficie e caratteristiche
tipologiche, potendosi giustificare la
parziale diversità solo con riferimento ad
elementi costitutivi secondari e tali
comunque in concreto da non comportare una
significativa alterazione strutturale o
estetica.
Anche ai sensi della nuova normativa di cui
al D.P.R. n. 380/2001 (art. 3, co. 1, lett.
d), rientrano nell’ambito della
ristrutturazione edilizia gli interventi
volti alla trasformazione dell’edificio che
portino alla realizzazione di un edificio
anche in tutto o in parte diverso dal
precedente, attraverso la demolizione e
ricostruzione, nel rispetto dei limiti di
volumetria e di sagoma, oltre che ovviamente
delle caratteristiche strutturali e
tipologiche fondamentali e necessarie ad
assicurare una continuità con la situazione
preesistente.
Tutte le volte in cui tali limiti non
vengano rispettati, l’intervento non può che
ricondursi nell’ambito della previsione di
cui alla successiva lettera e) della norma
citata (nuova costruzione) (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR Puglia-Bari,
Sez. II,
sentenza 23.11.2009 n. 2898 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
restauro/risanamento conservativo.
Il discrimine tra gli interventi manutentivi
o di restauro, per i quali è sufficiente la
d.i.a e quelli di ristrutturazione,
asserviti a permesso di costruire, è
individuabile nella circostanza che i primi
sono diretti a conservare l'edificio nel
rispetto della sua tipologia, forma e
struttura, senza alcun inserimento di
elementi innovativi pur se sostitutivi di
quelli precedenti, mentre i secondi sono
diretti ad alterare, anche sotto il profilo
della distribuzione interna, l'originaria
consistenza fisica dell'immobile e
comportano altresì l'inserimento di nuovi
impianti e la modifica e ridistribuzione dei
volumi.
Pertanto, l'apposizione di una
pavimentazione in cotto su di uno spazio
esterno, già cementato, non è tale da dar
luogo a quell'inserimento di elementi
innovativi idoneo a connotare l'intervento
come ristrutturazione edilizia (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.08.2009 n. 4805 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Nozione.
Per ristrutturazione deve intendersi un
insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente, ivi
compresi gli interventi di demolizione e
ricostruzione, ma con la stessa volumetria,
sagoma ed area di sedime preesistenti
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Umbria,
sentenza 23.07.2009 n. 437 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Oneri di
urbanizzazione.
È legittima la delibera in cui vengono
equiparati gli oneri per gli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione a quelli previsti per gli
interventi di nuova costruzione, in misura
doppia rispetto a quella prevista per gli
interventi di ristrutturazione.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è
correlata alla variazione del carico
urbanistico, sicché è ben possibile che un
intervento di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione possa comportare
aggravi di carico urbanistico identici a
quelli derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di
un edificio, attuato mediante demolizione e
ricostruzione porta, invero, alla
realizzazione di un organismo edilizio
sostanzialmente nuovo: non appare quindi
illogico ritenere che un intervento così
radicale determini, di regola, un incremento
del carico urbanistico pari a quello legato
alla realizzazione di una nuova costruzione
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Brescia, sentenza 21.07.2009
n. 4455). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Balconi.
La realizzazione di un balcone con
conseguente modifica del prospetto del
fabbricato cui accede costituisce opera di
ristrutturazione edilizia esterna;
intervento che esige, ai sensi dell’art. 10,
comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001,
il titolo abilitativo del permesso a
costruire, congiuntamente, nelle aree
soggette a disciplina vincolistica,
all’autorizzazione paesistica
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 26.06.2009 n. 3526 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento che ordina la demolizione di
manufatti abusivi è atto dovuto in presenza
di opere realizzate senza alcun titolo
abilitativo e quindi abusivamente e, dunque,
non abbisogna di congrua motivazione in
ordine all'attualità dell'interesse pubblico
alla rimozione dell’abuso, la quale è in re
ipsa, consistendo nel ripristino
dell’assetto urbanistico violato.
Il provvedimento che ordina la demolizione
di manufatti abusivi è atto dovuto in
presenza di opere realizzate senza alcun
titolo abilitativo e quindi abusivamente
(fra le tante, C.d.S., VI, 28.06.2004, n.
4743) e, dunque, non abbisogna di congrua
motivazione in ordine all'attualità
dell'interesse pubblico alla rimozione
dell’abuso, la quale è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell’assetto
urbanistico violato (TAR Campania, sez. IV,
04.07.2001, n. 3071; 13.06.2002, n. 3485;
04.02.2003, n. 617; 20.10.2003, n. 12962)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 26.06.2009 n. 3526 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Demolizione
e ricostruzione integrale in Lombardia (l.r.
12/2005).
La ristrutturazione «pesante» ben può
comportare, ai sensi dell'art. 10, testo
unico, la trasformazione dell'organismo
preesistente, ma non postula la sua
demolizione integrale; laddove, invece, vi
sia demolizione integrale seguita da
ricostruzione, l'intervento in tanto è
assimilabile ad una ristrutturazione in
quanto la ricostruzione sia fedele, si
mantenga cioè nei limiti dell'organismo
originario, come si evince dall'art. 3,
primo comma, lettera d), dello stesso testo
unico (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 09.06.2009 n. 3939 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
restauro/risanamento conservativo.
I lavori di demolizione e ricostruzione di
un edificio fatiscente non rientrano
nell'attività di straordinaria manutenzione,
risanamento, restauro conservativo per la
quale è sufficiente, ai sensi dell'art. 48
l. 05.08.1978 n. 457, la semplice
autorizzazione del Sindaco, bensì in quella
di ristrutturazione, per la quale è
necessaria la concessione edilizia (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 20.05.2009 n. 2756 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Demolizione
e ricostruzione integrale.
La trasformazione dell'edificio
preesistente, finalizzata al suo recupero
funzionale, può essere compiuta anche
mediante la demolizione radicale e la
ricostruzione fedele di parti rilevanti del
manufatto, specie quando ciò risulti più
conveniente sotto il profilo tecnico od
economico, e questa possibilità può essere
allargata alle ipotesi di totale demolizione
e ricostruzione dell'edificio, purché il
nuovo edificio corrisponda pienamente a
quello preesistente (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 10.04.2009 n. 990
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
restauro/risanamento conservativo.
Per qualificare un intervento come
ristrutturazione edilizia è sufficiente che
risultino modificati la distribuzione della
superficie interna e dei volumi
dell’edificio ovvero l’ordine in cui
risultavano disposte le diverse porzioni
dello stesso per il solo fine di rendere più
agevole la destinazione d’uso esistente,
sussistendo in questi casi un rinnovo degli
elementi costitutivi dell’edificio ed
un’alterazione dell’originaria fisionomia e
consistenza fisica dell’immobile,
incompatibili con i concetti di manutenzione
straordinaria e di risanamento conservativo,
che presuppongono invece la realizzazione di
opere che lascino inalterata la struttura
dell’edificio e la distribuzione interna
della sua superficie (TAR Marche Ancona,
27.09.2004 , n. 1503; TAR Campania Napoli,
sez. IV, 18.09.2003, n. 11499; Consiglio di
stato, sez. V, 18.10.2002, n. 5775;
Consiglio di Stato, V, 23.05.2000, n. 2988)
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Molise,
sentenza 27.03.2009 n. 99 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
nuova costruzione.
Ai sensi dell'art. 22, comma 3, lett. a),
d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere
realizzati mediante denuncia di inizio
attività, in alternativa al permesso di
costruire, gli interventi di
ristrutturazione edilizia di cui all'art.
10, comma 1, lett. c), dello stesso t.u.,
interventi che possono in effetti portare
alla realizzazione di un organismo edilizio
in tutto o in parte diverso dal
preesistente; tuttavia la fattispecie
concreta va ricondotta all'ipotesi specifica
di ristrutturazione attuata mediante
demolizione e ricostruzione, che è
espressamente disciplinata dall'art. 3,
comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380 del
2001, il quale richiedeva, nell'originaria
formulazione, la "fedele ricostruzione"
della preesistenza (quanto a sagoma, volumi,
area di sedime e caratteristiche dei
materiali); successivamente, l'art. 1, d.lg.
27.12.2002 n. 301, pur espungendo dalla
citata previsione normativa l'originario
riferimento alla "fedele ricostruzione",
ha comunque ribadito che: "Nell'ambito
degli interventi di ristrutturazione
edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica";
a fronte della tassativa previsione della
fonte primaria, come ora ricostruita, ed in
linea con le costanti acquisizioni
giurisprudenziali, può quindi escludersi che
l'intervento dichiarato sia riconducibile al
novero della ristrutturazione -atteso che,
come sopra chiarito, esso comporta rilevanti
modifiche nella sagoma, nella superficie e
volume rispetto al manufatto preesistente-
dovendo piuttosto essere qualificato come di
"nuova costruzione" e, in quanto
tale, assoggettato al regime del permesso di
costruire ed alle limitazioni imposte dalle
norme urbanistiche vigenti nella zona
territoriale di riferimento (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 16.03.2009 n. 1461 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fattispecie in materia di
ristrutturazione - Ampliamento vano
finestra.
L'ampliamento di vano-finestra non rientra
nell'ambito degli interventi di manutenzione
straordinaria, né di restauro o risanamento
conservativo (i quali presuppongono, ai
sensi dell'art. 3, lett. b-c), d.P.R. n.
380/2001, la sostituzione o la conservazione
di elementi -anche strutturali- degli
edifici, che siano comunque preesistenti,
ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che
abbiano tuttavia carattere accessorio), ma
nel novero degli interventi di
ristrutturazione edilizia, di cui alla lett.
c) del comma 1 dell'art. 10, d.P.R. n.
380/2001, dal momento che realizza
un'oggettiva trasformazione della facciata
del palazzo mediante la sostituzione e
l'inserimento di elementi, nonché la
modifica di altri (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli,
Sez. IV,
sentenza 19.02.2009 n. 895 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Ampliamento
vano finestra.
L'ampliamento di vano-finestra non rientra
nell'ambito degli interventi di manutenzione
straordinaria, né di restauro o risanamento
conservativo (i quali presuppongono, ai
sensi dell'art. 3, lett. b-c), d.P.R. n.
380/2001, la sostituzione o la conservazione
di elementi -anche strutturali- degli
edifici, che siano comunque preesistenti,
ovvero l'inserimento di elementi nuovi, che
abbiano tuttavia carattere accessorio), ma
nel novero degli interventi di
ristrutturazione edilizia, di cui alla
lettera c) del comma primo dell'articolo 10
d.P.R. n. 380/2001, dal momento che realizza
un'oggettiva trasformazione della facciata
del palazzo mediante la sostituzione e
l'inserimento di elementi, nonché la
modifica di altri (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli,
Sez. IV,
sentenza 29.01.2009 n. 505 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Nozione.
Fra gli interventi edilizi soggetti a previo
rilascio del permesso di costruire l’art.
10, comma 1, lett. c), d.P.R. 06.06.2001 n.
380 ricomprende gli interventi di
ristrutturazione edilizia che portino ad un
organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che determinino
aumento di unità immobiliari, modifiche del
volume, della sagoma, dei prospetti o delle
superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A,
comportino mutamenti della destinazione
d’uso.
Con riferimento al cambio di destinazione
d’uso, la giurisprudenza ha escluso la
necessità di permesso a costruire solo
allorquando un organismo edilizio assicura
la fisionomia e conservazione della
destinazione d’uso, della collocazione e
delle caratteristiche fisiche identificative
dell’originario manufatto (cfr. Cons. Stato,
V, 08.08.2003 n. 4593) (massima tratta da
www.studiospallino.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 29.01.2009 n. 498 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
altre forme di intervento ai fini penali.
In tema di reati edilizi, il mutamento di
destinazione d’uso di un immobile attuato
attraverso l’esecuzione di opere edilizie e
realizzato dopo la sua ultimazione configura
un’ipotesi di ristrutturazione edilizia che
integra il reato di esecuzione di lavori in
assenza di permesso di costruire (art. 44,
lett. b), d.P.R. 06.06.2001, n. 380), in
quanto l’esecuzione di lavori, anche se di
modesta entità, porta alla creazione di un
organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente (massima tratta da
www.studiospallino.it - Corte di Cassazione,
Sez. III penale, sentenza 20.01.2009 n.
9894). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Condono
edilizio.
Quando la demolizione e la successiva
ricostruzione di un manufatto non danno
luogo alla fedele riedificazione del
precedente manufatto per sagoma, superficie
e volume, non si è in presenza di
ristrutturazione edilizia, bensì di nuova
costruzione, per cui è necessario il
rilascio di apposito titolo edilizio: è
quindi legittima l’archiviazione della
domanda di condono relativa al primo
fabbricato, essendo effettivamente venuta
meno la stessa opera per cui si riferiva la
richiesta (massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.12.2008 n. 6550 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione
- Interventi su fabbricati abusivi.
Il regime della d.i.a. non è applicabile a
lavori edilizi che interessino manufatti
abusivi che non siano stati sanati né
condonati, in quanto gli interventi
ulteriori -sia pure riconducibili, nello
loro oggettività, alle categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della
ristrutturazione, della realizzazione di
opere costituenti pertinenze urbanistiche-
ripetono le caratteristiche di illegittimità
dall'opera principale alla quale ineriscono
strutturalmente (cfr., in termini,
Cassazione penale, Sezione III, 19.04.2006,
n. 21490, e 22.11.2007, n. 4087) (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.11.2008 n. 19372 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Interventi su fabbricati
abusivi.
I lavori edilizi che riguardano manufatti
abusivi non sanati né condonati non sono
assoggettabili al regime della d.i.a. poiché
gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle
categorie della manutenzione straordinaria,
del restauro e/o risanamento conservativo,
della ristrutturazione, della realizzazione
di opere costituenti pertinenze
urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell'opera principale alla
quale ineriscono strutturalmente (massima
tratta da www.studiospallino.it - Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza
24.10.2008 n. 45070). |
EDILIZIA PRIVATA: Discrimine
tra ristrutturazione e altre forme di
intervento ai fini penali.
In tema di reati edilizi, integra il reato
di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R.
06.06.2001, n. 380 la realizzazione di un
terrazzo a tasca in assenza del permesso di
costruire, in quanto si tratta di un
intervento di ristrutturazione edilizia che
comporta una modificazione della sagoma e
delle superfici utili dell’edificio ai sensi
dell’art. 10, comma primo, lett. c), d.P.R.
citato (massima tratta da
www.studiospallino.it - Corte di Cassazione,
Sez. III penale, sentenza 24.10.2008 n.
42892). |
EDILIZIA PRIVATA: Discrimine
tra ristrutturazione e altre forme di
intervento ai fini penali.
Costituisce nuova costruzione l'intervento
di ricostruzione di un rudere, in quanto il
risanamento conservativo, ed in genere gli
interventi di ristrutturazione con o senza
demolizioni, devono essere contestualizzati
temporalmente nell'ambito di un intervento
unitario volto nel suo complesso alla
conservazione di un edificio che deve essere
esistente e strutturalmente identificabile
al momento di inizio dei lavori (massima tratta da www.studiospallino.it -
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 21.10.2008 n. 42521). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Mutamento di destinazione
d’uso.
In materia edilizia, le opere interne e gli
interventi di ristrutturazione urbanistica,
come pure quelli di manutenzione
straordinaria, di restauro e di risanamento
conservativo, necessitano del preventivo
rilascio del permesso di costruire ogni qual
volta comportino mutamento di destinazione
d'uso tra categorie funzionalmente autonome
dal punto di vista urbanistico e, qualora
debbano essere realizzati nei centri
storici, anche nel caso in cui comportino
mutamento di destinazione d'uso all'interno
di una categoria omogenea (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Sardegna, Sez.
II,
sentenza 06.10.2008 n. 1822 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della determinazione del "dies a quo"
di decorrenza del termine per ricorrere
avverso un permesso di costruire, incombe a
carico di chi eccepisce la tardività
dell'impugnazione dare la prova
dell'effettiva e piena conoscenza -anche
attraverso elementi presuntivi, come
l'intervenuta ultimazione dei lavori- del
permesso di costruire da parte del
ricorrente.
Se è vero che può essere ritenuto
irricevibile per manifesta tardività il
ricorso giurisdizionale avverso una
concessione edilizia (ora permesso di
costruire) proposto dai proprietari finitimi
e colà stabilmente residenti, laddove il
gravame sia stato proposto oltre un anno dal
rilascio e comunque numerosi mesi dopo
l'installazione del cartello recante gli
estremi essenziali del provvedimento
impugnato, posto che il lungo tempo
trascorso, la natura appariscente dei lavori
autorizzati e l'incontroversa stabile
residenza dei ricorrenti in località attigua
a quella in cui l'opera è stata realizzata
rendono ragionevolmente fondata la
conoscibilità del provvedimento stesso in
data ben anteriore al sessantesimo giorno
precedente a quello in cui detto ricorso è
stato proposto (Consiglio Stato, sez. V,
03.10.1995, n. 1389), è vero altresì che ai
fini della determinazione del "dies a quo"
di decorrenza del termine per ricorrere,
incombe a carico di chi eccepisce la
tardività dell'impugnazione dare la prova
dell'effettiva e piena conoscenza -anche
attraverso elementi presuntivi, come
l'intervenuta ultimazione dei lavori- del
permesso di costruire da parte del
ricorrente (TAR Campania Salerno, sez. II,
07.03.2008, n. 262).
Tuttavia, l'effettiva conoscenza dell'atto
si concretizza, in via presuntiva, solo
quando la costruzione realizzata riveli in
modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e la non
conformità della stessa al titolo o alla
disciplina urbanistica dell'area, a meno che
non si deduca l'assoluta inedificabilità
dell'area (o analoghe censure), nel qual
caso risulta sufficiente la conoscenza
dell'iniziativa in corso (TAR Sicilia
Catania, sez. I, 08.02.2008, n. 225;
Consiglio Stato, sez. IV, 24.12.2007, n.
6621; Consiglio Stato, sez. IV, 10.12.2007,
n. 6342)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sui
soggetti abilitati ad impugnare gli atti
della P.A..
L'intervento "ad
adiuvandum" può essere proposto nel
processo amministrativo solo da un soggetto
titolare di una posizione giuridica
collegata o dipendente da quella del
ricorrente in via principale e non anche da
soggetto che sia portatore di un interesse
che lo abilita a proporre ricorso in via
principale (TAR Abruzzo Pescara, 22.09.2006,
n. 567)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'impugnazione
del permesso di costruire.
Com’è noto, la
legittimazione a impugnare il permesso di
costruire va riconosciuta a coloro che
possono vantare un proprio interesse
legittimo, in quanto si trovino in una
situazione di stabile collegamento -per
l’esistenza di un diritto reale o
obbligatorio- con la zona interessata dalla
costruzione assentita e subiscano in
concreto un pregiudizio dalla lesione dei
valori urbanistici della zona medesima (ex
multis: TAR Campania Napoli, sez. IV,
31.12.2007, n. 16690; TAR Sicilia Catania,
sez. I, 09.10.2007, n. 1629; TAR Lazio Roma,
sez. II, 17.11.2004, n. 13255)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
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EDILIZIA PRIVATA: La
legittimazione a chiedere la concessione
edilizia spetta solo a chi abbia, in virtù
di un diritto reale o di una obbligazione,
la facoltà di eseguire il progetto
assentito.
Ai sensi
dell’art. 4, comma 1, L. 28.01.1977 n. 10,
la legittimazione a chiedere la concessione
edilizia spetta solo a chi abbia, in virtù
di un diritto reale o di una obbligazione,
la facoltà di eseguire il progetto
assentito.
Tale legittimazione compete anche al singolo
condòmino riguardo ad un’opera da realizzare
sulle parti comuni di un edificio, ma solo
ove tale opera sia strettamente
pertinenziale alla sua unità immobiliare, in
virtù del combinato disposto degli artt.
1102 (facoltà del comunista di servirsi
delle cose comuni), 1105 (concorso di tutti
i condomini alla cosa comune) e 1122
(divieto al condominio di realizzare opere
che danneggino le cose comuni) (Consiglio di
Stato, sez. V, 23.06.1997, n. 699)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
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CONDOMINIO: Anche l’amministratore di un condominio,
se e quando munito di specifici poteri a lui
conferiti dai singoli condomini, può
richiedere il rilascio di una concessione
edilizia in quanto la legge non esclude che
i soggetti titolati possano avvalersi di
altri soggetti, regolarmente incaricati
secondo le regole generali per esercitare il
loro diritto.
Con riferimento
alla legittimazione ad agire
dell’amministratore del condominio, questo
Tribunale ha già avuto modo di chiarire che
“anche l’amministratore di un condominio,
se e quando munito di specifici poteri a lui
conferiti dai singoli condomini, possa
richiedere il rilascio di una concessione
edilizia in quanto la legge non esclude che
i soggetti titolati possano avvalersi di
altri soggetti, regolarmente incaricati
secondo le regole generali per esercitare il
loro diritto. Ciò può facilmente verificarsi
nell’ipotesi di lavori di ristrutturazione
di uno stabile condominiale per i quali è
richiesta la concessione edilizia o nel caso
di demolizione e successiva ricostruzione di
un edificio condominiale” (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. II, n. 435/1996)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
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EDILIZIA PRIVATA: Il
comune ha l’obbligo di verificare la
documentazione allegata all’istanza di
permesso di costruire, sebbene questo sia
sempre rilasciato facendo salvi i diritti
dei terzi, verificando compiutamente i
titoli di proprietà dei condòmini e
negandolo qualora non emerga la prova della
sussistenza del titolo.
L'amministrazione comunale, ai fini del
rilascio del permesso di costruire, è
onerata del solo accertamento della
sussistenza del titolo astrattamente idoneo
da parte del richiedente alla disponibilità
dell'area oggetto dell'intervento edilizio e
nel caso di opere edilizie da realizzare in
aree condominiali tale onere si considera
assolto esclusivamente verificando il previo
assenso degli altri condomini.
Se il rilascio del permesso di costruire
impone all'amministrazione comunale una
preliminare verifica circa la legittimazione
sostanziale del soggetto che chiede di
esercitare lo ius aedificandi, onde
l'accertamento del possesso del titolo a
costruire costituisce una condizione la cui
mancanza impedisce all'ente comunale di
procedere oltre nell'esame dell'istanza,
tuttavia deve ritenersi escluso l'obbligo di
effettuare complesse indagini dirette a
ricostruire tutte le vicende riguardanti
l'immobile.
L’amministrazione comunale –secondo quanto chiarito
dalla giurisprudenza- ha l’obbligo di
verificare la documentazione allegata
all’istanza di permesso di costruire,
sebbene questo sia sempre rilasciato facendo
salvi i diritti dei terzi, verificando
compiutamente i titoli di proprietà dei condòmini e negandolo qualora non emerga la
prova della sussistenza del titolo (Cons.
Stato, Sez. 5ª, 22.06.2000 n. 3525; TAR
Campania, Sez. 4ª, 17.06.2002 n. 3601).
L'amministrazione comunale, ai fini del
rilascio del permesso di costruire, è
onerata del solo accertamento della
sussistenza del titolo astrattamente idoneo
da parte del richiedente alla disponibilità
dell'area oggetto dell'intervento edilizio
(TAR Liguria Genova, sez. I, 29.11.2007, n.
1987), e nel caso di opere edilizie da
realizzare in aree condominiali tale onere
si considera assolto esclusivamente
verificando il previo assenso degli altri
condomini (v., ex multis, TAR
Basilicata 18.12.2002 n. 1011).
Se il rilascio del permesso di costruire
impone all'amministrazione comunale una
preliminare verifica circa la legittimazione
sostanziale del soggetto che chiede di
esercitare lo ius aedificandi, in tal
senso inducendo la prescrizione di cui
all'art. 4 comma 1, l. n. 10 del 1977 («la
concessione è data dal sindaco al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo
per richiederla [...]»), e
successivamente quella di cui all'art. 11
comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 («il
permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo»), onde
l'accertamento del possesso del titolo a
costruire (da riconoscere a chiunque abbia,
in virtù di un diritto reale o di
obbligazione sull'immobile, la facoltà di
eseguire i lavori in progetto) costituisce
una condizione la cui mancanza impedisce
all'ente comunale di procedere oltre
nell'esame dell'istanza, tuttavia deve
ritenersi escluso l'obbligo di effettuare
complesse indagini dirette a ricostruire
tutte le vicende riguardanti l'immobile (TAR
Emilia Romagna Parma, 21.02.2007, n. 53;
Cons. Stato, Sez. V, 07.07.2005 n. 3730)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
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EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di disponibilità dell’area, ai fini
del rilascio del titolo edilizio, non è
“circoscritto alla dimostrazione della
proprietà dell’immobile, ma indica
l’esistenza di una situazione giuridica che
abilita il titolare a sfruttare pienamente
la potenzialità edificatoria dell’immobile”,
con la conseguenza che “la disponibilità
manca non solo quando il richiedente non è
proprietario del terreno, ma anche nei casi
in cui la proprietà è limitata da diritti
reali di godimento che incidono sulla
possibilità di edificazione del suolo.
Il concetto di
disponibilità dell’area, ai fini del
rilascio del titolo edilizio, non è “circoscritto
alla dimostrazione della proprietà
dell’immobile, ma indica l’esistenza di una
situazione giuridica che abilita il titolare
a sfruttare pienamente la potenzialità
edificatoria dell’immobile”, con la
conseguenza che “la disponibilità manca
non solo quando il richiedente non è
proprietario del terreno, ma anche nei casi
in cui la proprietà è limitata da diritti
reali di godimento che incidono sulla
possibilità di edificazione del suolo"
(così Cons. Stato, Sez. V, 22.06.2000 n.
3525 e TAR Veneto–Venezia, Sez. II, n.
3752/2004)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
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EDILIZIA PRIVATA: La
perdita di efficacia del permesso di
costruire per mancato inizio o ultimazione
dei lavori nei termini prescritti deve
essere accertata e dichiarata con formale
provvedimento dell'amministrazione, anche ai
fini del necessario contraddittorio con il
privato circa l'esistenza dei presupposti di
fatto e diritto che legittimano la
declaratoria di decadenza.
La decadenza dei permessi di costruire,
infatti, non opera di per sé, bensì deve
necessariamente tradursi in un provvedimento
espresso che ne accerti i presupposti e ne
renda operanti gli effetti. Tale
provvedimento, ancorché a contenuto
vincolato, ha carattere autoritativo e
soggiace all'obbligo di motivazione di cui
all'art. 3, l. n. 241 del 1990 nonché di
previa comunicazione di avvio del
procedimento, prescritta dall'art. 7, l. n.
241 del 1990.
L’eventuale
decadenza del permesso per effetto
dell’inerzia dei soggetti legittimati a
costruire, infatti, non costituisce vizio
idoneo ad inficiare la legittimità del
provvedimento.
Sotto altro profilo, la perdita di efficacia
del permesso di costruire per mancato inizio
o ultimazione dei lavori nei termini
prescritti deve essere accertata e
dichiarata con formale provvedimento
dell'amministrazione, anche ai fini del
necessario contraddittorio con il privato
circa l'esistenza dei presupposti di fatto e
diritto che legittimano la declaratoria di
decadenza (Consiglio Stato , sez. IV,
29.01.2008, n. 249).
La decadenza dei permessi di costruire,
infatti, non opera di per sé, bensì deve
necessariamente tradursi in un provvedimento
espresso che ne accerti i presupposti e ne
renda operanti gli effetti. Tale
provvedimento, ancorché a contenuto
vincolato, ha carattere autoritativo e
soggiace all'obbligo di motivazione di cui
all'art. 3, l. n. 241 del 1990 nonché di
previa comunicazione di avvio del
procedimento, prescritta dall'art. 7, l. n.
241 del 1990 (TAR Lazio Roma, sez. I,
02.01.2008, n. 1)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
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EDILIZIA PRIVATA: L’omessa
indicazione e/o quantificazione del
contributo di costruzione, nel permesso di
costruire, è circostanza inidonea a
determinare l’illegittimità del
provvedimento.
Anche l'eventuale erronea determinazione
degli oneri connessi al rilascio del
permesso di costruire non determina, in ogni
caso, l'illegittimità del titolo stesso e
non giustifica la pretesa al suo
annullamento giurisdizionale; ciò in quanto
il procedimento di determinazione del
contributo di urbanizzazione è diverso e
autonomo rispetto al procedimento di
rilascio del permesso di costruire, sia
perché persegue finalità sue proprie, sia
perché si conclude con un provvedimento che,
diverso da quello concessivo del titolo a
costruire, è autonomamente impugnabile e
suscettivo di annullamento senza
ripercussioni sul titolo abilitativo alla
costruzione.
Il Collegio –a
voler ammettere che il contributo sia
dovuto, trattandosi di attività edilizia
rivolta al recupero filologico di edificio
preesistente, per il quale sussistono tutte
le opere di urbanizzazione in loco- ritiene
l’omessa indicazione e/o quantificazione del
contributo di costruzione, nel permesso di
costruire, circostanza inidonea a
determinare l’illegittimità del
provvedimento.
Infatti, anche l'eventuale erronea
determinazione degli oneri connessi al
rilascio del permesso di costruire non
determinerebbe, in ogni caso, l'illegittimità
del titolo stesso e non giustificherebbe la
pretesa al suo annullamento giurisdizionale;
ciò in quanto il procedimento di
determinazione del contributo di
urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto
al procedimento di rilascio del permesso di
costruire, sia perché persegue finalità sue
proprie, sia perché si conclude con un
provvedimento che, diverso da quello
concessivo del titolo a costruire, è
autonomamente impugnabile e suscettivo di
annullamento senza ripercussioni sul titolo
abilitativo alla costruzione (Consiglio
Stato, sez. IV, 31.01.1995, n. 37)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
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EDILIZIA PRIVATA: La
rovina di un edificio, non importa a quali
cause dovuta, fa venire meno la possibilità
di ristrutturare l’edificio medesimo e
determina solo la possibilità di procedere
alla ricostruzione dello stesso.
Il concetto di ristrutturazione postula
necessariamente la preesistenza di un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, motivo per cui la ricostruzione
su ruderi va assimilata ad una nuova
edificazione.
In mancanza di norme contrarie, la
ricostruzione di manufatti, ancorché
crollati accidentalmente, soggiace alle
norme urbanistiche vigenti al momento in cui
viene emanato il permesso di costruire.
La
giurisprudenza amministrativa ritiene che “la
rovina di un edificio, non importa a quali
cause dovuta, fa venire meno la possibilità
di ristrutturare l’edificio medesimo (in
particolare: Consiglio di Stato sez V sent.
n. 819 del 1996) e determina solo la
possibilità di procedere alla ricostruzione
dello stesso”.
Il concetto di ristrutturazione, infatti,
postula necessariamente la preesistenza di
un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, motivo per cui la ricostruzione
su ruderi -come quella in esame- va
assimilata ad una nuova edificazione
(Consiglio di Stato, sez. V, n. 1261 del 1994,
TAR Lombardia, Brescia n. 478/1996, TRGA
Trento n. 126 del 1996).
In mancanza di norme contrarie, la
ricostruzione di manufatti, ancorché
crollati accidentalmente, soggiace alle
norme urbanistiche vigenti al momento in cui
viene emanato il permesso di costruire
(Consiglio di stato, sez. V, n. 102 del
1989)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
eventuali difformità di esecuzione del
manufatto edilizio rispetto al progetto
approvato ed assentito non giustificano
l'annullamento del provvedimento
autorizzatorio, poiché la legittimità di
questo va vista e considerata sulla base
della situazione di fatto e di diritto
esistente al momento della sua adozione e
poiché la realizzazione della costruzione,
pur essendo esecuzione del progetto
approvato con il permesso di costruire,
attiene ad un aspetto ulteriore ed esterno
al titolo, ininfluente quindi sulla
legittimità formale di esso.
L'annullamento
del permesso di costruire presuppone
necessariamente l'individuazione di un vizio
originario ad essa afferente, cosa diversa
dalla verifica della conformità o meno al
provvedimento del comportamento tenuto dal
destinatario nella fase di esecuzione dei
lavori che, nel caso di mancata rispondenza
delle opere realizzate al progetto
assentito, potrebbe consentire, non
l'annullamento, ma un intervento a fini
sanzionatori o demolitori (TAR Campania
Salerno, sez. II, 07.04.2003, n. 243).
Le eventuali difformità di esecuzione del
manufatto edilizio rispetto al progetto
approvato ed assentito non giustificano,
pertanto, l'annullamento del provvedimento
autorizzatorio, poiché la legittimità di
questo va vista e considerata sulla base
della situazione di fatto e di diritto
esistente al momento della sua adozione e
poiché la realizzazione della costruzione,
pur essendo esecuzione del progetto
approvato con il permesso di costruire,
attiene ad un aspetto ulteriore ed esterno
al titolo, ininfluente quindi sulla
legittimità formale di esso (TAR Sardegna
Cagliari, sez. II, 21.09.2007, n. 1754)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Balconi.
La realizzazione di un balcone con
conseguente modifica del prospetto del
fabbricato cui accede costituisce opera di
ristrutturazione edilizia esterna;
intervento che esige, ai sensi dell’art. 10
comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001,
il titolo abilitativo del permesso a
costruire, congiuntamente, nelle aree
soggette a disciplina vincolistica,
all’autorizzazione paesistica (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 21.08.2008 n. 9951
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è necessaria la comunicazione di avvio del
procedimento nel caso di ordine di
demolizione di opere abusive, in quanto
trattasi di provvedimento alla cui adozione
l'Amministrazione comunale è vincolata per
legge, a seguito dell'accertata abusività
delle opere, cioè in virtù di un presupposto
di fatto di cui il ricorrente doveva essere
ragionevolmente a conoscenza, rientrando
nella propria sfera di controllo.
Non è necessaria la comunicazione di avvio
del procedimento nel caso di ordine di
demolizione di opere abusive, in quanto
trattasi di provvedimento alla cui adozione
l'Amministrazione comunale è vincolata per
legge, a seguito dell'accertata abusività
delle opere, cioè in virtù di un presupposto
di fatto di cui il ricorrente doveva essere
ragionevolmente a conoscenza, rientrando
nella propria sfera di controllo (cfr.
questa Sezione, 26.01.2004, n. 287; cfr.,
altresì, TAR Puglia, Lecce, sez. III,
10.07.2004, n. 4974; TAR Calabria,
Catanzaro, sez. II, 04.02.2004, n. 217; TAR
Valle d’Aosta, 18.09.2002, n. 84).
Il provvedimento che
ordina la demolizione di manufatti abusivi è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
senza alcun titolo abilitativo e quindi
abusivamente e, dunque, non abbisogna di
congrua motivazione in ordine all'attualità
dell'interesse pubblico alla rimozione
dell’abuso, la quale è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell’assetto
urbanistico violato.
Il provvedimento che ordina la demolizione
di manufatti abusivi è atto dovuto in
presenza di opere realizzate senza alcun
titolo abilitativo e quindi abusivamente
(fra le tante, C.d.S., VI, 28.06.2004, n.
4743) e dunque non abbisogna di congrua
motivazione in ordine all'attualità
dell'interesse pubblico alla rimozione
dell’abuso, la quale è in re ipsa,
consistendo nel ripristino dell’assetto
urbanistico violato (TAR Campania, sez. IV,
04.07.2001, n. 3071; 13.06.2002, n. 3485;
04.02.2003, n. 617; 20.10.2003, n. 12962)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 21.08.2008 n. 9951
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Mutamento
di sagoma, prospetti, superfici.
Il collegio osserva che la questione da
risolvere riguarda la qualificazione
dell’intervento alla luce della previsione
dell’art. 10, comma 1, lett. c), del dpr
06.06.2001, n. 380, che nel testo vigente
attualmente ed al momento del rilascio del
titolo qualifica come interventi di
ristrutturazione edilizia anche le attività
volte a realizzare “…un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della
sagoma, dei prospetti o delle superfici…”.
La documentazione prodotta dal ricorrente
comprova effettivamente che l’attività
edilizia assentita comporterà un mutamento
di rilievo nella disposizione degli immobili
della controinteressata, così da creare un
organismo edilizio parzialmente differente
da quello preesistente, con la modificazione
della sagoma e del volume, che verrà
distribuito in due unità immobiliari; la
verificazione disposta ha permesso di
acquisire che la volumetria in progetto
rimarrà inalterata, ma che differenti
risulteranno ad esempio le disposizioni
degli immobili nello spazio e la forma delle
coperture.
Tanto premesso in fatto si osserva che la
nozione di ristrutturazione edilizia va
rimeditata alla luce delle modificazioni che
l’art, 1 del d.lvo 27.12.2002, n. 301 ha
apportato agli artt. 10 e 22 del dpr
06.06.2001, n. 380. In particolare la citata
formulazione del citato articolo 10 va
comparata con il testo previgente che
ancorava la nozione in questione al
mantenimento della sagoma e del volume
dell’immobile oggetto dell’intervento.
Si nota innanzitutto che il legislatore del
2002 ha inteso rimarcare una cesura assai
netta rispetto alla situazione preesistente,
allorché si discuteva addirittura se la
ristrutturazione potesse prevedere la
demolizione e la ricostruzione, in allora
definita fedele, dell’immobile di che si
tratta.
Tuttavia le congiunzioni utilizzate dal
legislatore per raccordare i concetti
accolti dalla novella del 2002 non possono
indurre a considerare che la
ristrutturazione possa giungere a prevedere
ogni tipo di modificazione indicata dalla
norma: osserva la condivisa giurisprudenza
(ad esempio cass. III pen. 26.10.2007, n.
47096, cons. Stato, IV, 16.03.2007, n. 1276)
che è pur tuttavia necessario conservare una
identificabile linea distintiva tra le
nozioni di ristrutturazione e nuova
costruzione, potendo con ciò riferirsi
soltanto a taluna delle modifiche enumerate
dalla norma citata.
Nel caso in cui la sagoma, i prospetti e le
superfici dell'immobile in questione
risultino essere stati mutati, essendo
invece rimasto quasi invariato il volume,
cosicché ne risulti un manufatto assai
differente da quello preesistente, non può
pertanto applicarsi la nozione di
ristrutturazione, apparendo invece più
confacente la fattispecie che ha riguardo
alla nuova costruzione (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 25.07.2008 n. 1543
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Oneri di
urbanizzazione.
Sulla base del generale principio che
correla gli oneri di urbanizzazione al
carico urbanistico, costituisce intervento
di ristrutturazione edilizia comportante il
pagamento di tale contributo la divisione ed
il frazionamento di un’unità immobiliare in
due o più unità qualora, a seguito di tale
operazione e stante l’autonoma
utilizzabilità delle stesse, si realizzi un
aumento del carico urbanistico (C.d.S., sez.
IV, 29/04/2004 n. 2611; TAR Toscana, sez.
III, 22/01/2007 n. 62; TAR Lazio –RM-
04/01/2006 n. 36) (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 15.07.2008 n. 352
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
restauro/risanamento conservativo.
Sono qualificabili interventi di restauro e
risanamento conservativo gli interventi
sistematici che, pur con rinnovo di elementi
costitutivi dell'edificio preesistente, ne
conservano tipologia, forma e struttura; per
contro, rientrano nella nozione di
ristrutturazione edilizia le opere rivolte a
creare un organismo in tutto o in parte
diverso da quello oggetto di intervento
(massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.06.2008 n. 2981 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
manutenzione straordinaria.
La ristrutturazione edilizia non è vincolata
al rispetto degli elementi tipologici,
formali e strutturali dell'edificio
esistente e differisce sia dalla
manutenzione straordinaria (che non può
comportare aumento della superficie utile o
del numero delle unità immobiliari, né
modifica della sagoma o mutamento della
destinazione d'uso) sia dal restauro e
risanamento conservativo (che non può
modificare in modo sostanziale l'assetto
edilizio preesistente e consente soltanto
variazioni d'uso "compatibili" con
l'edificio conservato).
La stessa attività di ristrutturazione, del
resto, può attuarsi attraverso una serie di
interventi che, singolarmente considerati,
ben potrebbero ricondursi agli altri tipi
dianzi enunciati.
L'elemento caratterizzante, però, è la
connessione finalistica delle opere
eseguite, che non devono essere riguardate
analiticamente, ma valutate nel loro
complesso al fine di individuare se esse
siano o meno rivolte al recupero edilizio
dello spazio attraverso la realizzazione di
un edificio in tutto o in parte nuovo
(massima tratta da www.studiospallino.it -
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.05.2008 n. 35897). |
EDILIZIA PRIVATA: Discrimine
tra ristrutturazione e altre forme di
intervento ai fini penali.
In tema di reati edilizi, anche dopo le
modifiche apportate dal d.lg. 27.12.2002, n.
301 all'art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n.
380, gli interventi di ristrutturazione
edilizia ricomprendono anche la demolizione
e la ricostruzione del preesistente
manufatto purché vi sia identità dell'area
di sedime e ne rimangano inalterate la
volumetria e la sagoma, configurandosi,
diversamente, un intervento di "nuova
costruzione" (massima tratta da
www.studiospallino.it - Corte di Cassazione,
Sez. III penale, sentenza 08.04.2008 n.
28212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Nozione
secondo i regolamenti locali.
In tema di reati edilizi, in base alla
regola della prevalenza degli interventi "definiti"
su quelli previsti dagli strumenti
urbanistici, deve escludersi che un
intervento qualificato come di "nuova
costruzione" ai sensi del comma primo
dell’art. 3 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, possa
essere degradato ad intervento di "ristrutturazione
edilizia" dallo strumento urbanistico
(fattispecie in materia di sequestro
preventivo di un manufatto già esistente,
oggetto di un intervento di demolizione e
ricostruzione con alterazioni
planovolumetriche e definito di
"ristrutturazione edilizia" da un piano
demaniale comunale, in contrasto con la
formula definitoria dettata dall’art. 3 del
citato d.P.R.) (massima tratta da
www.studiospallino.it - Corte di Cassazione,
Sez. III penale, sentenza 08.04.2008 n.
28212). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Oneri di
urbanizzazione.
In base all’art. 3, l. n. 10 del 1977, la
concessione edilizia, ora permesso di
costruire, comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza delle
spese di urbanizzazione ed al costo di
costruzione e tale obbligo è esteso, ex art.
9 della legge, agli interventi di restauro,
risanamento e ristrutturazione che
comportino aumento delle superfici e
mutamento delle destinazioni d’uso: ai fini
della riliquidazione degli oneri di
urbanizzazione, costituisce legittimo
presupposto la sussistenza di un eventuale
maggior carico urbanistico provocato
dall’intervento eseguito in un fabbricato
già autorizzato ed, in tale ambito, non deve
tenersi conto esclusivamente di
ristrutturazioni generali e globali di un
edificio con necessari interventi esterni ed
interni, ma anche di ristrutturazioni che
comunque trasformino la realtà strutturale e
la fruibilità urbanistica dell’immobile, con
la connessa necessità di sottoporre le
relative concessioni al pagamento dei
contributi riferiti all’avvenuta oggettiva
rivalutazione dell’immobile e funzionali a
sostenere il carico socio-economico che la
realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico (C.d.S. sez. IV 29.04.2004 n.
2611) (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 21.03.2008 n. 1109 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Distanza temporale tra
demolizione e ricostruzione.
Ai sensi dell’art. 31, lett. d), l.
05.08.1978 n. 457, il concetto di
ristrutturazione edilizia comprende anche la
demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, purché tale
ricostruzione assicuri la piena conformità
di sagoma, volume e superficie fra il
vecchio e il nuovo manufatto e venga
comunque effettuata in un tempo
ragionevolmente prossimo a quello della
demolizione (si veda fra le tante: C. Stato,
Sez. IV, 28.07.2005, n. 4011; Sez. V,
14.12.2006, n. 7445) (massima tratta da
www.studiospallino.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 18.03.2008 n. 1177 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Esenzione
dagli oneri di urbanizzazione.
L'art. 9, l. n. 10 del 1977 prevede
l'esenzione dal pagamento degli oneri di
costruzione, contemplando alcune specifiche
ipotesi, fra le quali quelle degli
interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20
per cento, di edifici unifamiliari (lettera
d).
Non rientra in quest'ultima fattispecie,
l'intervento edilizio comprendente tre unità
abitative sia pur riconducibili alla
proprietà ad uno o a più soggetti (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 13.03.2008 n. 472 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Condono
edilizio.
Ai sensi dell’art. 2, comma 53, l.
23.12.1996 n. 662, la modifica della
destinazione d’uso con o senza opere, anche
se in difformità dalle previsioni
urbanistiche, rientra nella tipologia 4
(opere di ristrutturazione edilizia e opere
che abbiano determinato mutamento di
destinazione d’uso) e non nella tipologia 1
della tabella allegata alla l. 28.02.1985 n.
47 (massima tratta da www.studiospallino.it
-
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.01.2008 n. 225
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
restauro/risanamento conservativo.
Gli interventi edilizi che alterino, anche
sotto il profilo della distribuzione della
superficie interna, l’originaria consistenza
fisica di un immobile e comportino la
modifica e la ridistribuzione dei volumi non
si configurano come interventi di
risanamento conservativo, bensì di
ristrutturazione edilizia, determinando un
rinnovo degli elementi costitutivi
dell’edificio (massima tratta da
www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.12.2007 n. 6674
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Mutamento
di destinazione d'uso.
In caso di intervento edilizio integrante un
mutamento di destinazione d’uso con
rilevanti opere ne consegue la
sottoposizione a titolo edilizio per
ristrutturazione (cfr. ad es. TAR Liguria
Genova, sez. I, 08.02.2006, n. 103) (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 29.11.2007 n. 1988 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Oneri di
urbanizzazione.
Costante giurisprudenza ha affermato che il
contributo per oneri di urbanizzazione ha
funzione sostitutiva delle opere di
urbanizzazione e quindi assolve alla
funzione di ridistribuire i costi sociali
delle relative opere facendole gravare sui
soggetti che ne usufruiscono.
L’entità degli oneri è correlata alla
variazione del carico urbanistico, sicché è
ben possibile che un intervento di
ristrutturazione e mutamento di destinazione
d’uso possa comportare aggravi di carico
urbanistico e quindi l’obbligo della
relativa corresponsione degli oneri (si veda
Consiglio di Stato, sez. V, n. 120 del
1991); al contrario è altrettanto possibile
che in caso di mutamento di destinazione
d’uso nell’ambito della stessa categoria
urbanistica, faccia seguito un maggior
carico urbanistico indotto dalla
realizzazione di quanto assentito e
correlativamente siano dovuti gli oneri
accessori (Tar Lombardia, Milano, sez. II,
n. 4502 del 2003).
In sostanza, il mero riferimento al
passaggio tra una destinazione all’altra
nell’ambito della stessa categoria
urbanistica non implica automaticamente la
non dovutezza degli oneri, dovendosi
accertare se non vi sia stato effettivamente
mutamento del carico urbanistico (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 14.11.2007 n. 11213 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Incrementi volumetrici.
Gli interventi comportanti incrementi
volumetrici, anche interni, rientrano
nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia e sono pertanto
assoggettati a permesso di costruire ex
artt. 3, comma 1, lett. d), e 10, d.P.R. n.
380 del 2001, non potendo configurarsi né
come manutenzione straordinaria, né come
restauro o risanamento conservativo (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza
06.11.2007 n. 10674). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Modiche volumetriche.
In materia edilizia, le "modifiche
volumetriche" previste dall’art. 10 del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 per le attività di
ristrutturazione edilizia (assentibili, a
scelta dell’interessato, o con permesso di
costruire o con D.I.A.) devono consistere in
diminuzioni o trasformazioni dei volumi
preesistenti ovvero in incrementi
volumetrici modesti, tali da non configurare
apprezzabili aumenti di volumetria (in
motivazione la Corte, nell’enunciare il
predetto principio, ha ulteriormente
precisato che qualora si ammettesse la
possibilità di un sostanziale ampliamento
dell’edificio, verrebbe meno la linea di
distinzione tra la ristrutturazione edilizia
e la nuova costruzione) (massima tratta
da www.studiospallino.it - Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza
26.10.2007 n. 47046). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Modiche volumetriche.
È illegittimo un diniego di sanatoria
opposto ad un intervento di ristrutturazione
che comporti il recupero, con diversa
destinazione d’uso, di un locale già adibito
a rimessa, in quanto tale intervento non è
tale da determinare ex novo un
aumento di volumetria (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Piemonte, Sez.
I,
sentenza 16.10.2007 n. 3053 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Esorbitano
dalla ristrutturazione edilizia le modifiche
di sagoma, pianta e prospetti, che portino
ad un aspetto esteriore del fabbricato
radicalmente diverso da quello precedente.
Questo Tribunale è al corrente delle
incertezze giurisprudenziali circa
l’ammissibilità o meno degli aumenti di
volumetria nel quadro di interventi di
ristrutturazione edilizia.
A favore della soluzione positiva milita la
definizione di legge, secondo la quale detti
interventi possono portare alla formazione
di “un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso da quello precedente” (in
questo senso molti precedenti
giurisprudenziali hanno espressamente
affermato che interventi sul patrimonio
edilizio esistente che comportino aumenti di
volumetria non possono ascriversi né alla
manutenzione straordinaria, né al restauro e
risanamento conservativo, ma, appunto, alla
ristrutturazione edilizia: Cons. St., V,
23.07.1994, n. 807; v. anche Cons. St., V,
18.12.1997, n. 1581 e TAR Liguria, I,
24.06.1998, n. 288, in cui si afferma
espressamente che la ristrutturazione
edilizia tollera piccoli incrementi di
volumetria e lievi variazioni di
superficie).
Altra parte della giurisprudenza si è invece
espressa per la soluzione negativa (Cons.
St., V., 03.01.1992, n. 4; TAR
Campania–Napoli, 04.12.2002, n. 7793),
giungendo, in qualche caso, ad affermare che
uno stesso intervento sul patrimonio
esistente che comporti aumento di volume
dovrebbe essere scisso in ristrutturazione
edilizia per la parte che interessa le
strutture conservate ed in nuova costruzione
per quella che determina la creazione di
volumi nuovi (TAR Molise, 28.06.2001, n.
190).
Inoltre, per le ipotesi di demolizione e
successiva ricostruzione, la giurisprudenza
ha sempre ritenuto che tali interventi
potessero considerarsi di ristrutturazione
edilizia solo se la ricostruzione fosse “fedele”,
ossia quando l’edificio ricostruito avesse,
fra l’altro, lo stesso volume di quello
demolito (v. fra le tante Cons. St., V,
08.08.2003, n. 4593 e Cons. St., V,
03.03.2004, n. 1023: tale principio è stato
ora recepito nel testo unico approvato con
D.P.R. 06.06.2001, n. 380), con la
conseguenza che ammettere ampliamenti nelle
ipotesi di ristrutturazione senza
demolizione darebbe luogo ad
un’irragionevole disparità di trattamento.
Ciò premesso, occorre muovere dal principio
secondo il quale la ristrutturazione
edilizia consiste in un intervento di
recupero e riutilizzo di un immobile
esistente e che l’immobile ristrutturato,
ancorché divenuto in tutto o in parte
diverso da quello precedente, deve mantenere
le caratteristiche fondamentali di esso.
In questo quadro merita di essere condivisa
la lettura secondo cui esorbitano dalla
ristrutturazione edilizia le modifiche di
sagoma, pianta e prospetti, che portino ad
un aspetto esteriore del fabbricato
radicalmente diverso da quello precedente.
Il problema è quindi circoscritto a quelle
modifiche, che senza alterare detti
elementi, aumentino la superficie e/o il
volume interni rilevanti ai fini
urbanistici.
A parere del Tribunale tali modifiche non
escludono la configurabilità della
ristrutturazione edilizia
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 16.10.2007 n. 3053 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
assenza di una precisa identificazione degli
elementi ostativi, la reiezione della
domanda di sanatoria non è legittima, in
quanto contraria al principio secondo cui
l’Amministrazione è in ogni caso tenuta ad
esprimere in maniera puntuale le ragioni
ostative al rilascio della concessione in
sanatoria, al fine di mostrare la
completezza della fase istruttoria e la
ponderazione di tutti gli interessi
coinvolti nel procedimento.
In assenza di
una precisa identificazione degli elementi
ostativi, la reiezione della domanda di
sanatoria non è legittima, in quanto
contraria al principio secondo cui
l’Amministrazione è in ogni caso tenuta ad
esprimere in maniera puntuale le ragioni
ostative al rilascio della concessione in
sanatoria, al fine di mostrare la
completezza della fase istruttoria e la
ponderazione di tutti gli interessi
coinvolti nel procedimento (Cons. St., V,
07.03.1987, n. 165; TAR Campania–Napoli,
11.12.2002, n. 7989; TAR Lombardia–Brescia,
26.11.2003, n. 1443)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 16.10.2007 n. 3053 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Chiusura di
logge e balconi.
Interventi edilizi consistenti nella
chiusura di balconi, logge, terrazze, e
nella loro trasformazione in verande, sono
ascrivibili alla categoria della
ristrutturazione edilizia, che necessita di
apposita concessione (ora permesso di
costruire) (cfr. Cons. Stato Sez. 2^,
15.02.2006 n. 2462/2004, TAR Lazio 2^,
15.03.1990 n. 699, TAR Milano 2^, 27.08.1998
n. 2035), per cui la realizzazione di
siffatti interventi senza titolo edilizio
legittima perciò solo l’ordine di
demolizione, ferma restando l’ammissibilità
(astratta) di una sanatoria (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.09.2007 n. 5768 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
restauro/risanamento conservativo.
L'elemento differenziatore tra interventi di
ristrutturazione edilizia e di risanamento
conservativo è da ritenere costituito dal
fatto che nella ristrutturazione il
risultato può portare ad un edificio anche
in tutto diverso dal precedente, nel caso di
restauro e risanamento conservativo, il
risultato va inteso e valutato nel
complesso, e non nelle singole parti, per
cui l'edificio deve restare il medesimo
soprattutto come forma, sia pure con
modifiche non rilevanti architettonicamente
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.05.2007 n. 3070 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Nozione
secondo i regolamenti locali.
L’art. 3 del T.U. n. 380/2001, il quale
definisce la tipologia degli interventi
edilizi, qualifica come “interventi di
ristrutturazione edilizia” quelli
rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere che
possono portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi
costitutivi dell'edificio, l'eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica.
Ai sensi del comma 2 del citato articolo
tale definizione prevale su quelle
eventualmente difformi di cui agli strumenti
urbanistici e regolamenti edilizi.
Il combinato disposto delle disposizioni in
argomento comporta, in sostanza, che i
regolamenti comunali non possono qualificare
come ristrutturazione un intervento che non
rientra nella tipologia divisata nel t.u.
06.06.2001 n. 380 e, quindi, non possono
escludere dalla definizione tipi di
intervento che invece vi rientrano (massima
tratta da www.studiospallino.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.04.2007 n. 1669 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Apertura di
porte e finestre.
L’apertura di porte e finestre non rientra
fra gli interventi di manutenzione
straordinaria e, in quanto opere non di mero
ripristino bensì modificatrici dell’aspetto
degli edifici, vanno ricomprese fra quelle
di ristrutturazione edilizia per la cui
realizzazione è necessario il rilascio della
concessione edilizia (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Basilicata,
sentenza 03.03.2007 n. 135
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Esenzione
dagli oneri di urbanizzazione.
La finalità dell'art. 9, l. 28.01.1977 n.
10, secondo cui il contributo per spese di
urbanizzazione e costo di costruzione non è
dovuto per gli interventi di restauro, di
risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20 per cento, di edifici
unifamiliari, è quella di esentare dal
contributo concessorio ogni intervento
edilizio sugli edifici esistenti destinati
all'abitazione di un solo nucleo familiare,
sull'evidente presupposto che lo hanno già
scontato o ne erano comunque esenti al
momento della realizzazione, esonerando
anche l'eventuale loro ampliamento, purché
contenuto nella percentuale sopra indicata
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Marche, Sez. I,
sentenza 31.01.2007 n. 8 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Frazionamento di singole
unità abitative.
Ai sensi dell’art. 31, lett. h), l. n. 457
del 1978 l’applicazione delle tariffe
previste per gli interventi di manutenzione
straordinaria è possibile esclusivamente per
le opere di accomodamento e vera e propria
manutenzione di carattere straordinario che
non alterino la consistenza fisica delle
singole unità abitative; invero, ciò non
accade in caso di frazionamento in due unità
abitative dell’unità originaria,
realizzandosi una struttura edilizia
qualitativamente diversa dalla precedente
cui si applicano le tariffe previste per gli
interventi di ristrutturazione (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 22.01.2007 n. 62 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze.
Nella nozione di ristrutturazione edilizia
rientrano anche gli interventi consistenti
nella demolizione e nella successiva
ricostruzione di un manufatto, a condizione
che siano rispettate la sagoma e la
volumetria della costruzione preesistente
(da ultimo Cons. St., sez II, 2526/2004 del
22.02.2006).
Le norme in tema di distanze contenute negli
strumenti urbanistici sopravvenuti
disciplinano le nuove costruzioni e non
riguardano affatto, in mancanza di contraria
espressa e specifica previsione, gli
interventi di ristrutturazione che osservano
le distanze preesistenti fra edifici
limitrofi (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 13.10.2006 n. 1209 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Demolizione
e ricostruzione con volume inferiore.
Deve ritenersi illegittimo il titolo
edilizio relativo ad un intervento edilizio
di ristrutturazione che contempli
demolizione e ricostruzione, laddove il
nuovo edificio, pur caratterizzato da una
volumetria inferiore, non rispetti le
caratteristiche strutturali di quello
demolito, per quanto attiene l’altezza ed il
numero dei piani (massima tratta da
www.studiospallino.it - Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 30.08.2006 n. 5061 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze e
nozione
Nell’ambito delle opere edilizie, la
semplice "ristrutturazione" si
verifica ove gli interventi, comportando
modificazioni esclusivamente interne,
abbiano interessato un edificio del quale
sussistano (e, all’esito degli stessi,
rimangano inalterate) le componenti
essenziali, quali i muri perimetrali, le
strutture orizzontali, la copertura, mentre
è ravvisabile la "ricostruzione"
allorché dell’edificio preesistente siano
venute meno, per evento naturale o per
volontaria demolizione, dette componenti, e
l’intervento si traduca nell’esatto
ripristino delle stesse operato senza alcuna
variazione rispetto alle originarie
dimensioni dell’edificio, e, in particolare,
senza aumenti della volumetria, né delle
superfici occupate in relazione alla
originaria sagoma di ingombro.
In presenza di tali aumenti, si verte,
invece, in ipotesi di "nuova costruzione",
da considerare tale, ai fini del computo
delle distanze rispetto agli edifici
contigui come previste dagli strumenti
urbanistici locali, nel suo complesso, ove
lo strumento urbanistico rechi una norma
espressa con la quale le prescrizioni sulle
maggiori distanze previste per le nuove
costruzioni siano estese anche alle
ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta
norma non esista, solo nelle parti eccedenti
le dimensioni dell’edificio originario
(massima tratta da www.studiospallino.it -
Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 27.04.2006 n. 9637). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Esenzione
dagli oneri di urbanizzazione.
Ai sensi dell’art. 17, 3° comma, lett. B),
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, è soggetto
agli oneri di concessione edilizia il
permesso di costruire se gli interventi di
restauro, risanamento conservativo e di
ristrutturazione mutano la destinazione
d’uso del fabbricato preesistente, anche se
l’incremento di superficie e volume è
inferiore al 20 per cento (Cons. St., Sez.
V, 24.09.2001, n. 1427; 25.05.2004, n. 6289;
TAR Toscana, 12.11.1984, n. 1398; TAR
Marche, 12.02.1998, n. 250) (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR Marche, Sez.
I,
sentenza 17.03.2006 n. 92 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Discrimine
tra ristrutturazione e altre forme di
intervento ai fini penali.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia,
rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme di opere che possono
portare ad un organismo in tutto o in parte
diverso dal precedente, si differenziano sia
dalla manutenzione straordinaria in quanto
non sono vincolati al rispetto degli
elementi tipologici, formali e strutturali,
sia dal restauro e risanamento conservativo,
che consente soltanto variazioni d'uso
compatibili con l'edificio conservato
(massima tratta da www.studiospallino.it -
Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.01.2006 n. 20776). |
EDILIZIA PRIVATA:
Discrimine tra ristrutturazione e
restauro/risanamento conservativo.
Mentre gli interventi di restauro si
caratterizzano per essere attuati con una
serie di opere che non comportano
l'alterazione delle caratteristiche edilizie
dell'immobile da restaurare e rispettano gli
elementi formali e strutturali
dell'immobile, gli interventi di
ristrutturazione edilizia sono viceversa
caratterizzati dalla loro idoneità ad
introdurre un quid novi rispetto al
precedente assetto dell'edificio (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Liguria, Sez. I, sentenza 12.10.2005 n.
1350). |
EDILIZIA PRIVATA: Discrimine
tra ristrutturazione e altre forme di
intervento ai fini penali.
L'entrata in vigore dell'art. 1, comma 6, l.
21.12.2001 n. 443, poi superato, a far data
dal 30.06.2003, dall'analogo disposto
dell'art. 22 d.P.R. n. 380 del 2001 (t.u.
dell'edilizia), ha consentito la
effettuazione, previa semplice denuncia di
inizio di attività in alternativa a
concessioni e autorizzazioni edilizie, a
scelta dell'interessato, delle
ristrutturazioni comprensive di demolizione
e ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma, ma non ha sottratto al regime
concessorio le opere di ristrutturazione di
un preesistente fabbricato che abbiano
comportato la modificazione dei prospetti.
Queste ultime integrano il reato in caso di
mancato conseguimento della concessione
edilizia, ai sensi dell'art. 44, comma 1,
lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, e, se
relative a fatti antecedenti all'entrata in
vigore del t.u. dell'edilizia, sono
punibili, ex art. 2, comma 3, c.p., in base
alle sanzioni poste dalla l. n. 47 del 1985,
più favorevole (in motivazione la Corte
ha specificato che gli interventi di
ristrutturazione edilizia, come definiti
dall'art. 31, lett. d), l. 05.08.1978 n.
457, qualora abbiano comportato la
modificazione dei prospetti, non sono stati
sottratti al regime concessorio a differenza
di quanto verificatosi, per effetto degli
art. 48 l. n. 457 cit. e 7 d.l. 23.01.1982
n. 9, per le opere di manutenzione
straordinaria di cui alla precedente lett.
b), degli interventi di restauro e
risanamento conservativo di cui alla lett.
c), nonché delle opere interne,
assoggettate, dall'art. 26 l. n. 47 del 1985
e 4 d.l. 05.10.1993 n. 398 e successive
modifiche, alla sola denuncia di inizio
attività purché non comportassero modifiche
dei prospetti) (massima tratta da
www.studiospallino.it - Corte di Cassazione,
Sez. V penale, sentenza 26.04.2005 n.
23668). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze.
Poiché nel concetto di ristrutturazione
rientrano anche le opere di totale
demolizione e di fedele ricostruzione di un
edificio, ove la ricostruzione assicuri la
piena conformità di sagoma, di volume e di
superficie tra il vecchio ed il nuovo
fabbricato (fra le tante: Cons. St., Sez. V,
09.07.1990 n. 594; 18.12.1997 n. 1581;
20.10.1998 n. 1491; 03.04.2000 n. 1906;
09.10.2002 n. 5410), sono illegittime le
Norme tecniche di attuazione di un comune
che impongono il rispetto delle distanze dai
confini e dalle strade laddove gli
interventi di ristrutturazione edilizia
siano attuati mediante demolizione e
ricostruzione, perché in tal modo si
impedisce nella sostanza la ricostruzione
fedele del preesistente edificio (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 11.03.2004 n. 266
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze.
Il riattamento di un sottotetto di edificio
esistente, con rialzo del medesimo, non
costituisce realizzazione di un nuovo
edificio, ma ristrutturazione
dell'esistente.
Ne consegue che non trova applicazione la
disciplina delle distanze dai confini e non
esistono potenziali controinteressati, e che
il recupero del sottotetto va considerato
ristrutturazione ex art. 3, comma 2, della
l.reg. Lombardia, 15.07.1996, n. 15, anche
se comporta un aumento dell'altezza
dell'edificio (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 18.09.2002 n. 1176 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze.
La demolizione e ricostruzione di un
edificio rientra nel concetto di
ristrutturazione edilizia allorché ricorrono
i seguenti presupposti: sostituzione di
elementi strutturali quali le pareti
perimetrali, ricostruzione nel medesimo
sito, cubatura identica salvo gli
scostamenti di modesto rilievo correlati
alla c.d. "tolleranza di cantiere"
(variazione nel limite del 3% rispetto alle
precedenti dimensioni per cubatura altezze,
distanze ecc.) (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Sicilia-Catania,
Sez. I, sentenza 12.12.2001 n. 2400). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze.
La demolizione e ricostruzione di un
edificio rientra nel concetto di
ristrutturazione edilizia allorché ricorrono
i seguenti presupposti: sostituzione di
elementi strutturali quali le pareti
perimetrali, ricostruzione nel medesimo
sito, cubatura identica salvo gli
scostamenti di modesto rilievo correlati
alla c.d. "tolleranza di cantiere"
(variazione nel limite del 3% rispetto alle
precedenti dimensioni per cubatura altezze,
distanze ecc.) (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Sicilia-Catania,
Sez. I, sentenza 05.12.2001 n. 2203). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze.
Nell’ambito delle opere edilizie, va tenuta
distinta la semplice ristrutturazione, che
si verifica ove gli interventi abbiano
interessato un edificio del quale
sussistano, ed, all’esito degli stessi,
rimangano inalterate le componenti
essenziali, quali i muri perimetrali, le
strutture orizzontali, la copertura, sicché
le modificazioni siano solo interne, dalla
ricostruzione, ravvisabile allorché
dell’edificio preesistente siano venute
meno, per evento naturale o per volontaria
demolizione, dette componenti, e
l’intervento si traduca nell’esatto
ripristino delle stesse operato senza alcuna
variazione rispetto alle originarie
dimensioni dell’edificio, ed, in
particolare, senza aumenti né della
volumetria, né delle superfici occupate in
relazione alla originaria sagoma di
ingombro.
In presenza di tali aumenti, si verte,
invece, in ipotesi di nuova costruzione, da
considerare tale, ai fini del computo delle
distanze rispetto agli edifici contigui come
previste dagli strumenti urbanistici locali,
nel suo complesso, ove lo strumento
urbanistico rechi una norma espressa con la
quale le prescrizioni sulle maggiori
distanze previste per le nuove costruzioni
siano estese anche alle ricostruzioni,
ovvero, ove una siffatta norma non esista,
solo nelle parti eccedenti le dimensioni
dell’edificio originario (massima tratta da
www.studiospallino.it - Corte di Cassazione,
Sez. II civile, sentenza 26.10.2000 n.
14128). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze.
Le limitazioni contenute nell'art. 19 legge
n. 765 del 1967 e nel d.m. 01.04.1968 n.
1404 in tema di distanze legali delle
costruzioni dal ciglio stradale, mentre non
possono essere applicate in caso di
interventi di semplice restauro e
risanamento volti alla conservazione degli
elementi strutturali, tipologici e formali
dell'edificio, sono invece operanti in caso
di ristrutturazione o di ricostruzione dal
momento che, intervenendo sull'immobile in
modo consistente e tale da modificarlo in
tutto od in parte, si devono necessariamente
osservare le limitazioni imposte allo "ius
aedificandi" nell'interesse pubblico
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza
12.05.1990 n. 356). |
AGGIORNAMENTO AL 27.05.2010 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 25.05.2010 n. 120 "Testo
del decreto-legge 25.03.2010, n. 40,
coordinato con la legge di conversione
22.05.2010, n. 73, recante:
«Disposizioni urgenti tributarie e
finanziarie in materia di contrasto alle
frodi fiscali internazionali e nazionali
operate, tra l’altro, nella forma dei
cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, di
potenziamento e razionalizzazione della
riscossione tributaria anche in adeguamento
alla normativa comunitaria, di destinazione
dei gettiti recuperati al finanziamento di
un Fondo per incentivi e sostegno della
domanda in particolari settori.»".
---------------
Dal 26.05.2010 è in vigore il
novellato art. 6 del
DPR n. 380/2001 in merito alla
cosiddetta "attività edilizia libera".
L'articolo così riformulato ci pone numerosi
interrogativi di interpretazione ed
applicazione ma quello più cogente è questo:
in Lombardia si applica l'art. 6 DPR
380/2001 oppure trova ancora -e soltanto-
applicazione l'art. 27 della L.R. 12/2005?
Interpellato ieri mattina il Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti sulla
questione, il funzionario preposto al DPR
380/2001 ha risposto, gentilmente,
rimandando la soluzione del quesito ai
competenti Uffici Regionali.
Invero, della questione è già stato
investito il Servizio Giuridico della
Regione Lombardia lo scorso 14.05.2010 con
uno specifico quesito, allorquando la Camera
approvò -con modifiche- il testo del D.L. n.
40/2010 che sarebbe stato -poi- approvato in
maniera "blindata" dal Senato, così
come si è verificato realmente, dati i tempi
ristretti per la conversione in legge del
decreto.
Non ci resta che attendere un tempestivo -si
spera- intervento della Regione Lombardia in
merito, al fine di porre certezze operative
fra gli addetti ai lavori (comuni e
progettisti). |
NEWS |
INCENTIVO PROGETTAZIONE: Il
ripristino al 2% dell'incentivo alla
progettazione interna è ancora lontano ...
Collegato lavoro, voto
in commissione. Si allungano i tempi del ddl
al Senato.
Si comincerà oggi pomeriggio a votare gli
emendamenti (119) al
collegato lavoro (ddl S.1167-B/BIS),
subito dopo il parere della commissione
Bilancio del Senato sull'unico emendamento
del disegno di legge con una copertura
finanziariao.
Ad anticiparlo a ItaliaOggi è Maurizio
Castro (Pdl), relatore del collegato, che si
avvia verso la sesta lettura nell'aula di
palazzo Madama.
A mettere la briglia al ddl c'è però
l'accelerazione della legge sulle
intercettazioni che sarà in assemblea lunedì
31 maggio. «Noi», dichiara Castro, «apriremo
le votazioni subito dopo aver ricevuto il
pronunciamento della Bilancio, ma non siamo
convocati poi prima del lunedì successivo.
E, pertanto, credo che i lavori finiranno
non prima del 1° giugno».
La data prevista perché i senatori possano
esprimersi in Assemblea, l'esponente del
centrodestra la colloca «intorno al 10
del prossimo mese, in modo da fare arrivare
quanto prima il testo ai deputati per
l'ultima lettura».
Sull'atteggiamento delle opposizioni, che
hanno duramente contestato la rivisitazione
dell'arbitrato per la risoluzione delle
controversie, Castro non si attende grandi
novità, ma ammette che «rispetto alla
settimana scorsa, quando era sorta una
polemica sul prolungamento di 30 giorni del
termine entro il quale una persona
licenziata a voce poteva presentare il
ricorso, il clima appare più disteso. Si
esprimeranno di certo contro il ddl»,
chiosa, «ma bisognerà capire se faranno
ostruzionismo».
Quanto all'emendamento su cui si attende il
parere della V commissione, quello di
Filippo Saltamartini, stabilisce che i
lavoratori che hanno «contratto infermità
permanentemente invalidanti, o sono deceduti
in conseguenza dell'esposizione all'amianto
presente» sulle navi della marina
militare vengano «ricompresi» tra i
soggetti previsti nella finanziaria 2006:
così lo stanziamento di 10 milioni annui già
previsto viene incrementato a decorrere dal
2012 di 5 milioni. «Saremo sulle spine
fino all'ultimo minuto», confida
Saltamartini
(articolo ItaliaOggi del 26.05.2010, pag.
29). |
APPALTI:
Il diniego d'accesso si paga
caro. Procedimento rapido contro la pubblica
amministrazione previsto dal codice dei
contratti pubblici. Da impugnare la non
trasparenza sui documenti di gara.
In occasione delle precedenti uscite, su
queste pagine si è affrontato il tema del
diritto di accesso nel settore degli appalti
pubblici.
In particolare, si è avuto modo di esaminare
il contenuto di tale diritto, spettante a
ciascun concorrente, l'oggetto dello stesso
nonché le limitazioni cui è sottoposto il
suo esercizio.
Sotto tale ultimo profilo, si erano chiarite
le motivazioni che fondano il diniego da
parte dell'Amministrazione richiesta, senza
che ciò ne comporti l'illegittimità del
provvedimento.
Di seguito, a completamento dell'analisi del
tema, si cercherà di delineare i rimedi
esperibili laddove tali giustificazioni non
sussistano, e dunque l'azione amministrativa
risulti viziata.
I rimedi giurisdizionali
avverso il diniego implicito o esplicito.
L'art. 13, comma 1, D.Lgs. 12.04.2006 n. 163
(Codice dei Contratti Pubblici), pur facendo
salve le disposizioni specifiche dettate dal
Codice stesso, rinvia alle norme sul diritto
di accesso dettate dalla Legge 07.08.1990 n.
241.
In virtù di tale richiamo, ed in assenza di
specifiche disposizioni deroganti, dunque,
il ricorso avverso il diniego dell'accesso
deve essere proposto nei modi e nei termini
di cui all'art. 25 della legge da ultimo
citata.
Il procedimento impugnatorio ivi descritto
presenta alcune peculiarità che lo
distinguono nettamente dall'ordinario
ricorso ex l. 1034/1971, tanto da dare
origine ad una autonoma procedura
accelerata.
L'art. 25 comma 4 prevede in particolare che
«Decorsi inutilmente trenta giorni dalla
richiesta, questa si intende respinta. In
caso di diniego dell'accesso, espresso o
tacito, o di differimento dello stesso ai
sensi dell' articolo 24 , comma 4, il
richiedente può presentare ricorso al
tribunale amministrativo regionale ai sensi
del comma 5 [_]», a mente del quale «Contro
le determinazioni amministrative concernenti
il diritto di accesso e nei casi previsti
dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di
trenta giorni, al tribunale amministrativo
regionale, il quale decide in camera di
consiglio entro trenta giorni dalla scadenza
del termine per il deposito del ricorso,
uditi i difensori delle parti che ne abbiano
fatto richiesta. In pendenza di un ricorso
presentato ai sensi della legge 06.12.1971,
n. 1034 , e successive modificazioni, il
ricorso può essere proposto con istanza
presentata al presidente e depositata presso
la segreteria della sezione cui è assegnato
il ricorso, previa notifica
all'amministrazione o ai controinteressati,
e viene deciso con ordinanza istruttoria
adottata in camera di consiglio. La
decisione del tribunale è appellabile, entro
trenta giorni dalla notifica della stessa,
al Consiglio di Stato, il quale decide con
le medesime modalità e negli stessi termini.
Le controversie relative all'accesso ai
documenti amministrativi sono attribuite
alla giurisdizione esclusiva del giudice
Amministrativo».
Anzitutto, appare evidente il regime «accelerato»
di cui gode il rimedio in esame, che
soggiace ad un termine decadenziale «breve»
di trenta giorni (invero, oggi in linea con
le modifiche da ultimo introdotte al Codice
con la L. 53/2010), e deve essere deciso
entro ulteriori trenta giorni decorrenti
dalla scadenza del termine per la
presentazione del ricorso (rectius,
dall'ultima notifica).
Va peraltro evidenziato come l'inutile
decorso del termine suddetto, precluda
definitivamente all'interessato la
possibilità di accedere ai documenti
richiesti, in assenza di nuovi elementi
giustificanti l'ulteriore richiesta.
La giurisprudenza è infatti pacifica nel
ritenere che «non è consentito superare
il regime decadenziale previsto dall'art.
25, l. n. 241 del 1990, semplicemente
reiterando l'istanza di accesso a fronte
della mancata impugnazione del silenzio
serbato dall'Amministrazione sulla prima
istanza di accesso, in specie allorché la
nuova domanda non sia giustificata da
circostanze nuove. [_] La mancata emersione
e valorizzazione di circostanze nuove osta,
pertanto, alla reiterazione dell'istanza
ostensiva, senza che possa assumere rilievo
alcuno, ai fini dell'ammissibilità del
ricorso, la forma, esplicita o implicita, di
reiezione dell'istanza estensiva.»
(Cons. Stato, Sez. VI,
sentenza 30.07.2009 n. 4810; si
veda anche TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 03.06.2009 n. 252, Cons.
Stato, Sez. V,
sentenza 12.03.2009 n. 1429).
Quanto al caso di silenzio (diniego)
dell'Amministrazione, giova rilevare come in
tal caso «per la formazione del silenzio
impugnabile è necessario che l'Autorità
chiamata a pronunciarsi mantenga, per tutto
il tempo assegnatole per provvedere, un
uniforme comportamento silente, in mancanza
del quale costituirebbe un facile artificio
prospettare l'accoglimento dell'istanza e
infine negarla, invocando infine
l'intervenuta decadenza per privare il
richiedente del rimedio giustiziale.»
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.02.2010 n. 544).
Sotto il profilo dell'autonomia, l'azione in
esame si presenta come completamente
indipendente da eventuali altri giudizi
incardinati tra le parti.
Il rimedio speciale previsto dall'art. 25
citato deve infatti ritenersi consentito
anche in pendenza di un giudizio ordinario,
all'interno del quale i documenti oggetto
della domanda di accesso possono essere
acquisiti, in via istruttoria, dal giudice.
Sul punto, il Giudice amministrativo è
pacifico nel ritenere che «non vi sono
ragioni per escludere l'ammissibilità del
rimedio azionato in questa sede, con il rito
speciale dell'accesso ex art. 25 l.
241/1990, anche in pendenza di ricorso
giurisdizionale, in ragione tanto
dell'autonomia del diritto di accesso
rispetto alla pretesa azionata con il
ricorso ordinario, quanto della semplice
facoltatività del rimedio incidentale
introdotto dalla l. 205/2000 che ha previsto
la possibilità (ma non l'obbligo) di
proporre il ricorso in materia di accesso
anche incidentalmente all'interno del
giudizio ordinario.» (TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.01.2010 n. 5; si veda
anche Cons. Stato, Sez. V,
sentenza 10.02.2009 n. 741).
Peraltro, sul piano squisitamente
processuale va appena osservato che
l'autonomia della domanda di accesso
comporta, in caso di autonomo ricorso
avverso il diniego, che il giudice chiamato
a decidere su tale domanda, dovrà verificare
solo i presupposti legittimanti la
richiesta, e non anche la rilevanza dei
documenti richiesti rispetto al giudizio
principale pendente.
Ciò, in quanto «il diritto alla
trasparenza dell'azione amministrativa
costituisce situazione attiva meritevole di
autonoma protezione indipendentemente dalla
pendenza e dall'oggetto di una controversia
giurisdizionale e non è condizionata al
necessario giudizio di ammissibilità e
rilevanza cui è subordinata la positiva
delibazione di istanze a finalità probatorie.»
(Cons. Stato, Sez. V,
sentenza 23.02.2010 n. 1067; si veda
anche Cons. Stato n. 741 cit.).
Sempre sotto il profilo dell'autonomia, va
da ultimo rilevato come «In tale ottica
[_] il diritto di accesso non costituisce
una pretesa meramente strumentale alla
difesa in giudizio, essendo in realtà
diretto al conseguimento di un autonomo bene
della vita, così che la domanda giudiziale
tesa ad ottenere l'accesso ai documenti è
indipendente non solo dalla sorte del
processo principale nel quale venga fatta
valere l'anzidetta situazione ma anche
dall'eventuale infondatezza od
inammissibilità della domanda giudiziale che
il richiedente, una volta conosciuti gli
atti, potrebbe proporre. [_]Pertanto il
diritto di accesso non è ostacolato dalla
pendenza di un giudizio civile o
amministrativo nel corso del quale gli
stessi documenti potrebbero essere richiesti.»
(Cons. Stato, n. 1067 cit.).
Quanto ai limiti posti alla tutela in esame,
appare evidente come «il rimedio di cui
all'art. 25 della l. n. 241 del 1990 non può
essere utilizzato per costringere
l'amministrazione a formare atti nuovi
rispetto ai documenti amministrativi già
esistenti, ovvero a compiere un'attività di
elaborazione di dati e documenti, potendo
essere impiegato esclusivamente al fine di
ottenere il rilascio di copie di documenti
già formati e fisicamente esistenti presso
gli archivi dell'amministrazione nonché
stabilmente posseduti.» (TAR Lazio-Roma,
Sez. I,
sentenza 09.12.2009 n. 12606).
Infine, giova analizzare brevemente le
possibili correlazioni intercorrenti tra la
violazione del diritto di accesso, cui il
rimedio in esame presta tutela, e le
eventuali istanze risarcitorie derivanti
dall'illegittimo diniego.
Sul punto, il Giudice Amministrativo ha
chiarito che la specialità del rito rende «[_]
inammissibile la domanda di risarcimento dei
danni derivanti da lesione del diritto di
accesso, allorché proposta con il rito
accelerato ex art. 25 L. 241/1990, anziché
con il rito ordinario; [_] il rito delineato
nella disposizione citata, infatti, consente
soltanto la tutela giurisdizionale del
diritto di accesso alla documentazione
amministrativa, non ammettendo la
introduzione di domande diverse da quelle
dirette all'accesso stesso» (Cons.
Stato, Sez. IV,
sentenza 10.08.2004 n. 5514; si
veda anche TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 03.12.2009 n. 12437).
Da ultimo, merita un accenno la disposizione
di cui al comma 5-bis L. 241/1990: in deroga
all'ordinaria necessità della difesa
tecnica, nei giudizi in materia di accesso
(ex art. 25 l. 241 cit.), le parti possono
stare in giudizio personalmente senza
l'assistenza del difensore, e
l'amministrazione può essere rappresentata e
difesa da un proprio dipendente, purché in
possesso della qualifica di dirigente,
autorizzato dal rappresentante legale
dell'ente.
Conclusioni.
Dall'esame che precede appare evidente
l'eccezionalità dello speciale regime
dettato dall'art. 25 L. 241/1990 a tutela
del diritto di accesso.
A confronto con l'ordinario ricorso
giurisdizionale, che peraltro la parte è
libera di adottare anche in relazione ad
impugnazioni del diniego di accesso, il
procedimento in questione si caratterizza
per la celerità (poco più di sessanta giorni
complessivi) e la non necessarietà della
assistenza del difensore (che peraltro è
comunque auspicabile, stanti le peculiarità
ed i tecnicismi del diritto amministrativo).
Inoltre, il ricorso ex art. 25 L. 241/1990
appare completamente autonomo da eventuali
altri giudizi civili o amministrativi, tanto
già incardinati quanto di futura
proposizione, i quali al loro volta non
scontano alcuna preclusione in pendenza
della tutela in esame.
Sul piano risarcitorio, invece, il rimedio
in questa sede analizzato appare invece
particolarmente penalizzante, non essendo
ammissibile la relativa domanda all'interno
di una impugnazione ex art. 25 cit., ma
potendo la stessa trovare eventuale
accoglimento solo mediante di proposizione
di ricorso ordinario; ed anche in tal caso
scontando comunque forti limitazioni, dal
momento che «al limite, connessa e
consequenziale alla richiesta di accesso
potrebbe ritenersi soltanto la domanda per
risarcimento dei danni derivanti dalla
mancata (o tempestiva) ostensione, mentre
esulerebbe in ogni caso la domanda di
risarcimento dei danni derivanti quale
conseguenza degli effetti (non già del
negato o ritardato accesso, ma) degli atti
dei quali si chiede l'accesso, ritenuti
illeciti e/o illegittimi, in quanto
violativi del diritto alla riservatezza e
alla segretezza professionale. Tali
situazioni sono infatti tutelabili dinanzi
al giudice naturalmente competente, il
giudice civile» (Cons Stato, n. 5515
cit.) (articolo ItaliaOggi del 26.05.2010,
pag. 38). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
Nel caso in cui le previsioni
urbanistiche costituiscono atti di
pianificazione a contenuto singolo e i
vincoli espropriativi vengano ad incidere in
modo diretto e immediato sui soggetti
destinatari del vincolo reiterato, il
termine per l'impugnazione può decorrere
dalla data di notifica.
Incontrastata giurisprudenza, espressa già
dal Giudice d’appello nel 2001, dalla quale
la Sezione non ravvisa ragioni per
discostarsi, differenzia la fattispecie
generica rappresentata dalla indifferenziata
deliberazione dichiarativa della pubblica
utilità scaturente dall’approvazione di una
variante generale al piano regolatore, che
interessi l’intero territorio comunale o
vaste sue aree, dalla più specifica ipotesi,
quale quella al vaglio della Sezione, in cui
la variante e la connessa dichiarazione di
pubblica utilità colpiscano singole
determinate porzioni di territorio comunale,
di proprietà di soggetti ben individuati. In
tali evenienze la giurisprudenza è pacifica
nello statuire che il termine decadenziale
di sessanta giorni di cui all’art. 21 della
L. TAR decorre non già dal giorno successivo
all’ultimo di pubblicazione della delibera
all’albo pretorio, bensì dalla sua
comunicazione o notifica ai proprietari
incisi.
Ebbe a precisare il Consiglio di Stato, che
“nel caso in cui, invece, le previsioni
urbanistiche costituiscono atti di
pianificazione; a contenuto singolo e i
vincoli espropriativi vengano ad incidere in
modo diretto e immediato sui soggetti
destinatari del vincolo reiterato, il
termine per l'impugnazione può decorrere
dalla data di notifica” (Consiglio di
Stato, Sez. IV, 29.10.2001, n. 5628). La
decisione, che peraltro rinviene un
precedente già in Consiglio di Stato, Sez.
IV, 22.02.2000, n. 939, è stata seguita da
tutta la giurisprudenza successiva, la quale
si è uniformata a siffatte coordinate
esegetiche, talora valorizzando, in omaggio
ai noti principi processuali amministrativi,
oltre che la notifica, anche la piena
conoscenza della deliberazione che impone il
vincolo espropriativo sul bene privato:
ex pluribus, TAR Sardegna, Sez. II,
19.10.2006, n. 2248; TAR Sicilia-Catania,
Sez. I, 17.06.2003, n. 979; TAR Campania
Napoli, sez. IV, 24.10.2002, n. 6609.
Segnala anche il Collegio che
recentissimamente il Consiglio di Stato ha
ribadito il rassegnato indirizzo precisando
che “la variante specifica al PRG, pur
costituendo un atto di pianificazione, ha un
contenuto singolo e, quindi, incide in modo
diretto e immediato sui soggetti destinatari
della previsione; pertanto, il termine per
la impugnazione decorre non dalla
pubblicazione, ma dalla effettiva conoscenza
del provvedimento” (Consiglio di Stato,
Sez. IV, 21.04.2010 n. 2262).
L’atto di apposizione o di reiterazione di
un vincolo preordinato all’esproprio,
comprimendo immediatamente la sfera
giuridica del privato proprietario del fondo
su cui è stato impresso è dotato di portata
lesiva immediata e pertanto deve essere
tempestivamente impugnato.
In tal senso è, del resto, pacificamente
orientata la giurisprudenza (TAR
Campania-Napoli, sez. V, 08.07.2009, n.
3788; TAR Campania-Salerno, Sez. I,
04.04.2008, n. 473; TAR Puglia-Bari, Sez.
III, 11.09.2008, n. 2079; TAR Lazio-Roma,
Sez. II, 14.09.2005, n. 6989) (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 21.05.2010 n. 2438
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'obbligo di motivazione è
assolto quando dagli elementi dell'atto è
possibile ricostruire l'iter motivazionale.
La giurisprudenza ha chiarito che l'obbligo
di motivazione del provvedimento
amministrativo non può ritenersi violato
quando, anche a prescindere dal tenore
letterale dell'atto finale, i documenti
dell'istruttoria offrano elementi
sufficienti ed univoci dai quali possano
ricostruirsi le concrete ragioni e l’iter
motivazionale della determinazione assunta
(Cons. Stato, IV, 10.05.2005 n. 2231)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.05.2010 n. 3190 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono pertinenze le strutture
asservite a esclusivamente a manufatti
principali.
Giova richiamare il consolidato orientamento
che riconosce il detto carattere
pertinenziale alle opere che, per loro
natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un
manufatto principale, siano prive di
autonomo valore di mercato e non valutabili
in termini di cubatura (o comunque dotate di
volume minimo e trascurabile), in modo da
non poter essere utilizzate autonomamente e
separatamente dal manufatto cui accedono
(cfr. Cass. pen., sez. III, 27.11.1997, nr.
2660; Cons. Stato, sez. V, 07.12.2002, nr.
6126; id., 30.11.2000, nr. 6538) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2010 n. 3127 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' granitico l'orientamento in
ordine al carattere vincolato, e non
discrezionale, che connota l’attività
sanzionatoria del Comune sull’attività
edilizia abusiva; in particolare, il
giudizio di difformità dell’intervento
rispetto alla normativa urbanistica, che
costituisce il presupposto dell’irrogazione
delle sanzioni, non è affatto connotato da
discrezionalità tecnica, ma integra un mero
accertamento di fatto, sia pure condotto
alla stregua di parametri tecnici.
La
Sezione reputa addirittura superfluo
richiamare il granitico orientamento in
ordine al carattere vincolato, e non
discrezionale, che connota l’attività
sanzionatoria del Comune sull’attività
edilizia abusiva; in particolare, il
giudizio di difformità dell’intervento
rispetto alla normativa urbanistica (o, che
è lo stesso, al titolo abilitativo
rilasciato), che costituisce il presupposto
dell’irrogazione delle sanzioni, non è
affatto connotato da discrezionalità
tecnica, ma integra un mero accertamento di
fatto, sia pure condotto alla stregua di
parametri tecnici (peraltro rigidamente
predeterminati dalla normativa).
Ne discende che ben può il giudice
verificare la correttezza di tale attività
accertativa, non diversamente da quanto
avviene allorché controlla l’esattezza di
accertamenti tecnici condotti dalla p.a. in
altri contesti (p.es. l’esattezza di una
misurazione di distanze o di altezze).
Tanto premesso, nel caso di specie la
Sezione condivide il giudizio espresso dal
TAR, che ha reputato alquanto infelice la
modalità espositiva prescelta dal Comune per
motivare le proprie determinazioni in ordine
alle opere de quibus: in particolare,
riproducendo ex extenso i contenuti
della relazione tecnica redatta in occasione
del sopralluogo sul sito dell’intervento,
l’Amministrazione ne ha riportato anche i
passaggi in cui venivano usate formule
ipotetiche o dubitative (“sembra
predisposta…”, “potrebbero essere
orientati…”), offrendo il destro
all’odierna appellante per le doglianze con
le quali ha lamentato l’assoluta incertezza
della definizione dell’illecito contestato.
E, in effetti, se l’uso di formule del tipo
di quelle sopra richiamate è comprensibile
in un verbale di sopralluogo, laddove
l’organo accertante altro non fa che
riportare le proprie valutazioni in ordine a
quanto constatato (che deve comunque essere
descritto in maniera precisa), altrettanto
non è consentito in un ordine di
demolizione, laddove l’Amministrazione è
tenuta a individuare in modo certo gli abusi
contestati al privato.
Tuttavia, nella fattispecie da un lato non
vi è motivo di dubitare della rispondenza al
vero delle circostanze di fatto descritte
nel citato verbale di sopralluogo, al di là
della forma in cui sono esposte le
successive valutazioni (e, difatti, parte
appellante appunta le proprie critiche
soprattutto su tali passaggi, senza invece
riuscire –come meglio appresso si dirà– a
confutare le predette circostanze di fatto,
a fronte delle quali preferisce insistere
nella tesi della rispondenza di quanto
realizzato a quanto a suo tempo assentito);
sotto altro profilo, come pure si dirà, il
fatto stesso che l’istruttoria si sia
conclusa con una misura ripristinatoria è
sufficiente a dimostrare che il Comune abbia
condiviso le valutazioni espresse in forma
ipotetica dai funzionari accertatori,
concludendo senz’altro nel senso
dell’effettiva abusività dell’intervento.
Alla luce di ciò, deve ritenersi corretto
l’operato del primo giudice, il quale ha
ricostruito il percorso logico-argomentativo
retrostante al provvedimento impugnato,
sulla scorta del complesso documentale
versato in atti, concludendo per la
legittimità dell’operato del Comune al di là
delle più volte richiamate incertezze e
ambiguità formali (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 17.05.2010 n. 3126 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il TAR Lombardia-Milano
ha annullato la D.G.R. 27.12.2007 n. 6420,
limitatamente all'art. 3.2. dell'Allegato 1
(modello generale),
relativa alla
procedura per la Valutazione Ambientale di
Piani e Programmi (denominata anche
Valutazione Ambientale Strategica o VAS).
L’individuazione
dell’autorità competente per la VAS
nell’ambito della stessa Amministrazione
comunale tenuta all’approvazione del PGT è illegittima in quanto una struttura
competente per la VAS completamente interna
al Comune non offre sufficienti
garanzie di imparzialità e terzietà nella
valutazione ambientale, determinando una
illegittima commistione fra funzioni di
amministrazione attiva (approvazione PGT) e
di controllo (valutazione ambientale), con
la conseguenza di vanificare le finalità
–previste dalla normativa comunitaria e da
quella nazionale di attuazione– proprie
della valutazione ambientale strategica.
Nel caso di
specie il Comune di ..., in attuazione
dell’art. 3.2 dell’allegato 1 alla delibera
di Giunta del 27.12.2007, ha individuato
l’autorità competente all’interno dello
stesso Comune, scegliendo in particolare i
Responsabili del Settore Urbanistica e del
Settore Lavori Pubblici. Tale composizione
dell’autorità competente, al di là di ogni
valutazione sulla preparazione e sulla
capacità professionale dei singoli operatori
comunali, non appare in ogni caso rispettosa
delle norme comunitarie e statali sopra
riportate, in quanto appare assolutamente
inidonea a garantire la necessaria
imparzialità dell’autorità competente
rispetto a quella procedente. Si aggiunga,
inoltre, che il Responsabile del Settore
Urbanistica del Comune, membro dell’autorità
competente, risulta fra coloro che hanno
contribuito alla predisposizione del
documento di Piano, il che vale a rafforzare
il convincimento del Collegio circa
l’illegittimità della composizione
dell’autorità competente, a causa
dell’evidente commistione fra il ruolo di
controllore e quello di controllato.
Nel secondo
motivo, è denunciata la violazione, sotto
molteplici profili, della normativa
comunitaria, statale e regionale in materia
di VAS (valutazione ambientale strategica) e
a tale proposito l’esponente impugna, anche
se solo in parte, la delibera di Giunta
Regionale 27.12.2007 n. 8/6420 relativa alla
procedura per la Valutazione Ambientale di
Piani e Programmi (denominata anche
Valutazione Ambientale Strategica o VAS).
Il Comune di ..., ai fini
dell’obbligatoria sottoposizione del proprio
PGT alla procedura di VAS, ha provveduto,
con delibera di Giunta n. 38/2008 (doc. 6
del ricorrente), ad avviare il procedimento
di valutazione ambientale strategica,
individuando contestualmente la c.d.
autorità competente per la VAS, costituta
dal team composto da due dipendenti
comunali, vale a dire il geom. ... ed il
P.I.E. ..., rispettivamente
Responsabile Settore Urbanistica e Sportello
Unico Attività Produttive e Responsabile del
Settore Lavori Pubblici.
Secondo il ricorrente, l’individuazione
dell’autorità competente per la VAS
nell’ambito della stessa Amministrazione
comunale tenuta all’approvazione del PGT
sarebbe illegittima, in quanto una struttura
competente per la VAS completamente interna
al Comune non offrirebbe sufficienti
garanzie di imparzialità e terzietà nella
valutazione ambientale, determinando una
illegittima commistione fra funzioni di
amministrazione attiva (approvazione PGT) e
di controllo (valutazione ambientale), con
la conseguenza di vanificare le finalità
–previste dalla normativa comunitaria e da
quella nazionale di attuazione– proprie
della valutazione ambientale strategica.
Con riguardo a tale motivo, occorre dapprima
evidenziare come sussista interesse ad agire
in capo al ricorrente, visto che per effetto
dell’accoglimento della censura sarebbe
invalidato l’intero PGT, con obbligo per
l’Amministrazione comunale di nuova adozione
del Piano, nel rispetto però delle
disposizioni in materia di VAS, sicché si
configura in capo al geom. ... un
interesse strumentale ad una riedizione del
potere amministrativo, che potrebbe
svolgersi in senso più favorevole al
ricorrente (cfr. sul punto, TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 27.01.2010, n. 188).
Preliminarmente, appaiono necessarie talune
premesse relative alla valutazione
ambientale strategica (VAS), alla luce della
disciplina comunitaria e nazionale in
materia.
La valutazione ambientale strategica è stata
introdotta dalla direttiva 2001/42/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio del
27.6.2001, concernente la valutazione degli
effetti di determinati piani e programmi
sull’ambiente. Lo scopo dichiarato della
direttiva (art. 1), è quello di garantire un
<<elevato livello di protezione
dell’ambiente (...) all’atto
dell’elaborazione e dell’adozione di piani e
programmi al fine di promuovere lo sviluppo
sostenibile>>.
E’ stato peraltro notato, dalla dottrina,
che l’istituto comunitario della VAS,
unitamente a quello della valutazione di
impatto ambientale-VIA, affonda le proprie
radici in precedenti esperienze giuridiche
statunitensi degli anni sessanta del secolo
scorso ed anche in alcune iniziative delle
Nazioni Unite per la protezione ambientale
internazionale (si vedano a tale proposito i
lavori della Commissione dell’ONU per
l’ambiente e lo sviluppo, conclusi con il
rapporto Brundtland del 1987, che enuncia
per la prima volta il principio dello “Sviluppo
Sostenibile”).
Tornando, ad ogni modo, alla disciplina
comunitaria, si ricordi che la legge della
Regione Lombardia n. 12/2005 sul governo del
territorio, all’art. 4 (“Valutazione
ambientale dei piani”), richiama
espressamente la direttiva 2001/42/CE,
rinviando a successive deliberazioni del
Consiglio e della Giunta l’approvazione di
indirizzi ed ulteriori adempimenti per la
valutazione ambientale dei piani. In
attuazione dell’art. 4 citato, il Consiglio
Regionale ha approvato gli indirizzi
generali per la valutazione suindicata, con
deliberazione 13.03.2007 n. VIII/351, mentre
con successiva delibera di Giunta 27.12.2007
n. 8/6420 è stata disciplinata la procedura
per la VAS.
Lo Stato italiano ha dato compiuta
attuazione alla direttiva 2001/42/CE con il
decreto legislativo 16.01.2008 n. 4, quindi
successivo alla regolamentazione regionale
sopra richiamata.
Per effetto del citato decreto legislativo,
è stata interamente riscritta la parte II
del D.Lgs. 152/2006 (“Norme in materia
ambientale”, c.d. Codice dell’ambiente)
ed è stata dettata una specifica disciplina
per la VAS agli articoli 4 e seguenti.
Tale disciplina è stata ritenuta
costituzionalmente legittima ed espressione
di potestà legislativa esclusiva statale, in
quanto inerente alla materia della “tutela
dell’ambiente”, che l’art. 117, comma
2°, lett. s), della Costituzione, riserva
alla legislazione esclusiva dello Stato
(cfr. Corte Costituzionale, 22.07.2009, n.
225).
L’art. 5, comma 1, lett. a), del D.Lgs.
152/2006, definisce la VAS come valutazione
ambientale di piani e programmi,
comprendente lo svolgimento di una verifica
di assoggettabilità, l’elaborazione di un
rapporto ambientale e la conseguente
valutazione del piano o programma.
Nell’ambito della procedura di VAS, l’art. 5
distingue l’autorità competente (lettera p)
dall’autorità procedente (lett. q);
quest’ultima è definita come la pubblica
amministrazione che elabora il piano o
programma, mentre la prima è la pubblica
amministrazione a cui compete l’attività di
valutazione ambientale. Ai fini
dell’individuazione dell’autorità
competente, il successivo art. 7, comma 6°,
ha cura di specificare che, in sede
regionale, l’autorità competente è la
pubblica amministrazione con compiti di
tutela, valorizzazione e protezione
ambientale.
Le ulteriori disposizioni sulla VAS
contenute nel Codice dell’ambiente
confermano, con chiarezza, la necessità di
separazione fra le due differenti autorità
–quella procedente e quella competente– il
cui rapporto nell’ambito del procedimento di
valutazione ambientale strategica appare
tutto sommato dialettico, a conferma
dell’intendimento del legislatore di
affidare il ruolo di autorità competente ad
un soggetto pubblico specializzato, in
giustapposizione all’autorità procedente,
coincidente invece con il soggetto pubblico
che approva il piano (cfr., fra gli altri,
art. 11, comma 2°; art. 12, comma 4°; artt.
13, 14 e 15).
Viene poi confermata l’assoluta
obbligatorietà della VAS, tanto è vero che i
provvedimenti amministrativi di approvazione
di piani e programmi adottati senza la VAS,
dove prescritta, <<sono annullabili per
violazione di legge>> (art. 11, comma
5°).
Dall’esame della disciplina legislativa
suindicata –di recepimento della direttiva
2001/42/CE– si giunge alla conclusione,
secondo lo scrivente Tribunale, per cui,
nella scelta dell’autorità competente,
l’autorità procedente deve individuare
soggetti pubblici che offrano idonee
garanzie non solo di competenza tecnica e di
specializzazione in materia di tutela
ambientale, ma anche di imparzialità e di
indipendenza rispetto all’autorità
procedente, allo scopo di assolvere la
funzione di valutazione ambientale nella
maniera più obiettiva possibile, senza
condizionamenti –anche indiretti– da parte
dell’autorità procedente.
Qualora quest’ultima, infatti, individuasse
l’autorità competente esclusivamente fra
soggetti collocati al proprio interno,
legati magari da vincoli di subordinazione
gerarchica rispetto agli organi politici o
amministrativi di governo
dell’Amministrazione, il ruolo di verifica
ambientale finirebbe per perdere ogni
efficacia, risolvendosi in un semplice
passaggio burocratico interno, con il
rischio tutt’altro che remoto di vanificare
la finalità della disciplina sulla VAS e di
conseguenza di pregiudicare la corretta
applicazione delle norme comunitarie,
frustrando così gli scopi perseguiti dalla
Comunità Europea con la direttiva
2001/42/CE, come quello di salvaguardia e
promozione dello “sviluppo sostenibile”,
espressamente enunciato all’art. 1 della
direttiva, come già sopra evidenziato (si
ricordi che lo “sviluppo sostenibile”
costituisce uno degli scopi dell’Unione
Europea, espressamente enunciato all’art. 3,
comma 3°, del Trattato dell’Unione Europea
in vigore dal 01.12.2009).
A tale proposito, pare utile al Collegio
rammentare l’obbligo del giudice nazionale
di interpretare il diritto interno alla luce
di quello comunitario (cfr., sul punto,
Consiglio di Stato, sez. VI, 03.09.2009 n.
5197 e TAR Piemonte, sez. I, 05.06.2009, n.
1563), in modo da garantire il c.d.
“primato” di quest’ultimo sugli ordinamenti
difformi degli Stati membri (sul “primato”
del diritto comunitario, si veda Corte di
Giustizia CE, sez. III, 19.11.2009 n. 314).
Nel caso di specie il Comune di ...,
in attuazione dell’art. 3.2 dell’allegato 1
alla delibera di Giunta del 27.12.2007, ha
individuato l’autorità competente
all’interno dello stesso Comune, scegliendo
in particolare i Responsabili del Settore
Urbanistica e del Settore Lavori Pubblici.
Tale composizione dell’autorità competente,
al di là di ogni valutazione sulla
preparazione e sulla capacità professionale
dei singoli operatori comunali, non appare
in ogni caso rispettosa delle norme
comunitarie e statali sopra riportate, in
quanto appare assolutamente inidonea a
garantire la necessaria imparzialità
dell’autorità competente rispetto a quella
procedente.
Si aggiunga, inoltre, che il Responsabile
del Settore Urbanistica del Comune, membro
dell’autorità competente, risulta fra coloro
che hanno contribuito alla predisposizione
del documento di Piano, il che vale a
rafforzare il convincimento del Collegio
circa l’illegittimità della composizione
dell’autorità competente, a causa
dell’evidente commistione fra il ruolo di
controllore e quello di controllato.
Sono quindi illegittimi sia il provvedimento
comunale di designazione dell’autorità
competente sia quello regionale ivi
impugnato, che prevede la composizione della
suddetta autorità con soggetti scelti
all’interno della differente autorità
procedente.
L’illegittimità della delibera regionale del
2007 non è esclusa neppure dalla lettura
della legislazione regionale in materia,
vale a dire l’art. 4 della L.R. 12/2005.
L’articolo si limita, infatti, sotto il
profilo dell’individuazione dell’autorità
competente, a rinviare a successive
deliberazioni del Consiglio o della Giunta
Regionale, senza però altro dire. Si
aggiunga –e si perdoni l’ovvietà– che in
materia di VAS la Regione è in ogni caso
rigidamente subordinata alla disciplina
comunitaria, sicché non appare certo
possibile per l’Ente regionale introdurre
deroghe alla medesima.
Peraltro, la stessa Regione Lombardia non
pare essere stata sempre coerente con la
propria delibera del 27.12.2007, tenuto
conto che, con parere espresso dalla
Struttura Valutazione Ambientale Strategica
e Programmazione Negoziata con nota del
06.04.2009 n. 6818, indirizzato al Comune di
Campodolcino, la citata Struttura regionale
escludeva che il Sindaco potesse assumere il
ruolo di autorità competente, allorché
l’autorità procedente era stata individuata
nell’Amministrazione comunale.
Nel parere si ricorda il principio,
desumibile dal D.Lgs. 4/2008 e assolutamente
condiviso dallo scrivente Collegio, della
separazione dell’autorità competente
rispetto a quella procedente e, con riguardo
alla prima, della necessità di un suo
sufficiente grado di autonomia e di
competenza in materia di ambiente e sviluppo
sostenibile (cfr. il parere regionale, doc.
9 del ricorrente).
Ciò premesso, il motivo n. 2 del ricorso
principale appare suscettibile di
accoglimento, con conseguente annullamento
non solo –seppure in parte qua –
della delibera regionale impugnata, ma anche
della delibera di Giunta Comunale n. 38/2008
di istituzione dell’autorità competente in
materia di VAS e delle deliberazioni
consiliari n. 12 e n. 13 del 2009, recanti
approvazione di un PGT viziato nella sua
totalità per l’illegittimità della procedura
di VAS, come sopra indicato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
In merito alla citata sentenza, si legga la
nota 25.05.2010 n. 344
di prot. dell'ANCI Lombardia. |
URBANISTICA:
PGT - VAS - Autorità competente -
Autorità procedente - Distinzione - Art. 5,
lett. p e q - Necessità di separazione.
Nell’ambito della procedura di VAS, l’art. 5
del d.lgs. n. 152/2006 distingue l’autorità
competente (lettera p) dall’autorità
procedente (lett. q); quest’ultima è
definita come la pubblica amministrazione
che elabora il piano o programma, mentre la
prima è la pubblica amministrazione a cui
compete l’attività di valutazione
ambientale.
Ai fini dell’individuazione dell’autorità
competente, il successivo art. 7, comma 6°,
ha cura di specificare che, in sede
regionale, l’autorità competente è la
pubblica amministrazione con compiti di
tutela, valorizzazione e protezione
ambientale.
Le ulteriori disposizioni sulla VAS
contenute nel Codice dell’ambiente
confermano, con chiarezza, la necessità di
separazione fra le due differenti autorità
-quella procedente e quella competente- il
cui rapporto nell’ambito del procedimento di
valutazione ambientale strategica appare
tutto sommato dialettico, a conferma
dell’intendimento del legislatore di
affidare il ruolo di autorità competente ad
un soggetto pubblico specializzato, in
giustapposizione all’autorità procedente,
coincidente invece con il soggetto pubblico
che approva il piano (cfr., fra gli altri,
art. 11, comma 2°; art. 12, comma 4°; artt.
13, 14 e 15).
PGT -
VAS - Obbligatorietà della VAS -
Art. 11, c. 5, d.lgs. n. 152/2006 - Piani e
programmi adottati senza la VAS -
Annullabilità per violazione di legge.
L’art. 11, c. 5, del d.lgs. n. 152/2006
conferma l’assoluta obbligatorietà della VAS,
tanto è vero che i provvedimenti
amministrativi di approvazione di piani e
programmi adottati senza la VAS, dove
prescritta, <<sono annullabili per
violazione di legge>>.
PGT - VAS - Autorità procedente -
Scelta dell’autorità competente - Requisiti
- Competenza tecnica e specializzazione -
Imparzialità e indipendenza - Individuazione
dell’autorità competente tra soggetti
collocati all’interno dell’autorità
procedente, legati da vincoli di
subordinazione gerarchica - Illegittimità -
Ragioni.
Nella scelta dell’autorità competente
all’elaborazione della VAS, l’autorità
procedente deve individuare soggetti
pubblici che offrano idonee garanzie non
solo di competenza tecnica e di
specializzazione in materia di tutela
ambientale, ma anche di imparzialità e di
indipendenza rispetto alla stessa autorità
procedente, allo scopo di assolvere la
funzione di valutazione ambientale nella
maniera più obiettiva possibile, senza
condizionamenti -anche indiretti- da parte
dell’autorità procedente.
Qualora quest’ultima, infatti, individuasse
l’autorità competente esclusivamente fra
soggetti collocati al proprio interno,
legati magari da vincoli di subordinazione
gerarchica rispetto agli organi politici o
amministrativi di governo
dell’Amministrazione, il ruolo di verifica
ambientale finirebbe per perdere ogni
efficacia, risolvendosi in un semplice
passaggio burocratico interno, con il
rischio tutt’altro che remoto di vanificare
la finalità della disciplina sulla VAS e di
conseguenza di pregiudicare la corretta
applicazione delle norme comunitarie,
frustrando così gli scopi perseguiti dalla
Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 -
link a www.ambientediritto.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Nel caso di
piano urbanistici, qualora l’intervento in
consiglio comunale dell’amministratore in
conflitto di interessi non abbia avuto alcun
effetto sul regime giuridico delle aree
dell’esponente, non esiste interesse di
quest’ultimo alla denuncia della violazione
dell’art. 78, visto che l’eventuale
accoglimento del gravame avrebbe conseguenze
soltanto su fondi non di proprietà del
ricorrente, che non vedrebbe pertanto mutato
il regime giuridico dei propri immobili.
L’art. 78 del
D.Lgs. 267/2000, al comma 4° prevede, nel
caso di piani urbanistici per i quali si sia
verificata l’ipotesi di cui al comma 2° del
medesimo articolo (vale a dire un conflitto
di interessi, come sopra riportato), che
siano annullate le sole parti dello
strumento urbanistico per le quali sia stata
accertata la correlazione fra il contenuto
del medesimo e gli specifici interessi
dell’amministratore pubblico e dei suoi
parenti.
La disposizione del menzionato comma quarto
è intesa, dalla più recente giurisprudenza,
nel senso che l’eventuale conflitto di
interesse dell’amministratore, quand’anche
accertato, non travolge l’intero piano
urbanistico ma solo le parti ritenute per
così dire “collegate” all’interesse
personale dell’amministratore medesimo,
secondo il noto brocardo “utile per
inutile non vitiatur”.
Di conseguenza, il proprietario di aree
comprese nello strumento urbanistico ha
interesse a denunciare la violazione
dell’art. 78 citato, laddove provi che
l’interesse personale del consigliere, che
avrebbe dovuto imporre a quest’ultimo
l’astensione, ha arrecato un diretto
pregiudizio anche ai propri fondi.
In caso contrario, qualora l’intervento in
consiglio dell’amministratore in conflitto
di interessi non abbia avuto alcun effetto
sul regime giuridico delle aree
dell’esponente, non esiste interesse di
quest’ultimo alla denuncia della violazione
dell’art. 78, visto che l’eventuale
accoglimento del gravame avrebbe conseguenze
soltanto su fondi non di proprietà del
ricorrente, che non vedrebbe pertanto mutato
il regime giuridico dei propri immobili
(cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I,
08.07.2009 n. 1461 e Consiglio di Stato,
sez. V, 12.06.2009 n. 3744)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Piani urbanistici - Ipotesi di
conflitto di interesse - Art. 78 d.lgs. n.
267/2000 - Principio dell’”utile per inutile
non vitiatur” - Proprietario di aree
comprese nello strumento urbanistico -
Interesse a denunciare la violazione
dell’art. 78 - Presupposti.
L’art. 78 del D.Lgs. 267/2000, al comma 4°
prevede, nel caso di piani urbanistici per i
quali si sia verificata un’ipotesi di
conflitto d’interesse, che siano annullate
le sole parti dello strumento urbanistico
per le quali sia stata accertata la
correlazione fra il contenuto del medesimo e
gli specifici interessi dell’amministratore
pubblico e dei suoi parenti.
La disposizione è intesa, dalla più recente
giurisprudenza, nel senso che l’eventuale
conflitto di interesse dell’amministratore,
quand’anche accertato, non travolge l’intero
piano urbanistico ma solo le parti ritenute
per così dire “collegate”
all’interesse personale dell’amministratore
medesimo, secondo il noto brocardo “utile
per inutile non vitiatur”.
Di conseguenza, il proprietario di aree
comprese nello strumento urbanistico ha
interesse a denunciare la violazione
dell’art. 78 citato, laddove provi che
l’interesse personale del consigliere, che
avrebbe dovuto imporre a quest’ultimo
l’astensione, ha arrecato un diretto
pregiudizio anche ai propri fondi (cfr. TAR
Lombardia, Brescia, sez. I, 08.07.2009 n.
1461 e Consiglio di Stato, sez. V,
12.06.2009 n. 3744) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Deliberazione del consiglio
comunale - Errore di verbalizzazione -
Correzione - Nuove deliberazione consiliare
- Appunti manoscritti dei consiglieri
interessati - Insufficienza.
L’eventuale errore di verbalizzazione di un
deliberazione del consiglio comunale deve
essere corretto attraverso una nuova
deliberazione dello stesso organo, non
potendosi ammettere, pena la perdita di ogni
valore di certezza giuridica proprio
dell’atto pubblico, che il verbale possa
essere integrato o addirittura smentito
attraverso semplici dichiarazioni dei
soggetti interessati o mediante appunti
manoscritti di questi ultimi (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
I
proprietari delle aree comprese nel Piano
Regolatore Generale (ma tale conclusione
vale senza dubbio anche per il PGT, quale
strumento urbanistico generale), non sono
qualificabili come controinteressati al
momento dell’impugnazione del Piano stesso
né risultano tali le altre persone indicate
in ricorso, visto che l’eventuale
accoglimento di quest’ultimo non
determinerebbe alcuna diretta ed immediata
lesione della loro sfera giuridica, non
essendo del resto sufficiente la semplice
menzione di un soggetto nel provvedimento
impugnato o nel ricorso, per fare assurgere
al medesimo il ruolo di controinteressato.
Secondo
pacifica giurisprudenza, i proprietari delle
aree comprese nel Piano Regolatore Generale
(ma tale conclusione vale senza dubbio anche
per il PGT, quale strumento urbanistico
generale), non sono qualificabili come
controinteressati al momento
dell’impugnazione del Piano stesso (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V, 02.03.2010 n.
1184 e sez. IV, 30.09.2008 n. 4712), né
risultano tali le altre persone indicate in
ricorso, visto che l’eventuale accoglimento
di quest’ultimo non determinerebbe alcuna
diretta ed immediata lesione della loro
sfera giuridica, non essendo del resto
sufficiente la semplice menzione di un
soggetto nel provvedimento impugnato o nel
ricorso, per fare assurgere al medesimo il
ruolo di controinteressato (si veda a tale
proposito, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I,
11.12.2007, n. 2004)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 25.05.2010 |
ã |
CONVEGNI |
Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a
Bergamo per martedì 08.06.2010 co-organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le
istruzioni ivi riportate. |
Bottone "CONVEGNI" n. 1 convegno a
Bergamo per giovedì 27.05.2010 organizzato dagli Ordini degli
Architetti e degli Ingegneri di Bergamo e
rivolto, anche, ai Tecnici della Pubblica
Amministrazione addetti ai ll.pp.. |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Appalto, Responsabilità solidale e DURC: i
chiarimenti del ministero dell’INPS.
Il Ministero del Lavoro, con l'interpello n.
3 del 02.04.2010 ha fornito alcune
precisazioni sulla responsabilità solidale
tra committente e appaltatore nonché tra
appaltatore e subappaltatore, prevista dal
D.Lgs. 273/2006 e dal D.L. 223/2006.
In quella occasione il Ministero ha chiarito
che l'impresa solidalmente responsabile (ai
sensi delle normativa citate) con un'altra
impresa, irregolare dal punto di vista
contributivo e previdenziale, ha diritto al
rilascio del DURC. Il rapporto di
solidarietà, infatti, non può inficiare il
rapporto assicurativo e previdenziale che
c'è tra l'impresa richiedente il Durc e gli
istituti di riferimento per i propri
dipendenti.
L’Inps, con il messaggio 12091/2010 ha
fornito alcuni chiarimenti operativi.
In particolare, l’Inps ha precisato che il
DURC positivo rilasciato all'impresa
solidalmente responsabile con un'altra
impresa (non regolare) dovrà riportare,
nelle annotazioni, la denominazione sociale,
il numero di posizione contributiva
dell’azienda con la quale l'impresa risulta
essere responsabile in solido, nonché anche
l`ammontare della sorte contributiva dovuta
a titolo di solidarietà (link a
www.acca.it). |
VARI:
Dal 1° luglio 2010 tariffazione Bioraria
dell'elettricità per tutti.
L'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas
(AEEG), con la delibera 25.02.2010 - ARG/elt
22/10, ha stabilito che dal 1° luglio 2010
verranno gradualmente introdotti prezzi
biorari, cioè differenziati a seconda dei
diversi momenti della giornata e dei giorni
della settimana in cui si utilizza
l'elettricità.
La cosiddetta “Bioraria”, che ad oggi esiste
come possibilità di scelta per gli utenti,
dal 1° luglio sarà automaticamente applicata
a tutti coloro che hanno un contratto di
fornitura di energia elettrica alle
condizioni stabilite dall'Autorità ... (link
a www.acca.it). |
SICUREZZA CANTIERI:
Il ruolo e le responsabilità del
coordinatore della sicurezza.
Sul sito della Direzione Provinciale del
Lavoro di Modena è stato pubblicato un
approfondimento, a firma dell’ing. M.
Grandi, sulla figura e sulle responsabilità
del Coordinatore della Sicurezza, dal titolo
“IL COORDINATORE DEUS EX MACHINA DELLA
SICUREZZA NEI CANTIERI?”.
L’approfondimento muove dalle recenti
sentenze della cassazione penale (Sez. 4,
08.08.2010, n. 13236 e Sez. 4, 31.03.2010,
n. 12596) che hanno confermato ancora una
volta le responsabilità dei coordinatori per
la sicurezza, a seguito di infortuni mortali
occorsi a lavoratori operanti nei cantieri
edili ... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dalla Protezione Civile le Linee Guida per
la progettazione degli interventi di
rinforzo degli “edifici in aggregato”.
Sono disponibili on line le “Linee
Guida per il rilievo, l’analisi ed il
progetto di interventi di riparazione e
rafforzamento/miglioramento di edifici in
aggregato”.
Le Linee Guida intendono fornire un quadro
sistematico della metodologia e degli
strumenti operativi per il rilievo, la
diagnostica, la scelta degli interventi e la
redazione finale del progetto di intervento
su edifici in aggregato.
Avendo come oggetto l’edilizia in aggregato,
le Linee Guida vedono, pertanto, come campo
di applicazione principale il costruito dei
centri storici. Questi ultimi, sviluppatisi
e configuratisi nel tempo, secondo processi
di accrescimento per lo più spontaneo, sono
caratterizzati da edifici prevalentemente in
muratura, ove la coesistenza di diverse e
successive stratificazioni e modificazioni,
talvolta incongrue, ha comportato
l’insorgenza di specifici fattori di
vulnerabilità sismica ... (link a
www.acca.it). |
VARI:
La Guida alla valutazione del rischio
chimico.
Il titolo IX del D.Lgs. 81/2008 come
modificato dal D.Lgs. 106/2009 richiede di
effettuare la valutazione del rischio
chimico in ogni attività che utilizzi
sostanze o preparati pericolosi per la
salute e per la sicurezza.
La valutazione è un obbligo del datore di
lavoro nella cui attività vengono utilizzati
agenti chimici pericolosi a qualunque scopo.
Il datore di lavoro deve effettuare la
valutazione del rischio chimico in modo
preventivo all’inizio dell’attività che
comportino l’uso di agenti chimici
pericolosi.
La valutazione del rischio chimico deve
essere effettuata secondo i criteri
dell’art. 223 del D.Lgs. 81/2008 ... (link a
www.acca.it). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
EE.LL.: finanziamento delle risorse
decentrate (CGIL-FP di Bergamo,
nota 20.05.2010). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 21 del
24.05.2010, "Determinazione delle
modalità per la predisposizione del piano
degli interventi per la messa in sicurezza
degli edifici scolastici situati in zone
soggette a rischio sismico - Fondi annualità
2009 (Ordinanza della Presidenza del
Consiglio dei Ministri n. 3864 del
31.03.2010)"
(deliberazione
G.R. 18.05.2010 n. 29 - link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 21.05.2010 n. 117 "Misure urgenti
per il differimento di termini in materia
ambientale e di autotrasporto, nonché per
l’assegnazione di quote di emissione di CO2"
(D.L.
20.05.2010 n. 72). |
APPALTI: G.U.
17.05.2010 n. 113 "Regolamento sulla
istruttoria dei quesiti giuridici"
(Autorità per la Vigilanza su Contratti
Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture,
provvedimento 04.05.2010). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
R. De Nictolis,
Il recepimento della direttiva ricorsi
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Bertuzzi,
RAEE. La semplificazione degli adempimenti
ambientali (DM 65/2010) (link a
www.tuttoambiente.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L. Lo Biundo,
Collaudo di lavori pubblici (link
a www.diritto.it). |
APPALTI:
Illegittima l’esclusione per omessa
comunicazione dell’avvenuto versamento del
contributo all’AVCP (link a
www.mediagraphic.it). |
QUESITI &
PARERI |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento edilizio relativo ad
una fattispecie di recupero edilizio in
presenza di abusi.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente
in ordine alla legittima definizione di un
procedimento edilizio relativo ad una
fattispecie complessa caratterizzata dalla
possibilità di recupero di “tettoie in
muratura chiuse su tre lati” in presenza
di abusi edilizi (Regione Piemonte,
parere n.
31/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Variante in corso d’opera con
permesso di costruire. L. 47/1985 – D.P.R.
380/2001.
Si chiede un parere in merito alle varianti
in corso d’opera a permesso di costruire,
già previste dall’art. 15 della L. 47/1985
ed oggi disciplinate dall’art. 22, c. 2, DPR
380/2001 (Regione Piemonte,
parere n.
30/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI:
Obbligatorietà del servizio di
trasporto alunni. Scuola primaria e scuola
media.
Il Comune di (omissis) ha proposto un
quesito in merito alla obbligatorietà del
servizio di trasporto alunni della scuola
Primaria e Media sul proprio territorio
(Regione Piemonte,
parere n.
29/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
APPALTI SERVIZI:
Bando di gara per l’affidamento
di gestione bar in complesso sportivo
comunale.
Viene richiesto a questo Servizio un parere
in ordine all’affidamento della gestione di
un bar ubicato in un complesso sportivo
comunale (Regione Piemonte,
parere n.
23/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sanzioni
amministrative-pecuniarie (D.P.R. 380/2001 –
L. 689/1981).
È posto il quesito se alle sanzioni
amministrative pecuniarie comminate ai sensi
del Testo unico in materia Edilizia (D.P.R.
380/2001) sia applicabile il pagamento in
misura ridotta regolato dalla Legge 689/1981
(Regione Piemonte,
parere n.
21/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Applicazione P.R.G.C. in tema di
distanze.
Viene richiesto parere al Servizio scrivente
in ordine all’interpretazione ed
all’applicazione di situazioni –talora
presenti nei Piani Regolatori Generali dei
Comuni piemontesi– in tema di distanze.
Si tratta di stabilire quale sia la distanza
dal confine di proprietà da mantenere nel
caso di ampliamenti e nuove costruzioni, nel
silenzio della norma sul punto, ed in
presenza di disposizioni che disciplinano
solamente il cd. indice di visuale libera
richiamando poi quanto stabilito dal Codice
Civile.
Il Comune elenca quindi una serie di casi e
chiede al servizio di consulenza di valutare
la correttezza delle soluzioni proposte
(Regione Piemonte,
parere n.
18/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi edilizi nelle zone
qualificate come “centro storico”. L.R.
13/2007 – D. Lgs. 115/2008.
E’ chiesto parere in merito
all’applicabilità della normativa, in
materia di rendimento ed efficienza
energetica nell’edilizia, di cui alla L.R.
n. 13/2007 ed al D.Lgs. n. 115/2008 nel caso
di interventi edilizi nelle zone qualificate
quale “centro storico” del Comune (Regione
Piemonte,
parere n.
17/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistica.
Compiti commissione locale paesaggio.
Viene chiesto parere al Servizio scrivente
in ordine all'oggetto di una domanda di
autorizzazione paesaggistica e ai compiti
della Commissione Locale per il Paesaggio
(Regione Piemonte,
parere n.
14/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia attuata
con demolizione e ricostruzione.
Onerosità Si chiede parere in merito
all’onerosità –ovvero all’eventuale
gratuità– di un intervento di
ristrutturazione edilizia da attuarsi
mediante demolizione e ricostruzione di un
fabbricato preesistente (Regione Piemonte,
parere n.
1/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una sala cinematografica è
esente dal versamento degli oo.uu..
L'art. 20, commi 7 e 8, del D.L. 14.01.1994
n. 26, convertito in legge 01.03.1994 n.
153, è chiaro nel senso che “ai fini del
rilascio delle concessioni edilizie, la
volumetria necessaria per la realizzazione
di sale cinematografiche non concorre alla
determinazione della volumetria complessiva
in base alla quale sono calcolati gli oneri
di concessione”.
Pertanto non soltanto nelle due ipotesi
previste (ripristino e trasformazione),
secondo parte appellante, dalla delibera
regionale, ma nella fattispecie principale
–della costruzione della multisala
cinematografica- non concorre (vi è
esenzione) al calcolo della volumetria
complessiva per il calcolo degli oneri di
concessione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.05.2010 n. 3229 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - Siti di interesse
nazionale - Art. 252 d.lgs. n. 152/2006 -
Attività di competenza del Ministro
dell’Ambiente - Atti facenti capo al
Ministero - Individuazione dei siti di
interesse nazionale - Decreto di recepimento
della Conferenza di Servizi.
L’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006 distingue
tra atti ed attività di competenza del
Ministro dell’Ambiente ed atti e attività
facenti capo al Ministero. Rientra ad es.
tra i primi l’individuazione, ai fini della
bonifica, dei siti di interesse nazionale
(art. 252, c. 2), dovendo la suddetta
individuazione reputarsi atto attinente
all’indirizzo politico-amministrativo in
materia di bonifica.
La rilevanza politica di un tale atto
risulta, del resto, confermata dalla
necessità dell’intesa con le Regioni
interessate, prescritta, per l’appunto, dal
comma 2 dell’art. 252.
Si deve invece reputare che il decreto di
recepimento della Conferenza di Servizi
costituisca un mero atto di gestione, di
competenza dirigenziale e non del Ministro,
atteso che esso certamente non concerne le
scelte di fondo che la P.A. è chiamata a
compiere nel settore in, avendo invece ad
oggetto la prescrizione di un singolo
intervento.
INQUINAMENTO - Siti di
interesse nazionale - Art. 252 d.lgs. n.
152/2006 - Individuazione delle competenze -
Intervento di messa in sicurezza di
emergenza - Ministero.
L’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152 cit.
attribuisce la competenza per i procedimenti
di bonifica di cui al precedente art. 242,
qualora abbiano ad oggetto i siti di
interesse nazionale, “alla competenza del
Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio”.
Se l’attribuzione delle relative competenze
al “Ministero” (e non al Ministro,
salve le tassative eccezioni) vale per gli
atti del procedimento di bonifica, a
fortiori essa deve valere per il decreto di
recepimento della conferenza di servizi,
avente ad oggetto un intervento di messa in
sicurezza d’emergenza che investe una fase
prodromica rispetto alla bonifica, e
comunque non in grado di determinare il
definitivo riassetto del sito (v. art. 240,
comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit.).
INQUINAMENTO - Siti di
interesse nazionale - Atti del procedimento
di bonifica - Competenza tecnico-gestionale
degli organi esecutivi - Art. 4, c. 3 d.lgs.
n. 165/2001- Generale principio di
distinzione tra attività di governo e
attività di gestione.
Gli atti del procedimento di bonifica dei
siti di interesse nazionale, compresi quelli
conclusivi, rientrano nella competenza
tecnico-gestionale degli organi esecutivi
(dirigenti), in quanto non contengono
elementi di indirizzo
politico-amministrativo che possano attrarre
detta competenza nella sfera riservata agli
organi di governo. Ciò, in base al generale
principio di distinzione tra attività di
governo ed attività di gestione, che
presiede l’organizzazione ed il
funzionamento delle P.A., alla luce anche
dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n.
165/2001, secondo il quale le attribuzioni
dei dirigenti possono essere derogate
soltanto espressamente e ad opera di
specifiche disposizioni legislative (TAR
Lombardia, Brescia, Sez. I, 09.10.2009, n.
1738; TAR Toscana, Sez. II, 16.10.2008, n.
2287).
INQUINAMENTO - Siti di
interesse nazionale - Bonifica - Art. 252,
c. 4 d.lgs. n. 152/2006 - Procedimento -
Concerto con il Ministero dello Sviluppo
economico - Necessità - Esclusione.
Il concerto con il Ministero dello Sviluppo
Economico non è richiesto dall’art. 252,
comma 4, del d.lgs. n. 152/2006: vi è
assoluta coerenza tra la necessità
dell’intesa con le Regioni nel procedimento
di cui al comma 1 dell’art. 252 e l’assenza
di una tale intesa o concerto nella
disciplina di cui al successivo comma 4 (il
quale si limita a chiedere che sia sentito
il Ministero dello Sviluppo Economico).
Nel primo caso si tratta infatti di un
procedimento (l’individuazione dei siti di
bonifica di interesse nazionale) che attiene
all’indirizzo politico-amministrativo,
mentre negli altri casi si tratta di
procedimenti preordinati all’adozione di
atti di gestione, che proprio per detta
ragione non necessitano del previo concerto
a livello di vertice politico dei rispettivi
apparati.
INQUINAMENTO - Bonifica
- Conferenza di servizi - Intese e concerti
ex art. 252 d.lgs. n. 152/2006 -
Acquisizione all’interno della conferenza di
servizi.
Nel modulo procedimentale della Conferenza
di Servizi, i pareri, le intese ed i
concerti di cui all’art. 252 del d.lgs. n.
152/2006 ed all’art. 15, comma 4, del d.m.
n. 471/1999 possono ben essere acquisiti
all’interno della Conferenza stessa, senza
che poi, in sede di emanazione del
provvedimento finale, si debba provvedere ad
una nuova acquisizione (TAR Lombardia,
Brescia, Sez. I, nn. 319/2009, cit. e
1738/2009, cit.).
INQUINAMENTO - Misure
urgenti e definitive - Adozione -
Responsabile dell’inquinamento -
Proprietario incolpevole - Principio “chi
inquina paga”.
Tanto la disciplina di cui al d.lgs. n.
22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma
2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n.
152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e
segg.), si ispirano al principio secondo cui
l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti
che definitive, idonee a fronteggiare la
situazione di inquinamento, è a carico
unicamente di colui che di tale situazione
sia responsabile, per avervi dato causa a
titolo di dolo o colpa: l’obbligo di
bonifica o di messa in sicurezza non può
essere invece addossato al proprietario
incolpevole, ove manchi ogni sua
responsabilità (cfr., ex multis, TAR
Toscana, Sez. II, 17.04.2009, n. 665; id.,
06.05.2009; nello stesso senso, TAR Sicilia,
Catania, Sez. I, 26.07.2007, n. 1254).
L’Amministrazione non può, cioè, imporre ai
soggetti che non abbiano alcuna
responsabilità diretta sull’origine del
fenomeno contestato, ma che vengano
individuati solo quali proprietari del bene,
lo svolgimento delle attività di recupero e
di risanamento (così, nel vigore della
precedente disciplina, TAR Veneto, Sez. II,
02.02.2002, n. 320).
L’enunciato è conforme al principio “chi
inquina, paga”, cui si ispira la
normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex
art. 130/R, del Trattato CE), la quale
impone al soggetto che fa correre un rischio
di inquinamento di sostenere i costi della
prevenzione o della riparazione.
INQUINAMENTO - Principio
“chi inquina paga” - Applicabilità alle
misure di messa in sicurezza d’emergenza -
Fondamento - Artt. 240 e ss. d.lgs. n.
152/2006.
Il principio “chi inquina, paga”
vale, oltre che per le misure di bonifica,
anche per le misure di messa in sicurezza
d’emergenza, secondo la definizione che
delle misure stesse è contenuta nell’art.
240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n.
152/2006 (ogni intervento immediato od a
breve termine, da mettere in opera nelle
condizioni di emergenza di cui alla lett. t)
in caso di eventi di contaminazione
repentini di qualsiasi natura, atto a
contenere la diffusione delle sorgenti
primarie di contaminazione, impedirne il
contatto con altre matrici presenti nel sito
ed a rimuoverle, in attesa di eventuali
ulteriori interventi di bonifica o di messa
in sicurezza operativa o permanente).
Infatti, anche l’adozione delle misure di
messa in sicurezza d’emergenza è addossata
dalla normativa in discorso al soggetto
responsabile dell’inquinamento (cfr. art.
242 del d.lgs. n. 152/2006).
INQUINAMENTO - Opere di
recupero ambientale - Esecuzione d’ufficio -
Rivalsa nei confronti del soggetto
responsabile - Mancata individuazione -
Esercizio delle garanzie gravanti sul
terreno inquinato.
Dal combinato disposto degli artt. 244, 250
e 253 del Codice ambiente si ricava che,
nell’ipotesi di mancata esecuzione degli
interventi ambientali da parte del
responsabile dell’inquinamento, ovvero di
mancata individuazione dello stesso -e
sempreché non provvedano né il proprietario
del sito, né altri soggetti interessati- le
opere di recupero ambientale sono eseguite
dalla P.A. competente, che potrà rivalersi
sul soggetto responsabile nei limiti del
valore dell’area bonificata, anche
esercitando, ove la rivalsa non vada a buon
fine, le garanzie gravanti sul terreno
oggetto dei medesimi interventi (TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 10.07.2007, n.
5355; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2009, n.
1448).
INQUINAMENTO - Bonifica
- Imposizione del barrieramento fisico -
Analisi comparativa tra le diverse
alternative. La P.A. è tenuta a valutare ed
accertare non solo l’inefficacia di misure
meno invasive della barriera fisica, ma
anche l’effettiva necessità, efficacia e
realizzabilità del sistema di contenimento
fisico.
Pertanto, l’opzione per detto sistema,
ovvero per un utilizzo combinato delle
differenti tipologie di intervento, può
legittimamente avere luogo soltanto
all’esito di un’analisi comparativa tra le
diverse alternative, in ragione delle
specifiche caratteristiche dell’area (TAR
Lecce, Sez. I, n. 2247/2007, TAR Toscana,
Sez. II, 14.10.2009, n. 1540; id.,
18.12.2009, n. 3973).
In sintesi, detta analisi deve implicare la
valutazione comparativa dei vantaggi e degli
svantaggi delle differenti opzioni sul
campo, con necessaria precisazione, da parte
della P.A., non solo dei vantaggi effettivi
connessi alla realizzazione della barriera
fisica, ma anche della comparazione con i
relativi svantaggi, fornendo la prova di
aver adeguatamente valutato questi ultimi.
INQUINAMENTO - Barriera
di contenimento fisico - Configurazione
quale messa in sicurezza d’emergenza -
Illegittimità - Natura di messa in sicurezza
permanente.
La prescrizione di una misura avente natura
di messa in sicurezza permanente, se non di
vera e propria bonifica, è illegittimamente
configurata quale messa in sicurezza
d’emergenza.
Il richiamo all’esigenza di intervenire in
via d’urgenza risulta infatti logicamente
incompatibile con la prescrizione di un
intervento, quale -nella specie- la barriera
di contenimento fisico, la cui realizzazione
e messa in opera richiede tempi
verosimilmente lunghi, i quali ne palesano
l’inidoneità sotto i profili
dell’adeguatezza e della proporzionalità al
conseguimento dello scopo (TAR Toscana, Sez.
II, 14.10.2009, n. 1540; TAR Puglia, Lecce,
Sez. I, n. 2247/2007) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 19.05.2010 n. 1525 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' illegittima la costituzione da
parte di una azienda sanitaria di una
società interamente pubblica a cui è stata
affidato in house lo svolgimento del
servizio di pulizia ed ausiliariato presso
le strutture ed i presidi di zona.
Il servizio di pulizia degli uffici e dei
presidi ospedalieri non può essere
considerato "strettamente necessario"
al perseguimento delle finalità
istituzionali dell'azienda sanitaria locale.
La pulizia quotidiana dei locali è infatti
strumentale al buon andamento di
qualsivoglia ente o ufficio pubblico,
nell'interesse di coloro che ivi lavorano e
degli utenti che vi si recano, ai quali
viene garantito il mantenimento di un
ambiente salubre. I servizi di pulizie sono
intrinsecamente comuni e generici,
strumentali all'esercizio di qualunque
attività pubblica o privata, erogabili da
qualsiasi soggetto ed a favore di chiunque.
Il loro affidamento costituisce un appalto
di servizi ed è soggetto alle regole dettate
dal Codice dei contratti pubblici e dalle
direttive comunitarie in materia di appalti,
improntate alla tutela della concorrenza ed
alla massima apertura dei mercati. Ne
consegue che, ai sensi dell'art. 3, c. 27,
della l. n. 244 del 2007, è illegittima la
costituzione da parte della Azienda
sanitaria locale di una società interamente
pubblica a cui è stata affidato, senza
esperimento di gara, lo svolgimento del
servizio di pulizia ed ausiliariato presso
le strutture ed i presidi di zona, che resta
in tal modo sottratto al mercato per gli
anni a venire (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 17.05.2010 n. 1898 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Concorrenti dotate di
certificazione di qualità - Riduzione della
cauzione provvisoria - Presupposto -
Corrispondenza tra la categoria prevalente
dei lavori e quella a cui si riferisce la
certificazione.
La facoltà di dimezzare la cauzione
provvisoria, concessa alle concorrenti
dotate di certificazione di qualità è
giustificata dalla maggiore affidabilità
strutturale ed operativa dell'impresa.
E’ pertanto necessario che tale requisito
sia posseduto con riferimento all'oggetto
specifico dell'appalto: deve ciò esservi
corrispondenza tra la categoria prevalente
dei lavori posti in gara e quella a cui si
riferisce la certificazione di qualità (da
ultimo, TAR Puglia Bari, sez. I, 03.06.2009,
n. 1379 e già, perspicuamente, TAR Campania
Napoli, sez. I, 28.06.2005, n. 8841) (TAR Campania-Salerno,
Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 6538 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Associazione per cooptazione -
Evenienza ordinaria contemplata dalla
disciplina di riferimento.
In tema di appalti di lavori, la cd.
associazione per cooptazione va ritenuta “evenienza
positivamente contemplata dalla disciplina
di riferimento”, che, come tale, “non
esonda dai canoni di ordinarietà” (TAR
Lazio Roma, sez. III, 11.11.2009, n. 11084).
Principio di unicità
dell’impresa ausiliaria - Art. 49, c. 6
d.lgs. n. 163/2006 - Interpretazione.
L’art. 49, 6° comma d.lgs. 163/2006 (nella
specie, nella sua rigida formulazione
antecedente al successivo temperamento
apportato con il d.lgs. n. 152 del 2008,
inapplicabile ratione temporis acti)
va semplicemente inteso , (in conformità al
non contrastato orientamento
giurisprudenziale e al diffuso intendimento
dottrinario, fondato sul non equivoco tenore
testuale della disposizione non meno che
sulla ratio legis, intesa ad evitare
l’eccessivo frazionamento dei requisiti e la
consequenziale parcellizzazione delle
reponsabilità: cfr., da ultimo, TAR Piemonte
Torino, sez. I, 30.03.2009, n. 837) nel
senso di vietare non già il ricorso ad
un’unica ausiliaria per più di una categoria
di qualificazione, sibbene il ricorso a più
ausiliarie per un’unica categoria di
qualificazione (c.d. divieto di avvalimento
o -si paret - principio di unicità
dell’impresa ausiliaria).
Disciplina di gara -
Dichiarazione di sopralluogo - Finalità -
Garanzia in favore dell’amministrazione.
Con riferimento alle clausole della
disciplina di gara che prevedono apposite
dichiarazioni dei concorrenti di aver
visitato i luoghi di esecuzione dei lavori o
dei servizi e di aver preso conoscenza delle
condizioni locali che possono incidere sulla
determinazione dei prezzi e delle condizioni
contrattuali (già prevista, per i lavori
pubblici, l’art. 1 d.p.r. 16.07.1962 n.
1063), la giurisprudenza esattamente
distingue tra dichiarazione di sopralluogo a
cura del partecipante e verbale di
sopralluogo a cura della stazione
appaltante, considerando generalmente
sufficiente ai fini dell'ammissione alla
gara la dichiarazione di sopralluogo a
prescindere dalle modalità con cui esso sia
stato eseguito, a meno che non sia
espressamente richiesto anche uno specifico
verbale di sopralluogo sulle relativa
modalità (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
06.02.2001, n. 3063; Id., sez. V., 09.05.2000,
n. 2668 e Id., sez. V, 30.06.2003, n. 2668);
d’altra parte, la funzione della ridetta
dichiarazione è unicamente quella di
precludere all'appaltatore contestazioni
basate sull'asserita mancata conoscenza dei
luoghi e di ridurre al minimo le possibilità
di modifiche contrattuali in sede di
esecuzione, per cui l’onere posto a carico
dell'impresa di visitare i luoghi
dell'appalto prima di formulare la propria
offerta è posto essenzialmente a garanzia
dell'Amministrazione, garanzia che tale
dichiarazione comunque viene ad assolvere
anche nell'ipotesi cui l'impresa non avesse
effettivamente preso visione delle
condizioni locali dell'appalto per sua
libera scelta (cfr. Cons. Stato, sez. V,
07.07.2005, n. 3729) (TAR Campania-Salerno,
Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 6537 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il rilascio del nulla osta edilizio in area
soggetta a vincolo paesistico (ndr:
autorizzazione paesaggistica) non può
prescindere da un’adeguata motivazione.
Anche i provvedimenti amministrativi aventi
effetti positivi, cioè ampliativi della
sfera giuridica dei destinatari "devono
basarsi su un'idonea motivazione, giacché
l'indicazione delle ragioni su cui si
fondano gli stessi agevola l'attuazione del
principio costituzionale del buon andamento
dell'azione amministrativa; a maggior
ragione tale esigenza di adeguata
motivazione deve essere rispettata
nell'ipotesi di nulla osta edilizio in area
soggetta a vincolo paesistico, attesa la
tendenziale irreversibilità dell'alterazione
dello stato dei luoghi ai fini dell'adeguata
gestione dei vincoli paesistici.
Il potere della Soprintendenza si limita ad
una verifica di mera legittimità del
provvedimento autorizzatorio comunale.
Tuttavia esso si estende ad ogni profilo di
illegittimità ivi compreso l’eccesso di
potere e la carenza di motivazione essendo
ad essa assegnata una funzione di estrema
difesa del vincolo allorché il provvedimento
ne travalichi i limiti intrinseci. Infatti,
la funzione dell’autorizzazione comunale è
proprio quella di verificare la
compatibilità dell’opera con le esigenze di
conservazione dell’ambiente tutelato e non
quella di consentire una oggettiva deroga al
vincolo stesso (cfr. tra le tante Cons.
Stato, Ad. Plen. 14.12.2001, n. 9).
Come riconosciuto dalla giurisprudenza
amministrativa proprio con specifico
riferimento alla materia di cui si
controverte, anche i provvedimenti
amministrativi aventi effetti positivi, cioè
ampliativi della sfera giuridica dei
destinatari "devono basarsi su un'idonea
motivazione, giacché l'indicazione delle
ragioni su cui si fondano gli stessi agevola
l'attuazione del principio costituzionale
del buon andamento dell'azione
amministrativa; a maggior ragione tale
esigenza di adeguata motivazione deve essere
rispettata nell'ipotesi di nulla osta
edilizio in area soggetta a vincolo
paesistico, attesa la tendenziale
irreversibilità dell'alterazione dello stato
dei luoghi ai fini dell'adeguata gestione
dei vincoli paesistici" (così Consiglio
di Stato, VI Sez., 12.12.2002 n. 6785 che
richiama, tra le altre decisioni, A.P.
22.07.1999 n. 20; TAR per l’Emilia Romagna,
sez. II, n. 3666 del 2006; TAR per l’Emilia
Romagna, sez. II, n. 3049/2009).
E’ pacifico in giurisprudenza che
nell'esercizio del potere di cui all’art. 82
comma 9 del D.P.R. n. 616/1977 (come
modificato dall’art. 1 della legge n.
431/1985) l'amministrazione statale non può
sovrapporre le proprie valutazioni di merito
a quelle già operate dall'autorità regionale
o locale, ma deve limitarsi ad un controllo
di legittimità, esteso peraltro a tutti i
possibili vizi, ivi compreso il difetto di
motivazione o l’eccesso di potere anche per
travisamento dei fatti. Nel caso di specie
la Soprintendenza, partendo da una verifica
in concreto (attraverso l'esame della
documentazione pervenuta) ha ravvisato una
insuperabile carenza motivazionale
nell'autorizzazione comunale poi annullata
in quanto priva di un'adeguata illustrazione
delle ragioni a sostegno della ritenuta
compatibilità del manufatto in questione con
la tutela prevista sull'area interessata.
La Soprintendenza, dunque, pur non
prescindendo (né potendo prescindere) da un
puntuale inquadramento della situazione di
fatto, non ha sovrapposto la propria
valutazione tecnico-discrezionale a quella
dell'autorità comunale, ma ha riscontrato in
quest'ultima un vizio di legittimità che
anche il Collegio ritiene ravvisabile ed in
relazione al quale il provvedimento
impugnato risulta correttamente adottato.
Infatti, la Soprintendenza non solo ha
accertato una carenza di motivazione
dell’autorizzazione rilasciata ma ha
rilevato che con particolare riferimento
alla serra che la stessa “realizzata con
materiali di fortuna appare un indecoroso
baraccamento che con la sua presenza deturpa
il paesaggio dell’area tutelata la quale
oltre a formare un quadro naturale di
singolare bellezza panoramica, costituisce
un complesso di singolare valore estetico
tradizionale in cui l’espressione della
natura si fonda mirabilmente con quella del
lavoro umano, offrendo altresì numerosi
punti di vista accessibili al pubblico dai
quali si possono godere visuali di notevole
interesse”.
Quindi l’intervento in parola “comporterebbe
l’alterazione di tratti caratteristici della
località protetta che sono al ragione stessa
per cui la località medesima è sottoposta a
vincolo”.
Tale motivazione della Soprintendenza,
riferita non soltanto alla cosiddetta “serra”
bensì al tutti gli interventi abusivi ivi
compresi l’ampliamento di superficie
dell’appartamento del custode e le varianti
estetiche dell’unità abitativa principale,
costituiscono valutazioni di legittimità
consentite alla Soprintendenza che ha
ravvisato nella autorizzazione comunale un
eccesso di potere sotto il profilo del
travisamento dei fatti con ciò
giustificandosi l’annullamento
dell’autorizzazione rilasciata ai sensi
dell’articolo 7 della legge 1497/1939 (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza 14.05.2010 n.
4667 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Atti abilitativi edilizi -
Procedimento - Proprietario del fondo vicino
- Diritto di accesso agli atti - Art. 22 L.
n. 241/1990.
Al proprietario del fondo vicino a quello su
cui siano state realizzate nuove opere
spetta il diritto di accesso a tutti gli
atti abilitativi edilizi quando faccia
valere l’interesse ad accertare il rispetto
delle previsioni urbanistiche.
Al proprietario del fondo vicino a quello su
cui siano state realizzate nuove opere
spetta il diritto di accesso a tutti gli
atti abilitativi edilizi quando faccia
valere l’interesse ad accertare il rispetto
delle previsioni urbanistiche (Cons. St.
Sez. IV, sent. 21.11.2006, n. 6790).
Tale posizione, in quanto qualificata e
differenziata e non meramente emulativa o
preordinata ad un controllo generalizzato
dell’azione amministrativa, basta ai sensi
dell’art. 22 della L. n. 241 del 1990 a
legittimare il diritto di accesso alla
documentazione amministrativa richiesta
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.05.2010 n. 2966 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO - Regione
Puglia - Zone non esclusivamente industriali
- Applicabilità del criterio differenziale -
L.r. Puglia n. 3/2002 - Provvedimenti
assunti anteriormente all’entrata in vigore
della legge regionale - Criterio
differenziale - Applicabilità - Nei comuni
privi di zonizzazione acustica - Esclusione.
L’art. 3 della L.R. Puglia n. 3/2002
stabilisce, al terzo comma, che per le zone
non esclusivamente industriali, oltre ai
limiti massimi per il rumore ambientale,
trova applicazione anche il cosiddetto "criterio
differenziale", in base al quale non può
essere superata la differenza di 5 db
durante il periodo diurno e di 3 db durante
il periodo notturno. Tale previsione è
destinata a valere, in via immediata, anche
nei Comuni privi della zonizzazione acustica
(cfr. in tal senso TAR Puglia, Lecce, sez.
I, sent. n. 3656/2007).
Con riguardo ai provvedimenti assunti
anteriormente all’entrata in vigore della
legge regionale, trova invece applicazione
l’orientamento prevalso in giurisprudenza
secondo cui, nelle more della
classificazione del territorio comunale ai
sensi dell’art. 6, primo comma - lett. a),
della legge quadro n. 447 del 1995, operano
i soli limiti "assoluti" di
rumorosità, ma non anche quelli "differenziali"
(cfr., tra molte, TAR Emilia Romagna, Parma,
sent. n. 385/2008; TAR Friuli Venezia
Giulia, sent. n. 578/2005; TAR Lombardia,
Milano, sez. I, sent. n. 813/2004; TAR
Veneto, sez. III, sent. n. 847/2004) (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1896 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
In caso di modulistica non
conforme al disciplinare di gara è sempre
ammesso il potere di integrazione della
documentazione richiesta dal bando a pena di
esclusione.
L’applicazione dei principi in materia di
favor partecipationis e di tutela
dell’affidamento osta all’esclusione di
un’impresa in caso di compilazione
dell’offerta in conformità al modulo
approntato dalla stazione appaltante,
potendo eventuali parziali difformità
rispetto al disciplinare costituire oggetto
di richiesta di integrazione.
Nel caso di specie, la mancata indicazione
nel fac-simile di domanda di partecipazione
allegata al disciplinare di alcune delle
dichiarazioni, da rendere a pena di
esclusione presenti nel disciplinare, non
poteva essere considerata circostanza tale
da indurre in errore l’impresa partecipante,
non trattandosi di un’ipotesi di contrasto
tra le prescrizioni contenute nel
disciplinare e quelle contenute nella
allegata modulistica, ma di mancato richiamo
nella seconda di dichiarazioni espressamente
e chiaramente indicate come necessarie nel
capitolato e presidiate dalla clausola di
esclusione (TAR Molise,
sentenza 14.05.2010 n. 213 - link
a
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Art. 192
d.lgs. n. 152/2006 - Titolare del fondo -
Dovere di diligenza - Vigilanza - Limiti.
Il dovere di diligenza che fa carico al
titolare del fondo, non può arrivare al
punto di richiedere un costante vigilanza,
da esercitarsi giorno e notte, per impedire
ad estranei di invadere l’area e, per quanto
riguarda la fattispecie regolata dall’art.
14, comma 3, del D.L. vo n. 22 del 1997 (ora
art. 192 del D.L. vo n. 152 del 2006) di
abbandonarvi rifiuti.
La richiesta di un impegno di tale entità
travalicherebbe oltremodo gli ordinari
canoni della diligenza media (e del buon
padre di famiglia) che è alla base della
nozione di colpa, quando questa è indicata
in modo generico, come nella specie, senza
ulteriori specificazioni (Cfr., ex
plurimis: C. di S., Sez. V, 08.03.2005,
n. 935; TAR Campania, Sez. V, 05.08.2008, n.
9795) (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 13.05.2010 n. 4924 -
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EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Impianti di telecomunicazione -
Assimilabilità alle infrastrutture -
Installazione sull’intero territorio
comunale - Ammissibilità.
Gli impianti di telecomunicazione sono
assimilabili alle infrastrutture, e dunque
la loro installazione deve ritenersi in
generale consentita sull’intero territorio
comunale in modo da poter realizzare
un’uniforme copertura di tutta l’area
comunale interessata (Cons. St., sez. VI,
23.06.2008 n. 3133; Cons. St., sez. VI,
11.10.2007 n. 5342) (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 13.05.2010 n. 2955 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La partecipazione del privato al
procedimento può essere pretermessa qualora
egli non sia in grado di fornire elementi
che incidano sull’azione amministrativa.
La motivazione del provvedimento impugnato è
esaustiva e comprensibile (assenza di
attività autorizzata e/o conforme dal punto
di vista urbanistico in zona residenziale) e
che le garanzie partecipative, ai sensi
dell’art. 21-octies, non inficiano la
legittimità del provvedimento, il quale,
alla luce delle risultanze istruttorie
dell’ARPA, appare chiaramente, in concreto,
vincolato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI,
03.12.2009, n. 7575).
In ogni caso, sulla falsariga
dell’orientamento accolto dal Giudice
d’appello, la partecipazione del privato al
procedimento può essere pretermessa qualora
egli non sia in grado di fornire elementi
che incidano sull’azione amministrativa e,
quindi, quando i fatti siano compiutamente
acquisiti o gli interessi siano stati tutti
valutati, come nel caso di specie.
Infatti, è in questo ultimo ambito che si
colloca la norma di cui all’art. 21-octies
comma 2, l. 07.08.1990 n. 241, che esclude
l’annullabilità del provvedimento qualora
l’esito non possa essere diverso, atteso che
la ponderazione degli interessi e
l’individuazione della ragione prevalente è
da ritenersi ormai univoca, qualora, come
nel caso di specie, risulti, anche in sede
di giudizio, che l’apporto del privato in
fase partecipativa sia irrilevante, non
essendo in grado di incidere sulla
ponderazione degli interessi.
In altre parole, l’onere di dimostrare che
l’esito provvedimentale non sarebbe stato
diverso, come si esprime l’art. 21-octies
con riferimento all’essenza dell’avviso di
avvio del provvedimento e alla sua possibile
incidenza in termini di illegittimità,
spetta all’Amministrazione solo allorquando
il privato, in sede procedimentale ovvero in
sede giurisdizionale, abbia introdotto
elementi di fatto o punti di vista che
avrebbero potuto condizionare l’esito
dell’attività amministrativa, il che non si
verifica nel caso di specie, atteso che,
come detto, i motivi di ricorso appaiono
inequivocabilmente infondati (TAR Piemonte,
Sez. II,
sentenza 13.05.2010 n. 2390 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla sussistenza della
giurisdizione del g.a. per la controversia
relativa al recesso da parte di comune da un
consorzio costituito ai sensi dell'art. 31
del d.lgs. n. 267 del 2000.
Allorché uno degli Enti locali partecipanti
deliberi di recedere dal consorzio
costituito ai sensi dell'art. 31 del d.lgs.
n. 267 del 2000, ci si trova in presenza
dell'esercizio di un potere discrezionale
conferito dalla legge in capo allo stesso
Ente deliberante, tale da radicare la
giurisdizione del giudice amministrativo.
Il consorzio tra Comuni è una particolare
forma associativa prevista dalla legge,
avente natura di ente pubblico, "per la
gestione associata di uno o più servizi"
nonché "per l'esercizio associato di
funzioni": esso è quindi preordinato
alla realizzazione di un servizio o di una
funzione pubblica tale da assicurare, date
le circostanze del caso concreto e previa
valutazione delle necessità del territorio,
maggiore affidamento di riuscita rispetto ad
una gestione diretta lasciata alle
amministrazioni singolarmente.
La decisione di entrare a far parte di un
consorzio -e, correlativamente, quella di
recedervi- è quindi preordinata alla
migliore gestione (o almeno, a quella
discrezionalmente ritenuta tale) del
servizio pubblico che di volta in volta
viene in considerazione: le relative
deliberazioni prese dall'Ente locale,
pertanto, rappresentano una modalità di
esercizio del potere discrezionale che la
legge conferisce all'amministrazione locale
per la migliore gestione del servizio
pubblico.
Non può dunque sostenersi, che i rapporti
tra il consorzio e gli enti che ne fanno
parte siano da inquadrare nei binari del
diritto soggettivo e non dell'interesse
legittimo: ne deriva, per le relative
controversie, in base ai principi generali,
la giurisdizione del giudice amministrativo
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 13.05.2010 n. 2388 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
Ove manchi la specifica autorizzazione a
lottizzare, la lottizzazione abusiva
sussiste e deve essere sanzionata anche se,
per le singole opere facenti parte di tale
lottizzazione, sia stata rilasciata una
concessione edilizia.
Il Mura, successivamente al 1985, ha
frazionato un proprio terreno della
superficie di 10.000 mq. per ricavarne dieci
lotti di circa 900 mq. ciascuno, più una
strada centrale al terreno per mettere in
comunicazione i lotti con la via pubblica.
Nello stesso ricorso si afferma infatti che
“il ricorrente nel 1986 ha proceduto al
frazionamento di esso [del terreno agricolo
di 10.000 mq] in 10 appezzamenti di 900 mq.
circa, vendendone per atto pubblico alcuni…”.
Per giurisprudenza pacifica simile attività
rientra nelle previsioni dettate
dall’articolo 18 della legge 28.02.1985 n.
47 che così dispone: “Si ha lottizzazione
abusiva di terreni a scopo edificatorio
quando vengono iniziate opere che comportino
trasformazione urbanistica od edilizia dei
terreni stessi in violazione delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici,
vigenti o adottati, o comunque stabilite
dalle leggi statali o regionali o senza la
prescritta autorizzazione; nonché quando
tale trasformazione venga predisposta
attraverso il frazionamento e la vendita, o
atti equivalenti, del terreno in lotti che,
per le loro caratteristiche quali la
dimensione in relazione alla natura del
terreno e alla sua destinazione secondo gli
strumenti urbanistici, il numero,
l'ubicazione o la eventuale previsione di
opere di urbanizzazione ed in rapporto ad
elementi riferiti agli acquirenti, denuncino
in modo non equivoco la destinazione a scopo
edificatorio.”
La giurisprudenza ha chiarito,
pronunciandosi in fattispecie di
lottizzazioni abusive, che “l'art. 18, l.
28.02.1985 n. 47 disciplina due diverse
ipotesi di lottizzazione abusiva: la
prima, c.d. materiale, relativa
all'inizio della realizzazione di opere che
comportano la trasformazione urbanistica ed
edilizia dei terreni, sia in violazione
delle prescrizioni degli strumenti
urbanistici, approvati o adottati, ovvero di
quelle stabilite direttamente in leggi
statali o regionali, sia in assenza della
prescritta autorizzazione; la seconda,
c.d. formale (o cartolare), che si verifica
allorquando, pur non essendo ancora avvenuta
una trasformazione lottizzatoria di
carattere materiale, se ne sono già
realizzati i presupposti con il
frazionamento e la vendita, o altri atti
equiparati, del terreno in lotti (che per le
specifiche caratteristiche, quali la
dimensione dei lotti stessi, la natura del
terreno, la destinazione urbanistica,
l'ubicazione e la previsione di opere
urbanistiche, e per altri elementi riferiti
agli acquirenti, evidenzino in modo non
equivoco la destinazione ad uso
edificatorio), creando così una variazione
in senso accrescitivo sia del numero dei
lotti che in quello dei soggetti titolari
del diritto sul bene; il bene giuridico
protetto dalla predetta norma, quindi, è non
solo l'ordinata pianificazione urbanistica e
del corretto uso del territorio, ma anche (e
soprattutto) l'effettivo controllo del
territorio da parte del soggetto titolare
della stessa funzione di pianificazione
(cioè dal Comune), cui spetta di vigilare
sul rispetto delle vigenti prescrizioni
urbanistiche, con conseguente legittima
repressione di qualsiasi intervento di tipo
lottizzatorio, non previamente assentito”
(Consiglio Stato, sez. IV, 11.10.2006, n.
6060) (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 13.05.2010 n. 1169 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Solo concorsi aperti. I principi
espressi dalla Consulta valgono anche per
gli enti. Illegittime le progressioni
riservate.
Sono illegittime progressioni di carriera
integralmente riservate ai dipendenti degli
enti che le bandiscono.
La
sentenza 13.05.2010 n. 169 della
Corte Costituzionale estende indubbiamente a
tutte le amministrazioni, compresi gli enti
locali, i suoi effetti anche se riferita
alla legge regionale della Liguria 3/2009.
Con tale disposizione legislativa, la
regione aveva previsto di bandire concorsi
pubblici riservati a soggetti prestassero
servizio con contratto di collaborazione
coordinata e continuativa presso la regione
stessa e i suoi enti strumentali regionali e
che avessero almeno un anno di attività
maturato nel triennio anteriore alla data di
entrata in vigore della stessa legge ... (articolo
ItaliaOggi del 21.05.2010 - link
a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI -
Area vincolata - Esecuzione di opere
soggette a denuncia di inizio attività (d.i.a.)
- Disciplina della DIA - Artt. 22, co. 6, e
23, commi 3 e 4 del d.P.R. 380/2001 - Rilascio
del nulla-osta dall’autorità preposta alla
tutela del vincolo - Necessità.
Nelle ipotesi di interventi da effettuare su
immobili siti in zone sottoposte a vincolo,
la disciplina della DIA è ricavabile dal
combinato disposto degli artt. 22, co. 6, e
23, commi 3 e 4 del d.P.R. 380/2001.
La prima norma consente la presentazione
della denuncia anche con riferimento a tale
tipologia di immobili, purché la
realizzazione delle opere sia, comunque,
preceduta dal rilascio, secondo lo schema
delineato dal successivo articolo, del
relativo atto di assenso, ovvero, del parere
favorevole dell'Amministrazione comunale.
Pertanto, per gli interventi edilizi su
manufatti in zona vincolata la denuncia di
inizio attività costituisce titolo
abilitativo solo se sia già stato rilasciato
il nulla-osta dall'autorità preposta alla
tutela del vincolo medesimo (Cass.
20/03/2002, n. 246) (conferma ordinanza del
Tribunale di Latina del 17/12/2009) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.05.2010 n. 17973 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono -
Proprietario dell’area interessata -
Responsabilità - Addebitabilità a titolo di
dolo o colpa della violazione.
Dall’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 risulta
che la responsabilità del proprietario o del
titolare di diritti reali o personali di
godimento sull’area interessata da abbandono
di rifiuti presuppone l’addebitabilità ad
essi, a titolo di dolo o colpa, della
violazione posta in essere dal responsabile
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 11.05.2010 n. 3795 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO -
Acque di dilavamento dei parcheggi
Assimilabilità a scarichi industriali -
Esclusione.
Le acque di dilavamento dei parcheggi non
sono assimilabili a scarichi industriali
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 11.05.2010 n. 3772 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Ricorso
all’ordinanza contingibile e urgente -
Illegittimità - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
In materia ambientale, in ipotesi di
abbandono incontrollato di rifiuti, è
esclusa la possibilità di ricorrere allo
strumento atipico e eccezionale costituito
dall’ordinanza contingibile ed urgente,
rientrando tali fattispecie espressamente
nel campo di applicazione dell’art. 192 D.L.
vo n. 152/2006 che, a fronte di situazioni
di inquinamento ambientale, appresta uno
specifico rimedio.
RIFIUTI - Abbandono da
parte di terzi ignoti - Proprietario del
terreno - Responsabilità oggettiva -
Inconfigurabilità - Art. 192 d.lgs. n.
152/2006.
In caso di rinvenimento di rifiuti da parte
di terzi ignoti, il proprietario o comunque
il titolare in uso di fatto del terreno non
può essere chiamato a rispondere della
fattispecie di abbandono o deposito
incontrollato di rifiuti sulla propria area
se non viene individuato a suo carico
l’elemento soggettivo del dolo o della
colpa, per cui lo stesso soggetto non può
essere destinatario di ordinanza sindacale
di rimozione e rimessione in pristino (Cfr:
TAR Campania, Sez. I; 19.03.2004, n. 3042,
TAR Toscana, 12.05.2003, n. 1548, C. di S.,
IV Sez. 20.01.2003, n. 168).
Nel disposto normativo di cui all’art. 192
del d.lgs. n. 152/2006, incentrato su una
rigorosa tipicità dell’illecito ambientale,
non v’è alcun spazio per una responsabilità
oggettiva: la regola di imputabilità a
titolo di dolo o colpa non ammette eccezioni
anche in relazione ad un’eventuale
responsabilità solidale del proprietario
dell’area ove si è verificato l’abbandono ed
il deposito incontrollato di rifiuti sul
suolo e nel suolo.
RIFIUTI - Ricorso a
ordinanze a valenza ambientale - Omissione
della comunicazione di avvio del
procedimento - Presupposto - Urgenza
qualificata.
Il ricorso allo strumento dell’ordinanza
contingibile ed urgente, o anche avente
valenza ambientale, giustifica l’omissione
della comunicazione di avvio del
procedimento unicamente in presenza di un’”urgenza
qualificata”, in relazione alle
circostanze del caso concreto, che deve
essere debitamente esplicitata in specifica
motivazione sulla necessità e l’urgenza di
prevenire il grave pericolo alla
cittadinanza (Cfr: TAR Campania, Sez. V,
03.02.2005, n. 764) (TAR Campania-Napoli,
Sez. V,
sentenza 11.05.2010 n. 3683 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
La clausola del bando che
prescrive la presentazione attraverso la
posta o a mezzo dei servizi privati di
recapito postale ma non vieta espressamente
la consegna diretta dell'offerta deve essere
intesa come indicativa della possibilità di
tale consegna.
La regola generale della presentazione
diretta dell’offerta costituisce principio
di libertà che non può essere derogata dal
bando di gara, in quanto espressione
dell’esigenza di rendere immuni i
concorrenti dal rischio del mancato rispetto
di formalità che non sono nella loro
disponibilità (Consiglio Stato, sez. VI,
26.09.2003, n. 5504).
Pertanto, la clausola del bando che
prescrive la presentazione attraverso la
posta o a mezzo dei servizi privati di
recapito postale ma non vieta espressamente
la consegna diretta dell’offerta deve essere
intesa come indicativa della possibilità di
tale consegna (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.05.2010 n. 2835 -
link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
In sede di verifica a campione ex
art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice
dei contratti pubblici), i requisiti di
capacità economico-finanziaria non possono
essere dimostrati mediante la dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà .
Sull'interpretazione delle sanzioni previste
(incameramento della cauzione e segnalazione
all'AVCP) dall'art. 48 del d.lgs. n. 163 del
2006.
In sede di verifica a campione ex art. 48
del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei
contratti pubblici), i requisiti di capacità
economico-finanziaria non possono essere
dimostrati mediante la dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà ai sensi
dell'art. 47 del d.p.r. n. 445 del 2000.
Deve rilevarsi, infatti, che nei rapporti
con l'amministrazione è necessario
distinguere due fasi: "quella iniziale,
nella quale può farsi legittimamente uso
della dichiarazione sostitutiva di atto
notorio contestualmente alla presentazione
della domanda di partecipazione alla gara e
quella, successiva, nella quale
l'attestazione del possesso dei requisiti di
partecipazione deve essere necessariamente
compiuta per mezzo della documentazione
pubblica certificativa della qualità o dello
stato richiesti e non può essere ammessa
anche la modalità della dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà". La
regola della mancanza di validità delle
dichiarazioni sostitutive di atto di
notorietà, dunque, tende ad evitare che
l'impresa possa depositare in sede di
verifica a campione la medesima
documentazione presentata in sede di
presentazione dell'offerta. Tale regola può
subire delle eccezioni unicamente nei casi
in cui si tratti di dimostrare il possesso
di documenti che siano già in possesso
dell'amministrazione o che comunque essa
stessa è tenuta a certificare (cfr. art. 43
del d.p.r. n. 445 del 2000).
L'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede
che quando l'impresa non fornisce la prova
dei requisiti richiesti dall'amministrazione
ovvero non confermi le dichiarazioni
contenute nella domanda di partecipazione o
nell'offerta, le stazioni appaltanti
procedono non soltanto all'esclusione del
concorrente dalla gara, ma anche
all'escussione della relativa cauzione
provvisoria e alla segnalazione del fatto
all'Autorità. Tale disposizione va,
tuttavia, interpretata secondo un criterio
logico e in relazione alla circostanza che
non si debba trattare di una violazione
lieve, tenendo conto anche della buona fede
dell'impresa. Per stabilire dunque se la
violazione sia stata non lieve occorre avere
riguardo alla natura dell'"inadempimento" e
agli effetti che ciò ha determinato sullo
svolgimento della procedura di gara.
Nel caso di specie, la stazione appaltante
non ha accertato la mancanza dei requisito
ma ha riscontrato un'anomalia nelle modalità
formali di dimostrazione del requisito
richieste legittimamente dalla lex
specialis. Inoltre, il comportamento
dell'impresa non ha inciso negativamente
sulla gara alterando il gioco della libera
concorrenza. Ne consegue che deve essere
parzialmente annullato l'atto con cui è
stato disposto, unitamente alle "altre
sanzioni", l'incameramento della cauzione
provvisoria (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 11.05.2010 n. 717 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I comuni possono limitare nei
centri storici l’insediamento di attività
che non siano tradizionali e/o
qualitativamente rapportabili ai caratteri
storici, architettonici e urbanistici dei
centri medesimi.
È in discussione, nella pronuncia in
rassegna, la legittimità degli atti con cui
il Comune di Roma si è negativamente
pronunciato sulla comunicazione con la quale
la società ricorrente aveva comunicato al
Municipio I-Centro Storico del Comune di
Roma il trasferimento della propria attività
commerciale.
Detta delibera consiliare sfugge, secondo i
giudici del Consiglio di Stato, ai
rimproveri mossi al suo indirizzo
dall’appellante sotto il profilo del
contrasto con i principi, nazionali e
comunitari, in materia di liberalizzazione
degli esercizi commerciali.
La normativa del cd. “decreto Bersani”
(D.L. n. 223/2006), spiegano i giudici di
Palazzo Spada, mira, infatti, alla
liberalizzazione delle attività commerciali,
escludendo che agli esercizi autorizzati
possano essere posti limiti quantitativi e
qualitativi di vendita delle merci (art. 3),
ma non osta alla possibilità che i Comuni
tutelino le attività tradizionali nei centri
storici con disposizioni che non impediscono
l’esercizio nei centri storici di attività
diverse da quelle tradizionali anche se
riservano a queste ultime i locali in cui
erano svolte in precedenza.
Gli stessi principi costituzionali e
comunitari in materia di libertà di
iniziativa economica e di tutela della
concorrenza non escludono che esigenze di
tutela di valori sociali di rango parimenti
primario possano suggerire condizionamenti e
temperamenti al dispiegarsi dei diritti
individuali.
Detti limiti sono vieppiù costituzionalmente
compatibili, oltre che in ragione dei
confini temporali che li perimetrano, anche
in virtù della considerazione che al
titolare dell’esercizio dell’attività
cessata non è imposto un puntuale
sbarramento merceologico in quanto gli è
consentito di intraprendere da subito
qualsiasi attività appartenente al medesimo
genere, alimentare o non alimentare, di
quella venuta meno.
Va soggiunto che le misure in esame,
concludono gli stessi giudici, senza imporre
limitazioni quantitative e qualitative
incompatibili con la disciplina nazionale,
perseguono la concorrente finalità di
tutelare il consumatore garantendo la
permanenza, negli ambiti territoriali
tutelati, di un’offerta variegata di beni e
servizi che non sia depauperata di attività
tradizionali altrimenti a rischio di
estinzione (commento tratto da
www.doumnetazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 10.05.2010 n. 2758 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parolacce in ufficio? Non sempre
costituiscono reato.
Insulti, parolacce e volgarità, se
pronunciate in ambiente lavorativo, possono,
in determinate situazioni, diventare persino
costruttive, con la conseguenza che chi le
pronuncia non commette reato.
Al di là dell'«ineleganza» e della «rozzezza»
con cui ci si può rivolgere al capo o ad un
collega, in certi casi il turpiloquio può
essere solo un modo per sollecitare il
dibattito sul lavoro, potendo, addirittura,
stimolare il miglioramento
dell'organizzazione aziendale (Corte di
Cassazione, Sez. V penale,
sentenza 07.05.2010 n. 17672 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI:
L'incameramento della cauzione
provvisoria in caso di mancata osservazione
delle regole del patto di integrità non
equivale a sanzione amministrativa.
Il Comune di Milano ha adottato un patto di
integrità che racchiude regole di
comportamento per le imprese, partecipanti
ad una gara, già desumibili dalla disciplina
positiva relativa alle procedure di evidenza
pubblica e dai principi attinenti la
materia.
Al momento della presentazione della domanda
di partecipazione ad una gara il comune
chiede la sottoscrizione del medesimo patto
alle imprese. La procedura ha elevato
l’accettazione di tale patto a presupposto
necessario e condizionante per la
partecipazione delle imprese alla specifica
gara di cui trattasi.
L'impresa concorrente, inoltre, con la
sottoscrizione, all’atto della presentazione
della domanda, del patto d'integrità,
accetta regole del bando che rafforzano
comportamenti già doverosi per coloro che
sono ammessi a partecipare alla gara (nella
specie, la regola di non compiere atti
limitativi della concorrenza) e che
prevedono, in caso di violazione di tali
doveri, sanzioni di carattere patrimoniale,
oltre la conseguenza, ordinaria a tutte le
procedure concorsuali, della estromissione
dalla gara.
Viene dunque a individuarsi, quindi,
innanzitutto, un onere, consistente nella
sottoscrizione per adesione delle regole
contenute nel Patto d'integrità,
configurandosi l’accettazione delle regole
in questo contenute come condizione
imprescindibile per poter partecipare alla
gara, e contestualmente dei doveri
comportamentali , accompagnati dalla
previsione di una responsabilità
patrimoniale, aggiuntiva alla esclusione
della gara, assunti su base pattizia
rinvenendosi la loro fonte nel Patto
d’integrità accettato dal concorrente con la
sottoscrizione.
La previsione dei doveri stabiliti dal patto
d’integrità con le correlative
responsabilità di ordine patrimoniale come
ulteriore prescrizione dei bandi di gara, è
legittima poiché si inquadra nell’ambito
dell’autonomia negoziale
dell’amministrazione, nell’invito a
contrattare, e di chi aspiri a diventare
titolare di un futuro contratto, con
l’accettazione dell’invito. Non si ravvisano
preclusioni nell’ordinamento positivo
soprattutto perché il patto contiene regole
conformi a principi già considerati
dall’ordinamento e già assistiti da
responsabilità patrimoniale (quale la buona
fede e la correttezza nelle trattative
contrattuali).
Se questo è il quadro di riferimento l’escussione della cauzione provvisoria vale
unicamente ad identificare e a quantificare
fin dall’origine la conformazione e la
misura della responsabilità patrimoniale del
partecipante alla gara conseguente
all'inadempimento dell'obbligo assunto con
la sottoscrizione del patto d’integrità
(l’orientamento è stato più recentemente
confermato anche da Consiglio Stato, sez. V,
06.03.2006, n. 1053, secondo cui: il patto
d’integrità nel suo insieme e nelle singole
clausole assume il carattere di complesso di
regole di comportamento per le imprese, già
desumibili dalla disciplina positiva
relativa alle procedure di evidenza pubblica
e dai principi attinenti la materia e non
già di sanzione privata incompatibile con il
principio di legalità di cui all'art. 25
comma 2 cost.; ne consegue che
l’incameramento della cauzione non ha
carattere di sanzione amministrativa -come
tale riservata alla legge e non a fonti di
secondo grado o a meri atti della p.a.- ma
costituisce la conseguenza dell’accettazione
di regole e di doveri comportamentali,
accompagnati dalla previsione di una
responsabilità patrimoniale, aggiuntiva alla
esclusione della gara, assunti su base
pattizia, rinvenendosi la loro fonte nel
patto d’integrità accettato dal concorrente
con la sottoscrizione: da ultimo cfr. anche
Consiglio Stato, sez. V, 08.09.2008, n.
4267) (commento tratto da
www.doumnetazione.ancitel.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 07.05.2010 n. 1386 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il divieto di edificare nelle
fasce di rispetto stradale risulta
finalizzato a mantenere una fascia di
rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di
lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale
allargamento della sede stradale, nonché per
evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione;
per cui lo stesso è di carattere assoluto,
tanto che le relative distanze vanno
rispettate anche con riferimento ad opere
che non superino il livello della sede
stradale.
La fascia di rispetto stradale determina,
dunque, una limitazione dello ius
aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del
Regolamento del Codice della Strada, al suo
interno non è consentito costruire,
ricostruire o ampliare fabbricati.
Ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e
2 della legge urbanistica 17.08.1942, n.
1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19
della l. 06.08.1967, n. 765) “Fuori del
perimetro dei centri abitati debbono
osservarsi nell’edificazione distanze minime
a protezione del nastro stradale, misurate a
partire dal ciglio della strada. Dette
distanze vengono stabilite con decreto del
Ministro per i Lavori pubblici di concerto
con i Ministri per i trasporti e per
l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in
vigore della presente legge, in rapporto
alla natura delle strade ed alla
classificazione delle strade stesse, escluse
le strade vicinali e di bonifica”.
L’esistenza di limiti di edificazione da
rispettare con riferimento al nastro di
autostrade e strade, tanto fuori del centro
abitato che nell’ambito di quest’ultimo,
deriva direttamente dalla normativa del
Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo
285/2002) e del suo Regolamento di
attuazione, nonché per le sole autostrade
dall’art. 9 della l. 729/1961.
La disciplina delle zone di rispetto
stradale è oggi dettata dal Codice della
Strada, approvato con il D.Lgs. n. 285/1992,
e dal relativo Regolamento di cui al D.P.R.
n. 495/1992.
E’ l’art. 26 del D.P.R. n. 495/1992 –in
attuazione dell’art. 16 del Codice della
Strada- che detta la disciplina relativa
alle “fasce di rispetto fuori dai centri
abitati”, prescrivendo che: “Fuori
dai centri abitati… le distanze dal confine
stradale, da rispettare nelle nuove
costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti
a demolizioni integrali o negli ampliamenti
fronteggianti le strade, non possono essere
inferiori a: …
d) 20 mt. per strade di tipo F, ad eccezione
delle “strade vicinali”, come definite
dall’art. 3, comma 1, n. 52 del Codice;
e) 10 mt. per le “strade vicinali” di tipo F”;
A sua volta il comma 3 dispone:
"3. Fuori dai centri abitati, come
delimitati ai sensi dell'articolo 4 del
codice, ma all'interno delle zone previste
come edificabili o trasformabili dallo
strumento urbanistico generale, nel caso che
detto strumento sia suscettibile di
attuazione diretta, ovvero se per tali zone
siano già esecutivi gli strumenti
urbanistici attuativi, le distanze dal
confine stradale, da rispettare nelle nuove
costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti
a demolizioni integrali o negli ampliamenti
fronteggianti le strade, non possono essere
inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo B;
c) 10 m per le strade di tipo C.".
Il divieto in oggetto, secondo la costante
interpretazione della giurisprudenza,
risulta finalizzato a mantenere una fascia
di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione
di lavori, l’impianto di cantieri,
l’eventuale allargamento della sede
stradale, nonché per evitare possibili
pregiudizi alla percorribilità della via di
comunicazione; per cui lo stesso è di
carattere assoluto, tanto che le relative
distanze vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (cfr. TAR
Campania Salerno Sez. II sent. 1383 del
09.04.2009; Cassazione Civile, sezione II,
n. 2164 del 03.02.2005).
In termini più generali, va comunque
osservato che, poiché il Codice della Strada
contiene norme di rango primario in una
materia, quale è la sicurezza della
circolazione stradale, attribuita alla
legislazione esclusiva dello Stato, tali
norme devono ritenersi oggetto di immediata
applicazione sull’intero territorio
nazionale cosicché ad esse devono adeguarsi
gli strumenti urbanistici locali, come del
resto sistematicamente ricordano le
deliberazioni regionali con le quali vengono
approvati i P.R.G. e le relative varianti.
La fascia di rispetto stradale determina,
dunque, una limitazione dello ius
aedificandi: come stabilito dall’art. 26
del Regolamento del Codice della Strada, al
suo interno non è consentito costruire,
ricostruire o ampliare fabbricati
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 2673 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimazione delle
associazioni di categoria ad agire per
l'accertamento dell'iniquità delle
condizioni generali di contratto.
Una clausola del bando di gara che lasci in
bianco un elemento essenziale del contratto,
quale il termine di pagamento, vìola l'art.
64 del d.lgs. n. 163/06 (Codice dei
contratti), in quanto rende impossibile la
formulazione dell'offerta.
L'art. 8 del d.lgs. n. 231 del 2002 prevede
la legittimazione delle associazioni di
categoria, in rappresentanza delle imprese
piccole e medie, a richiedere al giudice
competente di accertare, previa eventuale
pronuncia di inibitoria in via d'urgenza, la
iniquità di condizioni generali di contratto
ai sensi dell'art. 7 della medesima legge
rispetto a clausole concernenti la data del
pagamento e le conseguenze normative del
ritardo nel medesimo. Le associazioni di
categoria divengono così tutrici di
interessi collettivi rispetto a clausole
inserite nel bando o nei capitolati che
possono, a causa della loro iniquità, avere
un effetto dissuasivo rispetto ad una
probabile e più ampia volontà di
partecipazione. Si è così introdotta una
forma generale di tutela collettiva contro
l'utilizzazione di condizioni contrattuali
inique collocata "a monte" rispetto
alla tutela individuale del singolo
imprenditore che abbia stipulato un
contratto contenente clausole inique.
Una clausola del bando di gara che lasci "in
bianco" un elemento essenziale del
contratto, quale il termine di pagamento,
vìola l'art. 64 del d.lgs. n. 163/06 (Codice
dei contratti), in quanto rende impossibile
la formulazione dell'offerta per mancanza di
indicazioni relativamente ad un parametro
essenziale della medesima. Il legislatore ha
apprestato due livelli di tutela: uno
demandato alle associazioni di categoria, al
fine di inibire l'uso di condizioni generali
di contratto qualora prefigurino clausole
derogatorie della disciplina protettiva
inique dal punto di vista commerciale; uno
successivo, che consente al contrante
danneggiato di chiedere l'accertamento della
nullità della clausola, contrattata
individualmente, qualora la medesima
presenti le caratteristiche di iniquità di
cui all'art. 7 del d.lgs. n. 231/2002. In
relazione alla specifica clausola relativa
alle condizioni di pagamento, i bandi di
gara possono prefigurare la specifica
regolamentazione contrattuale ovvero
sollecitare l'offerta del concorrente:
l'amministrazione può limitarsi a
individuare una regolamentazione dei tempi e
modi di pagamento ovvero invitare il
concorrente a formulare, sulla base di
individuati parametri, un'offerta secondo lo
schema dell'invito ad offrire, fermo
restando che, ai sensi del combinato
disposto dell'art. 64 e dell'alleg. IX A del
d.lgs. n. 163/2006, l'individuazione delle
modalità di pagamento costituisce elemento
primario che il bando deve prevedere
espressamente in attuazione della normativa
comunitaria. L'art. 8 del d.lgs. n.
231/2002, nell'approntare una tutela
collettiva avanzata avverso le condizioni
generali unilateralmente predisposte in
deroga ai parametri di legge, prevede che le
stesse possano essere sindacate
preventivamente rispetto alla conclusione
del contratto, su impulso delle associazioni
di categoria. Il sindacato si svolge in
virtù dei parametri che dettano limiti e
criteri di un'eventuale deroga in sede di
contrattazione bilaterale alla disciplina
normativa, sanzionando con la nullità la
violazione di tali limiti e criteri qualora
iniquo; pertanto le associazioni di
categoria hanno il potere di sollecitare un
sindacato preventivo di equità della
clausola predisposta, in aderenza ai
parametri di legge (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 05.05.2010 n. 2346 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
---------------
Tempi di pagamento
decisi alla stipula. Per il Tar la p.a. può
rinviare i termini.
L'amministrazione può rinviare alla stipula
del contratto di appalto la definizione dei
termini di pagamento e degli interessi di
mora, facendo riferimento alla prassi
commerciale e all'oggetto del contratto; è
invece illegittimo fare riferimento, in tale
definizione, ai flussi finanziari di cassa e
alla verifica sull'esistenza del debito.
È quanto afferma il Tar Piemonte, sezione
prima, con la pronuncia del 05.05.2010 n.
2346 che prende in esame la disciplina dei
termini di pagamento prevista dal decreto
legislativo 231/02, alla luce di una
clausola con la quale la stazione appaltante
aveva stabilito che le parti, in sede di
successiva stipulazione del contratto,
avrebbero contrattato i termini di pagamento
e il saggio degli interessi di mora, avuto
riguardo alla corretta prassi commerciale,
alla natura del servizio oggetto del
contratto, ai flussi finanziari di cassa in
entrata a disposizione dell'azienda e ai
tempi tecnici necessari alle verifiche
dell'esistenza del debito (liquidazione
delle fatture) ... (articolo
ItaliaOggi del 21.05.2010 - link
a www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per gli oneri di urbanizzazione
ha ordinariamente funzione sostitutiva delle
relative opere; in particolare, assolve
all’obiettivo di ridistribuire i costi
sociali delle stesse avuto riguardo
all’aggravamento del carico urbanistico che
l’intervento considerato andrà a determinare
nella specifica zona in cui è destinato a
ricadere. Si ritiene infatti generalmente
non dovuto ogni qual volta l’intervento
stesso non sia idoneo a determinare un
aggravio del carico urbanistico della zona.
In caso di abuso edilizio sanato col
"condono edilizio", se il principio
ispiratore della normativa del versamento
degli oo.uu. è quello della corrispettività
tra oneri di urbanizzazione e costi delle
relative opere connesse all’edificazione, in
ipotesi di non coincidenza tra la
destinazione dell’intervento e quella della
zona in cui lo stesso è stato realizzato è
necessario rintracciare un criterio
correttivo che consenta di evitare
distorsioni nell’ottica di sistema; che
consenta cioè di salvaguardare l’intento
perequativo e la corrispettività sottesi
all’obbligo di contribuzione –diretta o
indiretta- correlato alla realizzazione di
nuovi interventi edilizi: dovrà aversi
riguardo non già alle astratte tipologie
consentite dalla destinazione di zona bensì
alla destinazione in concreto attuata dal
manufatto, posto che –si ribadisce- oggetto
di condono è proprio l’immobile in sé
considerato, avulso dal contesto in cui lo
stesso sia venuto a collocarsi.
Deve invero osservarsi che il contributo per
gli oneri di urbanizzazione ha
ordinariamente funzione sostitutiva delle
relative opere; in particolare, assolve
all’obiettivo di ridistribuire i costi
sociali delle stesse avuto riguardo
all’aggravamento del carico urbanistico che
l’intervento considerato andrà a determinare
nella specifica zona in cui è destinato a
ricadere. Si ritiene infatti generalmente
non dovuto ogni qual volta l’intervento
stesso non sia idoneo a determinare un
aggravio del carico urbanistico della zona
(cfr. sul punto da ultimo Tar Campania,
Napoli, 26.06.2008 n. 6271).
Che per espressa prescrizione di legge il
quantum di tali oneri venga
determinato attraverso tabelle che assumono
tra i parametri di riferimento anche le
destinazioni di zona previste dallo
strumento urbanistico generale, non è
dubitabile. Tuttavia, il presupposto della
richiamata disciplina è l’ontologica
coincidenza tra la destinazione di zona e la
destinazione d’uso del manufatto da
realizzarsi; coincidenza dalla quale in
regime ordinario non può prescindersi, pena
l’illegittimità del titolo autorizzatorio
cui il computo degli oneri si riconnette.
Siffatto presupposto, tuttavia, può
rivelarsi insussistente in ipotesi di
condono extra ordinem.
In tali casi, invero, oggetto di sanatoria è
l’opera in sé considerata, quand’anche in
contrasto con la destinazione della zona in
cui è stata realizzata. Il titolo
autorizzatorio viene eccezionalmente
rilasciato –a certe condizioni- proprio in
assenza della conformità del manufatto alle
previsioni dello strumento urbanistico
generale; in particolare ai parametri e alle
destinazioni di zona. In buona sostanza,
alle norme dettate per l’edificazione della
zona stessa.
Proprio tali deroghe giustificano il rimedio
e le procedure straordinari.
Se, pertanto, il principio ispiratore della
normativa di settore è quello della
corrispettività tra oneri di urbanizzazione
e costi delle relative opere connesse
all’edificazione, in ipotesi di non
coincidenza tra la destinazione
dell’intervento e quella della zona in cui
lo stesso è stato realizzato (come nella
fattispecie in esame), è necessario
rintracciare un criterio correttivo che
consenta di evitare distorsioni nell’ottica
di sistema; che consenta cioè di
salvaguardare l’intento perequativo e la
corrispettività sottesi all’obbligo di
contribuzione –diretta o indiretta-
correlato alla realizzazione di nuovi
interventi edilizi.
Per preservare, dunque, il sostanziale
collegamento tra il contributo concretamente
dovuto e la specifica entità edilizia cui
esso si riferisce, intesa nella sua natura,
destinazione e consistenza non rimane che un
opzione: dovrà aversi riguardo non già alle
astratte tipologie consentite dalla
destinazione di zona bensì alla destinazione
in concreto attuata dal manufatto, posto che
–si ribadisce- oggetto di condono è proprio
l’immobile in sé considerato, avulso dal
contesto in cui lo stesso sia venuto a
collocarsi.
Non vi osta il dato normativo (la legge sul
condono opera un mero rinvio alla legge n.
10/1977 per il pagamento degli oneri e
questa non fornisce i criteri per
l’applicazione delle tabelle ivi contemplate
alla peculiare fattispecie della non
coincidenza tra destinazione d’uso e
destinazione di zona); e diversamente
opinando si perverrebbe ad un risultato in
contrasto con il richiamato principio della
corrispettività: si farebbero gravare sul
singolo intervento non già i costi
rapportati all’aumento del carico
insediativo determinato dall’intervento
stesso, bensì i costi di urbanizzazione
dell’intera zona in relazione ad una
destinazione (nel caso di specie
artigianale-produttiva) che resterebbe
comunque estranea alla zona de qua.
Questa, invero, nel suo complesso,
conserverebbe la destinazione originaria.
In buona sostanza risulterebbe tradito
proprio il principio ispiratore di tutta la
disciplina e la quantificazione degli oneri
di urbanizzazione finirebbe per assumere –al
pari dell’oblazione- una valenza
sanzionatoria estranea allo spirito della
legge. Come già rimarcato, le disposizioni
in materia di condono (più specificamente
l’art. 37 della legge n. 47/1985 e la
Circolare Ministero LL.PP. n. 2241 del
17.06.1995) operano un mero rinvio alle
norme della legge n. 10/1977 in materia di
oneri di urbanizzazione da corrispondersi in
aggiunta all’oblazione; di tali
disposizioni, pertanto, mutuano
inevitabilmente la ratio della
corrispettività (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1734 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
E' illegittima la decisione di un
comune di escludere le associazioni
temporanee di impresa da un bando per la
costruzione di una scuola mediante leasing
finanziario ex art. 160-bis del d.lgs. n.
163 del 2006 .
E' illegittima la decisione di un comune di
escludere le associazioni temporanee di
impresa da un bando per la costruzione di
una scuola mediante leasing finanziario per
la realizzazione di opere pubbliche ex art.
160-bis del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice
dei contratti pubblici), in quanto
l'amministrazione ha l'obbligo di porre
tutti i concorrenti su un piano di perfetta
parità e di riservare loro le stesse
condizioni per prendere parte alla
competizione.
Il legislatore disciplina le forme di
partecipazione alla selezione per
l'affidamento del contratto di leasing "in
costruendo", e la stazione appaltante
non può a sua discrezione scegliere la
soluzione ritenuta più adeguata escludendo i
raggruppamenti temporanei.
L'impostazione scelta dal comune di
contrarre con il solo finanziatore e la
necessità di ricorrere all'avvalimento
(atipico) darebbe luogo ad una sostanziale "delega
ad eseguire" da parte della società
finanziaria ad un imprenditore edile che,
pur non avendo partecipato alla gara, nei
fatti è l'unico vero esecutore dell'appalto.
E' inaccettabile, infatti, che in un appalto
di lavori il committente pubblico sia
espropriato di qualsiasi potere nei
confronti dell'impresa esecutrice e che
attività che costituiscono prerogativa
tipica dell'amministrazione aggiudicatrice
-come la direzione lavori, la verifica degli
stati di avanzamento, il controllo del
rispetto degli obblighi di legge sulla
sicurezza del lavoro, dell'osservanza dei
minimi contrattuali e della corretta
applicazione delle regole sul subappalto-
vengano traslate su un soggetto privato, che
sarebbe investito indebitamente di funzioni
pubbliche (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza
05.05.2010 n. 1675 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: In
materia di DURC, il comma 3 del D.M.
24.10.2007 configura come causa non ostativa
"uno scostamento non grave tra le somme
dovute e quelle versate... Non si considera
grave lo scostamento inferiore o pari al 5%
tra le somme dovute e quelle versate con
riferimento a ciascun periodo di paga o di
contribuzione…": ma nel caso in esame la
somma non versata costituiva, secondo quanto
affermato nel ricorso a pag. 8, "il 20%
della contribuzione annua".
A seguito dell'aggiudicazione provvisoria
delle gare d'appalto di cui si discute
l'amministrazione aggiudicatrice ha
acquisito il DURC relativo alla società
ricorrente, la cui posizione alla data del
05/02/2010 (di svolgimento delle procedure
negoziate) è risultata irregolare per quanto
riguarda il versamento dei contributi INPS;
Questo Tribunale ha già affrontato questioni
analoghe giungendo, da ultimo nella sentenza
11.11.2009 n. 1606, alle seguenti
conclusioni:
a)
in tema di regolarità contributiva l’art. 38
del Codice dei contratti pubblici contiene
distinte prescrizioni, di cui una (comma 1,
lett. i) relativa alla fase della
partecipazione alla gara, l'altra (comma 3,
attraverso il richiamo all’art. 2 del D.L.
n. 210/2002) riferita agli affidatari dei
pubblici appalti, quali individuati
all'esito della gara;
b)
nella fase successiva all'individuazione del
soggetto almeno potenzialmente affidatario
del pubblico appalto l'amministrazione
aggiudicatrice deve procedere ad una
verifica che va estesa oltre i limiti
stabiliti dall’art. 38, comma 1, lett. i), e
che investe il più vasto ambito della
regolarità contributiva, intesa come
correntezza nei pagamenti e negli
adempimenti previdenziali, assistenziali e
assicurativi;
c)
il requisito in esame deve essere posseduto
sin dal momento del primo contatto tra
l'impresa e l'amministrazione
aggiudicatrice, cioè alla data di
presentazione della domanda di
partecipazione alla gara (anche per evitare
che i concorrenti possano essere indotti a
regolarizzare la propria posizione solo se
ed in quanto si prospettino concrete
possibilità di esito positivo della
procedura a cui hanno chiesto di
partecipare); fermo restando che il
requisito deve poi essere mantenuto,
altresì, alla data dell'affidamento;
d)
il legislatore ha affidato agli enti
previdenziali e assicurativi (INPS, INAIL e
Casse edili) la competenza esclusiva a
certificare la regolarità contributiva
attraverso l'apposito documento, con la
conseguente sottrazione alle stazioni
appaltanti del potere/dovere di indagare
ulteriormente in ordine al profilo in
questione;
e)
al DURC fa riferimento anche l’art. 17 della
L.R. 13.07.2007 n. 38, che va applicato a
prescindere da un suo espresso richiamo nel
bando di gara ed è inequivoco nel
subordinare l'aggiudicazione definitiva al
positivo accertamento della regolarità
contributiva mediante l'acquisizione di tale
documento;
Nel caso di specie, non sussiste, a norma
dell’art. 5 del D.M. 24/10/2007, il
requisito della regolarità contributiva, né
la situazione della ricorrente integra una
causa non ostativa al rilascio del DURC,
secondo quanto stabilito dall’art. 7 del
medesimo D.M.; basta rilevare in proposito
che il comma 3 della norma citata configura
come causa non ostativa "uno scostamento
non grave tra le somme dovute e quelle
versate... Non si considera grave lo
scostamento inferiore o pari al 5% tra le
somme dovute e quelle versate con
riferimento a ciascun periodo di paga o di
contribuzione…": ma nel caso in
esame la somma non versata costituiva,
secondo quanto affermato nel ricorso a pag.
8, "il 20% della contribuzione annua";
In conclusione, l'orientamento
precedentemente seguito dalla Sezione nella
materia risulta tuttora condivisibile e che
in relazione ad esso l'operato
dell'amministrazione aggiudicatrice non
risulta affetto dei vizi dedotti nel ricorso
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2010 n. 1241 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
impianti di telefonia mobile risultano
compatibili con il vincolo di rispetto
cimiteriale.
Le finalità della fascia di rispetto
cimiteriale sono quelle della tutela
dell’interesse pubblico sotto il profilo
sanitario, urbanistico e di garanzia della
tranquillità dei luoghi, ovverosia profili
rispetto ai quali in nessun modo la
realizzazione dell’opera per cui è causa si
appalesa lesiva.
Gli impianti di telefonia mobile risultano
pertanto compatibili con il vincolo di
rispetto cimiteriale, la cui ratio
non risulta in alcun modo compromessa da una
scelta localizzativa degli stessi nella
fascia di rispetto cimiteriale (cfr., Cons.
Stato, VI, 28.2.2006 n. 894; TAR Lazio, II-bis,
19.04.2007 n. 4367; TAR Veneto, II, 11.02.2005
n. 644)
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 05.05.2010 n. 1239 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
"coperture stagionali" la l.r. n. 12/2005
della Lombardia non detta prescrizioni
analitiche circa le dimensioni di tali
coperture; tuttavia ragioni di ordine
sistematico ed anche –in parte– letterale,
inducono alla conclusione che debba
trattarsi di dimensioni tutto sommato
contenute, essendo tali opere destinate alla
protezione delle colture e dei piccoli
animali, quindi con dimensioni compatibili
con la sola funzione di protezione e non con
altre funzioni, quali ad esempio l’accesso
delle persone –siano esse dipendenti
dell’impresa o clienti della stessa– o
l’esercizio nella struttura di attività
commerciale di vendita.
Del resto,
relativamente alla protezione degli animali,
la legge regionale ha cura di specificare
che si tratta di animali <<piccoli>> ed
<<allevati all’aria aperta>>, con ciò stesso
escludendo il ricorso alle coperture
stagionali per la protezione di bestiame di
grossa taglia –si pensi ad esempio ad un
allevamento bovino– in quanto tali
coperture finirebbero per assumere
dimensioni tali da cagionare un rilevante
impatto sul territorio, impatto che sarebbe
incompatibile con il regime di totale
liberalizzazione dell’attività edilizia di
cui al comma secondo dell’art. 33 l.r. n.
12/2005.
Le colture e gli allevamenti da proteggersi
attraverso le indicate "coperture
stagionali" devono essere <<a pieno campo>>
e tale espressione deve intendersi nel senso
che le coperture devono svolgere una
funzione di sola protezione e non altre di
carattere produttivo o tanto meno
commerciale.
Quanto al requisito della “stagionalità”, lo
stesso non può che riferirsi ad un fenomeno
relativo ad una sola parte dell’anno e
quindi, nel caso di una copertura
stagionale, quest’ultima deve essere
collocata per una parte dell’anno solare e
rimossa per la parte successiva. Al
contrario, la permanenza dell’opera per
l’intero anno, seppure con caratteristiche
tecniche differenti al variare delle
stagioni, esclude di per sé che possa
parlarsi di “copertura stagionale”.
Devono escludersi per le strutture di cui è
causa (n. 4 strutture aventi ognuna
dimensioni di 8 metri x 22,80 metri, quindi
una superficie di circa 180 metri quadrati
ciascuna per un totale di quasi 800 metri
quadrati) sia il carattere di semplice
“copertura” sia quello di “stagionalità”,
richiesti invece dall’art. 33 della legge
regionale 12/2005.
La costruzione di una serra, anche se in
astratto facilmente amovibile, presuppone il
rilascio di concessione edilizia (ora,
ovviamente, permesso di costruire), allorché
la serra soddisfi stabilmente le esigenze di
esercizio dell’impresa agricola e sia quindi
destinata ad un indeterminata permanenza al
suolo, modificando così definitivamente
l’assetto urbanistico ed edilizio di una
zona.
Ritiene il
Collegio di esaminare in via prioritaria il
motivo contrassegnato con la lettera C,
relativo alla corretta classificazione
giuridica delle strutture di cui è causa,
che il Comune reputa essere “serre”, mentre
la ricorrente vorrebbe qualificare come
“coperture stagionali”, le quali, ai sensi
dell’art. 33, comma 2, lett. d), della legge
regionale 12/2005, possono essere realizzate
senza alcun titolo edilizio.
La corretta qualificazione delle suddette
strutture, infatti, assume rilevanza per la
decisione di altri motivi di ricorso, fra
cui in primo luogo quello contrassegnato con
la lettera A, relativo al vincolo
cimiteriale.
Ciò premesso, la pretesa della ricorrente di
ricondurre alla figura delle “coperture
stagionali” di cui al citato art. 33, le
strutture dalla stessa realizzate, appare
priva di pregio.
La lettera d) del secondo comma dell’art.
33, esclude la necessità di titolo edilizio
per le <<coperture stagionali destinate a
proteggere le colture ed i piccoli animali
allevati all’aria aperta e a pieno campo,
nelle aree destinate all’agricoltura>>.
Prescindendo dalla destinazione dell’area di
cui è causa, occorre evidenziare come la
legge regionale non detti prescrizioni
analitiche circa le dimensioni di tali
coperture; tuttavia ragioni di ordine
sistematico ed anche –in parte– letterale,
inducono alla conclusione che debba
trattarsi di dimensioni tutto sommato
contenute, essendo tali opere destinate alla
protezione delle colture e dei piccoli
animali, quindi con dimensioni compatibili
con la sola funzione di protezione e non con
altre funzioni, quali ad esempio l’accesso
delle persone –siano esse dipendenti
dell’impresa o clienti della stessa– o
l’esercizio nella struttura di attività
commerciale di vendita.
Del resto,
relativamente alla protezione degli animali,
la legge regionale ha cura di specificare
che si tratta di animali <<piccoli>> ed
<<allevati all’aria aperta>>, con ciò stesso
escludendo il ricorso alle coperture
stagionali per la protezione di bestiame di
grossa taglia –si pensi ad esempio ad un
allevamento bovino– in quanto tali
coperture finirebbero per assumere
dimensioni tali da cagionare un rilevante
impatto sul territorio, impatto che sarebbe
incompatibile con il regime di totale
liberalizzazione dell’attività edilizia di
cui al comma secondo dell’art. 33 citato.
Non si dimentichi poi, sempre con riguardo
al dato letterale della norma, che le
colture e gli allevamenti da proteggersi
attraverso le indicate coperture devono
essere <<a pieno campo>> e tale espressione
deve intendersi nel senso, già sopra
indicato, che le coperture devono svolgere
una funzione di sola protezione e non altre
di carattere produttivo o tanto meno
commerciale.
Quanto al requisito della “stagionalità”, lo
stesso non può che riferirsi ad un fenomeno
relativo ad una sola parte dell’anno e
quindi, nel caso di una copertura
stagionale, quest’ultima deve essere
collocata per una parte dell’anno solare e
rimossa per la parte successiva. Al
contrario, la permanenza dell’opera per
l’intero anno, seppure con caratteristiche
tecniche differenti al variare delle
stagioni, esclude di per sé che possa
parlarsi di “copertura stagionale”.
Si
tratta, infatti, di quattro strutture,
aventi ognuna dimensioni di 8 metri x 22,80
metri (cfr. doc. 6 e doc. 11 della
ricorrente), quindi una superficie di circa
180 metri quadrati ciascuna per un totale di
quasi 800 metri quadrati, destinate alla
permanenza continua sul suolo, visto che le
coperture sono sostituite semplicemente al
cambio delle stagioni, come del resto
ammesso nel ricorso (vedesi pag. 47 del
medesimo, dove si parla di una <<duplice
modalità di copertura>>, per la stagione
estiva ed invernale), a nulla rilevando che,
in presenza di particolari situazioni
climatiche favorevoli, i teli siano
eccezionalmente rimossi, per poi però essere
nuovamente collocati, per agevolare il
migliore sviluppo delle colture.
Del resto, la stessa documentazione
fotografica di parte ricorrente (cfr. il suo
doc. 25), evidenzia l’esistenza di strutture
ampie, destinate non solo ad ospitare
l’azienda florovivaistica, ma anche a
consentire l’accesso del pubblico per
l’esercizio dell’attività di vendita dei
prodotti, visto che la signora Giani è
titolare di autorizzazione regionale alla
produzione ed al commercio di vegetali (doc.
4 ricorrente).
La documentazione fotografica del Comune
(cfr. docc. 4, 5, 7 e 8 di quest’ultimo),
mostra poi, con chiarezza, l’esistenza di
ampie strutture, destinata alla coltivazione
ed alla vendita, con accesso di pubblico.
Devono, di conseguenza, escludersi, per le
strutture di cui è causa, sia il carattere
di semplice “copertura” sia quello di
“stagionalità”, richiesti invece dall’art.
33 della legge regionale 12/2005.
Neppure potrebbe sostenersi, come invece
fatto in ricorso, che le quattro strutture
sarebbero precarie e facilmente amovibili,
per cui difetterebbe in capo alle stesso
ogni requisito di stabilità, che presuppone
il rilascio di un titolo abilitativo.
Si tratta, infatti, di opere infisse al
suolo stabilmente, a nulla rilevando che le
fondazioni in calcestruzzo riguardino non
l’intero perimetro della struttura ma solo
la parte in corrispondenza dell’ingresso,
destinate a soddisfare esigenze di carattere
continuativo, tanto è vero che le stesse
sono presenti in loco ormai da tempo e che
al loro interno è svolta senza soluzione di
continuità l’attività imprenditoriale
dell’esponente. Trattandosi poi di opere
chiuse, salvo i limitatissimi periodi di
scopertura per esigenze agricole, le stesse
realizzano altresì nuovi volumi.
Pare corretta, di conseguenza, la loro
qualificazione come vere e proprie “serre” e
come tali necessitanti di un titolo
abilitativo, conformemente al pacifico
indirizzo giurisprudenziale, per il quale la
costruzione di una serra, anche se in
astratto facilmente amovibile, presuppone il
rilascio di concessione edilizia (ora,
ovviamente, permesso di costruire), allorché
la serra soddisfi stabilmente le esigenze di
esercizio dell’impresa agricola e sia quindi
destinata ad un indeterminata permanenza al
suolo, modificando così definitivamente
l’assetto urbanistico ed edilizio di una
zona (TAR Brescia, sez. I, 19.11.2009 n.
2223; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 19.11.2009
n. 2794; Consiglio di Stato, sez. IV,
06.03.2006 n. 1119; sez. V, 23.09.2002 n. 4832;
sez. V, 08.06.2000 n. 3247; sez. V, 13.03.2000
n. 1299; Cassazione penale, sez. III,
10.01.2000) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
disposizioni sulla fascia di rispetto
cimiteriale sono dettate da ragioni di
ordine pubblico, sia di carattere
igienico-sanitario sia di rispetto della
sacralità dei luoghi di sepoltura, per cui
il vincolo cimiteriale costituisce
un’ipotesi di inedificabilità ex lege,
destinata a prevalere su eventuali
disposizioni difformi degli strumenti
urbanistici generali.
Di conseguenza, in caso di opere abusive
collocate in fascia cimiteriale, il diniego
di sanatoria non deve necessariamente, al
fine dell’assolvimento dell’obbligo di
motivazione dell’atto amministrativo,
effettuare una comparazione fra le opere
realizzate ed i valori salvaguardati dal
vincolo, essendo sufficiente il richiamo a
quest’ultimo.
Le serre poiché necessitanti di titolo
edilizio devono reputarsi “nuove
costruzioni”, per le quali vale il vincolo
assoluto di inedificabilità (fascia di
rispetto cimiteriale) di cui al citato art.
338 del RD 27.07.1934 n. 1265
La
disciplina del c.d. vincolo cimiteriale sia
contenuta nell’art. 338 del RD 27.07.1934 n.
1265 (Testo Unico delle leggi sanitarie), in
forza del quale (comma 1°, secondo periodo),
<<E’ vietato costruire intorno ai cimiteri
nuovi edifici entro il raggio di 200 metri
dal perimetro dell’impianto cimiteriale>>,
pur facendosi salve <<le deroghe ed
eccezioni previste dalla legge>>.
Tali
deroghe devono essere consentite, dopo la
riforma dell’art. 338 introdotta dalla legge
166/2002, dal consiglio comunale, con le
modalità procedurali indicate dallo stesso
art. 338, le quali prevedono il parere
dell’azienda sanitaria locale. Prima
dell’entrata in vigore della citata legge
166/2002, le deroghe al vincolo cimiteriale
erano invece autorizzate dal Prefetto.
Nella
Regione Lombardia, l’art. 8 del Regolamento
regionale 09.11.2004 n. 6 (articolo rubricato
“Zona di rispetto cimiteriale”), richiama
espressamente l’art. 338 sopra citato e
prevede la possibilità di riduzione della
fascia di rispetto fino ad un minimo di 50
metri, previo parere favorevole dell’ASL e
dell’ARPA.
La giurisprudenza è concorde nel
ritenere che le disposizioni sulla fascia di
rispetto cimiteriale siano dettate da
ragioni di ordine pubblico, sia di carattere
igienico-sanitario sia di rispetto della
sacralità dei luoghi di sepoltura, per cui
il vincolo cimiteriale costituisce
un’ipotesi di inedificabilità ex lege,
destinata a prevalere su eventuali
disposizioni difformi degli strumenti
urbanistici generali.
Di conseguenza, in
caso di opere abusive collocate in fascia
cimiteriale, il diniego di sanatoria non
deve necessariamente, al fine
dell’assolvimento dell’obbligo di
motivazione dell’atto amministrativo,
effettuare una comparazione fra le opere
realizzate ed i valori salvaguardati dal
vincolo, essendo sufficiente il richiamo a
quest’ultimo (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 27.10.2009 n. 6547, che conferma analoga
pronuncia della Sezione II di questo TAR;
Consiglio di Stato, sez. IV, 12.03.2007 n.
1185; TAR Veneto, sez. II, 07.02.2008 n. 325;
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 17.03.2008 n.
541 e TAR Campania, Napoli, sez. IV,
29.11.2007 n. 15615).
Nel caso di specie, non vi è dubbio, in fatto, che le strutture della
sig.ra ... siano collocate ad una distanza
inferiore di 200 metri dal perimetro
cimiteriale (l’esponente non contesta, anzi
conferma tale circostanza), tuttavia,
secondo la ricorrente, le opere realizzate
sarebbero compatibili con la fascia di
rispetto, trattandosi di opere destinate
dall’agricoltura, non contrastanti con le
previsioni di vincolo.
Sotto tale profilo, la censura è però
infondata, in quanto le strutture collocate
dall’esponente non possono essere
considerate, come sopra indicato in sede di
trattazione del motivo C, come mere
coperture, prive di ogni impatto
urbanistico, ma devono invece reputarsi
opere stabili, destinate in via permanente e
continuativa all’esercizio sia dell’attività
agricolo sia di quella connessa di vendita
al pubblico, il quale pertanto accede
abitualmente alle serre per i propri
acquisti.
Trattandosi, quindi, di serre necessitanti
di titolo edilizio, per le ragioni già sopra
esposte, le stesse devono reputarsi “nuove
costruzioni”, per le quali vale il vincolo
assoluto di inedificabilità di cui al citato
art. 338 (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Se
un atto amministrativo è fondato su una
pluralità di motivi autonomi fra loro, è
sufficiente la legittimità di uno solo di
questi per impedire l’annullamento
giurisdizionale dell’atto stesso.
In caso di atto
amministrativo fondato su una pluralità di
motivi autonomi fra loro, è sufficiente la
legittimità di uno solo di questi per
impedire l’annullamento giurisdizionale
dell’atto stesso (Consiglio di Stato, sez.
V, 29.05.2006 n. 3259; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 10.09.2009 n. 4647 e
13.01.2010 n. 22; sez. IV, 05.07.2006 n.
1705) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
L’articolo 9 del D.M. 1444/1968
consente “distanze inferiori a quelle
indicate nei precedenti commi , nel caso di
gruppi di edifici che formino oggetto di
piani particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate con previsioni
planovolumetriche”. Tale deroga può
applicarsi agli strumenti di recupero (ndr:
Piani di Recupero) ma solo allorquando le
opere preesistenti non vengano demolite
ovvero vengano fedelmente ricostruite con
gli ingombri originari; viceversa l’art. 9
citato non può mai riferirsi alle nuove
costruzioni per le parti eccedenti i limiti
dell’immobile demolito.
Il sig. Teseo impugna i citati provvedimenti
di pianificazione (Piano di Recupero),
lamentando che l’attuazione dello strumento
urbanistico così deliberato comporterebbe
fatalmente –a causa del costruendo
fabbricato in luogo del modesto capannone
esistente- una notevole violazione delle
distanze rispetto all’immobile finitimo, di
cui egli è comproprietario. Si tratterebbe
peraltro di una demolizione irrazionalmente
disposta su di un manufatto ancora valido e
comunque ben suscettibile di interventi di
restauro, risanamento e ristrutturazione.
Il ricorso trova accoglimento per
l’assorbente fondatezza della prima censura
con cui viene dedotta l’illegittimità del
piano per violazione degli artt. 8 e 9 del
D.M. 1444/1968, senza che in contrario possa
essere invocato l’articolo 9 del citato
D.M., ove si consentono “distanze
inferiori a quelle indicate nei precedenti
commi , nel caso di gruppi di edifici che
formino oggetto di piani particolareggiati o
lottizzazioni convenzionate con previsioni
planovolumetriche” (il Comune resistente
ha per l’appunto sostenuto che la valenza
attuativa del piano di recupero –simile al
piano particolareggiato- ben avrebbe
legittimato la deroga alle distanze
lamentata dal ricorrente).
Va infatti rilevato che tale deroga può
applicarsi agli strumenti di recupero ma
solo allorquando le opere preesistenti non
vengano demolite ovvero vengano fedelmente
ricostruite con gli ingombri originari;
viceversa l’art. 9 citato non può mai
riferirsi alle nuove costruzioni per le
parti eccedenti i limiti dell’immobile
demolito (tar Abruzzo -AQ- n. 903/2007,
Cass. Civ. n. 3762/1989; C.S. sez. IV, n.
3929/2002).
Nel caso di specie non è controverso in atti
né la rilevante diversità dimensionale del
nuovo immobile rispetto al modesto manufatto
preesistente, né la circostanza che le
distanze rispetto al fabbricato di
comproprietà del ricorrente si
attesterebbero al di sotto dei limiti
previsti dal citato D.M. 1444/1968
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 05.05.2010 n. 395 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sanzione pecuniaria per
interventi ristrutturativi (abusivi) risulta essere
misura eccezionale, alternativa alla
demolizione solo ove risulti l'impossibilità
del ripristino. Detta impossibilità può
essere rilevata d'ufficio o fatta valere
dall'interessato, ma comunque in una fase
successiva all'ingiunzione, a carattere diffidatorio, che precede l'ordine di
demolizione (quest'ultimo da emettere sulla
base di specifici accertamenti dell'ufficio
tecnico comunale, chiamato ad intervenire
nella fase esecutiva
sia in relazione all’applicazione dell’art.
34, comma 2, D.P.R. 380/2001.
L’impossibilità di ripristino dello stato
dei luoghi alcuna valenza può avere quanto
alle opere oggetto dell’ingiunzione di
demolizione di cui all’ordinanza n. 891 del
2007, posto che l’art. 31 del D.P.R. n.
380/2001 non contempla al riguardo
l’irrogazione di una sanzione pecuniaria
alternativa rispetto all’ingiunzione di
demolizione (TAR Campania Napoli, sez. VII,
05.06.2008, n. 5244) e che, pertanto, la
stessa non può trovare applicazione rispetto
agli interventi, come quello in esame,
caratterizzato dalla mancanza, rispetto alla
sopraelevazione abusiva, di qualsiasi titolo
abilitante all’edificazione (TAR Campania
Napoli, sez. VII, 04.04.2008, n. 1883; TAR
Campania Napoli, sez. VII, 28.12.2007, n.
16550).
La valutazione
della possibilità o meno del ripristino deve
infatti essere compiuta, ad opera
dell’ufficio tecnico comunale, in sede di
esecuzione dell’ingiunzione di demolizione.
La correttezza di siffatta conclusione si
evince infatti da una lettura del combinato
disposto dei primi due commi dell’art. 33
D.P.R. 380/2001 a mente dei quali “gli
interventi e le opere di ristrutturazione
edilizia di cui all’articolo 10, comma 1,
eseguiti in assenza di permesso o in totale
difformità da esso, sono rimossi ovvero
demoliti e gli edifici sono resi conformi
alle prescrizioni degli strumenti
urbanistico-edilizi entro il congruo termine
stabilito dal dirigente o del responsabile
del competente ufficio comunale con propria
ordinanza, decorso il quale l'ordinanza
stessa è eseguita a cura del comune e a
spese dei responsabili dell'abuso. Qualora,
sulla base di motivato accertamento
dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino
dello stato dei luoghi non sia possibile, il
dirigente o il responsabile dell’ufficio
irroga una sanzione pecuniaria pari al
doppio dell'aumento di valore dell'immobile,
conseguente alla realizzazione delle opere,
determinato, con riferimento alla data di
ultimazione dei lavori, in base ai criteri
previsti dalla legge 27.07.1978, n. 392 e
con riferimento all'ultimo costo di
produzione determinato con decreto
ministeriale, aggiornato alla data di
esecuzione dell'abuso, sulla base
dell'indice ISTAT del costo di costruzione,
con la esclusione, per i comuni non tenuti
all'applicazione della legge medesima, del
parametro relativo all'ubicazione e con
l'equiparazione alla categoria A/1 delle
categorie non comprese nell'articolo 16
della medesima legge. Per gli edifici
adibiti ad uso diverso da quello di
abitazione la sanzione è pari al doppio
dell'aumento del valore venale
dell'immobile, determinato a cura
dell'agenzia del territorio”.
Detta conclusione risulta condivisa peraltro
anche da una parte delle giurisprudenza, sia
in relazione all’applicazione dell’art. 33,
comma 2, d.p.r. 380/2001 (cfr. TAR Lazio
Roma, sez. I, 17.04.2007, n. 3327 secondo
cui “la sanzione pecuniaria per
interventi ristrutturativi risulta essere
misura eccezionale, alternativa alla
demolizione solo ove risulti l'impossibilità
del ripristino. Detta impossibilità può
essere rilevata d'ufficio o fatta valere
dall'interessato, ma comunque in una fase
successiva all'ingiunzione, a carattere
diffidatorio, che precede l'ordine di
demolizione (quest'ultimo da emettere sulla
base di specifici accertamenti dell'ufficio
tecnico comunale, chiamato ad intervenire
nella fase esecutiva (cfr. in tal senso TAR
Lombardia, Brescia, 09.12.2002, n. 2213),
sia in relazione all’applicazione dell’art.
34, comma 2, D.P.R. 380/2001 (Consiglio Stato,
sez. V, 21.05.1999, n. 587; TAR Campania
Napoli, sez. VII, 05.06.2008, n. 5244)"
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2501 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
distanza minima tra edifici di cui al D.M.
1444/1968 trova applicazione in caso di
nuove costruzioni e non in caso di
ristrutturazione mediante demolizione di
edificio esistente e costruzione nel
rispetto del volume e della sagoma
originari, con mantenimento dell’originaria
distanza.
Nel sesto mezzo, è lamentata la violazione
della disciplina sulle distanza fra edifici,
prevista sia dal codice civile sia dal DM
1444/1968.
La censura deve essere respinta, in quanto
la normativa sopra indicata trova
applicazione in caso di nuove costruzioni ma
non, come nella presente controversie, di
ristrutturazione mediante demolizione di
edificio esistente e costruzione nel
rispetto del volume e della sagoma
originari, con mantenimento dell’originaria
distanza (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez.
II, 26.04.2007 n. 1991 e Cass. Civ., sez. II,
27.10.2009, n. 22689)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.05.2010 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità
dell'annullamento di un'aggiudicazione
provvisoria per ragioni di pubblico
interesse.
Sulla non configurabilità di alcuna
responsabilità precontrattuale in capo
all'amministrazione appaltante che si è
motivatamente avvalsa della facoltà,
prevista nel bando di gara, di non
aggiudicare l'appalto per ragioni di
pubblico interesse.
E' legittimo l'annullamento di
un'aggiudicazione provvisoria disposto da
una stazione appaltante per ragioni di
superiore interesse pubblico, in quanto,
come previsto dalla disciplina sulla
contabilità generale della Stato, nonché per
consolidata giurisprudenza, è concessa la
facoltà, alla stazione appaltante, di
eliminare gli atti divenuti inopportuni,
laddove lo richiedano ragioni tali da
giustificare il contrapposto sacrificio
dell'interesse facente capo al soggetto
aggiudicatario. Nel caso di specie, il
superiore interesse pubblico è rappresentato
dal mancato finanziamento comunitario per la
realizzazione del servizio oggetto
dell'appalto.
Non è configurabile la responsabilità
precontrattuale della stazione appaltante
che si è motivatamente avvalsa della
facoltà, prevista nel bando di gara, di non
aggiudicare l'appalto per ragioni di
pubblico interesse. Trattandosi di atto
endoprocedimentale, l'aggiudicazione
provvisoria determina soltanto una mera
aspettativa di fatto alla conclusione del
procedimento e non già una posizione
giuridica qualificata che, viceversa, può
solo derivare dall'aggiudicazione
definitiva. Pertanto, l'aggiudicazione
provvisoria, anche se individua un
potenziale aggiudicatario definitivo alla
gara, è un atto ancora ad effetti instabili,
del tutto interinali, che determina la
nascita di una mera aspettativa. Nel caso di
specie, è indubbio che la riprogrammazione
ed il venir meno di parte dei finanziamenti
comunitari abbiano influito in misura
decisiva sulle determinazioni
dell'amministrazione, costituendo
giustificati motivi di mancata conclusione
dell'appalto. Tale circostanza è idonea ad
escludere l'elemento soggettivo del dolo o
della colpa, a sua volta imprescindibile per
integrare gli estremi della invocata
responsabilità precontrattuale che, come
noto, è riconducibile alla responsabilità
aquiliana di cui all'art. 2043 del codice
civile (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.05.2010 n. 2263 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
La mancata impugnazione del
rendiconto impedisce l’autonoma
contestazione del bilancio di previsione.
Il consigliere comunale può impugnare atti
dell'amministrazione, nello specifico
deliberazioni, solo quando dalle medesime
sia leso il proprio ius ad officium e non
già quando si lamenti una violazione di
forma o sostanza: non si può, infatti,
ritenere che ogni deliberazione sia
ipoteticamente assoggettabile all'azione di
impugnazione dei consiglieri dissenzienti.
D'altro canto l'illegittimità, rilevabile
dai soggetti diretti destinatari o
direttamente lesi dall'atto, non si traduce
in una automatica lesione dello ius ad
officium.
Inoltre, i consiglieri comunali, in quanto
tali, non appaiono legittimati ad agire
contro l'Amministrazione di appartenenza,
dato che il giudizio amministrativo non è di
regola aperto alle controversie tra organi o
componenti di organi di uno stesso ente, ma
è diretto a risolvere controversie
intersoggettive; sicché, un ricorso di
singoli consiglieri può ipotizzarsi soltanto
allorché vengano in rilievo atti incidenti
in via diretta sul diritto all'ufficio dei
medesimi e quindi su un diritto spettante
alla persona investita della carica di
consigliere.
L'approvazione del rendiconto, atto che deve
essere allegato al bilancio di previsione,
incide sul successivo sviluppo delle
scritturazioni del bilancio medesimo. Ove
non sia impugnata l'approvazione del
rendiconto, la volizione in esso contenuta
diventa immodificabile con la conseguente
improcedibilità della domanda giudiziaria
proposta avverso il bilancio di previsione
rendicontato e approvato.
Tale motivo costituisce una delle ragioni
che hanno spinto i giudici di Palazzo Spada
al rigetto della domanda, proposta avverso
la deliberazione del bilancio di previsione,
da un gruppo di persone in qualità di
cittadini e di consiglieri comunali. In
riferimento alla prima veste assunta dalle
persone ricorrenti, i giudici hanno
evidenziato innanzitutto un difetto di
legittimazione a ricorrere.
L'azione popolare di cui all'art. 7 della
legge 142/1990 infatti offre uno strumento a
ciascun elettore in caso di omissione di
azione da parte dell'ente locale. L'azione
non è invece attivabile quando
l'amministrazione abbia proceduto ed anche
quando si ritenga che l'azione posta in
essere abbia profili di illegittimità.
L'azione popolare in effetti è uno strumento
suppletivo o sostitutivo ed è destinata a
tutelare diritti e interessi dell'ente in
caso di inerzia dei suoi amministratori,
Ammettere una azione popolare avverso una
deliberazione significherebbe riconoscere
all'azione un nuovo carattere di tipo
correttivo nei confronti dell'agire
amministrativo.
Per quanto riguarda il ruolo di consiglieri
comunali, i magistrati della quinta sezione,
riproponendo parte degli approdi
giurisprudenziali in tema, hanno ribadito
che il consigliere comunale può impugnare
atti dell'amministrazione, nello specifico
deliberazioni, solo quando dalle medesime
sia leso il proprio ius ad officium e
non già quando si lamenti una violazione di
forma o sostanza:non si può infatti ritenere
che ogni deliberazione sia ipoteticamente
assoggettabile all'azione di impugnazione
dei consiglieri dissenzienti. D'altro canto
l'illegittimità, rilevabile dai soggetti
diretti destinatari o direttamente lesi
dall'atto, non si traduce in una automatica
lesione dello ius ad officium.
Inoltre, i consiglieri comunali, in quanto
tali non appaiono legittimati ad agire
contro l'Amministrazione di appartenenza,
dato che il giudizio amministrativo non è di
regola aperto alle controversie tra organi o
componenti di organi di uno stesso ente, ma
è diretto a risolvere controversie
intersoggettive; sicché, un ricorso di
singoli consiglieri può ipotizzarsi soltanto
allorché vengano in rilievo atti incidenti
in via diretta sul diritto all'ufficio dei
medesimi e quindi su un diritto spettante
alla persona investita della carica di
consigliere (ad es., scioglimento del
Consiglio comunale e nomina di un
commissario ad acta: cfr. Cons. St., sez. V,
31.01.2001, n. 358) (commento tratto da
www.doumnetazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 29.04.2010 n. 2457 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non
può essere imposta, mediante regolamento
comunale edilizio, l'osservanza di
determinate distanze dagli edifici
esistenti; ugualmente, ed anzi a maggior
ragione, non si può pretendere di
localizzare gli impianti ad una determinata
distanza dal confine di proprietà,
trattandosi di previsione che appare priva
di giustificazione alcuna e rappresenta solo
un indebito impedimento nella realizzazione
di una rete completa di telecomunicazioni.
E' condivisibile l'affermazione contenuta
nella decisione n. 8214/2009 secondo cui “-
riguardo alla competenza regolamentare in
materia, in particolare attribuita ai Comuni
con l’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del
2001, la giurisprudenza ha precisato la
differenza fra "criteri localizzativi” e
“limiti alla localizzazione” ritenendosi
consentiti i primi, in quanto recanti
criteri specifici rispetto a localizzazioni
puntuali, e non i secondi, in quanto recanti
divieti generalizzati per intere aree (ex
multis: Cons. Stato, Sez. VI: 05.06.2006, n.
3452; 19.05.2008, n. 2287; 17.07.2008, n.
3596), dovendosi concludere, su questa base,
che la citata norma del regolamento edilizio
comunale, riguardando l’intero centro
abitato, viene a rientrare nella normativa
del secondo tipo;
- la realizzazione degli impianti in
questione è subordinata soltanto
all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del
Codice, che pone una normativa speciale
esaustiva dell’esame di diversi profili
implicati, incluso quello della
compatibilità edilizio-urbanistica
dell’intervento, non occorrendo perciò il
permesso di costruire di cui agli articoli 3
e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 (ex multis:
Cons. Stato, Sez. VI: 17.10.2008, 5044;
05.08.2005, n. 4159)”.
Già in passato, peraltro, la Sezione,
coerentemente con l’impostazione sopra
riportata la cui piena condivisibilità deve
ribadirsi in questa sede, aveva evidenziato
che “il regolamento comunale che delinei
la suddivisione del territorio comunale in
tre tipologie di aree (maggiormente idonee,
di attenzione e sensibili) si pone in
contrasto con il d.lg. n. 259 del 2003, non
consentendo tale decreto alle
amministrazioni comunali di estendere la
propria competenza sino a selezionare le
aree del territorio, individuandone solo
alcune come idonee ad ospitare gli impianti.
L'installazione di impianti di
telecomunicazione, infatti, deve ritenersi
in generale consentita sull'intero
territorio comunale in modo da poter
realizzare, con riferimento a quelli di
interesse generale, un'uniforme copertura di
tutta l'area comunale interessata”
(Consiglio Stato, sez. VI, 28.03.2007, n.
1431)
Tale orientamento è stato ancora di recente
ribadito dalla Sezione (Consiglio Stato,
sez. VI, 23.06.2008, n. 3133), e da esso non
si ravvisano motivi per discostarsi.
Si è detto in
passato, pertanto, che “va dichiarata
l'illegittimità di un regolamento comunale
adottato ai sensi dell'art. 8 comma 6 l.
22.02.2001 n. 36, laddove l'ente
territoriale si sia posto quale obiettivo,
sebbene non dichiarato, ma evincibile dal
contenuto dell'atto regolamentare, quello di
preservare la salute umana dalle emissioni
elettromagnetiche promananti da impianti di
radiocomunicazione (ad esempio attraverso la
fissazione di distanze minime delle stazioni
radio base da particolari tipologie
d'insediamenti abitativi), essendo tale
materia attribuita alla legislazione
concorrente Stato-regioni dell'art. 117
cost., come riformato dalla l. cost.
18.10.2001 n. 3“ (Consiglio Stato, sez.
VI, 20.12.2002, n. 7274).
Del pari, è stato rilevato che “come non
può essere imposta, mediante regolamento
comunale edilizio l'osservanza di
determinate distanze dagli edifici
esistenti; ugualmente, ed anzi a maggior
ragione, non si può pretendere di
localizzare gli impianti ad una determinata
distanza dal confine di proprietà,
trattandosi di previsione che appare priva
di giustificazione alcuna e rappresenta solo
un indebito impedimento nella realizzazione
di una rete completa di telecomunicazioni”
(Consiglio Stato, sez. VI, 25.06.2007, n.
3536).
Si è addirittura escluso che la stessa “causale”
dell’esercizio della potestà regolamentare
possa essere determinata da esigenze
protettive di interessi diversi da quelli
relativi a “valutazioni strettamente
riguardanti interessi riferibili ad aspetti
urbanistici, edilizi, architettonici, di
decoro o di protezione del territorio”
(Consiglio Stato, sez. VI, 06.08.2002, n.
4096).
Sul punto può aggiungersi che, ancora di
recente, si è affermato che “ai sensi
dell'art. 8, comma 6, della legge quadro
sulla protezione dalle esposizioni ai campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici
22.02.2001 n. 36, i comuni possono adottare
un regolamento atto ad assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione comunale ai
campi elettromagnetici. Tuttavia, il potere
regolamentare comunale non può implicare la
fissazione di limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici diversi da quelli stabiliti
dallo Stato, non rientrando tale potere
nell'ambito delle competenze comunali. Non
può, pertanto, il comune, attraverso il
formale utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure
derogatorie ai predetti limiti di
esposizione fissati dallo Stato, quali, ad
esempio, il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio base per
telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale; ovvero, introdurre misure che
pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc.) non siano
funzionali al governo del territorio, quanto
piuttosto alla tutela della salute dai
rischi dell'elettromagnetismo (Consiglio
Stato, sez. VI, 03.10.2007, n. 5098, ma si
veda anche Consiglio Stato, sez. VI,
05.06.2006, n. 3332, secondo cui “è
illegittimo il regolamento comunale che, in
materia di installazione di impianti di
telefonia mobile, contiene prescrizioni che
non costituiscono espressione di
pianificazione urbanistica, ma di tutela
della salute e ciò in quanto la l. quadro
22.02.2001 n. 36 ha attribuito
esclusivamente allo Stato la funzione di
fissazione dei criteri e dei limiti
rilevanti ai fini della protezione della
popolazione dalle potenzialità nocive insite
nell'esposizione ai campi magnetici”)"
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.04.2010 n. 2436 -
link a www.giustizia-aministrativa.it). |
APPALTI:
Il diritto di accesso prevale
sulla segretezza tecnica o commerciale.
Il diritto di
accesso agli atti di una gara di appalto va
concesso anche quando vi è l’opposizione di
altri partecipanti controinteressati in
tutela di segreti tecnici e commerciali, in
quanto esso è prevalente rispetto l’esigenza
di riservatezza o di segretezza tecnica o
commerciale
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 25.03.2010 n. 1657 -
link a www.altalex.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Concorsi pubblici: i bandi devono
essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
Il bando di concorso
indetto da un Comune deve essere pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana.
La mancata pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana di un
bando di concorso pubblico contrasta
insanabilmente con l'articolo 4 del D.P.R.
09.05.1994, n. 487 (regolamento recante
norme sull'accesso agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni e le modalità di
svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici
e delle altre forme di assunzione nei
pubblici impieghi).
Secondo i giudici di Palazzo Spada tale
norma, richiamando al primo comma la data di
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ai fini
della decorrenza del termine perentorio dei
trenta giorni per la presentazione delle
domande di ammissione, prescrive un obbligo
generalizzato per tutte le pubbliche
amministrazioni di pubblicare i bandi di
concorso nella GURI.
Il comma 1-bis (introdotto dall'articolo 4
del D.P.R. 30.10.1996, n. 693) prevede in
particolare per gli enti locali territoriali
la possibilità di sostituire la
pubblicazione integrale del bando “con
l'avviso di concorso contenente gli estremi
del bando e l'indicazione della scadenza del
termine per la presentazione delle domande”.
Secondo il Consiglio di Stato le previsioni
sopra richiamate risultano pienamente
conformi con quanto stabilito dall'articolo
35, comma 3, del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165
(Norme generali sull'ordinamento del lavoro
alle dipendente delle amministrazioni
pubbliche) che si limita a prescrivere
un'adeguata pubblicità della selezione.
Tali norme di dettaglio quindi non possono
essere disapplicate delle singole
amministrazioni, in quanto conformi “alla
norma di rango superiore ed allo stesso
dettato degli articoli 51 e 97 della
Costituzione, che garantiscono il diritto di
accesso agli impieghi pubblici di tutti i
cittadini su di un piano di parità,
esercitabile solo attraverso un sistema di
pubblicità che favorisca la massima
partecipazione” (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 16.02.2010 n. 871 - link
a www.altalex.com). |
APPALTI: PROCEDURE
NEGOZIATE.
Il Tar Puglia precisato, in materia di
procedura negoziata senza previa
pubblicazione di bando di gara, che “l’articolo
57, comma 2°, lettera “b” del Codice dei
contratti pubblici (D.Lgs n. 163/2006)
prevede la procedura negoziata, senza previa
pubblicazione di un bando di gara, quale
ipotesi di deroga al principio generale
della gara pubblica, nel caso in cui “per
ragioni di natura tecnica o artistica ovvero
attinenti alla tutela di diritti esclusivi,
il contratto possa essere affidato
unicamente ad un operatore economico
determinato”. Ricorre tale fattispecie, in
relazione ad un sistema di telegestione e di
risparmio energetico sugli impianti di
pubblica illuminazione, laddove l’impresa,
in ragione anche dei brevetti insiti nella
sua proposta progettuale, si ponga come
“unico interlocutore” per la fornitura del
sistema medesimo”.
In riferimento ad una peculiare fattispecie,
il Tar ha evidenziato che il procedimento di
individuazione dell’operatore unico
determinato, così come posto in essere,
appare corretto e pienamente condivisibile.
Infatti, in primo luogo, la stazione
appaltante, in qualità di Pubblica
amministrazione, deve porsi il problema di
individuare con precisione l’interesse o,
rectius, l’esigenza pubblica da
soddisfare.
Si tratta di un importante elemento, la cui
corretta individuazione è decisiva, in
quanto imprecise ricognizioni
condizioneranno negativamente e, sovente, in
modo irreparabile, l’agire futuro.
Individuata correttamente l’esigenza, è
possibile pervenire alla definizione tecnica
del servizio, da ricercare sul mercato.
E’ evidente che l’identificazione del
servizio e delle sue peculiari e, talora,
esclusive caratteristiche, deve avvenire con
estremo rigore da parte della Pubblica
amministrazione, in modo da poter
comprendere e, poi, dimostrare, la
possibilità, o meno del ricorso al mercato,
cioè alla gara pubblica, oppure la necessità
di contrattare con un unico operatore
economico. Solo a questo punto, cioè dopo
aver individuato il “bisogno pubblico”
e definito il servizio nei suoi elementi
tecnici, è possibile valutare l'eventuale
sussistenza di "motivi di natura tecnica",
implicanti la contrattazione con un solo
soggetto, cioè l'affidamento senza gara.
In buona sostanza, la precisa qualificazione
del servizio, a seguito della ricognizione
delle pubbliche esigenze, si rivela
estremamente importante ai fini della
trasparenza e della correttezza dell’azione
amministrativa, in quanto si pone come
decisivo discrimen fra la “regola”
della gara pubblica e la sua antitetica
“eccezione”, rappresentata dalla procedura
negoziata. Solo dopo tale "percorso",
appare corretta e legittima la procedura
negoziata.
La stazione appaltante deve illustrare tale
intero percorso procedurale, con adeguata ed
esaustiva motivazione, affinché il suo agire
possa essere sottoposto ad un controllo,
invero delicato, in quanto si ha a che fare
con il risultato di una valutazione di
discrezionalità tecnica.
E’ ben evidente che solo la puntuale
illustrazione di tale percorso consentirà al
giudice di non travalicare i suoi limiti,
verificando la plausibilità logica
dell’agire complessivo
(commento tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 29.01.2010 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
AUTENTICAZIONE SOTTOSCRIZIONE
FIDEJUSSORI.
Il Tar Lazio ha affermato che “la
clausola della lettera di invito, che
prevede l’autenticazione della
sottoscrizione della fideiussione, deve
ritenersi meritevole di tutela, in quanto
garantisce la provenienza del documento in
maniera più forte rispetto all’uso della
modulistica della banca o
dell’assicurazione, anche se si tratti di
soggetti sottoposti alla vigilanza ed
all’iscrizione in un apposito albo”. Il
Tar Lazio si inserisce nel dibattito
giurisprudenziale in materia, conferendo
spunti sicuramente innovativi.
Primariamente, i giudici laziali prendono
atto, come censurato da parte dell’impresa
ricorrente esclusa, che la prescrizione non
trova fondamento nella legge, nel senso che
non è contemplata in alcuna disposizione
normativa. Tuttavia, ciò non vuol dire che
essa sia priva di ragionevolezza: “non
può, infatti, ritenersi in contrasto con la
disciplina legislativa, che non lo prevede
espressamente, ma neppure lo esclude”.
Invero, la mancanza di apposita previsione
legislativa non può condurre, di per sé, a
ritenere la clausola vietata
dall’ordinamento. Di conseguenza, si deve
verificare, se tale clausola possa,
comunque, essere inserita dalle stazioni
appaltanti nell’ambito della
discrezionalità, attribuita loro quali
amministrazioni pubbliche o nell’ ambito
dell’autonomia privata, quali contraenti di
diritto privato. In tale ultimo senso, il
Tar Lazio dà luogo a spunti innovativi.
Viene significativamente rilevato che,
nell’ambito dei rapporti di diritto privato,
le parti hanno un’ampia autonomia anche
nella determinazione della forma del
contratto. L’articolo 1352 del codice civile
attribuisce alle parti l’autonomia di
regolare la forma di un successivo contratto
da stipulare. Il comma 4° dell’articolo 1326
prevede che il proponente possa richiedere
un determinata forma per l’accettazione
della proposta.
In particolare, nella fideiussione, in
considerazione della particolare gravosità
dell’impegno del garante, l’autonomia della
parti si esplica, ad esempio, nella
stipulazione del beneficio della preventiva
escussione del debitore, beneficio che,
peraltro, è previsto espressamente nella
disciplina codicistica (art. 75, comma 4°,
per la cauzione provvisoria e 113, comma 2°,
per l’aggiudicazione definitiva). Dunque,
non vi è alcun dubbio che la stazione
appaltante possa espressamente richiedere,
nelle prescrizioni del bando o della lettera
di invito, ulteriori prescrizioni.
A ben vedere, la richiesta di una
determinata forma per il rilascio della
fideiussione (scrittura privata autenticata,
art. 2703 c.c.), deve essere ricondotta
all’autonomia privata, diversamente dalla
richiesta di dichiarazioni e certificazioni
per le quali valgono i principi di
semplificazione a cui effettivamente
l’ordinamento della pubblica amministrazione
è informato. In tale ambito, la clausola in
esame appare, secondo il Tar, meritevole di
tutela, in quanto garantisce la provenienza
del documento in maniera più forte rispetto
all’uso della modulistica della banca o
dell’assicurazione, anche se si tratti di
soggetti sottoposti alla vigilanza ed
all’iscrizione in un apposito albo (commento
tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 15.01.2010 n. 280 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: ATTESTAZIONE
SOA: POSSIBILITA’ DI ULTERIORI REQUISITI IN
SEDE DI GARA.
Il Consiglio di Stato ha affrontato il
delicato problema della discussa
legittimità, per una stazione appaltante, di
poter introdurre requisiti ultronei rispetto
all’attestazione SOA, in materia di appalto
di lavori.
In merito, ha statuito che: “Non appare
ragionevole la clausola del bando di gara,
che, ai fini del possesso di un dato
requisito, ulteriore rispetto
all’attestazione SOA, equipara la
fattispecie di “avere in corso di esecuzione
i lavori” alla distinta situazione di “aver
già eseguito i lavori”.
Infatti, è evidente la differenza e la
conseguente irragionevolezza
dell’equiparazione, tra la situazione di una
impresa, che ha correttamente realizzato
determinati lavori per un certo importo e
chi, come l’aggiudicataria, ha solo ricevuto
la consegna o, comunque, iniziato dei
lavori, potendo pregiarsi, in sostanza, solo
di essersi aggiudicata una gara.
Siffatti lavori, solo iniziati e non
ultimati, non esprimono alcuna valenza per
l’affidabilità dell’impresa”
(commento tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.01.2010 n. 14 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione amministrativa: il
patema d'animo non integra la "turbativa
pubblica".
Laddove una
autorizzazione sia rilasciata con la
clausola di salvezza della c.d. “turbativa
pubblica” essa non può essere
rintracciata nel semplice fatto che la “quasi
totalità dei residenti”, di una zona non
meglio identificata, avrebbe sottoscritto
due esposti nei quali si riferirebbe -
quanto é dato comprendere– di danni
irreversibili provocati dalle radiazioni
emanate dalla stazione radio base oggetto
della autorizzazione.
Così facendo l’Amministrazione ha
erroneamente interpretato il significato di
“turbativa pubblica”, locuzione che
deve essere intesa in senso oggettivo, ossia
come situazione che turba la collettività
procurando alla stessa disturbi, danni, o
alterazioni di qualsiasi tipo ma comunque
oggettivamente riscontrabili, e non, invece,
come situazione che viene percepita dai
cittadini come possibile fonte di danni o
disturbi: il semplice patema d’animo
generato da una determinata situazione,
insomma, non é idoneo ad integrare una
situazione di “turbativa pubblica”.
Così si è pronunciato il TAR Puglia in
ordine al ricorso promosso da un operatore
del settore della telefonia mobile avverso
un provvedimento amministrativo finalizzato
alla revoca di precedente autorizzazione
rilasciata per il posizionamento di una
antenna “su gomma” all’interno di un
appezzamento di terreno privato
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 25.09.2009 n. 2124 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono
esenti dal versamento degli oo.uu. quelle
superfici necessarie alla realizzazione
delle sale cinematografiche ivi compresa la
volumetria per gli ingressi, le uscite, le
biglietterie, i servizi igienici e le cabine
di proiezione.
Non sono, invece, esentate dal pagamento
degli oneri concessori gli altri locali
contestualmente realizzati e destinati al
tempo libero e quelli comunque a
destinazione promiscua con dette ulteriori
attività nonché quelli diretti ad offrire un
ulteriore servizio a favore degli spettatori
o per lo svolgimento di un’attività
commerciale o di ristorazione ma non
strettamente necessari per l’attività
cinematografica.
L’articolo 20, comma settimo, del D.L.
14.01.1994, n. 26, convertito in legge
01.03.1994, n. 153, precisa che “ai fini
del rilascio delle concessioni edilizie, la
volumetria necessaria per la realizzazione
di sale cinematografiche non concorre alla
determinazione della volumetria complessiva
in base alla quale sono calcolati gli oneri
di concessione”.
Nel caso in esame, dalla documentazione
prodotta in atti dalla parte, risultano,
invece, corrisposti, perché pretesi dal
Comune, gli oneri per l’intera superficie
dell’intervento edilizio.
Il Comune, pertanto, dovrà restituire
l’importo percepito in eccedenza, in
violazione della citata normativa.
A tal fine il Comune dovrà scomputare dalla
superficie complessiva dell’intervento
quelle necessarie alla realizzazione delle
sale cinematografiche ivi compresa la
volumetria per gli ingressi, le uscite, le
biglietterie, i servizi igienici e le cabine
di proiezione.
Non sono, invece, esentate dal pagamento
degli oneri concessori gli altri locali
contestualmente realizzati e destinati al
tempo libero e quelli comunque a
destinazione promiscua con dette ulteriori
attività nonché quelli diretti ad offrire un
ulteriore servizio a favore degli spettatori
o per lo svolgimento di un’attività
commerciale o di ristorazione ma non
strettamente necessari per l’attività
cinematografica (TAR per la Campania–Napoli,
sez. 4^, n. 10364 del 09.06.2004)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.05.2007 n. 444 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 17.05.2010 |
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UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Senato approva la Legge Comunitaria 2009:
DIA per gli impianti di energie rinnovabili
fino ad 1MW.
Per realizzare impianti a energie
rinnovabili di potenza fino a 1 MW sarà
sufficiente la DIA (denuncia di inizio
attività).
La disposizione è prevista dalla Legge
Comunitaria 2009 approvata in Senato.
L'articolo 17, al comma 1 lettera c),
stabilisce "l'assoggettamento alla
disciplina della DIA di cui agli articoli 22
e 23 del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, per gli
impianti per la produzione di energia
elettrica con capacità di generazione non
superiore ad un MW elettrico di cui
all'articolo 2, lettera e), del decreto
legislativo 29.12.2003, n. 387, alimentate
dalle fonti di cui alla lettera a)" ...
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA CANTIERI:
L'impianto elettrico e l'impianto di terra
del cantiere edile.
Sul sito della regione Campania è
disponibile un documento, curato dall'Ing.
Antonio Scalzi, dal titolo "Impianto
elettrico di terra e di cantiere".
Il documento contiene tutte le informazioni
per la corretta realizzazione dell'impianto
elettrico e di terra del cantiere e per le
opportune verifiche da parte dei
coordinatori della sicurezza.
L'autore, ad esempio, chiarisce che nei
cantieri è obbligatoria l'installazione
esclusivamente di quadri ASC, cioè quadri
costituiti da un contenitore in materiale
isolante, con all'interno montati e cablati
dispositivi di protezione: ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Detrazioni fiscali per l'efficienza
energetica: analisi, risultati e prospettive.
Lo scorso 4 maggio si è tenuto l'incontro "Detrazioni
fiscali per l'efficienza energetica:
analisi, risultati e prospettive"
organizzato dall'ENEA sulle detrazioni
fiscali del 55% per gli interventi di
riqualificazione energetica degli edifici
esistenti.
L'incontro ha fornito l'occasione per
stilare un bilancio dei risultati ottenuti e
per discutere delle implicazioni della
scadenza delle agevolazioni, fissata al
31.12.2010.
Le detrazioni fiscali del 55%, introdotte
dalla Legge Finanziaria 2007 e confermate
fino alla fine di quest'anno, rappresentano
la misura più concreta per limitare il
consumo di energia e le emissioni nel
settore edile, a cui si deve circa un terzo
del consumo di energia per gli usi finali
... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Incentivi per l'acquisto di case ad "alta
efficienza": nuovi chiarimenti del
Ministero dello sviluppo economico.
Il Ministero dello Sviluppo Economico, in
risposta ad alcuni quesiti posti dall'ANCE,
secondo quanto riportato sul sito
dell'Associazione nazionale dei Costruttori,
ha fornito ulteriori chiarimenti sui
contributi per gli immobili ad alta
efficienza energetica definiti dal D.M. del
26.03.2010.
Il Ministero ha chiarito che per superficie
utile bisogna riferirsi alla definizione di
superficie utile contenuta nell'Allegato A,
pt. 32, del D.Lgs. 192/2005 ovvero la
superficie netta calpestabile di un edificio
riferita alle sole parti riscaldate, il cui
valore è riportato nell'attestato di
certificazione energetica dell`immobile
(Allegato 6 dell'Allegato A al DM
26/06/2009) ... (link a www.acca.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - SICUREZZA CANTIERI:
Dall'ISPESL la guida alla valutazione e la
gestione dello stress lavoro-correlato.
Il Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs.
81/2008) ha individuato, tra i rischi per i
quali occorre effettuare la valutazione
negli ambienti di lavoro, lo stress
lavoro-correlato.
L'obbligo della valutazione del rischio
stress lavoro-correlato, secondo le
disposizioni dell'art. 28 del Testo Unico
della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), decorre
dal momento in cui la Commissione consultiva
permanente per la salute e la sicurezza sul
lavoro rende disponibili le proprie
indicazioni.
Lo stesso art. 28, tuttavia, prevede che, in
assenza di tali indicazioni, l'obbligo
decorra comunque dal 1° agosto 2010 ...
(link a www.acca.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Materiali da costruzione: in gazzetta il
decreto. Per la prima volta prezzi in
diminuzione.
Sulla Gazzetta Ufficiale del 05.05.2010 n.
103 è stato pubblicato il Decreto del
Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti 09.04.2010 recante "Rilevazione
dei prezzi medi per l'anno 2008 e delle
variazioni percentuali, superiori al dieci
per cento, relative all'anno 2009, ai fini
della determinazione delle compensazioni dei
singoli prezzi dei materiali da costruzione
più significativi".
Nel provvedimento è contenuta la rilevazione
dei prezzi medi dei materiali 2008 e la
variazione percentuale del 2009 sul 2008.
I prezzi dei materiali, per la prima volta,
fanno registrare un forte calo ... (link a
www.acca.it). |
VARI:
Le regole per una guida ecocompatibile:
guidare sicuri e consumare meno.
La direttiva 1999/94/CEE, recepita in Italia
con il decreto del Presidente della
Repubblica 17.02.2003, n. 84, richiede agli
Stati membri di pubblicare annualmente una
guida sul risparmio di carburante e sulle
emissioni di CO2 delle
autovetture al fine di fornire ai
consumatori informazioni utili per un
acquisto consapevole di autovetture nuove,
con lo scopo di contribuire alla riduzione
delle emissioni di gas serra e al risparmio
energetico.
È disponibile sul sito del Governo
l'edizione 2010 della "GUIDA SUL
RISPARMIO DI CARBURANTE E SULLE EMISSIONI DI
CO2".
La Guida fornisce anche indicazioni sulla
manutenzione corretta dei veicoli e sullo
stile di guida. Tra queste: curare la
manutenzione eseguendo i necessari controlli
e le registrazioni previste dalla casa
costruttrice. In particolare, cambiare
l'olio regolarmente e smaltirlo
correttamente. Consigliato, inoltre, di non
viaggiare con condizioni di carico gravose,
perché il peso del veicolo influenza
fortemente i consumi.
Alcune regole pratiche e una corretta
manutenzione dell'auto permettono di ridurre
i consumi e le emissioni di CO2
del 10/15% migliorando anche la sicurezza su
strada: ... (link a www.acca.it). |
VARI:
Conto Energia 2011 in dirittura arrivo: le
novità.
Secondo quanto affermato dall'Ing. Montanino
del G.S.E., e riportato da più fonti, la
nuova bozza del conto energia per
l'incentivazione del fotovoltaico è in
attesa dell'approvazione della nuova
Conferenza unificata Stato-Regioni, che
avverrà probabilmente nelle prossime
settimane.
Numerose le novità previste: anzitutto
riduzioni degli incentivi dal 12% al 25%, a
seconda dei casi ... (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
VARI: G.U.
14.05.2010 n. 111, suppl. ord. n. 89, "Approvazione
della guida al risparmio di carburante ed
alle emissioni di CO2, ai sensi
dell’articolo 4, decreto del Presidente
della Repubblica 17.02.2003, n. 84,
riguardante il regolamento di attuazione
della direttiva 1999/94/CE concernente la
disponibilità di informazioni sul risparmio
di carburante e sulle emissioni di CO2
da fornire ai consumatori per quanto
riguarda la commercializzazione di
autovetture nuove"
(Ministero dello Sviluppo Economico,
decreto 26.04.2010). |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
05.05.2010 n. 103 "Rilevazione dei prezzi
medi per l’anno 2008 e delle variazioni
percentuali, superiori al dieci per cento,
relative all’anno 2009, ai fini della
determinazione delle compensazioni dei
singoli prezzi dei materiali da costruzione
più significativi"
(Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti,
decreto
09.04.2010). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
G. Guzzo,
L’APPALTO PUBBLICO: FISIOLOGIA E PATOLOGIA
DELLA VICENDA CONTRATTUALE NEL NUOVO SCHEMA
LEGISLATIVO E GIURISPRUDENZIALE
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
NEWS |
APPALTI: Appalti,
il negoziato è l'eccezione. Novità del
procedimento che riduce la discrezionalità
mantenendo la flessibilità operativa.
Procedura di gara snella e innovativa a
scelta del contraente.
La procedura negoziata previa pubblicazione
di un bando di gara, disciplinata dall'art.
56 del D.Lgs. n. 163/2006 (così detto «Codice
dei contratti pubblici»), è una
procedura di scelta del contraente che
costituisce una specie di spartiacque tra la
rigida formalizzazione delle procedure
aperte e ristrette e la maggiore snellezza
operativa che invece caratterizza, sempre
nel rispetto dei principi generali
dell'attività contrattuale pubblica, le
procedure negoziate.
Inoltre, è una procedura che si caratterizza
per alcuni aspetti innovativi di grande
interesse, introdotti dal legislatore
comunitario e recepiti fedelmente dalla
norma nazionale, che possono, però,
presentare qualche difficoltà a livello
operativo.
Aspetti generali.
Il tratto comune della procedura negoziata
preceduta da bando di gara rispetto alle
altre procedure negoziate disciplinate dal
Codice è che si tratta di una procedura
eccezionale, utilizzabile, cioè, nei soli
casi e alle condizioni specifiche
espressamente previste dalla norma. Dopo le
modifiche introdotte dal secondo decreto
correttivo al Codice dei contratti (D.Lgs.
n. 113/2007), le ipotesi di ricorso alla
procedura negoziata preceduta da bando di
gara sono rimaste solo due: quando, dopo
l'esperimento di una procedura aperta o
ristretta o di un dialogo competitivo, tutte
le offerte presentate sono irregolari oppure
inammissibili, in ordine a quanto disposto
dal Codice in relazione ai requisiti degli
offerenti e delle offerte, purché restino
sostanzialmente ferme le condizioni iniziali
del contratto (lettera «a del comma 1
dell'art. 56, applicabile a forniture e
servizi di qualsiasi importo e a lavori fino
a 1 milione di euro); nel caso di appalti di
lavori pubblici realizzati unicamente a
scopo di ricerca, sperimentazione o messa a
punto, e non per assicurare una redditività
o il recupero dei costi di ricerca e
sviluppo (lettera «d» del comma 1 dell'art.
56, applicabile ai soli lavori,
indipendentemente dall'importo) ...
(articolo ItaliaOggi
del 12.05.2010). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Il divieto di costruire ad una
certa distanza dalla sede stradale si
applica anche nel caso di opere che
costituiscono mera sopraelevazione di un
edificio esistente.
Come è noto, la giurisprudenza della Suprema
Corte e quella del Consiglio di Stato
convergono nell’affermare che il divieto di
costruire ad una certa distanza dalla sede
stradale si applica anche nel caso di opere
che costituiscono –come nel caso all’esame-
mera sopraelevazione di un edificio
esistente (cfr. Cass. Civile II Sez. n. 2164
del 2005 e Consiglio di Stato IV Sez. n.
5716 del 2002)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.05.2010 n. 3032 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrodotti ad alta tensione -
Campi elettromagnetici - Profili di tutela
del diritto alla salute - Rispetto del DPCM
23/04/1992 - Sufficienza.
Con riguardo ai profili di tutela del
diritto alla salute connessi con i campi
elettromagnetici derivanti dagli
elettrodotti ad alta tensione, il rispetto
del DPCM 23/04/1992 che ha normativamente
recepito i limiti indicati dalle Istituzioni
Sanitarie specializzate è sufficiente ai
fini della legittimità dell’atto
autorizzatorio delle linee stessi (cfr. TAR
Lombardia, 14/05/1994 n. 302).
Installazione di linee
elettriche - procedimento di espropriazione
- Disciplina normativa - R.D. 11.12.1933, n.
1775 - Specifiche forme di pubblicità -
Disciplina ex L. 241/1990 - Applicabilità
- Esclusione.
Il procedimento di espropriazione per
l'installazione di linee elettriche è
disciplinato specificamente dal r.d.
11.12.1933 n. 1775, recante il testo unico
delle disposizioni di legge sulle acque e
impianti elettrici, i cui artt. 111 e 112
prevedono specifiche forme di pubblicità (la
pubblicazione della domanda di
autorizzazione nel foglio degli annunzi
legali della provincia), finalizzate a
consentire agli interessati un'attiva
partecipazione al procedimento.
Tale disciplina, che assume carattere di
specialità rispetto a quella di carattere
generale di cui alla l. n. 241 del 1990 e
non può ritenersi abrogata per effetto di
essa, deve peraltro ritenersi sufficiente a
soddisfare le esigenze poste a base del
principio del giusto procedimento, anche
tenuto conto che un procedimento del genere
è destinato a coinvolgere un numero
estremamente alto di soggetti, non sempre
individuabili in modo agevole; pertanto, è
legittimo il comportamento
dell'amministrazione che, nel procedimento
culminato con l'emissione del decreto di
autorizzazione provvisoria all'opera, segue
le indicazioni dei citati artt. 111 e 112,
r.d. n. 1775 del 1933, omettendo la
comunicazione di avvio del procedimento nei
confronti dei proprietari dell'area
interessata dall'elettrodotto (TAR Calabria,
Catanzaro, sez. I, 17/11/2005, n. 2058) (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 13.05.2010 n. 2389 -
link a www.ambientediritto.it). |
ENTI LOCALI:
Consorzio tra comuni - Natura -
Finalità - Adesione o recesso - Esercizio
del potere discrezionale - Controversie -
Giurisdizione - Giudice amministrativo.
Il consorzio tra Comuni è una particolare
forma associativa prevista dalla legge (art.
31 del d.lgs. n. 267 del 2000), avente
natura di ente pubblico (cfr. Cass., sez.
un., n. 14475 del 2002), “per la gestione
associata di uno o più servizi” nonché “per
l’esercizio associato di funzioni”: esso
è quindi preordinato alla realizzazione di
un servizio o di una funzione pubblica tale
da assicurare, date le circostanze del caso
concreto e previa valutazione delle
necessità del territorio, maggiore
affidamento di riuscita rispetto ad una
gestione diretta lasciata alle
amministrazioni singolarmente.
La decisione di entrare a far parte di un
consorzio -e, correlativamente, quella di
recedervi- è quindi preordinata alla
migliore gestione del servizio pubblico che
di volta in volta viene in considerazione:
le relative deliberazioni prese dall’Ente
locale, pertanto, rappresentano una modalità
di esercizio del potere discrezionale che la
legge conferisce all’amministrazione locale
per la migliore gestione del servizio
pubblico.
Non può dunque sostenersi che i rapporti tra
il consorzio e gli enti che ne fanno parte
siano da inquadrare nei binari del diritto
soggettivo e non dell’interesse legittimo:
ne deriva, per le relative controversie, in
base ai principi generali, la giurisdizione
del giudice amministrativo (TAR Piemonte,
Sez. II,
sentenza 13.05.2010 n. 2388 -
link a www.ambientediritto.it). |
VARI: L'uso
improprio del pass invalidi non è reato.
Non commette reato l'automobilista che
parcheggia in zona vietata esponendo in auto
il contrassegno dell'invalido civile
appartenente a un parente rimasto a casa.
Rischia soltanto la multa.
È quanto stabilito dalla Corte di
Cassazione, Sez. V. penale, con la
sentenza 12.05.2010 n. 18080, che
ha reso definitivo il dissequestro di un
automobile appartenente a un 64enne di
Firenze accusato dalla Procura di «falso
stato di accompagnatore di persona invalida».
L'uomo aveva parcheggiato in divieto di
sosta (e quindi non negli spazi riservati
agli invalidi dalle strisce gialle)
esponendo il contrassegno appartenente alla
suocera.
Già il Tribunale delle libertà toscano che
non aveva convalidato la misura restrittiva.
Al contrario i giudici avevano osservato che
non c'era stato dolo nel comportamento
dell'automobilista che, con buona
probabilità, aveva dimenticato il
contrassegno in auto. Inutilmente la
pubblica accusa ha fatto ricorso in
Cassazione contro questa decisione.
Infatti, la quinta sezione penale nel
respingerlo ha precisato che la semplice
esposizione del contrassegno invalidi
sull'auto da persona diversa dal titolare, «in
assenza di altri qualificanti comportamenti,
non integra quella condotta positiva
necessaria per ravvisare il delitto di
sostituzione di persona di cui all'articolo
494c.p., che consisterebbe dunque nel
tentativo di attribuirsi il falso stato di
accompagnatore di invalido».
In altri termini «per potersi ravvisare
il reato di tentata sostituzione di persona
è necessario un comportamento positivo
suscettivo di trarre in inganno». Cosa
non avvenuta secondo la Corte. Infatti la
semplice esposizione del contrassegno
invalidi sull'auto non è un reato tanto più
che in questo caso che il contrassegno
potrebbe essere stato dimenticato nell'auto
utilizzata in altre occasioni anche per il
trasporto della suocera invalida
(articolo ItaliaOggi del 13.05.2010, pag.
39). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità
dell'affidamento diretto a delle cooperative
del servizio di igiene urbana ai sensi
dell'art. 5 L. 08.11.1991, n. 381.
E' illegittimo l'affidamento diretto a delle
cooperative del servizio di igiene urbana ai
sensi dell'art. 5 L. 08.11.1991, n. 381.
L'art. 5, c. 1, della citata L. 38/1991
sull'inserimento lavorativo delle persone
svantaggiate, infatti, nel riferirsi alla "fornitura
di beni e servizi", offre agli enti
pubblici e alle società di capitali a
partecipazione pubblica la possibilità di
stipulare, anche in deroga alla disciplina
in materia di contratti della pubblica
amministrazione, con le cooperative che
svolgono attività agricole, industriali,
commerciali o di servizi finalizzate
all'inserimento lavorativo di persone
svantaggiate, convenzioni aventi ad oggetto
la fornitura di beni e servizi -diversi da
quelli socio-sanitari ed educativi e di
importo inferiore a quello preso in
considerazione dalle direttive comunitarie
in materia di appalti- in favore
dell'amministrazione richiedente e non già
l'affidamento di servizi pubblici locali,
quale è quello di igiene urbana (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2010 n. 2829 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Rischia
una sanzione il dirigente pubblico che fuma
in ufficio.
Rischia una sanzione il
docente universitario o il dirigente
pubblico che fuma nella sua stanza. Non
solo. Non può impugnare davanti al giudice
il verbale di contestazione della violazione
amministrativa.
Lo si evince dalla
sentenza 10.05.2010 n. 11281
della Corte di Cassazione, Sez. II civile,
con la quale è stato dichiarato
improponibile l'opposizione contro il
verbale di contestazione della violazione.
Una docente universitaria era solita fumare
nella sua stanza nella quale riceveva alunni
e collaboratori. In corridoio erano stati
appesi i divieti. La donna non era mai stata
colta sul fatto ma da sempre aveva ammesso
di fumare liberamente alla sua scrivania.
Così era scattata la contestazione da parte
dell'Ateneo.
Lei l'aveva impugnata di fronte al giudice
di pace di Perugia che però aveva respinto.
A questo punto la docente ha presentato
ricorso in Cassazione che si è incagliato in
un importante scoglio processuale.
Infatti, hanno sostenuto gli Ermellini, la
contestazione da parte dell'università non
poteva essere impugnata in sede
giurisdizionale: «Il verbale di
accertamento di una violazione
amministrativa è impugnabile in sede
giudiziale unicamente se concerne
l'inosservanza di norme sulla circolazione
stradale, giacché solo in tale caso è idoneo
ad acquisire valore ed efficacia di titolo
esecutivo per la riscossione dell'importo
della pena pecuniaria prefissata, mentre,
quando riguarda il mancato rispetto di norme
relative ad altre materie, non incide ex se
sulla situazione giuridica soggettiva del
trasgressore ed è destinato esclusivamente a
contestargli il fatto e a segnalargli la
facoltà di estinguere l'obbligazione
sanzionatoria mediante un pagamento in
misura ridotta, in difetto del cui esercizio
l'autorità competente valuterà la fondatezza
dell'accertamento»
(articolo
ItaliaOggi del 12.05.2010 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI:
Sui limiti del diritto di accesso
agli atti di gara.
L'art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006
(Codice dei contratti) prevede, a tutela del
diritto alla riservatezza dei partecipanti
alle procedure di affidamento, l'esclusione
del diritto di accesso e di ogni forma di
divulgazione in ordine alle informazioni
fornite dai concorrenti nell'ambito delle
giustificazione delle proprie offerte, che
costituiscano segreti tecnici o commerciali,
ciò al fine di evitare che operatori
economici in diretta concorrenza tra loro
possano utilizzare l'accesso unicamente per
giovarsi delle specifiche conoscenze
possedute da altri, allo scopo di conseguire
un indebito vantaggio commerciale
all'interno del mercato.
Tuttavia, l'esclusione del diritto di
accesso è subordinata alla manifestazione di
interesse da parte del concorrente al quale
si riferiscono i documenti cui altri intende
accedere. D'altra parte, l'art. 13, d.lgs.
n. 163/2006, al comma 6 consente l'accesso
finalizzato alla difesa in giudizio dei
propri interessi in relazione alla procedura
di affidamento del contratto nell'ambito
della quale viene formulata la richiesta di
accesso. Detta previsione sancisce la
prevalenza del c.d. accesso difensivo,
disposta dall'art. 24, c. 7, l. n. 241/1990
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.05.2010 n. 2814 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Titolo autorizzatorio edilizio -
Impugnazione - Legittimazione - Criterio
della vicinitas.
La legittimazione alla proposizione del
ricorso finalizzato all’annullamento di un
titolo autorizzatorio edilizio rilasciato ad
un controinteressato va riportata al
criterio della c.d. vicinitas, intesa
come una situazione di stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato, che
esime da qualsiasi indagine al fine di
accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o
meno un effettivo pregiudizio per il
soggetto che propone l'impugnazione
(Consiglio Stato, sez. IV, 12.05.2009, n.
2908; tra le tante, si vedano anche: TAR
Toscana Firenze, sez. III, 26.02.2010, n.
536; TAR Trentino Alto Adige Trento,
09.02.2010, n. 46; TAR Campania Salerno,
sez. II, 13.07.2009, n. 3987; TAR Lombardia
Milano, sez. II, 09.07.2009, n. 4345) (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 10.05.2010 n. 1098 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi finalizzati alla
realizzazione di depositi merci e materiali
- Lavori non urbanisticamente rilevanti -
Assimilazione agli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria,
restauro e risanamento conservativo - Nuova
costruzione - Inconfigurabilità -
Fattispecie: area destinata a esposizione di
autovetture a fini commerciali.
Gli interventi finalizzati alla
realizzazione di depositi di merci e
materiali che comportino l’esecuzione di
lavori non urbanisticamente rilevati (come
nel caso in cui sia prevista solo la
ripulitura del terreno) non integrino <<l'ipotesi
di modificazione urbanisticamente rilevante
del territorio, soggetta a concessione
edilizia, …. quand'anche il suolo così
ripulito sia destinato all'esposizione di
autovetture a fini commerciali>> (TAR
Lombardia Milano, sez. I, 29.10.2008, n.
5222) e devono pertanto essere assimilati
agli interventi di manutenzione ordinaria,
manutenzione straordinaria, restauro e
risanamento conservativo previsti dalle
prime tre lettere dell’art. 3, 1° comma del
t.u. n. 380 del 2001 e contrapposti agli
interventi di <<nuova costruzione>>,
giustamente considerati maggiormente
invasivi per il territorio e soggetti ad un
regime autorizzatorio maggiormente rigoroso
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 10.05.2010 n. 1094 -
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il concessionario dello jus sepulchri
risulta titolare esclusivamente di quei poteri e diritti che
gli siano stati trasferiti.
Com'è noto, i cimiteri costituiscono demanio pubblico ai
sensi dell'art. 824 comma 2 cod. civ..
Il servizio di illuminazione votiva (ricompreso già dal d.m.
31.12.1983 tra i c.d. servizi pubblici a domanda
individuale, ovvero non erogati alla generalità ma a
specifiche categorie di utenti, e assoggettato a tariffe ai
fini dell'assicurazione di predeterminati tassi di copertura
del relativo costo di gestione, determinate con
deliberazioni annuali anteriori all'approvazione del
bilancio ed a questo allegate: art. 172, comma 1, lettera
c), d.lgs. 18.08.2000, n. 267) costituisce concessione di
servizio pubblico (sia pure a domanda individuale),
necessariamente regolata nelle forme delle c.d.
concessioni-contratto, e quindi caratterizzata dalla
combinazione di due atti (uno unilaterale -di natura
provvedimentale- della P.A. e uno bilaterale -o negoziale-,
rappresentato da una convenzione tra P.A. e privato
concessionario), che danno vita ad una fattispecie complessa
(su tale pacifica qualificazione del servizio
d'illuminazione votiva come servizio pubblico locale tra le
tante, Cass., SS.UU., 17.09.1998, n. 9261; Cons. Stato, Sez.
V, 10.06.2002, n. 3213 e 11.09.2000, n. 4795; nonché TAR
Lombardia, Milano, Sez. I, 09.01.2007, n. 4, TAR Lazio,
Roma, Sez. II, 06.05.2005, 3397).
La controversia in questione, riguardante la richiesta di
annullamento di un atto amministrativo, legittimante
l’installazione di un pannello fotovoltaico, avanzata dal
titolare di una concessione del servizio pubblico di
illuminazione votiva all’interno del cimitero comunale,
attiene all’ambito della concessione,ambito che il
concessionario ritiene violato.
Deve preliminarmente verificarsi la compatibilità del
pannello fotovoltaico in questione con l’atto di concessione
del servizio di illuminazione votiva, affidato alla ditta
ricorrente con delibera di C.C. 159/1990 e sottoscritto in
data 18.07.1991, nonché con l’atto di concessione di suolo
nel cimitero comunale per la realizzazione della cappella
del sig. Cordella Vincenzo, culminato nel permesso di
costruire n. 743/2005, oltre che la conformità dello stesso
al regolamento edilizio ed alle norme vigenti .
Gioverà ricordare in materia di jus sepulchri che la
giurisprudenza risulta consolidata sui seguenti principi :
- nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro nasce da
una concessione da parte dell'autorità amministrativa di
un'area di terreno (o di una porzione di edificio) in un
cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e
tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta,
nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto
di natura reale, e perciò opponibile iure privatorum
agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie,
che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei
confronti dell'amministrazione, nei casi in cui esigenze di
pubblico interesse per la tutela dell'ordine e del buon
governo del cimitero, impongono o consigliano alla p.a. di
esercitare il potere di revoca della concessione (Cass.,
sez. un., 07-10-1994, n. 8197).
Inoltre, una volta costituita, legittimamente, la
concessione di uso (ius sepulchri), la relativa
facoltà gode di una protezione piena ed assoluta nei
confronti dei privati, ma non nel rapporto con
l'amministrazione in quanto l'acquisto della relativa
facoltà resta sempre subordinato all'adozione di un apposito
provvedimento di trasferimento.
Difatti, il concessionario risulterà titolare esclusivamente
di quei poteri e diritti che gli siano stati trasferiti,
dovendosi escludere che in capo allo stesso possano sorgere
poteri e facoltà non trasferiti e consentiti, atteso che le
concessioni di un'area di terreno ovvero di una porzione di
edificio in un cimitero pubblico comportano un uso
eccezionale del bene (che è demaniale in forza dell'art. 824
c.c.) ,consentito nei termini ristretti del vincolo
concessorio, senza che possano residuare attività, diritti o
poteri residuali non espressamente previsti e disciplinati
nella concessione-contratto (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 08.05.2010 n. 1089 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Individuazione dei confini tra
fondi finitimi - Amministrazione - Presenza
di muri a secco - Adeguata considerazione -
Risultanze catastali - Valenza probatoria
residuale.
In situazioni dominicali risalenti e
connotate anche da condizioni del territorio
particolari, quali l’acclività e la natura
scoscesa dei terreni, la presenza di segni
materiali esteriori di antica origine quali
muri in pietra realizzati con tecnica a
secco, soprattutto se esistenti tra fondi
posti a dislivello, deve essere
adeguatamente considerata
dall’Amministrazione nella individuazione
dei reali confini tra fondi finitimi: la
stessa non può infatti arrestarsi al dato
emergente dalle risultanze catastali, che
sono dotate di una valenza probatoria
soltanto residuale e pertanto cedevole a
fronte di emergenze di natura reale.
E’, del resto, patrimonio memoriale comune
il dato che i muri a secco nelle campagne e
nei territori montani more solito
sostanziano dei veri e propri confini tra
fondi, rappresentando la reale situazione
dominicale in maniera ben più fedele che non
le risultanze del catasto terreni (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 07.05.2010 n. 2356 -
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APPALTI:
Sulla legittimità del
provvedimento di esclusione da una gara per
violazione del Patto di Integrità, allegato
al bando, conseguente alla presenza di forme
di collegamento sostanziale tra imprese,
riconducibili ad un unico centro
decisionale.
Sulla legittimità delle previsioni relative
all'escussione della cauzione provvisoria,
contenute nel Patto di Integrità allegato al
bando di gara.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una stazione appaltante
nell'ipotesi in cui emergano elementi tali
da far presumere l'esistenza di forme di
collegamento sostanziale tra imprese
concorrenti, riconducibili ad un unico
centro di interessi, in quanto siffatta
condotta vìola le prescrizioni contenute nel
bando di gara, nonché nel Patto di
Integrità, con cui la società si è
espressamente impegnata a non accordarsi con
altri partecipanti per non limitare la
concorrenza; ciò, peraltro, pregiudica
seriamente il corretto svolgimento della
gara, anche alla luce della normativa
comunitaria, secondo cui il funzionamento
delle gare pubbliche è garantito soltanto
nel caso in cui le imprese partecipanti si
trovino in posizione di reciproca ed
effettiva concorrenza.
E' legittimo il Patto di Integrità nella
parte in cui prevede l'incameramento della
cauzione provvisoria, ciò in quanto esso
rappresenta un sistema di condizioni che
rafforzano comportamenti già doverosi per i
concorrenti, e che prevedono sanzioni a
carattere patrimoniale, nel caso di
violazione di detti doveri. Tale previsione,
unitamente alle relative responsabilità di
ordine patrimoniale, è da considerare
pienamente legittima, giacché siffatta
ipotesi va inquadrata nell'ambito
dell'autonomia negoziale sia
dell'amministrazione sia di chi aspiri a
diventare titolare di un futuro contratto.
L'escussione della cauzione provvisoria, nel
caso di specie, vale unicamente a
quantificare la misura della responsabilità
patrimoniale del partecipante alla gara,
conseguente all'inadempimento dell'obbligo
assunto con la sottoscrizione del patto
d'integrità, il quale assume, quindi, il
carattere di un complesso di regole
comportamentali per le imprese; ne consegue
che l'incameramento della cauzione non ha
carattere di sanzione amministrativa, come
tale riservata alla legge, ma costituisce la
conseguenza dell'accettazione di regole di
condotta, accompagnate dalla previsione di
una responsabilità patrimoniale, assunte su
base pattizia (TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 07.05.2010 n. 1386 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Titolo abilitativo edilizio -
Annullamento in autotutela - Per la
realizzazione di difformità rispetto al
titolo assentito - Illegittimità -
Presupposti dell’esercizio del potere di
autotutela - Esistenza di un vizio di
legittimità originario.
Presupposto indefettibile del legittimo
esercizio del potere di autotutela c.d.
decisoria culminante nell’adozione di
provvedimenti di secondo grado di
annullamento di precedenti provvedimenti, è,
ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n.
241/1990, l’esistenza e l’acclaramento di un
vizio di legittimità originario che affligga
il provvedimento oggetto dell’autotutela
decisoria.
Laddove, invece, il provvedimento sia e
rimanga all’attualità del tutto legittimo,
l’eventuale contegno del privato che
sostanzi una difformità esecutiva rispetto
al contenuto delle facoltà concesse con il
provvedimento, può rilevare unicamente ai
fini del’adozione di misure sanzionatorie
repressive (nella specie, procedimento
sanzionatorio ex artt. 31 e ss. d.P.R. n.
380/2001, per la realizzazione di difformità
rispetto al titolo abilitativo edilizio
legittimamente assentito) (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 07.05.2010 n. 2356 -
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APPALTI:
Sulla legittimità
dell'aggiudicazione di una gara d'appalto ad
un concorrente che abbia omesso di firmare e
sottoscrivere una pagina dell'allegato alla
busta contenente la propria offerta.
La volontà di sanzionare con l'esclusione
l'inosservanza di una specifica modalità di
presentazione delle offerte deve essere
chiaramente espressa nel bando di gara,
sicché, in mancanza di tale univoca
previsione, resta preclusa ogni diversa
conclusione in ordine a non previste
conseguenze sanzionatorie dell'irregolare
trasmissione dei plichi.
In ogni caso, nell'"incertezza circa
l'interpretazione della portata precettiva
di una clausola ambigua, deve accordarsi
prevalenza all'interesse pubblico alla più
ampia partecipazione dei concorrenti".
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il
provvedimento di aggiudicazione di una gara
d'appalto adottato da una stazione
appaltante nei confronti di un'impresa che
abbia omesso di firmare una pagina
dell'allegato alla busta contenente la
propria offerta, dalla lettura della lex
specialis risulta come l'obbligo di
apporre la firma del legale rappresentante,
"pena l'esclusione dalla gara",
riguarda esclusivamente la stessa lettera di
invito, il capitolato e lo schema di
contratto, ma non anche, specificamente, gli
allegati (TAR Lazio-Roma, Sez. I,
sentenza 03.05.2010 n. 9134 -
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APPALTI:
Sulla natura non provvedimentale
delle deliberazioni adottate dall'Autorità
per la Vigilanza sui Lavori Pubblici.
Ha natura non provvedimentale e, in quanto
tale, è priva di reale e concreta attitudine
lesiva, la deliberazione assunta
dall'Autorità per la Vigilanza sui Lavori
Pubblici e la relativa nota di
comunicazione, con cui in esito all'esame
dell'accordo transattivo, intercorso tra
l'amministrazione comunale e un'impresa in
relazione ai lavori per la costruzione della
piscina comunale, è stata sottoposta a
censura la condotta del Comune per l'"eccessiva
tolleranza accordata" nei rapporti con
l'impresa ed è stata contestualmente
disposta la segnalazione della questione
alla Procura della Corte dei conti per gli
eventuali accertamenti di competenza.
L'art. 4, della l. n. 109 del 1994,
riconosceva all'Autorità poteri di vigilanza
sull'intero sistema dei lavori pubblici. Ciò
posto, il potere di vigilanza concretamente
esplicato nel caso di specie non può aver
prodotto conseguenze lesive della sua sfera
giuridica, avendo l'Autorità espresso
sostanzialmente un proprio "avviso"
sulla vicenda, inidoneo, in quanto tale, a
recare direttamente ed immediatamente alcun
pregiudizio (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.05.2010 n. 2503 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Principio di precauzione -
Applicazione - Produzione normativa,
adozione di atti generali o di misure
cautelari - Livello di rischio puntualmente
definito dai poteri decisori centrali -
Applicabilità - Esclusione.
L’applicazione del principio di precauzione
comporta, in concreto, che, ogni qual volta
non siano conosciuti con certezza i rischi
indotti da un’attività potenzialmente
pericolosa, l’azione dei pubblici poteri
deve tradursi in una prevenzione precoce,
anticipatoria rispetto al consolidamento
delle conoscenze scientifiche.
E’ evidente, peraltro, che la portata del
principio in esame può riguardare la
produzione normativa in materia ambientale o
l’adozione di atti generali ovvero, ancora,
l’adozione di misure cautelari, ossia tutti
i casi in cui l’ordinamento non preveda già
parametri atti a proteggere l’ambiente dai
danni poco conosciuti, anche solo
potenziali.
Ne consegue che il principio di precauzione
non può essere invocato, viceversa, laddove
il livello di rischio connesso a determinate
attività sia stato puntualmente definito dai
decisori centrali sulla base delle attuali
conoscenze scientifiche, attraverso la
puntuale indicazione di limiti e di prove (“test
di cessione”) cui devono conformarsi le
successive determinazioni delle autorità
locali (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 03.05.2010 n. 2294 -
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APPALTI:
Sull'illegittimità della
ricostruzione postuma della documentazione
di gara in caso di smarrimento delle buste
contenenti le offerte.
E' illegittimo l'operato di una stazione
appaltante che, a seguito dello smarrimento
delle buste contenenti le offerte presentate
dalle imprese concorrenti, abbia consentito
la "ricostruzione" postuma della
documentazione di gara, in quanto, per
giurisprudenza consolidata, in materia di
pubblici appalti il principio di
conservazione degli atti giuridici ha
carattere recessivo rispetto alla tutela
della concorrenza e della par condicio.
Una simile prassi, infatti, porterebbe alla
vanificazione del principio di trasparenza e
del diritto dei concorrenti di agire in
giudizio, garantito dagli artt. 24, 103, 111
e 113 Cost., nonché dalla Direttiva
1989/665/CE e successive modifiche. Inoltre
la stazione appaltante, quando entra in
possesso dei plichi contenenti le offerte di
gara, comprese le specifiche tecniche della
prestazione, diviene titolare dell'onere di
custodirle con diligenza, assumendo ogni
responsabilità in caso di manomissioni o
smarrimento, pertanto nell'ipotesi di
mancato ritrovamento degli atti di gara, la
procedura non può validamente proseguire
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 03.05.2010 n. 1699 -
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EDILIZIA PRIVATA: L'ordine
di demolizione deve seguire automaticamente
all'accertamento dell'illecito, senza la
necessità di una preventiva notifica della
diffida a demolire e senza alcun margine per
valutazioni discrezionali.
E' inammissibile il ricorso proposto avverso
il verbale di accertamento
dell'inottemperanza alla precedente
ingiunzione di demolizione di opere edilizie
abusive, redatto dal personale della Polizia
Municipale, in quanto il suddetto atto ha
valore endoprocedimentale ed efficacia
meramente dichiarativa delle operazioni
effettuate.
La circostanza che nel verbale di
accertamento dell'inottemperanza
all'ingiunzione di demolizione ex art. 7 l.
28.02.1985 n. 47 sia stata omessa
l'individuazione dell'area da acquisire al
patrimonio comunale non comporta
l'illegittimità dell'accertamento ma
soltanto l'impossibilità, per il Comune, di
procedere alla immissione nel possesso e
alla trascrizione nei registri immobiliari,
in quanto, in mancanza di espressa
previsione legislativa, nulla vieta che il
comune possa procedere, in un secondo tempo,
all'individuazione dell'area oggetto di
acquisizione ai fini dell'immissione nel
possesso e della trascrizione.
La consolidata giurisprudenza ha, da tempo,
chiarito che il termine di cui all'art. 4
della l. 28.02.1985 n. 47 definisce solo
l’ambito della legale durata del
provvedimento di sospensione dei lavori.
Pertanto, una volta scaduto detto termine,
la sospensione dei lavori non ha più
efficacia; ma ciò non comporta affatto che
il Comune perda il potere di adottare i
provvedimenti repressivi della violazione
edilizia perpetrata.
La
giurisprudenza (cfr. TAR Campania, Sez. IV,
12.04.2005 n. 3780 e Sez. III, 01.12.2008 n.
20721) ha evidenziato che lo specifico
presupposto che differenzia il procedimento
sanzionatorio previsto dall’art. 4 l. n. 47
del 1985 (ora art. 31 del TU dell'edilizia),
rispetto a quello ex art. 7 della stessa
legge (ora l'art. 27 del TU dell'edilizia)
va rinvenuto -sul presupposto della
localizzazione delle opere abusive su aree
assoggettate a vincolo di inedificabilità,
ovvero destinate ad opere e spazi pubblici o
ad interventi di edilizia residenziale
pubblica- nella necessità di reintegrare con
immediatezza il bene protetto, pregiudicato
dall'abusivo intervento edilizio.
Ne consegue che in tal caso l'ordine di
demolizione deve seguire automaticamente
all'accertamento dell'illecito, senza la
necessità di una preventiva notifica della
diffida a demolire e senza alcun margine per
valutazioni discrezionali (anche in ordine
alla scelta se procedere alla demolizione o
unicamente alla acquisizione al patrimonio
dell'ente), al fine di impedire che il
trascorrere del tempo determini il
consolidarsi di situazioni soggettive che
potrebbero impedire l'applicazione della
sanzione ripristinatoria
E' inammissibile il ricorso proposto avverso
il verbale di accertamento
dell'inottemperanza alla precedente
ingiunzione di demolizione di opere edilizie
abusive, redatto dal personale della Polizia
Municipale, in quanto il suddetto atto ha
valore endoprocedimentale ed efficacia
meramente dichiarativa delle operazioni
effettuate (cfr. ex multis: TAR
Campania, Sez. VII, 16.12.2009 n. 8816).
La giurisprudenza ha rilevato che la
circostanza che nel verbale di accertamento
dell'inottemperanza all'ingiunzione di
demolizione ex art. 7 l. 28.02.1985 n. 47
sia stata omessa l'individuazione dell'area
da acquisire al patrimonio comunale non
comporta l'illegittimità dell'accertamento
ma soltanto l'impossibilità, per il Comune,
di procedere alla immissione nel possesso e
alla trascrizione nei registri immobiliari,
in quanto, in mancanza di espressa
previsione legislativa, nulla vieta che il
comune possa procedere, in un secondo tempo,
all'individuazione dell'area oggetto di
acquisizione ai fini dell'immissione nel
possesso e della trascrizione (cfr. (TAR
Sicilia, sez. II, 10.05.2007 n. 1334, TAR
Lazio Latina, 18.02.1992 n. 102)
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1626 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E' soggetto a concessione edilizia ogni
intervento sul territorio sia quando vi sia
la realizzazione di opere murarie, sia
quando si intenda realizzare un intervento
sul territorio che, pur non richiedendo
opere in muratura, comporti la perdurante
modifica dello stato dei luoghi con
materiale posto sul suolo.
In relazione allo spargimento di ghiaia su
un'area che ne era in precedenza priva e
preordinata alla modifica della precedente
destinazione d'uso, va affermata la
necessarietà della concessione edilizia.
Deve ritenersi soggetto a concessione lo
spianamento di un terreno agricolo ed il
riporto di sabbia e ghiaia, al fine di
ottenerne un piazzale per deposito e
smistamento di autocarri e containers.
Non è necessario il permesso per costruire
modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno.
La realizzazione di una recinzione metallica
collocata lungo il confine di proprietà, di
un piazzale per la sosta degli automezzi
creato mediante sbancamento e riporto di
ghiaia nonché di una vasca per la raccolta
delle acque di risulta del lavaggio non
costituiscono pertinenze e richiedono la
preventiva emissione del titolo abilitativo,
determinando un consistente impatto
sull'assetto del territorio, tenuto conto
che l'incidenza è sensibilmente accresciuta
dalla loro realizzazione in un contesto
tipicamente agricolo.
La L. n. 28.1.1977 n. 10, vigente all’epoca
dei fatti, all’art. 1 -“Trasformazione
urbanistica del territorio e concessione di
edificare”- disponeva che: “Ogni
attività comportante trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio
comunale partecipa agli oneri ad essa
relativi e la esecuzione delle opere è
subordinata a concessione da parte del
sindaco, ai sensi della presente legge”.
L'interpretazione di tale norma aveva dato
luogo a contrasti, dato che la
giurisprudenza e la dottrina avevano
elaborato due indirizzi ermeneutici: secondo
il primo, avrebbero dovuto essere
assoggettati a titolo abilitativo solo gli
interventi di portata -simultaneamente-
urbanistica ed edilizia. Invero, osservavano
i fautori della tesi in esame, l'uso
congiunto delle due espressioni (urbanistica
ed edilizia) nel citato articolo
escluderebbe l'assoggettamento al previo
rilascio del titolo degli interventi che,
pur non mancando di impatto urbanistico,
siano privi di consistenza materiale di
opere edilizie.
Secondo l'opposto indirizzo, l'art. 1
l. 28.01.1977 n. 10 sulla edificabilità dei
suoli, che pone la regola della soggezione a
concessione di ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, non comprende le sole attività
di edificazione, ma tutte quelle consistenti
in una modificazione dello stato materiale e
della conformazione del suolo per adattarlo
ad un impiego diverso da quello che gli è
proprio in relazione alla sua condizione
naturale ed alla sua qualificazione
giuridica (cfr.: Cons. St., Sez. V,
31.01.2001, n. 343; Cons. St., Sez. V,
20.12.1999, n. 2125; Cons. St., Sez. V,
01.03.1993, n. 319; tale orientamento è
condiviso anche dalla giurisprudenza
ordinaria: cfr. Cass. pen., 14.10.1988;
Cass. pen., sez. III, 24.10.1997, n. 10709;
Cass. pen., sez. VI, 24.07.1997, n. 8520).
La giurisprudenza favorevole a tale tesi ha
aggiunto che l'art. 1 l. 28.01.1977 n. 10
imponeva al soggetto attuatore di munirsi di
concessione edilizia per ogni attività che
comporti la trasformazione del territorio
attraverso l'esecuzione di opere comunque
attinenti agli aspetti urbanistici ed
edilizi, ove il mutamento e l'alterazione
abbiano un qualche rilievo ambientale ed
estetico, o solo funzionale (cfr. Cons. St.,
Sez. VI, 26.09.2003, n. 5502).
La Sezione, condividendo quanto rilevato dal
Cons. St. Sez. V con la decisione n. 7325
dell’11.11.2004, opta per la seconda
interpretazione, dovendosi affermare che è
soggetto a concessione edilizia ogni
intervento sul territorio sia quando vi sia
la realizzazione di opere murarie, sia
quando si intenda realizzare un intervento
sul territorio che, pur non richiedendo
opere in muratura, comporti la perdurante
modifica dello stato dei luoghi con
materiale posto sul suolo (cfr. Cons. St.,
Sez. V, 14.12.1994, n. 1486; Cons. St., Sez.
VI, 27.01.2003, n. 419; Cons. St., Sez. V,
06.04.1998, n. 415).
Alla stregua di tale generale principio, in
relazione allo spargimento di ghiaia su
un'area che ne era in precedenza priva e
preordinata alla modifica della precedente
destinazione d'uso, va affermata (cfr. Cons.
St. Sez. V, 22.12.2005 n. 7343) la
necessarietà della concessione edilizia.
Tale indirizzo, peraltro, risulta
corroborato dalla risalente interpretazione
del Giudice penale, secondo cui deve
ritenersi soggetto a concessione lo
spianamento di un terreno agricolo ed il
riporto di sabbia e ghiaia, al fine di
ottenerne un piazzale per deposito e
smistamento di autocarri e containers (cfr.
Cass. pen., 09.06.1982).
---------------
Passando ad esaminare la connessa questione,
relativa alla necessità della concessione
edilizia per la realizzazione di opere di
recinzione, va posto in luce che occorre
distinguere le differenti situazioni alla
stregua di due parametri: la natura e le
dimensioni delle opere e la loro
destinazione e funzione (cfr. TAR Lombardia,
Sez. IV, 29.12.2009, n. 6266; TAR Lazio,
Sez. II, 11.09.2009, n. 8644).
In base a tale criterio, può affermarsi che
non è necessario il permesso per costruire
modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno,
in quanto entro tali limiti la recinzione
rientra solo tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo
ius excludendi alios o comunque la
delimitazione e l'assetto delle singole
proprietà. Al contrario, la concessione è
necessaria quando la recinzione è costituita
da un muretto di sostegno in calcestruzzo
con sovrastante rete metallica, incidendo
esso in modo permanente e non precario
sull'assetto edilizio del territorio.
Applicando siffatti principi alla
fattispecie all’esame, va affermato che
l’opera realizzata (la costruzione di un
muro di cinta, alto circa m. 0,80 e lungo m.
120, con soprastanti paletti in ferro atti a
fissare una rete di protezione) non integra
un’ipotesi di mero esercizio dello ius
excludendi alios, ma una modifica
dell’assetto del territorio. Altrettanto è a
dirsi dello spandimento di uno strato di
ghiaia rullato sul manto erboso.
Siffatta conclusione risulta in linea con
quanto già affermato dalla Sezione (cfr.
sentenza n. 32 dell’11.01.2006) laddove ha
rilevato che “La realizzazione di una
recinzione metallica collocata lungo il
confine di proprietà, di un piazzale per la
sosta degli automezzi creato mediante
sbancamento e riporto di ghiaia nonché di
una vasca per la raccolta delle acque di
risulta del lavaggio non costituiscono
pertinenze e richiedono la preventiva
emissione del titolo abilitativo,
determinando un consistente impatto
sull'assetto del territorio, tenuto conto
che l'incidenza è sensibilmente accresciuta
dalla loro realizzazione in un contesto
tipicamente agricolo”
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1626 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un manufatto in legno di m. 1,50
x 1,50 x 2 "semplicemente appoggiato al
suolo ed in attesa di essere distrutto" ed
una roulotte "temporaneamente parcheggiata
in loco" costituiscono elementi suscettibili
di alterare durevolmente lo stato del suolo
inedificato, soggetti, come tali, a
concessione edilizia.
Quanto agli ulteriori motivi, relativi alla
parte dell’ordine di demolizione concernente
il manufatto in legno di m. 1,50 x 1,50 x 2
e la roulotte, il ricorrente rivela di non
avervi alcun concreto interesse allorché
dichiara che il primo è “semplicemente
appoggiato al suolo ed in attesa di essere
distrutto (come sarà distrutto)” e la
seconda solo “temporaneamente
parcheggiata” in loco, manifestando
quindi, al riguardo, acquiescenza alla
prescrizione di ripristinare lo stato dei
luoghi.
Va, comunque, rilevato che trattasi di
elementi suscettibili di alterare
durevolmente lo stato del suolo inedificato,
soggetti, come tali, a concessione edilizia
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 30.04.2010 n. 1177 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti di energia rinnovabile -
Esigenze di semplificazione procedimentale e
di liberalizzazione del sistema - Normativa
nazionale e comunitaria - Adempimenti
istruttori posti a carico del privato -
Criterio di stretta interpretazione ed
applicazione.
L’esigenza di semplificazione procedimentale
e di liberalizzazione del sistema riveste
natura particolarmente accentuata in materia
di impianti di energia rinnovabile, se solo
si tiene in debito conto, da un lato, che
gli impianti stessi sono considerati dalla
normativa nazionale (d.lgs. n. 387 del 2003)
come opere di interesse pubblico; dall’altro
lato, che la normativa comunitaria di
riferimento (2001/77/CE), nell’ottica di una
progressiva liberalizzazione del mercato
dell’energia, esprime un netto “favor”
per la produzione di energia derivante da
fonti rinnovabili e per la realizzazione dei
relativi impianti: in tale prospettiva, il
legislatore comunitario impone così agli
stati membri di rimuovere ogni ostacolo
normativo o di altro tipo all’aumento della
produzione di elettricità di questo tipo.
Atteso l’obiettivo di massima
semplificazione perseguito, ogni tipo di
adempimento istruttorio posto a carico del
privato deve essere soggetto ad un criterio
di stretta interpretazione ed applicazione.
Impianti di produzione
di energia elettrica da FER - Comune -
Introduzione di discipline regolatrici -
Strumentazione urbanistica e piano
regolamentare - Art. 12, c. 7 d.lgs. n.
387/2003.
Il Comune ha facoltà - anche in relazione a
quanto previsto dall’art. 12, comma 7, del
decreto legislativo n. 387 del 2003, nonché
dalla legge regionale pugliese n. 31 del
2008, circa le aree di particolare pregio
agricolo - di introdurre preventivamente
discipline regolatrici degli impianti di
produzione di energia elettrica da fonte
rinnovabile, sia a livello di strumentazione
urbanistica (per quanto attiene ai criteri
ed ai limiti di localizzazione) sia sul
piano regolamentare (per quanto attiene in
particolare al procedimento istruttorio, in
diretta applicazione dell’art. 117, sesto
comma, Cost.), di modo che un siffatto
quadro normativo comunale possa poi fungere
da parametro di conformità dei successivi
interventi proposti mediante DIA.
Impianti di produzione
di energia elettrica da FER - Opere di
interesse pubblico - Natura di opera
pubblica - Esclusione.
Gli impianti di produzione di energia
elettrica da fonte rinnovabile, benché di
interesse pubblico, non sono comunque
classificabili quali opere pubbliche.
Impianti di produzione
di energia elettrica - Interferenze con le
linee di comunicazione elettronica - Nulla
osta ministeriale - Procedimento urbanistico
- Diversità.
Il nulla osta ministeriale circa l’assenza
di interferenze con le linee di
comunicazione elettronica deve essere
acquisito all’interno del procedimento,
puntualmente delineato dalla legge regionale
pugliese n. 25 del 2008, concernente la
costruzione e l’esercizio di linee ed
impianti elettrici, il quale si colloca -in
funzione dell’esercizio dell’impianto
stesso- su un piano diverso rispetto a
quello urbanistico, tanto più che diversa -
rispetto a quella comunale - è l’autorità
che provvede ad attivarlo ed a concluderlo
(Provincia) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1064 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi soggetti a D.I.A. -
Art. 23 T.U.ED. - Amministrazione procedente
- Condizioni ostative ulteriori rispetto
alle previsioni normative - Illegittimità.
Poiché l’art. 23 del testo unico edilizia
richiede che gli interventi soggetti a
D.I.A., ai fini della loro ammissibilità,
siano unicamente conformi agli strumenti
urbanistici ed edilizi, alle norme di
sicurezza ed a quelle di carattere
igienico-sanitario, si deve ritenere che
fuori da tali ipotesi la PA procedente non
possa prospettare condizioni ostative alla
realizzazione dell’intervento ulteriori o
afferenti ad interessi non rientranti tra
quelli eminentemente ascritti alla sua sfera
di competenza (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1064 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Integrazione e regolarizzazione
documentale - Art. 46 codice degli appalti -
Limiti.
L’integrazione e la regolarizzazione
documentale ai sensi dell’art. 6, legge n.
241/1990 e dell’art. 46 del codice degli
appalti sono possibili purché non risulti
violata la par condicio, dovendosi quindi
escluderne l’utilizzazione suppletiva
dell’inosservanza di adempimenti
procedimentali significativi o dell’omessa
produzione di documenti richiesti a pena di
esclusione dalla gara (cfr.: Tar Catania, IV,
n. 395/2010).
Inoltre, la regolarizzazione non può essere
riferita agli elementi essenziali della
domanda, salvo che gli atti tempestivamente
prodotti contribuiscano a fornire
ragionevoli indizi circa il possesso del
requisito di partecipazione non
espressamente documentato; infine, si
richiede l’equivocità delle clausole del
bando relative alla dichiarazione od alla
documentazione da integrare o chiarire (TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 29.04.2010 n. 1287 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Certificazione ed accertamento
della regolarità contributiva - Disciplina
vigente nella Regione Siciliana.
Nella Regione siciliana, vige, in tema di
certificazione ed accertamento della
regolarità contributiva dei soggetti
partecipanti alle pubbliche gare, una
disciplina speciale e differenziata,
rinvenibile nel testo dell’art. 19 della
legge n. 109 del 1994, come modificato ed
integrato in più riprese dalla legislazione
regionale, e dalle disposizioni attuative
emanate con D.A. LL.PP. del 24.02.2006, in
forza delle quali la regolarità contributiva
al momento della gara è documentata mediante
produzione di certificazione rilasciata
dall’INPS, all’INAIL e dalla Cassa edile
(art. 1) ed è “certificata e/o
attestabile anche attraverso la produzione
di DURC “ (art. 2) “di data non
anteriore a 120 giorni dal rilascio”
(art. 4) (termine successivamente ridotto a
90 gg.): la corretta esegesi delle
disposizioni citate, non lascia spazio a
dubbi interpretativi se completata con
l’esame delle disposizioni contenute negli
artt. 5 e 6 del citato decreto, contenenti
disposizioni relative ai casi in cui il
concorrente non depositi o non sia,
comunque, in grado di depositare i documenti
di cui ai precedenti artt. 1 e 2
(silenzio-assenso; contenzioso sulla
regolarità contributiva; produzione di
dichiarazione sostitutiva).
Ne consegue che la regolarità contributiva è
correttamente dimostrata ai fini della
ammissione alla gara con la presentazione
del DURC valido ed efficace sulla base di
quanto prescritto dalle disposizioni
precedentemente citate, senza che, all’atto
dell’aggiudicazione provvisoria null’altro
debba essere richiesto al concorrente che
abbia presentato il suddetto documento,
completo in ogni sua parte, senza doversi
avvalere degli strumenti suppletivi di cui
all’art. 5 o della dichiarazione sostitutiva
di cui al successivo art. 6 del decreto
citato (CGA sent. n. 526/2009) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 29.04.2010 n. 1287 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti per le comunicazioni
elettroniche - Struttura progettata -
Impiego di cemento armato - Zona sismica -
Art. 18 L. n. 64/1974 - Applicabilità -
Fondamento.
In tema di impianti per le comunicazioni
elettroniche, ove la struttura progettata
prevede anche l’impiego di cemento armato e
si trova in zona sismica, trova applicazione
l’art. 18 della L. 64/1974: è irrilevante il
fatto che detta disposizione di legge non
sia espressamente richiamata nel catalogo
dei documenti previsto dall’allegato 13 del
Codice della Comunicazioni Elettroniche,
trattandosi di norma che deve essere
necessariamente applicata nel particolare
caso in cui le infrastrutture di
telecomunicazioni siano in concreto
progettate con particolari modalità tali da
rientrare sotto l’ambito previsionale della
predetta legge (TAR icilia-Catania, Sez. I,
sentenza 28.04.2010 n. 1255 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sulla legittimità dell'esclusione
di un concorrente che abbia presentato
l'offerta economica all'interno di una busta
trasparente.
Il riconoscimento di vantaggi sotto il
profilo fiscale e contributivo, nell'ottica
di un favor legislativo per le cooperative
sociali, e l'assenza di finalità di lucro
non precludono alle stesse di competere
nelle procedure per l'aggiudicazione degli
appalti pubblici.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
adottato da una commissione nei confronti di
un concorrente che abbia presentato la
propria offerta economica all'interno di una
busta trasparente, in quanto, per costante
giurisprudenza, in una gara basata sul
criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa i principi (inderogabili) della
parità di condizioni tra i concorrenti e del
regolare ed imparziale svolgimento della
gara possono essere rispettati solo se
l'offerta economica resta segreta fintanto
che non siano state valutate l'ammissibilità
dei concorrenti alla gara e le componenti
tecnico-qualitative dell'offerta.
L'esclusione da una gara d'appalto di un
soggetto che sia Cooperativa sociale e ONLUS
senza fine di lucro non ha alcun fondamento
testuale, dato che la normativa nazionale
non ha mai richiesto tra i requisiti di
partecipazione alle procedure concorsuali la
qualità di impresa commerciale né il fine di
lucro. D'altro canto l'introduzione di norme
di favore nei confronti di tali soggetti non
dà luogo ad alcuna diminuzione della loro
capacità giuridica con riferimento alla
partecipazione alle gare anche in virtù
dell'art. 1, c. 8, della Dirett. 18/2004/CE
(recepito dall'art. 3, c. 19, del D.Lgs.
163/2006) secondo il quale la locuzione "prestatore
di servizi" designa "una persona
fisica o giuridica ... che offra sul
mercato, rispettivamente, la realizzazione
di ....servizi". La direttiva europea
pone quindi come condizione preliminare
essenziale per poter contrattare con le
stazioni appaltanti l'essere già presente
sul mercato, senza alcuna limitazione alla
configurazione giuridica. In definitiva, le
norme generali in materia di partecipazione
alle gare pubbliche non legittimano
l'esclusione delle Cooperative sociali, e
non residuano dubbi circa la loro
possibilità di concorrere all'aggiudicazione
degli appalti sopra la soglia comunitaria ai
sensi della direttiva 2004/18.
Inoltre, il principio della parità di
trattamento non è violato per il solo motivo
che le amministrazioni ammettono la
partecipazione ad un procedimento di
aggiudicazione di un appalto pubblico di
organismi che beneficiano di sovvenzioni,
che consentono loro di presentare offerte a
prezzi notevolmente inferiori a quelli degli
altri concorrenti: infatti, se il
legislatore comunitario avesse avuto
l'intenzione di obbligare le stazioni
appaltanti ad escludere tali offerenti,
l'avrebbe espressamente indicato (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 26.04.2010 n. 3831 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nell’ambito della fascia di
rispetto autostradale o stradale il vincolo
di inedificabilità è assoluto per cui sono
irrilevanti le caratteristiche concrete
delle opere abusive realizzate nell’ambito
della fascia medesima; il divieto di
costruire è infatti in questo caso correlato
alla esigenza di assicurare un’area libera
utilizzabile dal concessionario
dell’autostrada -all’occorrenza- per
installarvi cantieri, depositare materiali,
per necessità varie e, comunque, per ogni
necessità di gestione relativa ad interventi
in loco sulla rete autostradale.
Le opere abusive realizzate all’interno
della fascia di rispetto autostradale, al di
fuori del perimetro del centro abitato, se
realizzate dopo l’imposizione del vincolo,
non sono suscettibili di sanatoria anche se
si tratta di mere sopraelevazioni di
manufatti preesistenti ed anche se l’opera
resti al di sotto del livello della strada.
Nell’ambito della fascia di rispetto
autostradale o stradale, come è stato
chiarito dalla giurisprudenza (vedi ex
multis C.d..S. 25.09.2002 n. 4927), il
vincolo di inedificabilità è assoluto per
cui sono irrilevanti le caratteristiche
concrete delle opere abusive realizzate
nell’ambito della fascia medesima; il
divieto di costruire è infatti in questo
caso correlato alla esigenza di assicurare
un’area libera utilizzabile dal
concessionario dell’autostrada -all’occorrenza-
per installarvi cantieri, depositare
materiali, per necessità varie e, comunque,
per ogni necessità di gestione relativa ad
interventi in loco sulla rete autostradale.
Premesso che il
divieto di edificazione nell’ambito della
fascia di rispetto autostradale è assoluto,
nel caso di specie le opere abusive non
risultano condonabili poiché innegabilmente
hanno comportato un aumento della superficie
utile del fabbricato preesistente; inoltre,
secondo la citata giurisprudenza seguita
anche da questo TAR (vedi Sez. 3^,
12.02.2003 n. 277), le opere abusive
realizzate all’interno della fascia di
rispetto autostradale, al di fuori del
perimetro del centro abitato, se realizzate
dopo l’imposizione del vincolo, non sono
suscettibili di sanatoria anche se si tratta
di mere sopraelevazioni di manufatti
preesistenti ed anche se l’opera resti al di
sotto del livello della strada
(TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 25.06.2007 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso di sopraelevazione di preesistente
fabbricato non è possibile derogare alle
distanze fissate dal piano mediante
allineamento col sottostante corpo di
fabbrica, atteso che, in assenza di una
apposita norma derogatoria, le due porzioni
di fabbricato, in quanto eseguite in tempi
diversi, restano regolate dalla disciplina
vigente al momento della rispettiva
costruzione.
Deve trovare applicazione, nel caso di
specie, l'indirizzo giurisprudenziale e i
principi già più volte affermati da questo
Tribunale, secondo cui “nel caso di
sopraelevazione di preesistente fabbricato
non è possibile derogare alle distanze
fissate dal piano mediante allineamento col
sottostante corpo di fabbrica, atteso che,
in assenza di una apposita norma
derogatoria, le due porzioni di fabbricato,
in quanto eseguite in tempi diversi, restano
regolate dalla disciplina vigente al momento
della rispettiva costruzione” (Tar
Sardegna n. 2014 del 27.09.2006; Tar Lazio,
Roma, sez. II, n. 557/1995; Tar Piemonte,
Torino, n. 849/2001).
Le medesime censure risultano altresì
fondate anche avuto riguardo alla
demolizione e ricostruzione del corpo di
fabbrica destinato a pollaio, dovendosi
ritenere che il mutamento di destinazione
d’uso della parte di fabbricato in questione
e il mutamento delle caratteristiche
edilizie del medesimo, comporti che
l’intervento edilizio debba essere
correttamente qualificato come nuova
costruzione e, in quanto tale, debba essere
soggetto alle limitazioni imposte dalle
norme urbanistiche in vigore al momento in
cui viene esaminata la domanda di
concessione edilizia ed in particolare a
quelle stabilite dalle norme di attuazione
del vigente piano di fabbricazione del
Comune di Narcao in materia di distanze dai
confini e dai fabbricati già esistenti
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 15.03.2007 n. 455 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
sopraelevazioni, poiché pacificamente
includibili nella categoria delle “nuove opere”,
risultano sottoposte al regime delle
distanze previsto per queste ultime, pur se
con opportune armonizzazioni con il
principio della prevenzione; per cui, in
linea generale, sia il preveniente che il
prevenuto possono costruire sul filo della
precedente costruzione, e, solo se non
ritengano di rispettare tale linea
costruttiva, devono osservare dall’altro
fabbricato, indipendentemente dal
superamento o meno del livello di
quest’ultimo, il distacco minimo previsto
dal codice civile o dal regolamento locale.
Osserva il Tribunale che, se è certamente
vero che una sostituzione (eventualmente con
modifiche) della struttura costituente la
copertura di un edificio già esistente non
può, ex sé, costituire una
sopraelevazione, poiché in tal caso
l’attività edilizia viene ad essere soltanto
volta ad assicurare il permanere di un
elemento accessorio indispensabile per
l’immobile; tuttavia quando –come nel caso
di specie– l’esecuzione di lavori comporta
innovazioni tali da determinare la creazione
di un nuovo volume utile per il proprietario
(ancorché “tecnico”, cioè non
utilizzabile per fini abitativi, esso
risulta però destinato ad un uso diverso,
quale “lavanderia”, “stenditoio”,
etc.), è evidente che l’opera non può non
qualificarsi come “sopraelevazione”,
trattandosi di nuove fabbriche, dotate di
autonoma utilità e determinanti
l’innalzamento dell’originaria altezza
dell’edificio (cfr. Cass. Civ. n° 7764 del
20.07.1999; Cass. Civ. n° 10568 del
24.10.1998; Cass. Civ. n° 5839
dell’01.07.1997; Cass. Civ. n° 5164 del
10.06.1997; Tribunale Bologna 24.06.1998, in
Arch. Locazioni 1999, 286).
Ebbene, anche le sopraelevazioni, poiché
pacificamente includibili nella categoria
delle “nuove opere”, risultano
sottoposte al regime delle distanze previsto
per queste ultime, pur se con opportune
armonizzazioni con il principio della
prevenzione; per cui, in linea generale, sia
il preveniente che il prevenuto possono
costruire sul filo della precedente
costruzione, e, solo se non ritengano di
rispettare tale linea costruttiva, devono
osservare dall’altro fabbricato,
indipendentemente dal superamento o meno del
livello di quest’ultimo, il distacco minimo
previsto dal codice civile o dal regolamento
locale (cfr. Cass. Civ. n° 9726 del
27.09.1993; Cass. Civ. n° 11284 del
15.10.1992; Cass. Civ. n° 8849 del
27.08.1990; Cass. Civ. n° 4352 del
24.06.1983; Cass. Civ. n° 3742 del
18.06.1982): ma nel caso di specie, oltre a
non essere stata rispettata la linea
costruttiva originaria (atteso che il nuovo
“tetto termico” risulta posto a
distanza di mt. 0,88 dal confine, ove
insistono le preesistenti fabbriche),
comunque la normativa locale attualmente
vigente impone in via assoluta un distacco
di mt. 5,00 dal confine stesso o di mt.
10,00 da fabbriche, cosicché la normativa
sulla prevenzione viene ad essere recessiva
e non più applicabile.
Pertanto, in
definitiva, è da escludere che a Barone
Francesco potesse essere consentito di
realizzare una sopraelevazione in
allineamento con l’originaria costruzione,
per cui la nuova opera avrebbe dovuto
rispettare le distanze imposte dalla citata
normativa regolamentare locale in vigore
(cfr. Cass. Civ. n° 200 dell’08.01.2001;
Cass. Civ. n° 10864 del 30.10.1998; Cass.
Civ. n° 5246 dell’11.06.1997; Cass. Civ. n°
3817 del 09.06.1986)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 29.11.2005 n. 2479 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
sopralzo di un fabbricato esistente è
subordinato al rispetto delle norme sulle
distanze dalle strade o da altre
costruzioni.
Il rilascio del titolo edilizio, con
riguardo alla parte dell’intervento
qualificabile come nuova costruzione, è
subordinato al rispetto delle norme sulle
distanze dalle strade o da altre costruzioni
(v. Cass. Civ., Sez. II, 16.03.2000, n.
3054; id., 24.05.2000, n. 6809; TAR Veneto,
sez. II, 22.04.2005, n. 1778, relative ad
interventi di sopraelevazione di edifici
esistenti)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 18.10.2005 n. 109 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo i principi generali
elaborati in campo civilistico in materia di
distanze tra edifici, anche la
sopraelevazione è considerata nuova
costruzione, la quale deve osservare le
distanze prescritte dalla legge.
In base alle disposizioni del Codice della
Strada e del suo regolamento di attuazione,
fuori dai centri abitati (come nel caso di
specie ove è stato perimetrato il centro
abitato), è fatto divieto di costruire o
ampliare gli edifici fronteggianti le
strade.
Detto divieto risulta reiterato, in quanto
norma di principio volta a tutelare la
pubblica incolumità, inderogabile da parte
delle amministrazioni, rispetto alla
disciplina previgente (r.d. n. 1740/1933,
art. 1 rimasto in vigore a seguito
dell’emanazione del vecchio codice della
strada del 1959; d.m. 01.04.1968, n. 1404,
art. 4).
Dette prescrizioni continuano a trovare
applicazione, indipendentemente
dall’avvenuta classificazione delle strade
ad opera delle amministrazioni locali,
stante il disposto di cui all’art. 234 del
Codice della Strada, nella parte in cui
dispone che “…Fino all’attuazione di tali
adempimenti (classificazione delle strade ad
opera degli enti proprietari) si applicano
le previgenti disposizioni in materia”.
Il richiamo, contenuto nel provvedimento
impugnato, alla sentenza di questo
Tribunale, n. 5363/2003, risulta pertinente
nella parte in cui si afferma che le
disposizioni contenute nella legge regionale
n. 24/1985, le quali consentono
l’ampliamento degli edifici esistenti
ubicati nelle zone di protezione delle
strade di cui al D.M. n. 1404/1968, sono
divenute incompatibili con l’art. 26 del
regolamento esecutivo del nuovo codice della
strada e soprattutto con l’art. 16 dello
stesso codice, da cui il divieto di
realizzare ampliamenti fronteggianti le
strade.
Detta incompatibilità deve ritenersi
sussistente anche con riferimento alla
disciplina previgente ancora applicabile
nelle more dell’attuazione delle nuove
disposizioni; pertanto, non può trovare
applicazione il richiamo alla normativa
regionale effettuato dalle norme contenute
nel regolamento edilizio comunale.
Nel caso di specie l’intervento progettato
dal ricorrente risulta in contrasto con il
divieto suddetto quanto meno con riferimento
alla parte in cui viene progettata la
sopraelevazione dell’edificio esistente, in
quanto, secondo i principi generali
elaborati in campo civilistico in materia di
distanze tra edifici, anche la
sopraelevazione è considerata nuova
costruzione, la quale deve osservare le
distanze prescritte dalla legge (cfr.
C.d.S., Sez. IV, n. 744/1980; Cons. Giust.
Amm. Sicilia, Sez. giurisd., n. 37/1997)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.04.2005 n. 1778 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’obbligo del rispetto della
distanza minima tra fabbricati frontistanti
è previsto non soltanto a tutela dei
proprietari frontisti, ma anche per finalità
di pubblico interesse e va dunque rispettato
anche nel caso di costruzioni abusive ed a
prescindere se sia intervenuta la relativa
sanatoria amministrativa.
Anche chi ha costruito abusivamente può
pretendere che l’altro fabbricato, pure
eseguito illegittimamente, sia ridotto a
distanza legale o, se del caso, abbattuto.
Non può fondatamente sostenersi che il
rilascio del provvedimento di condono
edilizio è precluso dalla violazione delle
norme sulle distanze, essendo l’atto volto a
regolare i rapporti tra privato costruttore
e pubblica amministrazione e restando
naturalmente illesi i diritti dei terzi, che
potranno essere fatti valere in sede di
giurisdizione civile, chiedendo, a seconda
dei casi, la demolizione delle opere abusive
od il risarcimento dei danni.
Le norme disciplinanti la distanza tra
fabbricati, da osservare in sede di rilascio
di concessione di costruzione, sono
applicabili anche nel caso di
sopraelevazione di un fabbricato
preesistente.
Il Tribunale deve disattendere l’eccezione
della controinteressata, secondo cui
l’obbligo di rispettare le distanze legali
non sussisterebbe, nella specie, in quanto
il fabbricato frontista è abusivo.
Per vero, l’obbligo citato è previsto non
soltanto a tutela dei proprietari frontisti,
ma anche per finalità di pubblico interesse
e va dunque rispettato anche nel caso di
costruzioni abusive ed a prescindere se sia
intervenuta la relativa sanatoria
amministrativa (cfr. Cass. civ., II Sez.,
24.05.2004 n. 9911 e 02.08.1995 n. 8476).
Ne consegue, sotto il versante del diritto
civile, anche chi ha costruito abusivamente
può pretendere che l’altro fabbricato, pure
eseguito illegittimamente, sia ridotto a
distanza legale o, se del caso, abbattuto
(cfr. Cass. civ., I Sez., 17.11.2003 n.
17339).
Infine, non può fondatamente sostenersi che
il rilascio del provvedimento di condono è
precluso dalla violazione delle norme sulle
distanze, essendo l’atto volto a regolare i
rapporti tra privato costruttore e pubblica
amministrazione e restando naturalmente
illesi i diritti dei terzi, che potranno
essere fatti valere in sede di giurisdizione
civile, chiedendo, a seconda dei casi, la
demolizione delle opere abusive od il
risarcimento dei danni (cfr. Cons. Stato, IV
Sez., 16.10.1998 n. 1306; TAR Toscana, III
Sez., 11.03.2004 n. 675).
Tanto esposto,
al collegio non resta che prendere atto di
quel che tra i contendenti è rimasto fuori
discussione: e cioè che la sopraelevazione
del fabbricato della controinteressata si
pone a distanza inferiore, per circa la
metà, rispetto a quella legale di ml. 3,
contenuta nell’art. 873 c.c. (sulla
tassatività ed inderogabilità delle norme
sulle distanze dai fabbricati, cfr. Cass.
civile, II Sez., 03.08.1999 n. 8383; Cons.
Stato, IV Sez., 12.07.2002 n. 3929).
D’altro canto, le norme disciplinanti la
distanza tra fabbricati, da osservare in
sede di rilascio di concessione di
costruzione, sono applicabili anche nel caso
di sopraelevazione di un fabbricato
preesistente (cfr. Cass. civile, II Sez.,
07.12.2004 n. 22895; TAR Molise 05.07.1990,
n. 186) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 22.04.2005 n. 665 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'obbligo
del rispetto della distanza minima assoluta
tra pareti finestrate e pareti di edifici
esistenti è inderogabile anche per la p.a.
preposta al rilascio della concessione
edilizia.
Il controricorso avversario si limita ad
osservare che la concessione edilizia
rilasciata fa salvi i diritti dei terzi e
che "non spetta al Giudice Amministrativo
indagare sulla effettiva distanza tra le
costruzioni o sulla natura delle stesse
circa la loro contiguità".
Il Collegio a tal proposito osserva che, per
costante giurisprudenza, l'obbligo del
rispetto della distanza minima assoluta tra
pareti finestrate e pareti di edifici
esistenti è inderogabile anche per la p.a.
preposta al rilascio della concessione
edilizia (Cons. giust. amm. sic., sez.
giurisdiz., 17.05.2000, n. 240, TAR Sicilia,
sez. 2^, Catania, 16.12.1993, n. 1003)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 31.01.2005 n. 140 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
costruzione può essere realizzata sul
confine del vicino limitatamente all’altezza
del preesistente muro di fabbrica, mentre
una volta superata tale altezza debbono
essere rispettate le distanze previste tra
le costruzioni dalla disciplina urbanistica.
Come correttamente evidenziato dal TAR, il ricorrente stava realizzando
una costruzione che era solo in parziale
aderenza con quanto costruito in precedenza
dal Sig. Greco, con superamento in altezza
del muro di confine, con la conseguenza che
parte della nuova costruzione era stata
edificata ad una distanza di circa 5 metri
dalla preesistente parete finestrata del
confinante, mentre il limite minimo in
questi casi era stabilito in 10 metri dalla
locale normativa urbanistica.
L’appellante non contesta detta situazione
di fatto ma sostiene che essendoci un muro
di confine tra i due fabbricati non
occorreva rispettare alcuna distanza per la
nuova costruzione.
Occorre invece tener presente che una
costruzione può essere realizzata sul
confine del vicino limitatamente all’altezza
del preesistente muro di fabbrica, mentre
una volta superata tale altezza debbono
essere rispettate le distanze previste tra
le costruzioni dalla disciplina urbanistica
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.11.2004 n. 7746 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della conformità urbanistica, laddove
la ristrutturazione edilizia -anche mediante
ricostruzione dell’edificio demolito-
mantiene tutti i parametri urbanistico
edilizi preesistenti quali la volumetria, la
sagoma, l’area di sedime, il numero delle
unità immobiliari, la conformità urbanistica
di riferimento è quella vigente all’epoca
della realizzazione del manufatto come
attestata dal titolo edilizio, e non quella
sopravvenuta al momento della esecuzione dei
lavori di ristrutturazione.
Laddove, invece, la ristrutturazione comporti
interventi che mutino i parametri urbanistico-edilizi già assentiti con il
titolo originario, quali ad esempio,
l’aumento del numero delle unità immobiliari
o il mutamento di destinazione d’uso è
richiesta la conformità alla disciplina
urbanistica vigente al momento
dell’esecuzione dei lavori di
ristrutturazione.
Il concetto di ristrutturazione edilizia,
quale enunciato dall’art. 31, lett. d, l.
05.08.1978, n. 431 “interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante
un insieme sistematico di opere che possono
anche portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente”,
ha subito nel tempo diversificate
interpretazioni e diffuse incertezze
soprattutto con riguardo alla
ristrutturazione per demolizione e
ricostruzione nella ricerca del quid novi
che distingue la fattispecie dalla
ristrutturazione.
La oggettiva difficoltà di individuazione
del “novum” ammissibile è stata
variamente trattata dalla giurisprudenza
attestatasi su posizioni contrapposte a
seconda che il concetto di ristrutturazione
fosse collegato all’obbligo di pagare gli
oneri di urbanizzazione in quanto nuova
costruzione, ovvero alla soggezione
dell’intervento alla più limitativa
normativa sopravvenuta.
Ad un primo orientamento che escludeva la
demolizione e ricostruzione dalla
fattispecie di ristrutturazione (Cons. St.,
V, 09.02.1996, n. 144), è seguito
l’orientamento trasfuso nel Testo Unico
dell’edilizia che ha compreso la fattispecie
nella categoria della “ristrutturazione”
purché “fedele” in quanto modalità
estrema di conservazione dell’edificio
preesistente nella sua consistenza
strutturale, essendosi ritenuto che “la
ricostruzione di un preesistente fabbricato
senza variazione o alterazione della
superficie, volumetria e destinazione d’uso,
non incide sul carico urbanistico già
esistente e non è pertanto assoggettato ad
oneri né al rispetto degli indici
sopravvenuti" (Cons. St., V, 10.08.2000,
n. 4397).
In recepimento degli indirizzi
giurisprudenziali formatisi in materia, il
TU dell’edilizia (06.06.2001, n. 380) ha
ricompreso tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia “quelli
consistenti nella demolizione e successiva
fedele ricostruzione di un fabbricato
identico quanto a sagoma, volumi, area di
sedime e caratteristiche dei materiali,
fatte salve le sole innovazioni necessarie
per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
L’art. 1, co. 6, l. 443/2001 ha ricompreso
tali interventi tra quelli ammissibili
previa denuncia di inizio attività,
sostanzialmente considerando l’intervento “conservativo”
e non “nuova costruzione”.
L’art. 1 del d.lgs. 27.12.2002,
n. 301 ha modificato l’art. 3, in parte qua,
eliminando la locuzione “fedele
ricostruzione di un fabbricato identico,
quanto a sagoma, volumi, area di sedime e
caratteristiche di materiali a quello
preesistente” sostituito da
“ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente” (art. 1,
lett. a).
La demolizione e ricostruzione ha, quindi,
assunto una tipicità legislativa che ne fa
una figura autonoma nell’ambito della più
ampia categoria della ristrutturazione
edilizia, identificabile ove demolizione e
ricostruzione mantenga sagoma e volumetria
della preesistente costruzione.
Ciò, tuttavia, non consente di ritenere
degradata ad intervento edilizio minore la
ristrutturazione (solo perché operata
mediante ricostruzione “con la stessa
volumetria e sagoma” ex d.lgv.
301/2002), dovendosi ritenere implicito
anche nel concetto di ristrutturazione quale
delineato dal suddetto decreto legislativo,
il rispetto degli standards che attiene alla
individuazione del bene sotto l’aspetto
dell’inserimento della costruzione nel
territorio quale risulta disciplinato
dall’attività pianificatoria del Comune.
Ne consegue che, ai fini della
conformità urbanistica, laddove la
ristrutturazione edilizia anche mediante
ricostruzione dell’edificio demolito,
mantiene tutti i parametri urbanistico
edilizi preesistenti quali la volumetria, la
sagoma, l’area di sedime, il numero delle
unità immobiliari, la conformità urbanistica
di riferimento è quella vigente all’epoca
della realizzazione del manufatto come
attestata dal titolo edilizio, e non quella
sopravvenuta al momento della esecuzione dei
lavori di ristrutturazione.
In tal caso, infatti, è fatto salvo in capo
all’interessato, il diritto acquisito al
mantenimento, conservazione e
ristrutturazione dell’immobile esistente, in
quanto la legittimazione urbanistica del
manufatto da demolire si trasferisce su
quello ricostruito.
Laddove la ristrutturazione comporti
interventi che mutino i parametri
urbanistico-edilizi già assentiti con il
titolo originario, quali ad esempio,
l’aumento del numero delle unità immobiliari
o il mutamento di destinazione d’uso è
richiesta la conformità alla disciplina
urbanistica vigente al momento
dell’esecuzione dei lavori di
ristrutturazione
(TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 22.07.2004 n. 3210 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
facciata dell’edificio non va confusa o
compresa nel concetto di sagoma che, invece,
indica la forma della costruzione
complessivamente intesa, ovvero il contorno
che assume l’edificio. Ne consegue che la
previsione di balconi in luogo di finestre,
essendo relativa al prospetto non riguarda
il concetto di sagoma.
I prospetti costituiscono, infatti, un quid
pluris rispetto alla sagoma, attenendo
all’aspetto esterno e, quindi, al profilo
estetico architettonico.
Va osservato
che l’intervento progettato, malgrado lo
svuotamento effettuato all’interno del
fabbricato, risulta rispettoso della
precedente sagoma intesa quale involucro
esterno (contorno del fabbricato), essendo
rispettate le mura perimetrali e l’ingombro
dell’edificio.
La modifica dei prospetti, sui quali si è
incentrata la difesa giudiziale
dell’amministrazione attiene alla facciata
dell’edificio sicché non va confusa o
compresa nel concetto di sagoma che –come
detto- indica la forma della costruzione
complessivamente intesa, ovvero il contorno
che assume l’edificio. Ne consegue che la
previsione di balconi in luogo di finestre,
essendo relativa al prospetto non riguarda
il concetto di sagoma.
I prospetti costituiscono, infatti, un
quid pluris rispetto alla sagoma,
attenendo all’aspetto esterno e, quindi, al
profilo estetico architettonico.
La difformità dei prospetti rispetto
all’esistente non rileva di per sé nella
fattispecie in esame quale delineata dal
legislatore, ma può essere indizio della
modifica dei parametri vincolanti, siano
quelli fissati dalla legge (volumetria e
sagoma), siano quelli rivenienti dalla
disciplina urbanistico –edilizia della zona.
Né potrebbe sostenersi che la omissione del
riferimento ai prospetti nella definizione
legislativa della ristrutturazione ex art. 3,
T.U. 380/2001 sia dovuta a mera
dimenticanza, ovvero che il concetto di
sagoma comprenda anche il prospetto, atteso
che nella diversa fattispecie di
ristrutturazione di cui all’art. 10, TU
380/2001, i prospetti sono menzionati
espressamente e separatamente dalla sagoma
(TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 22.07.2004 n. 3210 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'articolo
878 del codice civile si riferisce soltanto
ad un muro che abbia entrambe le facce
isolate dalle altre costruzioni e non
racchiuda, quindi, uno spazio coperto con
una propria volumetria come nel caso in
esame e, pertanto, le norme tecniche di
attuazione di un Comune non sono autorizzate
a modificare la definizione codicistica.
Il ricorrente, in qualità di proprietario confinante, ha impugnato la
concessione edilizia in epigrafe indicata,
nonché l'articolo 27, commi 4° e 5°, delle NTA della variante al PRG, sulla
quale si fonda il rilascio del suddetto
provvedimento, con il quale la controinteressata è stata autorizzata a
costruire un fabbricato ad uso autorimessa,
di altezza di circa m. 3, da porsi sul
confine di proprietà per un fronte di m. 4,
deducendone l’illegittimità sotto vari
profili.
Si è costituito in giudizio il Comune
intimato che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
Non si sono costituiti in giudizio né la
provincia di Ferrara né la controinteressata.
L'istanza cautelare è stata accolta con
ordinanza n. 399 del 25.06.2003 e la
causa è stata trattenuta in decisione
all'udienza del 18.03.2004.
Il ricorso è fondato con specifico
riferimento alle censure di violazione degli
articoli 873 e 878 del codice civile e di
eccesso di potere per irragionevolezza e
falso presupposto di diritto.
Già in un'analoga controversia promossa
dall'odierno ricorrente avverso un'altra
simile costruzione da realizzare sempre sul
confine di proprietà da parte di un altro
confinante, sul lato nord, questo Tribunale
Amministrativo Regionale, con sentenza n.
2770 del 31.12.2003, ha rilevato uno
specifico contrasto tra l'articolo 27, comma
quinto, delle predette norme tecniche di
attuazione rispetto agli articoli suddetti
del codice civile.
Infatti, la citata disposizione comunale
dispone che "nelle zone residenziali
è possibile, anche in deroga alle distanze
fissate dall'articolo 12 delle presenti
norme, l'edificazione sul confine di
proprietà di edifici, privi di pareti
finestrate, di altezza esterna, intesa come
massimo ingombro, inferiore a metri tre,
senza necessità di convenzione tra
confinanti, intendendo tali edifici come
muri di cinta, ai sensi del codice civile".
Invero, come già precisato dalla suddetta
sentenza, l'articolo 878 del codice civile
si riferisce soltanto ad un muro che abbia
entrambe le facce isolate dalle altre
costruzioni e non racchiuda, quindi, uno
spazio coperto con una propria volumetria
come nel caso in esame e, pertanto, le norme
tecniche di attuazione di un Comune non sono
autorizzate a modificare la definizione codicistica.
Del resto la strumentazione urbanistica del
Comune intimato, per regola generale,
all'articolo 12, lettera c, dispone che gli
interventi di nuove costruzioni debbano
osservare una distanza minima di 5
metri dai confini di proprietà, riducibile a
metri 3 soltanto con apposita convenzione
tra confinanti, con ciò escludendo
l'applicazione diretta del criterio
civilistico della prevenzione, di cui
all’articolo 873 del codice civile, che non
può indirettamente essere reintrodotto
attraverso un'illogica ed illegittima
equiparazione di una vera e propria
costruzione, a tutti gli effetti, ad un muro
privo di volumetria coperta (TAR Emilia
Romagna, sez. II, sent. n. 2770 del 31.12.2003).
Per tali ragioni, di carattere assorbente
rispetto alle ulteriori censure dedotte, il
ricorso va accolto, e per l’effetto, si
conferma l’annullamento dell'articolo 27,
comma 5°, delle NTA della variante al
PRG del comune di Poggiorenatico (FE),
ivi comprese, in parte qua, le deliberazioni
di adozione e di approvazione meglio
indicate in epigrafe (già pronunciato con la
citata sentenza del TAR Emilia
Romagna, sez. II, sent. n. 2770 del 31.12.2003), nonché, per illegittimità
derivata, la concessione edilizia impugnata
n. C034/2002 rilasciata a Masina Margherita
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 08.04.2004 n. 509 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione tecnica di “ristrutturazione
edilizia” include anche la demolizione e
ricostruzione di un edificio preesistente
con la medesima volumetria e sagoma.
Alla stregua dell’insegnamento
giurisprudenziale prevalente e condivisibile
nonché dell’espressa definizione contenuta
nell’art. 1, sesto comma, lettera b), della
recente Legge 21.12.2001 n. 443, la nozione
tecnica di “ristrutturazione edilizia”
include anche la demolizione e ricostruzione
di un edificio preesistente con la medesima
volumetria e sagoma
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.01.2003 n. 232 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
“sagoma” di una costruzione concerne il
contorno che viene ad assumere l’edificio,
ivi comprese le strutture perimetrali con
gli aggetti e gli sporti, sicché solo le
aperture che non prevedono superfici
sporgenti non rientrano nella nozione di
sagoma.
E’ noto che la “sagoma” di una
costruzione concerne il contorno che viene
ad assumere l’edificio, ivi comprese le
strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti, sicché solo le aperture che non
prevedono superfici sporgenti non rientrano
nella nozione di sagoma (Corte di Cassazione
penale, III Sezione, 09.02.1998 n. 3849)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.01.2003 n. 232 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La “sagoma” attiene alla
conformazione planivolumetrica della
costruzione ed al suo perimetro inteso sia
in senso verticale sia orizzontale.
La Corte suprema ha avvertito (cfr., per
tutte, Cass. pen, Sez. III, 27.03.1998, n.
3849) che la “sagoma” attiene alla
conformazione planivolumetrica della
costruzione ed al suo perimetro inteso sia
in senso verticale sia orizzontale.
La sagoma di una costruzione, quindi,
concerne il contorno che viene ad assumere
l'edificio ivi comprese le strutture
perimetrali con gli aggetti e gli sporti,
sicché solo le aperture che non prevedano
superfici sporgenti rientrano nella nozione
di sagoma e sono sottoposte al regime delle
c.d. varianti in corso d'opera
(TAR Basilicata,
sentenza 17.10.2002 n. 628 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è suscettibile di sanatoria, ai sensi della
citata legge n. 47 del 1985, la
sopraelevazione di edificio che disti dal
ciglio dell’autostrada, all’esterno dei
centri abitati, meno di quanto previsto dal
d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è
stata realizzata dopo l’imposizione del
vincolo autostradale.
Il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede autostradale, posto
dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n.
729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non
può essere inteso restrittivamente e cioè
come previsto al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali emergenti
dal suolo e suscettibili di costituire, per
la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori,
per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale o che
costituiscano mere sopralevazioni o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti.
Le opere realizzate all’interno della fascia
di rispetto autostradale prevista al di
fuori del perimetro del centro abitato
(fascia di 60 metri) sono ubicate in aree
assolutamente inedificabili e, pertanto, se
costruite dopo l’imposizione del vincolo,
rientrano nella previsione di cui
all’articolo 33, comma 1, lettera d), della
legge 28.02.1985, n. 47 e non sono
suscettibili di sanatoria, anche se si
tratti di mere soprelevazioni di manufatti
preesistenti ed anche se l’opera resti al di
sotto del livello della strada.
A tale riguardo giova premettere che, ai
sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2
della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150
(articolo aggiunto dall’articolo 19 della l.
06.08.1967, n. 765) “Fuori del perimetro
dei centri abitati debbono osservarsi
nell’edificazione distanze minime a
protezione del nastro stradale, misurate a
partire dal ciglio della strada. Dette
distanze vengono stabilite con decreto del
Ministro per i Lavori pubblici di concerto
con i Ministri per i trasporti e per
l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in
vigore della presente legge, in rapporto
alla natura delle strade ed alla
classificazione delle strade stesse, escluse
le strade vicinali e di bonifica”.
Tale vincolo di inedificabilità è
configurato come assoluto nel caso di
autostrade per le aree situate al di fuori
del centro abitato, perché -ai sensi del
D.M. 01.04.1968- è esclusa ogni possibilità
di deroga alla distanza minima, fissata in
60 metri (la fascia di rispetto è, invece,
ridotta a 25 metri all’interno del perimetro
del centro abitato ed è derogabile a mente
dell’articolo 9, comma 1 della legge
24.07.1961, n. 729).
Il ricorrente,
che ha realizzato un’opera abusiva
all’interno della predetta fascia di
rispetto ed al di fuori del perimetro del
centro abitato, non può, inoltre, avvalersi
della possibilità di sanatoria offerta
dall’articolo 32, comma 4, lettera c), della
citata legge n. 47 del 1985 (per cui “Sono
suscettibili di sanatoria, alle condizioni
sottoindicate, le opere insistenti su aree
vincolate dopo la loro esecuzione e che
risultino: […] c) in contrasto con le norme
del D.M. 01.04.1968 pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.04.1968,
sempre che le opere stesse non costituiscano
minaccia alla sicurezza del traffico”),
perché nella fattispecie in esame il vincolo
sull’area era stato imposto prima della
costruzione del manufatto.
Trova, allora, applicazione la norma di cui
all’articolo 33, comma 1, lettera d), della
legge 28.02.1985, n. 47, che esclude la
possibilità di sanatoria delle opere di cui
al precedente articolo 31 “quando siano
in contrasto con i seguenti vincoli, qualora
questi comportino inedificabilità e siano
stati imposti prima della esecuzione delle
opere stesse: […] d) ogni altro vincolo che
comporti la inedificabilità delle aree”.
In tal senso si è espressa sia la
giurisprudenza della Corte di cassazione
(cfr. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193, per
cui non è suscettibile di sanatoria, ai
sensi della citata legge n. 47 del 1985, la
sopraelevazione di edificio che disti dal
ciglio dell’autostrada, all’esterno dei
centri abitati, meno di quanto previsto dal
d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è
stata realizzata dopo l’imposizione del
vincolo autostradale; v. anche Cass. civ.,
26.01.2000, n. 841, che per tale ragione
esclude la natura edificatoria del terreno
rientrante nella fascia di rispetto) sia
quella del Consiglio di Stato (Sez. V,
08.09.1994, n. 968, che qualifica come
inedificabile l’area ricompresa nella
predetta fascia di rispetto).
Va, inoltre, osservato che il carattere
assoluto del vincolo sussiste a prescindere
dalla concrete caratteristiche dell’opera
realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede autostradale, posto
dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n.
729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non
può essere inteso restrittivamente e cioè
come previsto al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali emergenti
dal suolo e suscettibili di costituire, per
la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori,
per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (in termini,
Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che
costituiscano mere sopraelevazioni (v. la
citata Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o
che, pur rientrando nella fascia, siano
arretrate rispetto alle opere preesistenti
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.09.2002 n. 4927 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 13.05.2010 |
ã |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla questione della necessità o
meno della D.I.A. per l'installazione di
impianti fotovoltaici ed eolici.
Semplificazione amministrativa per gli
impianti per la produzione di energia da FER.
Con d.g.r. 25.11.2009, n. 10622, pubblicato
sul BURL in data 01/12/2009 Serie
Straordinaria n. 48, sono state pubblicate
le “Linee guida per autorizzazione di
impianti per la produzione di energia da
Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) –
Impianti fotovoltaici, eolici e Valutazione
Impatto Ambientale degli stessi”.
Dette linee guida sono volte ad armonizzare
l’esercizio delle funzioni amministrative
per autorizzare gli impianti di produzione
di energia da fonti energetiche rinnovabili,
funzioni conferite alle Province lombarde
con legge regionale n. 26 del 12.12.2003
(articolo 28, comma 1, lettera e-bis).
Regione Lombardia ha da tempo avviato un
percorso volto alla promozione e
incentivazione delle fonti rinnovabili
attraverso la definizione di specifiche
azioni all’interno del Piano d’Azione per
l’Energia, mancava però un sistema di regole
semplificato e condiviso con gli enti locali
preposti al rilascio dell’autorizzazione ai
sensi del d.lgs. 387/2003.
Le presenti Linee guida sviluppano il
percorso amministrativo per arrivare a
realizzare un qualsiasi impianto per la
produzione di energia da FER, mentre dal
punto di vista tecnico affrontano solo le
tecnologie fotovoltaico ed eolico.
Le rimanenti tecnologie, impianti a
biomassa, impianti a gas di discarica, a gas
residuati dai processi di depurazione e
biogas verranno affrontate in un secondo
momento.
L’intera pubblicazione sul BURL è corredata
anche dalle “Linee guida per le
valutazioni ambientali degli impianti per la
produzione di energia da fonte rinnovabile”
strumento necessario per svolgere
correttamente la procedura di verifica di
assoggettabilità alla VIA e di VIA per gli
stessi impianti.
Di seguito le due circolari emanate da
Regione Lombardia che chiariscono alcuni
punti delle Linee guida:
2-
Chiarimenti in merito alla d.G.R.
25.11.2009 n. 10622 "Linee guida per
l'autorizzazione di impianti per la
produzione di energia da fonti Energetiche
Rinnovabili (FER) - impianti fotovoltaici ed
eolici" (circolare
25.03.2010 n. 2);
1-
Chiarimenti in merito alla d.G.R.
25.11.2009 n. 10622 "Linee guida per
l'autorizzazione di impianti per la
produzione di energia da fonti Energetiche
Rinnovabili (FER) - impianti fotovoltaici ed
eolici per la valutazione ambientale degli
stessi impianti" (circolare
02.03.2010 n. 1). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L. D'Angelo,
Il ritardo amministrativo: qualche
implicazione sistematica (link a
www.altalex.com). |
NEWS |
VARI:
Sviluppo economico, una guida per inquinare
meno.
Pubblicata sul sito del Ministero dello
Sviluppo Economico la GUIDA 2010 sul
risparmio di carburante e sulle emissioni di
CO2 delle autovetture.
All'interno della guida è possibile
consultare i dati dei consumi nei vari cicli
(urbano, extraurbano e misto) e delle
emissioni di tutti i modelli di automobile
in vendita al 28.02.2010, completi anche di
una lista dei modelli che emettono meno
anidride carbonica, divisi per alimentazione
a benzina o a gasolio.
Una menzione speciale viene riservata ad
alcuni modelli che ottengono gli stessi
risultati mediante alimentazione "bifuel"
(con utilizzo di GPL o metano), oppure con
propulsione ibrida (motore a benzina più
motore elettrico).
La Guida offre, inoltre, consigli agli
automobilisti per una guida ecocompatibile,
con suggerimenti utili anche dal punto di
vista della sicurezza stradale e
dell'economicità.
I consigli sono utili anche per limitare
l'inquinamento da gas di scarico, problema
collegato a quello delle emissioni di
anidride carbonica (un'automobile più
efficiente produce minori emissioni di
entrambi i tipi).
Minori consumi permettono anche di ridurre
le importazioni di petrolio, con effetti
benefici sulla bilancia commerciale (link a
www.governo.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Le valutazioni in ordine alla
gravità delle condanne riportate dai
concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica
ed alla loro incidenza sulla moralità
professionale spettano esclusivamente alla
stazione appaltante e già al concorrente
medesimo.
Questi è pertanto obbligato a indicare tutte
le condanne riportate, non potendo operare
alcuna selezione delle condanne
eventualmente riportate ed omettendo
pertanto la dichiarazione di alcune di esse
sulla base meri criteri personali.
L’esistenza di false dichiarazioni sul
possesso dei requisiti, quali la mancata
dichiarazione di sentenze penali di
condanna, si configura come causa autonoma
di esclusione.
Secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di
discostarsi, le valutazioni in ordine alla
gravità delle condanne riportate dai
concorrenti ad una gara ad evidenza pubblica
ed alla loro incidenza sulla moralità
professionale spettano esclusivamente alla
stazione appaltante e già al concorrente
medesimo.
Questi è pertanto obbligato a indicare tutte
le condanne riportate, non potendo operare
alcuna selezione delle condanne
eventualmente riportate ed omettendo
pertanto la dichiarazione di alcune di esse
sulla base meri criteri personali (C.d.S.,
sez. IV, 10.02.2009, n. 740; sez. V,
06.12.2007, n. 6221).
Orbene, nel
caso in esame, non vi è alcun dubbio sulla
circostanza (giammai oggetto di qualsiasi
contestazione) che effettivamente nella
autodichiarazione resa dal legale
rappresentante dell’Impresa Pietro Vitali
s.r.l. ai fini della partecipazione alla
gara di cui si discute era stata omessa
l’indicazione delle sentenze penali di
condanne pronunciante nei confronti dei
signori Pietro e Mosè Vitali.
E’ stata in tal modo violata espressamente
la lex specialis di gara, come ha
puntualmente precisato l’amministrazione
appaltante nella motivazione dell’impugnato
provvedimento di decadenza
dall’aggiudicazione, atteso che “…la
legge –nonché il bando e il disciplinare di
gara con relativi allegati– obbliga(va) i
partecipanti alle gare a rendere
dichiarazioni complete e veritiere, recanti
l’esatta indicazioni di tutti i precedenti
penali, ivi inclusi quelli per i quali sia
stato concesso il beneficio della non
menzione”.
Sul punto deve ricordarsi che è stato
altrettanto condivisibilmente affermato che
l’esistenza di false dichiarazioni sul
possesso dei requisiti, quali la mancata
dichiarazione di sentenze penali di
condanna, si configura come causa autonoma
di esclusione (sez. V, 12.04.2007, n. 1723)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.05.2010 n. 2822 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
Il Consiglio di Stato conferma il
pronunciamento del TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza 02.07.2009 n. 4257 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo per gli oneri di
urbanizzazione si ritiene non dovuto ogni
qual volta l’intervento non sia idoneo a
determinare un aggravio del carico
urbanistico della zona.
Il contributo per gli oneri di
urbanizzazione ha ordinariamente funzione
sostitutiva delle relative opere; in
particolare, assolve all’obiettivo di
ridistribuire i costi sociali delle stesse
avuto riguardo all’aggravamento del carico
urbanistico che l’intervento considerato
andrà a determinare nella specifica zona in
cui è destinato a ricadere. Si ritiene
infatti generalmente non dovuto ogni qual
volta l’intervento stesso non sia idoneo a
determinare un aggravio del carico
urbanistico della zona (cfr. sul punto da
ultimo Tar Campania, Napoli, 26.06.2008
n.6271).
Che per espressa prescrizione di legge il
quantum di tali oneri venga determinato
attraverso tabelle che assumono tra i
parametri di riferimento anche le
destinazioni di zona previste dallo
strumento urbanistico generale, non è
dubitabile. Tuttavia, il presupposto della
richiamata disciplina è l’ontologica
coincidenza tra la destinazione di zona e la
destinazione d’uso del manufatto da
realizzarsi; coincidenza dalla quale in
regime ordinario non può prescindersi, pena
l’illegittimità del titolo autorizzatorio
cui il computo degli oneri si riconnette.
Siffatto
presupposto, tuttavia, può rivelarsi
insussistente in ipotesi di condono extra
ordinem.
In tali casi, invero, oggetto di sanatoria è
l’opera in sé considerata, quand’anche in
contrasto con la destinazione della zona in
cui è stata realizzata. Il titolo
autorizzatorio viene eccezionalmente
rilasciato –a certe condizioni- proprio in
assenza della conformità del manufatto alle
previsioni dello strumento urbanistico
generale; in particolare ai parametri e alle
destinazioni di zona. In buona sostanza,
alle norme dettate per l’edificazione della
zona stessa.
Proprio tali deroghe giustificano il rimedio
e le procedure straordinari.
Se, pertanto, il principio ispiratore della
normativa di settore è quello della
corrispettività tra oneri di urbanizzazione
e costi delle relative opere connesse
all’edificazione, in ipotesi di non
coincidenza tra la destinazione
dell’intervento e quella della zona in cui
lo stesso è stato realizzato (come nella
fattispecie in esame), è necessario
rintracciare un criterio correttivo che
consenta di evitare distorsioni nell’ottica
di sistema; che consenta cioè di
salvaguardare l’intento perequativo e la
corrispettività sottesi all’obbligo di
contribuzione –diretta o indiretta-
correlato alla realizzazione di nuovi
interventi edilizi.
Per preservare, dunque, il sostanziale
collegamento tra il contributo concretamente
dovuto e la specifica entità edilizia cui
esso si riferisce, intesa nella sua natura,
destinazione e consistenza non rimane che un
opzione: dovrà aversi riguardo non già alle
astratte tipologie consentite dalla
destinazione di zona bensì alla destinazione
in concreto attuata dal manufatto, posto che
–si ribadisce- oggetto di condono è proprio
l’immobile in sé considerato, avulso dal
contesto in cui lo stesso sia venuto a
collocarsi.
Non vi osta il dato normativo (la legge sul
condono opera un mero rinvio alla legge n.
10/1977 per il pagamento degli oneri e
questa non fornisce i criteri per
l’applicazione delle tabelle ivi contemplate
alla peculiare fattispecie della non
coincidenza tra destinazione d’uso e
destinazione di zona); e diversamente
opinando si perverrebbe ad un risultato in
contrasto con il richiamato principio della
corrispettività: si farebbero gravare sul
singolo intervento non già i costi
rapportati all’aumento del carico
insediativo determinato dall’intervento
stesso, bensì i costi di urbanizzazione
dell’intera zona in relazione ad una
destinazione (nel caso di specie
artigianale-produttiva) che resterebbe
comunque estranea alla zona de qua. Questa,
invero, nel suo complesso, conserverebbe la
destinazione originaria.
In buona sostanza risulterebbe tradito
proprio il principio ispiratore di tutta la
disciplina e la quantificazione degli oneri
di urbanizzazione finirebbe per assumere –al
pari dell’oblazione- una valenza
sanzionatoria estranea allo spirito della
legge. Come già rimarcato, le disposizioni
in materia di condono (più specificamente
l’art. 37 della legge n. 47/1985 e la
Circolare Ministero LL.PP. n. 2241 del
17.06.1995) operano un mero rinvio alle
norme della legge n. 10/1977 in materia di
oneri di urbanizzazione da corrispondersi in
aggiunta all’oblazione; di tali
disposizioni, pertanto, mutuano
inevitabilmente la ratio della
corrispettività
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1735 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di condono edilizio,
il momento
rispetto al quale va calcolato l’importo
degli oneri di urbanizzazione è quello di
presentazione della domanda di condono e non
già in quello di rilascio della concessione
stessa.
Nel caso di
concessione in sanatoria ex art. 31
della legge n. 47/1985 la costruzione
precede e non segue il rilascio del titolo,
sicché la giurisprudenza ha individuato il
momento rispetto al quale va calcolato
l’importo degli oneri di urbanizzazione in
quello di presentazione della domanda di
condono e non già in quello di rilascio
della concessione stessa, preso in
considerazione dalla legge n. 10/1977 (e
oggi dal T.U. edilizia) in relazione però
all’ordinario regime edilizio (cfr. C.d.S.,
Sez. V, 17.09.2002, n. 4716)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1735 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A prescindere dalla ricostruzione
dottrinaria alla quale si aderisca, la
D.i.a. va impugnata comunque nel termine
decadenziale.
Il caso commentato dimostra come la tutela
nei confronti della DIA prescinda dalla
scelta dottrinaria in ordine alla sua
natura. In effetti sia che si voglia
ricondurre la denuncia nell'alveo degli atti
privati, sia che le si voglia attribuire il
valore di provvedimento (di implicito
provvedimento), quando si voglia evidenziare
l'irregolarità della medesima non si può
prescindere dal ricorso alla via giudiziaria
in tempi utili. Anche un ricorso avverso una
DIA deve essere pertanto presentato nel
termine decadenziale di 60 giorni
dall'avvenuta conoscenza della DIA come
stabilito dall'art. 21 della legge TAR.
Secondo i giudici di Palazzo Spada
quand'anche si volesse attribuire alla DIA
il valore di atto privato, l'azione volta
all'accertamento della insussistenza dei
suoi requisiti sarebbe comunque assoggettata
al termine decadenziale. Se poi, come è
accaduto nel caso oggetto della sentenza, il
privato abbia impugnato la nota
dell'amministrazione con la quale la
medesima, negando la necessità del ricorso
all'autotutela, confermava la validità della
DIA, di certo, la tardività
dell'impugnazione sarebbe manifesta.
A fronte di un’istanza di un privato intesa
a sollecitare l’esercizio di poteri di
autotutela, l’Amministrazione non ha alcun
obbligo di rispondere in modo espresso; dal
che non può non discendere anche che,
qualora l’istanza sia riscontrata con un
atto nel quale l’Amministrazione si limita a
escludere l’avvio di un procedimento di
autotutela, tale atto non è autonomamente
impugnabile, risolvendosi in una mera
conferma della legittimità del precedente
operato della stessa Amministrazione, ormai
definitivo e inoppugnabile (al contrario, in
caso di effettivo esercizio dei poteri di
autotutela, gli atti eventualmente posti in
essere –di annullamento, revoca o
quant’altro– potranno naturalmente essere
impugnati dagli interessati, costituendo
rinnovata esplicazione del potere pubblico).
In definitiva, la persona interessata che
abbia avuto conoscenza dell'esistenza della
DIA, legittimamente può far valere i propri
diritti seguendo strade alternative a quella
della proposizione di un ricorso
giurisdizionale (esercizio di azioni in sede
civile, sollecitazione di interventi in
autotutela alla stessa Amministrazione
comunale), ciò però, a causa del decorso del
tempo, le preclude la possibilità di poter
in seguito esperire tale rimedio (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2558 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli oneri concessori sono a
carico di chi richiede l'autorizzazione
edilizia e non dell'acquirente dell'opera
realizzata in base al titolo.
E’ invero pacifico (art. 4 legge n. 10/1977)
che gli oneri di costruzione connessi al
rilascio di una concessione edilizia debbano
essere assolti da colui che chiede
l’autorizzazione e, successivamente,
realizza le opere di trasformazione edilizia
ed urbanistica assentite, ovvero dai suoi
successori o aventi causa nella titolarità
del titolo edilizio subentrati
nell’esercizio dell’attività edificatoria,
restando infondata la pretesa di rivolgere
la richiesta di tale adempimento ai soggetti
acquirenti delle opere realizzate in forza
dell’autorizzazione edilizia (cfr: Cass.
Civ., III, 17.06.1996 n. 5541) (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 04.05.2010 n. 1079 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il lucro cessante da mancata
aggiudicazione può essere risarcito per
intero solo quando l’impresa documenti di
non aver potuto utilizzare mezzi e
maestranze, lasciati disponibili, per
l’espletamento di altre commesse.
– Tar per la Puglia sede di Bari 1702/2010
I canoni della ragionevolezza e del favor
partecipationis non consentono di
sanzionare con l’esclusione dalla gara i
concorrenti che incorrano in incompletezze o
errori lievi e meramente formali, privi di
incidenza sulla par condicio e sul corretto
svolgimento della procedura (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 02.12.2008 n. 5931).
Quanto alla
misura del lucro cessante risarcibile, in
adesione al più recente orientamento della
giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V,
13.06.2008 n. 2967; Id., sez. VI, 09.06.2008
n. 2751; Id., sez. VI, 21.05.2009 n. 3144),
il Collegio ritiene che il criterio del 10%
del prezzo, ai sensi dell’art. 345 della
legge n. 2248 del 1865, se pure è in grado
di fondare una presunzione su quello che
normalmente è l’utile che una impresa trae
dall’appalto, non possa essere oggetto di
applicazione automatica e indifferenziata,
che rischierebbe di condurre al risultato
che il risarcimento dei danni è per
l’imprenditore più favorevole dell’impiego
del capitale. Appare allora preferibile
l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a
carico dell’impresa, della percentuale di
utile effettivo che avrebbe conseguito se
fosse risultata aggiudicataria dell’appalto,
prova desumibile in primis dall’esibizione
dell’offerta economica presentata al seggio
di gara.
La stessa giurisprudenza ha inoltre
precisato che il lucro cessante da mancata
aggiudicazione può essere risarcito per
intero solo quando l’impresa documenti di
non aver potuto utilizzare mezzi e
maestranze, lasciati disponibili, per
l’espletamento di altre commesse, mentre
quando tale dimostrazione non sia stata
offerta è da ritenere che l’impresa possa
avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e
manodopera per lo svolgimento di altri
analoghi lavori, così vedendo in parte
ridotta la propria perdita di utilità e con
conseguente riduzione in via equitativa del
danno risarcibile, in applicazione del
principio dell’aliunde perceptum. Con
la specificazione che l’onere di provare
l’assenza dell’aliunde perceptum
grava non sull’Amministrazione, ma
sull’impresa ricorrente
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 03.05.2010 n. 1702 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Fanghi di depurazione -
Utilizzo in agricoltura - Disciplina
applicabile - D.Lgs. n. 99/1992 - Art. 92,
c. 6 d.lgs. n. 152/2006 - Rinvio al Codice
di Buona Pratica Agricola.
Il D.Lg. 99/1992, emesso in attuazione della
direttiva comunitaria 86/278, per
disciplinare l’uso di fanghi di depurazione
in agricoltura, pur favorendone la corretta
utilizzazione, ha il preciso scopo di
“evitare effetti nocivi sul suolo, sulla
vegetazione, sugli animali e sull’uomo”.
Per conseguire tale finalità, detta
disposizioni precise e dettagliate, che
concretano una disciplina completa ed
esauriente, la quale, allo stato, è l’unica
applicabile al settore. Infatti il
successivo D.Lg. 152/2006, pur occupandosi
delle “zone vulnerabili ai nitrati di
origine agricola”, non detta
prescrizioni puntuali, ma rinvia (art. 92,
comma 6) al Codice di Buona Pratica
agricola, di cui al D.M. del Ministero delle
politiche agricole e forestali del
19.04.1999, che, a sua volta, rinvia
anch’esso al D.Lg. 99/1992.
RIFIUTI - Fanghi di depurazione -
Utilizzo in agricoltura - Limiti previsti
dal d.lgs. n. 99/92 - Provincia - Previsione
di limiti diversi o ulteriori - Competenza -
Esclusione.
In tema di utilizzo di fanghi in
agricoltura, la Provincia (sino a quando la
Regione non abbia legiferato sul punto) non
ha alcun potere di imporre ulteriori o
diversi limiti rispetto a quelli
espressamente indicati dal D.Lg. 99/1992
(TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I,
sentenza 03.05.2010 n. 299 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Norme e vincoli a tutela
dell’ambiente - Competenza legislativa e
amministrativa in materia urbanistica -
Friuli Venezia Giulia - Art. 4, n. 12 dello
Statuto.
La possibilità di dettare norme, stabilire
vincoli e procedure a tutela dell'ambiente
naturale deve ritenersi compresa nella
competenza legislativa e amministrativa in
materia urbanistica, che è comune a tutte le
Regioni a statuto ordinario come a quelle
statuto speciale: per il Friuli-Venezia
Giulia l’urbanistica è indicata fra le
materie di competenza primaria dall’art. 4
n. 12 dello Statuto (Cfr., secondo una
giurisprudenza risalente, Cons. St., VI,
15.09.1986, n. 720).
Pianificazione del territorio -
Comuni - Coerenza con gli altri strumenti
pianificatori esistenti - Piani territoriali
paesistici - Tendenziale unitarietà ed
omogeneità dei diversi strumenti
pianificatori.
In sede di pianificazione del territorio i
Comuni non possono in alcun caso trascurare
l'esistenza e la cogenza di altri strumenti
pianificatori, ancorché riconducibili ad
altri soggetti istituzionali (in
particolare, i Comuni non possono
disattendere i piani territoriali paesistici
elaborati dalla Regione od altri piani
similari), considerata la tendenziale
unitarietà ed omogeneità delle previsioni
che devono caratterizzare, in un coordinato
assetto globale, i diversi strumenti
pianificatori del territorio: questo perché
il potere pianificatore è preordinato alla
ordinata programmazione e sviluppo delle
aree abitate ed alla salvaguardia dei valori
non solo urbanistici, ma anche dei valori
ambientali esistenti (Cfr., ex pluribus,
Cons. Stato, IV Sez., 14.12.1993, n. 1068;
TAR Lazio, II, 14.09.1994, n. 1028).
Autorità comunale - Vincoli
discendenti da provvedimenti a tutela degli
interessi storico, ambientale e paesistico -
Pedissequo recepimento - Esclusione - Nuove
e ulteriori limitazioni - Introduzione -
Possibilità.
L'Autorità urbanistica, nell'esercizio dei
suoi poteri di pianificazione, non è
vincolata - di norma - al pedissequo
recepimento dei vincoli discendenti dai
provvedimenti adottati dalle Amministrazioni
preposte alla tutela degli interessi di
carattere storico, ambientale e paesistico,
ma è legittimata ad una nuova e diversa
valutazione degli stessi: la quale, nel
rispetto dei vincoli predetti, può portare a
nuove ed ulteriori limitazioni (Cfr.,
secondo una giurisprudenza risalente, Cons.
Stato, Ap., 19.03.1985, n. 6; TAR Toscana,
16.11.1987, n. 1349).
Beni di valore ambientale e
paesistico - Categoria originariamente di
interesse pubblico - Vincoli - Equiparazione
ai vincoli imposti con provvedimenti
amministrativi comportanti l’espropriazione
- Esclusione.
I beni aventi valore ambientale e paesistico
costituiscono una categoria originariamente
di interesse pubblico, rispetto alla quale è
da escluderne l'equiparazione a quella
relativa ai vincoli imposti con
provvedimenti amministrativi comportanti la
espropriazione: vincoli - questi ultimi -
soggetti all'obbligo costituzionalmente
garantito di corrispondere un indennizzo.
Territorio comunale - Scelte
urbanistiche - Specifica motivazione -
Necessità - Esclusione - Variante.
Le scelte urbanistiche che l'Amministrazione
compie per la disciplina del territorio
comunale non comportano di regola la
necessità di una specifica motivazione che
tenga conto delle aspirazioni dei privati
(Cfr., per tutte, Cons. St., Ap.,
21.10.1980, n. 37; IV Sez., 11.01.1985, n.
2; IV Sez., 02.07.1983, n. 488; TAR
Friuli-Venezia Giulia, 24.09.1994, n. 349 e
26.07.2006, n. 482; 23.02.2002, n. 50).
Tale principio (che comunque non preclude al
giudice amministrativo di verificare se le
scelte operate siano irrazionali o
manifestamente illogiche e contraddittorie)
è operante anche quando l'Autorità
urbanistica adotti una variante, anche
generale, al piano vigente (Cfr. Cons. St.,
IV Sez., 30.06.1993, n. 642; IV Sez.,
02.07.1983, n. 488), sulla base di una
diversa valutazione delle esigenze pubbliche
(Cfr., Cons. St., IV Sez., 20.03.1985, n.
96), essendo sufficiente l'espresso
riferimento alla relazione d'accompagnamento
al progetto di modificazione (Cfr. Cons.
St., IV Sez., 04.03.1993, n. 240; IV Sez.,
11.12.1979, n. 1141), pur quando la variante
disponga vincoli sulla proprietà privata,
prevedendone l'espropriazione o la
inedificabilità assoluta (TAR Friuli Venezia
Giulia, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 267 - link
a www.ambientediritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
L'acquisizione sanante si applica
anche ai beni culturali.
Non vi è dubbio che l’acquisizione sanante
sia un istituto di carattere generale avente
la specifica finalità di far conseguire
all’amministrazione pubblica un bene anche
nel caso del mancato esito fruttuoso di
procedure espropriative in precedenza
svolte. Il Collegio non ravvisa, pertanto,
alcun ostacolo all’applicabilità
dell’istituto nelle ipotesi in cui la
medesima esigenza acquisitiva venga in
rilievo in rapporto a beni culturali.
Sarebbe del resto illogico e non
costituzionalmente orientato un diverso
opinare giacché -come condivisibilmente
osservato dal TAR- i beni culturali (per di
più, nella specie, già vincolati) sono
maggiormente bisognosi di una tutela
pubblica, soprattutto se compromessi sul
piano strutturale o funzionale (C.G.A.R.S.,
sentenza 21.04.2010 n. 558 - link
a www.altalex.com). |
URBANISTICA:
La natura espropriativa o
conformativa di un vincolo va individuata in
concreto.
La natura espropriativa o conformativa del
vincolo va verificata non in astratto, ma
sulla base della concreta disciplina
urbanistica impressa ai singoli suoli, al
fine di accertare –per l’appunto– se la
destinazione impressa agli stessi si risolva
in una sostanziale ablazione ovvero, non
svuoti di contenuto i diritti dominicali dei
proprietari (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.04.2010 n. 1982 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
Illuminazione pubblica,
telegestione e risparmio energetico,
affidamento diretto.
Ai sensi del
Codice dei contratti pubblici, deve
ritenersi legittima la delibera di
affidamento diretto e senza gara
dell’appalto per la realizzazione di un
sistema di telegestione e di risparmio
energetico sugli impianti di illuminazione
pubblica comunale
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 29.01.2010 n. 372 - link
a www.altalex.com). |
APPALTI:
La verifica dell’incidenza dei
reati commessi dal legale rappresentante
dell’impresa sulla moralità professionale
della stessa attiene all’esercizio del
potere discrezionale della P.A. e deve
essere valutata attraverso la disamina in
concreto delle caratteristiche dell’appalto,
del tipo di condanna, della natura e delle
concrete modalità di commissione del reato.
E' legittimo il provvedimento di esclusione
da una gara in relazione ad una sentenza di
condanna con sentenza passata in giudicato
per delitto che incide sul rapporto
fiduciario che si deve instaurare con la P.A..
L’esistenza di false dichiarazioni sul
possesso dei requisiti, quali la mancata
dichiarazione di sentenze penali di
condanna, si configura come causa autonoma
di esclusione dalla gara.
La
giurisprudenza afferma, –se si eccettuano i
reati relativi a condotte delittuose
individuate dalla normativa antimafia– in
assenza di parametri normativi fissi e
predeterminati, che la verifica
dell’incidenza dei reati commessi dal legale
rappresentante dell’impresa sulla moralità
professionale della stessa attiene
all’esercizio del potere discrezionale della
P.A. e deve essere valutata attraverso la
disamina in concreto delle caratteristiche
dell’appalto, del tipo di condanna, della
natura e delle concrete modalità di
commissione del reato (cfr. Cons. St., sez.
V, 18.10.2001, n. 5517; id., 25.11.2002, n.
6482).
La giurisprudenza di questo Consiglio
ritiene legittimo il provvedimento di
esclusione da una gara in relazione ad una
sentenza di condanna con sentenza passata in
giudicato per delitto che incide sul
rapporto fiduciario che si deve instaurare
con la P.A. (cfr. Cons. St., sez. IV,
20.01.2004, n. 2358).
La giurisprudenza è pressoché unanime
nell’affermare che l’esistenza di false
dichiarazioni sul possesso dei requisiti,
quali la mancata dichiarazione di sentenze
penali di condanna, si configura come causa
autonoma di esclusione dalla gara. Questo
Giudice (cfr. Cons. St., sez. V, 06.06.2002,
n. 3183) ha, infatti, sostenuto che, ai
sensi dell’art. 17, lett. m) del D.P.R. n.
34 del 2000, l’esistenza di false
dichiarazioni sul possesso dei requisiti per
l’ammissione agli appalti si configura come
causa di esclusione (cfr., con riferimento
alla omessa dichiarazione delle sentenze di
condanna riportate, Cons. St., sez. V,
25.01.2003, n. 352; Cons. St., sez. VI,
05.09.2002, n. 4483).
La ratio dell’art. 75, lett. c), del
D.P.R. n. 554/1999 è, infatti, quella di
assicurare che la pubblica amministrazione
contragga con società i cui titolari,
amministratori e direttori tecnici siano
persone affidabili moralmente e
professionalmente (cfr. Cons. St., sez. V,
12.10.2002, n. 5523) (Cons. Stato, Sez. V,
sentenza 12.04.2007 n. 1723 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 10.05.2010 |
ã |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA:
Detrazioni 55%: aggiornata la guida ENEA.
Il D.M. 26.01.2010, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 35 del 12/02/2010, ha
modificato i valori limite di trasmittanza,
previsti nel D.M. 11.03.2008, per usufruire
delle detrazioni fiscali del 55%.
Il decreto, che è entrato in vigore 30
giorni dopo la pubblicazione, cioè lo scorso
14 marzo, ha originato alcuni dubbi circa i
limiti da applicare per il periodo
01.01.2010–14.03.2010.
L'ENEA, di concerto con la Segreteria
Tecnica del ministero dello Sviluppo
economico, ha chiarito che è possibile
osservare i limiti precedenti (quelli cioè
stabiliti dal D.M. 11.03.2008) per coloro
che hanno acquistato, commissionato o
ordinato tra il 1° gennaio e il 14 marzo
2010 interventi di riqualificazione
afferenti al comma 345 della Finanziaria
2007, e che sarebbero soggetti a nuovi
valori di trasmittanza più restrittivi.
Con l'occasione l'ENEA ha aggiornato la
pubblicazione "La casa evoluta -
Detrazione IRPEF del 55% per interventi di
risparmio energetico sugli edifici", che
tratta i seguenti temi: ... (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per il risparmio
energetico è possibile derogare alle
distanze legali.
Sulla Gazzetta
Ufficiale n. 92 del 21.04.2010 è stato
pubblicato il d.lgs. 29.03.2010, n. 56
recante "Modifiche ed integrazioni al
decreto 30.05.2008, n. 115, recante
attuazione della direttiva 2006/32/CE,
concernente l'efficienza degli usi finali
dell'energia e i servizi energetici e
recante abrogazioni della direttiva
93/76/CEE.".
Tra le modifiche apportate al provvedimento
segnaliamo quelle apportate all'art. 11.
L'art. 11 del provvedimento prevede
incentivi "urbanistici" per gli
edifici (di nuova costruzione o esistenti)
più efficienti dal punto di vista
energetico.
Per gli edifici di nuova costruzione, in
particolare, il comma 1 del suddetto
articolo prevede che non siano considerati
nei computi per la determinazioni dei
volumi, delle superfici e nei rapporti di
copertura:
- gli spessori delle murature esterne,
delle tamponature o dei muri portanti
superiori ai 30 centimetri (per la sola
parte eccedente, fino ad un massimo di 25
cm.);
- il maggiore spessore dei solai e tutti
i maggiori volumi e superfici necessari
all'esclusivo miglioramento dei livelli di
isolamento termico o di inerzia termica
degli edifici (fino ad un massimo di 15 cm.
per i solai intermedi).
Sempre nel rispetto di tali limiti è
permesso derogare a quanto previsto dalle
normative nazionali, regionali o dai
regolamenti edilizi comunali, in merito:
- alle distanze minime tra edifici;
- alle distanze minime di protezione del
nastro stradale;
- alle altezze massime degli edifici.
Per gli edifici esistenti, sui quali si
intende realizzare interventi di
riqualificazione energetica che comportano
maggiori spessori delle murature esterne e
degli elementi di copertura, è prevista
(art. 11 comma 2) la deroga alle normative
nazionali e locali, alle distanze minime tra
edifici e dalle strade:
- nella misura massima di 20 cm. per il
maggiore spessore delle pareti verticali
esterne e delle altezze massime degli
edifici;
- nella misura massima di 25 cm. per il
maggior spessore degli elementi di
copertura.
Tale deroga può essere esercitata nella
misura massima da entrambi gli edifici
confinanti.
In base alle modifiche apportare dal D.Lgs.
56/2010, in entrambi i precedenti casi e
sempre nel rispetto dei limiti predetti, è
ora possibile derogare anche alle distanze
minime dai confini della proprietà.
È stata quindi ampliata la casistica
originariamente prevista dal D.Lgs.
115/2008, che prevedeva la possibilità di
non considerare gli spessori aggiuntivi di
elementi verticali, solai e coperture,
derogando ad altezze massime e distanze
minime tra edifici ...
(link a www.acca.it). |
SICUREZZA CANTIERI: Tutto
sul PiMUS (Piano di Montaggio, Uso e
Smontaggio dei Ponteggi).
Il PiMUS è un
documento operativo, da realizzare per ogni
specifico lavoro in cui è presente un
ponteggio, che deve essere preso a
riferimento dal personale addetto al
montaggio, all'uso e allo smontaggio dei
ponteggi, al fine di garantire:
* la loro sicurezza durante l'attività
* la sicurezza di chi, pur non utilizzando
il ponteggio, è "interessato" dalla
sua presenza: altri lavoratori del cantiere,
abitanti o fruitori di uno stabile in corso
di ristrutturazione
Il PiMUS è da redigere:
* per il ponteggio metallico fisso,
indipendentemente da dimensioni, complessità
e necessità di progetto
* per un impalcato o un'altra opera
provvisionale costruita con elementi di
ponteggi metallici fissi
* per un ponteggio realizzato con elementi
in legno
II PiMUS non deve essere redatto:
* per la realizzazione di opere
provvisionali diverse dai ponteggi, quali
ponti su ruote (trabattelli), ponti su
cavalietti, parapetti, ....
La redazione del PiMUS è a carico
dell'impresa che monta e smonta il ponteggio
e deve essere predisposto prima di iniziare
le attività sul ponteggio.
Sul sito della Regione Campania è
disponibile un documento dal titolo "Tutto
sul Piano di Montaggio Uso e Smontaggio dei
Ponteggi" a cura dell'ing. Antonio Scalzi
... (link a www.acca.it). |
APPALTI:
La gestione della sicurezza negli appalti
pubblici: gli atti degli incontri
organizzati da ITACA.
ITACA (Istituto per l'innovazione e
trasparenza degli appalti e la compatibilità
ambientale) ha reso disponibili sul proprio
sito gli atti relativi a tre incontri
(Palermo, Torino, Roma) sul tema della
gestione della sicurezza nei contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture.
Il 09.03.2010, presso la Sala delle
Conferenze della Camera dei Deputati a ROMA,
si è tenuto l'ultimo incontro del ciclo
organizzato dal Gruppo di Lavoro
interregionale "Sicurezza e Appalti"
di ITACA in collaborazione con le Regioni
Sicilia, Piemonte e Lazio.
Sono disponibili on line gli atti di
tutti gli incontri del ciclo che risultano
di notevole interesse per i professionisti e
le imprese che operano nell'ambito delle
opere pubbliche ma anche quelle che
prevalentemente operano con committenti
privati.
Di seguito il dettaglio degli interventi:
... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione degli ascensori in sicurezza.
SuvaPro è la divisione che si occupa della
sicurezza sul lavoro di SUVA, azienda
autonoma di diritto pubblico, l'assicuratore
più importante in Svizzera nel campo
dell'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni.
Nell'ambito dell'attività di prevenzione,
SUVA ha predisposto un opuscolo informativo
indirizzato ai responsabili dei lavori sui
cantieri e agli installatori delle ditte
fornitrici di ascensori.
La pubblicazione illustra alcune semplici
regole per garantire la sicurezza nell'uso
dei ponteggi per vani ascensore e nel
montaggio di ascensori senza l'ausilio di
ponteggi.
La pubblicazione è articolare nei seguenti
capitoli: ... (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
Attività edilizia libera: novità
nella conversione in legge del D.L. 40/2010.
Il nuovo testo reintroduce l'obbligo della
relazione tecnica, la cui inosservanza ha
però sanzioni lievi. Norme per reti in banda
larga e fibra ottica.
Nella seduta del 06/05/2010 la Camera
dei Deputati ha approvato, con voto di
fiducia sul maxi-emendamento interamente
sostitutivo, la conversione in legge del
D.L. 40/2010 (cosiddetto «decreto
Incentivi»).
Il provvedimento, il cui testo ha con ogni
probabilità assunto la sua veste finale,
passa ora al Senato per la conversione in
legge definitiva che dovrà avvenire entro il
25/05/2010.
Attività edilizia libera.
Come noto l'art. 5, il cui testo è stato ora
interamente sostituito rispetto alla
versione originaria, è volto ad ampliare,
mediante la sostituzione dell'art. 6 del
D.P.R. 380/2001, le tipologie di interventi
rientranti nell'attività edilizia libera,
realizzabili senza alcun titolo abilitativo
anziché mediante denuncia di inizio attività
(DIA). Le nuove tipologie riguardano, in
particolare, interventi di manutenzione
straordinaria, opere dirette a soddisfare
obiettive esigenze contingenti e temporanee,
opere di pavimentazione e di finitura di
spazi esterni, pannelli solari, fotovoltaici
e termici senza serbatoio di accumulo
esterno, aree ludiche senza fini di lucro ed
elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici (commi 1 e 2).
Il nuovo testo, nel sopprimere la clausola
che faceva salve le disposizioni più
restrittive della disciplina regionale,
prevede peraltro che le Regioni a statuto
ordinario possano estendere la
semplificazione a interventi edilizi
ulteriori rispetto a quelli previsti,
individuare ulteriori interventi edilizi per
i quali è necessario trasmettere al comune
la relazione tecnica ovvero stabilire
ulteriori contenuti per la medesima
relazione tecnica (comma 6).
Il nuovo testo dell'art. 6 differenzia
l'attività edilizia libera in due categorie,
a seconda che occorra una previa
comunicazione all'amministrazione comunale
dell'inizio dei lavori, anche per via
telematica, da parte dell'interessato,
insieme con le autorizzazioni eventualmente
obbligatorie ai sensi delle normative di
settore (comma 2). Esclusivamente per i
lavori di manutenzione straordinaria, che
includono nel nuovo testo l'apertura di
porte interne o lo spostamento di pareti
interne, la comunicazione deve contenere i
dati identificativi dell'impresa alla quale
intende affidare la realizzazione dei
lavori.
Per tali lavori, inoltre, il nuovo testo
prevede la trasmissione all'amministrazione
di una relazione tecnica, con la quale un
tecnico abilitato assevera che i lavori
siano conformi agli strumenti urbanistici e
ai regolamenti edilizi vigenti e che per
essi la normativa statale e regionale non
preveda alcun titolo abilitativo. Il tecnico
deve altresì dichiarare di non avere
rapporti di dipendenza con l'impresa né con
il committente (comma 4).
Su tale ultimo punto si osserva che la nuova
norma sembra essere addirittura più
restrittiva rispetto alla normativa vigente
prima dell'emanazione del decreto-legge,
secondo la quale, pur in presenza di
dichiarazione di inizio attività (DIA), il
progettista abilitato non deve
necessariamente dichiarare di non avere
rapporti di dipendenza con l'impresa né con
il committente.
Ai sensi del nuovo comma 5, per tutti gli
interventi l'interessato provvede alla
presentazione degli atti di aggiornamento
catastale entro 30 giorni dal momento della
variazione, secondo quanto previsto
dall'articolo 34-quinquies, comma 2, lettera
b), della L. 80/2006.
Viene inoltre specificato che la mancata
comunicazione dell'inizio dei lavori o la
mancata trasmissione della relazione tecnica
comportano la sanzione pecuniaria di 258
euro che può essere ridotta a due terzi se
la comunicazione è effettuata spontaneamente
quando l'intervento è in corso di esecuzione
(comma 7).
Il comma 8, infine, semplifica la procedura
relativa al rilascio del certificato di
prevenzione incendi (CPI) per gli interventi
citati, prevedendo che il CPI, ove
richiesto, sia rilasciato in via ordinaria
con l'esame a vista.
Installazione di reti e di
impianti di comunicazione elettronica.
Il
maxi-emendamento ha introdotto anche il
nuovo art. 5-bis, che mediante inserimento
dell'art. 87-bis del D.Leg.vo 259/2003
introduce procedure semplificate per la
realizzazione delle infrastrutture
necessarie alla rete di banda larga mobile.
In particolare, si prevede che per avviare
l'installazione di apparati con tecnologia
UMTS[53] o di altre tecnologie, su
infrastrutture per impianti radioelettrici
preesistenti, è richiesta la sola denuncia
di inizio attività. La denuncia resta priva
di effetti ove entro 30 giorni dalla
presentazione della domanda sia intervenuto
un provvedimento di diniego da parte
dell'ente locale competente, ovvero un
parere negativo da parte dell'organismo di
controllo.
Il comma 2, sostituendo il comma 15-bis
dell'art. 2 della L. 133/2008, interviene
sulle procedure di installazione delle reti
e degli impianti di comunicazione in fibra
ottica. Il comma 15-bis dispone attualmente
che per le predette opere la profondità
minima dei lavori di scavo, anche in deroga
a quanto stabilito dalla normativa vigente,
può essere ridotta previo accordo con l'ente
proprietario della strada.
Secondo il nuovo testo, la possibile
riduzione della profondità viene
condizionata alla circostanza che l'ente
gestore dell'infrastruttura civile non
comunichi specifici motivi ostativi entro 30
giorni dal ricevimento della denuncia di
inizio attività che deve essere presentata
all'Amministrazione territoriale competente
da parte dell'operatore della comunicazione,
entro 30 giorni dall'inizio dei lavori
(commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - in merito si legga:
1-
l'intero testo
licenziato dalla Camera ed ora al Senato -
AS 2165 oppure
2-
per una migliore leggibilità e raffronto
l'estratto riguardante
il novellato art. 6 del DPR n. 380/2001 - AS
2165). |
SINDACATI |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il personale nei processi di
esternalizzazione ed internalizzazione di
servizi pubblici locali
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 26.04.2010). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA E
DIPARTIMENTO
DIGITALIZZAZIONE PUBBLICA AMMINISTRAZIONE |
PUBBLICO IMPIEGO: Art.
55-septies del d.lgs. 30.03.2001, n. 165,
introdotto dall'art. 69 del d.lgs.
27.10.2009, n. 150 - Trasmissione per via
telematica dei certificati di malattia.
Indicazioni operative
(circolare
19.03.2010 n. 1/2010 - link a www.innovazionepa.gov.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
S. Di Rosa,
Quando meno te lo aspetti … ti vien detto di
bonificare. Ancora incertezze in materia di
bonifiche (link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
NUOVE PROCEDURE DI RICORSO NEGLI APPALTI
PUBBLICI - D.LGS. N. 53 DEL 20.03.2010 DI
MODIFICA DEL CODICE DEGLI APPALTI - NUOVO
TESTO COORDINATO DEL D. LGS. 163/2006
(link a www.ancebrescia.it). |
APPALTI:
Gare d’appalto: Illegittima la clausola che
favorisce “di fatto” la partecipazione delle
imprese locali (link a
www.mediagraphic.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
La "correlazione immediata e diretta"
che impone l'astensione ai consiglieri
comunali nella votazione del P.I.
(link a
http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI:
D. Meneguzzo,
L'indirizzo di posta elettronica o il numero
fax sono previsti o prevedibili a pena di
esclusione dalle gare? (link a
http://venetoius.myblog.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla questione delle gare per il gas (link
a
http://venetoius.myblog.it):
3-
Ma sulle gare per il gas l'Autorità Garante
per la Concorrenza e il Mercato dice il
contrario della Corte dei Conti;
2-
D. Meneguzzo,
La Corte dei Conti della Lombardia pensa che
debbano essere stoppate le gare per il gas;
1-
E' competente la giunta e non il consiglio
comunale per indire la gara per il gas. |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Bigolaro,
La disciplina degli interventi edilizi nelle
zone agricole del Veneto: la situazione
attuale e l’insegnamento del “caso
Cortina” (link a
http://venetoius.myblog.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Consorzi, l'ente non paga. La
natura pubblicistica esclude il versamento.
Concordi dottrina e giurisprudenza. Niente
oneri per i permessi retribuiti del
vicesindaco.
Il Comune deve
corrispondere a un consorzio, ai sensi
dell'art. 80 del decreto legislativo n.
267/2000, gli oneri per permessi usufruiti
dal vicesindaco, dipendente del menzionato
consorzio, per lo svolgimento del mandato
elettivo?
Occorre preliminarmente fare un'analisi
della normativa che disciplina i consorzi e
della loro natura giuridica.
L'articolo 35 comma 8 della legge
finanziaria per l'anno 2002 ha disposto che
per l'esercizio dei servizi pubblici a
rilevanza economica gli enti locali, entro
il 30.06.2003, trasformassero le aziende ed
i consorzi di cui al all'articolo 31, comma 8,
del d.lgs. 18.08.2000, n. 267
in società di capitali, mentre lo stesso
articolo 35, nell'apportare modifiche al
comma 8 dell'articolo 31 del citato Testo
unico sull'ordinamento degli enti locali, ha
previsto che ai consorzi che gestiscono
servizi pubblici privi di rilevanza
economica si applicassero le medesime
disposizioni applicabili alle aziende
speciali.
Con tale intervento il legislatore ha
pertanto introdotto un diverso regime
giuridico tra i consorzi che svolgono
servizi pubblici a rilevanza economica e
quelli privi di tale rilevanza.
Per quanto può rivelarsi utile ai fini del
quesito in questione si richiamano, in
merito al concetto di rilevanza economica, i
criteri elaborati dalla Corte di giustizia
dell'Unione europea (sez. V 10.05.2001,
cause C223/99 e C 260/99) in base ai quali i
servizi privi di rilevanza economica sono
tutti quei servizi che normalmente vengono
fomiti per ragioni solidaristiche, senza
scopo di lucro e senza prospettiva di
profitto, mentre la rilevanza economica è
data dal rischio della gestione, rischio che
sussiste anche nell'ipotesi in cui il costo
del servizio non sia coperto integralmente
dal prezzo pagato dagli utenti bensì al
ripiano contribuisca anche la pubblica
amministrazione. Nell'ambito del nostro
ordinamento è stato affermato in merito al
concetto di economicità che l'attività
economica organizzata, a prescindere dalla
forma giuridica assunta dall'impresa, si
traduce nell'astratta idoneità di essa a
coprire i costi di produzione.
Per quanto più attiene agli aspetti
concernenti la natura giuridica del
consorzio in questione si osserva che
l'individuazione della natura pubblica o
privata di un ente o di una società è
divenuta particolarmente problematica a
seguito della costante evoluzione del
diritto comunitario e del connesso fenomeno
delle «privatizzazioni».
Come osserva la dottrina più aggiornata si
riteneva, in passato, che la qualifica di
ente pubblico investisse il campo generale
delle sue azioni mentre l'evolversi del
diritto comunitario consente ora di
affermare che, almeno nei settori toccati da
interventi comunitari, ci possano essere
enti pubblici settoriali, qualificabili cioè
come pubblici solo in questi settori mentre,
negli altri settori, non toccati
dall'ordinamento comunitario, il soggetto
permane perfettamente privato.
Il diritto comunitario sposa quindi una
nozione flessibile di ente pubblico che ben
si coniuga con la sua natura
sostanzialistica che, nel risolvere problemi
qualificatori, si avvale del cosiddetto
principio dell'effetto utile il quale fa si
che la miglior soluzione del caso concreto
sia quella più corrispondente al fine che la
norma comunitaria vuole perseguire.
In altri termini. per quanto attiene più in
particolare le procedure di gara e in
particolare al fine di assicurare la piena
concorrenza tra le imprese, la logica
comunitaria consente di comprendere, tra le
pubbliche amministrazioni tenute alla
procedura di evidenza pubblica, non solo i
soggetti formalmente pubblici ma anche
quelli con veste privata.
Sulla scia del diritto comunitario anche la
legge nazionale, in campi specifici, connota
come pubblico un determinato ente
rinunciando a una definizione universale e
sottoponendolo alla giurisdizione
amministrativa mentre, al di fuori di questi
ambiti, lo stesso rimane totalmente privato.
Questo accade in almeno due settori quali
quello dell'accesso e quello degli appalti
ove alcuni soggetti di diritto sono
qualificati come pubblici ai soli fini di
quei settori (Cons. stato n. 1206/2001).
Sussistono pertanto soggetti pubblici ai
fini degli appalti, dell'accesso e del
controllo della Corte dei conti, tenuto
conto che ciò che rileva ai sensi dell'art.
100 Cost., è che le finanze siano pubbliche
e soggetti privati ad altri fini. Con
l'avvento del diritto comunitario quindi,
meno attento alle forme e più vicino
all'aspetto sostanziale, un ente viene
considerato pubblico quando è titolare di un
potere appunto pubblico ed è sottoposto a un
controllo anch'esso pubblico
indipendentemente dalla circostanza che
abbia una cornice formalmente privatistica.
Un ulteriore elemento che può rilevarsi
d'ausilio per individuare la sostanziale
natura dell'ente è quello concernente la
titolarità (pubblica o privata) del capitale
sociale, che nel caso di specie risulta
essere totalmente pubblico.
Parimenti anche gli aspetti legati al
rapporto di lavoro possono rivelarsi d'aiuto
nell'individuare la natura pubblica o
privata dell'ente datore di lavoro. Nel caso
in esame, pur tenuto conto dell'attuale
mutevole assetto ordinamentale degli enti
pubblici, si ritiene che la circostanza che
gli oneri previdenziali per i dipendenti del
consorzio in questione siano versati
all'Inpdap sia senz'altro un elemento che
lascia propendere per la natura pubblica del
consorzio.
Si osserva peraltro che proprio il decreto
legislativo 30.06.1994, n. 479 normativa con
la quale è stato istituito l'lnpdap
(Istituto nazionale di previdenza per i
dipendenti dell'amministrazione pubblica)
dispone tra l'altro, all'art. 4 comma 2, che
l'istituto svolge i compiti precedentemente
affidati all'ente nazionale di previdenza
per i dipendenti degli enti locali,
tipologia di enti tra i quali rientra il
consorzio in esame.
Può infine rivelarsi d'ausilio l'esame
dell'atto costitutivo del Consorzio in
questione, nel prevedere che per il
conseguimento dello scopo il Consorzio
riceve in conto capitale dai singoli enti
partecipanti beni. impianti e quant'altro
utile alla gestione dell'oggetto sociale,
viene espressamente richiamato l'art. 114
del Testo Unico degli enti locali ove (con
riferimento alle aziende speciali) è
previsto che le stesse sono enti strumentali
dell'ente locale.
In conclusione, delineato come sopra
l'assetto normativo concernente i consorzi
tra enti locali e preso atto delle
considerazioni della dottrina più autorevole
e della giurisprudenza, è da ritenere che,
ai fini applicativi del disposto dell'art.
80 del Testo unico sugli enti locali il
consorzio abbia natura di ente pubblico e
conseguentemente il comune non è tenuto a
corrispondere allo stesso gli oneri per i
permessi retribuiti usufruiti dal vice
sindaco
(articolo ItaliaOggi del 07.05.2010, pag.
35). |
EDILIZIA PRIVATA:
Paesaggio addio: arriva l'abuso
legale.
Il decreto del ministro Bondi tiene in vita
il Codice per i beni paesaggistici ma, nello
stesso tempo, contiene norme per aggirarlo.
Verande, terrazzini, lucernari: torna la
logica del «ciascuno è libero a casa sua».
Senza controlli ...
(articolo
l'Unità del 07.05.2010 - link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Durc
in attesa del regolamento attuativo del
Codice appalti.
In attesa dell'approvazione del Regolamento
attuativo del Codice degli appalti, la
questione della durata della validità del
Documento unico di regolarità contributiva è
ancora oggetto di dibattito dottrinale tra i
sostenitori della validità mensile, sia per
la partecipazione all'affidamento dei lavori
che per consentire il regolare pagamento
delle fatture, e coloro che invece
propendono per la validità trimestrale del
certificato.
A tale riguardo, nemmeno giova
l'interpretazione ondivaga dell'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici che nel
parere 31/2009 (peraltro non vincolante
nemmeno per le parti in causa) si
pronunciava per la validità mensile e
limitata a una sola fase lavorativa, mentre
nella recente determinazione n. 1/2010
afferma la validità trimestrale del Durc in
quanto ciò consente alle stazioni pubbliche
appaltanti di estendere la garanzia della
regolarità su un maggiore periodo che può
comprendere anche più fasi lavorative.
L'interpretazione sistematica delle
disposizioni in materia, operata
dall'Autorità di Vigilanza nel parere
31/2009, è tra l'altro carente laddove manca
di menzionare l'art. 41, dpr 445/2000 (T.u.
sulla documentazione amministrativa) quale
regola generale la quale prevede che «i
certificati rilasciati dalle pubbliche
amministrazioni attestanti stati, qualità
personali e fatti non soggetti a
modificazioni hanno validità illimitata. Le
restanti certificazioni hanno validità di
sei mesi dalla data di rilascio se
disposizioni di legge o regolamentari non
prevedono una validità superiore» ...
(articolo ItaliaOggi
del 07.05.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti
elettrici a raccolta. Pubblicato in Gazzetta
l'atteso decreto destinato a distributori e
installatori. Dal 18 giugno ritiro gratuito
uno contro uno.
Dal 18.06.2010 si potrà
andare in un negozio di elettrodomestici,
acquistare il proprio pc, frigo, lavatrice,
ferro da stiro e pretendere il ritiro
gratuito dell'usato da buttare.
Lo prevede il nuovo regolamento per la
gestione dei Raee (rifiuti elettrici ed
elettronici) da parte di distributori e
installatori approvato con decreto n. 65
dell'08.03.2010 e pubblicato in Gazzetta
Ufficiale n. 102 del 04.05.2010.
Un regolamento indispensabile alla piena
operatività del sistema di raccolta e
trattamento dei «tecnorifiuti» che
era atteso da ben due anni e che entrerà in
vigore il 19 di maggio (ma a questa data,
per il ritiro dei rifiuti «domestici»,
bisogna aggiungere altri 30 giorni previsti
dal dlgs 151/2005).
«Con la pubblicazione del decreto si
compie un passo importante per favorire e
incrementare la raccolta differenziata di
rifiuti elettrici ed elettronici in Italia»
ha dichiarato Giorgio Arienti, direttore
generale di Ecodom, uno dei consorzi per il
recupero e il riciclo degli
elettrodomestici, «dal 18 giugno tutti i
cittadini potranno consegnare gratuitamente
ai negozianti l'apparecchiatura da buttare
quando ne acquisteranno una nuova
equivalente. Già da qualche mese il centro
di coordinamento Raee, le associazioni della
distribuzione e Anci stanno lavorando per
definire i dettagli applicativi di questa
norma»
«Prevedere un iter semplificato anche per
le apparecchiature elettriche ed
elettroniche professionali», ha aggiunto
Luciano Teli, direttore generale del
Consorzio ecoR'it, «è un significativo
aiuto alle imprese italiane e all'avvio
definitivo del sistema Raee».
I nuovi obblighi.
Destinatari delle nuove norme sono i
distributori, gli installatori e i gestori
dei centri di assistenza tecnica di nuove
apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Il decreto distingue tra gestione dei Raee
domestici (provenienti da nuclei domestici e
anche con altra origine ma analoghi per
natura e quantità) e gestione dei Raee
professionali (prodotti dalle attività
amministrative ed economiche e non
rientranti nei domestici).
I distributori, oltre che al ritiro
uno-contro-uno dei Raee domestici a fine
vita, saranno tenuti al raggruppamento
finalizzato al trasporto presso i centri
raccolta e alla tenuta del registro di
carico e scarico, con le modalità previste
dal decreto stesso. A tali obblighi sono
tenuti, entro certi limiti, anche gli
installatori e i gestori dei centri di
assistenza tecnica. Le imprese che si
occuperanno della raccolta e del trasporto
dei rifiuti dei Raee dovranno essere
iscritte all'Albo nazionale gestori
ambientali.
L'obbligo di raggruppamento per il trasporto
ai centri raccolta e di tenuta del registro
sussisterà, anche per i Raee «professionali»,
per distributori, installatori e gestori dei
centri di assistenza di apparecchiature
professionali che siano stati formalmente
incaricati dai produttori di provvedere al
ritiro nell'ambito di un sistema di raccolta
(articolo ItaliaOggi del 06.05.2010, pag.
26). |
ENTI LOCALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ La
commissione non decade. I dimissionari
verranno sostituiti da altri componenti
della stessa lista. Se vengono meno i
consiglieri l'organo resta in piedi.
In assenza di specifica
previsione regolamentare, la contestuale
decadenza di tre componenti da una
commissione consiliare, formata da cinque
membri, si estende all'intera commissione?
Le commissioni consiliari previste
dall'articolo 38, comma 6, del dlgs n.
267/2000, una volta istituite sulla base di
una facoltativa previsione statutaria, sono
disciplinate dall'apposito regolamento
comunale con l'unico limite, posto dal
legislatore, riguardante il rispetto del
criterio proporzionale nella composizione.
Come è noto, esse sono organi strumentali
dei consigli («il consiglio si avvale di
commissioni») e, in quanto tali, ne
costituiscono componenti interne, prive di
una competenza autonoma e distinta da quella
a essi attribuita.
Il vigente statuto comunale dell'ente in
questione, rinviando ad un apposito
regolamento la disciplina delle competenze
delle commissioni consiliari, nonché il loro
funzionamento e le modalità di rapporto con
il consiglio, stabilisce, tra l'altro, in
conformità alla legge, che debbono essere
composte proporzionalmente da tutti i gruppi
consiliari, garantendo la partecipazione
della minoranza, prevedendo in particolare,
che devono essere costituite «nel corso
della prima seduta valida dopo: una modifica
di statuto o di regolamento che le
riguardano, ovvero dopo la seduta di
insediamento del consiglio. In ogni caso
entro 30 giorni».
Premesso, dunque, che in base alle
disposizioni statutarie è comunque fatto
obbligo di istituire le commissioni
consiliari, è da ritenere che l'eventuale
decadenza dei singoli consiglieri, ai quali
segue la surroga con altri neo consiglieri,
non comporta la decadenza della commissione,
bensì la sostituzione dei componenti con
altrettanti consiglieri appartenenti alle
stesse liste, e dunque ai medesimi gruppi,
in ossequio al richiamato principio di
proporzionalità, di modo che non venga di
fatto alterata la configurazione «politica»
dell'organo di derivazione (articolo
ItaliaOggi del 23.04.2010, pag. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ ONERI
CONTRIBUTIVI A CARICO DELL'ENTE.
Secondo quali modalità deve applicarsi la
normativa di cui all'art. 86, comma 1 e 2,
del Tuel?
L'art. 86 del decreto legislativo n.
267/2000, attribuisce all'ente locale
l'onere di effettuare, per gli
amministratori, ivi indicati, che svolgono
l'attività lavorativa, i versamenti degli
oneri previdenziali, assistenziali e
assicurativi ai rispettivi istituti, dandone
comunicazione tempestiva al datore di
lavoro, secondo le diverse modalità
prescritte dai commi 1 e 2 della citata
norma.
In particolare, il predetto adempimento è
previsto al comma 1, per i lavoratori
dipendenti collocati in aspettativa non
retribuita, e al comma 2 per i lavoratori
non dipendenti, intendendo per tali i
cosiddetti lavoratori autonomi.
Da ciò discende che l'amministrazione locale
è tenuta, per i suoi amministratori, al
suddetto versamento, limitatamente al
periodo in cui l'amministratore abbia svolto
il mandato, anche se non sia stata
presentata una istanza dall'interessato ed
anche se l'amministratore non eserciti più
il proprio mandato (articolo ItaliaOggi del
23.04.2010, pag. 35). |
CORTE DEI
CONTI |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi
facili, in regione si può. La Corte conti
Basilicata assolve gli amministratori che
avevano affidato una consulenza esterna.
Consiglieri coperti da immunità per gli atti
di organizzazione.
Consigli regionali esenti da responsabilità
per incarichi di consulenze allegri. È nelle
stanze dei parlamentini regionali che si
ferma l'applicabilità delle le rigorose
norme tendenti al contenimento dei costi per
incarichi esterni. Sicché, il consiglio
regionale della Basilicata nonostante la
presenza di nove dirigenti e 46 funzionari
direttivi con profilo amministrativo può
legittimamente incaricare un avvocato
esterno, per la riorganizzazione del
consiglio regionale. E questo nonostante
l'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001 e i
tantissimi vincoli posti dalla legge al
ricorso a consulenti esterni.
Secondo la Corte dei conti, sezione
giurisdizionale della Basilicata,
intervenuta sulla questione con
sentenza 24.03.2010 n. 91,
infatti, non risulta possibile muovere
rilievi né ai consiglieri regionali, né al
dirigente competente, per il munifico
incarico di «riorganizzazione», che, come
spesso accade, chissà perché viene assegnato
a chi dell'organizzazione non fa parte.
A nulla sono valsi i rilievi espressi dal
procuratore, secondo il quale non solo la
dotazione organica del consiglio regionale
era certamente dotata delle professionalità
necessarie per attendere alla funzione
affidata all'esterno, ma il risultato finale
non è stato di alcuna utilità e,
soprattutto, l'ipotesi di riorganizzazione
non ha tenuto in alcun conto gli obiettivi
di contenimento delle spese di personale ...
(articolo
ItaliaOggi del 07.05.2010 - link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Tarsu
sui rifiuti industriali venduti. Il comune
può assimilarli a quelli urbani.
Sono soggetti a Tarsu i residui di
produzione industriale, anche se venduti ad
altra azienda, qualora il comune abbia
approvato una delibera che li assimila a
quelli urbani.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez.
tributaria, che -con la
sentenza 05.05.2010 n.
10797-, ha respinto il ricorso di una
società che chiedeva il rimborso della Tarsu
sui dei residui di tessuto venduti, previo
stoccaggio, ad altre aziende.
I giudici della sezione tributaria hanno
individuato un solo paletto al pagamento
della tassa: la delibera del comune che
assimila i residui ai rifiuti urbani.
Delibera che, dopo il decreto Ronchi (n. 22
del 1997) è pienamente legittima.
Sul punto gli Ermellini hanno messo nero su
bianco che «deve constatarsi che la
decisione della commissione tributaria
regionale della Puglia, ha correttamente
applicato, con congrua motivazione, le norme
citate, dando per altro atto della delibera
di assimilazione del rifiuti speciali in
questione, non pericolosi, (ritagli in
tessuto misto cotone) ai rifiuti urbani».
E ancora, ha spiegato il Collegio, «con
riferimento al periodo interessato dalle
istanze di rimborso deve quindi
conclusivamente rilevarsi che, con
l'abrogazione della legge n. 146 del 1994,
art. 39 ad opera della legge n. 128 del
1998, art. 17, è divenuto pienamente
operante il disposto del dlgs n. 22 del
1997, art. 21, comma 2, lett. g) che
consente ai comuni di deliberare, come nella
specie è avvenuto, l'assimilazione ai
rifiuti urbani di quelli non pericolosi
derivanti da attività economiche, con la
conseguenza che, in riferimento, alle
annualità di imposta successive al 1997,
assumono decisivo rilievo le indicazioni dei
regolamenti comunali circa la assimilazione
dei rifiuti provenienti da attività
industriali a quelli urbani ordinari, senza
che per tali residui rilevi il fatto di
essere ceduti a terzi».
In altre parole, dice la Cassazione, in tema
di tassa per lo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani, «ai sensi degli artt. 6 e
7 dlgs 05.02.1997 n. 22 (il primo dei
quali ha trasposto nell'ordinamento interno
la definizione comunitaria di rifiuto, alla
quale concorrono un criterio tabellare, che
delimita oggettivamente la categoria dei
rifiuti, e un riferimento soggettivo
determinante, costituito dall'intenzione del
detentore, ovvero dal suo obbligo, di
disfarsi delle sostanze o degli oggetti in
questione), i residui delle lavorazioni
industriali e artigianali costituiscono
rifiuti speciali e sono, quindi,
assoggettati al relativo regime»
(articolo ItaliaOggi del 07.05.2010, pag.
34). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Progetti di sviluppo di
aree urbane - Sottoposizione a VIA -
Superfici inferiori a 40 ha - Esclusione -
All. B, punto 7, lett. b), d.P.R.
12.04.1996.
Ai sensi dell'all. B), punto 7, lett. b),
del D.P.R. 12.04.1996, devono essere
sottoposti alla valutazione di impatto
ambientale i soli progetti di sviluppo di
aree urbane, nuove o in estensione,
interessanti superfici superiori ai 40 ha,
sicché è correttamente escluso dal
procedimento in questione il progetto
inerente un’area di superficie inferiore
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1236
- link a www.ambientediritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Decreto di occupazione anticipata
dei beni - Art. 22-bis d.P.R. n. 327/2001 -
Destinatari della procedura espropriativa -
Numero superiore a 50 - Vincolo preordinato
all’esproprio - Dichiarazione di pubblica
utilità - Immissione in possesso.
L’art. 22-bis DPR 327/2001 prevede
testualmente che il decreto di occupazione
anticipata dei beni immobili necessari possa
essere emanato senza particolari indagini o
formalità, allorché il numero dei
destinatari della procedura espropriativa
sia superiore a 50.
Secondo l’interpretazione prevalente, in
presenza dei presupposti procedimentali
prescritti dalla norma per l'emanazione
dell'ordinanza di occupazione d'urgenza
(vincolo preordinato all'esproprio e
dichiarazione di pubblica utilità,
l'Amministrazione può immettersi senz'altro
nel possesso dell'area in esecuzione della
suddetta ordinanza, per realizzare le opere
per le quali vi è stata l'approvazione del
progetto e lo stanziamento delle relative
risorse, essendo sufficiente che l'ordinanza
di occupazione si limiti a richiamare
espressamente la dichiarazione di pubblica
utilità, che costituisce l'unico presupposto
e che consenta di rilevare l'urgenza della
realizzazione delle opere (Consiglio Stato,
sez. IV, 29.05.2009, n. 3353) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1236
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
confinante ha interesse a ricorrere contro
un ampliamento di edificio, il quale vanta
ovviamente quale titolo di legittimazione
uno stabile collegamento (“vicinitas”).
La ristrutturazione del precedente
fabbricato e il suo ampliamento, con
conseguente maggior carico abitativo,
rendono infatti evidente l’interesse a
ricorrere del proprietario dell’edificio
confinante, il quale vanta ovviamente quale
titolo di legittimazione uno stabile
collegamento (“vicinitas”) con l’area
su cui il provvedimento impugnato interviene
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di volume tecnico, non computabile
nel calcolo della volumetria massima
consentita, può essere applicata solo con
riferimento ad opere edilizie completamente
prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a
contenere impianti serventi di una
costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione che
non possono essere ubicati all'interno di
questa, connessi alla condotta idrica,
termica, ascensore ecc., mentre va escluso
che possa parlarsi di volumi tecnici al di
fuori di tale ambito, al fine di negare
rilevanza giuridica ai volumi comunque
esistenti nella realtà fisica.
Resta dunque estraneo a tale nozione il
volume del vano scale.
Per costante giurisprudenza, la nozione di
volume tecnico, non computabile nel calcolo
della volumetria massima consentita, può
essere applicata solo con riferimento ad
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione che
non possono essere ubicati all'interno di
questa, connessi alla condotta idrica,
termica, ascensore ecc., mentre va escluso
che possa parlarsi di volumi tecnici al di
fuori di tale ambito, al fine di negare
rilevanza giuridica ai volumi comunque
esistenti nella realtà fisica.
Resta dunque estraneo a tale nozione il
volume del vano scale (cfr. V Sez. n. 120
del 02.03.1994)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’azione
di accertamento di insussistenza dei
presupposti per la d.i.a., costituente in
tale ipotesi il rimedio a disposizione del
terzo che si ritenga leso dall’intervento
posto in essere in esecuzione di essa, deve
restare anch’essa soggetta al termine
decadenziale di 60 giorni ex art. 21 della
legge 06.12.1971, nr. 1034, decorrente dalla
conoscenza della d.i.a..
Il primo giudice ha aderito alla tesi
secondo cui la d.i.a. costituisce un atto di
natura privata, recentemente sostenuta –come
noto- dalla Sesta Sezione di questo
Consiglio di Stato (dec. nr. 917 del
09.02.2009); permangono però a tutt’oggi
pronunce nelle quali la d.i.a. viene
qualificata come provvedimento implicito,
impugnabile secondo gli ordinari criteri
(cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV,
13.01.2010, nr. 72).
Anche a voler
effettivamente aderire alla tesi “privatistica”,
appare corretto concludere –come ritenuto
dal giudice di primo grado– che l’azione di
accertamento di insussistenza dei
presupposti per la d.i.a., costituente in
tale ipotesi il rimedio a disposizione del
terzo che si ritenga leso dall’intervento
posto in essere in esecuzione di essa, debba
restare anch’essa soggetta al termine
decadenziale di 60 giorni ex art. 21 della
legge 06.12.1971, nr. 1034, decorrente dalla
conoscenza della d.i.a. (in tale senso, la
citata decisione nr. 917 del 2009).
Laddove, al contrario, si propenda per la
natura provvedimentale della d.i.a., a
fortiori essa dovrà essere impugnata nel
medesimo termine a partire dal perfezionarsi
del titolo abilitativo implicito, alla
scadenza del trentesimo giorno dalla
presentazione della dichiarazione (ovvero,
come ordinariamente accadrà, dal momento
della conoscenza che il terzo abbia avuto di
tale titolo).
Devono considerarsi validi anche in tale
settore (in materia di d.i.a.) i consolidati
principi giurisprudenziali per cui, a fronte
di un’istanza di un privato intesa a
sollecitare l’esercizio di poteri di
autotutela, l’Amministrazione non ha alcun
obbligo di rispondere in modo espresso; dal
che non può non discendere anche che,
qualora l’istanza sia riscontrata con un
atto nel quale l’Amministrazione si limita a
escludere l’avvio di un procedimento di
autotutela, tale atto non è autonomamente
impugnabile, risolvendosi in una mera
conferma della legittimità del precedente
operato della stessa Amministrazione, ormai
definitivo e inoppugnabile (al contrario, in
caso di effettivo esercizio dei poteri di
autotutela, gli atti eventualmente posti in
essere –di annullamento, revoca o
quant’altro– potranno naturalmente essere
impugnati dagli interessati, costituendo
rinnovata esplicazione del potere pubblico)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2558 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'Autorità
sui lavori ha le armi spuntate. Cds:
delibere non impugnabili al Tar.
Le deliberazioni
dell'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici non sono impugnabili al Tar perché
mancano della natura di provvedimento
amministrativo; si tratta di avvisi e pareri
utili ad orientare gli operatori del settore
ma che non inidonei a recare alcun
pregiudizio.
Lo stabilisce il Consiglio di stato, Sez. VI,
con la
sentenza 03.05.2010 n. 2503, che
affronta la questione dell'impugnabilità
delle deliberazioni dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici.
I giudici ribaltano il giudizio di primo
grado che invece aveva accolto il ricorso di
un comune contro una deliberazione. La
vicenda oggetto della delibera riguardava
una transazione effettuata dal comune con
una impresa relativamente a lavori di
realizzazione di una piscina comunale. Nella
delibera (del 2003) l'Autorità aveva
censurato la condotta dell'amministrazione
comunale ritenuta «eccessivamente
tollerante» e aveva nello stesso tempo
provveduto alla segnalazione della questione
alla Procura della Corte dei conti. A fronte
del ricorso contro la delibera, il Tar
Lombardia nel 2005 aveva accolto il ricorso,
respingendo l'eccezione di inammissibilità
presentata dall'Autorità e dichiarando
l'atto impugnato illegittimo per mancanza
della comunicazione di avvio del
procedimento, nonché per difetto di
istruttoria.
Il Consiglio di stato riforma il giudizio di
primo grado accogliendo proprio l'istanza di
inammissibilità rigettata dal Tar Lombardia
e puntando l'attenzione sulla natura degli
atti dell'Autorità (in questo caso le
deliberazioni che l'organismo emette
partendo da segnalazioni di casi specifici).
I giudici si esprimono infatti nel senso
della natura non provvedimentale della
deliberazione, ritenuta quindi «priva di
reale e concreta attitudine lesiva».
La sentenza giunge a tale conclusione
partendo dai contenuti dei poteri di
vigilanza sull'intero sistema dei lavori
pubblici che la legge (la legge Merloni,
prima, e il Codice oggi, peraltro su tutta
la materia dei contratti pubblici) assegna
all'organismo presieduto da Luigi
Giampaolino. In particolare l'Autorità deve
infatti vigilare sull'osservanza della
disciplina legislativa e regolamentare e
verificare la regolarità delle procedure di
affidamento esperite.
Lo svolgimento di questi poteri di vigilanza
(che prendono le mosse da istanze e
segnalazioni dei soggetti coinvolti nei
procedimenti) viene messo in relazione alla
necessità che l'Autorità garantisca i più
generali principi di efficienza, efficacia,
tempestività, trasparenza e correttezza
nella materia dei lavori pubblici (oggi dei
contratti pubblici in genere e quindi anche
delle forniture e dei servizi). Se questa è
quindi la finalità dell'attività di verifica
e controllo svolta dall'Autorità, il
Consiglio di stato afferma che «il potere
di vigilanza concretamente esplicato nei
confronti dell'appellato non può aver
prodotto conseguenze lesive della sua sfera
giuridica, avendo l'Autorità espresso
sostanzialmente un proprio avviso sulla
vicenda, inidoneo, in quanto tale, a recare
direttamente ed immediatamente alcun
pregiudizio».
La deliberazione dell'Autorità rimane
sprovvista della natura provvedimentale
anche con riguardo alla considerazione che
la delibera dichiari il comportamento della
stazione appaltante, nel caso esaminato,
come connotato da «eccessiva tolleranza
accordata» all'impresa: manca infatti,
anche sotto questo profilo dichiarativo,
qualsiasi «concreta determinazione
incidente sia sugli atti adottati che sui
comportamenti tenuti».
In conclusione, quindi, si è in presenza
soltanto di «un contributo utile
all'orientamento dei comportamenti degli
operatori del settore dei lavori pubblici»
(articolo ItaliaOggi del 08.05.2010, pag.
25). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Una amministrazione non può
recedere liberamente da un accordo di
programma (nella specie: recesso unilaterale
di un comune da un accordo di programma
sottoscritto per la realizzazione di un
ponte sul fiume).
Quale modulo organizzativo di regolazione di
tutti gli interessi pubblici coinvolti,
l'accordo di programma viene prescelto come
alternativa al modello della amministrazione
per singoli provvedimenti che, invece, si
caratterizza per la pluralità di
procedimenti amministrativi condotti in modo
autonomo. In mancanza di una clausola
espressa sul diritto di recesso unilaterale,
l'accordo di programma può essere modificato
solo con il consenso di tutte le parti
contraenti, mentre il comune che intende
recedere dall'accordo potrà censurare in
sede giurisdizionale il rifiuto delle altre
parti di modificare l'assetto degli
interessi originariamente concordato,
qualora tale rifiuto non sia conforme al
principio di leale collaborazione tra gli
enti pubblici (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza 30.04.2010 n. 1635 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accordo di programma - Art. 15 L.
n. 241/1990 - Mancato richiamo all’art. 11,
c. 4 - Diritto di recesso - Esclusione -
Salva l’ipotesi di specifica previsione in
convenzione.
Il mancato richiamo dell’art. 15 l.
241/1990, norma generale sugli accordi di
programma, alla disposizione dell’art. 11,
co. 4, stessa legge, che regola invece
l’accordo tra amministrazione e privato e
prevede la possibilità per l’amministrazione
di recedere dall’accordo salva
corresponsione di un indennizzo, induce a
ritenere che, salvo il caso in cui siano
state le stesse parti a prevedere il diritto
di recesso nel momento in cui hanno
concordato tra loro il regolamento pattizio,
il contenuto dell’accordo sia modificabile
solo mediante una nuova determinazione
espressa da tutte le amministrazioni
contraenti che giungono ad una nuova
sistemazione concordata dell’assetto degli
interessi sottostanti all’azione
amministrativa (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I, sentenza 30.04.2010
n. 1635 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto autostradale -
Vincolo di inedificabilità assoluto -
Fondamento - D.M. 01.04.1968 n. 1404.
Nell’ambito della fascia di rispetto
autostradale di 60 metri, prevista dal D.M.
01.04.1968 n. 1404, il vincolo di
inedificabilità è assoluto (Cons. Stato,
Sez. V, 25.09.2002 n. 4927), essendo a tal
fine irrilevanti le caratteristiche concrete
delle opere abusive realizzate nell’ambito
della fascia medesima; il divieto di
costruire è infatti in questo caso correlato
alla esigenza di assicurare un’area libera
utilizzabile dal concessionario
dell’autostrada -all’occorrenza- per
installarvi cantieri, depositare materiali,
per necessità varie e, comunque, per ogni
necessità di gestione relativa ad interventi
in loco sulla rete autostradale (Tar
Toscana, 25.06.2007, n. 934) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1628 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
CAVE E MINIERE - Regione
Lombardia - Art. 6 L.r. n. 14/1998 - Nuovi
ambiti territoriali estrattivi -
Individuazione in prossimità delle aree già
interessate da attività estrattive -
Presupposto dell’esaurimento dei
preesistenti giacimenti - Necessaria
ricorrenza - Esclusione - Ragioni.
Il secondo comma dell’art. 6 della L.r.
Lombardia n. 14/1998, per il quale gli
ambiti territoriali estrattivi da
identificare “devono accorpare aree
contigue a quelle oggetto di attività, con
priorità rispetto all’apertura di altre aree”,
ha unicamente fissato il principio per il
quale i nuovi ambiti vanno posti in
prossimità delle aree già interessate da
attività estrattive, sul presupposto
-riferibile alla discrezionalità del
legislatore regionale- che le cave debbano
essere il più possibile accorpate, per
consentirne una più efficace vigilanza e per
salvaguardare le aree ambientali non incise
dalla loro coltivazione (cfr. Consiglio di
Stato, sent. n. 6233/2005).
Dal medesimo principio non può invece
trarsi, in via interpretativa, la
conclusione per cui l’individuazione di
nuovi ambiti potrebbe avere luogo solo a
seguito dell’esaurimento dei preesistenti
giacimenti.
Tale conclusione, oltre a non essere
consentita dal dato letterale della norma,
urterebbe con i principi riguardanti la
pianificazione, poiché -in sede di
approvazione del nuovo piano- la Regione
-per esigenze di salvaguardia dell’ambiente-
può valutare se le aree individuate nel
piano precedente siano ancora suscettibili
di ulteriori coltivazioni ovvero risultino
tanto compromesse da far ridurre o eliminare
la precedente capacità estrattiva, con
l’individuazione di altre aree idonee (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 30.04.2010 n. 1207 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA: Le
osservazioni e le opposizioni al piano
regolatore generale di un Comune si
riferiscono a due distinte sfere di
interessi; le prime si sostanziano in
suggerimenti di modifica o delle linee
generali del piano o di previsioni
specifiche di esso, che incidono su
situazioni di interesse diffuso di tutti i
residenti nella zona; le seconde si
concretizzano in vere e proprie censure a
specifiche previsioni urbanistiche che,
riguardando in modo diretto l'opponente,
incidono su posizioni di interesse legittimo
del proprietario leso dall'atto di
pianificazione e non rientrano, quindi, nel
modello partecipativo ma costituiscono, al
contrario, esercizio di un vero e proprio
interesse oppositivo.
Le suddette osservazioni ed opposizioni
impongono all'Amministrazione l’obbligo di
motivare congruamente la loro eventuale
reiezione, in modo che sia assicurata
l'esigenza che le scelte urbanistiche siano
non soltanto formalmente legittime, ma anche
in concreto razionali ed opportune
nell'interesse reale della popolazione.
Va premesso che le osservazioni e le
opposizioni al piano regolatore generale di
un Comune si riferiscono a due distinte
sfere di interessi; le prime,
infatti, si sostanziano in suggerimenti di
modifica o delle linee generali del piano o
di previsioni specifiche di esso, che
incidono su situazioni di interesse diffuso
di tutti i residenti nella zona; le
seconde, invece, si concretizzano in
vere e proprie censure a specifiche
previsioni urbanistiche che, riguardando in
modo diretto l'opponente, incidono su
posizioni di interesse legittimo del
proprietario leso dall'atto di
pianificazione e non rientrano, quindi, nel
modello partecipativo ma costituiscono, al
contrario, esercizio di un vero e proprio
interesse oppositivo (Cfr. TAR Puglia, II,
20.10.1994, n. 1379).
Detto questo, è pacifico, alla stregua dei
principi generali, che le suddette
osservazioni ed opposizioni impongono
all'Amministrazione, anche in ossequio al
citato art. 3 della legge 07.08.1990, n.
241, l’obbligo di motivare congruamente la
loro eventuale reiezione, in modo che sia
assicurata l'esigenza che le scelte
urbanistiche siano non soltanto formalmente
legittime, ma anche in concreto razionali ed
opportune nell'interesse reale della
popolazione (Cfr. Csi, 01.06.1993, n. 227;
TRGA, Bolzano, 25.02.1998, n. 42).
E’ stato, peraltro, avvertito che non si
rende necessaria una motivazione
particolarmente penetrante, essendo
sufficiente una motivazione dalla quale
possa evincersi con chiarezza la ratio
del provvedimento di rigetto (Cfr. Cons.
Stato, IV Sez., 15.07.1999 n. 1237 e Csi.
01.02.2001 n. 42; TAR Sicilia, 21.01.2008,
n. 66 e 18.01.2000, n. 44; TRGA, 23.04.2002,
n. 174).
L’Autorità deliberante, dal parere acquisito
nella fase istruttoria, può
discrezionalmente discostarsi in fase
costitutiva col solo onere –secondo
consolidati principi- di evidenziare con
completezza le ragioni logiche e giuridiche
che la inducono a disattendere il giudizio
formulato dall’organo che ha emesso quel
parere (Cfr., ex pluribus, Cons. St.,
IV, 10.08.2007, n. 4393)
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 30.04.2010 n. 265 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non potrà considerarsi
equipollente alla chiusura del plico
mediante ceralacca la chiusura con nastro
adesivo e l'apposizione della ceralacca su
un lato dello stesso.
Il «sigillo con ceralacca» risponde all'esigenza di garantire che
il plico non possa essere aperto se non a
prezzo di manometterne visibilmente la
chiusura. La conferma dell'autenticità della
chiusura originaria proveniente dal
mittente, garantita dalla chiusura in
ceralacca, è finalizzata ad evitare
manomissioni del contenuto del plico stesso
e, quindi, a garantire la necessaria
segretezza di tale offerta, a tutela della
par condicio, nel rispetto del principio
dell'integrità e imputabilità dell'offerta
che governa la materia delle gare pubbliche,
sicché non potrà considerarsi equipollente
alla chiusura del plico mediante ceralacca
la chiusura con nastro adesivo e
l'apposizione della ceralacca su un lato
dello stesso.
Nel caso di specie veniva esclusa dalle
successive fasi della procedura una
concorrente in quanto, in sede di verifica
delle offerte, è risultato che il plico
esterno, contenente le singole buste
relative alla documentazione e alla offerta
economica, recava il sigillo con ceralacca
sui lembi di chiusura della scatola nella
parte superiore ma non anche nella parte
inferiore, come prescritto dalle modalità di
presentazione delle offerte (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 29.04.2010 n. 2453 -
link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Sulla disciplina riguardante le
informative antimafia atipiche: differenze
con le informative tipiche.
L'informativa antimafia atipica, a
differenza di quella tipica, non ha
carattere interdittivo, ma consente
l'attivazione degli ordinari strumenti di
discrezionalità nella valutazione dei
rapporti contrattuali, alla luce
dell'idoneità morale del concorrente ad
assumere la posizione di contraente con la
p.a.; pertanto, essa non necessita di un
grado di dimostrazione probatoria analogo a
quello richiesto per provare l'appartenenza
di un soggetto ad associazioni di stampo
mafioso, e si basa su indizi derivanti da
particolari indagini che possono risalire
anche ad eventi remoti, perché riguardano la
valutazione sull'idoneità morale del
concorrente e non producono l'esclusione
automatica dalla gara.
Dette informative rappresentano, quindi, una
sensibile anticipazione della soglia
dell'autotutela amministrativa a fronte di
possibili ingerenze criminali nella propria
attività: ne consegue che, l'informativa
prefettizia antimafia di cui all'art. 4 del
d.lgs. n. 490/1994 è espressione della
logica di anticipazione della soglia di
difesa sociale ai fini di una tutela
avanzata nel campo del contrasto con la
criminalità organizzata, a prescindere da
rilevanze probatorie tipiche del diritto
penale.
La fase istruttoria del procedimento
finalizzato a comunicare la presenza di
tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti
a condizionare le scelte di un'impresa, si
concreta nell'acquisizione di tutte le
informazioni provenienti dalle autorità di
pubblica sicurezza, al fine di effettuare
una obiettiva valutazione sulla possibilità
di un eventuale utilizzo distorto dei
finanziamenti pubblici destinati ad
iniziative private e devoluti al settore
degli appalti pubblici.
Non possono tuttavia ritenersi sufficienti
fattispecie fondate su mere congetture prive
di riscontro fattuale, in quanto si
richiede, comunque, la sussistenza di
circostanze obiettivamente sintomatiche di
collegamenti con le predette associazioni.
Pertanto, il parametro valutativo sarà
calibrato sul criterio della "qualificata
probabilità".
In riferimento al caso di specie, secondo la
giurisprudenza amministrativa, è illegittima
l'informativa prefettizia negativa basata
sul rapporto di mera parentela o affinità
tra amministratori o soci di un'impresa con
elementi malavitosi, essendo necessari
ulteriori indizi, tali da fornire, nel loro
complesso, un fondamento oggettivo al
giudizio di possibilità che l'impresa possa
agevolare le attività criminali, anche
indirettamente (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.04.2010 n. 2441 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'Amministrazione non può
legittimamente escludere un'impresa dalla
procedura in presenza di una clausola di
gara ambigua, incerta o comunque non
univoca.
In presenza di una clausola di gara ambigua,
incerta o comunque non univoca,
l’Amministrazione non può legittimamente
escludere un’impresa dalla procedura,
ostandovi il principio del favor
partecipationis nonché la tutela
dell’interesse pubblico a selezionare la
migliore offerta, da cui deriva la necessità
di garantire la massima partecipazione
possibile (TAR Lombardia Milano, sez. IV,
27.01.2010, n. 184; TAR Lazio Roma, sez. III,
01.02.2008, n. 899; TAR Liguria Genova, sez.
I, 17.03.2006, n. 254; Consiglio Stato, sez.
V, 18.01.2006, n. 127).
Pertanto e’ illegittimo il provvedimento di
annullamento dell’aggiudicazione provvisoria
in favore di un costituendo r.t.i. dal
momento che le motivazioni poste a
fondamento di tale decisione si fondano, in
parte su considerazioni estranee alla
lettera della lex specialis e in
parte su un’interpretazione
irragionevolmente restrittiva di una
clausola ambigua del disciplinare di gara;
un’interpretazione, peraltro, contrastante
con lo specifico chiarimento reso dalla
stazione appaltante alla concorrente nel
corso della procedura di gara TAR Piemonte,
Sez. II,
sentenza 28.04.2010 n. 2088 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - RIFIUTI -
Ordinanza di rimozione e bonifica -
Responsabilità del proprietario del terreno
- Individuazione - Fattispecie:
comproprietari di aree inquinate per
responsabilità di una società fallita.
La responsabilità del proprietario del
terreno nel quale si ritrovano abbandonati
rifiuti deve essere accertata in concreto
quanto meno a titolo di colpa e di tale
responsabilità se ne deve dare atto nel
provvedimento che ordina la rimozione dei
rifiuti (nella fattispecie, i destinatari
dell’ordinanza di bonifica erano stati
individuati non come soci o amministratori
della società fallita responsabile
del’inquinamento, ma come comproprietari
delle aree da bonificare: in mancanza della
prova di un ruolo attivo nelle scelte
imprenditoriali della società fallita, viene
meno il titolo per richiedere agli stessi
una condotta di ripristino del sito
inquinato dai rifiuti abbandonati).
INQUINAMENTO - RIFIUTI -
Ordinanza di rimozione e bonifica -
Competenza - Comune - Sussistenza - Art.
192, c. 3 d.lgs. n. 152/2006.
A mente dell’art. 192 D.lgs. 152/2006, terzo
comma, il Comune è senza dubbio pienamente
competente ad emanare le ordinanza di
rimozione dei rifiuti e di redazione di un
piano di bonifica di un'area inquinata.
INQUINAMENTO - RIFIUTI -
Ordinanze di bonifica emesse a carico del
responsabile dell’inquinamento - Esecuzione
in danno - Facoltà - Condizioni.
Il Comune non ha nessun obbligo di eseguire
in danno le ordinanza emesse a carico del
responsabile dell’inquinamento e ben può
procedere a tale operazione solo quando ha
verificato che nessun altro strumento a sua
disposizione si è rivelato praticabile.
L’esecuzione d’ufficio delle ordinanze
emesse, nella specie, contro la società
fallita responsabile dell’inquinamento,
pertanto, non può essere ritenuta come
presupposto di legittimità per poter
procedere all’emissione dell’ordinanza di
bonifica nei confronti dei proprietari
dell’area (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 27.04.2010 n. 1159 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Contratti a due vie. Tar Toscana:
status speciale per calmierare il mercato.
Niente gara per la Cassa depositi.
I contratti che vengono stipulati da stato,
regioni, enti pubblici, enti locali o
organismi di diritto pubblico con la Cassa
depositi e prestiti sono esenti
dall'applicazione della normativa che impone
il ricorso a forme di selezione ad evidenza
pubblica.
Sono queste le conclusioni a cui è giunto il
TAR Toscana, Sez. I, con
sentenza 27.04.2010 n. 1042,
pronunciandosi in merito ad un ricorso
presentato da un istituto di credito per
l'annullamento dell'atto con cui una
stazione appaltante non procedeva
all'aggiudicazione nei confronti dell'unico
istituto partecipante in quanto, così come
previsto nel disciplinare di gara, l'offerta
presentata era peggiore di quella effettuata
da Cassa depositi e prestiti spa.
Nello specifico la procedura aperta, con
modalità telematica, riguardava l'erogazione
di mutui ventennali e trentennali alle
aziende e agli enti del servizio sanitario
toscano, sulla base di un contratto
normativo da sottoscrivere con la stazione
appaltante, valido fino al 31.12.2011.
L'offerta doveva esprimere due spread
riferiti l'uno a mutui ventennali e l'altro
a mutui trentennali, la cui media sarebbe
stata assunta a base per l'assegnazione del
punteggio.
Il disciplinare prevedeva che la gara non
sarebbe stata aggiudicata all'offerta
migliore se questa fosse risultata superiore
a quella effettuata da Cassa dd.pp. In
particolare il giudice amministrativo,
pronunciandosi sul merito, ha respinto la
tesi dell'istituto di credito, precisando
che le censure della ricorrente si basano
sull'assunto secondo il quale la Cassa
avrebbe dovuto ricevere lo stesso
trattamento di un qualunque operatore
privato nell'ambito della gara in esame, non
potendo la stazione appaltante prevedere un
confronto finale tra l'offerta vincitrice
nella procedura e quella formulata dalla
Cassa perché, in tal modo, questa sarebbe
stata illegittimamente sottratta alle regole
dell'evidenza pubblica.
Al contrario, in base a quanto stabilito
dall'art. 19, comma 2, del dlgs n. 163/06
queste non si applicano agli appalti
pubblici di servizi aggiudicati da
un'amministrazione aggiudicatrice o da un
ente aggiudicatore ad un'altra
amministrazione aggiudicatrice in base ad un
diritto esclusivo di cui essa beneficia in
virtù di disposizioni legislative,
regolamentari o amministrative, purché tali
disposizioni siano compatibili con il
Trattato europeo.
Per giungere a dette conclusioni il giudice
ritiene opportuno definire preliminarmente
il regime a cui la Cassa è sottoposta e
qualificare giuridicamente detto organismo.
In particolare sul primo punto, nel
ricostruirne le modifiche statutarie
intervenute, precisa che il comma 7
dell'art. 5 del dl n. 269/2003 (convertito
nella legge n. 326/2003), individua le
funzioni della Cassa tra cui proprio quella
di finanziare lo stato, le regioni, gli enti
locali, gli enti pubblici e gli organismi di
diritto pubblico, utilizzando fondi
rimborsabili sotto forma di libretti di
risparmio postale, di buoni fruttiferi
postali, assistiti dalla garanzia dello
stato e fondi provenienti dall'emissione di
titoli, dall'assunzione di finanziamenti e
da altre operazioni finanziarie anch'essi
con possibile garanzia statale.
Per quanto riguarda la qualificazione
giuridica giunge alla conclusione che la
Cassa possieda i requisiti propri
dell'organismo di diritto pubblico, come
definito dall'art. 3, comma 26, del dlgs
12.04.2006, n. 163, in quanto si tratta «di
un soggetto dotato di personalità giuridica,
sottoposto indubbiamente ad una influenza
pubblica essendo il suo capitale in mano
allo stato, e si può anche ritenere che sia
istituita per soddisfare esigenze di
interesse generale che non hanno carattere
industriale o commerciale». Scopo della
Cassa, infatti è quello di fornire provvista
finanziaria alle pubbliche amministrazioni
statali e locali al fine di consentire loro
di svolgere le proprie funzioni
istituzionali laddove, rivolgendosi al
mercato, tali mezzi sarebbero reperibili a
condizioni più onerose.
Sulla base di dette riflessioni il giudice
ritiene di non accogliere le richieste della
parte ricorrente precisando, inoltre, che il
mancato assoggettamento alle procedure ad
evidenza pubblica riguarda non solo le
operazioni previste dall'art. 13 del dm
economia del 06.10.2004 che impone la
pubblicità delle condizioni generali dei
prestiti di scopo mediante l'emanazione di
apposite circolari da pubblicare in Gazzetta
Ufficiale e nel sito telematico della Cassa,
ma anche tutte le rimanenti proposte di
finanziamento che Cassa può erogare in base
alla sua stessa legge istitutiva, a
condizioni diverse, per categorie omogenee
di soggetti o di finalità, a favore di
amministrazioni aggiudicatrici, per lo
svolgimento di interventi di interesse
pubblico.
Queste ultime, infatti, sempre a parere del
Collegio, non contrastano con i principi
comunitari e si inquadrano in una coerente
missione istituzionale «che, con efficace
espressione, è stata definita calmieramento
del mercato per consentire alle
amministrazioni aggiudicatrici di svolgere
le proprie funzioni senza indebitarsi a
condizioni gravose» (articolo ItaliaOggi
del 08.05.2010, pag. 25). |
APPALTI:
ATI orizzontali - Indicazione
delle parti da eseguire - Assenza di
specifica previsione della lex specialis -
Necessità - Esclusione.
Non è necessario, in mancanza di una
previsione esplicita della lex specialis,
che le ATI orizzontali indichino le parti da
eseguire o le percentuali, perché la
distribuzione del lavoro per ciascuna
impresa non rileva all’esterno e tutte le
imprese sono responsabili in solido
dell’intero.
Avvalimento - Libertà di
forma - Normativa comunitaria di riferimento
- Principio di massima accessibilità al
mercato delle commesse pubbliche - Soggetti
parte di un raggruppamento costituendo -
Avvalimento - Possibilità -
Schema o tipo specifico di
contratto di avvalimento.
Stante che nell'ordinamento interno italiano
non è previsto uno schema o un tipo
specifico di contratto di avvalimento tra
imprese (sicché deve ritenersi che esso può
rivestire qualunque forma, anche non
esattamente documentale, e la sua esistenza
può essere provata in qualunque modo
idoneo), deve concludersi che, tenuto conto
della normativa comunitaria di riferimento
(artt. 47, comma 3, e 48, comma 4, dir.
2004/18/CE: “un raggruppamento di
operatori economici […] può fare affidamento
sulle capacità dei partecipanti al
raggruppamento o di altri soggetti”) e
del principio di massima accessibilità al
mercato delle commesse pubbliche, vada
ammessa la possibilità di avvalimento anche
per i soggetti parte di un raggruppamento
costituendo, e ciò non solo nei confronti
dei soggetti esterni ma anche degli stessi
partecipanti al raggruppamento (TAR Lazio,
Sez. I, 22 maggio 2008, n. 4820) (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 26.04.2010 n. 3832 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa - Offerta -
Requisito della segretezza - Utilizzo di
busta trasparente - Agevole lettura dei
prezzi - Esclusione dalla gara -
Legittimità.
In una gara basata sul criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa i principi
(inderogabili) della parità di condizioni
tra i concorrenti e del regolare ed
imparziale svolgimento della gara possono
essere rispettati solo se l’offerta
economica resta segreta fintanto che non
siano state valutate l’ammissibilità dei
concorrenti alla gara e le componenti
tecnico-qualitative dell’offerta.
Ne deriva la legittimità dell’esclusione
disposta in caso di utilizzo di una busta
trasparente tale da consentire una agevole
lettura dei prezzi offerti indicati nella
prima pagina. Ciò che rileva infatti, al di
là delle caratteristiche del contenitore, è
il dato obiettivo della leggibilità, anche
parziale, dell’offerta economica in un
momento in cui non può essere conosciuta.
Impresa legittimamente
esclusa dalla gara - Interesse a contestare
l’aggiudicazione - Presupposti.
Un’impresa legittimamente esclusa da una
gara d'appalto ha interesse a contestare
l'aggiudicazione ad altri quando dimostri,
al fine della rinnovazione della gara, che
nessun altro concorrente aveva titolo a
partecipare (Cons. Stato, V, n. 2871/2009;
n. 2629/2008; VI n. 2016/2008).
Cooperative sociali e
ONLUS senza fine di lucro - Esclusione dalle
gare d’appalto - Assenza di fondamento
normativo.
L'esclusione da una gara d'appalto di un
soggetto che sia Cooperativa sociale e ONLUS
senza fine di lucro non ha alcun fondamento
testuale, dato che la normativa nazionale
non ha mai richiesto tra i requisiti di
partecipazione alle procedure concorsuali la
qualità di impresa commerciale né il fine di
lucro (cfr. Consiglio di Stato, sez. V -
08/07/2002 n. 3790; TAR Brescia, I,
27.10.2008 n. 1440).
In definitiva, le norme generali in materia
di partecipazione alle gare pubbliche non
legittimano l'esclusione delle Cooperative
sociali, e non residuano dubbi circa la loro
possibilità di concorrere all'aggiudicazione
degli appalti sopra la soglia comunitaria ai
sensi della direttiva 2004/18.
Ammissione alla gara di
soggetti che beneficiano di sovvenzioni -
Principio della parità di trattamento -
Violazione - Esclusione.
Il principio della parità di trattamento non
è violato per il solo motivo che le
amministrazioni ammettono la partecipazione
ad un procedimento di aggiudicazione di un
appalto pubblico di organismi che
beneficiano di sovvenzioni, che consentono
loro di presentare offerte a prezzi
notevolmente inferiori a quelli degli altri
concorrenti: infatti, se il legislatore
comunitario avesse avuto l'intenzione di
obbligare le stazioni appaltanti ad
escludere tali offerenti, l'avrebbe
espressamente indicato (Corte di giustizia
CE, sez. VI - 7/12/2000 procedimento
C-94/99) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 26.04.2010 n. 3831 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante, in sede
di gara, può chiedere requisiti ulteriori
rispetto a quelli previsti dalla legge,
sempre che tali requisiti siano logici,
adeguati e congrui e non compromettano la
libera concorrenza.
La stazione appaltante, in sede di gara, può
sempre chiedere requisiti ulteriori rispetto
a quelli previsti dalla legge, pur tuttavia
tale circostanza deve sostanziarsi in
richieste, comunque, non illogiche, ovvero
in contrasto con norme primarie o
manifestamente eterogenee rispetto allo
scopo perseguito o, ancora, rispettose della
par condicio dei concorrenti. I requisiti
richiesti, cioè, devono essere logici,
adeguati, congrui e non suscettibili di
precostituire situazioni di assoluto
privilegio in favore di pochi soggetti o di
determinare una preclusione insormontabile
all'accesso al mercato di imprese in
possesso di indici di affidabilità
operativa.
Nel caso di specie, pertanto, risulta quanto
mai discriminante la richiesta di dimostrare
l'esperienza del servizio di accertamento
dei tributi, attraverso la presentazione di
una referenza rilasciata obbligatoriamente
da almeno un Comune della Provincia, dal
momento che si creerebbero delle posizioni
assolutamente dominanti nel mercato, andando
a favorire gli interessi di quei pochi
soggetti già presenti sul territorio, dando
modo a questi ultimi di consolidare e di
perpetuare la loro situazione di assoluto
vantaggio, a tutto discapito degli altri
concorrenti, non certo privi di esperienza,
ma che vedono loro preclusa ogni chance per
l'aggiudicazione del servizio (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 24.04.2010 n. 1496 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Assoggettamento di un bene al vincolo di
interesse particolarmente importante - L. n.
1089/1939 - Comunicazione di avvio del
procedimento - Necessità - Mancanza -
Invalidità del provvedimento di vincolo.
Qualora si inizi il procedimento di
assoggettamento di un bene immobile o mobile
al vincolo ex L. 01.06.1939 n. 1089
(interesse particolarmente importante),
occorre previamente comunicare l'avvio del
procedimento ai soggetti interessati, in
applicazione della l. 07.08.1990 n. 241, a
pena di invalidità del provvedimento di
vincolo (cfr. TAR Toscana, Sez. I,
08.07.2008 n. 1742; n. 523, TAR Toscana,
Sez. I, 27.11.2006 n. 6030, TAR Abruzzo
L'Aquila, 25.07.2003, Consiglio Stato, Sez.
VI, 04.04.2003 n. 1751) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.04.2010 n. 1599 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia -
Ricostruzione dell’edificio demolito -
Parametro di riferimento - Disciplina
vigente all’epoca della realizzazione del
manufatto - Diritto acquisito al
mantenimento dell’immobile esistente.
Ai fini della conformità urbanistica della
ristrutturazione edilizia -laddove
realizzata mediante ricostruzione
dell'edificio demolito ed il mantenimento di
tutti i parametri urbanistico edilizi
preesistenti quali la volumetria, la sagoma,
l'area di sedime ed il numero delle unità
immobiliari- il parametro di riferimento è
rappresentato dalla disciplina vigente
all'epoca della realizzazione del manufatto
come attestata dal titolo edilizio e non da
quella sopravvenuta al momento della
esecuzione dei lavori di ristrutturazione
dovendosi fare salvo, in capo
all'interessato, il diritto acquisito al
mantenimento, conservazione e
ristrutturazione dell'immobile esistente
giacché la legittimazione urbanistica del
manufatto da demolire si trasferisce su
quello ricostruito (TAR Puglia Bari, sez.
III, 22.07.2004, n. 3210) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 22.04.2010 n. 1133 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
ENTI LOCALI - VARI:
Detriti in strada, ditta
responsabile. Cassazione: sicurezza da
garantire.
I titolari della ditta
edile che, dopo i lavori, abbandona del
materiale pericoloso in strada sono
penalmente responsabili. Mentre la condanna
di chi ha commissionato il lavoro scatta
solo nel caso in cui venga dimostrato che
era in grado di accorgersi
«dell'inadeguatezza delle misure di
sicurezza».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez.
IV penale, con la
sentenza 19.04.2010 n. 15081, che
ha respinto il ricorso dei titolari di una
ditta edile, ma ha accolto quello del
committente, accusati di aver lasciato in
strada della calce che aveva provocato un
grave incidente a un bambino.
Il minore aveva perso l'uso dell'occhio
destro perché, giocando con l'amichetto con
il materiale trovato in strada, era venuto a
contatto con la calce.
Per questo fatto erano stati condannati i
due fratelli, titolari della piccola
azienda, e il committente dei lavori. Contro
la decisione della Corte d'appello di
Caltanissetta i tre hanno fatto ricorso in
Cassazione. La Suprema corte ha confermato
la responsabilità dei vertici dell'azienda
ma ha annullato con rinvio la condanna nei
confronti del committente precisando che in
questi casi la responsabilità di questo è
soggetta a paletti più stringenti.
In particolare con queste interessanti
motivazioni la Cassazione ha precisato che «il
committente di lavori dati in appalto deve
adeguare la sua condotta a due fondamentali
regole di diligenza e prudenza» e cioè «scegliere
l'appaltatore e più in genere il soggetto al
quale affidare l'incarico, accertando che la
persona, alla quale si rivolge, sia non
soltanto munita dei titoli di idoneità
prescritti dalla legge, ma anche della
capacità tecnica e professionale,
proporzionata al tipo astratto di attività
commissionata ed alle concrete modalità di
espletamento della stessa».
Infine non deve «ingerirsi nella
esecuzione dei lavori». In altri
termini, anche quando non si ingerisce nella
esecuzione dei lavori dati in appalto, il
committente rimane comunque «obbligato a
verificare l'idoneità tecnico-professionale
dell'impresa e dei lavoratori autonomi
prescelti in relazione ai lavori affidati».
Questo anche perché, «in tema di
prevenzione degli infortuni sul lavoro, il
contratto d'appalto determina il
trasferimento dal committente
all'appaltatore della responsabilità
nell'esecuzione dei lavori, salvo che lo
stesso committente assuma una partecipazione
attiva nella conduzione e realizzazione
dell'opera, nel qual caso anch'egli rimane
destinatario degli obblighi assunti
dall'appaltatore» (articolo ItaliaOggi
del 20.04.2010, pag. 20). |
APPALTI:
Sul procedimento di verifica
dell'anomalia delle offerte.
L'art. 88, c. 3, ultimo periodo del d.lgs. n
163/2006 (Codice di contratti), nel disporre
che la stazione appaltante, avvalendosi, se
del caso, di un'apposita commissione
tecnica, esamina gli elementi costitutivi
dell'offerta tenendo conto delle
giustificazioni fornite, "e può
richiedere per iscritto ulteriori
chiarimenti, se resi necessari o utili a
seguito di tale esame", impone che la
richiesta scritta degli accennati "ulteriori
chiarimenti" abbia un contenuto dettagliato
e precisi l'oggetto su cui debbano vertere i
chiarimenti stessi.
Ne consegue che, nel caso di specie, è
illegittima l'assunzione ad uno dei motivi
dell'esclusione di un'offerta siccome
ritenuta non aver superato il vaglio di
anomalia, di un profilo di perplessità, poi
elevato a quid novi motivazionale della
determinazione di esclusione, non
esplicitato nelle richieste di chiarimenti
e, conseguentemente, non reso oggetto di
approfondimenti e controdeduzioni
dell'impresa sottoposta al giudizio di
congruità e rispetto al quale la concorrente
non sia stata perciò posta in grado di
fornire giustificazioni integrative.
Il microsistema in cui si dipana il sub
procedimento di verifica dell'anomalia delle
offerte è ispirato al principio
dell'effettività del contraddittorio, il
quale esige che l'impresa assoggettata allo
scrutinio di congruità venga edotta
dall'Amministrazione o dagli organi di gara
di tutti gli elementi di giudizio, oltre
che, dei parametri di raffronto che la
commissione intenda utilizzare per la
formulazione del suo sindacato e sui quali
l'impresa deve poter misurare le sue stesse
valutazioni ed esporre le sue
controdeduzioni.
Tale specificazione è richiesta in ossequio
al principio di leale collaborazione, tra
concorrente e p.a., in vista del
conseguimento del comune obiettivo di
appurare l'affidabilità e la bontà
dell'offerta, il quale non rappresenta solo
lo scopo utilitaristico avuto di mira
dall'impresa sottoposta a scrutinio e
potenziale aggiudicataria, ma anche e
principalmente un obiettivo
dell'Amministrazione, la quale ha interesse
ad acclarare se l'offerta in parola,
risultata la migliore, è congrua ed
accettabile.
Deve sussistere corrispondenza tra i profili
di perplessità o di criticità di un'offerta
posti a fondamento del giudizio di anomalia
e gli aspetti di perplessità e
problematicità della medesima evidenziati
nella richiesta di giustificazioni
integrative e fatti oggetto degli ulteriori
chiarimenti richiesti all'impresa, non
potendo la valutazione negativa di
inaccettabilità per incongruità
dell'offerta, fondarsi su profili che non
siano stati contestati all'impresa e su cui
quindi essa non abbia potuto controdedurre
nella precedente fase istruttoria (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 19.04.2010 n. 1951 -
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EDILIZIA PRIVATA:
BOSCHI E FORESTE - Disciplina
normativa forestale - Disciplina
paesaggistica - Tutela del bosco -
Presupposti differenti - Costruzione in zona
sottoposta a vincolo forestale e paesistico
- Atti autorizzativi distinti.
Mentre la disciplina normativa forestale
(R.d.l. n. 3267/1923; d.lgs. n. 227/2001:
L.r. Lombardia n. 27/2004) tutela il bosco
in quanto tale, cioè quale elemento
fondamentale per lo sviluppo socio-economico
e per la salvaguardia ambientale del
territorio della Repubblica italiana, la
disciplina paesaggistica tutela il bosco in
quanto espressione dei valori naturali ed
estetici del territorio.
Si comprende, allora, perché, in caso di
costruzione che si trovi in zona sottoposta
sia a vincolo forestale che a vincolo
paesistico, occorrano tre distinti atti
autorizzativi:
- l’autorizzazione forestale ex artt. 7 R.d.
n. 3267/1923, 4 d.lgs. n. 227/2001 e 4 legge
regionale Lombardia n. 27/2004;
- l’autorizzazione paesaggistica da parte
dell’ente preposto, ai sensi degli artt. 146
e 167 d.lgs. n. 42/2004 e 80 L.R. Lombardia
n. 12/2005;
- il permesso di costruire da parte del
Comune, che può essere rilasciato soltanto
nel caso in cui siano state previamente
rilasciate le predette autorizzazioni
paesaggistiche e forestali che ne
costituiscono il presupposto legale (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 14.04.2010 n. 1078 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Requisizione di
un’area per lo stoccaggio dei rifiuti solidi
urbani - Derequisizione - Presupposto -
Cessazione dello stato di necessità -
Obbligo di ripristino dello stato originario
dei luoghi - Esclusione - Obbligo di far
precedere la derequisizione dalla bonifica -
Esclusione - Responsabilità contrattuale
dell’autorità beneficiaria della
requisizione.
In base alla normativa vigente
la derequisizione trova il suo unico
presupposto di legittimità nella cessazione
dello stato necessitante valorizzato dalla
precedente requisizione, non essendo
condizionata dall’assolvimento dell’obbligo
di ripristino dello stato originario dei
luoghi (nella specie, bonifica delle aree
requisite inquinate dal percolato dei RSU
ivi stoccati).
Invero, tale obbligo discende
direttamente dalla legge in virtù della
posizione di custode assunta dall’autorità
beneficiaria della requisizione e può dar
luogo, in caso di inosservanza, a distinta
responsabilità contrattuale, ma giammai può
influire sulla legittimità del provvedimento
di derequisizione, che deve essere emanato
senza indugio al cessare degli eventi
necessitanti, per consentire al privato
inciso il riacquisto delle facoltà inerenti
al diritto di proprietà.
Ne consegue che, nella specie, la
derequisizione non deve necessariamente
essere preceduta dalla bonifica.
INQUINAMENTO - Bonifica - Obbligo -
Disponibilità dell’area compromessa -
Irrilevanza - Condotta determinativa
dell’inquinamento o del pericolo di
inquinamento - Trasferimento dell’immobile -
Irrilevanza.
L’obbligo di bonifica prescinde dalla
disponibilità dell’area compromessa e si
collega semplicemente alla condotta
determinativa dell’inquinamento o del
pericolo di inquinamento: in altre parole,
il responsabile del degrado è sempre tenuto
a ripristinare la precedente situazione
ambientale, indipendentemente dal rapporto
giuridico sussistente in relazione al bene
contaminato.
Ne deriva che il soggetto individuato come
responsabile di attività inquinanti, giammai
può perdere tale qualità con il semplice
trasferimento della detenzione dell’immobile
in altre mani (nella specie, trasferimento
-a seguito di derequisizione- dal Comune
responsabile dell’inquinamento ai
proprietari dell’area, che era stata
requisita dal medesimo comune per far fronte
agli interventi richiesti dall’emergenza
ambientale in Campania).
INQUINAMENTO - Bonifica - Obbligo -
Responsabile dell’inquinamento - Qualifica
di proprietario o detentore del terreno
inquinato - Interventi di bonifica - Onere
reale.
L’obbligo di bonifica grava
sull’effettivo responsabile
dell’inquinamento, mentre la mera qualifica
di proprietario o detentore del terreno
inquinato non implica l’obbligo di
effettuazione della bonifica, e le autorità
amministrative hanno il dovere di ricercare
ed individuare il responsabile
dell’inquinamento, non potendo costringere
il titolare dell’area a porre in essere gli
interventi necessari (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI, 05.09.2005 n. 4525;
TAR Lombardia Milano, Sez. IV, 02.04.2008
n. 791; TAR Campania Napoli, Sez. I, 12.12.2005 n. 20141).
Tutt’al più il
proprietario dell’area ha l’onere di
eseguire gli interventi ambientali al fine
di evitare l’espropriazione del terreno,
gravato ex lege da onere reale e privilegio
speciale (cfr. TAR Piemonte, Sez. I, 21.11.2008 n. 2928; TAR Toscana, Sez. II,
30.05.2008 n. 1541) (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 08.04.2010 n. 1824 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è necessario il permesso per
costruire per modeste recinzioni di fondi
rustici senza opere murarie, e cioè per la
mera recinzione con rete metallica sorretta
da paletti di ferro o di legno senza muretto
di sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che
comprende lo ius excludendi alios o comunque
la delimitazione e l’assetto delle singole
proprietà; occorre, invece, il permesso,
quando la recinzione è costituita da un
muretto di sostegno in calcestruzzo con
sovrastante rete metallica, incidendo esso
in modo permanente e non precario
sull’assetto edilizio del territorio.
La realizzazione di una recinzione non
richiede la concessione edilizia (ora
permesso di costruire) soltanto quando la
stessa, per natura e dimensioni delle opere
e loro destinazione e funzione, non incida
in modo permanente sull’assetto edilizio del
territorio.
Pertanto, come affermato dalla
giurisprudenza, cui il Collegio non ravvisa
ragioni per discostarsi, “non è
necessario il permesso per costruire per
modeste recinzioni di fondi rustici senza
opere murarie, e cioè per la mera recinzione
con rete metallica sorretta da paletti di
ferro o di legno senza muretto di sostegno,
in quanto entro tali limiti la recinzione
rientra solo tra le manifestazioni del
diritto di proprietà, che comprende lo ius
excludendi alios o comunque la delimitazione
e l’assetto delle singole proprietà;
occorre, invece, il permesso, quando la
recinzione è costituita da un muretto di
sostegno in calcestruzzo con sovrastante
rete metallica, incidendo esso in modo
permanente e non precario sull’assetto
edilizio del territorio” (TAR Lazio,
Roma, II, 11.09.2009, n. 8644) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 02.04.2010 n. 963 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L'esame dell'incidenza del CCNL
proposto da un concorrente sulla congruità e
affidabilità dell'offerta deve essere svolto
dimostrando come il trattamento economico
previsto nel contratto sia o meno conforme
al precetto dell'art. 36, Cost..
Nell'ordinamento attuale, venuto meno il
contenuto normativo dell'art. 2070, c.c.,
vige il principio per il quale, se il datore
di lavoro non aderisce al sindacato
imprenditoriale firmatario dell'accordo
collettivo della cui applicazione si tratti,
non vi è un obbligo giuridico per
l'imprenditore stesso di applicare il
contratto corrispondente all'effettiva
attività economica esercitata (cfr. Sez. un.
civ., sent. 26.03.1997 n. 2665; Cass. civ.,
sez. lav., sent. 13.07.2009 n. 16340)
Anche l'art. 118, c. 6, d.lgs. n. 163/2006
(codice dei contratti pubblici), quando pone
il problema d'individuare quale sia il
contratto collettivo di lavoro "in vigore
nel settore", deve essere interpretato
nel quadro dei principi derivanti
dall'orientamento ormai costante della
Cassazione: il che comporta, che l'esame
dell'incidenza del CCNL proposto da un
concorrente (nella specie CCNL
metalmeccanici) sulla congruità e
affidabilità dell'offerta deve essere svolto
dimostrando come il trattamento economico
previsto nel contratto sia o meno conforme
al precetto dell'art. 36, Cost. (tenuto
conto anche di quanto previsto, in tema di
verificazione delle offerte anomale,
dall'art 87, c. 3, codice dei contratti
pubblici, con la conseguenza che l'offerta
economica non rispettosa dei concordati
minimi salariali dev'essere, in tali casi,
automaticamente esclusa dalla gara)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.03.2010 n. 1813 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’omessa menzione della futura
acquisizione dell’area nulla toglie alla
legittimità dell’ordine di demolizione del
fabbricato abusivo.
Il provvedimento impugnato reca l’ordine di
demolizione delle opere abusive,
precedentemente descritte, entro il termine
perentorio di 90 giorni dalla data di
notifica, con ripristino integrale dello
stato dei luoghi, e senza pregiudizio delle
sanzioni penali e pecuniarie, precisando
che, in caso di inadempimento, si provvederà
alla demolizione d’ufficio, a spese dei
responsabili dell’abuso.
Manca dunque soltanto l’indicazione che il
bene e l’area di sedime verrà acquisita di
diritto gratuitamente al patrimonio
disponibile del Comune nel caso in cui il
responsabile dell’abuso non provveda alla
demolizione ed al ripristino dello stato dei
luoghi, come invece richiesto dall’art. 6
della l.r. Umbria 03.11.2004, n. 21,
applicabile, in quanto norma di dettaglio,
ai sensi dell’art. 2 della stessa legge, in
luogo delle invocate (e comunque
sostanzialmente analoghe) disposizioni degli
artt. 31 e 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380
(t.u. delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di edilizia).
Tale omissione non inficia peraltro l’ordine
demolitorio, che enuncia correttamente i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche
ad esso sottese, ed anche il suo specifico
contenuto ed effetto sanzionatorio.
La successiva (ed eventuale) acquisizione
dell’immobile al patrimonio del Comune è un
effetto legale dell’inadempimento, e si
verifica (dandosene i presupposti) «di
diritto», come dispone la norma citata.
Nondimeno ci si può chiedere se detto
effetto si verifichi ugualmente anche quando
non ne sia fatta esplicita menzione
nell’atto, o se al contrario perché esso si
produca occorra un nuovo atto che integri il
precedente, anche al fine di individuare
esattamente l’area da acquisire. Non è però
questa la sede per rispondere a tale
quesito; esso sarà rilevante a di interesse
attuale solo nell’ipotesi che, scaduto
inutilmente il termine per la demolizione,
il Comune voglia procedere all’acquisizione
dell’immobile.
Allo stato è sufficiente osservare che
l’omessa menzione della futura acquisizione
dell’area nulla toglie alla legittimità
dell’ordine di demolizione (TAR Umbria,
sentenza 26.03.2010 n. 219 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La violazione
dell’art. 3, comma 4, della legge 241/1990
(la mancata indicazione, nel provvedimento,
dell’Autorità cui è possibile ricorrere e
del relativo termine) non determina
l’illegittimità dell’atto, bensì la
possibilità, a certe condizioni, della
remissione in termini per errore scusabile.
Per quanto
concerne la mancata indicazione, nel
provvedimento, dell’Autorità cui è possibile
ricorrere e del relativo termine, pure
censurate con il motivo oggetto di
scrutinio, occorre ricordare come, secondo
il costante indirizzo giurisprudenziale, la
violazione dell’art. 3, comma 4, della legge
generale sul procedimento amministrativo non
determina l’illegittimità dell’atto, bensì
la possibilità, a certe condizioni, della
remissione in termini per errore scusabile
(tra le tante, TAR Toscana, Sez. II,
06.04.2009, n. 565; TAR Calabria, Catanzaro,
Sez. I, 04.05.2009, n. 387; TAR Lazio, Sez.
III, 18.10.2006, n. 10462; Cons. Stato, Sez.
VI, 16.05.2006, n. 2763)
(TAR Umbria,
sentenza 26.03.2010 n. 219 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’onere di fornire la prova
dell’epoca di realizzazione di un abuso
edilizio incombe sull’interessato, e non
sull’Amministrazione, che, in presenza di
un’opera edilizia non assistita da un titolo
edilizio che la legittimi, ha solo il
potere-dovere di sanzionarla ai sensi di
legge e di adottare, quindi, il
provvedimento di demolizione.
L’onere di fornire la prova dell’epoca di
realizzazione di un abuso edilizio incombe
sull’interessato, e non
sull’Amministrazione, che, in presenza di
un’opera edilizia non assistita da un titolo
edilizio che la legittimi, ha solo il
potere-dovere di sanzionarla ai sensi di
legge e di adottare, quindi, il
provvedimento di demolizione (tra le tante,
TAR Piemonte, Sez. I, 04.09.2009, n. 2247;
TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 26.10.2005,
n. 4099; TAR Umbria, 10.07.2003, n. 589); e
nel caso di specie prova sufficiente della
riconducibilità del manufatto abusivo ad
epoca risalente a non meno di trentacinque
anni orsono non possono certamente ritenersi
le dichiarazioni sostitutive di atto di
notorietà versate in atti.
Peraltro l’emanazione di un provvedimento
che ordini la demolizione di un’opera
edilizia abusiva non deve essere preceduta
dall’accertamento e dimostrazione ad opera
dell’Amministrazione comunale che all’epoca
della realizzazione l’opera fosse abusiva,
essendo sufficiente l’accertamento della
permanenza dell’opera abusiva nel momento in
cui il provvedimento è adottato (Cons.
Stato, Sez. II, 30.01.1991, n. 772).
Inoltre l’irrogazione della sanzione della
demolizione di opere abusive non incontra
limiti di prescrizione e dunque, una volta
accertatane l’esistenza, l’adozione del
provvedimento di demolizione non richiede
una specifica motivazione sul punto della
presumibile realizzazione dell’abuso stesso
in epoca risalente e della ampiezza del
tempo trascorso (TAR Emilia Romagna,
Bologna, Sez. II, 18.02.2003, n. 116).
Ciò specie se, come è nel caso di specie,
l’opera abusiva insiste su di un territorio
sottoposto, nella sua interezza, a vincolo
paesaggistico, ipotesi nella quale la
sanzione demolitoria costituisce l’ordinaria
e legittima reazione ordinamentale
dell’accertata abusività (ex multis
TAR Abruzzo, Pescara, 04.06.2008, n. 558)
(TAR Umbria,
sentenza 26.03.2010 n. 219 - link
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una tettoia,
configurandosi quale opera di trasformazione
urbanistica del territorio non rientrante
nella categoria delle pertinenze, è
subordinata al rilascio del permesso di
costruire, diversamente dal pergolato, che è
una struttura aperta sia lateralmente che
nella parte superiore; la tettoia, invece,
può essere utilizzata anche come riparo ed
aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile.
La nozione di pergolato si caratterizza per
l’assenza di tamponature laterali e di
copertura. La trasformazione del pergolato
in tettoia (realizzata, come nel caso di
specie, in cemento e con copertura in
tegole) determina la creazione di un nuovo
volume.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che
la realizzazione di una tettoia,
configurandosi quale opera di trasformazione
urbanistica del territorio non rientrante
nella categoria delle pertinenze, è
subordinata al rilascio del permesso di
costruire, diversamente dal pergolato, che è
una struttura aperta sia lateralmente che
nella parte superiore; la tettoia, invece,
può essere utilizzata anche come riparo ed
aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile
(Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 10534)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 17.03.2010 n. 1168 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9 d.m. 02.04.1968 n. 1444 è una disposizione
tassativa ed inderogabile, la quale trova
applicazione anche nel caso in cui solo una
delle pareti antistanti risulti finestrata e
non entrambe.
Il permesso di costruire impugnato ha
consentito, sul terreno confinante con
quello dei ricorrenti, la realizzazione di
un intervento edilizio che, per le sue
caratteristiche (demolizione integrale
dell’esistente; costruzione di un edificio a
due piani in luogo di quello precedente ad
un solo piano, il quale utilizza in parte la
volumetria preesistente, che era collocata
in manufatti ora non riedificati, e si
prolunga in parallelo con l’edificio dei
ricorrenti per una lunghezza ben maggiore
del precedente) non può essere qualificato
come di semplice ricostruzione.
Tale nuovo edificio si colloca alla distanza
di 8 metri circa dalla casa del Gobbi,
mentre avrebbe dovuto rispettare la distanza
minima assoluta di m. 10 tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti,
prescritta, tra l’altro, dall’art. 20 delle
n.t.a. applicabili alla fattispecie e,
comunque dall'art. 9, d.m. 02.04.1968 n.
1444: né si ravvisa contrasto tra
quest’ultima norma regolamentare e l’altra
disposizione qui citata.
Il fatto che, dopo la presentazione del
ricorso sia stata presentata dai
controinteressati una denuncia d’inizio
attività al Comune, destinata a modificare
la parete finestrata, occludendo le relative
vedute, non basta a far venir meno
l’originario profilo d’illegittimità del
provvedimento (appunto costituito dalla
violazione del ripetuto art. 9).
Infatti, per costante giurisprudenza (tra le
ultime, TAR Liguria Genova, sez. I,
30.06.2009, n. 1621), la norma de qua
è intesa a impedire la formazione di
intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario.
Si tratta poi di disposizione tassativa ed
inderogabile, la quale trova applicazione
anche nel caso in cui solo una delle pareti
antistanti risulti finestrata e non entrambe
(Cass., sez. II, 26.10.2007, n. 22495): ciò
che appunto continua a verificarsi nella
fattispecie
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 16.03.2010 n. 823 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’ampliamento di volumetria utile
può conseguire ad un intervento di
ristrutturazione edilizia quando però esso
risulti contenuto all’interno della sagoma
dell’edificio preesistente, il quale non
deve essere stato fatto oggetto,
preliminarmente, di demolizione totale: in
tale ultimo caso, infatti, il nuovo edificio
deve rispecchiare fedelmente la sagoma e la
volumetria del fabbricato preesistente onde
potersi qualificare l’intervento di
ricostruzione come ristrutturazione
edilizia.
Come già la Sezione ha avuto modo di
rimarcare (cfr. sentenza n. 2888/2009),
l’ampliamento di volumetria utile può
conseguire ad un intervento di
ristrutturazione edilizia (come si desume
dal combinato disposto degli artt. 10, lett.
c), e 3, comma 1, lett. e.1), del D.P.R.
380/2001), quando però esso risulti
contenuto all’interno della sagoma
dell’edificio preesistente, il quale non
deve essere stato fatto oggetto,
preliminarmente, di demolizione totale: in
tale ultimo caso, infatti, il nuovo edificio
deve rispecchiare fedelmente la sagoma e la
volumetria del fabbricato preesistente onde
potersi qualificare l’intervento di
ricostruzione come ristrutturazione
edilizia.
Ritiene il
Collegio che l’art. 9 comma 2 D.P.R.
380/2001, attesa la forza cogente
conseguente alla sua natura di norma
legislativa di rango primario, integri in
via automatica gli strumenti urbanistici
generali già approvati alla data di entrata
in vigore del testo unico, comportandone
sostanzialmente la disapplicazione laddove
essi prevedano l’obbligo dello strumento
attuativo anche per dar corso ad interventi
di ristrutturazione edilizia. Esso
costituisce allo stesso tempo una norma di
principio della quale i Comuni debbono
evidentemente attenersi nella approvazione
dei nuovi strumenti urbanistici
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 10.03.2010 n. 888 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Il rifiuto del destinatario di
ricevere il diniego di d.i.a vale a
considerare eseguita ex art. 138 c.p.c. la
notifica dell'atto, con conseguente
decorrenza dei termini per la sua
impugnazione.
Anche nel procedimento amministrativo vale
il principio generale ex art. 138 c.p.c.,
secondo il quale in caso di notificazione (o
comunicazione) a mani proprie (e cioè
direttamente al destinatario), in caso di
rifiuto del destinatario di ricevere l'atto,
la notificazione si considera valida
(Consiglio Stato, sez. IV, 05.10.2004, n.
6490) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.02.2010 n. 383 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di d.i.a., è possibile che i terzi,
che ritengano di essere pregiudicati
dall’effettuazione di una attività edilizia
assentita in modo implicito, possono agire
innanzi al Giudice amministrativo per
chiedere l’annullamento del titolo
abilitativo formatosi per il decorso del
termine fissato dalla legge entro cui
l’Amministrazione può impedire gli effetti
della DIA.
La eccezione relativa alla non immediata
impugnabilità della DIA viene a cadere in
considerazione dell’accoglimento del primo
motivo dell’appello n. 10341/2008 con cui si
deduce, appunto, l’erroneità della decisione
appellata che ha ritenuto non impugnabile la
DIA e che viene qui di seguito esaminato.
E’ noto che sul punto questa Sezione, dopo
alcune pronunce di diverso segno, ha assunto
un orientamento meditato (con sentenza n.
5811 del 25.11.2008) che qui è condiviso, in
ordine alla possibilità che i terzi, che
ritengano di essere pregiudicati
dall’effettuazione di una attività edilizia
assentita in modo implicito, possono agire
innanzi al Giudice amministrativo per
chiedere l’annullamento del titolo
abilitativo formatosi per il decorso del
termine fissato dalla legge entro cui
l’Amministrazione può impedire gli effetti
della DIA (nello stesso senso anche Sez. VI
n. 1550 del 05.04.2007 e Sez. V n. 172 del
20.01.2003 mentre a diverse conclusioni è
giunta la stessa Sez. VI con decisione n.
717/2009).
Appaiono decisive nel caso qui all’esame, a
sostegno della tesi della diretta
impugnabilità della DIA, le considerazioni
svolte nella sentenza qui richiamata che ha,
in particolare, posto in rilievo la
previsione espressa nella nuova formulazione
dell’articolo 19, terzo comma, della legge
n. 241 del 07.08.1990 del potere
dell’Amministrazione di annullare in via di
autotutela il titolo conseguente alla DIA
nonché la possibilità “dell’accertamento
della inesistenza dei presupposti per la
formazione del titolo“ con equiparazione
di questa ipotesi al permesso annullato
(articolo 38, comma 2-bis, del DPR
06.06.2001 n. 380).
Queste norme si giustificano solo con la
sostanziale assimilazione del titolo
conseguito in esito alla presentazione della
DIA ed al decorso del termine di legge (dato
all’Amministrazione per verificarne i
presupposti) ad un titolo abilitativo
esplicito.
Si deve, inoltre, considerare comunque che
nel caso qui in esame almeno altre due
ragioni sostanziali inducono a ritenere che
vi sia una equiparazione piena con il
permesso di costruire anche al fine della
diretta impugnabilità dell’atto di assenso
implicito.
In primo luogo l’articolo 41 della legge
regionale n. 12 dell’11.03.2005 equipara in
tutto il permesso di costruire alla DIA
consentendo al privato di scegliere in via
alternativa l’uno o l’altro strumento
procedimentale.
E’, quindi, chiaro che se non si vuole
ridurre la tutela giurisdizionale del terzo,
in forza di un atto di autonomia riferibile
alla volontà di un altro soggetto privato,
di regola portatore di interessi
contrapposti con quelli del terzo, si deve
garantire a quest’ultimo anche la diretta
impugnabilità della DIA così come accade per
il permesso di costruire
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.01.2010 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’ingiunzione
a demolire deve essere rivolta al
responsabile dell’abuso, anche se non
proprietario del suolo.
La corretta individuazione dei mappali
interessati dagli abusi edilizi attiene alla
fase successiva all’adozione dell’ordine di
demolire, ovvero alle operazioni di
acquisizione dell’immobile conseguenti
all’accertata mancata demolizione dei
manufatti abusivi.
A fronte dell’abuso edilizio non può opporsi
alcuna valutazione discrezionale con
riguardo alla sanzione demolitoria, in
quanto il giudizio di antigiuridicità o
illiceità della condotta del privato è
contenuto nella legge.
L’ingiunzione a demolire, come risulta dal
tenore letterale dell’art. 7 della legge n.
47/1985, deve essere rivolta al responsabile
dell’abuso, anche se non proprietario del
suolo (Cons. giust. sic., 13/04/1992, n.
143). Pertanto il ricorrente è tenuto ad
attuare la misura repressiva per il solo
fatto di essere autore dell’illecito: la
circostanza che l’abuso insista su area
appartenente a terzi non inficia di per sé
la validità del provvedimento.
La corretta individuazione dei mappali
interessati dagli abusi edilizi attiene alla
fase successiva all’adozione dell’ordine di
demolire, ovvero alle operazioni di
acquisizione dell’immobile conseguenti
all’accertata mancata demolizione dei
manufatti abusivi, e quindi non può incidere
sulla validità dell’atto impugnato.
L’esatta indicazione delle aree è necessaria
solo ai fini del procedimento di
acquisizione coattiva, successivo
all’accertamento dell’inosservanza
dell’ordine di demolizione, e non può
incidere sulla legittimità della sanzione
demolitoria, il cui contenuto ha lo scopo di
porre in condizione il destinatario di
eliminare le opere abusive, scopo che nel
caso di specie è stato raggiunto con la
puntuale descrizione dei manufatti
realizzati senza titolo (Cons. Stato, V,
06/09/1999, n. 1015; TAR Toscana, III,
20/01/2009, n. 24; idem, 06/02/2008, n. 117;
TAR Campania, Napoli, III, 17/12/2007, n.
16311).
A fronte
dell’abuso edilizio non può opporsi alcuna
valutazione discrezionale con riguardo alla
sanzione demolitoria, in quanto il giudizio
di antigiuridicità o illiceità della
condotta del privato è contenuto nella
legge, sicché non v’è ragione di evidenziare
la preminenza dell’interesse pubblico (ex
multis: Cons. Stato, V, 30/09/2002, n.
5058) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 07.08.2009 n. 1381 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Solo
in virtù dell’art. 2 della legge n. 191 del
16/06/1998 (in vigore dal 05/07/1998) il
legislatore ha univocamente ricompreso tra
gli atti di gestione i provvedimenti
repressivi degli abusi edilizi, inducendo a
ritenere che la competenza ad adottare le
ordinanze di demolizione possa far capo al
dirigente solo dopo l’entrata in vigore
della predetta norma.
L’art. 7 della
legge n. 47/1985 demanda al Sindaco la
competenza ad adottare l’ordine di
demolizione.
Successivamente l’art. 51 della legge n.
142/1990, nel testo novellato dall’art. 6
della legge n. 127/1997, ha posto il
problema di stabilire se il dirigente abbia
la competenza ad emanare gli atti di
gestione per effetto diretto di tale norma
di legge o se invece l’applicazione del
nuovo sistema di competenze sia condizionata
all’emanazione di norme statutarie o
regolamentari che specifichino gli atti di
gestione demandati alla competenza degli
organi burocratici.
Al riguardo il Consiglio di Stato, con
interpretazione che il Collegio condivide,
ha statuito che lo spostamento delle
competenze ai dirigenti degli enti locali,
previsto dall’art. 6, comma 2, della legge n.
127/1997, non è automatico, ma è subordinato
alla previa approvazione delle modifiche
statutarie e regolamentari idonee a
determinare le modalità relative a detto
spostamento: tale norma introduce una
statuizione vincolante ma con valenza di
principio, destinata perciò ad essere
recepita da ciascun ente locale secondo il
proprio ordinamento. A differenza
dell’amministrazione statale, nella quale il
passaggio delle competenze gestionali in
capo ai dirigenti avviene ope legis,
per i Comuni l’operatività del nuovo riparto
di attribuzioni è subordinata all’emanazione
di atti normativi di livello subprimario
(Cons. Stato, I, 28/04/1999, n. 535; TAR
Lombardia, Milano, III, 02/02/2000, n. 492).
Occorre altresì considerare che solo in
virtù dell’art. 2 della legge n. 191 del
16/06/1998 (in vigore dal 05/07/1998, ovvero
successivamente all’adozione dell’atto
impugnato), il legislatore ha univocamente
ricompreso tra gli atti di gestione i
provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi, inducendo a ritenere che la
competenza ad adottare le ordinanze di
demolizione possa far capo al dirigente solo
dopo l’entrata in vigore della predetta
norma (TAR Campania, Napoli, IV, 22/02/2000,
n. 465; idem, I, 05/07/2000, n. 2642).
L’art. 2 della legge n. 191 del 16/06/1998
ha ricompreso tra gli atti di gestione le
misure repressive degli abusi edilizi;
coerentemente l’art. 107, comma 3, lettera
“g”, del d.lgs. n. 267/2000 attribuisce ai
dirigenti le competenze in materia di
repressione dell’abusivismo edilizio. Il
comma 5 del predetto art. 107 statuisce
inoltre, analogamente a quanto
precedentemente previsto dal citato art. 2,
che le disposizioni che conferiscono agli
organi politici (tra cui il Sindaco)
l’adozione di atti di gestione o di
provvedimenti amministrativi, si intendono
nel senso che la relativa competenza spetta
ai dirigenti.
Orbene, la legge regionale che attribuisce
al Sindaco la potestà di ingiungere la
demolizione di opere abusive deve essere
interpretata, in base all’art. 107, comma 5,
del d.lgs. n. 267/2000, in senso conforme ai
principi generali dell’ordinamento, in modo
tale da tenere ferma la competenza del
dirigente nell’adozione degli atti di
gestione, comprendenti l’ordinanza
demolitoria (TAR Toscana, III, 18/12/2002,
n. 3398) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 07.08.2009 n. 1381 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della legittimità
dell’annullamento del permesso di costruire
è sufficiente che si sia verificata una
dichiarazione di conformità dei luoghi
rilasciata dal direttore dei lavori, non
corrispondente alla realtà dei fatti.
La errata o insufficiente (non importa se
dolosa o colposa) rappresentazione di
circostanze di fatto esposte nella domanda e
relativi allegati di concessione edilizia
posta alla base del rilascio dell’atto della
concessione edilizia che diversamente non
sarebbe stata rilasciata, costituisce da
sola ragione sufficiente per giustificare un
provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima, tanto che in
tale situazione si può prescindere dal
contemperamento con un interesse pubblico
attuale e concreto.
E’ legittimo l’operato
dell’Amministrazione che ha annullato
d’ufficio un permesso di costruire
rilasciato sul presupposto di una
rappresentazione dello stato dei luoghi e
della volumetria preesistente
successivamente rivelatasi non veritiera.
Allorquando un provvedimento amministrativo
ampliativo sia stato ottenuto
dall’interessato in base ad una falsa
rappresentazione della realtà materiale, è
consentito alla pubblica amministrazione di
esercitare il proprio potere di autotutela
ritirando l’atto stesso, senza necessità di
esternare alcuna particolare ragione di
pubblico interesse, che, in tale ipotesi,
deve ritenersi sussistente in re ipsa.
Ai fini della legittimità dell’annullamento
del permesso di costruire è sufficiente che
si sia verificata una dichiarazione di
conformità dei luoghi rilasciata dal
direttore dei lavori, non corrispondente
alla realtà dei fatti.
Nella specie, il presupposto essenziale per
la verifica della congruenza della cubatura
dell’edificio progettato in ampliamento è
stato determinato –con la dichiarazione di
conformità dei luoghi rispetto al progetto
approvato, rilasciata dal direttore dei
lavori in data 19.04.2004– dalla condizione
di impraticabilità del sottotetto di corso
generale Torelli 73, considerato quale
volume tecnico ed escluso dal computo della
cubatura.
Il permesso di costruire 16/2004 “prevede
lavori di modifica all’abitazione di corso
Generale Torelli 73 tali da consentire
l’integrazione in un'unica unità immobiliare
con la nuova costruzione in ampliamento e
che, quindi oltre al calcolo unitario della
cubatura sopra argomentato, l’edificio si
configura come un unicum inscindibile, per
cui può essere invalidato del permesso di
costruire n. 16/2004 per esubero di cubatura
rispetto a quella consentita”.
Il completamento dell’opera autorizzata con
il permesso di costruire n. 16/2004
comporterebbe un eccesso di cubatura:
secondo il comune “porterebbe ad una
cubatura superiore al valore massimo
consentito dall’indice di fabbricabilità
della zona”.
Inoltre, come ha osservato il comune, “è
stata rappresentata una situazione dei
luoghi difforme da quanto in realtà
esistente e tale difformità costituisce un
vizio di legittimità del permesso di
costruire n. 16/2004 del 23.04.2004,
determinato dallo stesso soggetto
richiedente”.
La errata o insufficiente (non importa se
dolosa o colposa) rappresentazione di
circostanze di fatto esposte nella domanda e
relativi allegati di concessione edilizia
posta alla base del rilascio dell’atto della
concessione edilizia che diversamente non
sarebbe stata rilasciata, costituisce da
sola ragione sufficiente per giustificare un
provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima, tanto che in
tale situazione si può prescindere dal
contemperamento con un interesse pubblico
attuale e concreto (in tal senso anche C.
Stato, V, 12.10.2004, n. 6554).
Nella specie, l’errato calcolo della
cubatura ammissibile è stato determinato
proprio con la dichiarazione di conformità
dei luoghi rilasciata dal direttore dei
lavori in data 19.04.2004.
E’ legittimo l’operato dell’Amministrazione
che ha annullato d’ufficio un permesso di
costruire rilasciato sul presupposto di una
rappresentazione dello stato dei luoghi e
della volumetria preesistente
successivamente rivelatasi non veritiera.
Allorquando un provvedimento amministrativo
ampliativo sia stato ottenuto
dall’interessato in base ad una falsa
rappresentazione della realtà materiale, è
consentito alla pubblica amministrazione di
esercitare il proprio potere di autotutela
ritirando l’atto stesso, senza necessità di
esternare alcuna particolare ragione di
pubblico interesse, che, in tale ipotesi,
deve ritenersi sussistente in re ipsa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.12.2008 n. 6554 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di un locale
sottotetto mediante vani distinti e
comunicanti con il piano sottostante
mediante un scala interna è indice
rilevatore dell’intento di rendere abitabile
detto locale, non potendosi considerare
volumi tecnici i vani in esso ricavati.
I volumi tecnici sono quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l’utilizzo dell’abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno; pertanto non
sono tali -e quindi sono computabili ai fini
della volumetria consentita– le soffitte,
gli stenditori chiusi e quelli do sgombero;
e non è volume tecnico il piano di
copertura, impropriamente definito
sottotetto, ma costituente in realtà una
mansarda in quanto dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda.
La nozione di “volume tecnico” può essere
utilmente attribuita ad opere edilizie
completamente prive di una autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa.
La giurisprudenza amministrativa ha
stabilito che la realizzazione di un locale
sottotetto mediante vani distinti e
comunicanti con il piano sottostante
mediante un scala interna è indice
rilevatore dell’intento di rendere abitabile
detto locale, non potendosi considerare
volumi tecnici i vani in esso ricavati
(Consiglio di Stato, sez. V, 31.01.206 n.
354; cfr. in tal senso anche TAR
Calabria–Catanzaro – Sez.II, 07.02.2006 n.
125).
Lo stesso Consiglio di Stato ha altresì
precisato che i volumi tecnici sono quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l’utilizzo dell’abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno; pertanto non sono tali -e quindi
sono computabili ai fini della volumetria
consentita– le soffitte, gli stenditori
chiusi e quelli do sgombero; e non è volume
tecnico il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà una mansarda in quanto
dotato di rilevante altezza media rispetto
al piano di gronda (Consiglio di Stato, sez.
V, 13.05.1997 n. 483).
Applicando dette coordinate ermeneutiche al
caso in esame ne deriva che la nozione di “volume
tecnico” può essere utilmente attribuita
ad opere edilizie completamente prive di una
autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinate a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per
esigenze tecnico-funzionali della
costruzione stessa. Al di fuori di tale
ambito, ritiene il Collegio che il concetto
non può essere utilizzato né
dall’amministrazione né dal privato al fine
di negare rilevanza giuridica ai volumi
comunque esistenti nella realtà fisica (cfr.
anche TAR Milano – sez. II, 04.04.2002 n.
1337).
Ed invero, per l’identificazione della
nozione di volume tecnico assumono valore
tre ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, ossia che il
manufatto abbia un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzo della costruzione;
il secondo ed il terzo
negativi, ricollegati all’impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che
tali costruzioni non devono essere ubicate
all’interno della parte abitativa e
dall’altro ad un rapporto di necessaria
proporzionalità fra i volumi e le esigenze
edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinale a contenere gli impianti
serventi di una costruzione principale.
(cfr. TAR Napoli–Sez. IV, 28.02.2006 n. 2451
e TAR Palermo - sez. III, n. 424 del
21.02.2006).
La rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda,
seppur non utile ai fini della abitabilità
(siccome ridotta in misura minima rispetto
al precedente progetto), non consente di
qualificare il relativo volume come
sottotetto non computabile, trattandosi in
realtà di una mansarda (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 13.05.1997 n. 483). Inoltre,
come già precisato dalla giurisprudenza
amministrativa richiamata, l’accessibilità
mediante una scala interna, della stessa
tipologia e dimensione di quella prevista
per accedere ai piani immediatamente
inferiori, nonché la previsione di una ampia
finestra di “aerazione” e di una
ulteriore apertura per accedere al terrazzo
calpestabile, costituiscono indici
rilevatori della effettiva natura della
cubatura progettata, già ex se non
proporzionata –quindi– alla mentovata
destinazione ad uso di locale tecnologico
(TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 09.07.2007 n. 1749 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il torrino vano fine corsa
ascensore può essere definito come volume
tecnico, in quanto rientrano nel concetto di
volume tecnico quelle opere edilizie,
adibite alla sistemazione di impianti in
rapporto di strumentalità necessaria con
l’uso dell’edificio in cui vengono collocati
e che non possono essere sistemati
all’interno della parte abitativa.
I locali aventi una destinazione
complementare a quella residenziale, come la
mansarda, la soffitta, gli stenditoi chiusi
ed i ripostigli, non rientrano nell’ambito
dei cd. volumi tecnici e perciò vanno
computati ai fini della volumetria e/o
dell’altezza consentita.
Il torrino vano fine corsa ascensore può
essere definito come volume tecnico, in
quanto rientrano nel concetto di volume
tecnico quelle opere edilizie, adibite alla
sistemazione di impianti in rapporto di
strumentalità necessaria con l’uso
dell’edificio in cui vengono collocati e che
non possono essere sistemati all’interno
della parte abitativa, come per es. gli
impianti termici, gli impianti idrici e gli
impianti di ascensore comprensivi del
torrino vano fine corsa ascensore (cfr. sul
punto C.d.S. Sez. V Sent. n. 483 del
13.05.1997; TAR Lecce Sez. III Sent. n. 143
del 15.01.2005), mentre i locali aventi una
destinazione complementare a quella
residenziale, come la mansarda, la soffitta,
gli stenditoi chiusi ed i ripostigli, non
rientrano nell’ambito dei cd. volumi tecnici
e perciò vanno computati ai fini della
volumetria e/o dell’altezza consentita.
Di norma i volumi tecnici non vanno
computati sia dal calcolo della volumetria
che dal calcolo dell’altezza dell’edificio e
delle distanze ragguagliate all’altezza,
fatte salve puntuali disposizioni dello
strumento urbanistico (TAR Basilicata,
sentenza 23.05.2007 n. 456 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il box da realizzarsi al di fuori
del perimetro dell’originario fabbricato
deve essere completamente interrato non
rilevando, per dato letterale e logico
inequivocabile, il fatto che la struttura
risulti interrata parzialmente su due lati.
L’art. 9 della L. n. 122/1989 distingue a
seconda che i parcheggi da destinare a
pertinenza delle singole unità immobiliari
siano realizzati all'interno del perimetro
del fabbricato esistente ovvero (dopo la
modifica di cui all’art. 17 della legge n.
127/1997) in aree pertinenziali esterne.
Nella prima fattispecie, infatti, è ammessa
la realizzazione nel sottosuolo degli
immobili ovvero nei locali siti al piano
terreno; nella seconda fattispecie il
parcheggio può essere realizzato unicamente
"nel sottosuolo".
In quest’ultima ipotesi rientra il caso di
specie.
Ne consegue che il manufatto, da realizzarsi
al di fuori del perimetro dell’originario
fabbricato, doveva essere completamente
interrato non rilevando, per dato letterale
e logico inequivocabile, il fatto che la
struttura risultasse interrata parzialmente
su due lati (cfr. sul punto TAR Toscana, III,
15.01.2004, n. 13; v. anche per alcuni
profili Cons. giust. amm. Sicilia, sez.
giurisd., 26.06.2000, n. 299).
Più esattamente una tale conclusione trova
conforto sul piano letterale nel riferimento
alla realizzazione del parcheggio nel solo
sottosuolo (senza aperture alla
ammissibilità di un parcheggio seminterrato
e in contrapposizione alla più ampia deroga
nella ipotesi di parcheggio all’interno
dell’originario perimetro del fabbricato) e
sul piano logico nella natura eccezionale e
di stretta interpretazione della norma
derogatoria (CGARS,
sentenza 27.10.2006 n. 588 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 06.05.2010 |
ã |
CONVEGNI |
Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a
Bergamo per giovedì 13 maggio 2010 organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le
istruzioni ivi riportate. |
UTILITA' |
PUBBLICO IMPIEGO:
REGOLAMENTO PER L’EROGAZIONE DI PRESTITI
AGLI ISCRITTI ALLA GESTIONE UNITARIA DELLE
PRESTAZIONI CREDITIZIE E SOCIALI ISTITUITA
PRESSO L’INPDAP.
Nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del
13.04.2010 è stato pubblicato il regolamento
per l'erogazione di piccoli prestiti
(annuali, biennali e triennali) e di
prestiti pluriennali (quinquennali e
decennali) agli iscritti alla gestione
unitaria delle prestazioni creditizie e
sociali, istituita presso l'Inpdap.
Le regole, in vigore dal prossimo 1° luglio,
disciplinano sia le erogazioni rimborsabili
da uno a tre anni che i prestiti pluriennali
diretti e indicano inoltre la procedura da
seguire per le richieste di finanziamento. |
GURI - GUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 04.05.2010 n. 102 "Regolamento
recante modalità semplificate di gestione
dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed
elettroniche (RAEE) da parte dei
distributori e degli installatori di
apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE),
nonché dei gestori dei centri di assistenza
tecnica di tali apparecchiature" (D.M.
08.03.2010 n. 65). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
F. Saitta,
Contratti pubblici e riparto di
giurisdizione: prime riflessioni sul decreto
di recepimento della direttiva n. 2007/66/CE
(d.lgs. 53/2010) (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
NEWS |
ENTI LOCALI - VARI:
I semafori T-red? Legittimi.
In arrivo multe per 60 milioni. Valide le
sanzioni bloccate dopo l'inchiesta dei pm di
Verona
(articolo
Corriere della Sera
del 05.05.2010 - link a
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Gli
enti locali dribblano il dissesto. L'allarme
del Viminale: c'è una difficoltà finanziaria
sommersa. Poteri sostitutivi ai prefetti.
Per evitare critiche i sindaci evitano il
default. E non risanano.
Sarà perché mettere in piazza i risultati di
una gestione economica dissennata,
esponendosi al pubblico ludibrio dei
cittadini e dei media, non fa piacere a
nessuno. O perché molto spesso ignorano i
possibili futuri benefici di un risanamento
radicale nei conti. E preferiscono tirare a
campare vivendo alla giornata, nella
speranza che prima o poi arrivi il classico
aiutino da Roma, come successo con Catania
qualche anno fa che si salvò dal default
solo grazie a un sostanzioso assegno del
governo Berlusconi.
Fatto sta che sindaci e presidenti di
provincia si dimostrano sempre più restii
nel dichiarare lo stato di dissesto degli
enti che amministrano ...
(articolo ItaliaOggi
del 04.05.2010 - link a
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Garante privacy: sì alle telecamere nei
depositi dei rifiuti.
Videosorveglianza lecita
in tutte le aree preposte al deposito di
rifiuti urbani se finalizzata al rilevamento
di illeciti.
Ad allargare il novero delle attività
sottoponibili a controllo via telecamere è
il Garante della privacy, che con la nuova
deliberazione generale dell'08.04.2010
in materia di videosorveglianza ha rimosso
il limite stabilito dalla stessa Autority
con il provvedimento 29.04.2004, che
limitava il videocontrollo all'abbandono di
rifiuti urbani in aree non consentite.
La nuova delibera (in G.U. del 29.04.2010 n.
99) sostituisce l'omonimo e citato
provvedimento del 2004, riformulando tutte
le regole per la videosorveglianza sui
depositi dei rifiuti. In base al nuovo
provvedimento del 2010 l'occhio elettronico
potrà vigilare in due precisi contesti.
Secondo il tenore del provvedimento 2010 la
videosorveglianza potrà infatti essere
utilizzata per monitorare il rispetto delle
disposizioni su modalità, tipologia e orario
di deposito dei rifiuti la cui violazione è
sanzionata amministrativamente, sempre che
risultino inefficaci o inattuabili altre
misure di controllo
(articolo ItaliaOggi
del 04.05.2010, pag. 27).
---------------
Nuove regole per l'uso dei sistemi di
videosorveglianza.
Varate dal Garante per la protezione dei
dati personali le nuove regole alle quali
soggetti pubblici e privati dovranno
conformarsi per installare telecamere e
sistemi di videosorveglianza.
I cittadini che transitano in aree
sorvegliate devono essere informati con
cartelli visibili. I sistemi di
videosorveglianza installati da soggetti
pubblici e privati collegati alle forze di
polizia richiedono uno specifico cartello
informativo. Le telecamere istallate per la
tutela dell'ordine e della sicurezza
pubblica invece non devono essere segnalate.
Le immagini registrate possono essere
conservate per un periodo limitato e fino ad
un massimo di 24 ore (fatte salve speciali
esigenze relative a indagini di polizia e
giudiziarie). Per attività particolarmente
rischiose è ammesso un periodo più ampio.
Nei luoghi di lavoro è vietato il controllo
a distanza dei lavoratori, sia all'interno
degli edifici, sia in altri luoghi di
prestazione del lavoro. Negli ospedali e
luoghi di cura è vietata la diffusione di
immagini di persone malate mediante monitor
quando questi sono collocati in locali
accessibili al pubblico. E' ammesso, in casi
indispensabili, il monitoraggio dei pazienti
ricoverati in particolari reparti (per es.,
rianimazione), ma l'accesso alle immagini è
consentito solo al personale autorizzato e
ai familiari dei ricoverati. Negli Istituti
scolastici: è ammessa l'installazione di
sistemi di videosorveglianza per la tutela
contro gli atti vandalici, solo negli orari
di chiusura (link a www.governo.it). |
APPALTI:
Risarcimento difficile per i
danni della PA. La pregiudiziale limita il
numero dei ricorsi.
A dieci anni dal debutto ancora dissidi tra
Consiglio di Stato e Cassazione ... (articolo
Il Sole 24 Ore del 03.05.2010 -
link a www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Per
il conseguimento delle finalità
istituzionali le PA devono avvalersi in via
prioritaria delle loro strutture interne.
Il principio alla base della decisione dei
giudici contabili laziali trae origine dalle
disposizioni costituzionali.
Secondo la Carta fondamentale, la pubblica
amministrazione deve uniformare i propri
comportamenti a criteri di legalità,
economicità, efficienza ed imparzialità. Dal
che consegue il corollario secondo il quale
essa, per provvedere all'assolvimento dei
compiti istituzionali, deve prioritariamente
avvalersi delle proprie strutture
organizzative e del personale che vi è
preposto. Rispetto alla regola generale, il
ricorso ad esterni costituisce un’eccezione.
Tale presupposto correla necessariamente le
concrete condizioni di ammissibilità
dell’istituto all’episodicità ed alla
straordinarietà del relativo conferimento.
Seppure è rimessa allo spazio discrezionale
della pubblica amministrazione la
valutazione degli “obiettivi determinati”
da perseguire attraverso collaborazioni
esterne “a termine”, tale scelta può
essere esercitata solo in presenza di “esigenze
cui non possono far fronte con personale in
servizio”.
Stante il presente quadro riepilogativo, i
giudici laziali hanno affrontato non solo il
caso del ricorso all’esterno ma anche
l’ipotesi della reiterazione degli incarichi
medesimi.
Le motivazioni addotte per giustificare la
reiterazione di un incarico a termine non
possono essere generiche: in questo modo
infatti la reiterazione non solo
contrasterebbe con il parametro della
temporaneità ma anche con quello
dell’efficiente impiego di risorse
pubbliche, ridondando in un palese profilo
di irrazionalità della scelta amministrativa
adottata, ben sindacabile dalla Corte dei
Conti, abilitata ad un controllo di
ragionevolezza delle scelte adottate
dall’amministrazione.
E’ noto infatti che il giudice contabile
debba verificare la compatibilità delle
scelte amministrative con i fini pubblici
dell’ente pubblico (Cass. n. 4956 del 2005).
A ciò non osta la riconducibilità all’area
della discrezionalità (e quindi
dell’insindacabilità giurisdizionale) di
qualunque articolazione dell’agire
amministrativo purché compiuta nel rispetto
dei fini istituzionali dell’ente (Cass. 7024
del 2006 ); infatti le aree di
discrezionalità vanno ricondotte al
principio di legalità e quindi al sindacato
indiretto (quale quello dell’eccesso di
potere) in sede giurisdizionale; con la
conseguenza che il giudice può riesaminare
l’interpretazione e l’applicazione di norme
giuridiche espresse negli atti
amministrativi; e con l’effetto ulteriore
che eventuali articolazioni dell’agire
amministrativo (da ritenersi, e nella misura
in cui sono da ritenersi) contra legem
non possono farsi rientrare nella sfera
della discrezionalità, in contrasto con il
principio di legalità dell’amministrazione e
di pienezza della tutela giurisdizionale.
Pertanto se anche un primo atto di incarico
all’esterno è lecito e trova la sua
ragionevolezza nella specificità
dell’intervento e nelle concrete condizioni
in cui versa l’ente, non si può predicare la
ragionevolezza della reiterazione di
incarichi senza che ciò sia supportato da
motivazioni specifiche.
Secondo i giudici, gli amministratori non
possono eludere il requisito del termine da
apporre alle convenzioni (“convenzioni a
termine” ex art. 110, c 6, tu 267 del 2000;
“determinando preventivamente durata …
della collaborazione” ex art. 7, c 6,
dlgs 165 del 2001), concretando un danno per
l’amministrazione comunale, sub specie
dell’impiego non funzionale ed efficiente di
risorse pubbliche; non potendo in via
generale l’amministrazione –alla luce del
richiamato quadro ordinamentale- avvalersi
ordinariamente di consulenze esterne, a
fortiori allorché se ne giustifichi
l’utilizzo attraverso un apparato
motivazionale contenutisticamente generico,
riproposto per di più diacronicamente in
modo pedissequo.
Questo comportamento costituisce un vizio
sintomatico evidente di un utilizzo
dell’istituto esorbitante rispetto al fine
pubblico da perseguire ed intrinsecament e
dannoso
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Corte dei
Conti, Sez. giurisdiz. Lazio,
sentenza 27.04.2010 n. 873 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Sempre vincolanti le indicazioni
date dal centro.
Cosa succede dopo una deliberazione della
Sezione Autonomie della Corte dei Conti? Gli
enti locali sono sempre costretti ad
adeguarsi? E' necessario rifare i calcoli
delle spese di personale?
A questi dubbi ha risposto la Sezione
regionale di controllo della Corte dei Conti
per il Piemonte con il
parere 15.04.2010 n. 31/2010 ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 03.05.2010 - link
a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Enti fuori patto a mobilità
incerta.
Secondo la Corte dei Conti l'istituto è
sempre bloccato, secondo l'Economia no.
La Sezione del Piemonte, col
parere 16.03.2010 n. 22/2010,
sostiene lo stop a prescindere dall'impatto
sulla spesa che invece è determinante per la
ragioneria generale (articolo
ItaliaOggi del 03.05.2010 - link
a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI: La
non esatta corrispondenza tra il contenuto
della dichiarazione indicato nel
disciplinare di gara e quello del modello di
istanza predisposto dalla stazione
appaltante è da considerarsi una svista
ascrivibile al comportamento
dell’amministrazione.
La non esatta corrispondenza tra il
contenuto della dichiarazione indicato nel
disciplinare di gara e quello del modello di
istanza predisposto dalla stazione
appaltante è da considerarsi una svista
ascrivibile al comportamento
dell’amministrazione e non può pertanto
comportare l’operatività della comminatoria
generale di esclusione di cui al
disciplinare, in conformità ai principi di
favor partecipationis e di tutela
dell’incolpevole affidamento (Cons. St. Sez.
VI, n. 7278/2004).
Ritiene il
Collegio di attenersi all’orientamento
secondo cui la semplice incompletezza delle
dichiarazioni, rinvenibile nel caso di
specie, è comunque suscettibile di essere
superata attraverso accertamenti da parte
della p.a., nell’esercizio della specifica
potestà amministrativa ricorrente ogni volta
sussista un’obiettiva incertezza o una
sanabile incompletezza di una dichiarazione,
e con la richiesta di integrazioni da parte
delle interessate, in osservanza dei
principi di buon andamento e di legalità
sostanziale dell’azione amministrativa
(Cons. St., Sez. V, 18.03.2002, n. 1558;
11.01.2006, n. 36)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.04.2010 n. 2461
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: La
Regione che verifichi l’opportunità di
creare una cava ha l’onere di coinvolgere
gli enti locali nella scelta, rimettendo gli
atti alla provincia perché acquisisca il
parere degli stessi.
Sulla possibilità di introdurre
modificazioni al Piano Cave della Provincia
anche da parte del Consiglio regionale la
giurisprudenza si è confrontata con la
prassi applicativa che ha conosciuto come
ordinaria modalità operativa quella che era
configurata dalla legge come mera
eventualità: essa ha quindi elaborato un
criterio interpretativo delle norme volto a
ricondurre ad unità sistematica il
procedimento, assicurando in ogni fase il
rispetto dell’interesse partecipativo di
ognuno dei portatori d’interesse (pubblici e
privati).
Nel vigore del precedente regime normativo,
è stato affermato che “Stante la
particolare articolazione del procedimento
di formazione o revisione del Piano cave,
nel quale intervengono fin dalla fase
iniziale di predisposizione del progetto
tutti gli enti locali interessati dalle
previsioni del Piano -secondo quanto
delineato dalla L.r. Lombardia n. 18/1982- è
del tutto palese che, ove la Regione intenda
discostarsi dalla proposta iniziale
riservata alla competenza
dell'Amministrazione provinciale, deve
enunciare le ragioni di tale scelta;
diversamente il Piano sarebbe il risultato
di una decisione arbitraria della Regione e
si porrebbe in contrasto con il dettato
della legge regionale che configura il Piano
medesimo come atto complesso, derivante dal
concorso di volontà di soggetti diversi”
(cfr. Consiglio di Stato, sez. VI –
12/11/2003 n. 7261).
Più recentemente il Consiglio di Stato (sez.
VI – 06/06/2008 n. 2743) –valorizzando la
funzione di co-gestione degli interessi
pubblici esercitata dai due Enti
espressamente coinvolti nel procedimento– ha
statuito che “la Regione, una volta
constatata l’opportunità di destinare alla
creazione di una cava un territorio,
trascurato dalla provincia competente, che
quindi non ha acquisito il parere del comune
interessato, ha l’onere di coinvolgere gli
enti locali nella scelta, rimettendo, a tale
scopo, gli atti alla provincia perché
acquisisca il parere del comune interessato
e formuli le proprie osservazioni al
riguardo”.
Questo Tribunale (sez. I – 08/02/2010 n.
618) ha recentemente osservato, con un
ragionamento che il Collegio condivide, che
l’omissione procedimentale in proposito non
ha un significato formale, ma sostanziale.
Proprio perché il procedimento viene a
configurarsi –nell’ottica del legislatore
regionale e della conseguente prassi
applicativa– come una serie di cerchi
concentrici nell’ambito dei quali è
possibile introdurre modificazioni, è
necessario che sia sulle stesse
coerentemente assicurato il contraddittorio
istruttorio al fine di non pervenire alla
scelta di soluzioni non rispettose dei
principi dettati dalla stessa legge
regionale in tema di Piani cave: il
principio del giusto procedimento si deve
coniugare quindi anche con quello
dell’adeguata istruttoria procedimentale, al
fine di armonizzare i divergenti interessi
coinvolti nella procedura pianificatoria
estrattiva.
La pronuncia citata, nel recepire i principi
enucleati dalla sentenza di questo Tribunale
04/05/2009 n. 893, ha posto in luce che: “La
legge in questione, è necessario premetterlo
per chiarezza, disciplina il piano delle
cave come piano “provinciale”, ovvero
demanda a detto ente la sua formazione,
sentiti gli enti minori che il suo
territorio compongono, ovvero i Comuni; la
legge stessa quindi non va interpretata,
almeno fin quando sia possibile evitarlo,
nel senso di svuotare dette competenze, e in
particolare di accentrare la formazione del
piano al superiore livello regionale.
Tale risultato, oltretutto, sarebbe
contrario al principio costituzionale di
sussidiarietà verticale, là dove esso impone
di allocare le competenze presso gli enti
locali di livello il più possibile vicino al
cittadino, e quindi di evitare non
necessarie ingerenze degli enti di livello
superiore, in primo luogo lo Stato, ma anche
la Regione. … le norme degli artt. 7 e 8
comma 1 della l.r. 14/1998, là dove
prevedono che alla proposta presentata dalla
Provincia sentiti i Comuni la Giunta
regionale possa apportare “integrazioni e
modifiche” da sottoporre poi al Consiglio
regionale per l’approvazione finale, va
interpretata nel senso che si possano
apportare in modo puro e semplice solo
modifiche di mero dettaglio, ovvero imposte
dall’adeguamento ad obblighi normativi.
In tutti gli altri casi, non va stravolto il
carattere provinciale del piano, e quindi le
modifiche non si possono inserire se non
ripetendo la procedura che ha condotto alla
proposta arrivata alla Giunta: le modifiche
stesse vanno apportate al disegno generale
della proposta adottata e su di esse devono
pronunciarsi non solo i Comuni, ma anche
tutti gli organi tecnici deputati ad
esprimere il loro parere sul piano in parola”.
Anche se la pronuncia n. 893/2009 è stata
annullata con rinvio dal Consiglio di Stato
per difetto di contraddittorio (sez. V –
02/03/2010 n. 1184), i principi in essa
affermati mantengono coerenza logica ed
efficacia
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 22.04.2010 n. 1607 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L'omissione
della comunicazione di avvio del
procedimento è giustificata dall'esigenza
della tutela della pubblica incolumità.
Come affermato ripetutamente dalla
giurisprudenza amministrativa, la presenza
di urgenze c.d. “qualificate” in
relazione alle circostanze del caso concreto
di prevenire un imminente e grave pericolo
alla cittadinanza, giustifica l'omissione
della comunicazione di avvio del
procedimento, perché sussiste un rapporto di
conflittualità e di logica sovraordinazione
tra l'esigenza di tutela immediata della
pubblica incolumità e l'esigenza del privato
inciso dall'atto amministrativo di avere
conoscenza dell'avvio del procedimento (cfr.
TAR Campania Napoli, Sez. V, 25.02.2009 n.
1083; TAR Lazio Roma, Sez. II, 20.01.2006 n.
455; TAR Abruzzo L'Aquila, 14.12.2004 n.
1337) (TAR Marche,
sentenza 20.04.2010 n. 196 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla decorrenza del termine di
prescrizione dell'indennità pecuniaria per
abusi edilizi in zona paesaggisticamente
vincolata.
Con D.D.S. n. 7220 del 07.09.2009,
notificato il 05.11.2009, la Soprintendenza
intimata ha richiesto, ai sensi e per gli
effetti dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004
come sostituito dall’art. 27 del D.lgs. n.
157/2006, il pagamento della somma di euro
30.389,37, quale indennità per il profitto
conseguito con la realizzazione dell’opera
abusiva in area di notevole interesse
paesaggistico.
Ritiene il Collegio che, a prescindere da
ogni altra valutazione nel merito, il
credito dell’Amministrazione si sia ormai
prescritto.
Ed invero, anche a voler accedere alla tesi
sostenuta dall’Amministrazione e confermata
da autorevole Giurisprudenza (cfr. Consiglio
di stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1464, ma
vedi contra questa stessa Sezione, nn.
987/2007 e 1215/2006 e TAR Lazio, II,
20.04.2002, n. 3370), secondo la quale
l'art. 15 della legge nr. 1497 del 1939
(divenuto poi art. 164 del d.lgs. nr. 490
del 1999, ed oggi l'art. 167 del d.lgs. n.
42 del 2004) va interpretato nel senso che
l'indennità prevista per abusi edilizi in
zone soggette a vincoli paesaggistici
costituisce vera e propria sanzione
amministrativa (e non una forma di
risarcimento del danno), che come tale
prescinde dalla sussistenza effettiva di un
danno ambientale (cfr. Cons. Stato, sez. VI,
28.07.2006, nr. 4690; Cons. Stato, sez. IV,
15.11.2004, nr. 7405; id. 03.11.2003, nr.
7047; Cons. Stato, sez. VI, 03.04.2003, nr.
1729; Cons. Stato, sez. IV, 12.11.2002, nr.
6279; Cons. Stato, sez. VI, 08.11.2000, nr.
6007; id. 06.06.2000, nr. 3185), è da dire
che è altrettanto incontestata
l'applicabilità a tale sanzione del
principio di cui all'art. 28 della legge n.
689 del 1981.
Detta norma stabilisce, infatti, che "il
diritto a riscuotere le somme dovute per le
violazioni amministrative punite con pena
pecuniaria si prescrive nel termine di
cinque anni dal giorno in cui è stata
commessa la violazione": disposizione
quest'ultima applicabile, per espresso
dettato legislativo, a tutte le violazioni
punite con sanzioni amministrative
pecuniarie, anche se non previste in
sostituzione di una sanzione penale (art. 12
legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli
illeciti amministrativi in materia
urbanistica, edilizia e paesistica puniti
con sanzione pecuniaria.
Nell'applicare tale regola, tuttavia, con
riguardo all'individuazione del dies a
quo della decorrenza della prescrizione,
occorre tener conto della particolare natura
degli illeciti in materia urbanistica,
edilizia e paesistica, i quali, ove
consistano nella realizzazione di opere
senza le prescritte concessioni e
autorizzazioni, hanno carattere di illeciti
permanenti, di talché la commissione degli
illeciti medesimi si protrae nel tempo, e
viene meno solo con il cessare della
situazione di illiceità, vale a, dire con il
conseguimento delle prescritte
autorizzazioni.
Inoltre, per la decorrenza della
prescrizione dell'illecito amministrativo
permanente, trova applicazione il principio
relativo al reato permanente, secondo cui il
termine della prescrizione decorre dal
giorno in cui è cessata la permanenza (art.
158, comma I, cod. pen.); pertanto, per gli
illeciti amministrativi in materia
paesistica urbanistica edilizia la
prescrizione quinquennale di cui all'art. 28
legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere
solo dalla cessazione della permanenza, con
la conseguenza che, vertendosi in materia di
illeciti permanenti, il potere
amministrativo repressivo, come la
determinazione di applicare la sanzione
pecuniaria, può essere esercitato senza
limiti di tempo e senza necessità di
motivazione in ordine al ritardo
nell'esercizio del potere (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 13.07.2006, nr. 4420; Cons. Stato,
sez. IV, 02.06.2000, nr. 3184).
Più in particolare, è stato giustamente
osservato che per quanto concerne il momento
in cui può dirsi cessata la permanenza per
gli illeciti amministrativi in materia
urbanistica edilizia e paesistica, mentre
per il diritto penale rileva la condotta
commissiva (sicché la prescrizione del reato
inizia a decorrere dalla sua ultimazione),
per il diritto amministrativo si è in
presenza di un illecito di carattere
permanente, caratterizzato dall'omissione
dell'obbligo, perdurante nel tempo, di
ripristinare secundum jus lo stato
dei luoghi, con l'ulteriore conclusione che
se l'Autorità emana un provvedimento
repressivo (di demolizione, ovvero di
irrogazione di una sanzione pecuniaria), non
emana un atto "a distanza di tempo"
dall'abuso, ma reprime una situazione
antigiuridica contestualmente contra jus,
ancora sussistente.
Dalle considerazioni che precedono si
ricava, dunque, che nel campo dell'illecito
amministrativo -che, come quello in esame,
integra un'ipotesi di illecito formale
consistente nell'omessa richiesta della
preventiva autorizzazione- la permanenza
cessa (e il termine quinquennale di
prescrizione comincia a decorrere) o con
l'irrogazione della sanzione pecuniaria o
con il conseguimento dell'autorizzazione
che, secondo pacifico orientamento, può
essere rilasciata anche in via postuma (cfr.
Cons. Stato, Ad. Gen., 11.04.2002, nr. 4;
Cons. Stato, sez. VI, 12.05.2003, nr. 2653;
id. 30.10.2000, nr. 5851) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 25.03.2010 n. 938 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'intervenuta sanatoria
dell'abuso edilizio non fa ex se venir meno
la potestà sanzionatoria per la diversa
violazione paesaggistica, ma non anche che
essa non spiega alcuna influenza sulla
permanenza di quest'ultima; ne consegue che
proprio il momento del rilascio della
sanatoria costituisce il dies a quo della
prescrizione della sanzione pecuniaria, ai
sensi dell'art. 28 della legge nr. 689 del
1981.
Come è noto, ai
sensi dell'art. 32 della legge 28.02.1985,
nr. 47, e s.m.i., gli abusi edilizi
realizzati in aree vincolate, al di fuori
dei casi in cui il successivo art. 33
prevede espressamente l'insanabilità, sono
suscettibili di sanatoria subordinatamente
al rilascio del parere favorevole da parte
dell'autorità preposta al vincolo; la stessa
disposizione aggiunge che il rilascio del
titolo abilitativi edilizio in sanatoria
estingue anche il reato derivante dalla
violazione del vincolo.
Orbene, continua la citata sentenza del
Consiglio di stato, sez. IV, 12.03.2009,
n. 1464, parte appellante richiama
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato
secondo cui, stante l'autonomia della
violazione paesaggistica rispetto a quella
urbanistica, il conseguimento della
concessione edilizia in sanatoria non
farebbe venire meno la potestà sanzionatoria
dell'Amministrazione per la violazione del
vincolo; si aggiunge anche che, sempre in
virtù dell'autonomia e separatezza dei due
procedimenti sanzionatori, neanche il parere
di compatibilità paesaggistica rilasciato
dall'autorità preposta al vincolo
nell'ambito del procedimento di condono,
essendo appunto un mero atto endoprocedimentale all'interno del ben
diverso procedimento relativo alla
violazione edilizia, non è idoneo a far
cessare la permanenza della violazione
paesaggistica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.11.2004, nr. 7405; id.
04.02.2004, nr. 395).
Senza disconoscere i principi su cui si
fonda tale orientamento (è da ritenere) che
gli stessi non siano incompatibili con la
diversa opinione, altrettanto diffusa,
secondo cui laddove risulti che il
responsabile della violazione non si è
limitato a munirsi del predetto parere
endoprocedimentale, ma abbia concluso
positivamente la procedura di condono, il
provvedimento di concessione in sanatoria
non può non determinare la cessazione delle
permanenza anche dell'illecito paesaggistico
(cfr. Cons. Stato, sez. II, 09.04.2008, nr. 708/2005; Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2007, nr. 1585; Cons. Stato, sez. V, 13.07.2006, nr. 4420; CGARS,
02.03.2006, nr. 79).
Al riguardo, va anzitutto osservato che non
è del tutto vero che il parere favorevole
reso dall'autorità preposta al vincolo
nell'ambito del procedimento per la
sanatoria di abusi edilizi realizzati in
zona vincolata costituisca un atto meramente
interno a tale procedimento, privo di ogni
riflesso sulla diversa violazione
paesaggistica: ciò si ricava, a tacer
d'altro, dalla già richiamata disposizione
ex art. 32 della legge nr. 47 del 1985,
secondo cui, una volta ottenuto il predetto
parere (da cui non può prescindersi per il
conseguimento del condono nella
fattispecie), la successiva concessione in
sanatoria determina l'estinzione non solo
del reato edilizio, ma anche del reato "per
la violazione del vincolo".
E’ pur vero che tale previsione è destinata
a spiegare effetti principalmente in ambito
penalistico, determinando la non punibilità
del reato conseguente alla violazione del
vincolo (mentre, come si è sopra visto,
diversi sono i parametri di definizione
dell'illecito amministrativo connesso);
tuttavia, è evidente che essa depone
chiaramente nel senso di una convergenza,
all'interno di un unico procedimento di
sanatoria, tra il parere dell'autorità
preposta al vincolo e quello specificamente
urbanistico-edilizio del Comune, ai fini
dell'eliminazione contestuale di entrambi
gli illeciti, quello edilizio e quello
paesaggistico.
Ne discende che, una volta ottenuta la
concessione in sanatoria, il responsabile
dell'abuso null'altro è tenuto a fare, né
può fare, con riferimento all'ulteriore
violazione di natura paesaggistica, atteso
che l'autorità preposta al vincolo ha già
compiutamente e definitivamente espresso il
proprio avviso rilasciando il parere di
compatibilità che costituisce presupposto
imprescindibile per il condono delle opere
abusive eseguite in zona vincolata; opinare
diversamente implicherebbe l'obbligo del
responsabile dell'abuso, il quale abbia
ottenuto il condono e intenda rimuovere
anche la violazione paesaggistica, di
richiedere alla Soprintendenza un nuovo
parere di compatibilità destinato a
"duplicare" quello già rilasciato nel
procedimento di sanatoria edilizia.
Poiché, però, un tale aggravio
procedimentale non trova alcun riscontro
nella normativa vigente in materia,
l'alternativa sarebbe ritenere che la
permanenza della violazione paesaggistica,
in un'ipotesi del genere, sia destinata a
perdurare indefinitamente, con conseguente
sostanziale imprescrittibilità della
sanzione pecuniaria, ovvero che l'unico modo
che il responsabile avrebbe a disposizione
per sottrarsi alla potestà sanzionatoria
dell'Amministrazione sarebbe quello di
demolire le opere realizzate: il che non
solo è palesemente assurdo a fronte di opere
ormai in possesso di regolari titoli
abilitativi, anche sotto il profilo della
compatibilità paesaggistica, ma
probabilmente comporta la violazione del
principio della alternatività tra sanzioni
ripristinatorie e sanzioni pecuniarie che lo
stesso art. 164 del d.lgs. nr. 490/1999 ha
recepito.
In conclusione, il principio di autonomia
delle due tipologie di violazioni va
rettamente inteso nel senso che
l'intervenuta sanatoria dell'abuso edilizio
non fa ex se venir meno la potestà
sanzionatoria per la diversa violazione
paesaggistica, ma non anche che essa non
spiega alcuna influenza sulla permanenza di
quest'ultima; ne consegue che proprio il
momento del rilascio della sanatoria
costituisce il dies a quo della
prescrizione della sanzione pecuniaria, ai
sensi dell'art. 28 della legge nr. 689 del
1981.
L'opposto avviso, oltre a comportare -come
detto- la sostanziale imprescrittibilità
della sanzione pecuniaria de qua, si
porrebbe in contrasto con fondamentali
principi di matrice penalistica (come noto
richiamati dalla ridetta legge nr. 689 del
1981 anche in materia di illeciti
amministrativi), alla stregua dei quali la
nozione di illecito a carattere permanente
ovvero con effetti permanenti postula
necessariamente, pena il configurarsi di una
sorta di non ammissibile responsabilità
oggettiva, che il responsabile dell'illecito
conservi la possibilità di far cessare la
permanenza dell'illecito stesso, ovvero di
rimuoverne gli effetti (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 25.03.2010 n. 938 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'acquisizione
gratuita di una sopraelevazione abusiva di
un fabbricato che per la restante parte
risulta legittimamente realizzato, si
estende esclusivamente alla parte del
lastrico solare che rappresenta la effettiva
area di sedime dell'abuso, senza incidere
sull'area materialmente e giuridicamente
impegnata urbanisticamente dalle altre parti
dell'edificio che possono, viceversa, essere
conservate. Tuttavia, una volta demolito
l'abuso, il comune può anche procedere alla
restituzione ai precedenti titolari
dell'area non avendo più interesse a
mantenerne la titolarità.
Con il provvedimento impugnato il Comune ha
deliberato il mantenimento gratuito al
proprio patrimonio del piano terzo
sottotetto del suindicato immobile, ai sensi
e per gli effetti dell’art 7, comma 5, legge
47/1985 del 28.02.1985 e dell’art. 31 DPR
380/2001.
Asseriscono i ricorrenti che sarebbe stato
fatto cattivo uso della norma calendata, che
consente solo eccezionalmente l’acquisizione
al patrimonio del Comune del manufatto
abusivo, privilegiandone la demolizione.
Tutte le
argomentazioni prospettate dai ricorrenti
appaiono fondate sia in punto di fatto sia
in punto di diritto.
Ed invero, la predetta norma richiede che “l'opera
acquisita deve essere demolita con ordinanza
del sindaco a spese dei responsabili
dell'abuso, salvo che con deliberazione
consiliare non si dichiari l'esistenza di
prevalenti interessi pubblici e sempre che
l'opera non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici o ambientali”.
Nonostante il chiaro tenore della norma e
l’espressa conforme richiesta rivolta al
Consiglio comunale in seno alla proposta di
delibera approntata dall’Ufficio Tecnico,
nessuno dei predetti interessi è stato
rappresentato nella deliberazione consiliare
impugnata.
Già questo sarebbe sufficiente per
consentire l’accoglimento del ricorso.
Il Collegio ritiene di dover confermare
quanto in precedenza precisato (cfr. TAR
Catania, I, 20.04.2009, n. 758) circa la
possibilità di discutere della legittimità
della estensione degli effetti
dell’ordinanza di demolizione, in quanto
occasionata da un provvedimento acquisitivo
esorbitante quanto alla individuazione del
bene da acquisire e, quindi, da demolire.
Ed invero, “l'acquisizione gratuita di
una sopraelevazione abusiva di un fabbricato
che per la restante parte risulta
legittimamente realizzato, si estende
esclusivamente alla parte del lastrico
solare che rappresenta la effettiva area di
sedime dell'abuso, senza incidere sull'area
materialmente e giuridicamente impegnata
urbanisticamente dalle altre parti
dell'edificio che possono, viceversa, essere
conservate. Tuttavia, una volta demolito
l'abuso, il comune può anche procedere alla
restituzione ai precedenti titolari
dell'area non avendo più interesse a
mantenerne la titolarità" (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. IV, 04.01.2002, n. 74;
TAR Lazio Latina, 26.03.1997, n. 236)
(TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 25.03.2010 n. 937 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione della domanda di sanatoria ex
art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 rende
inefficace l'ordinanza di demolizione
adottata anteriormente dal Comune, atteso
che essa deve essere sostituita o dalla
concessione in sanatoria o da un nuovo
provvedimento sanzionatorio.
Il Comune, nel caso in cui il procedimento
attivato dal privato si concluda con il
diniego del permesso di costruire (ex art.
36 del dPR 380/2001) in sanatoria, dovrà
comunque adottare una nuova ordinanza di
demolizione.
Come affermato più volte dalla Sezione e
dalla giurisprudenza amministrativa in
generale, la presentazione della domanda di
sanatoria, nel caso specifico, ex art. 36
del d.P.R. n. 380/2001, rende inefficace,
nella parte di riferimento, l'ordinanza di
demolizione adottata anteriormente dal
Comune, atteso che essa deve essere
sostituita o dalla concessione in sanatoria
o da un nuovo provvedimento sanzionatorio
(TAR Piemonte Torino, sez. I, 30.10.2008, n.
2721; TAR Campania Napoli, sez. IV,
15.09.2008, n. 10133).
Invero, il riesame dell'abusività dell'opera
al fine di verificarne la eventuale
sanabilità -provocato dall'istanza della
società ricorrente- comporta la necessaria
formazione di un nuovo provvedimento,
esplicito (di accoglimento o di rigetto) o
implicito (di rigetto), che vale comunque a
superare il provvedimento sanzionatorio
oggetto dell'impugnativa (TAR Campania
Napoli, sez. VI, 06.11.2008, n. 19285) e,
nel caso di specie, il provvedimento
esecutivo della sentenza del giudice
amministrativo.
In altri termini, il Comune, pur nel caso in
cui il procedimento attivato dal privato si
concluda con il diniego del permesso di
costruire in sanatoria, dovrà comunque
adottare una nuova ordinanza di demolizione
(TAR Sicilia Catania, sez. I, 15.10.2007, n.
1669) o,nel caso di specie,un nuovo atto
esecutivo della pronuncia del giudice.
Pertanto, il ricorso va dichiarato
improcedibile, essendo venuto meno
l’iniziale interesse a ricorrere, posto che
l'atto impugnato, in quanto inefficace, non
è più idoneo a ledere l'interesse della
parte ricorrente, con la conseguenza che,
nel caso di concessione in sanatoria, il
ricorrente non ha più interesse a coltivare
il ricorso avverso l'ingiunzione a demolire,
mentre, nel caso di diniego, dovrà impugnare
il nuovo provvedimento repressivo (TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 24.07.2007, n.
1033)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 25.03.2010 n. 850 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel rilasciare il permesso di
costruire, il Comune può tener conto
dell’esistenza di diritti di terzi che
contrastino con l’edificazione.
Seppure il rilascio della concessione
edilizia legittimi la susseguente attività
edificatoria a seguito di un rapporto che
intercorre tra il richiedente ed il Comune,
ciò non significa che le Amministrazioni non
possano non tener conto dell’esistenza di
diritti di terzi che contrastino con
l’edificazione, qualora essi constino
obiettivamente (TRGA Trentino Alto
Adige-Trento,
sentenza 25.03.2010 n. 89 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'omessa indicazione in un atto
dell'Autorità a cui ricorrere, come anche
l'omessa indicazione dei termini di
impugnazione, costituisce mera irregolarità,
insuscettibile di determinare
l'illegittimità dell'atto.
L'art. 3, l. n. 241 del 1990 consente l'uso
della motivazione per relationem con
riferimento ad altri atti
dell'amministrazione, che devono essere
comunque indicati e resi disponibili.
Come
evidenziato dalla consolidata
giurisprudenza, l'omessa indicazione in un
atto dell'Autorità a cui ricorrere, come
anche l'omessa indicazione dei termini di
impugnazione, costituisce mera irregolarità,
insuscettibile di determinare
l'illegittimità dell'atto; da tale omissione
può discendere, all'occorrenza ed in
presenza di altre significative circostanze,
soltanto una rimessione in termini per
errore scusabile (cfr., ex multis,
Cons. St., sez. IV, 12.03.2009, n. 1460; TAR
Lazio Roma, sez. I, 03.11.2009, n. 10741;
TAR Toscana Firenze, sez. II, 03.07.2009, n.
1178).
Deve essere, altresì, evidenziato che l'art.
3, l. n. 241 del 1990 consente l'uso della
motivazione per relationem con
riferimento ad altri atti
dell'amministrazione, che devono essere
comunque indicati e resi disponibili, fermo
restando che questa disponibilità dell'atto
va intesa nel senso che all'interessato deve
essere consentito di prenderne visione, di
richiederne ed ottenerne copia in base alla
normativa sul diritto di accesso ai
documenti amministrativi e di chiederne la
produzione in giudizio, sicché non sussiste
l'obbligo dell'amministrazione di notificare
all'interessato tutti gli atti richiamati
nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di
indicarne gli estremi e di metterli a
disposizione su richiesta dell'interessato
(cfr., ex multis, TAR Lazio Roma,
sez. III, 27.10.2008, n. 9158; TAR Campania
Napoli, sez. VII, 04.07.2007, n. 6458) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 940 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ordinanza di demolizione
costituisce atto dovuto e rigorosamente
vincolato, affrancato dalla ponderazione
discrezionale del confliggente interesse al
mantenimento in loco della res, dove la
repressione dell'abuso corrisponde per
definizione all'interesse pubblico al
ripristino dello stato dei luoghi
illecitamente alterato. Essa è da ritenersi
sorretta da adeguata e sufficiente
motivazione, consistente nella compiuta
descrizione delle opere abusive e nella
constatazione della loro esecuzione in
assenza del necessario titolo abilitativo
edilizio.
L’indicazione dei dati catastali e
l’individuazione dell’area di sedime delle
opere abusive non deve compiersi al momento
dell’adozione del provvedimento con il quale
viene ingiunta la demolizione bensì in
quello successivo in cui viene accertata
l’inottemperanza e si procede
all’acquisizione dell’area di sedime.
L'ordine di sospensione dei lavori non
costituisce necessario presupposto di
legittimità dell'ingiunzione a demolire, ben
potendo quest'ultima essere emanata
immediatamente all'esito dell'accertamento
della realizzazione di opere abusive.
Il Collegio
sottolinea che per giurisprudenza costante
l'ordinanza di demolizione costituisce atto
dovuto e rigorosamente vincolato, affrancato
dalla ponderazione discrezionale del
confliggente interesse al mantenimento in
loco della res, dove la repressione
dell'abuso corrisponde per definizione
all'interesse pubblico al ripristino dello
stato dei luoghi illecitamente alterato.
Pertanto, essa è da ritenersi sorretta da
adeguata e sufficiente motivazione,
consistente nella compiuta descrizione delle
opere abusive e nella constatazione della
loro esecuzione in assenza del necessario
titolo abilitativo edilizio (cfr., ex
multis, TAR Campania, Napoli, sez. VIII,
08.10.2009, n. 5203).
L'abusività costituisce di per sé
motivazione sufficiente per l'adozione della
misura repressiva in questione. Ne consegue
che in presenza di un'opera abusiva,
l'autorità amministrativa è tenuta ad
intervenire, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell'Amministrazione in
relazione al provvedere.
Proprio in considerazione della natura
vincolata del provvedimento, già prima della
formulazione dell'art. 21-octies l.
07.08.1990 n. 241, un'ordinanza di
demolizione di opere abusive, adottata in
mancanza della comunicazione di avvio del
procedimento, doveva ritenersi illegittima
soltanto quando non fosse accertata in
giudizio la sua superfluità; nel caso di
specie, una specifica comunicazione
dell'avvio del procedimento era
effettivamente superflua, poiché dagli atti
di causa emerge, come di seguito si avrà
modo di specificare, che l'emanazione
dell'impugnato provvedimento ha costituito
atto dovuto e che anche a seguito della
comunicazione di avvio del procedimento il
contenuto dell'atto non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato.
L’indicazione
dei dati catastali e l’individuazione
dell’area di sedime delle opere abusive non
deve compiersi al momento dell’adozione del
provvedimento con il quale viene ingiunta la
demolizione bensì in quello successivo in
cui viene accertata l’inottemperanza e si
procede all’acquisizione dell’area di sedime
(cfr., ex multis, Cons. St., sez. V,
26.01.2000, n. 341; TAR Campania, Napoli,
sez. IV, 26.06.2009, n. 3530).
La consolidata giurisprudenza ha
sottolineato che l'ordine di sospensione dei
lavori non costituisce necessario
presupposto di legittimità dell'ingiunzione
a demolire, ben potendo quest'ultima essere
emanata immediatamente all'esito
dell'accertamento della realizzazione di
opere abusive (cfr., TAR Campania Napoli,
sez. VI, 06.11.2008, n. 19290)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 940 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di pertinenza,
previsto dal diritto civile, va distinto dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso edilizio e urbanistico, che non
trova applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumono tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime concessorio, come
nel caso di un intervento edilizio che non
sia coessenziale al bene principale e che
possa essere utilizzato in modo autonomo e
separato.
Ai fini della legittima installazione di un
box, è necessaria la concessione edilizia,
posto che soltanto le costruzioni aventi
intrinseche caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo, sono
esenti dall'assoggettamento alla concessione
edilizia, mentre è sicuramente sottoposto al
predetto regime un box che, pur se non
infisso al suolo ma solo aderente in modo
stabile, sia destinato ad un'utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché
l'alterazione del territorio non può essere
considerata temporanea, precaria o
irrilevante.
Perché un'opera edilizia avente carattere
precario, in forza della sua facile
amovibilità, venga sottratta all'obbligo di
concessione edilizia, è necessario che sia
destinata ad un uso molto limitato nel
tempo, per fini specifici e temporanei.
Non può considerarsi pertinenza in senso
urbanistico ed edilizio il manufatto che,
per essere costruito a ridosso e con
appoggio su un fabbricato principale,
realizza in effetti un ampliamento dello
stesso, diventando parte integrante di esso.
Nella
fattispecie in esame, come emerge
dall’ordinanza di demolizione gravata, le
opere contestate sono consistite nella
realizzazione di una tettoia e nella
collocazione di due box prefabbricati che,
secondo quanto affermato dalla stessa difesa
dei ricorrenti nell’atto introduttivo del
presente giudizio, sono stati collocati su
pavimento battuto in cemento.
Per giurisprudenza costante, alla quale
questo Collegio presta adesione, il concetto
di pertinenza, previsto dal diritto civile,
va distinto dal più ristretto concetto di
pertinenza inteso in senso edilizio e
urbanistico, che non trova applicazione in
relazione a quelle costruzioni che, pur
potendo essere qualificate come beni
pertinenziali secondo la normativa
privatistica, assumono tuttavia una funzione
autonoma rispetto ad altra costruzione, con
conseguente loro assoggettamento al regime
concessorio, come nel caso di un intervento
edilizio che non sia coessenziale al bene
principale e che possa essere utilizzato in
modo autonomo e separato (cfr., ex multis,
TAR Campania Napoli, sez. IV, 01.09.2009, n.
4848).
Con specifico riferimento ai box
prefabbricati la stessa giurisprudenza ha
anche evidenziato che, ai fini della
legittima installazione di un box, è
necessaria la concessione edilizia, posto
che soltanto le costruzioni aventi
intrinseche caratteristiche di precarietà
strutturale e funzionale, cioè destinate fin
dall'origine a soddisfare esigenze
contingenti e circoscritte nel tempo, sono
esenti dall'assoggettamento alla concessione
edilizia, mentre è sicuramente sottoposto al
predetto regime un box che, pur se non
infisso al suolo ma solo aderente in modo
stabile, sia destinato ad un'utilizzazione
perdurante nel tempo, di talché
l'alterazione del territorio non può essere
considerata temporanea, precaria o
irrilevante. Pertanto perché un'opera
edilizia avente carattere precario, in forza
della sua facile amovibilità, venga
sottratta all'obbligo di concessione
edilizia, è necessario che sia destinata ad
un uso molto limitato nel tempo, per fini
specifici e temporanei (cfr., ex multis,
TAR Lazio Roma, sez. II, 04.05.2007, n.
3973).
Applicando tali coordinate ermeneutiche alla
fattispecie oggetto del presente giudizio
non vi è dubbio che il carattere
pertinenziale delle opere abusivamente poste
in essere debba essere escluso emergendo,
peraltro, lo stabile collocamento dei box
sul pavimento cementato, la destinazione ad
uso non temporaneo e l’irreversibile
trasformazione del territorio che la loro
collocazione ha comportato. Con specifico
riferimento alla tettoia, inoltre, la
censura si palesa inammissibile per
genericità prima ancora che infondata, posto
che il carattere pertinenziale della stessa
viene solo asserito ma non vengono
articolate argomentazioni, riferite alle
caratteristiche strutturali e funzionali,
idonee a confortare la pretesa accessorietà
della stessa.
Deve essere evidenziato, inoltre, che, come
affermato dalla giurisprudenza del Consiglio
di Stato, non può considerarsi pertinenza in
senso urbanistico ed edilizio il manufatto
che, per essere costruito a ridosso e con
appoggio su un fabbricato principale,
realizza in effetti un ampliamento dello
stesso, diventando parte integrante di esso
(Cons. St., sez. IV, 12.03.2007, n. 1219)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 940 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ordinanza di demolizione abuso
edilizio può essere emanata nei confronti
del proprietario, anche se non è
responsabile dello stesso.
L'ordinanza di demolizione di una
costruzione abusiva può legittimamente
essere emanata nei confronti del
proprietario, anche se non responsabile
dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio
costituisce illecito permanente e che
l'ordinanza stessa ha carattere
ripristinatorio e non prevede l'accertamento
del dolo o della colpa del soggetto cui si
imputa la trasgressione, salvo ovviamente la
non operatività, in questo particolare caso,
della diversa ed autonoma sanzione
dell’acquisizione gratuita al patrimonio del
comune (cfr. ex multis, TAR Umbria
Perugia, 23.07.2009, n. 441; TAR Sardegna
Cagliari, sez. II, 10.04.2009, n. 450; TAR
Lazio Roma, sez. II, 03.02.2009, n. 1061)
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 24.03.2010 n. 304 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sussistenza di un vincolo
idrogeologico non determina l’assoluta
impossibilità di edificare, essendo
consentito ai proprietari dei terreni
vincolati di chiedere la rimozione del
vincolo nella misura necessaria a consentire
la realizzazione della costruzione.
Anche la normativa vigente ratione
temporis, non vietava in modo assoluto
l’edificazione in zone soggette a vincolo
idrogeologico: l’art. 12 del R.D. n. 3267
del 1923 prevede che “i proprietari dei
terreni compresi nelle zone vincolate
possono separatamente chiedere che i propri
terreni siano in tutto od in parte esclusi
dal vincolo. Per ottenere tale esclusione
dovranno farne domanda al Comitato forestale”.
Infatti, la sussistenza di un vincolo
idrogeologico non determina l’assoluta
impossibilità di edificare, essendo
consentito ai proprietari dei terreni
vincolati di chiedere la rimozione del
vincolo nella misura necessaria a consentire
la realizzazione della costruzione (cfr.
Consiglio di Stato, V, 14.04.1993, n. 480).
Similmente, la legge regionale n. 33 del
1988 subordinava l’edificazione nelle zone
sottoposte a vincolo idrogeologico al
rilascio dell’autorizzazione conseguente
all’accertamento che l’attività antropica in
ordine alla quale il provvedimento fosse
richiesto, non incidesse negativamente sugli
assetti del suolo (TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV,
sentenza 23.03.2010 n. 697 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Sui termini di impugnazione di un
Piano Particolareggiato.
Non può ritenersi che il termine per
l'impugnazione del piano particolareggiato
decorra dalla data di notificazione dello
stesso al ricorrente, essendo ciò previsto
esclusivamente per aree incise da puntuali
interventi di trasformazione urbanistica,
rispetto alle quali il termine stesso
decorre dalla data di notifica delle nuove
disposizioni programmatiche ai proprietari
delle porzioni immobiliari interessate (cfr.
Tar Lazio, Roma, II sez, n. 10155 del
20.11.2002).
Poiché, nel caso di specie, si impugna il
piano particolareggiato nella parte in cui
stabilisce prescrizioni in ordine ad
immobile di proprietà di soggetto terzo
(immobile confinante con quello di proprietà
del ricorrente), il termine di impugnazione
decorre dalla data della relativa
pubblicazione, in forza dei pacifici
principi giurisprudenziali secondo cui il
termine di impugnazione del piano
particolareggiato decorre:
a) per i proprietari dei beni vincolati, dal
giorno della notificazione individuale;
b) per i soggetti non direttamente
contemplati nel piano, come appunto nel caso
di specie, dalla data della relativa
pubblicazione (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 22.03.2010 n. 356 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
V'è
l’obbligo di
astensione del titolare di un pubblico
ufficio dal procedimento di adozione di atti
nei quali sia interessato egli stesso o un
suo prossimo congiunto.
E' stato
dimostrato che nella seduta della
Commissione edilizia che ha rilasciato il
parere il 06.07.2001 fosse presente, quale
componente il signor ... cognato del
controinteressato (in quanto coniugato con
la di lui sorella ...).
E’ evidente che nel caso in questione il
signor ... si doveva astenere dal
partecipare alla seduta della commissione
edilizia che trattava la pratica di suo
cognato in ossequio alla disposizione di cui
all’art. 78 del t.u.e.l. (D.lgs. n.
267/2000), che sancisce l’obbligo di
astensione del titolare di un pubblico
ufficio dal procedimento di adozione di atti
nei quali sia interessato egli stesso o un
suo prossimo congiunto; tale obbligo
sussiste per il fatto che chi è portatore di
un interesse personale, potenzialmente in
conflitto con l’interesse pubblico di cui
deve avere cura, non può prendere parte alla
discussione e alla votazione in cui è
implicato il proprio interesse o quello di
propri parenti o affini entro il quarto
grado.
“Tale obbligo comporta non solo il
divieto di partecipare alla votazione
finale, ma anche di partecipare alla
discussione e l’obbligo di allontanamento
dalla seduta prima della discussione
dell’approvazione della relativa proposta di
deliberazione” (così. TAR Emilia
Romagna-Parma, sez. I, 22.09.2009, n. 675)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 22.03.2010 n. 356 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’acquisizione
gratuita di una sopraelevazione abusiva di
un fabbricato, che per la restante parte
risulta legittimamente realizzato, si
estende esclusivamente alla parte del
lastrico solare che rappresenta l'effettiva
area di sedime dell'abuso, senza incidere
sull'area materialmente e giuridicamente
impegnata urbanisticamente dalle altre parti
dell'edificio che possono essere viceversa
conservate.
L’acquisizione gratuita di una
sopraelevazione abusiva di un fabbricato,
che per la restante parte risulta
legittimamente realizzato, si estende
esclusivamente alla parte del lastrico
solare che rappresenta l'effettiva area di
sedime dell'abuso, senza incidere sull'area
materialmente e giuridicamente impegnata
urbanisticamente dalle altre parti
dell'edificio che possono essere viceversa
conservate (TAR Lazio sez. Latina, n. 236
del 26.03.1997).
Ciò peraltro non esclude che una volta
demolito l’abuso, il Comune possa anche
procedere alla restituzione ai precedenti
titolari dell’area non avendo più interesse
nel mantenerne la titolarità
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 04.01.2002 n. 74 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 03.05.2010 |
ã |
CONVEGNI |
Bottone "CONVEGNI" n. 1 giornata di studio a
Bergamo per giovedì 13 maggio 2010 organizzata dal portale PTPL.
N.B.: leggere attentamente le
istruzioni ivi riportate. |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Norme Tecniche per le Costruzioni: guida
dettagliata all’applicazione.
L’Ordine dei Geologi del Lazio ha
organizzato lo scorso mese di marzo un corso
di aggiornamento professionale sulla nuova
normativa per le costruzioni (D.M.
14.01.2008) Norme Tecniche per le
Costruzioni (NTC 2008) Teoria ed
applicazioni nella progettazione geologica e
geotecnica.
Il corso è stato tenuto dal prof. Eros
Aiello, dell’Università degli studi di
Siena.
Il corso, strutturato in 12 moduli, è
concettualmente diviso in due parti: nella
prima parte le recenti normative tecniche
sono illustrate da un punto di punto di
vista teorico; nella seconda parte, invece,
si trova una serie di applicazioni pratiche
in ambito geotecnico: dalle fondazioni alle
opere di sostegno alla di stabilità dei
pendii.
L’Ordine dei Geologi del Lazio ha reso
disponibile on line la documentazione
del corso.
Nella documentazione sono riportati anche
esempi di relazione geologica e geotecnica
sulla base della normativa tecnica
illustrata (link a www.acca.it). |
VARI:
On line la Nuova Guida al Conto Energia del
GSE (Gestore dei Servizi Elettrici).
Il Gestore dei Servizi Energetici ha reso
disponibile on line la quinta edizione della
Guida al Conto Energia, aggiornata a marzo
2010.
La pubblicazione, curata dal GSE in
collaborazione con l’Autorità per l’energia
elettrica e il gas, costituisce un utile
supporto per tutti coloro che intendono
realizzare un impianto fotovoltaico e
richiedere al GSE i relativi incentivi.
L’edizione di aprile 2010, oltre a riportare
l’aggiornamento delle tariffe incentivanti
ai valori del 2010, tiene conto delle novità
conseguenti alla pubblicazione della Legge
Sviluppo 99/2009 e della delibera AEEG ARG/elt
186/2009.
La Legge 99/2009, infatti,introduce alcune
misure a favore dello sviluppo del
fotovoltaico, tra le quali, secondo il GSE,
sono da evidenziare: ... (link a
www.acca.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SICUREZZA
CANTIERI:
Dalle Regioni la guida operativa "Valutazione
e Gestione del Rischio da Stress
Lavoro-Correlato".
L’obbligo della valutazione del rischio
stress lavoro-correlato, secondo le
disposizioni dell’art. 28 del Testo Unico
della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), decorre
dal momento in cui la Commissione consultiva
permanente per la salute e la sicurezza sul
lavoro rende disponibili le proprie
indicazioni.
Lo stesso art. 28, tuttavia, prevede che, in
assenza di tali indicazioni, l’obbligo
decorra comunque dal 1° agosto 2010.
Il Comitato tecnico interregionale della
prevenzione nei luoghi di lavoro ha
attivato, in assenza delle indicazioni, uno
specifico gruppo di lavoro in tema di
valutazione dello stress lavoro-correlato.
Il gruppo, insediato il 16 dicembre, ha
predisposto la guida operativa "Valutazione
e Gestione del Rischio da Stress
Lavoro-Correlato" sulla base degli
indirizzi e delle proposte già elaborate
dalle singole regioni, approvata il
25.03.2010.
La guida è strutturata nei seguenti
capitoli: ... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
55% - Dall’Agenzia delle Entrate nuovi
chiarimenti sulle agevolazioni per il
risparmio energetico.
Con la Circolare n. 21/E del 23.04.2010
l’Agenzia delle Entrate fornisce alcuni
chiarimenti in merito a oneri deducibili,
crediti d'imposta e detrazioni.
In particolare, per quanto riguarda gli
interventi di riqualificazione energetica
degli edifici esistenti (articolo 1, commi
20-24, legge 244/2007), l’Agenzia delle
Entrate precisa che: ... (link a
www.acca.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
Videosorveglianza: le nuove regole del
Garante della Privacy.
L'Autorità Garante per la protezione dei
dati personali ha varato le nuove regole per
i soggetti (pubblici e privati) che hanno
installato telecamere e sistemi di
videosorveglianza.
Per adeguarsi alle nuove disposizioni è
stato fissato un periodo variabile, a
seconda degli adempimenti, da un minimo di
sei mesi ad un massimo di un anno.
Il provvedimento , che sostituisce quello
del 2004, introduce importanti novità.
Ecco in sintesi le regole fissate dal
Garante ... (link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dal 1° luglio obbligatori nuovi valori per
la trasmittanza degli infissi.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 92 del 21 aprile
scorso è stato pubblicato il d.lgs. 29.03.2010, n. 56 recante "Modifiche
ed integrazioni al decreto 30.05.2008, n.
115, recante attuazione della direttiva
2006/32/CE, concernente l'efficienza degli
usi finali dell'energia e i servizi
energetici e recante abrogazioni della
direttiva 93/76/CEE".
Il provvedimento modifica, oltre al D.Lgs.
30.05.2008, n. 115, il D.Lgs. 19.08.2005, n.
192 recante "Attuazione della direttiva
2002/91/CE sul rendimento energetico in
edilizia".
In particolare l'articolo 7 del D.Lgs
56/2010 modifica l'allegato C del decreto
legislativo 19.08.2005, n. 192, più
precisamente la tabella 4.b, anticipando dal
1° gennaio 2011 al 1° luglio 2010 i valori
limite della trasmittanza termica centrale
dei vetri previsti dal decreto 192/2005.
I nuovi valori, in vigore il prossimo
01.07.2010, in funzione della zona
climatica, sono i seguenti: ... (link a
www.acca.it). |
CONDOMINIO:
Sicurezza in condominio: dal Ministero del
Lavoro tutti i chiarimenti.
Il Ministero
del Lavoro, nell'apposita sezione (FAQ) del
sito, ha pubblicato le risposte ai quesiti
sull’applicazione del Testo Unico della
Sicurezza (D.Lgs. 81/2008) nell’ambito del
condominio.
Di seguito i quesiti che hanno avuto
risposta dal Ministero:
• Chi è tenuto ad adempiere agli obblighi
di sicurezza che gravano sul condominio?
• Per il condominio la redazione del
Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) è
prevista esclusivamente in presenza di
lavoratori dipendenti che non rientrano nel
campo del contratto collettivo dei
proprietari dei fabbricati? (Risposta a
quesito del 19.04.2010)
• Per l’adempimento dell’obbligo di
informazione (articolo 36 del D.Lgs. n.
81/2008) nei confronti dei soggetti di cui
all’articolo 3, comma 9, è corretta
l’effettuazione di una comunicazione scritta
al lavoratore che contenga i requisiti
previsti dall’articolo 36 ma non quelli
previsti per il DVR negli artt. 28 e 29?
(Risposta a quesito del 19.04.2010)
• Nel caso in cui il condominio sia
datore di lavoro (per la presenza di
dipendenti ai quali si applichi il contratto
collettivo dei proprietari di fabbricati o
altra tipologia di lavoratore) e di
contemporaneo “affidamento di lavori,
servizi e forniture all’impresa appaltatrice
o a lavoratori autonomi” (di cui
all’articolo 26) il condominio medesimo deve
intendersi “datore di lavoro” anche nei
confronti di tali imprese o lavoratori
autonomi con applicazione dei conseguenti
obblighi?
• Ove il condominio, che sia “datore di
lavoro” nei confronti di lavoratori ai quali
si applichi il contratto collettivo dei
proprietari di fabbricati o altra tipologia
di lavoratore, affidi “lavori, servizi o
forniture” a impresa appaltatrice o a
lavoratori autonomi, ex articolo 26 del
“Testo unico” di salute e sicurezza sul
lavoro, potrà indifferentemente ottemperare
all’obbligo di fornire “informazioni
dettagliate” (art. 26, comma 1, lett. b), e
a quello di “informarsi reciprocamente”
(art. 26, comma 2, lett. b), con una
comunicazione (nel caso di non sussistenza
di rischi da interferenze) oppure con la
predisposizione del Documento Unico di
Valutazione dei Rischi da Interferenza (in
caso contrario)?
(link a www.acca.it). |
GURI - BUUE -
BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, 6° suppl. straord. al n.
17 del 30.04.2010, "Approvazione del
Documento concernente: «Linee guida per la
sostenibilità ambientale -in particolare per
la riduzione delle emissioni di CO2-
delle azioni di comunicazione e
partecipazione»" (decreto
D.U.O. 15.04.2010 n. 3767 - link
a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI:
B.U.R. Lombardia, 5° suppl. straord. al n.
17 del 30.04.2010, "Approvazione degli
allegati tecnici relativi ad ambiti
merceologici prioritari per la
implementazione di un sistema di beni e
servizi verdi, in attuazione della d.g.r. n.
8/10831 del 16.12.2009"
(decreto
D.U.O. 15.04.2010 n. 3766 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI - VARI:
B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n.
17 del 29.04.2010, "I
nuovi Assessori della Giunta Regione
Lombardia"
(link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 28.04.2010 n. 98, suppl. ord. n. 80, "Modifiche
al Modello unico di dichiarazione ambientale
(MUD)" (D.P.C.M.
27.04.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 17 del
26.04.2010, "Approvazione del 3°
aggiornamento dell'elenco degli Enti locali
idonei all'esercizio delle funzioni
paesaggistiche loro attribuite dall'art. 80
della legge regionale 11.03.2005 n. 12"
(decreto
D.G. 12.04.2010 n. 3539 - link a
www.infopoint.it). |
DOTTRINA E
CONTRIBUTI |
APPALTI:
D. Prinari,
APPUNTI SUL NUOVO PREAVVISO DI RICORSO NELLA
CONTRATTUALISTICA PUBBLICA ITALIANA
(link a www.diritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
F. Montefinese,
ATTIVITA’ ESTRATTIVA E RICICLAGGIO DEGLI
INERTI. Nella gestione dei rifiuti inerti un
paradosso tutto italiano (link a
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
La soppressione delle Autorità d'Ambito
Territoriale di cui alla Legge 26.03.2010,
n. 42: occorre riflettere entro un quadro di
assetti e valori, piuttosto che invocare
criteri efficientisti (link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Picone,
Tutela dell’ambiente e realizzazione di
impianti per la produzione di energia da
fonti rinnovabili (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
W. Fumagalli,
Politica
del fare o politica del “combinare guai”
(AL n. 4/2010). |
QUESITI &
PARERI |
ENTI LOCALI: Sanzioni
amministrative (procedimenti connessi).
Il sindaco del Comune di (omissis) riferisce
che l’ente che rappresenta aderisce ad una
Comunità collinare-Unione di Comuni, alla
quale è stato trasferito il corpo di polizia
locale.
Il sindaco chiede se le sanzioni
amministrative (ed i procedimenti connessi)
irrogate per violazione di norme
regolamentari o in materie diverse, quali,
ad esempio: commercio, rifiuti,
volantinaggio, etc, siano di pertinenza dei
singoli comuni o se rientrino, invece, nella
competenza dell’Unione di comuni. La prassi
attualmente in vigore prevede che le
ordinanze ingiunzioni e i provvedimenti
preventivi e conseguenti siano emanati da
ogni singolo comune, seguendo il principio
derivante dalla legge n. 689/1981
(Regione Piemonte,
parere n.
32/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità
personale. Procedure applicative.
Il Comune di (omissis), avendo assunto un
dipendente, a seguito di concorso, da meno
di un anno, chiede se, qualora pervenisse da
altro Comune richiesta di mobilità, possa
discrezionalmente concedere o meno il nulla
osta o se, diversamente, nel caso in esame
la mobilità non possa essere comunque
concessa, attesa la brevissima permanenza
del dipendente presso l’attuale sede, anche
in relazione alle clausole ed ai richiami di
legge riportate nel contratto individuale e
alle nuove disposizioni del decreto
legislativo 150/2009 (Regione Piemonte,
parere n.
27/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Trattamento
economico del personale nella giornata
festiva.
Il Comune (omissis) rivolge quesito per
sapere quale sia il trattamento economico
spettante al dipendente comunale che
occasionalmente lavori nella giornata di
domenica, in particolare chiedendo quale
trattamento economico debba essere
corrisposto in tal caso in aggiunta al
riposo compensativo.
Precisa che il dubbio nasce in quanto
ritiene che il CCNL disciplini in modo
preciso il trattamento spettante quando il
dipendente lavora durante la domenica
interessata alla consultazione elettorale,
mentre non è altrettanto chiara la
disciplina in caso di lavoro svolto durante
le altre domeniche
(Regione Piemonte,
parere n.
26/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Procedimento
concorso per soli titoli.
Il Comune di (omissis) chiede se sia
possibile effettuare, tramite concorso per
soli titoli, il passaggio di due dipendenti,
rispettivamente da D3 e B3 orizzontale in D3
e B3 giuridico (Regione Piemonte,
parere n.
25/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Aggiornamento
oneri di urbanizzazione.
Il quesito è posto in materia di
aggiornamento dell’entità degli oneri di
urbanizzazione (Regione Piemonte,
parere n.
24/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI:
Rinnovo forma associativa
funzioni e servizi scolastici.
Il Comune di (omissis) partendo da una
concreta situazione di difficoltà nel
rinnovare una forma associativa
convenzionale con altri Comuni in materia di
gestione di funzioni e servizi scolastici,
pone quesito in merito alla partecipazione
alle spese fra Comuni utilizzanti la stessa
sede di Scuola Media inferiore ubicata
presso uno degli Enti Locali in questione
(proprietario dell’immobile sede anche di
Scuola Elementare), in particolare in merito
all’obbligatorietà e/o agli eventuali
termini di discrezionalità di partecipazione
degli Enti fruitori della scuola alle spese
di gestione e manutenzione ordinaria,
manutenzione straordinaria, investimento
(per ampliamento, nuove costruzioni,
adeguamento per la sicurezza etc.), alla
fattibilità di un ipotesi di “affitto”
-con preghiera di indicare, in caso di
parere positivo, l’esatta tipologia
negoziale da utilizzare– ed infine circa
l’ipotesi di un servizio convenzionato di
trasporto scolastico con costi ripartiti in
base al numero degli alunni, senza tener
conto della diversità delle distanze da
coprire per raggiungere la sede scolastica
nonché della diversità morfologica del
territorio (Regione Piemonte,
parere n.
20/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Utilizzo graduatoria per
assunzione personale.
Il Comune di (omissis) con 650 abitanti e
con 3 dipendenti in servizio chiede se, alla
luce delle disposizioni vigenti in materia
di personale, possa procedere, attraverso
l’utilizzo di una graduatoria approvata nel
2004, alla sostituzione, nello stesso anno,
di un dipendente che si è dimesso in data
10.01.2009 (Regione Piemonte,
parere n.
19/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Assimilabilità rifiuti
imballaggio ai rifiuti solidi urbani.
Il Comune (omissis), con nota telematica del
02.02.2010, ha proposto un quesito in merito
alla assimilabilità dei rifiuti da
imballaggio ai rifiuti solidi urbani interni
ed alle conseguenze che ne derivano in
termini di strutturazione del servizio di
raccolta e di tassabilità delle superfici
ove gli stessi sono prodotti (Regione
Piemonte,
parere n.
16/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
DIPARTIMENTO
FUNZIONE PUBBLICA E
DIPARTIMENTO
DIGITALIZZAZIONE PUBBLICA AMMINISTRAZIONE |
PUBBLICO IMPIEGO: Il
medico rischia se non visita il paziente.
Circolare di Brunetta sulle sanzioni, penali
e non, per i falsi certificati.
I medici cadranno sotto la scure del
ministro Brunetta se rilasceranno
certificati ai pubblici dipendenti senza
averli opportunamente visitati. Come
richiesto, invece, dalla buona pratica
medica che impone di trarre i dati clinici
dalla visita del paziente.
Con la
circolare 28.04.2010 n. 5/2010 il
ministro della funzione pubblica ha dettato
i chiarimenti sulla stretta introdotta dalla
riforma che prende il suo nome. Visto che
molte sono state le richieste di
delucidazioni giunte al dicastero dalla
categoria.
La nota ripercorre le diverse fattispecie di
responsabilità (penale e non) previste
dall'art. 55-quinquies del Testo unico sul
pubblico impiego (modificato dal dlgs
150/2009). Partendo dalla più grave che
prevede la reclusione da uno a cinque anni e
la multa da 400 a 1.600 euro per il medico
che rilascia un certificato falso o
falsamente attesta lo stato di malattia di
un dipendente pubblico. In questo caso il
camice bianco concorre nel reato commesso da
quest'ultimo ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 29
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Informazioni
per la gestione delle caselle di Posta
Elettronica Certificata
(circolare
19.04.2010 n. 2/2010 - link a
www.innovazionepa.gov.it). |
NEWS |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Gettoni di presenza limitati. La
legge prevede espressamente i casi di
estensione del beneficio economico. Esclusi
i membri della conferenza dei capigruppo.
Il comune deve corrispondere il gettone di
presenza ai componenti della conferenza dei
capigruppo, tenuto conto che il regolamento
del consiglio comunale equipara la
conferenza dei capigruppo alle commissioni
consiliari?
Lo status degli amministratori locali è
disciplinato dal capo IV del decreto
legislativo n. 267/2000, recante il Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali. In particolare, l'art. 82,
comma 2, del Testo unico dispone la
corresponsione del gettone di presenza ai
consiglieri comunali e provinciali per la
partecipazione alle sedute di consiglio e
commissioni.
La Conferenza dei capigruppo, avendo
competenza in materia di programmazione dei
lavori del consiglio e di coordinamento
delle attività delle commissioni consiliari,
non può essere comunque equiparata a queste,
che svolgono funzioni consultive,
istruttorie, di studio e di proposta
direttamente finalizzate alla preparazione
dell'attività del consiglio ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 33
- link a www.corteconti.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Deleghe ai
consiglieri.
Può il sindaco conferire deleghe ai
consiglieri di «particolari settori
comunali»?
Nella ipotesi del quesito si verifica una
delega generica di specifici uffici e
servizi, senza individuazione alcuna del
contenuto della stessa o delle limitazioni
riguardo le funzioni conferite.
Lo statuto comunale dell'ente in questione,
non dedica alcuna disciplina alle deleghe
interorganiche ai consiglieri comunali,
mentre nel disciplinare «competenze e
funzionamento della giunta», prevede in
capo al sindaco la conferibilità agli
assessori dell'esercizio delle funzioni ad
esso attribuite per gli uffici e i servizi,
secondo le sue direttive ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 33
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Enti, la valutazione può
attendere. L'obbligo di costituzione di un
organismo ad hoc entro il 30 aprile non si
applica alle autonomie. Comuni, province e
regioni hanno tempo fino a tutto il 2010.
Gli enti locali e le regioni non devono
costituire necessariamente entro oggi il
proprio organismo indipendente di
valutazione. Tale obbligo si applica alle
amministrazioni statali, mentre i comuni, le
province e le regioni hanno tempo fino a
tutto il 2010 per approvare le disposizioni
regolamentari e per nominare questo
organismo. Nella regolamentazione delle sue
attività non si applicano i vincoli dettati
per le amministrazioni statali, ivi comprese
le indicazioni sulla composizione dettate
dalla Commissione per la valutazione,
l'integrità e la trasparenza delle pubbliche
amministrazioni (Civit).
Con il protocollo che tale commissione
firmerà con l'Anci, l'Upi e la Conferenza
dei presidenti delle regioni saranno fissati
gli ambiti entro cui gli enti locali saranno
sottoposti alla vigilanza ed all'indirizzo
della stessa Civit. Fino alla entrata in
vigore del regolamento che ogni ente deve
approvare, continuerà a svolgere la propria
attività il nucleo di valutazione. Appare
opportuno che i regolamenti disciplino la
fase transitoria, in particolare per
l'eventuale inclusione nell'organismo
indipendente di valutazione dei componenti
del nucleo e dettino le modalità di
coordinamento con le altre forme di
controllo interno ... (articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 31
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Verifica
ad ampio raggio sulle ditte straniere negli
appalti. Conclusioni dell'avvocato generale
della corte UE.
È legittimo, dal punto
di vista comunitario, prevedere un sistema
di registrazione ai fini fiscali di
concorrenti stranieri che intendano
partecipare a gare di appalto; è altresì
legittimo e opportuno, dal punto di vista
dell'omogeneità delle valutazioni, che la
verifica dei requisiti sia effettuata da un
organo diverso dalla stazione appaltante.
Sono queste le conclusioni dell'avvocato
generale Juliane Kokott presentate alla
Corte di Giustizia il 15.04.2010 nella causa
C-74/09, che ha ad oggetto una fattispecie
relativa all'aggiudicazione dell'appalto dei
lavori di ristrutturazione del palazzo
Berlaymont di Bruxelles, sede della
Commissione europea.
Era infatti successo che il consorzio
aggiudicatario dei lavori avesse fra i suoi
componenti alcuni soggetti non registrati ai
fini fiscali in Belgio e la registrazione ai
fini fiscali era richiesta dall'allora
vigente normativa belga sugli appalti, oltre
ad essere prevista come condizione di gara,
al fine di garantire che gli offerenti
avessero adempiuto e adempissero in futuro
gli obblighi relativi al pagamento delle
imposte e delle tasse nonché dei contributi
previdenziali.
La questione affrontata nella causa era
quindi quella della legittimità di tale
richiesta di registrazione rispetto alla
direttiva 93/37/CEE all'epoca vigente, sotto
il profilo di un possibile ostacolo al
principio generale della libera prestazione
di servizi ...
(articolo
ItaliaOggi del 29.04.2010, pag. 33
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Limiti
alla mobilità. Brunetta: i mini-enti non
sono un serbatoio di dipendenti. I vincoli
alle assunzioni restano fermi.
Le procedure di mobilità
non devono essere utilizzate per aggirare i
limiti alle assunzioni e i vincoli al
contenimento della spesa per il personale.
Per questo, bisogna evitare che i comuni con
meno di 5.000 abitanti, non soggetti al
patto di stabilità e svincolati dai limiti
alle assunzioni, siano utilizzati come un
«serbatoio da cui le altre p.a. possano
attingere dipendenti» aggirando la legge.
Rispondendo alla camera a un'interrogazione
della deputata leghista Giovanna Negro, il
ministro della funzione pubblica, Renato
Brunetta, è stato chiaro: le regole in
materia di mobilità tra i vari comparti
della p.a. non possono essere interpretate a
maglie larghe perché «la mobilità, pur
rappresentando sempre uno strumento
finanziariamente da privilegiare, si
configura in termini di neutralità di spesa
solo se si svolge tra amministrazioni
entrambe sottoposte a vincoli in materia di
assunzioni a tempo indeterminato» ...
(articolo
ItaliaOggi del 29.04.2010, pag. 24
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI: Gare,
accesso a verbali e offerte. Il rifiuto a
consultare la documentazione relativa ai
concorsi è legittimo per i concorrenti
esclusi. Limitazioni da parte della p.a. per
tutelare il segreto industriale.
Recentemente, su queste stesse pagine, si è
avuto modo di analizzare il delicato tema
del diritto di accesso alle giustificazioni
prezzi formulate dai concorrenti di una
pubblica gara, anche alla luce della più
recente giurisprudenza. Intimamente connessa
con tale tema è la più ampia materia del
diritto di accesso agli atti di gara, ivi
inclusi i verbali della commissione
giudicatrice e le offerte degli altri
partecipanti, di cui appunto le
giustificazioni ne costituiscono elemento di
specificazione.
L'accesso a verbali e
offerte degli altri concorrenti.
Il tema in esame risulta oggi disciplinato,
quanto al settore degli appalti, dall'art.
13 del dlgs 12.04.2006 n. 163 «Codice dei
Contratti Pubblici», e, fatte salve le
deroghe sancite dalla norma medesima, dagli
artt. 22 e seguenti della legge 07.08.1990
n. 241 in forza dell'espresso richiamo
compiuto dal comma 1.
Per regola generale (art. 22, comma 3, legge
241/1990), e salve le limitazioni di cui a
breve, «Tutti i documenti amministrativi
sono accessibili», e il relativo diritto
può essere esercitato (art. 23) «nei
confronti delle pubbliche amministrazioni,
delle aziende autonome e speciali, degli
enti pubblici e dei gestori di pubblici
servizi. Il diritto di accesso nei confronti
delle Autorità di garanzia e di vigilanza si
esercita nell'ambito dei rispettivi
ordinamenti».
Quanto all'ambito di estensione oggettiva
del suddetto diritto, se da un lato questo
può essere esercitato in relazione ai soli
documenti in possesso della p.a., dall'altro
il giudice amministrativo ha chiarito a più
riprese che «l'attività amministrativa,
cui gli art. 22 e 23 legge 241/1990
correlano il diritto d'accesso, ricomprende
non solo quella di diritto amministrativo,
ma anche quella di diritto privato posta in
essere dai soggetti gestori di pubblici
servizi che, pur non costituendo
direttamente gestione del servizio stesso,
sia collegata a quest'ultima da un nesso di
strumentalità derivante anche, sul versante
soggettivo, dall'intensa conformazione
pubblicistica» (ex multis, Cons.
Stato, Sez. VI,
sentenza 19.01.2010 n. 189; Cons.
stato, Sez. IV,
sentenza 12.03.2010 n. 1470).
Il diritto di accesso, si è detto, subisce
talune limitazioni normativamente previste.
Anzitutto, la stessa legge 241/1990 (art.
24) specificatamente esclude l'accesso: per
i documenti coperti da segreto di stato ai
sensi della legge 24.10.1977, n. 801; nei
procedimenti tributari, per i quali restano
ferme le particolari norme che li regolano;
nei confronti dell'attività della pubblica
amministrazione diretta all'emanazione di
atti normativi, amministrativi generali, di
pianificazione e di programmazione, per i
quali restano ferme le particolari norme che
ne regolano la formazione; nei procedimenti
selettivi, nei confronti dei documenti
amministrativi contenenti informazioni di
carattere psicoattitudinale relativi a
terzi.
Inoltre, il diritto di accesso deve
assolutamente escludersi laddove il suo
esercizio risulti preordinato a un controllo
generalizzato dell'operato
dell'amministrazione.
Accanto alle limitazioni, per così dire, di
ordine generale, il Codice introduce propri
limiti autonomi all'esercizio del diritto in
esame, attraverso la previsione di
particolari limiti oggettivi e soggettivi
all'accessibilità degli atti concernenti le
procedure di affidamento dei contratti
pubblici, e mediante l'introduzione di veri
e propri doveri di non divulgare il
contenuto di determinati atti, assistiti da
apposite sanzioni di carattere penale.
Come chiarito dalla giurisprudenza, «tale
disciplina, essendo destinata a regolare in
modo completo tutti gli aspetti relativi
alla conoscibilità degli atti e dei
documenti rilevanti nelle diverse fasi di
formazione ed esecuzione dei contratti
pubblici, costituisce una sorta di
microsistema normativo collegato all'idea
della peculiarità del settore considerato,
pur all'interno delle coordinate generali
dell'accesso tracciate dalla legge n. 241
del 1990» (Cons. stato, Sez. V,
sentenza 09.12.2008, n. 6121).
Specificatamente l'art. 13 oltre a
individuare fattispecie di differimento
dell'accesso (comma 2), prevede in modo
puntuale una serie di esclusioni oggettive
al diritto medesimo (comma 5).
In riferimento all'accesso alle offerte
degli altri concorrenti, particolarmente
delicata appare la previsione di cui al
comma 5, lett. a, relativa, appunto, alle
informazioni fornite dagli offerenti
nell'ambito delle offerte ovvero a
giustificazione delle medesime, sottoposte
al divieto di ostensione laddove
costituiscano, secondo motivata e comprovata
dichiarazione dell'offerente, segreti
tecnici o commerciali, e non ricorrano i
presupposti derogatori di cui al comma 6. Si
è avuto modo in altra occasione di esaminare
il contenuto e la portata delle disposizioni
citate in riferimento alle giustificazioni
prezzi, le cui conclusioni ben trovano
applicazione anche ai casi in esame.
In aggiunta , tuttavia, particolare
attenzione meritano in questa sede le
osservazioni compiute dal giudice
amministrativo, il quale, dopo aver
considerato come «la norma [art. 13, c.
6, dlgs 163/06] sembra ripetere,
specificandoli, i principi dell'art. 24,
legge n. 241 cit., che stabilisce una
complessa operazione di bilanciamento tra
gli interessi contrapposti alla trasparenza
e alla riservatezza», ha evidenziato
come «il linguaggio utilizzato dal codice
dei contratti è però diverso: più puntuale e
restrittivo, definisce esattamente l'ambito
di applicazione della esclusione
dall'accesso».
E in particolare, «in primo luogo, sul
versante della legittimazione soggettiva
attiva, la disposizione riguarda solo il
concorrente che abbia partecipato alla
selezione; la preclusione all'accesso è
invece totale qualora la richiesta sia
formulata da un soggetto terzo, che pure
dimostri di avere un interesse
differenziato, alla stregua della legge
generale sul procedimento [_].
In secondo luogo, sul piano oggettivo,
l'accesso eccezionalmente consentito è
strettamente collegato alla sola esigenza di
una difesa in giudizio; in questa
prospettiva, quindi, la previsione è molto
più restrittiva di quella contenuta
nell'art. 24, legge n. 241 cit., la quale
contempla un ventaglio più ampio di
possibilità consentendo l'accesso ove
necessario per la tutela della posizione
giuridica del richiedente, senza alcuna
restrizione alla sola dimensione
processuale. Per non dilatare in modo
irragionevole la portata della norma, si
deve ritenere che essa imponga di effettuare
un accurato controllo in ordine alla
effettiva utilità della documentazione
richiesta, alla stregua di una sorta di
prova di resistenza» (Cons. stato, n.
6121 cit.; si veda anche Cons. stato, Sez.
VI,
ordinanza 05.02.2010 n. 524; TAR
Milano, Sez. I,
sentenza 29.01.2010 n. 201).
Va precisato, peraltro, che «soltanto i
soggetti utilmente ammessi alla ponderazione
comparativa delle offerte (e non, quindi,
quelli esclusi) si trovano destinatari di
una posizione qualificata e differenziata la
quale, pur nella necessaria osservanza delle
modalità temporali che assistono la
conoscibilità degli atti (differimento ex
art. 13 dlgs 163/2006), consente ai medesimi
l'esercizio del diritto di accesso
relativamente alle proposte presentate dagli
altri concorrenti, laddove il pregiudizio
dai primi lamentati (e, conseguentemente, le
esigenze di tutela che essi intendano far
valere) trovi fondamento proprio nello
svolgimento dell'attività di selezione e
valutazione delle offerte» (TAR Roma,
Sez. I, 09.07.2008 n. 6488).
Fatte tali premesse in ordine all'estensione
oggettiva e soggettiva del diritto di
accesso, in relazione al suo eventuale
differimento opposto dalla stazione
appaltante richiesta, si precisa che questo
può avvenire solo nei confronti delle
offerte (tecniche e economiche) presentate
dagli altri concorrenti, e non già anche in
riferimento ai documenti e ai verbali di
gara. Sul punto, è infatti chiara la
giurisprudenza nel ritenere che «il
diritto di accesso può essere differito fino
alla aggiudicazione solo in relazione alle
offerte presentate dalle società
partecipanti e non poteva viceversa essere
opposto alla richiesta di documenti che
aveva a oggetto i documenti attestanti i
requisiti di ammissione alla gara, i verbali
di gara e i provvedimenti di riammissione
alla procedura delle società che in un primo
tempo erano state escluse» (TAR Bari,
Sez. I,
sentenza 18.11.2008 n. 2612).
Quanto alle modalità dell'esercizio del
diritto di accesso nei confronti degli atti
e documenti di gara (ivi comprese le offerte
dei concorrenti), va precisato sin d'ora che
queste si estrinsecano tanto nella visione
della documentazione richiesta, quanto
nell'estrazione di copia della stessa.
Non sussiste, cioè, una compressione del
diritto in virtù dell'oggetto della
richiesta d'accesso, dovendo la p.a., salvo
i divieti e le limitazioni sopra analizzate,
in via generale consentire al concorrente
non solo la visione dei documenti richiesti,
ma anche l'estrazione di loro copia.
Ciò in quanto, «né l'art. 13, co. 6, dlgs
n. 163/2006, né l'art. 24, nella
formulazione risultante a seguito della
legge n. 15/2005, prevedono che l'accesso
cosiddetto difensivo, come tale prevalente
sulle antagoniste ragioni di riservatezza o
di segretezza tecnica o commerciale, possa e
debba essere esercitato nella forma della
sola visione, senza estrazione di copia».
Quanto alla disciplina generale, in
particolare, l'intervenuta normativa di cui
alla legge n. 15 del 2005, modificativa in
parte qua della legge n. 241 del 1990,
comporta che debba ricomprendersi nel
diritto di accesso sia la visione che il
rilascio di copia del documento, attesa
l'abrogazione della disposizione dettata
dall'art. 24, comma 2, lett. d), nella
formulazione originaria della legge n.
241/1990, che prevedeva, invece, a tutela
della riservatezza dei terzi, persone e
imprese, la possibilità di escludere il
diritto d'accesso “garantendo peraltro
agli interessati la visione degli atti
relativi ai procedimenti amministrativi, la
cui conoscenza sia necessaria per curare o
per difendere i loro interessi giuridici”:
abrogazione che fa ritenere superata ogni
possibilità di distinguere tra le due
indicate modalità di accesso» (Cons.
Stato, Sez. VI,
sentenza 19.10.2009 n. 6393; si
veda anche TAR Torino, Sez. I,
sentenza 08.05.2008 n. 1015; TAR
Bari, Sez. I,
sentenza 14.09.2006 n. 3220).
Conclusioni.
Dall'analisi che precede si è visto come il
diritto d'accesso sconti alcune limitazioni
sia soggettive che oggettive. Sotto il primo
profilo, possono esercitare legittimamente
nei confronti dei documenti di gara (e
specificatamente, offerte e verbali) il
diritto in esame solo i soggetti che hanno
partecipato alla procedura di gara medesima,
e non ne siano stati esclusi.
Sotto il secondo profilo, il diritto in
questione deve ritenersi recessivo laddove
sussistano comprovate esigenze di segretezza
e tutela di segreti industriali, tale
limitazione potendo tuttavia subire una
deroga nei casi in cui l'esercizio
dell'accesso sia propedeutico alla tutela
giurisdizionale dei diritti del richiedente.
In tal caso, l'amministrazione deve
consentire l'accesso, adottando «accorgimenti
utili a evitare la divulgazione di eventuali
segreti tecnici o commerciali, inibendo la
estrazione di copia [solo] di quelle parti
dei documenti da cui potrebbero trarsi
informazioni sui dati da mantenere segreti,
se e nella misura in cui la loro
acquisizione non risulti in ogni caso utile
al ricorrente per la difesa dei propri
interessi» (Cons. stato, Ord. n. 524
cit.).
Quanto alle concrete modalità di esercizio
dell'accesso, questo può essere differito,
nei casi e nei tempi previsti dalla legge,
in riferimento alle sole offerte dei
concorrenti, dovendosi invece ritenere, nel
silenzio della norma, i verbali e gli atti
di gara relativi alle condizioni di
ammissibilità immediatamente ostensibili; e
in ogni caso l'accesso deve intendersi «pieno»,
e cioè sia nella forma della presa visione,
che dell'estrazione di copia
(articolo ItaliaOggi
del 28.04.2010, pag. 38). |
APPALTI: Appalti
pubblici, mini-restyling. Entra in vigore da
oggi il decreto legislativo 53/2010 che
modifica il Codice dei contratti. Ricorsi in
tempi ridotti. Arbitrati, tetto a 100 mila
euro.
Ridotto a 30 giorni il termine per
presentare ricorso nelle gare di appalto
contro l'aggiudicazione definitiva e contro
i bandi immediatamente lesivi; divieto di
stipula del contratto fino a 35 giorni dopo
la comunicazione dell'aggiudicazione
definitiva; tetto massimo di 100 mila euro
per gli arbitrati.
Sono queste solo alcune delle novità
contenute nel decreto legislativo n. 53 del
20.03.2010, di attuazione della direttiva
2007/66/Ce, che modifica le direttive
89/665/Cee e 92/13/Cee sulle procedure di
ricorso in materia d'aggiudicazione degli
appalti pubblici, pubblicato sulla gazzetta
ufficiale n. 84 del 12.04.2010 e in vigore
da oggi.
Fra le principali novità del decreto, che
contiene diverse modifiche al Codice dei
contratti pubblici (dlgs 163/2006) si
segnala innanzitutto l'ampliamento del
periodo di tempo intercorrente tra la
comunicazione dell'aggiudicazione definitiva
(da parte della stazione appaltante) e la
stipulazione del contratto di appalto.
La disposizione avrà l'effetto di allungare,
sia pure di poco, il tempo per la stipula
del contratto: si passerà dai 30 giorni,
stabiliti nell'attuale codice dei contratti
pubblici all'articolo 11, comma 10, ai 35
giorni. In questo lasso di tempo i
partecipanti non aggiudicatari potranno
quindi esercitare un più ampio diritto di
accesso ai documenti, anche finalizzato alla
proposizione di ricorsi (in questi 35 giorni
sarà vietata anche l'esecuzione di urgenza
di cui all'articolo 11, comma 9 del Codice)
...
(articolo
ItaliaOggi del 27.04.2010, pag. 21
- link a www.corteconti.it). |
CORTE DEI
CONTI |
ENTI LOCALI: Se
delibera di aumento dell'addizionale
comunale all'Irpef, pur essendo stata
approvata nel 2008, è stata pubblicata sul
sito internet del ministero dell'economia
nel mese di marzo 2009, l'aumento
dell'aliquota non può che decorrere dal 1°
gennaio del 2009.
Lo ha chiarito la Sezione autonomie della
Corte dei Conti, con la
deliberazione 29.04.2010 n. 12.
Delibere tardive.
La pubblicazione tardiva sul sito internet
del mineconomia di una delibera di aumento
addizionale Irpef (adottata nel marzo del
2008), va inquadrata nella categoria delle «partecipazioni»
previste per gli atti che devono essere
portati a conoscenza dei destinatari (nel
caso in esame i contribuenti) per produrre i
loro effetti, in quanto ne limitano la sfera
giuridica o fanno nascere a loro carico
obblighi.
In tali casi non si verifica la
retroattività, per cui la produzione degli
effetti del provvedimento avviene solo dal
momento in cui si concretizza il requisito
della pubblicazione (obbligatoria). Secondo
la Corte, questa ipotesi è in armonia con il
principio di irretroattività sancito dallo
statuto dei diritti del contribuente, in
virtù del quale «relativamente ai tributi
periodici le modifiche introdotte si
applicano solo a partire dal periodo di
imposta successivo a quello in corso alla
data di entrata in vigore delle disposizioni
che le prevedono».
Pertanto, a fronte di una pubblicazione nel
sito del Mef avvenuta nel mese di marzo
2009, l'aumento dell'aliquota Irpef non può
che decorrere da quest'ultima data e, più
precisamente, sin dal 1° gennaio dell'anno
di inserimento nel sito ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 29
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: L'ente
locale non può accollarsi l'onere economico
di assicurare le abitazioni dei propri
residenti in caso di furto, scasso e rapina.
Lo ha chiarito la Sezione autonomie della
Corte dei Conti, con la
deliberazione 29.04.2010 n. 11.
Il comune non assicura le
case.
Anche se non espressamente vietato dalla
legge, non si possono assicurare le
abitazioni dei cittadini residenti nel
territorio con un onere che sia a carico del
bilancio del comune.
Per la Corte, la scelta non può condividersi
soprattutto in considerazione di parametri
quali l'effettiva corrispondenza al
principio della solidarietà sociale, che
verrebbe meno, per esempio, nel caso di
sproporzione tra danno subito e risarcimento
accordato come anche nel caso di
sproporzione tra il danno subito e la sua
incidenza sull'assetto patrimoniale
complessivo del danneggiato
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 29
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Enti
locali, concorsi interni addio. Raffica di
chiarimenti della sezione autonomie. Non
retroattive le delibere (in ritardo)
sull'addizionale. Progressioni verticali per
non più del 50% dei posti.
Da quest'anno, gli enti
locali non possono più bandire concorsi
interamente riservati al personale interno
ma, per espressa previsione dell'articolo 62
della riforma Brunetta del pubblico impiego,
potranno riservare a questi una quota che
non superi il 50% dei posti messi a
concorso. Ciò in quanto l'articolo 91 del
Tuel, nella parte in cui prevede concorsi
interamente riservati al personale
dipendente, deve ritenersi abrogato per
incompatibilità con il citato dlgs n.
150/2009.
Lo ha chiarito la Sezione autonomie della
Corte dei Conti, con la
deliberazione 29.04.2010 n. 10.
Concorsi interni addio.
L'articolo 62 della riforma Brunetta dispone
che, dall'1/1/2010, negli enti locali, le
progressioni di carriera si svolgano con le
regole del concorso pubblico. Altresì, è
ammesso che al personale già in servizio, in
possesso del titolo di studio previsto per
l'accesso dall'esterno, si possa riservare
una quota non superiore al 50% del totale
dei posti.
Tuttavia, un ente locale ha sollevato il
problema in merito a una presunta
«antinomia» tra quanto appena evidenziato e
il contenuto dell'articolo 31 della stessa
norma, ove si prevede che l'ente deve
adeguare i propri regolamenti entro il
31/12/2010, precisando che, nelle more, agli
enti locali si applicano le disposizioni
vigenti. L'ipotesi, pertanto, è quella di
intendere tale disposizione nel senso di una
proroga, legittimando l'ente alla
continuazione di procedure difformi dai
principi fissati dal dlgs n. 150/2009 ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 29
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Il
fondo per la produttività nei questionari
dei revisori. Sempre più attenzione da parte
della corte conti sulla contrattazione
integrativa.
Le linee guida e i relativi questionari, che
gli organi di revisione contabile degli enti
locali debbono trasmettere alla Corte dei
conti relativamente al bilancio di
previsione 2010, contengono una nuova
sezione riferita alla costituzione e
ripartizione del fondo per il miglioramento
della produttività dei dipendenti.
Si tratta, come si vedrà nel prosieguo,
della sezione 8 del questionario allegato
alla
deliberazione 16.04.2010 n. 9/aut/2010
della Sezione autonomie della stessa Corte
dei Conti.
L'argomento della contrattazione integrativa
degli enti locali ha registrato, negli
ultimi anni, un'attenzione crescente da
parte del legislatore e della stessa Corte
dei conti.
La legge finanziaria per il 2006 ha disposto
la trasmissione, da parte del collegio dei
revisori dei conti degli enti locali, di una
relazione sul bilancio di previsione (e una
sul rendiconto). Tale adempimento deriva
dall'abolizione dei controlli preventivi di
legittimità sugli atti degli enti e
dall'introduzione del cosiddetto controllo
collaborativo della sezione regionale di
controllo della Corte, alla quale i revisori
debbono inviare la relazione. Tale controllo
collaborativo si fonda su cinque capisaldi:
sana e corretta gestione, verifica
dell'indebitamento, mantenimento degli
equilibri di gestione, monitoraggio sul
patto di stabilità e infine risultati delle
società partecipate ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 30
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO: Più
soldi a chi rispetta il Patto.
Gli enti locali possono prevedere risorse
aggiuntive alla contrattazione decentrata
solo a condizione di aver rispettato il
patto di stabilità sia negli anni
precedenti, sia nell'anno in corso.
Lo chiarisce la Corte dei conti, Sez.
regionale di controllo del Veneto, con il
parere 26.03.2010 n. 38/2010, in
risposta ad un quesito posto da un comune in
merito alle modalità di attuazione
dell'articolo 40, comma 3-quinquies, del
dlgs 165/2001, come recentemente modificato
dal dlgs 150/2009.
Detta disposizione stabilisce che «gli
enti locali possono destinare risorse
aggiuntive alla contrattazione integrativa
nei limiti stabiliti dalla comunicazione
nazionale e nei limiti dei parametri di
virtuosità fissati per la spesa di personale
dalle vigenti disposizioni ... in ogni caso
nel rispetto dei vincoli di bilancio e del
patto di stabilità e di analoghi strumenti
del contenimento della spesa» ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: CORTE
CONTI/ La sezione di Trento stigmatizza una
prassi diffusa tra gli enti. Organizzazione
ai dirigenti. Illegittimo l'affidamento di
consulenze esterne.
L'organizzazione delle
amministrazioni è una competenza che spetta
in via prioritaria ai dirigenti. Affidamenti
di incarichi di consulenza a questo scopo,
dunque, si rivelano una inutile duplicazione
dei costi, specie se fondati sull'erroneo
presupposto che l'incombenza non sia
appannaggio dei dirigenti.
Sono queste le conclusioni tratte dalla
sentenza 22.03.2010 n. 8 della
Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale di
Trento, che ha condannato il dirigente di un
servizio convenzionato di polizia
municipale, per aver assegnato una
consulenza, finalizzata alla modifica
dell'assetto organizzativo del corpo.
I giudici contabili stigmatizzano in maniera
tranciante un vero e proprio vezzo delle
amministrazioni, consistente nel compiere
continuamente modifiche organizzative,
talora anche di poco conto, facendole
comunque passare come strategiche e, di
conseguenza, avvalersi di incaricati esterni
esperti in materia aziendalistica. Come se
l'attività organizzativa non fosse una
specifica funzione degli organi
amministrativi, in collaborazione e secondo
le direttive degli organi politici.
Particolarmente dura è la sentenza
nell'evidenziare che la riorganizzazione, se
attivata allo scopo di applicare alle
amministrazioni le tecniche della scienza
aziendale, si rivela potenzialmente poco
utile ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTAZIONE: Incarichi
di progettazione ai raggi X. Devono essere
valutati dai revisori e trasmessi ai giudici
contabili
Soggetti alla valutazione del collegio dei
revisori dei conti e all'invio alla sezione
regionale della Corte dei conti anche gli
incarichi di progettazione e quelli
conferiti alle persone giuridiche.
Lo ha stabilito la Corte dei Conti, Sez.
regionale di controllo del Piemonte, col
parere 18.03.2010 n. 23/2010, che
contiene argomentazioni, tuttavia,
difficilmente condivisibili.
Secondo i magistrati contabili, le
disposizioni dell'articolo 1, comma 42,
della legge 311/2004 sono ancora vigenti.
Tuttavia, esse non fondano più l'obbligo da
parte delle amministrazioni locali di
chiedere ai revisori dei conti una
valutazione preventiva sul rispetto del
presupposto dell'assenza di professionalità
interne, allo scopo di assicurare la
legittimità degli incarichi di
collaborazione esterna ...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32
- link a www.corteconti.it). |
GIURISPRUDENZA |
ESPROPRIAZIONE:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Potere espropriativo ex art. 95, cc. 1 e 2,
d.lgs. n. 42/2004 - Presupposti differenti
rispetto al potere espropriativo ex artt. 96
e 97 - Delega del potere agli enti locali.
L’attribuzione del potere espropriativo di
cui all’art. 95, cc. 1 e 2 del d.lgs. n.
42/2004 (nel caso di beni culturali mobili e
immobili, nei confronti dei quali
l’espropriazione risponda ad un importante
interesse a migliorare le condizioni di
tutela ai fini della fruizione pubblica) è
caratterizzata da presupposti evidentemente
differenti rispetto alle successive
previsioni degli artt. 96; in particolare,
una differenza sostanziale è indubbiamente
costituita dalla possibilità di delegare il
potere espropriativo agli enti locali o ad
altri enti pubblici che è prevista dall’art.
95 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ma non dalle successive
previsioni degli artt. 96 e 97 (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 28.04.2010 n. 1037 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Sull'illegittimità di un
provvedimento di aggiudicazione nell'ipotesi
di presentazione di un DURC relativo
soltanto ad uno o più determinati ambiti
territoriali.
E' illegittimo il provvedimento di
aggiudicazione di un appalto adottato da
un'amministrazione nei confronti di un
concorrente che, ai fini dell'ammissione
alla gara, abbia prodotto un DURC relativo
ad un ambito territoriale determinato e non,
invece, all'intero territorio nazionale.
Il documento unico di regolarità
contributiva (DURC), introdotto dall'art. 2
del d.l. n. 210/2002, viene emesso dalla
Cassa edile competente a condizione che la
verifica della regolarità contributiva abbia
dato esito positivo e che la Cassa stessa
abbia verificato, "a livello nazionale",
che l'impresa non rientri nel novero di
quelle segnalate come irregolari; inoltre,
ai fini dell'art. 19, c. 12-bis, L. n.
109/1994, non sono valide le attestazioni
rilasciate dalle Casse edili se riferite a
uno o più cantieri, in quanto esse hanno
l'obbligo di attestare la regolarità
contributiva senza limitazione a singoli
appalti.
Il DURC utile ai fini dell'ammissione alle
gare d'appalto, pertanto, deve poter
rilevare la situazione globale dell'impresa,
a prescindere dalla sua ubicazione
territoriale (C.G.A.R.S., Sez.
giurisdizionale,
sentenza 28.04.2010 n. 635 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sito degradato - Imposizione del
vincolo paesaggistico-ambientale -
Preclusione - Inconfigurabilità -
Prevenzione dell’aggravamento del degrado e
perseguimento del possibile recupero.
La qualificazione di rilevanza
paesaggistico-ambientale di un sito non è
determinata dal suo grado d'inquinamento
-che, allora, in tutti i casi di degrado
ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore
protezione del paesaggio riconosciuto
meritevole di tutela-, l'imposizione del
relativo vincolo servendo piuttosto a
prevenire l'aggravamento della situazione e
di perseguirne il possibile recupero
(Consiglio di Stato, sez. V, 27.03.2000, n.
1761, Consiglio di Stato, sez. VI,
02.11.2007, n. 5662).
Vincolo paesaggistico -
Compromissione del’ambiente ad opera di
preesistenti realizzazioni - Nuove
costruzioni in contrasto con il vincolo -
Adozione di provvedimenti sanzionatori.
Ogni eventuale situazione di compromissione
dell'ambiente ad opera di preesistenti
realizzazioni, non esime l'amministrazione
dall'assumere provvedimenti sanzionatori nei
riguardi delle nuove costruzioni eseguite in
contrasto con il vincolo paesaggistico ed
anzi maggiormente richiede, per la
legittimità dell'azione amministrativa, che
ulteriori interventi non deturpino
ulteriormente l'ambiente protetto.
(Consiglio di Stato, sez. IV, 30.06.2005, n.
3547).
Nulla osta paesaggistico
- Verifica di correttezza del provvedimento
regionale di conformità - Necessità di
effettivo sopralluogo - Esclusione.
In tema di rilascio di nullaosta
paesaggistico, l'attività di verifica della
correttezza del provvedimento regionale di
conformità, di cui all'art. 7, l. 29.06.1939
n. 1497, effettuata sia dalla soprintendenza
sia dall'autorità centrale -previa
acquisizione di tutti gli atti necessari a
consentire il pieno ed esaustivo
apprezzamento dell'incidenza dell'intervento
edilizio sull'assetto paesistico
territoriale della zona e circostante- non
implica, necessariamente, il compimento di
effettivo sopralluogo ma può limitarsi alla
valutazione documentale della condotta
procedimentale tenuta dall'ente (TAR
Calabria Catanzaro, 09.11.1999, n. 1335)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.04.2010 n. 2377 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di impianti
radioelettrici - Titoli abilitativi - Ente
competente al rilascio - Art. 87 d.lgs. n.
259/2003 - Ente Locale - Interpretazione ex
art. 118 Cost. - Comune.
L'individuazione del Comune quale ente
abilitato al rilascio dei titoli
autorizzatori necessari per la realizzazione
degli impianti radioelettrici discende, dal
d.lgs. n. 259/2003, letto alla luce
dell'art. 118 Cost..
L'art. 87, commi 2 e 9, del d.lgs. n.
259/2003, pur indicando in modo generico
l'ente locale competente al ricevimento
delle istanze ed al rilascio dei titoli
abilitativi (utilizzando la testuale
espressione "l'ente locale"), deve
infatti essere interpretato nel senso che
attribuisca al Comune tale competenza
(Consiglio Stato , sez. VI, 28.06.2007, n.
3792).
Stazione radio base -
Autorizzazione - Formazione del silenzio
assenso - Decorrenza - Individuazione -
Parere favorevole dell’ARPA - Necessità ai
soli fini dell’attivazione.
In tema di autorizzazione per la costruzione
di una stazione radio-base, il termine per
la formazione del silenzio-assenso di cui
all'art. 87, IX comma del DLgs n. 259/2003
decorre dalla presentazione della domanda
corredata dal progetto, e non dalla
ricezione, da parte del Comune, del parere
dell'Arpa, in quanto ai sensi dell'art. 87,
IV comma del citato DLgs n. 259 il deposito
del parere preventivo favorevole dell'Arpa
non è prescritto per la formazione del
titolo edilizio ovvero per l'inizio dei
lavori, ma solo per l'attivazione
dell'impianto (Tar Veneto n. 1283/2007 TAR
Lecce, II, 24.08.2006 n. 4279; TAR Catania,
II, 23.09.2005 n. 1478).
Impianti radioelettrici
- Insediamento - Competenza regolamentare
comunale - Art. 8 L. n. 36/2001 - Differenza
tra “criteri localizzativi” e “limiti alla
localizzazione”.
In tema di competenza regolamentare per il
corretto insediamento degli impianti
radioelettrici, attribuita ai Comuni con
l’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del
2001, la giurisprudenza ha precisato la
differenza fra ‘criteri localizzativi” e “limiti
alla localizzazione” ritenendosi
consentiti i primi, in quanto recanti
criteri specifici rispetto a localizzazioni
puntuali, e non i secondi, in quanto recanti
divieti generalizzati per intere aree (ex
multis: Cons. Stato, Sez. VI:
05.06.2006, n. 3452; 19.05.2008, n.2287;
17.07.2008, n. 3596).
Impianti radioelettrici
- Realizzazione - Autorizzazione ex art. 87
Cod. telecomunicazioni - Permesso di
costruire ex d.p.r. n. 380/2001 - Necessità
- Esclusione.
La realizzazione degli impianti
radioelettrici è subordinata soltanto
all’autorizzazione prevista dall’art. 87 del
Codice delle telecomunicazioni, che pone una
normativa speciale esaustiva dell’esame di
diversi profili implicati, incluso quello
della compatibilità edilizio-urbanistica
dell’intervento, non occorrendo perciò il
permesso di costruire di cui agli articoli 3
e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 (ex
multis: Cons. Stato, Sez. VI:
17.10.2008, 5044; 05.08.2005, n. 4159).
Installazione di
impianti di telecomunicazione - Regolamento
comunale - Suddivisione del territorio
comunale in tre tipologie, di cui solo una
idonea ad ospitare impianti - Illegittimità
- Fondamento.
Il regolamento comunale che delinei la
suddivisione del territorio comunale in tre
tipologie di aree (maggiormente idonee, di
attenzione e sensibili) si pone in contrasto
con il d.lgs. n. 259 del 2003, non
consentendo tale decreto alle
amministrazioni comunali di estendere la
propria competenza sino a selezionare le
aree del territorio, individuandone solo
alcune come idonee ad ospitare gli impianti.
L'installazione di impianti di
telecomunicazione, infatti, deve ritenersi
in generale consentita sull'intero
territorio comunale in modo da poter
realizzare, con riferimento a quelli di
interesse generale, un'uniforme copertura di
tutta l'area comunale interessata.(Consiglio
Stato, sez. VI, 28.03.2007, n. 1431).
Localizzazione degli
impianti di telecomunicazione - Regolamento
comunale - Obbligo di rispettare determinate
distanze dai confini - Illegittimità.
Come non può essere imposto, mediante
regolamento comunale edilizio l'osservanza
di determinate distanze dagli edifici
esistenti, ugualmente, ed anzi a maggior
ragione, non si può pretendere di
localizzare gli impianti ad una determinata
distanza dal confine di proprietà,
trattandosi di previsione che appare priva
di giustificazione alcuna e rappresenta solo
un indebito impedimento nella realizzazione
di una rete completa di telecomunicazioni
(Consiglio Stato , sez. VI, 25.06.2007, n.
3536).
Insediamento urbanistico
e territoriale degli impianti - Potere
regolamentare comunale - Art. 8, c. 6 L. n.
36/2001 - Fissazione di limiti di
esposizione diversi da quelli stabiliti
dallo Stato - Illegittimità - Introduzione
di misure funzionali alla tutela della
salute - Competenze comunali - Estraneità.
Ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge
22.02.2001 n. 36, i comuni possono adottare
un regolamento atto ad assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione comunale ai
campi elettromagnetici.
Tuttavia, il potere regolamentare comunale
non può implicare la fissazione di limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici
diversi da quelli stabiliti dallo Stato, non
rientrando tale potere nell'ambito delle
competenze comunali.
Non può, pertanto, il comune, attraverso il
formale utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure
derogatorie ai predetti limiti di
esposizione fissati dallo Stato, quali, ad
esempio, il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radiobase per
telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale; ovvero, introdurre misure che
pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc.) non siano
funzionali al governo del territorio, quanto
piuttosto alla tutela della salute dai
rischi dell'elettromagnetismo (Consiglio
Stato , sez. VI, 03.10.2007, n. 5098;
Consiglio Stato, sez. VI, 05.06.2006, n.
3332) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.04.2010 n. 2371 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Disco rosso alle gare con
il filtro provinciale.
È illegittimo, dal punto di vista del
diritto comunitario e nazionale, limitare
l'accesso ad una gara soltanto ai soggetti
che abbiano già operato nella stessa
provincia in cui viene svolta la gara.
Lo afferma il TAR Puglia-Bari, Sez. I, con
la
sentenza 27.04.2010 n. 1496,
rispetto ad una procedura aperta per
l'affidamento triennale dei servizi di
accertamento delle entrate tributarie (Ici e
Tarsu).
In particolare, nel disciplinare di gara,
era previsto che la comprova dell'esperienza
del candidato nello svolgimento di servizi
di accertamento congiunto di Ici e Tarsu,
dovesse avvenire attraverso la «presentazione
di almeno tre referenze di Comuni, di cui
almeno uno nella Provincia di Bari».
L'illegittimità della prescrizione viene
dichiarata dai giudici in primo luogo con
riguardo ai principi di parità di
trattamento e non discriminazione che il
Codice dei contratti enuncia all'articolo 2
come vincolanti per l'operato delle stazioni
appaltanti.
Ma la violazione viene evidenziata anche con
riguardo ai principi rinvenibili nel
Trattato europeo, in particolare rispetto a
quello della libera prestazione dei servizi
e la libera circolazione dei lavoratori che
non possono essere in alcun modo limitato,
dicono i giudici, attraverso l'obbligo per
le imprese di avere la loro sede di attività
in un determinato luogo, ovvero imponendo
una determinata residenza a persone e ad
imprese.
Nel diritto comunitario le limitazioni e le
deroghe a questi principi possono essere
eccezionalmente previste soltanto se
giustificate da motivi di interesse pubblico
superiore, e comunque devono risultare
proporzionate rispetto al fine da
perseguire.
Richiedendo quindi lo svolgimento del
servizio di riscossione presso un Comune
della Provincia, la stazione appaltante ha
introdotto una clausola illogica e
illegittima, «in quanto viene precluso
l'ingresso nel mercato di nuovi soggetti, a
scapito e detrimento della libera
concorrenza, che come si è detto costituisce
un principio cardine dell'ordinamento
nazionale e comunitario».
La sentenza evidenzia anche che
l'accertamento dell'esperienza del
concorrente non può essere perseguito in
danno del più generale principio tutelato
dall'articolo 85 del Trattato (divieto di
«impedire, restringere o falsare il gioco
della concorrenza all'interno del mercato
comune).
Nel determinare un vantaggio del tutto
condizionante l'esito della gara, la
stazione appaltante ha quindi introdotto un
elemento in se incompatibile non soltanto
con le norme comunitarie, ma anche con i
principi costituzionali di parità di
trattamento e di libertà dell'iniziativa
economica (articoli 3 e 41 della
costituzione).
La sentenza, pur non contestando il diritto
per l'amministrazione di introdurre negli
atti di gara requisiti anche ulteriori
rispetto a quelli previsti dalla legge
(codice dei contratti o dpr 554/99), precisa
però che la giurisprudenza ha ormai chiarito
che tali requisiti devono comunque essere
sempre «logici, adeguati, congrui e non
suscettibili di precostituire situazioni di
assoluto privilegio in favore di pochi
soggetti o di determinare una preclusione
insormontabile all'accesso al mercato di
imprese in possesso di indici di
affidabilità operativa». E proprio ciò
sarebbe avvenuto, con la costituzione di una
posizione dominante sul mercato a vantaggio
dei pochi soggetti già presenti sul
territorio.
Va ricordato al riguardo che su questo tema
già diversi anni fa l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici
(determinazione n. 3/2000) aveva censurato
un bando in cui si chiedeva condizionava
l'ammissione ad una gara la prova
dell'iscrizione all'albo della provincia in
cui aveva sede il comune che aveva bandito
la gara. Evidentemente dagli errori non si
impara (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010,
pag. 20). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di infrastrutture
di comunicazione elettronica - Istanza -
Pubblicità - Art. 87, c. 4 d.lgs. n.
259/2003 - Partecipazione al procedimento
dei soggetti interessati - Assenza di
specifiche prescrizioni sulle specifiche
forme pubblicitarie da adottare - Forma più
idonea nel caso concreto.
In tema di installazione di infrastrutture
di comunicazioni elettronica, il precetto
contenuto nell’art. 87, c. 4 del d.lgs. n.
259/2003 (“lo sportello locale competente
provvede a pubblicizzare l’istanza, pur
senza diffondere i dati caratteristici
dell’impianto”) va osservato
dall’Amministrazione al fine di mettere in
condizione i soggetti interessati di
partecipare al procedimento volto al
rilascio del titolo abilitativo; in assenza
di specifiche prescrizioni in ordine alle
modalità delle forme pubblicitarie da
adottare, l’Amministrazione è comunque
tenuta a prediligere quella che si riveli
più idonea, nel caso concreto, a rendere
nota la pendenza del procedimento ai
cittadini che ne vogliano prendere parte
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18.04.2005, n.
1773; TAR Puglia-Lecce, Sez. II, n.
3758/2008).
Installazione di
infrastrutture di comunicazione elettronica
- Normativa statale e regionale (Puglia) -
Promozione della coubicazione.
La normativa statale e regionale
disciplinante la materia delle installazioni
delle infrastrutture di comunicazioni
elettronica (artt. 49, comma 1, lett. f, 86,
comma 2 e 89, commi 1 e 2, del d.lgs. n.
259/2003, L.r. Puglia n. 5/2002 e
Regolamento regionale n. 14/2006), sulla
scia del legislatore comunitario, promuove
la coubicazione degli impianti di telefonia
anche per ridurre l’impatto ambientale
prodotto dalle strutture di sostegno.
Impianti di
comunicazione elettronica - Acquisizione del
parere ARPA - Condizione per il
perfezionamento del titolo edilizio -
Esclusione - Necessità al solo fine
dell’attivazione.
L’acquisizione del parere tecnico preventivo
dell’ARPA è necessaria solo al fine di
procedere all’attivazione dell’impianto di
comunicazioni elettronica, non anche per il
perfezionamento del titolo edilizio.
Ciò, peraltro, oltre ad essere stato
confermato da diverse pronunce, è stato
prima ancora chiarito in sede normativa
(cfr. punto A1 del Regolamento regionale
della Puglia n. 14/2006) (TAR Puglia-Lecce,
Sez. II,
sentenza 27.04.2010 n. 1024 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione paesaggistiche in
sanatoria - Illegittimità - Art. 146, c. 12,
d.lgs. n. 42/2004 - Eccezioni - Ipotesi
tassative ex art. 167 - Procedura.
L'art. 146 comma 12 -nella versione
modificata dall'entrata in vigore del d.lgs.
n. 157 del 2006- prevede che non possano più
essere rilasciate autorizzazione
paesaggistiche "in sanatoria", ossia
successive alla realizzazione, anche
parziale, degli interventi, salvo le ipotesi
tassative volte a sanare "ex post"
gli interventi abusivi di cui all'art. 167.
In tali casi deve essere instaurata
un'apposita procedura ad istanza della parte
interessata che contempla l'accertamento
della compatibilità paesaggistica, demandato
all'amministrazione preposta alla gestione
del vincolo, previa acquisizione del parere
-non solo obbligatorio, ma vincolante- della
Soprintendenza (cfr., TAR Lombardia Brescia,
sez. I, 27.03.2009, n. 709).
Abusi edilizi in aree
vincolate - Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 -
Sanzione - Rinvio all’art. 44 del d.P.R. n.
380/2001 - Interpretazione.
Il rinvio operato dall’art. 181 del d. lgs.
n. 42 del 2004 al solo art. 44 del D.P.R. n.
380 del 2001 si giustifica in relazione alla
circostanza che esso è operato al solo fine
delle determinazione della sanzione penale
non valendo certo ad escludere l’irrogazione
delle altre sanzioni correlate agli abusi
commessi e, in primis, di quella demolitoria
che costituisce la regola nelle ipotesi di
interventi non compatibili con i valori
paesaggistici tutelati (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.04.2010 n. 1550 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Adozione del provvedimento di
demolizione - Natura - Atto dovuto -
Motivazione - Limiti - Interesse pubblico
alla rimozione dell’abuso.
In materia urbanistica, il presupposto per
l'adozione dell'ordine di demolizione di
opere edilizie abusive è soltanto la
constatata esecuzione dell'opera in
difformità dalla concessione o in assenza
della medesima, con la conseguenza che tale
provvedimento, ove ricorrano i predetti
requisiti, è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera, essendo
"in re ipsa" l'interesse pubblico
alla sua rimozione (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.04.2010 n. 1550 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere di recinzione - Valutazione
in ordine alla necessità del permesso di
costruire - Parametri - Recinzione di fondi
rustici senza opere murarie - Manifestazione
del diritto di proprietà - Ius excludendi
alios.
La valutazione in ordine alla necessità
della concessione edilizia (ora: permesso di
costruire), per la realizzazione di opere di
recinzione deve essere effettuata sulla
scorta dei seguenti due parametri: natura e
dimensioni delle opere e loro destinazione e
funzione; in base a tale criterio, dunque,
non è necessario il permesso per costruire
per modeste recinzioni di fondi rustici
senza opere murarie, e cioè per la mera
recinzione con rete metallica sorretta da
paletti di ferro o di legno senza muretto di
sostegno, in quanto entro tali limiti la
recinzione rientra solo tra le
manifestazioni del diritto di proprietà, che
comprende lo ius excludendi alios o
comunque la delimitazione e l'assetto delle
singole proprietà (cfr., ex multis,
TAR Lombardia Milano, sez. IV, 29/12/2009,
n. 6266) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.04.2010 n. 1547 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: NON
SEMPRE IL SILENZIO E' D'ORO!
1. Atto amministrativo -
Silenzio - Inadempimento - Configurazione -
Casi - Ragioni.
2. Giudizio amministrativo - In materia di
silenzio - Fondatezza della pretesa -
Accertamento - Casi e ragioni.
3. Giudizio amministrativo - In materia di
silenzio - Fasi - Nomina del Commissario ad
acta - Disciplina.
1.
L'obbligo di provvedere rispetto ad
un'istanza del privato, sorge in capo alla
P.A. anche in assenza di una disposizione
puntuale e specifica, potendosi essa
desumersi anche da prescrizioni di carattere
generico e dai principi generali regolatori
dell'azione amministrativa.
Sicché, può affermarsi che, a prescindere
dall'esistenza di una specifica disposizione
normativa impositiva dell'obbligo,
quest'ultimo sussiste in tutte quelle
fattispecie particolari nelle quali ragioni
di giustizia e di equità impongano
l'adozione di un provvedimento; tutte quelle
volte in cui, quindi, in relazione al dovere
di correttezza e di buona amministrazione
della parte pubblica, sorga per il privato
una legittima aspettativa a conoscere il
contenuto e le ragioni delle determinazioni,
qualunque esse siano, di quest'ultima (Cfr.,
ex multis, Cons. Stato, sez. VI,
11-05-2007 n. 2318; Cons. Stato, sez. IV,
14-12-2004 n. 7975; Cons. Stato, sez. V,
15-03-1991 n. 250; TAR Puglia Lecce, sez.
III, 23-07-2009 n. 1930; TAR Campania
Salerno, sez. II, 20-07-2009 n. 4133; TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 11-06-2009 n.
3200).
2.
L'oggetto del procedimento giurisdizionale
sul silenzio, nella configurazione
acceleratoria stabilita dall'art. 21-bis, L.
n. 1034/1971 (introdotto dall'art. 2, L. n.
205/2000), è, in via generale, la
verificazione dell'esistenza o meno di un
obbligo di provvedere in capo alla p.A. e
non anche l'esame della fondatezza della
pretesa sostanziale del ricorrente.
L'oggetto della decisione deve essere,
dunque, unicamente l'accertamento
dell'esistenza di un obbligo di provvedere,
potendo il giudice spingersi fino
all'accertamento della pretesa sostanziale
non semplicemente quando l'amministrazione
debba porre in essere un'attività vincolata
ma unicamente nel caso in cui, in presenza
di quest'ultima, la fondatezza della pretesa
appaia ictu oculi e di immediata
evidenza, risultando solo in tale ipotesi,
anche con riferimento alla ratio ed
alle caratteristiche del rito previsto
dall'art. 21-bis, irragionevole e contrario
a principi di economia processuale rimettere
ad un successivo giudizio la definizione di
una controversia allo stato già risolvibile
(Cons. Stato, sez. V, 15-03-1991, n. 250).
3.
Anche se l'art. 21-bis, co. 2, L. n.
1034/1971, prevede due distinte fasi
processuali: una relativa all'ordine
all'Amministrazione di provvedere ed
un'altra, eventuale in caso di
inottemperanza della stessa al predetto
ordine, avente ad oggetto la nomina di un "commissario
ad acta", appare del tutto coerente con
la ratio acceleratoria della L. n.
205/2000 ritenere che, quando il ricorrente
ne faccia esplicita richiesta, in sede di
impugnazione del silenzio, si debba
provvedere, in caso di accoglimento di detto
ricorso, anche alla contestuale nomina del
commissario, al fine di evitare
all'interessato l'inutile aggravio di una
ulteriore autonoma istanza giurisdizionale
(Cons. Stato, sez. V, 16-01-2002 n. 230)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.04.2010 n. 1545 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Convenzioni urbanistiche -
Proprietario attuatore - Previsione a suo
carico della realizzazione di opere
eccedenti il valore del contributo di
urbanizzazione - Legittimità.
Sono legittime le pattuizioni della
convenzione urbanistica che accollino al
proprietario-attuatore la realizzazione di
opere eccedenti il valore del contributo di
urbanizzazione (C.S. V 10.06.1998 n. 807,
Tar Lombardia Brescia 27.07.2005 n. 784)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 22.04.2010 n. 1936 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Le indicazioni grafiche delle
planimetrie allegate al piano regolatore
costituiscono parte integrante di esse.
Nel caso di specie parte grafica e parte
normativa non risultano in contrasto ma in
rapporto di complementarità posto che le
prime integrano le disposizioni della
seconda, senza entrare in necessario
contrasto, potendosi leggere le une alla
luce delle altre.
Per giurisprudenza consolidata, le
indicazioni grafiche delle planimetrie
allegate al piano regolatore ne
costituiscono infatti parte integrante, come
prescrizioni da interpretare ed applicare
alla luce e nei limiti delle prescrizioni
normative contenute nello stesso piano (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 22.04.2010 n. 985 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sanatoria ex art. 36 DPR
380/2001 presuppone la doppia conformità:
alla disciplina vigente al momento della
realizzazione dell'abuso ed a quella al
momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria.
L'istituto dell'accertamento di conformità,
previsto dall’art. 36, DPR 380/2001 è
diretto a sanare le opere solo formalmente
abusive, in quanto eseguite senza titolo
abilitativo, ma comunque conformi alla
disciplina urbanistica applicabile per
l'area su cui sorgono individuata in base ad
un duplice parametro temporale.
In virtù di tale parametro quanto edificato
deve risultare conforme alla disciplina
vigente al momento della loro realizzazione
e a quella al momento della presentazione
dell'istanza di sanatoria: c.d. principio
della doppia conformità (TAR Puglia-Lecce,
Sez. III,
sentenza 22.04.2010 n. 985 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sui presupposti che devono
sussistere per disporre la revoca degli atti
amministrativi.
Sulla possibilità di
ottenere il risarcimento dei danni derivanti
da una revoca legittima di un provvedimento
amministrativo.
Ai sensi dell'art. 21-quinques della l. n.
241/1990, sussistono tre presupposti
alternativi a fondamento del potere di
adozione di un provvedimento di revoca:
a) sopravvenuti motivi di pubblico
interesse;
b) mutamento della situazione di fatto;
c) nuova valutazione dell'interesse pubblico
originario.
La revoca di provvedimenti amministrativi è,
quindi, possibile non solo in base a
sopravvenienze, ma anche per una nuova
valutazione dell'interesse pubblico
originario (c.d. jus poenitendi), in
cui l'amministrazione nell'esercizio di tale
diritto gode di ampia discrezionalità.
Anche nell'ipotesi di revoca legittima, è
possibile che al privato derivino danni
risarcibili, e non meramente indennizzabili,
ciò, tuttavia, solo allorquando il
pregiudizio subito da concorrente sia
diretta conseguenza non già dell'atto di
revoca, bensì di altre illegittimità
commesse dall'amministrazione (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 21.04.2010 n. 2244 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sulla legittimità di un
provvedimento adottato dalla CCIAA recante
diniego alla domanda di accesso ad un lodo
arbitrale conclusivo depositato dalla stessa
amministrazione.
Secondo una consolidata giurisprudenza, non
tutti i documenti materialmente custoditi
presso una P.A. hanno natura amministrativa
e, pertanto, soggetti alla disciplina in
materia di diritto di accesso ex art. 22
della L. n. 241/1990, ma soltanto quelli
formati o, comunque, detenuti dalla P.A.
nell'esercizio dei suoi compiti
istituzionali, vale a dire i soli atti che
presentino rilevante attinenza all'iter del
procedimento.
Ne consegue che, nel caso di specie, è
legittimo il provvedimento adottato dalla
Camera di Commercio Industria Artigianato e
Agricoltura (CCIAA) recante diniego alla
domanda di accesso ad un lodo arbitrale
conclusivo depositato dalla stessa
amministrazione, motivato essenzialmente con
il rilievo per cui "pur depositato presso
l'ente camerale, il lodo stesso non può
essere considerato documento amministrativo,
in quanto esso è atto di natura privata,
destinato a regolare negozialmente i
rapporti fra le parti in virtù di
convenzione arbitrale fra le stesse
intercorsa, che soggiace al regolamento
camerale solo in riferimento alla gestione
delle fasi del procedimento. L'ente gestore
del procedimento, infatti, non interviene
nella fase di formazione dell'atto né è
parte dello stesso, ma pone le regole del
procedimento volto all'emissione del lodo,
alle quali le parti decidono liberamente di
soggiacere al momento di presentazione della
domanda. Il lodo pertanto non promana dalla
P.A. né è espressione di un'attività
amministrativa, è privo dei requisiti
essenziali propri del provvedimento
amministrativo, alla cui categoria non può
essere assimilato. Dalla natura contrattuale
del lodo, discende come conseguenza la
mancata riconoscibilità in capo ad esso
della natura di documento amministrativo di
cui all'art. 22 della l. 241/1990" e
dunque deve ritenersi sottratto all'accesso
per cui è causa (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 21.04.2010 n. 1595 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: I
soggetti che abbiano commesso violazioni dei
doveri relativi al pagamento di imposte e di
tasse, definitivamente accertati, sono
esclusi dalla partecipazione alle gare di
appalto.
Il Collegio ritiene che il giudice di primo
grado abbia correttamente fatto applicazione
dei condivisibili principi contenuti nella
circolare n. 34/E del 25.05.2007, con la
quale l’Agenzia delle entrate ha fornito gli
indirizzi operativi ai propri uffici locali
in merito alle modalità di attestazione
della regolarità fiscale delle imprese
partecipanti a procedure di aggiudicazione
di appalti pubblici, alla luce della nuova
normativa introdotta dal d.lgs. 163/2006.
Si ricorda che sulla base dell’art. 38,
comma 1, lett. g), del d.lgs. 163/2006, i
soggetti che abbiano commesso violazioni dei
doveri relativi al pagamento di imposte e di
tasse, definitivamente accertati, sono
esclusi dalla partecipazione alle gare di
appalto.
Secondo la menzionata circolare vi è
regolarità fiscale quando, alternativamente:
- a carico dell’impresa, non risultino
contestate violazioni tributarie mediante
atti ormai definitivi per decorso del
termine di impugnazione, ovvero, in caso di
impugnazione, qualora la relativa pronuncia
giurisdizionale sia passata in giudicato;
- in caso di violazioni tributarie
accertate, la pretesa dell’amministrazione
finanziaria risulti, alla data di richiesta
della certificazione, integralmente
soddisfatta, anche mediante definizione
agevolata.
La circolare precisa inoltre che non può
essere considerata irregolare la posizione
dell’impresa partecipante qualora sia ancora
pendente il termine di sessanta giorni per
l’impugnazione (o per l’adempimento) ovvero,
qualora sia stata proposta impugnazione, non
sia passata ancora in giudicato la pronuncia
giurisdizionale
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.04.2010 n. 2213 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia - Diniego
basato su considerazioni di carattere
estetico - Assenza di specifiche
disposizioni normative o di piano - Assenza
di vincoli storico-paesaggistici -
Illegittimità.
In mancanza di specifiche disposizioni
primarie e secondarie o dello strumento
urbanistico comunale, non può essere negata
la concessione edilizia in base a generiche
considerazioni di carattere estetico, non
tradotte in norme o previsioni urbanistiche,
relativamente ad aree su cui le norme
vigenti non impediscono di costruire e su
cui non sussistono vincoli di carattere
storico-artistico o paesaggistico (TAR
Veneto, II, 04.07.2001, n. 1971) (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 20.04.2010 n. 1834 -
link a www.ambientediritto.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: PROGRESSIONE
DI CARRIERA? SOLO SE MERITATA...
1. Pubblico impiego -
Mansioni - Superiori - Svolgimento - Effetto
- Progressione di carriera - Non sussiste -
Ragioni.
2. Pubblico impiego - Inquadramento - In una
superiore qualifica - Condizioni necessarie
- Ragioni.
1.
Lo svolgimento di fatto di mansioni
superiori rispetto alla qualifica di
quadramento dei pubblici dipendenti deve
ritenersi del tutto irrilevante ai fini
della progressione della carriera e ciò in
ragione del fatto che il rapporto di
pubblico impiego è connotato (tra l'altro)
dai principi di imparzialità, efficienza e
buon andamento di cui agli articoli 97 e 98
della costituzione; principi che implicano
la necessità che ogni passaggio di qualifica
formale avvenga tramite procedura selettiva.
2.
Nell'ambito del pubblico impiego, in difetto
di una specifica e puntuale disciplina
legislativa o contrattuale, deve ritenersi
non consentito l'inquadramento automatico
nella qualifica superiore solo perché muta
la pianta organica; ciò in quanto occorre a
tal fine sempre una procedura concorsuale
finalizzata all'individuazione del
dipendente più meritevole ad occupare il
posto oggetto di nuova istituzione
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 20.04.2010 n. 1429 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Procedimento - Strumento
preventivo di tutela ambientale -
Prescrizioni - Radicale diniego.
Il procedimento di valutazione di impatto
ambientale è, per sua natura e per sua
configurazione normativa, uno strumento
preventivo di tutela dell’ambiente, che si
svolge prima rispetto all’approvazione del
progetto, il quale dovrà essere modificato
secondo le prescrizioni intese ad eliminare
o ridurre l’incidenza negativa per
l’ambiente (cfr. TAR Liguria, Sez. I,
15.06.2006, n. 563) a condizione che ciò sia
possibile e che non si imponga il radicale
diniego di approvazione del progetto.
VIA - Tutela preventiva
dell’interesse pubblico - Profili elevati di
discrezionalità amministrativa - Sindacato
giurisdizionale - Limiti.
La valutazione di impatto ambientale,
giacché finalizzata alla tutela preventiva
dell’interesse pubblico, non si risolve in
un mero giudizio tecnico, ma presenta
profili particolarmente elevati di
discrezionalità amministrativa, che
sottraggono al sindacato giurisdizionale le
scelte della P.A., ove non siano
manifestamente illogiche ed incongrue
(C.d.S., Sez. V, 21.11.2007, n. 5910;
C.d.S., Sez. V, n. 4206/2009; TAR Lazio,
Roma, Sez. I, n. 5403/2007).
VIA - Principio di
precauzione - Mera possibilità,
insuscettibile di esclusione, di alterazioni
negative - Opposizione alla realizzazione di
un’attività - Discrezionalità
amministrativa.
La valutazione di impatto ambientale
comporta una valutazione anticipata
finalizzata, nel quadro del principio
comunitario di precauzione, alla tutela
preventiva dell’interesse pubblico
ambientale.
Ne deriva che, in presenza di una situazione
ambientale connotata da profili di specifica
e documentata sensibilità, anche la semplice
possibilità di un’alterazione negativa va
considerata un ragionevole motivo di
opposizione alla realizzazione di
un’attività: anche alla luce degli ampi
profili di discrezionalità amministrativa
che presenta la valutazione di impatto
ambientale sul piano dell’apprezzamento
degli interessi pubblici, sfugge, pertanto,
al sindacato giurisdizionale la scelta
discrezionale della P.A. di non sottoporre
beni di primario rango costituzionale, qual
è quello dell’integrità ambientale, ad
ulteriori fattori di rischio che, con
riferimento alle peculiarità dell’area,
possono implicare l’eventualità, non
dimostrabile in positivo ma neanche
suscettibile di esclusione, di eventi lesivi
(così C.d.S., Sez. VI, 04.04.2005, n. 1462,
in relazione ad un caso di inquinamento di
una falda acquifera).
DIRITTO DELL’ENERGIA -
VIA - Illegittimità del procedimento di
autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n.
387/2003 - Illegittimità derivata del
giudizio di compatibilità ambientale -
Esclusione - Autonomia.
L’eventuale illegittimità del procedimento
di autorizzazione unica ex art. 12 del
d.lgs. n. 387/2003, non può dispiegare
alcuna illegittimità derivata sulla
valutazione negativa di compatibilità
ambientale, stante l’autonoma funzione di
quest’ultima (cfr. TAR Liguria, Sez. I, n.
563/2006) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n. 986 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela paesistica - Protezione
dei valori estetici e tradizionali -
Concordanza e fusione fra l’espressione
della natura e il lavoro umano.
E’ illogico considerare il paesaggio un bene
limitato alle sole componenti
naturalistiche, senza tenere conto degli
insediamenti umani (e specialmente di quelli
tradottisi in opere pregevoli sotto il
profilo storico-artistico) che vi si
inseriscono.
In base alla normativa di riferimento,
infatti, può affermarsi che ciò che ha
rilievo, ai fini della protezione dei valori
estetici e tradizionali che formano oggetto
della tutela paesistica, è la “spontanea
concordanza e fusione fra l’espressione
della natura e quella del lavoro umano”
(C.d.S., Sez. VI, 09.05.2006, n. 2539; v.
anche CGARS, Sez. Giurisd., 29.07.2005, n.
480) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n. 986 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
DIRITTO PROCESSUALE
AMMINISTRATIVO - Interesse a ricorrere -
Mero ripristino della legalità violata -
Insufficienza - Lesione diretta ed attuale
della situazione soggettiva protetta - Art.
100 c.p.c. - Atti amministrativi generali e
regolamentari.
In base all’art. 100 c.p.c. (applicabile
anche al processo amministrativo), non si
può riconoscere un interesse a ricorrere per
il mero ripristino della legalità violata,
allorché non si sia ancora verificata una
lesione, diretta ed attuale, della
situazione soggettiva protetta: detto
principio trova peculiare applicazione per
gli atti amministrativi generali e per
quelli a carattere regolamentare, i cui vizi
risultano immediatamente contestabili solo
laddove di per sé preclusivi del
soddisfacimento dell’interesse protetto,
mentre sono altrimenti deducibili come fonte
di illegittimità derivata dell’atto
consequenziale, quando sia quest’ultimo a
venire impugnato, insieme all’atto
presupposto, in quanto concretamente lesivo
(C.d.S., Sez. VI, 12.11.2008, n. 5661) (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n. 986 - link
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EDILIZIA PRIVATA:
Non può essere accordata alcuna
proroga del permesso di costruire in
relazione a ritardi dovuti ad un contenzioso
causato da un’opera abusiva (riconosciuta
tale da una sentenza del Tar non sospesa dal
Consiglio di Stato).
Si ha proroga della concessione edilizia
(ora permesso di costruire) solo qualora nel
corso dell'esecuzione dei lavori si siano
verificati dei fatti non imputabili al
titolare della concessione, che abbiano
ritardato i suddetti lavori, onde non far
ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti
a lui non attribuibili.
I ritardi dovuti ad un contenzioso causato
da un’opera abusiva (riconosciuta tale da
una sentenza del Tar non sospesa dal
Consiglio di Stato), non consentono il
rilascio di alcuna proroga del permesso di
costruire.
Alla luce di ciò risulta corretto il diniego
operato dal Comune dato che, in materia
edilizia, le norme sulla proroga dei termini
previsti per la realizzazione di interventi
soggetti a permesso di costruire di cui
all'art. 15 del DPR n. 380 del 2001 sono di
stretta interpretazione, rappresentando le
stesse una deroga alla disciplina generale
dettata al fine di evitare che una
edificazione autorizzata nel vigore di un
determinato regime urbanistico venga
realizzata quando il mutato regime non lo
consente più (Cass. penale 19.03.2008 n.
19101).
Si ha infatti proroga della concessione
edilizia solo qualora, ferma restando la
capacità edificatoria dell'area interessata,
nel corso dell'esecuzione dei lavori si
siano verificati dei fatti non imputabili al
titolare della concessione, che abbiano
ritardato i suddetti lavori, onde non far
ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti
a lui non attribuibili (TAR Milano
08.03.2007 n. 372).
Risulta quindi condivisibile il diniego
opposto dal Comune di Acqualagna,
considerato che, in tutta evidenza, la
vicenda contenziosa relativa ad un abuso
edilizio, che ha tra l’altro visto la
ricorrente, finora, soccombente in giudizio,
non può certo integrare un ritardo “non
imputabile” alla ricorrente, per cui il
Comune correttamente ha negato la proroga ex
art. 15 DPR 380/2001 e ha, successivamente,
rilasciato un nuovo permesso di costruire.
Alla luce di ciò la proroga non poteva
essere rilasciata fin dall’inizio, appunto
perché non vi era stato alcuno degli “impedimenti”
previsti dall’art. 15 del DPR 380/2001,
considerato che l’impedimento è stato
originato dall’abuso commesso dal ricorrente
e dalla successiva vicenda contenziosa.
Quindi il diniego opposto dal Comune è
giustificato, dato che, quando un
provvedimento negativo è fondato su più
ragioni, la conformità a legge di una sola
di esse è sufficiente a giustificarlo (Cds
Sez. IV 10.12.2007, n. 6325, Tar Genova
26.11.2008 n. 2041) (TAR Marche,
sentenza 20.04.2010 n. 193 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli
atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento stesso, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato.
Non è prevista dall'ordinamento la
risarcibilità del danno da ritardo "puro",
ovverosia disancorato dalla dimostrazione
giudiziale della meritevolezza di tutela
dell'interesse pretensivo fatto valere.
L’omissione della
comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza del privato,
nel caso in cui il provvedimento negativo
abbia natura vincolata, comporta
l’applicazione della clausola di sanatoria
di cui all’art. 21-octies, c. 2, della legge
241/1990. Tale clausola prevede che non sia
annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla
forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato (Tar Lazio Roma 03.05.2007 n. 317,
Tar Basilicata 05.12.2007, Tar Napoli
25.03.2009 n. 1661). Deve quindi essere
considerata irrilevante la mancata
comunicazione ex art. 10-bis legge 241/1990.
La legittimità e la natura vincolata del
provvedimento impugnato portano quindi al
respingimento di tutti i motivi di ricorso.
Non ha altresì rilevanza alcuna la dedotta
contraddittorietà di alcuni atti del Comune
con il successivo diniego, dato che si
trattava comunque di comunicazioni che
attenevano alla fase della rimessione in
pristino, che era propedeutica a qualunque
altra determinazione.
La legittimità del provvedimento impugnato
esclude l’ingiustizia dell’eventuale danno
subito dalla ricorrente.
Per quanto riguarda
il danno da ritardo, lo stesso non può
essere considerato sussistente. Come noto,
con l'art. 7 della legge 18.06.2009 n. 69, è
stato introdotto nell'ambito della l. n.
241/1990 l'art. 2-bis, secondo il quale le
pubbliche amministrazioni sono tenute al
risarcimento del danno ingiusto cagionato in
conseguenza dell'inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del
procedimento.
Tale disposizione non è applicabile alla
fattispecie in esame, per cui occorre fare
riferimento alla normativa previgente, nella
quale non era previsto un meccanismo
riparatore dei danni causati dal ritardo
procedimentale in sé e per sé considerato.
Ne deriva che, per quanto riguarda i fatti
di causa, l'inerzia amministrativa può
rilevare, ai fini del risarcimento, solo se
si accerta la sua illegittimità e si ha il
concreto esercizio della funzione
amministrativa in senso favorevole
all'interessato o, quanto meno, la sua
esplicazione virtuale mediante un giudizio
prognostico.
Va, a tal proposito, richiamata la sentenza
dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato n. 7 del 15.09.2005, nella quale è
stata affermata la non risarcibilità del
danno da ritardo "puro", ovverosia
disancorato dalla dimostrazione giudiziale
della meritevolezza di tutela dell'interesse
pretensivo fatto valere (cfr. Tar Palermo
16.12.2009 n. 2000).
Ne deriva, che, conformemente a quanto
condivisibilmente ritenuto dalla
giurisprudenza amministrativa prevalente,
con riferimento alla situazione normativa
antecedente alla l. 18.06.2009, n. 69, il
danno da ritardo non ha autonomia
strutturale rispetto alla fattispecie
procedimentale, da cui scaturisce, essendo
legato inscindibilmente alla positiva
finalizzazione di quest'ultima, né si
presenta quale ordinaria ipotesi di
riparazione per equivalente (CdS Sez. V
02.03.2009 n. 1162) (TAR Marche,
sentenza 20.04.2010 n. 193 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La natura di temporaneità di
un'opera non si riferisce ai profili
funzionali bensì alle caratteristiche
costruttive e al tipo di materiale
utilizzato.
La natura di temporaneità non si riferisce
ai profili funzionali dell’opera bensì alle
caratteristiche costruttive e al tipo di
materiale utilizzato (nella fattispecie si
tratta di una una tettoia in struttura
metallica e copertura in legno).
Pare, invero, al Collegio che l’opera di che
trattasi sia destinata a dare al costruttore
una utilità prolungata, di fatto destinata a
durare nel tempo e per tali manufatti la
giurisprudenza in maniera uniforme ha
affermato come gli stessi siano
riconducibili alla nozione di “costruzioni”
e, come tali, necessitano di un titolo
edilizio (cfr. Tar Lazio Roma sez. II
03/02/2006 n. 780; Tar Sardegna Sez. II
27/09/2006 n.2013; Tar Campania Napoli Sez.
IV 28/02/2006 n. 2451).
Vista dunque la consistenza, le
caratteristiche e l’uso di quanto posto in
essere ed accertato, si è di fronte ad
un’opera edilizia vera e propria,
comportante un’alterazione dello stato dei
luoghi e per ciò stesso soggetta al previo
rilascio del titolo abilitativo
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 19.04.2010 n. 961 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L'ordinanza contingibile ed
urgente adottata ai sensi dell’art. 9 della
L. n. 447 del 26.10.1995 deve essere
motivata da eccezionali ed urgenti necessità
di tutela della salute pubblica o
dell’ambiente.
La previsione dell’art. 9 della l. n. 447
del 1995 è preordinata a tutelare la salute
della collettività e non del singolo
cittadino.
Come evidenziato dalla più recente
giurisprudenza “l’ordinanza contingibile
ed urgente adottata ai sensi dell’art. 9
della L. n. 447 del 26.10.1995, integrando
particolari forme di contenimento e
riduzione delle emissioni sonore, inclusa
l’inibitoria totale o parziale delle
attività, deve essere motivata da
eccezionali ed urgenti necessità di tutela
della salute pubblica o dell’ambiente … Né
può sostenersi con un qualche fondamento che
il presupposto ricorra laddove un privato
lamenti emissioni fastidiose di rumori
-situazione questa la cui tutela appartiene
alla giurisdizione del giudice ordinario-
mentre la previsione dell’art. 9 della l. n.
447 del 1995 è preordinata a tutelare la
salute della collettività” (cfr. TAR
Puglia, Bari, Sez. I, 29/09/2009 n. 2142).
Da un lato la predetta ordinanza è destina
ad esaurire la sua efficacia nel momento in
cui il soggetto destinatario realizzerà gli
interventi di bonifica acustica
effettivamente idonei a ricondurre la
situazione nei limiti di legge (e
riconosciuti tali dalla p.a.), dall’altro le
caratteristiche del procedimento de quo
(contraddistinto anche dall’“effetto
sorpresa” indispensabile per l’efficacia
dei controlli) “gli conferiscono quella
specialità che giustifica la deroga ai
principi generali in tema di partecipazione
previsti dagli artt. 7 e segg. l. n.
241/1990” (TAR Puglia, Bari, Sez. I,
04/12/2006 n. 5639).
Quanto all’inosservanza delle tecniche e
delle modalità di rilevamento e di
misurazione dell’inquinamento acustico
previste dall’art. 4 del DPCM 14/11/1997 e
dal DM 16/03/1998 si deve, poi, sottolineare
che l’allegato B al DM 16/03/1998 prevede
che “il rilevamento in ambiente abitativo
deve essere eseguito sia a finestre aperte
che chiuse al fine di individuare la
situazione più gravosa” e che tale
situazione è stata riscontrata –nel rispetto
di tutte le prescrizioni tecniche e nella
medesima serata– proprio nella situazione a
finestre aperte, in misura sufficiente ad
integrare la violazione della normativa di
riferimento
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 15.04.2010 n. 1931 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo di rispetto stradale ha carattere
assoluto, in quanto perseguente una serie
concorrente di interessi pubblici
fondamentali ed inderogabili.
Il vincolo prescinde dalla caratteristiche
dell'opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione (sancito prima dall'art. 9
della L. n. 729/1961 e poi dal successivo
D.M. n. 1404 del 1968) non può essere inteso
restrittivamente, cioè al solo scopo di
prevenire l'esistenza di ostacoli materiali
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede stradale, pregiudizio
alla sicurezza del traffico e alla
incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile per finalità di interesse
generale, ad esempio per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il
deposito di materiali, per la realizzazione
di opere accessorie, senza vincoli
limitativi connessi alla presenza di
costruzioni.
Come chiarito da univoca giurisprudenza
penale ed amministrativa, le fasce di
rispetto previste dal codice della strada,
che comportano l'inedificabilità assoluta
dell'area, vanno incluse tra i vincoli
previsti dal citato articolo 33, lett. d).
Ed infatti il codice stradale prevede,
nell'ipotesi di violazione di dette fasce,
l'obbligo per l'autore della stessa di "ripristino
dei luoghi a proprie spese" (u.c. degli
artt. 16, 17, 18, 19 cod. vigente). Deve,
allora, escludersi l'applicabilità della
sanatoria prevista dalla L. n. 326 del 2003
alle opere costruite abusivamente (Cons.
St., sez. IV, 05.07.2000, n. 3731; cfr.
Cass. Pen., Sez. III, 25-11-2008 n. 47106).
Rileva la Sezione che il vincolo di rispetto
stradale ha carattere assoluto, in quanto
perseguente una serie concorrente di
interessi pubblici fondamentali ed
inderogabili (posti in evidenza dalla
fondamentale sentenza della Corte
Costituzionale n. 133 del 1971, che ha
evidenziato anche come il vincolo rilevi pur
quando sopraggiunga alla realizzazione del
manufatto, in ragione della riconducibilità
del relativo regime giuridico alla categoria
identificata dalla normativa primaria).
Il vincolo, infatti, prescinde dalla
caratteristiche dell'opera realizzata, in
quanto il divieto di costruzione (sancito
prima dall'art. 9 della L. n. 729/1961 e poi
dal successivo D.M. n. 1404 del 1968) non
può essere inteso restrittivamente, cioè al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede
stradale, pregiudizio alla sicurezza del
traffico e alla incolumità delle persone, ma
appare correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile per finalità di interesse
generale, ad esempio per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il
deposito di materiali, per la realizzazione
di opere accessorie, senza vincoli
limitativi connessi alla presenza di
costruzioni (Consiglio di Stato, sez. IV,
18.10.2002, n. 5716; id., 30.09.2008, n.
4719; id. 12.02.2010, n. 772).
D’altra parte, la correlazione del vincolo
di rispetto stradale con la tutela di
interessi fondamentali della collettività
traspare dalla semplice osservazione
dell’entità e quantità delle opere
accessorie necessarie per tutelare i diritti
fondamentali delle persone che abitano in
insediamenti sorti incontrollatamente a
ridosso delle sedi stradali (barriere
antiacustiche, barriere antisfondamento,
strumenti di protezione e mitigazione visiva
ed ambientale, ecc. ), opere poste a carico
delle finanze pubbliche e, quindi,
dell’intera collettività.
Non rileva in contrario la
giurisprudenza di questo Consiglio, sulla
realizzabilità nella fascia di rispetto di
manufatti completamente interrati e di
modesta entità, tale da non compromettere
gli interessi pubblici coinvolti (C.d.S
sez. V, 19.06.2003, n. 3641 ).
Infatti, nel caso di specie la domanda di
condono ha riguardato un vano seminterrato,
quindi parzialmente sporgente dal terreno,
tale da compromettere i sopra evidenziati
profili di viabilità e di sicurezza.
Quanto al profilo della rilevanza della
situazione di fatto in mancanza di formale
provvedimento di perimetrazione del centro
abitato, richiamato dal TAR per ritenere
illegittimo il parere negativo, osserva la
Sezione che il TAR ha considerato
sussistente una circostanza rimasta
indimostrata nel corso del giudizio.
L’articolo 41-septies della legge n. 1150
del 1942, come modificato con l'art. 19
della legge 06.08.1967, n. 765, ha disposto
che “fuori del perimetro dei centri
abitati debbono osservarsi nell'edificazione
distanze minime a protezione del nastro
stradale, misurate a partire dal ciglio
della strada, ... stabilite con decreto del
Ministro per i lavori pubblici di concerto
con i Ministri per i trasporti e per
l'interno, entro sei mesi dall'entrata in
vigore della presente legge”.
Il TAR, al riguardo, ha ritenuto che,
all’epoca della sua realizzazione, il
manufatto si trovava nel centro abitato,
desumendo tale situazione da una
presunzione, cioè dal fatto che solo nel
settembre 1998 il Comune di Diso ha
formalmente delimitato il territorio
comunale: ciò varrebbe come “conferma a
posteriori di una situazione preesistente di
fatto e valutabile come tale già all’epoca
del procedimento di sanatoria”.
Ritiene la Sezione che un’operazione
ermeneutica del genere non sia corretta,
poiché ha invertito l’onere della prova
disciplinato dalla legge, spettando a chi
richieda il condono l'onere di dimostrare il
fatto che si sostiene e l'epoca dell'abuso e
la sussistenza dei relativi presupposti
(Cons. St., sez. IV, 12.02.2010, n. 772;
id., 24.12.2008, n. 6548; V, 27.09.1996, n.
1275).
Inoltre, il TAR non ha considerato che il
provvedimento di perimetrazione è stato
emesso a distanza di oltre 20 anni dalla
commissione dell’abuso e da esso, pertanto,
non può ricavarsi nessuna presunzione di
conformità dello stato di fatto esistente
all’epoca dell’abuso stesso rispetto a
quello ricostruito ed accertato con il
provvedimento formale di limitazione del
centro abitato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.04.2010 n. 2076 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
l'identificazione della nozione di volume
tecnico rilevano tre parametri: il primo,
positivo e di tipo funzionale costituto
dall'esistenza di un rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto e
l'utilizzo della costruzione a cui accede;
il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro, ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti.
Pertanto, rientrano in tale nozione solo le
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa.
Il locale costruito in adiacenza al torrino
scala non può essere qualificato come volume
tecnico pertinenziale realizzabile senza i
prescritti titoli abilitativi costituiti dal
permesso di costruire e dall’autorizzazione
paesaggistica, come condivisibilmente
sostenuto dall’amministrazione in seno alle
impugnate determinazioni.
Per consolidata giurisprudenza “per
l'identificazione della nozione di volume
tecnico rilevano tre parametri: il primo,
positivo e di tipo funzionale costituto
dall'esistenza di un rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto e
l'utilizzo della costruzione a cui accede;
il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro, ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti. Pertanto, rientrano in tale
nozione solo le opere edilizie completamente
prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a
contenere impianti serventi di una
costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa”
(così, fra le ultime, Tar Campania, Napoli,
sezione quarta, 09.09.2009, n. 4903).
In breve, “non è riconducibile alla
nozione di volume tecnico la realizzazione
di un locale la cui estensione (12 mq)
risulta pari a quella di un comune vano di
abitazione, ed in merito al quale manchi
qualsiasi previsione —in sede progettuale—
circa la destinazione del locale stesso alla
collocazione di impianti a servizio
dell'abitabilità degli ambienti” (Cons.
Stato, sezione quarta, 11.04.2007, n. 1654);
e ciò a maggior ragione ove, come qui
accade, si sia in presenza di un locale
munito di tre vani finestre e pavimento in
monocottura, che ne fanno decisamente
prefigurare una diversa utilizzazione.
Tale ultima constatazione rende più agevole
la conclusione che la riconducibilità del
locale alla nozione di volume tecnico non
può essere affermata, come qui avvenuto, in
base all’assunto che “l’altezza di mt.
2,10 esclude che si sia in presenza di un
locale abitabile”, conseguendone invero
una ragione in più per ordinarne la
demolizione ad evitarne utilizzi impropri,
anche solo potenziali, ovvero in base
all’ulteriore assunto, formulato in via
apodittica senza alcun concreto riscontro
tecnico, della necessità dell’intervento,
nella consistenza avutasi, in ragione “del
mutamento del verso di salita delle rampe”
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 14.04.2010 n. 1973 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
ripristino dello stato dei luoghi nel caso
di abuso edilizio in zona paesaggisticamente
vincolata.
In generale,
l’interesse pubblico al ripristino dello
stato dei luoghi (nel caso di abusi edilizi
in zona paesaggisticamente vincolata) è
in re ipsa poiché “la straordinaria
importanza della tutela reale dei beni
paesaggistici ed ambientali” (cfr., C.
Cost. ord.za 12/20.12.2007 nr. 439 nonché
C.Cost. 07.11.2007 nr. 367 sul valore
primario ed assoluto del paesaggio)
"elide, in radice, qualsivoglia doglianza
circa la pretesa non proporzionalità della
sanzione ablativa” (Tar Campania, questa
sezione sesta, sentenza n. 4844/2008), fermo
comunque che, in presenza della operata
qualificazione delle opere realizzate e non
rilasciabile a sanatoria il titolo
abilitativo paesaggistico, alcuno spazio era
comunque rinvenibile per far luogo alla sola
sanzione pecuniaria (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 14.04.2010 n. 1973 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di ripa presuppone
l’immediata contiguità di questa con la
strada, onde ove il requisito della
contiguità viene a mancare, in quanto tra la
strada ed il fondo altri terreni si
frappongono, è ai proprietari di questi
fondi che deve essere addebitato il mancato
rispetto degli obblighi stabiliti dall’art.
31 del codice della strada.
Il ricorso in esame è rivolto avverso
l’ordinanza contingibile e urgente n.
21/2003 prot. 8239 in data 14.11.2003
recante ordine di provvedere alla messa in
sicurezza entro 48 ore dalla notifica
dell’ordinanza il tratto di terreno
interessato dal distacco dei massi che hanno
provocato lo smottamento procedendo
successivamente alla pulizia ripristino
della strada e delle strutture danneggiate.
L’art 31 del codice della strada, rubricato,
manutenzione delle ripe, stabilisce: “1.
I proprietari devono mantenere le ripe dei
fondi laterali alle strade, sia a valle che
a monte delle medesime, in stato tale da
impedire franamenti o cedimenti del corpo
stradale, ivi comprese le opere di sostegno
di cui all'art. 30, lo scoscendimento del
terreno, l'ingombro delle pertinenze e della
sede stradale in modo da prevenire la caduta
di massi o di altro materiale sulla strada.
Devono altresì realizzare, ove occorrono, le
necessarie opere di mantenimento ed evitare
di eseguire interventi che possono causare i
predetti eventi.
2. Chiunque viola le disposizioni del
presente articolo è soggetto alla sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da
Euro 155 a Euro 624.
3. La violazione suddetta importa a carico
dell'autore della violazione la sanzione
amministrativa accessoria del ripristino, a
proprie spese, dello stato dei luoghi,
secondo le norme del capo I, sezione II, del
titolo VI”.
La giurisprudenza ha avuto modo di precisare
che la nozione di ripa presuppone
l’immediata contiguità di questa con la
strada, onde ove il requisito della
contiguità viene a mancare, in quanto tra la
strada ed il fondo altri terreni si
frappongono, è ai proprietari di questi
fondi che deve essere addebitato il mancato
rispetto degli obblighi stabiliti dall’art.
31 (Cass. civ. III, 02.08.2002 n. 10112).
Ne consegue che illegittimamente l’ordinanza
de qua è stata emessa nei confronti del
ricorrente atteso che tra il fondo di
proprietà di quest’ultimo e la strada si
interpone il fondo di proprietà di altro
soggetto
(TAR Liguria,
sentenza 14.04.2010 n. 1661 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: TRASFORMAZIONE
DA ZONA AGRICOLA A ZONA
RESIDENZIALE-COMMERCIALE: CHI E COME SI PUO'
RICORRERE A TUTELA DELL'AMBIENTE.
1. Giudizio
amministrativo - Procedura - Legittimazione
- Attiva - Associazioni di protezione
ambientale - Strutture territoriali - Non
sussiste - Ragioni.
2. Giudizio amministrativo - Procedura -
Legittimazione - Attiva - Concessione
edilizia - Proprietario di immobile sito in
zona interessata dalla costruzione
-Sussiste.
3. Piani urbanistici -
Regolatore generale - Impugnazione -
Inammissibilità - In caso di mancata
notifica alla Regione - Sussistenza -
Ragioni.
1.
La speciale legittimazione delle
associazioni di protezione ambientale a
ricorrere in sede di giurisdizione
amministrativa per l'annullamento di atti
illegittimi, riconosciuta dall'art. 18, L.
n. 349/1986, riguarda l'associazione
ambientalistica nazionale formalmente
riconosciuta e non le sue strutture
territoriali, che non possono ritenersi
munite di autonoma legittimazione
processuale neppure per l'impugnazione di
provvedimenti ed efficacia territorialmente
limitata.
Ed infatti, il carattere nazionale o
ultraregionale dell'Associazione costituisce
al tempo stesso presupposto del
riconoscimento e limite della legittimazione
speciale, che ha dunque carattere
ontologicamente unitario.
Solo l'Associazione nazionale in quanto tale
è dunque titolare ex lege, proprio in
virtù delle caratteristiche che ne
consentono il riconoscimento, della
legittimazione alla causa e solo questa è
giusta parte anche nel caso di giudizio
introdotto dall'impugnazione di
provvedimenti ad effetti ambientali
circoscritti (Cons. Stato, sez. IV,
14-04-2006 n. 2151; vedi anche cfr. TAR
Veneto, sez. II, 26-02-2007 n. 513).
2.
La legittimazione a impugnare una
concessione edilizia deve essere
riconosciuta al proprietario di un immobile
sito nella zona interessata alla
costruzione, o comunque a chi si trovi in
una situazione di stabile collegamento con
la zona stessa, senza che sia necessario
dimostrare ulteriormente la sussistenza di
un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V,
07-05-2008 n. 2086; Cons. Stato, sez. IV,
12-09-2007 n. 4821; Cons. Stato, sez. V,
05-02-2007 n. 452).
3.
Il ricorso avverso le disposizioni di P.R.G.
deve essere notificato, oltre che al Comune,
anche alla Regione, in considerazione della
natura complessa dell'atto impugnato e del
concorso della volontà di entrambi gli enti
alla sua formazione definitiva.
L'omesso assolvimento di tale onere implica
l'inammissibilità del ricorso, per la sua
mancata notificazione a una delle autorità
emananti (Cons. Stato, sez. V, 19-05-1998 n.
616)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.04.2010 n. 1323 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Ove
risulti dal progetto del piano esecutivo che
si voglia effettuare una attività vietata
dalle prescrizioni di livello superiore, il
Sindaco può senz'altro respingere l'istanza
e non investire il Consiglio comunale, le
cui valutazioni -nel corso dello specifico
procedimento- non potrebbero comunque porsi
con esse in contrasto.
Ove invece il progetto superi tale vaglio di
conformità, le ulteriori determinazioni
spettano al Consiglio comunale, che può
pronunciarsi su tutti i suoi aspetti, in
ordine ai profili riguardanti le modifiche
del territorio e l'assetto dei rapporti col
richiedente.
L'art. 43 della L.R. Piemonte n. 56 del 1977
ha distinto in due fasi il procedimento di
valutazione dei progetti di piani esecutivi
convenzionati.
Nella prima, il Sindaco esamina se vi sia la
compatibilità tra il progetto del piano
esecutivo, e dei suoi allegati, con la
normativa vigente e con gli strumenti di
pianificazione delle aree in questione
(siano essi di rilievo urbanistico,
paesaggistico o comunque previsti dalla
legislazione speciale). Nella fase del
riscontro della normativa applicabile, anche
in base ai princìpi di efficienza e del buon
andamento, il Sindaco può riscontrare la
sussistenza di ragioni radicalmente
preclusive all'accoglimento del progetto,
costituite dal riscontrato contrasto con un
atto di pianificazione.
Il relativo potere si caratterizza per la
sua natura essenzialmente vincolata, nel
senso che -ove risulti dal progetto del
piano esecutivo che si voglia effettuare una
attività vietata dalle prescrizioni di
livello superiore- il Sindaco può senz'altro
respingere l'istanza e non investire il
Consiglio comunale, le cui valutazioni -nel
corso dello specifico procedimento- non
potrebbero comunque porsi con esse in
contrasto.
Ove invece il progetto superi tale vaglio di
conformità, le ulteriori determinazioni
spettano al Consiglio comunale, che può
pronunciarsi su tutti i suoi aspetti, in
ordine ai profili riguardanti le modifiche
del territorio e l'assetto dei rapporti col
richiedente (Cons. St. sez. VI 16.02.2005 n.
500)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.04.2010 n. 1752 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: L’approvazione
del piano di lottizzazione, pur se conforme
al piano regolatore generale, non è atto
dovuto ma costituisce sempre espressione del
potere discrezionale dell’autorità (a
livello comunale o regionale) chiamata a
valutare l’opportunità di dare attuazione
–in un certo momento ed in certe condizioni–
alle previsioni dello strumento urbanistico
generale, essendovi fra quest’ultimo e gli
strumenti attuativi un rapporto di
necessaria compatibilità ma non di formale
coincidenza.
Pacifica
giurisprudenza, in relazione ai piani
attuattivi, ha puntualizzato che: “l’approvazione
del piano di lottizzazione, pur se conforme
al piano regolatore generale, non è atto
dovuto ma costituisce sempre espressione del
potere discrezionale dell’autorità (a
livello comunale o regionale) chiamata a
valutare l’opportunità di dare attuazione
–in un certo momento ed in certe condizioni–
alle previsioni dello strumento urbanistico
generale, essendovi fra quest’ultimo e gli
strumenti attuativi un rapporto di
necessaria compatibilità ma non di formale
coincidenza” (Cons. St. sez. IV n. 248
del 2008); affermando il suddetto principio
il giudice d’appello ha escluso, in capo
agli aspiranti all’approvazione del piano
esecutivo, persino di una “concreta
aspettativa”, neppure prospettandosi la ben
più radicale tesi della natura di atto
dovuto dell’approvazione, prospettata in
ricorso.
Pare dunque evidente come non sia
sostenibile la natura di atto dovuto
dell’approvazione.
Per contro, pur presentandosi l’approvazione
del piano ampiamente discrezionale, è
corretto che l’atto, anche di eventuale
diniego come quello impugnato, non possa
prescindere da una motivazione. Seppure
infatti la materia urbanistica veda la
pianificazione generale normalmente
sottrarsi a specifici oneri di motivazione,
altra è la soluzione nell’ipotesi, come
quella per cui è causa, di specifiche
istanze riguardanti specifici soggetti
interessati da un particolare intervento
urbanistico di carattere attuativo. D’altro
canto che l’atto impugnato fosse soggetto ad
un onere di motivazione, correttamente, non
è neppure posto in dubbio
dall’amministrazione resistente che sostiene
la sussistenza di una idonea motivazione
dell’atto, dando sostanzialmente per
scontato che tale motivazione fosse
necessaria
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.04.2010 n. 1752 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: SOSPENSIONE
CAUTELARE DEL PUBBLICO DIPENDENTE.
1. Pubblico impiego -
Procedimento disciplinare - Rapporti con il
giudizio penale - Sospensione cautelare -
Natura - Conseguenze - Ragioni.
2. Pubblico impiego - Procedimento
disciplinare - Rapporti con il giudizio
penale - Conclusione di quest'ultimo -
Effetti sull'attività della p.A..
3. Atto amministrativo -
Discrezionalità - Obblighi partecipativi -
Non sussistono - Casi - Ragioni.
1.
Il provvedimento di sospensione cautelare
dal servizio del pubblico dipendente
ristretto in vincoli per misure penali è
privo di carattere sanzionatorio e, finché
dura la misura interdittiva, esso è
giustificato dall'impossibilità di
esecuzione della prestazione nel periodo
della custodia cautelare.
Cessata quest'ultima, il perdurare della
sospensione dal servizio acquista ragion
d'essere e presupposti diversi, riferibili
alla prioritaria esigenza di tutela
dell'immagine, del prestigio e, in certi
casi, anche della sicurezza
dell'Amministrazione (Cons. Stato, sez. V,
14-05-2003 n. 2557; TAR Basilicata Potenza,
sez. I, 09-07-2008 n. 384).
2.
E' pacifico che, quando il dipendente
pubblico è sospeso dal servizio perché
raggiunto da un'ordinanza di custodia
cautelare, l'Amministrazione datrice non sia
obbligata a riammetterlo automaticamente in
servizio, al momento in cui venga meno la
misura interdittiva.
Viceversa, l'Amministrazione deve effettuare
una valutazione discrezionale di fatti e
comportamenti ascritti alla responsabilità
del proprio dipendente e, in relazione alla
gravità dei medesimi, potrà decidere di non
riammetterlo in servizio, per evitare che la
riammissione rechi turbamento o nocumento
all'attività pubblica e l'eventuale
risonanza ambientale nuoccia all'immagine di
essa (TAR Campania Napoli, sez. VI,
03-05-2007 n. 4656).
3.
Allorché la sospensione cautelare dal
servizio, sia adottata con valutazione
discrezionale dell'Amministrazione circa il
comportamento posto in essere dal proprio
dipendente, in condizioni di urgenza e
celerità, stante la preminente esigenza di
tutelare gli interessi di rilievo pubblico
coinvolti e il prestigio
dell'Amministrazione, potenzialmente
compromesso dalla condotta del dipendente, è
comprensibile come il relativo procedimento
non sia gravato dagli obblighi partecipativi
e dalle garanzie di cui agli artt. 7 e 8, L.
n. 241/1990 (Cons. Stato, sez. VI,
11-01-2010 n. 19)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Molise,
sentenza 08.04.2010 n. 176 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Qualora lo strumento urbanistico
presenti un contrasto tra quanto indicato
nella parte grafica e quanto prescritto
dalla parte normativa, deve essere data
prevalenza alla statuizione normative
rispetto a quella grafica, costituente
un’esplicazione della disciplina normativa.
Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, qualora lo strumento
urbanistico presenti un contrasto tra quanto
indicato nella parte grafica e quanto
prescritto dalla parte normativa, deve
essere data prevalenza alla statuizione
normative rispetto a quella grafica,
costituente un’esplicazione della disciplina
normativa (Tar Campania, Napoli, IV,
07/06/2004, n. 9254; Tar Toscana, II,
15/12/1995, n. 720).
Invero, la rappresentazione grafica
costituisce parte integrante del regolamento
urbanistico solo se sia coerente con le
relative norme (Cons. Stato, IV, 13/11/1998,
n. 1520; idem, 12/06/2007, n. 3081)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 06.04.2010 n. 932 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini del calcolo del
contributo concessorio dovuto per il condono
edilizio rileva l’incremento del carico
urbanistico derivante dall’abuso edilizio
nel suo insieme, ovvero la partecipazione
dell’immobile, nella nuova conformazione,
all’utilità derivante dall’urbanizzazione
esistente.
Ai fini del calcolo del contributo
concessorio dovuto per il condono edilizio
rileva l’incremento del carico urbanistico
derivante dall’abuso edilizio nel suo
insieme, ovvero la partecipazione
dell’immobile, nella nuova conformazione,
all’utilità derivante dall’urbanizzazione
esistente: ciò giustifica la contestata
richiesta economica dell’amministrazione,
finalizzata a far partecipare il
concessionario ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione ai benefici
che la costruzione, nell’assetto condonato,
ne ritrae; non rileva in senso contrario la
realizzazione, ultimata da tempo, delle
opere di urbanizzazione (Cons. Stato, IV,
24/12/2009, n. 8757)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 06.04.2010 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La modifica, pur limitata, delle
aperture esterne ed il parziale spostamento
e modifica dei vani interni sono
nell’insieme ascrivibili alla
ristrutturazione edilizia, definita
dall’art. 31, comma 1, lettera d), della
legge n. 457/1978, comportando la creazione
di un organismo edilizio diverso, in parte,
dal manufatto originariamente assentito
quanto all’aspetto esterno ed alla
distribuzione degli spazi interni.
Con il secondo rilievo le ricorrenti
sostengono che le opere in oggetto sono
riconducibili alla manutenzione o, tutt’al
più, al restauro e risanamento conservativo,
e quindi non sono onerose.
L’assunto non è condivisibile.
La modifica, pur limitata, delle aperture
esterne ed il parziale spostamento e
modifica dei vani interni sono nell’insieme
ascrivibili alla ristrutturazione edilizia,
definita dall’art. 31, comma 1, lettera d),
della legge n. 457/1978, comportando la
creazione di un organismo edilizio diverso,
in parte, dal manufatto originariamente
assentito quanto all’aspetto esterno ed alla
distribuzione degli spazi interni (Tar
Lazio, Roma, II, 23/09/1991, n. 1414; Tar
Toscana, III, 15/04/2002, n. 745), mentre il
locale esterno costituisce un ampliamento, o
comunque una nuova edificazione.
Né potrebbe sostenersi che detto vano
aggiuntivo, contenendo la caldaia,
costituisca volume tecnico, non avendo
l’istante fornito un principio di prova
circa l’impossibilità di ubicare la caldaia
medesima all’interno del fabbricato
principale e circa il rapporto di
proporzionalità tra la superficie del nuovo
locale e le esigenze sottese alla
realizzazione dell’impianto (Tar Puglia,
Lecce, I, 14/08/2003, n. 5492). Peraltro, il
vano de quo è destinato anche a
ripostiglio (documento n. 14 depositato in
giudizio dalla parte ricorrente), il quale
non costituisce volume tecnico (Cons. Stato,
V, 13/05/1997, n.483)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 06.04.2010 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Non si può utilizzare l'istituto
dell'avvalimento per dimostrare di possedere
il requisito soggettivo della certificazione
di qualità.
La certificazione di qualità costituisce un
requisito di natura soggettiva delle imprese
per il quale non appare possibile utilizzare
l'istituto dell'avvalimento disciplinato
dall'art. 49 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163
(codice dei contratti pubblici).
E' stato sottolineato, sia dalla
giurisprudenza, sia, in sede consultiva,
dall'Autorità per la Vigilanza sui contratti
pubblici, che l'avvalimento è stato previsto
limitatamente alla "richiesta relativa al
possesso dei requisiti di carattere
economico, finanziario, tecnico,
organizzativo, ovvero di attestazione della
certificazione SOA".
La certificazione di qualità è, invece, da
ritenersi requisito soggettivo dell'impresa,
preordinato a garantire all'amministrazione
appaltante la qualità dell'esecuzione delle
prestazioni contrattuali dovute. Obiettivo
che, per essere effettivamente perseguito,
richiede necessariamente che la
certificazione di qualità riguardi
direttamente l'impresa appaltatrice.
Con riferimento ai raggruppamenti temporanei
di imprese, il requisito della
certificazione di qualità eventualmente
richiesto dal bando deve essere posseduto
singolarmente da ciascuna impresa del
raggruppamento, quantomeno nelle
associazioni (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 06.04.2010 n. 665 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
serra (soprattutto se di rilevanti
dimensioni come quella di specie), ancorché
costituita da strutture agevolmente
rimovibili destinate a far fronte ad
esigenze connesse a coltivazioni
ortofruttifere, è soggetta al previo
rilascio del permesso di costruire in quanto
destinata ad alterare in modo duraturo
l'assetto del territorio.
Per giurisprudenza pacifica, è necessario,
in ragione dell'incidenza volumetrica e del
mutato carico urbanistico, il previo
rilascio di un permesso di costruire ogni
qualvolta si intenda realizzare un
intervento sul territorio comportante la
modifica dello stato dei luoghi e, quindi,
anche per quei manufatti che, pur non
necessariamente infissi al suolo o
semplicemente aderenti a quest'ultimo,
alterino lo stato dei luoghi in modo
definitivo e rilevante e non meramente
occasionale (TAR Campania Napoli, sez. VIII,
14.01.2010, n. 95)
Con specifico riferimento alla costruzione
di una serra si è affermato che tale opera
(soprattutto se di rilevanti dimensioni come
quella di specie), ancorché costituita da
strutture agevolmente rimovibili destinate a
far fronte ad esigenze connesse a
coltivazioni ortofruttifere, è soggetta al
previo rilascio del permesso di costruire in
quanto destinata ad alterare in modo
duraturo l'assetto del territorio (Consiglio
Stato, sez. IV, 06.03.2006, n. 1119;
Consiglio Stato, sez. V, 23.09.2002, n.
4832; TAR Lombardia Brescia, sez. I,
19.11.2009, n. 2223) (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 01.04.2010 n. 1755 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’ordine
di demolizione di opere abusive è un atto
dovuto in presenza di opere realizzate senza
titolo abilitativo e, pertanto, abusive e
non necessita di particolare motivazione
sull’interesse pubblico in confronto al
sacrificio imposto al privato o sulla
eventuale sanabilità delle opere.
Gli atti di repressione degli abusi edilizi
hanno natura urgente e strettamente
vincolata (essendo atti dovuti in assenza
del titolo necessario per l'avvenuta
trasformazione del territorio), con la
conseguenza che, non essendo richiesti
(normalmente) apporti partecipativi del
soggetto destinatario, non devono essere
preceduti da alcuna comunicazione di avvio
del relativo procedimento.
L’ordine di
demolizione di opere abusive è un atto
dovuto in presenza di opere realizzate senza
titolo abilitativo e, pertanto, abusive
(giurisprudenza costante: fra le tante TAR
Campania Napoli, sez. II, n. 2042 del
20.04.2009; TAR Campania Napoli, sez. VI,
14.07.2008 , n. 8761; TAR Campania Napoli,
sez. VII, 05.06.2008 , n. 5244; Consiglio
Stato, sez. IV, 06.06.2008, n. 2705) e non
necessita di particolare motivazione
sull’interesse pubblico in confronto al
sacrificio imposto al privato o sulla
eventuale sanabilità delle opere.
Infatti, ai sensi del comma 2 dell'art. 31
del D.P.R. 380 del 2001, il dirigente o il
responsabile del competente ufficio
comunale, accertata l'esecuzione di
interventi in assenza del permesso di
costruire, in totale difformità dal
medesimo, ovvero con variazioni essenziali,
ingiunge al proprietario e al responsabile
dell'abuso la rimozione o la demolizione
delle opere abusive.
Per giurisprudenza pacifica, inoltre, gli
atti di repressione degli abusi edilizi
hanno natura urgente e strettamente
vincolata (essendo atti dovuti in assenza
del titolo necessario per l'avvenuta
trasformazione del territorio), con la
conseguenza che, non essendo richiesti
(normalmente) apporti partecipativi del
soggetto destinatario, non devono essere
preceduti da alcuna comunicazione di avvio
del relativo procedimento (TAR Campania
Napoli, sez. II, n. 2042 del 20.04.2009; TAR
Campania Napoli, sez. IV, 01.08.2008, n.
9710; TAR Campania Napoli, sez. VIII,
29.07.2008, n. 9538), anche alla luce di
quanto disposto dall'art. 21-octies della
legge 07.08.1990 n. 241, introdotto
dall'art. 14 della legge 11.02.2005 n. 15,
che esclude possa essere annullato un
provvedimento qualora sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato (Consiglio Stato, sez. VI,
06.06.2008, n. 2733)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 01.04.2010 n. 1755 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Può essere legittimamente
autorizzato un intervento edificatorio pur
in assenza del piano particolareggiato, nel
caso in cui il lotto interessato risulta
inserito in un contesto già urbanizzato nel
senso che il carattere completamente
urbanizzato di una zona consente di derogare
alla prescrizione del piano regolatore
generale che subordina il rilascio del
permesso di costruire all'obbligo della
previa adozione di uno strumento urbanistico
attuativo, sia esso un piano
particolareggiato o una lottizzazione
convenzionata.
La giurisprudenza ha costantemente ribadito
il principio che può essere legittimamente
autorizzato un intervento edificatorio pur
in assenza del piano particolareggiato, nel
caso in cui il lotto interessato risulta
inserito in un contesto già urbanizzato
(cfr. di recente TAR Puglia Lecce, sez. III,
11.04.2009, n. 715, nel senso che il
carattere completamente urbanizzato di una
zona consente di derogare alla prescrizione
del piano regolatore generale che subordina
il rilascio del permesso di costruire
all'obbligo della previa adozione di uno
strumento urbanistico attuativo, sia esso un
piano particolareggiato o una lottizzazione
convenzionata (Cons. Stato, sez. V, n. 4411
del 19.07.2008, n. 4276 dell'01.08.2007) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 31.03.2010 n. 5319 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
balconi aggettanti sono computabili nel
volume solo se costituiscono corpo di
fabbrica (cioè aggetti chiusi volti a
separare l’ambiente interno da quello
esterno) e non quando invece siano aperti su
tre lati.
In materia di
computo del volume fabbricabile, i balconi
aggettanti sono computabili nel volume solo
se costituiscono corpo di fabbrica (cioè
aggetti chiusi volti a separare l’ambiente
interno da quello esterno) e non quando
invece siano aperti su tre lati, come
affermato da costante giurisprudenza (cfr.,
di recente, Consiglio di Stato, sez. IV,
07.07.2008, n. 3381)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 31.03.2010 n. 5319 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ciò
che rende computabili i balconi ai fini
della misurazione delle distanze tra fondi
finitimi è la loro riconducibilità al
concetto di costruzione edilizia,
comportando essi un ampliamento della
consistenza dell'edificio tale da doversi
senz'altro considerare nel calcolo delle
distanze legali.
In merito alla distanza minima di 10 mt. tra
fabbricati, il balcone aggettante può essere
ricompreso nel computo della predetta
distanza solo nel caso in cui una norma di
piano preveda ciò.
Al riguardo va ricordato che, come affermato
da costante giurisprudenza, ai fini del
computo delle distanze, assumono rilievo
tutti gli elementi costruttivi, anche
accessori, qualunque ne sia la funzione,
aventi i caratteri della solidità, della
stabilità e della immobilizzazione, salvo
che non si tratti di sporti ed oggetti di
modeste dimensioni con funzione meramente
decorativa e di rifinitura, tali da potersi
definire di entità trascurabile rispetto
all'interesse tutelato dalla norma
riguardata nel suo triplice aspetto della
sicurezza, della salubrità e dell'igiene.
Infatti, ciò che rende computabili i balconi
ai fini della misurazione delle distanze tra
fondi finitimi è la loro riconducibilità al
concetto di costruzione edilizia,
comportando essi un ampliamento della
consistenza dell'edificio tale da doversi
senz'altro considerare nel calcolo delle
distanze legali (TAR Sardegna Cagliari, sez.
II, 06.04.2009, n. 432).
La giurisprudenza ha ormai chiarito la
natura di norma di ordine pubblico dell’art.
9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, che
prescrive la distanza minima di 10 mt.
lineari tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti, precisando tuttavia che
il balcone aggettante può essere ricompreso
nel computo della predetta distanza solo nel
caso in cui una norma di piano preveda ciò
(TAR Liguria Genova, sez. I, 10.07.2009, n.
1736) ed ha altresì precisato che i muri di
contenimento non possono essere considerati
“costruzioni” ai fini della
disciplina della distanze (cfr. Cons. St.,
sez. VI, n. 2954 del 13.6.2008) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 31.03.2010 n. 5319 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’espressione legislativa “titolo
per richiederlo” (il permesso di costruire)
è stata intesa dalla giurisprudenza nel
senso di posizione che civilisticamente
costituisca titolo per esercitare sul fondo
un’attività costruttiva.
Tale posizione soggettiva non coincide con
il solo diritto di proprietà, ma anche con
altri diritti reali o addirittura personali
di godimento, purché attribuiscano al
titolare la facoltà di attuare interventi
sull’immobile.
Come noto, l’art. 35, comma 1, della legge
regionale 12/2005 –riprendendo analoga
formulazione dell’art. 11 del DPR 380/2001–
stabilisce che il permesso di costruire
venga rilasciato <<al proprietario
dell’immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo>> e l’espressione
legislativa “titolo per richiederlo”
è stata intesa dalla giurisprudenza nel
senso di posizione che civilisticamente
costituisca titolo per esercitare sul fondo
un’attività costruttiva (Consiglio di Stato,
sez. IV, 15.02.1985, n. 47 e sez. V,
15.03.2001, n. 1507).
Tale posizione soggettiva non coincide con
il solo diritto di proprietà, ma anche con
altri diritti reali o addirittura personali
di godimento, purché attribuiscano al
titolare la facoltà di attuare interventi
sull’immobile (Consiglio di Stato, sez. V,
28.05.2001, n. 2882).
Tenuto conto, pertanto, che la mancanza
della proprietà o di altro titolo idoneo
preclude il rilascio del permesso di
costruire, l’Amministrazione comunale è
chiamata allo svolgimento di un’attività
istruttoria, per accertare la sussistenza
del titolo legittimante.
Tuttavia, al Comune spetta soltanto la
verifica, in capo al richiedente, di un
titolo sostanziale idoneo a costituire la
posizione legittimante, senza alcuna
ulteriore e minuziosa indagine che si
estenda fino alla ricerca di eventuali
fattori limitativi, preclusivi o estintivi
del titolo di disponibilità dell’immobile,
allegato da chi presenta istanza edilizia
(giurisprudenza pacifica: si vedano
Consiglio di Stato, sez. V, 04.02.2004, n.
368 e la sentenza di questo Tribunale,
sezione II, n. 1157 del 06.02.2009, per la
quale: <<L'amministrazione comunale, nel
corso dell'istruttoria sul rilascio della
concessione edilizia, deve verificare che
esista il titolo per intervenire
sull'immobile per il quale è chiesta la
concessione edilizia -anche se questa è
sempre rilasciata facendo salvi i diritti
dei terzi- e se il titolo non viene provato
è legittimo che il rilascio della
concessione venga negato.
Tale principio è desumibile dall'art. 4
comma 1, l. 28.01.1977 n. 10, secondo cui la
"concessione è data dal sindaco al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo
per richiederla", come confermato dall'art.
11, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 in base
al quale "il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a
chi abbia titolo per richiederlo".
Per cui, la verifica del possesso del titolo
a costruire costituisce un presupposto, la
cui mancanza impedisce all'amministrazione
di procedere oltre nell'esame del progetto,
anche se deve escludersi un obbligo del
comune di effettuare complessi accertamenti
diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l'immobile in considerazione,
con particolare riferimento all'inesistenza
di servitù o di altri vincoli reali che
potrebbero limitare l'attività edificatoria
dell'immobile>>) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 31.03.2010 n. 842 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nessun
affidamento può essere invocato da chi abbia
conseguito un provvedimento favorevole in
base ad una rappresentazione errata della
realtà; e l’annullamento d’ufficio di una
concessione edilizia non richiede la
presenza di un interesse pubblico attuale e
concreto, a giustificazione del ricorso
all'autotutela, quando il rilascio della
concessione sia derivato da un'erronea
rappresentazione dei fatti.
Per giurisprudenza costante, nessun
affidamento può essere invocato da chi abbia
conseguito un provvedimento favorevole in
base ad una rappresentazione errata della
realtà; e l’annullamento d’ufficio di una
concessione edilizia –implicito nel
provvedimento impugnato, che dispone di
ricondurre il sottotetto non nello stato “condonato”
(nel 1990), ma in quello assentito con la
licenza edilizia originaria (del 1963)- non
richiede la presenza di un interesse
pubblico attuale e concreto, a
giustificazione del ricorso all'autotutela,
quando il rilascio della concessione sia
derivato da un'erronea rappresentazione dei
fatti (non importa se dolosa o colposa) da
parte del privato richiedente (cfr. Cons.
Stato, Sez. IV, 24.12.2008 n. 6554; Sez. V,
29.09.1999 n. 1213; Cons. giust. amm.
27.10.2006 n. 588)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.03.2010 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
requisiti di abitabilità dei sottotetti sono
stabiliti da una fonte primaria (l.r.
Lombardia 11.03.2005 n. 12 per il governo
del territorio), non derogabile neppure in
sede di condono (cioè di sanatoria
eccezionale) degli abusi edilizi, posto che
l’art. 35 della legge n. 47 del 1985 prevede
il rilascio del certificato di abitabilità o
agibilità anche in deroga ai requisiti
fissati da norme regolamentari, ma non in
deroga a norme legislative.
Come statuito
di recente da questo Tribunale (sent.
30.11.2009 n. 5213), i requisiti di
abitabilità dei sottotetti sono stabiliti da
una fonte primaria (legge regionale
11.03.2005 n. 12 per il governo del
territorio), non derogabile neppure in sede
di condono (cioè di sanatoria eccezionale)
degli abusi edilizi, posto che l’art. 35
della legge n. 47 del 1985 prevede il
rilascio del certificato di abitabilità o
agibilità anche in deroga ai requisiti
fissati da norme regolamentari, ma non in
deroga a norme legislative (cfr., sul tema,
Corte Cost. 18.07.1996 n. 256)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.03.2010 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Con
la nuova formulazione della legge 241/1990,
anche la “dichiarazione” di inizio attività
in materia urbanistico-edilizia è stata
disciplinata nel senso che, ove non sia
stata interdetta nei termini l'esecuzione
dell'opera, l'amministrazione, nel caso in
cui l'opera edilizia non sia conforme alle
disposizioni prescritte per la sua
realizzazione, può intervenire sulla
situazione così determinatasi -e cioè
rimuovere gli effetti dell'atto abilitativo
tacito formatosi per effetto del decorso del
termine- solo con un atto di autotutela,
analogo a quello che sarebbe possibile
adottare per rimuovere un'autorizzazione
espressa.
Una volta formatosi il titolo edilizio
conseguente alla d.i.a., l'intervento in
autotutela dell'Amministrazione può essere
giustificato soltanto nell'ambito di un
procedimento di secondo grado di
annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies,
della legge 241/1990, previo avviso di avvio
del procedimento all'interessato e previa
confutazione, ove ne sussistano i
presupposti, delle ragioni dallo stesso
eventualmente presentate nell'ambito della
partecipazione al procedimento.
Ai fini del tempestivo esercizio del potere
inibitorio, in materia di d.i.a., è
necessario far riferimento al momento in cui
l’atto interdittivo venga partecipato al suo
destinatario e cioè il termine è osservato
soltanto se prima della sua maturazione (30
gg. dalla data di presentazione della d.i.a.
al protocollo comunale) l'atto sia non
soltanto adottato, ma anche notificato.
Deve essere condivisa la censura con cui il
ricorrente deduce l’intervenuta estinzione
del potere inibitorio riservato
all’Amministrazione nel caso di interventi
edilizi realizzabili con d.i.a..
Al riguardo, è utile osservare che, ai sensi
dell'articolo 19, comma 3, della legge
241/1990, come sostituito dall'articolo 3
del d.l. 35/2005, convertito in legge
80/2005, applicabile ratione temporis
alla vicenda in esame, “l'amministrazione
competente, in caso di accertata carenza
delle condizioni, modalità e fatti
legittimanti, nel termine di 30 giorni dal
ricevimento della comunicazione (...) adotta
motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia
possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta
attività ed i suoi effetti entro un termine
fissato dall'amministrazione stessa, in ogni
caso non inferiore a 30 giorni”.
La giurisprudenza più recente (cfr. TAR
Campania, Napoli, II, 07.03.2008, n. 1167;
TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 02.10.2007,
n. 2253) ritiene che con la nuova
formulazione della legge 241/1990, anche la
“dichiarazione” di inizio attività in
materia urbanistico-edilizia sia stata
disciplinata nel senso che, ove non sia
stata interdetta nei termini l'esecuzione
dell'opera, l'amministrazione, nel caso in
cui l'opera edilizia non sia conforme alle
disposizioni prescritte per la sua
realizzazione, può intervenire sulla
situazione così determinatasi -e cioè
rimuovere gli effetti dell'atto abilitativo
tacito formatosi per effetto del decorso del
termine- solo con un atto di autotutela,
analogo (anche per quanto riguarda i
presupposti ed il modus procedendi) a
quello che sarebbe possibile adottare per
rimuovere un'autorizzazione espressa.
In altri termini, una volta formatosi il
titolo edilizio conseguente alla d.i.a.,
l'intervento in autotutela
dell'Amministrazione può essere giustificato
soltanto nell'ambito di un procedimento di
secondo grado di annullamento o revoca
d'ufficio, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies, della legge
241/1990, previo avviso di avvio del
procedimento all'interessato e previa
confutazione, ove ne sussistano i
presupposti, delle ragioni dallo stesso
eventualmente presentate nell'ambito della
partecipazione al procedimento (cfr. TAR
Sicilia, Catania, I, 09.01.2008, n. 74).
Ai fini del
tempestivo esercizio del potere inibitorio è
necessario far riferimento al momento in cui
l’atto interdittivo venga partecipato al suo
destinatario.
Sul punto, vale richiamare il tenore della
disposizione normativa di riferimento –art.
23, comma 6, del d.p.r. 380/2001- secondo
cui “il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, ove entro il
termine indicato al comma 1 sia riscontrata
l'assenza di una o più delle condizioni
stabilite, notifica all'interessato l'ordine
motivato di non effettuare il previsto
intervento….”.
Ad una piana lettura della richiamata
disposizione, appare, invero, dirimente il
chiaro tenore del contenuto precettivo della
disposizione di riferimento, dal quale si
evince la natura recettizia del
provvedimento de quo, sicché il
dies ad quem è rappresentato dalla sua
notifica, nel senso che il termine è
osservato soltanto se prima della sua
maturazione l'atto sia non soltanto
adottato, ma anche notificato (cfr. TAR
Campania, Napoli, Sezione II, n. 2093
dell’11.04.2008; idem, 25.06.2005, n. 8707)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 30.03.2010 n. 1725 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina delle distanze legali tra
costruzioni di cui all'art. 9 del D.M.
02.04.1968 n. 1444 è applicabile anche alle
sopraelevazioni e nel caso di edifici
pubblici.
E' noto infatti che la disciplina delle
distanze legali tra costruzioni di cui
all'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 è
applicabile anche alle sopraelevazioni.
La fattispecie
riguarda la costruzione della sede centrale
del Comando provinciale dei Vigili del
fuoco.
In mancanza di una disposizione delle norme
attuative del P.R.G. che, per la zona SP,
detti una speciale disciplina sulle distanze
delle opere di interesse statale dalle altre
costruzioni, debbono dunque trovare diretta
applicazione i limiti di cui all’art. 9,
comma 1, n. 2, del D.M. 02.04.1968, n. 1444,
il quale trae dall'art. 41-quinquies della
legge urbanistica la forza di integrare con
efficacia precettiva il regime delle
distanze nelle costruzioni (Cons. di St., V,
26.10.2006, n. 6399; cfr. anche TAR Liguria,
I, 30.6.2009, n. 1621; id., 19.12.2006, n.
1711; id., 07.07.2005, n. 1027).
Ed è appena il caso di osservare che,
quand’anche la deroga alle prescrizioni
spaziali contenuta nell’art. 19 delle N.T.A.
del P.R.I.S. dovesse ritenersi applicabile
anche alle opere di interesse statale (il
che pacificamente non è, non rientrando lo
Stato tra gli enti locali territoriali), la
disposizione, di natura regolamentare,
dovrebbe essere disapplicata perché in
contrasto con il D.M. 02.04.1968, n. 1444,
che trae dall’art. 41-quinquies, comma 8,
della L. 17.08.1942, n. 1150 la natura di
norma primaria (in tal senso Cons. di St.,
IV, 05.12.2005, n. 6909), ad essa
sovraordinata.
E’ noto infatti che il giudice
amministrativo, in conformità al principio
di gerarchia delle fonti, anche in sede di
giurisdizione generale di legittimità ha il
potere di disapplicare un regolamento non
conforme a legge (TAR Lombardia, IV,
18.07.2007, n. 5424)
(TAR Liguria,
sentenza 26.03.2010 n. 1235 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il presupposto per l’adozione
dell’ordine di demolizione di opere edilizie
abusive resta essenzialmente la constatata
realizzazione dell’opera in assenza del
titolo abilitativo (o in totale difformità
da esso), con la conseguenza che nella
ricorrenza del predetto requisito
l’ingiunzione demolitoria costituisce
praticamente un atto dovuto.
L'ordinanza
di demolizione di una costruzione abusiva
può essere emanata nei confronti del
proprietario attuale, anche se non
responsabile dell’abuso, considerando che
l’abuso edilizio costituisce un illecito
permanente e che l’ordinanza stessa ha
carattere ripristinatorio e non prevede
l’accertamento del dolo o della colpa del
soggetto.
La
repressione dell'abuso edilizio, disposta a
distanza di tempo ragguardevole, richiede
una puntuale motivazione sull'interesse
pubblico al ripristino dei luoghi. In tali
casi, infatti, per il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso ed il
protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione
preposta alla vigilanza, si ritiene che si
sia ingenerata una posizione di affidamento
nel privato, in relazione alla quale
l'esercizio del potere repressivo è
subordinato ad un onere di congrua
motivazione che, avuto riguardo anche
all'entità e alla tipologia dell'abuso,
indichi il pubblico interesse, evidentemente
diverso da quello ripristino della legalità,
idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse privato.
Per giurisprudenza costante “l’eventuale
compatibilità delle opere con la normativa
urbanistica vigente non può assumere
efficacia dirimente in assenza di un’istanza
di sanatoria, potendo tale profilo assumere
precipuo rilievo, ai fini dell’accertamento
di conformità in sede di procedura di
sanatoria dell’opera abusiva, ma non potendo
esso costituire –come è ovvio– un implicito
surrogato dell’assenso edilizio
concretamente non rilasciato; del resto, va
aggiunto per inciso, chi ha costruito senza
concessione, seppur in conformità allo
strumento urbanistico vigente, non gode
nemmeno di un’aspettativa alla sanatoria
(che, si ribadisce, nella specie non risulta
peraltro essere stata richiesta)
incondizionata e illimitata nel tempo.
Per questo motivo, ed è elemento
direttamente connesso alle lagnanze dei
ricorrenti, la conformità urbanistica non
costituisce elemento che porta di per sé a
declassare l’interesse pubblico a reagire
contro l’abuso edilizio, con le conseguenze
del caso sotto il profilo del corredo
motivazionale del provvedimento ingiuntivo
contestato.
Più in generale, va ribadito che il
presupposto per l’adozione dell’ordine di
demolizione di opere edilizie abusive resta
essenzialmente la constatata realizzazione
dell’opera in assenza del titolo abilitativo
(o in totale difformità da esso), con la
conseguenza che nella ricorrenza del
predetto requisito l’ingiunzione demolitoria
costituisce praticamente un atto dovuto”
(Consiglio di Stato sez. V, sentenza n.
3443/2002).
Quanto al profilo della valutazione degli
interessi urbanistici ed ambientali, i
provvedimenti che irrogano sanzioni previste
dalla legge in materia edilizia non
necessitano in generale di alcuna specifica
motivazione in ordine all’interesse pubblico
a disporre il ripristino della situazione
conforme a legge, con la sola eccezione che
di seguito verrà specificamente affrontata,
in cui tra l’illecito e la sanzione
demolitoria sia decorso un notevole lasso di
tempo (TAR Veneto, Sez. II - sentenza
13.03.2008 n. 605; TAR Veneto, Sez. II -
sentenza 26.02.2008, n. 454; TAR
Lombardia-Milano, Sez. II - sentenza
08.11.2007 n. 6200), né il Comune ha
discrezionalità nello stabilire le sanzioni
derivanti dall’inosservanza della normativa
urbanistica e di tutela ambientale.
Oggetto del
ricorso è l’ingiunzione di demolizione che,
come noto, può essere emanata anche nei
confronti del proprietario estraneo
all’abuso, e non la successiva ed eventuale
acquisizione, soltanto preannunciata nel
provvedimento de quo.
Infatti, per giurisprudenza costante,
l’ordinanza di demolizione di una
costruzione abusiva può essere emanata nei
confronti del proprietario attuale, anche se
non responsabile dell’abuso, considerando
che l’abuso edilizio costituisce un illecito
permanente e che l’ordinanza stessa ha
carattere ripristinatorio e non prevede
l’accertamento del dolo o della colpa del
soggetto (cfr. ex multis TAR
Sardegna, Cagliari, sez. II, 08.08.2008, n.
1649).
Nel provvedimento de quo, peraltro, la
ricorrente è indicata non solo quale
soggetto responsabile ma anche correttamente
quale proprietaria, per cui l’eventuale
erroneità dell’indicazione della stessa
quale responsabile, risulta del tutto
irrilevante potendo il provvedimento
legittimante fondarsi sull’altro
presupposto, del pari indicato nel
provvedimento, della proprietà dell’immobile
abusivo.
Per un orientamento giurisprudenziale del
Consiglio di Stato, seguito di recente da
questa Sezione (cfr. TAR Campania–Napoli,
Sez. IV, n. 2357 del 05.05.2009) la
repressione dell'abuso edilizio, disposta a
distanza di tempo ragguardevole, richiede
una puntuale motivazione sull'interesse
pubblico al ripristino dei luoghi.
In tali casi, infatti, per il lungo lasso di
tempo trascorso dalla commissione dell'abuso
ed il protrarsi dell'inerzia
dell'amministrazione preposta alla
vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata
una posizione di affidamento nel privato, in
relazione alla quale l'esercizio del potere
repressivo è subordinato ad un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche all'entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello ripristino
della legalità, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
privato (C.d.S., Sez. V, 04.03.2008, n. 883;
C.d.S. Sez. V, n. 3270/2006)
(TAR
Campania-Napolil, Sez. IV,
sentenza 23.03.2010 n. 1563 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Malato,
ma non era a casa. Scusato: stava da mamma.
Il lavoratore assente per malattia, che non
si fa trovare in casa dal medico fiscale,
non è sanzionabile se è andato a fare visita
alla madre ricoverata in ospedale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez.
lavoro, con la
sentenza 09.03.2010
n. 5718.
La pronuncia fornisce un ulteriore
chiarimento su come debba interpretarsi la
normativa che prevede la trattenuta
dell'intera giornata di retribuzione per chi
si assenta durante le ore di reperibilità. E
si aggiunge a un'altra sentenza, emanata
dalla Corte costituzionale, con la quale è
stato stabilito che la trattenuta non può
essere disposta fino a quando il medico
fiscale non abbia fatto un ulteriore
tentativo e che anche questo sia andato a
vuoto (78/88).
La Cassazione, peraltro, fin dal 2004 ha
spiegato che l'assenza alla visita di
controllo, per non essere sanzionata dalla
perdita del trattamento economico di
malattia «può essere giustificata, oltre
che dal caso di forza maggiore, da ogni
situazione la quale, ancorché non
insuperabile e nemmeno tale da determinare,
ove non osservata, la lesione di beni
primari, abbia reso indifferibile altrove la
presenza personale dell'assicurato, secondo
un accertamento riservato al giudice del
merito (n. 22065/2004)».
Ma questa volta si è spinta a decidere anche
nel merito, rigettando il ricorso e
chiarendo ulteriormente che fornire
assistenza alla propria madre ricoverata in
un centro specialistico di riabilitazione e
«priva di altro sostegno morale in quanto
divorziata e senza altri familiari»
configura un'esigenza di solidarietà e di
vicinanza familiare senz'altro meritevole di
tutela nell'ambito dei rapporti
etico-sociali garantiti dalla Costituzione
(art. 29). E comunque il lavoratore aveva
anche spiegato che l'orario di visita presso
il centro sanitario coincideva con quello di
reperibilità.
La posizione assunta dalle magistrature
superiori consente di trarre alcune
conclusioni.
In primo luogo, è illegittima la trattenuta
della giornata di retribuzione se il medico
fiscale non dimostra di avere fatto almeno
due tentativi, andati a vuoto, in orari
diversi per rintracciare il lavoratore
assente. E in ogni caso se l'irreperibilità
è dovuta a forza maggiore o alla necessità
di soddisfare un interesse meritevole di
tutela, l'assenza è comunque giustificata
(articolo ItaliaOggi del 27.04.2010, pag.
37). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Associazioni ambientalistiche: il
ricorso deve provenire dalla rappresentanza
nazionale.
Il Consiglio di Stato ha definitivamente
fissato il principio secondo cui la
legittimazione ad “intervenire nei
giudizi per danno ambientale e ricorrere in
sede di giurisdizione amministrativa per
l’annullamento di atti illegittimi”,
prevista dall’ art. 18 della legge n.
349/1986, spetta alla sola associazione
ambientalistica nazionale -destinataria del
decreto di individuazione di cui all’art. 13
della legge citata- e non alle sue strutture
territoriali, le quali non possono ritenersi
munite di autonoma legittimazione neppure
per l'impugnazione di un provvedimento ad
efficacia territorialmente limitata.
Nemmeno un eventuale disposizione dello
statuto dell’associazione o un accordo fra
gli associati potrebbe portare a derogare lo
speciale regime pubblicistico sulla
legittimazione ad agire, che discende
dall’art. 13 della legge n. 349/1986 e dal
provvedimento ministeriale attuativo.
Di più: la carenza di legittimazione
all’impugnativa non può neppure "formare
oggetto di sanatoria in virtù di successivo
atto di ratifica". Questa potrebbe
infatti intervenire a convalida del difetto
di rappresentanza organica della persona
fisica che ha promosso la lite, ma non al
fine di conferire, sul piano sostanziale, la
legittimazione alla contestazione dell’atto
di rilievo ambientale ad ente che ne è
privo, essendo la titolarità dell’ azione
-nei limiti e per l’ oggetto individuato
dall’ art. 18 comma quinto, della legge n.
349/1986– riservata alle sole associazioni
selezionate ai sensi dell’ art. 13 della
legge medesima.
La sentenza ha condannato Legambiente alla
rifusione delle spese di giudizio (commento
tratto da http://studiospallino.blogspot.com
- Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.03.2010 n. 1410 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Alla lavoratrice madre o al
lavoratore padre di figli con handicap in
situazione di gravità, deve riconoscersi il
diritto ad usufruire, in alternativa al
prolungamento fino a tre anni del congedo
parentale, di due ore di permesso
giornaliero retribuito per ciascun bambino
rientrante in tale categoria fino al
compimento del terzo anno di vita.
La Corte Suprema di Cassazione ha deciso che
alla lavoratrice madre o al lavoratore padre
di figli con handicap in situazione di
gravità, deve riconoscersi il diritto ad
usufruire, in alternativa al prolungamento
fino a tre anni del congedo parentale, di
due ore di permesso giornaliero retribuito
per ciascun bambino rientrante in tale
categoria fino al compimento del terzo anno
di vita.
Il principio espresso dalla Cassazione trae
origine dalla vicenda di un lavoratore,
padre di due gemelli riconosciuti portatori
di handicap in situazione di gravità, a cui
è stato negato, dal datore di lavoro, il
diritto ad usufruire di due permessi
giornalieri retribuiti ai sensi dell'art. 33
della legge 104/1992 e dell'art. 42 del
decreto legislativo 151/2001.
La Corte ha motivato la sua decisione
sostenendo che, se fosse limitata
l'assistenza a sole due ore si creerebbe una
irragionevole disparità di trattamento, che
non era nelle intenzioni del legislatore,
rispetto all'ipotesi di pluralità di bambini
non svantaggiati, per i quali viene
prevista all'art. 41 del D.Lgs. 151/2001 la
moltiplicazione dei periodi di riposo
giornaliero.
La sentenza riveste notevole importanza a
seguito della riforma del processo civile
che consente alla Cassazione di dichiarare
inammissibili i ricorsi contro sentenze che
decidono in conformità ai principi di
diritto enunciati dalla Cassazione stessa,
in pratica una volta che la Cassazione ha
deciso in un modo, se le vengono sottoposte
questioni analoghe può limitarsi a
rigettarle (Corte di Cassazione, Sez.
lavoro,
sentenza
25.02.2010 n. 4623). |
EDILIZIA PRIVATA: Chi
ha costruito senza concessione, seppur in
conformità allo strumento urbanistico
vigente, non gode di un’aspettativa alla
sanatoria incondizionata e illimitata nel
tempo.
Il presupposto per l’adozione dell’ordine di
demolizione di opere edilizie abusive resta
essenzialmente la constatata realizzazione
dell’opera in assenza del titolo abilitativo
(o in totale difformità da esso), con la
conseguenza che nella ricorrenza del
predetto requisito l’ingiunzione demolitoria
costituisce praticamente un atto dovuto.
L’indicazione dell’area di sedime non
costituisce elemento essenziale
dell’ingiunzione di demolizione ma solo
dell’ordinanza di acquisizione.
L’ordinanza di demolizione di una
costruzione abusiva può essere emanata nei
confronti del proprietario attuale, anche se
non responsabile dell’abuso, considerando
che l’abuso edilizio costituisce un illecito
permanente e che l’ordinanza stessa ha
carattere ripristinatorio e non prevede
l’accertamento del dolo o della colpa del
soggetto.
La repressione dell'abuso edilizio, disposta
a distanza di tempo ragguardevole, richiede
una puntuale motivazione sull'interesse
pubblico al ripristino dei luoghi. In tali
casi, infatti, per il lungo lasso di tempo
trascorso dalla commissione dell'abuso ed il
protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione
preposta alla vigilanza, si ritiene che si
sia ingenerata una posizione di affidamento
nel privato, in relazione alla quale
l'esercizio del potere repressivo è
subordinato ad un onere di congrua
motivazione che, avuto riguardo anche
all'entità e alla tipologia dell'abuso,
indichi il pubblico interesse, evidentemente
diverso da quello ripristino della legalità,
idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse privato.
Per giurisprudenza costante “l’eventuale
compatibilità delle opere con la normativa
urbanistica vigente non può assumere
efficacia dirimente in assenza di un’istanza
di sanatoria, potendo tale profilo assumere
precipuo rilievo, ai fini dell’accertamento
di conformità in sede di procedura di
sanatoria dell’opera abusiva, ma non potendo
esso costituire –come è ovvio– un implicito
surrogato dell’assenso edilizio
concretamente non rilasciato; del resto, va
aggiunto per inciso, chi ha costruito senza
concessione, seppur in conformità allo
strumento urbanistico vigente, non gode
nemmeno di un’aspettativa alla sanatoria
(che, si ribadisce, nella specie non risulta
peraltro essere stata richiesta)
incondizionata e illimitata nel tempo.
Per questo motivo, ed è elemento
direttamente connesso alle lagnanze dei
ricorrenti, la conformità urbanistica non
costituisce elemento che porta di per sé a
declassare l’interesse pubblico a reagire
contro l’abuso edilizio, con le conseguenze
del caso sotto il profilo del corredo
motivazionale del provvedimento ingiuntivo
contestato.
Più in generale, va ribadito che il
presupposto per l’adozione dell’ordine di
demolizione di opere edilizie abusive resta
essenzialmente la constatata realizzazione
dell’opera in assenza del titolo abilitativo
(o in totale difformità da esso), con la
conseguenza che nella ricorrenza del
predetto requisito l’ingiunzione demolitoria
costituisce praticamente un atto dovuto”
(Consiglio di Stato sez. V, sentenza n.
3443/2002).
Per
giurisprudenza costante l’indicazione
dell’area di sedime non costituisce elemento
essenziale dell’ingiunzione di demolizione
ma solo dell’ordinanza di acquisizione: “siffatta
specificazione è elemento essenziale del
provvedimento di accertamento della mancata
ottemperanza alla demolizione: la legge n.
47 del 1985 ha infatti distinto, nell’ambito
dell’articolo 7, i due atti, di ingiunzione
e acquisitivo, basando il primo sul
presupposto dell’abuso, con il contenuto
proprio della contestazione della
trasgressione e dell’ordine di demolizione,
e, il secondo, sul presupposto della
verifica di inottemperanza al primo, con
l’effetto proprio dell’acquisizione.
Requisiti dell’ingiunzione di demolizione
sono perciò l’esistenza della condizione che
la rende vincolata, cioè l’accertata
esecuzione di opere abusive, e il
conseguente ordine di demolizione, non anche
la specificazione puntuale della portata
delle successive sanzioni, richiamate
nell’atto quanto alla tipologia preordinata
dalla legge, ma recate con successivo,
eventuale provvedimento” (ex multis
C.d.S., Sez. V, 26.01.2000, n. 341;
Consiglio di Stato, Sez .IV, 26.09.2008 n.
4659).
Per
giurisprudenza costante l’ordinanza di
demolizione di una costruzione abusiva può
essere emanata nei confronti del
proprietario attuale, anche se non
responsabile dell’abuso, considerando che
l’abuso edilizio costituisce un illecito
permanente e che l’ordinanza stessa ha
carattere ripristinatorio e non prevede
l’accertamento del dolo o della colpa del
soggetto (cfr. ex multis Tar
Sardegna, Cagliari, sez. II, 08.08.2008, n.
1649).
Nel provvedimento de quo infatti i
ricorrenti sono indicati non solo quali
soggetti responsabili ma anche quali
proprietari, per cui l’eventuale erroneità
dell’indicazione degli stessi quali
responsabili, risulta del tutto irrilevante
potendo il provvedimento legittimante
fondarsi sull’altro presupposto, del pari
indicato nel provvedimento, della proprietà
dell’immobile abusivo.
Per un
orientamento giurisprudenziale del Consiglio
di Stato, seguito di recente da questa
Sezione (cfr TAR Campania (NA) Sez. IV n.
2357 del 05.05.2009), la repressione
dell'abuso edilizio, disposta a distanza di
tempo ragguardevole, richiede una puntuale
motivazione sull'interesse pubblico al
ripristino dei luoghi.
In tali casi, infatti, per il lungo lasso di
tempo trascorso dalla commissione dell'abuso
ed il protrarsi dell'inerzia
dell'amministrazione preposta alla
vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata
una posizione di affidamento nel privato, in
relazione alla quale l'esercizio del potere
repressivo è subordinato ad un onere di
congrua motivazione che, avuto riguardo
anche all'entità e alla tipologia
dell'abuso, indichi il pubblico interesse,
evidentemente diverso da quello ripristino
della legalità, idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse
privato (C.d.S., Sez. V, 04.03.2008, n. 883;
C.d.S. Sez. V, n. 3270/2006) (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 29.12.2009 n. 9620 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Il provvedimento amministrativo è
sufficientemente motivato con il richiamo per relationem
ad altro atto che non deve essere allegato
al provvedimento medesimo, essendo
sufficiente che esso venga reso disponibile,
rimettendo cioè la concreta disponibilità
all’attivazione dell’interessato a mezzo del
diritto di accesso ed eventualmente dei
poteri di acquisizione istruttoria propri
del giudice in sede giurisdizionale.
Per consolidata
giurisprudenza il provvedimento
amministrativo è sufficientemente motivato
con il richiamo per relationem ad
altro atto (ex multis Consiglio di
Stato, sez. IV, 16.10.2006, n. 6165) che non
deve essere allegato al provvedimento
medesimo, essendo sufficiente che esso venga
reso disponibile, rimettendo cioè la
concreta disponibilità all’attivazione
dell’interessato a mezzo del diritto di
accesso ed eventualmente dei poteri di
acquisizione istruttoria propri del giudice
in sede giurisdizionale (TAR Sicilia
Palermo, sez. I, 23.05.2006, n. 1230).
Ed invero, la mancata allegazione al
provvedimento definitivo degli atti
presupposti (autonomi o endoprocedimentali)
non determina la sua illegittimità, ma al
più comporta la non decorrenza dei termini
di decadenza (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 29.12.2009 n. 9620 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Insidia stradale e pericolo
occulto: l'onere della prova a carico del
danneggiato.
Perché possa sussistere una responsabilità
ex art. 2043 c.c. da “insidia” in occasione
di lavori di scavo e pavimentazione della
sede stradale, è necessario che il
danneggiato dimostri tanto la pericolosità
oggettiva dell'insidia, quanto la sua
imprevedibilità e inevitabilità con l'uso
della normale diligenza (TRIBUNALE
Caltanissetta, Sez. civile,
sentenza 19.12.2009 n. 614 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: L'esercizio
dei poteri repressivi in materia di abusi
edilizi non incontra alcun termine di
decadenza o di prescrizione.
L'interessato ha l'onere di provare le
proprie affermazioni circa l'epoca di
realizzazione del manufatto abusivo.
I provvedimenti sanzionatori in materia
edilizia, compresa l'ordinanza di
demolizione, in quanto atti vincolati, non
richiedono una specifica motivazione su
puntuali ragioni di interesse pubblico o
sulla comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati.
Il Collegio osserva che l'esercizio dei
poteri repressivi in materia di abusi
edilizi non incontra alcun termine di
decadenza o di prescrizione (cfr., ex
pluribus, Consiglio di Stato, Sez. IV,
27.04.2004, n. 2529); l'interessato ha
l'onere di provare le proprie affermazioni
circa l'epoca di realizzazione del manufatto
abusivo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V,
12.10.1999, n. 1440); i provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia, compresa
l'ordinanza di demolizione, in quanto atti
vincolati, non richiedono una specifica
motivazione su puntuali ragioni di interesse
pubblico o sulla comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati (Cfr. TAR
Friuli-Venezia Giulia, 13.12.2006, n. 808)
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 05.06.2009 n. 427 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: L'approvazione
del piano di lottizzazione, pur se conforme
al piano regolatore generale, non è atto
dovuto ma costituisce sempre espressione di
potere discrezionale dell'Autorità (a
livello comunale o regionale) chiamata a
valutare l'opportunità di dare attuazione
-in un certo momento ed in certe condizioni-
alle previsioni dello strumento urbanistico
generale, essendovi fra quest'ultimo e gli
strumenti attuativi un rapporto di
necessaria compatibilità, ma non di formale
coincidenza.
L'approvazione del piano di lottizzazione,
pur se conforme al piano regolatore generale
o al programma di fabbricazione, non è atto
dovuto, ma costituisce sempre espressione di
potere discrezionale dell'Autorità (a
livello comunale o regionale), chiamata a
valutare l'opportunità di dare attuazione
-in un certo momento ed in certe condizioni-
alle previsioni dello strumento urbanistico
generale, essendovi fra quest'ultimo e gli
strumenti attuativi un rapporto di
necessaria compatibilità, ma non di formale
coincidenza; pertanto, per evidenti motivi
di opportunità, l'attuazione dello strumento
generale può essere articolata per tempi, o
per modalità, in relazione alle esigenze
dinamiche che si manifestano nel periodo di
vigenza dello strumento generale (Sez. IV,
02.03.2004, n. 957)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.01.2008 n. 248 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Non
è possibile accordare il risarcimento del
danno da ritardo della p.a. nel caso in cui
i provvedimenti adottati in ritardo
risultino di carattere negativo per colui
che ha presentato la relativa istanza di
rilascio e le statuizioni in essi contenute
siano divenute intangibili per la omessa
proposizione di una qualunque impugnativa.
Secondo il
consolidato orientamento di questo Consiglio
di Stato (Ad. Plen. 15.09.2005, n. 7; Sez.
VI, 31.01.2006, n. 321), non è possibile
accordare il risarcimento del danno da
ritardo della p.a. nel caso in cui i
provvedimenti adottati in ritardo risultino
di carattere negativo per colui che ha
presentato la relativa istanza di rilascio e
le statuizioni in essi contenute siano
divenute intangibili per la omessa
proposizione di una qualunque impugnativa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.01.2008 n. 248 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La previa comunicazione di avvio
del procedimento, ex art. 7 della l. n.
241/1990, non è richiesta quando il
procedimento è stato attivato su istanza di
parte.
Non si può annullare il provvedimento
afflitto da vizi procedimentali o formali
qualora, per il carattere vincolato del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato.
Secondo la costante giurisprudenza (cfr.
ex plurimis, C.d.S., Sez. IV,
20.12.2005, n. 7257), la previa
comunicazione di avvio del procedimento, ex
art. 7 della l. n. 241/1990, non è richiesta
quando il procedimento è stato attivato su
istanza di parte.
La norma di cui
all’art. 21-octies, comma 2, parte prima,
della l. n. 241/1990, com’è noto, esclude
che si possa annullare il provvedimento
afflitto da vizi procedimentali o formali
(tra i quali l’indirizzo giurisprudenziale
cui il Collegio ritiene di aderire include
anche il vizio di motivazione: TAR Sardegna,
Sez. II, 31.03.2006, n. 476; TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 08.05.2006, n. 1173)
qualora, per il carattere vincolato del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2007 n. 372 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di abusi edilizi, è
legittima l’effettuazione di accertamenti a
sorpresa da parte della P.A. qualora le
circostanze lo impongano per garantire la
genuinità di tali accertamenti.
Si
deve considerare legittima l’effettuazione
di accertamenti a sorpresa da parte della
P.A. qualora le circostanze lo impongano per
garantire la genuinità di tali accertamenti
(C.d.S., Sez. VI, 18.05.2004, n. 3190)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2007 n. 372 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lo
sbancamento del terreno non può, da solo,
essere considerato quale inizio dei lavori,
non essendo di per sé idoneo a dimostrare la
volontà effettiva del titolare della
concessione di realizzare il manufatto
assentito.
Per la
giurisprudenza consolidata lo sbancamento
del terreno non può, da solo, essere
considerato quale inizio dei lavori, non
essendo di per sé idoneo a dimostrare la
volontà effettiva del titolare della
concessione di realizzare il manufatto
assentito (cfr., ex plurimis, TAR
Lazio, Roma, Sez. II, 11.05.2006, n. 3480;
C.d.S., Sez. IV, 03.10.2000, n. 5242)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2007 n. 372 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’adozione
di un nuovo strumento urbanistico non può
incidere sulla pretesa del titolare della
concessione edilizia ad ottenerne la proroga
ex art. 4 l. 10/1977 giacché l’opposta tesi,
la quale considera la proroga assoggettabile
alla normativa sopravvenuta, non tiene conto
dell’eccezionalità del rimedio previsto
dall’art. 4 della l. n. 10 cit. rispetto al
diverso istituto del rinnovo della
concessione scaduta.
Nel caso in cui il provvedimento di proroga
della concessione edilizia viene richiesto
dopo nuove previsioni dello strumento
urbanistico, queste non possono di regola
interferire su detta richiesta, alla luce
del principio di irretroattività dell’atto
amministrativo, né si può applicare
l’istituto della salvaguardia, poiché ai
fini della proroga la normativa sopravvenuta
resta irrilevante, non potendo essa incidere
su degli atti validi ed efficaci al momento
della sua entrata in vigore.
Il procedimento di rilascio della proroga
della concessione ha natura vincolata,
essendo il rilascio stesso condizionato
all’accertamento della ricorrenza dei
relativi presupposti: ciò, sul rilievo che
la proroga è atto sfornito di una propria
autonomia, che accede all’originaria
concessione ed opera soltanto lo spostamento
in avanti del suo termine finale di
efficacia, con il corollario, dunque, che
dalla natura vincolata del procedimento di
rilascio della concessione edilizia non
potrebbe non farsi discendere la
vincolatività del procedimento di rilascio
della proroga di essa.
La
giurisprudenza ha chiarito che l’adozione di
un nuovo strumento urbanistico non può
incidere sulla pretesa del titolare della
concessione edilizia ad ottenerne la proroga
ex art. 4 cit., giacché l’opposta tesi, la
quale considera la proroga assoggettabile
alla normativa sopravvenuta, non tiene conto
dell’eccezionalità del rimedio previsto
dall’art. 4 della l. n. 10 cit. rispetto al
diverso istituto del rinnovo della
concessione scaduta (TAR Puglia, Lecce, Sez.
III, 08.04.2005, n. 1979).
Invero, nel caso in cui il provvedimento di
proroga della concessione edilizia viene
richiesto dopo nuove previsioni dello
strumento urbanistico, queste non possono di
regola interferire su detta richiesta, alla
luce del principio di irretroattività
dell’atto amministrativo, né si può
applicare l’istituto della salvaguardia,
poiché ai fini della proroga la normativa
sopravvenuta resta irrilevante, non potendo
essa incidere su degli atti validi ed
efficaci al momento della sua entrata in
vigore (TAR Sicilia, Catania, Sez. I,
03.07.2001, n. 1308).
Al Collegio non sfugge l’utilizzo, nell’art.
4, quarto comma, della l. n. 10/1977, del
verbo “potere” a proposito
dell’ottenimento della proroga (“…il
termine di ultimazione….può essere
prorogato…”), cioè del verbo che
contraddistingue, nel linguaggio
legislativo, la presenza di un potere
discrezionale della P.A., né il Collegio
ignora che, alla stregua di un orientamento
giurisprudenziale, il potere del Comune di
valutare la presenza o meno dei requisiti
per accordare la proroga avrebbe natura
discrezionale (C.d.S., Sez. V, 17.01.2000,
n. 283). A tale stregua, non sarebbe quindi
applicabile alla fattispecie de qua
l’art. 21-octies, comma 2, prima parte,
della l. n. 241/1990, che concerne la sola
attività vincolata della Pubblica
Amministrazione.
In contrario, ritiene tuttavia il Collegio
che il procedimento di rilascio della
proroga della concessione abbia natura
vincolata, essendo il rilascio stesso
condizionato all’accertamento della
ricorrenza dei relativi presupposti: ciò,
sul rilievo che la proroga è atto sfornito
di una propria autonomia, che accede
all’originaria concessione ed opera soltanto
lo spostamento in avanti del suo termine
finale di efficacia (TAR Puglia, Lecce, n.
1979/2005, cit.), con il corollario, dunque,
che dalla natura vincolata del procedimento
di rilascio della concessione edilizia non
potrebbe non farsi discendere la
vincolatività del procedimento di rilascio
della proroga di essa.
Se ne deduce l’applicabilità, al caso in
esame, dell’art. 21-octies, comma 2, prima
parte, cit., e quindi la non annullabilità
del diniego gravato, tenuto conto:
- della natura vincolata del procedimento di
proroga;
- della riconducibilità dei vizi di
motivazione alla categoria dei vizi formali
ex art. 21-octies cit., e del conseguente
potere, in capo al giudice, di analizzare
anche profili motivazionali non esplicitati
nell’originario provvedimento
amministrativo, ma esternati, ad
integrazione della motivazione ed in ordine
ad elementi già preesistenti, anche in un
momento successivo e per opera di un
soggetto diverso, ossia del difensore della
P.A. (cfr. TAR Sardegna, n. 476/2006, cit.);
- della circostanza che, come già
evidenziato, nel caso di specie è palese che
il contenuto dispositivo del provvedimento
impugnato non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2007 n. 372 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Sulla
competenza della Soprintendenza ad esprimere
il parere su di una lottizzazione.
La competenza delle Soprintendenze ad
esprimere pareri in materia di lottizzazione
è fissata dall’art. 28 della l. 17.08.1942,
n. 1150 (legge urbanistica), come modificata
dalla L. 765 del 1967, che al comma secondo
dispone: “Nei comuni forniti di programma
di fabbricazione ed in quelli dotati di
piano regolatore generale fino a quando non
sia stato approvato il piano
particolareggiato di esecuzione, la
lottizzazione di terreni a scopo edilizio
può essere autorizzata dal Comune previo
nulla osta del provveditore regionale alle
opere pubbliche, sentita la sezione
urbanistica regionale, nonché la competente
soprintendenza”.
L’espressione
del parere della Soprintendenza è basato su
un giudizio che attiene alla discrezionalità
tecnica dell’Amministrazione ed è
sindacabile in sede di legittimità solo per
difetto di motivazione, illogicità manifesta
ed errore di fatto (cfr. ex plurimis
Cons. St., VI Sez., n. 1766/2001)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.01.2005 n. 256 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: L’imposizione
di vincolo di notevole interesse
storico-artistico non è condizionato ad una
ponderazione dell’interesse culturale con
altri interessi, pubblici e privati,
dovendosi riconoscere al primo, in
conformità all’art. 9 Cost., un valore
assoluto e, quindi, una prevalenza
istituzionale.
Costituisce principio affermato in
giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI sez. n.
4658/00) che l’imposizione di vincolo di
notevole interesse storico-artistico non è
condizionato ad una ponderazione
dell’interesse culturale con altri
interessi, pubblici e privati, dovendosi
riconoscere al primo, in conformità all’art.
9 Cost., un valore assoluto e, quindi, una
prevalenza istituzionale
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.01.2005 n. 256 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
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