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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di NOVEMBRE 2009

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aggiornamento al 30.11.2009

aggiornamento al 23.11.2009

aggiornamento al 16.11.2009

aggiornamento al 09.11.2009

aggiornamento al 02.11.2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 30.11.2009

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NEWS

INCENTIVO PROGETTAZIONE: Gli incentivi alla progettazione tornano al 2%. Sì bipartisan al senato su un emendamento della Lega Nord al ddl lavoro collegato alla manovra 2009.
Torna al 2% lordo del valore dell'opera pubblica da appaltare l'incentivo per il personale tecnico delle amministrazioni pubbliche.
La novità è contenuta in un emendamento al disegno di legge delega in materia di lavoro, collegato alla Finanziaria 2009, che è stato approvato ieri (con 148 sì, 112 no e cinque astenuti) dall'aula di Palazzo Madama dopo un esame di oltre un anno. Il testo dovrà ora tornare all'esame della camera.
L'aula del senato ha detto sì in modo bipartisan all'emendamento presentato dal senatore leghista Sandro Mazzatorta, teso a sopprimere l'articolo 18, comma 4-sexies, del dl 185/2008, come convertito dalla legge 2/2009.
Tale norma dispone che «a decorrere dal 1° gennaio 2009, la percentuale prevista dall'articolo 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, e successive modificazioni, è destinata nella misura dello 0,5% alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell'1,5%, è versata ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello stato per essere destinata al fondo di cui al comma 17 del presente articolo». «Speriamo che con l'approvazione dell'emendamento sia stata scritta la parola fine sulla quantificazione dell'incentivo alla progettazione, oggetto di un vero e proprio balletto negli ultimi anni», ha dichiarato Mazzatorta a ItaliaOggi. «Abbiamo raccolto il grido di dolore degli enti locali», prosegue, «perché a causa della riduzione allo 0,5 gli incentivi per i progettisti si sono ridotti di un quarto».
Come è noto, la vicenda degli incentivi è stata particolarmente sofferta, perché la disposizione era stata una prima volta prevista dal dl 112/2008, convertito in legge 133/2008, poi soppressa, poi ripristinata dalla legge 2/2009. Non solo: notevoli sono stati anche i problemi interpretativi sulla portata della disposizione. La magistratura contabile ha concordato di considerarla valevole solo per le progettazioni affidate ai tecnici successivamente alla data dell'01/01/2009, ritenendola non retroattiva; una teoria certamente di favore nei confronti dei tecnici, ma non completamente persuasiva, per altro contraria alle interpretazioni fornite, invece, della Ragioneria generale dello stato.
Le amministrazioni, pertanto, si sono trovate per mesi prese tra due fuochi: la Ragioneria generale, da un lato, che invitava a un'applicazione a qualsiasi pagamento successivo all'01/01/2009; i tecnici, anche suffragati dalla lettura datane dalla magistratura contabile, che cercavano di difendere la tesi loro più favorevole.
Al fondo, comunque, resta il problema del malcontento dei tecnici, che ha portato a dei veri e propri scontri con le amministrazioni. Infatti, la riduzione a un quarto dell'incentivo ha avuto effetti oggettivamente disincentivanti, spingendo i tecnici, anche se non del tutto giustificatamente, a tenersi lontano dagli incarichi interni.
L'emendamento, dunque, finisce per eliminare una norma controversa e di dubbia utilità, ripristinando il precedente sistema.
Tra le altre novità contenute nel collegato lavoro si segnala l'approvazione di un emendamento che aumenta la Robin Tax a carico delle grandi aziende petrolifere e dell'energia dal 6,5% al 7,5%.
Soddisfatto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, secondo il quale con il testo approvato ieri «si semplifica il processo del lavoro, nel senso che si riduce il contenzioso, si consente la possibilità di risolverlo attraverso l'arbitrato e la conciliazione» (articolo ItaliaOggi del 27.11.2009, pag. 39).

EDILIZIA PRIVATALombardia, Online l’invio della notifica preliminare inizio lavori in cantiere.
La Regione Lombardia e la Direzione Regionale del Lavoro per la Lombardia hanno disposto che la trasmissione della notifica preliminare inizio lavori in cantiere e dei suoi aggiornamenti avvenga tramite sistema informatizzato (http://www.previmpresa.servizirl.it/cantieri).
L’inserimento della notifica preliminare online garantisce la trasmissione all’ASL e alla Direzione Provinciale del Lavoro (DPL) competente e permette la stampa dell’atto utile per l’affissione presso il cantiere.
L’utilizzo della modalità di invio informatizzata è raccomandato a partire dal mese di ottobre 2009 e diverrà obbligatorio a partire dall'01.01.2010 (ASL di Bergamo, nota 23.11.2009 n. 173485 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, DISTRIBUTORI DI CARBURANTE AD USO PRIVATO – RICHIESTA AUTORIZZAZIONE – REGOLARIZZAZIONE IMPIANTI ENTRO IL 20.06.2010 (link a www.ancebrescia.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Sottoscritta, in data 19.11.2009, l’ipotesi di CCNL dell’area della dirigenza delle Regioni e delle autonomie Locali per il quadriennio normativo 2006-2009 e per il biennio economico 2006-2007 (link a www.aranagenzia.it).

APPALTI: Appalti, ricorsi al Tar in 30 giorni. Il consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto che recepisce la direttiva ricorsi. Spazio agli accordi bonari e agli arbitrati (con costi ridotti).
Ricorsi al Tar per appalti e concessioni entro 30 giorni, con limitazioni delle sospensive e tempi più rapidi; introduzione del «mediatore unico» nell'accordo bonario; possibilità di ottenere l'annullamento di un provvedimento emesso in sede di gara, attraverso una nuova procedura di precontenzioso da chiudere entro dieci giorni dalla richiesta; eliminazione della possibilità di ricorso straordinario al capo dello stato, riduzione dei costi per accordi bonari e arbitrati; divieto di stipula del contratto prima di 40 giorni dall'aggiudicazione definitiva.
Sono queste alcune delle principali novità contenute nello schema di decreto delegato attuativo dell'articolo 44 della legge 88/2008 (legge comunitaria per il 2008), approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri di ieri che reca diverse modifiche al codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006), anticipato su ItaliaOggi del 25/11/2009.
Il provvedimento, nel recepire la «direttiva ricorsi» (2007/66/Ce), introduce nel nostro ordinamento una nuova procedura di precontenzioso che consentirà al concorrente di comunicare alla stazione appaltante che proporrà ricorso su un determinato provvedimento indicando i motivi della censura. Su questa informativa entro 5 giorni il responsabile del procedimento dovrà formulare le sue deduzioni al dirigente competente il quale; nei successivi 5 giorni, deciderà se intervenire in sede di autotutela, annullando il provvedimento contestato. L'informativa non inciderà, in ogni caso, sul termine per la stipula del contratto né su altri termini anche processuali.
Una delle ulteriori e numerose novità previste dal decreto delegato è rappresentata dalla sostituzione del responsabile del procedimento che deve formulare la proposta di accordo bonario ai sensi dell'articolo 240, comma 13 del codice, con la figura del «mediatore unico», scelto d'intesa tra le parti o, in difetto, nominato dal tribunale competente»; questa figura deve comunque essere scelta fra magistrati amministrativi o contabili, tra gli avvocati dello stato o i componenti del consiglio superiore dei lavori pubblici, ovvero tra avvocati in possesso dei requisiti richiesti dall'articolo 241, comma 5 del codice per la nomina a presidente del collegio arbitrale. Non sarà quindi più il responsabile del procedimento, bensì il mediatore unico a formulare la proposta di accordo bonario entro 60 giorni.
Il decreto stabilisce che si potrà fare luogo ad arbitrato ovvero a giudizio ordinario, solo in caso di mancato raggiungimento dell'accordo bonario, a seguito di un effettivo esperimento dello stesso e di una effettiva trattativa tra le parti e non più, quindi, in caso di inerzia delle parti in fase di accordo bonario.
Vengono poi ridotti dal 50 al 25% dei minimi tariffari i compensi per la commissione di accordo bonario e si vietano espressamente gli incrementi. Per gli arbitrati viene anche ammesso che il concorrente che abbia rinunciato ad esercitare la facoltà di declinare la clausola compromissoria possa indicare, separatamente, una percentuale di ribasso sul prezzo in ragione dei minori oneri finanziari derivanti dalla maggiore celerità di risoluzione delle eventuali controversie relative all'esecuzione del contratto. Si potrà anche evitare di nominare il segretario e si dispone il divieto di incremento dei compensi «per qualsivoglia ragione»; viene anche espressamente abrogata la previsione dell'incremento dei massimi tariffari.
Sarà inoltre ammessa l'impugnazione del lodo per motivi di diritto secondo quanto prescritto dal c.p.c. e verranno ridotti i costi per segretario e consulenti tecnici (equiparati agli ausiliari del magistrato). Viene poi firmata la procedura di ricorso al Tar, nella sostanza introducendo un rito speciale connotato da una più rapida scansione processuale e da immediatezza della decisione di merito. Il ricorso sarà possibile entro 30 giorni e non sarà più ammesso anche il ricorso straordinario al presidente della repubblica.
È previsto l'effetto sospensivo automatico connesso alla sola impugnazione dell'aggiudicazione definitiva e non dei bandi inviti ed esclusioni dalla gara. I bandi, se immediatamente lesivi, si impugneranno autonomamente entro 30 giorni; quelli non immediatamente lesivi e tutti gli altri provvedimenti compresi l'aggiudicazione provvisoria si impugneranno con l'aggiudicazione definitiva. Il decreto fa poi divieto alle amministrazioni di stipulare il contratto prima di quaranta giorni decorrenti dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva (articolo ItaliaOggi del 28.11.2009, pag. 28).

ENTI LOCALI: Assunzioni obbligatorie senza limiti.
Le assunzioni obbligatorie delle categorie protette sono escluse dal blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione.
Lo ha chiarito il Ministero del Lavoro nella nota 17.11.2009 n. 13/III/0015270 di prot. firmata ieri.
Il dicastero guidato da Maurizio Sacconi è stato interpellato dall'Agenzia Liguria Lavoro che chiedeva lumi in merito al trattamento dei soggetti appartenenti alle categorie protette, dopo l'entrata in vigore del decreto legge 78/2009 convertito nella legge 102/2009, che ha disposto il divieto di procedere ad assunzioni sino al conseguimento degli obiettivi programmatici di spesa previsti dallo stesso decreto.
La direzione generale mercato del lavoro del Minwelfare ha innanzitutto precisato che il divieto di assumere contenuto nell'art. 17, comma 7, del dl 78/2009, riguarda solo le amministrazioni centrali dello stato e gli enti pubblici non economici. Una volta circoscritto l'ambito di operatività della norma, il ministero ha affermato che «le assunzioni di soggetti appartenenti alle categorie protette, ai fini esclusivi del rispetto della quota di riserva prevista dall'art. 3 legge 68/1999, sono da ritenersi escluse» dai limiti alle assunzioni. E questo perché «l'esigenza di inserimento e di integrazione lavorativa appare prevalente rispetto alla disciplina limitativa delle assunzioni». Una tesi, questa, già affermata anche dal ministero della funzione pubblica in un parere del 29.09.2008.
Per il ministero del lavoro, dunque, l'unica ipotesi in cui resta ferma l'impossibilità di procedere alle assunzioni delle categorie protette riguarda il caso previsto dall'art. 6, comma 6 del Testo unico del pubblico impiego (dlgs 165/2001). E cioè quando una pubblica amministrazione non provvede agli adempimenti previsti dalla legge in materia di organizzazione e disciplina degli uffici nonché in materia di dotazioni organiche. Questi enti non potranno assumere nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette (articolo ItaliaOggi del 18.11.2009, pag. 31).

APPALTI SERVIZI: Riforma servizi pubblici locali a rilevanza economica.
In questi giorni si è parlato molto di "privatizzazione dell'acqua" con riferimento all'art. 15 del decreto legge 135/2009 approvato definitivamente dal Parlamento il 19 novembre scorso.
In realtà, la nuova norma non contiene la riforma dei servizi pubblici locali, ma modifica solo alcune parti dell'art. 23-bis del decreto legge 112/2008 convertito in legge n. 133/2008. dove è contemplata la riforma dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, e dove il comma 5 dell'art. 23-bis afferma "la proprietà pubblica delle reti", mentre prevede che solo "la loro gestione possa essere affidata a soggetti privati".
Nella conferenza stampa convocata dopo il via libera definitivo al decreto legge 135/2009, il ministro per le Politiche europee, Andrea Ronchi ha affermato che "l'acqua è, resta e sarà pubblica: non è privatizzabile, e l'art. 15 del decreto rafforza questo principio''.
Ha poi preso la parola il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, che ha illustrato il percorso di attuazione della riforma dei servizi pubblici locali, ed ha garantito che entro la fine dell'anno sarà varato il decreto attuativo, che dovrà sciogliere alcuni nodi, come il meccanismo delle gare, a cui potranno partecipare sia le società private che pubbliche, e deciderà se istituire o no una apposita autorità di garanzia per i servizi idrici.
Fitto ha infine affermato che ''i rischi sulla tariffa non sono un rischio futuro, ma la fotografia dell'esistente, se è vero che esistono differenze tra regione e regione e spesso si paga di più dove il servizio è più carente" (link a www.governo.it).

ENTI LOCALI: Riforma Enti Locali e Codice delle Autonomie.
Il Consiglio dei Ministri del 19.11.2009, ha approvato in via definitiva il disegno di legge di riforma degli organi e delle funzioni degli enti locali e il Codice delle autonomie locali, che stabilisce le funzioni fondamentali degli enti locali e chiarisce "chi fa cosa", eliminando la sovrapposizione di funzioni ed individuando i relativi finanziamenti.
Gradualmente saranno ridotti enti ed organismi, consentendo una migliore qualità dei servizi e risparmi di spesa. Diminuiranno i componenti degli organi delle amministrazioni esistenti. Grazie alla Carta delle autonomie verrà riordinata tutta la materia degli enti locali.
Il provvedimento prevede:
- l'individuazione delle funzioni amministrative fondamentali che spettano a comuni, province e città metropolitane;
- l'obbligo dell'esercizio di alcune funzioni fondamentali in forma associata per i comuni sotto i 3.000 abitanti;
- la razionalizzazione dell'amministrazione provinciale e periferica dello Stato;
- l'eliminazione di enti e organismi, quali il difensore civico, le comunità montane le circoscrizioni di decentramento comunale (salvo che nei comuni con più di 250.000 abitanti), i consorzi di enti locali (compresi i Bacini imbriferi montani), i consorzi di bonifica;
- la riduzione del numero di consiglieri e assessori locali, e la nomina del direttore generale solo nei comuni più grandi, che sono capoluogo di città metropolitana;
- la semplificazione dei documenti finanziari e contabili nei piccoli comuni;
- l'adeguamento delle regole del patto di stabilità;
- il potenziamento dei controlli di tipo amministrativo, finanziario e contabile (link a www.governo.it).

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA: Gli atti della giornata di formazione per tecnici comunali sulla "CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEGLI EDIFICI" tenutasi a Bergamo lo scorso 17.11.2009.

EDILIZIA PRIVATA: Risparmio energetico, on line le novità sul bonus del 55%. Aggiornato il vademecum che guida il contribuente tra i come e i quando degli sconti fiscali pro-ambiente.
Le disposizioni normative di fine 2008 e del 2009, che hanno portato a una semplificazione delle procedure e degli adempimenti amministrativi previsti per fruire della detrazione dall’Irpef del 55% delle spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici, entrano nella guida web dell’Agenzia “Le agevolazioni fiscali sul risparmio energetico” (link a www.nuovofiscooggi.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Dagli ingegneri di Milano le indicazioni sul comportamento da adottare nel corso di ispezioni o controlli.
L'Ordine degli Ingegneri di Milano ha curato la redazione di un documento dal titolo "NORME DI COMPORTAMENTO DA ADOTTARE NEL CORSO DI UNA ISPEZIONE O CONTROLLO" rivolto a tutte le aziende (edili e non) contenente tutte le indicazioni sui comportamenti da tenere in caso di ispezioni degli organi di vigilanza.
Il documento chiarisce che le ispezioni o sopralluoghi (in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro) possono essere attuati dai diversi organi di vigilanza e controllo (ASL, Direzione Provinciale del Lavoro, Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco) (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Da Reggio Emilia una guida per il committente e per il responsabile lavori.
La Commissione Sicurezza Interordini coordinata dal Collegio Costruttori Edili di Industriali Reggio Emilia e con la collaborazione di Provincia, Comune e AUSL ha predisposto un documento dal titolo "Guida per committente e responsabile dei lavori".
La guida analizza i ruoli e le responsabilità del committente sia nell'ambito degli appalti pubblici che nell'ambito delle opere private illustrando dettagliatamente gli obblighi e le problematiche che da affrontare nell'organizzazione e gestione del cantiere (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dossier ENEA: Usi termici delle fonti rinnovabili.
L'Italia è molto in ritardo negli usi termici delle fonti rinnovabili, mentre sta rapidamente crescendo la quota di generazione elettrica.
Secondo l'ENEA occorre colmare questo ritardo aumentando il peso degli usi termici delle rinnovabili e, nel contempo, riducendo la pressione sugli usi elettrici, che renda gli obiettivi più realistici e meno costosi.
Queste osservazioni sono alla base del workshop, promosso congiuntamente da ENEA con AIEE e FIRE, e del dossier "USI TERMICI DELLE FONTI RINNOVABILI".
Il dossier raccoglie alcuni articoli recenti e materiale ancora inedito (come le schede per tecnologia predisposte dall'ENEA per il Rapporto Rinnovabili di prossima pubblicazione).
Nel dossier sono trattate varie tecnologie per gli usi termici delle rinnovabili: a partire dal solare, alla geotermia, al controverso capitolo delle biomasse.
Ciascuna di queste tecnologie presenta le sue promesse e le sue opportunità, con ampi spazi anche per soluzioni e applicazioni innovative che potrebbero aumentarne l'interesse; ma ciascuna ha anche le sue ambiguità che devono essere chiarite e superate perché sia possibile perseguire sia una efficace politica di diffusione e quindi di promozione della domanda, sia una strategia di sviluppo industriale intesa a incoraggiare gli investimenti e a ricavare quel dividendo economico e di occupazione che è uno dei motivi portanti dell'interesse per le fonti rinnovabili (link a www.acca.it).

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AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI: G.U. 24.11.2009 n. 274, suppl. ord. n. 215/L, "L. 20.11.2009 n. 166:
- "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25.09.2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee;
- Testo del decreto-legge 25.09.2009, n. 135, coordinato con la legge di conversione 20.11.2009, n. 166, recante: «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee»".

APPALTI: G.U. 24.11.2009 n. 274 "Chiarimenti in ordine all’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 253, comma 15 -bis, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, circolare 12.11.2009 n. 4649).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 47 del 23.11.2009, "Determinazione, per l'anno 2010, dei canoni da porre a base d'asta per l'affidamento dei lavori di sistemazione idraulica mediante escavazione di materiale inerte dagli alvei dei corsi d'acqua" (decreto D.G. 05.11.2009 n. 11502 - link a www.infopoint.it)

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI: La mobilità non fa assumere.
La cessazione del rapporto di lavoro per mobilità non è idonea a sbloccare le assunzioni nei piccoli comuni.
Lo ha chiarito la sezione autonomie della Corte dei Conti che con la deliberazione 27.11.2009 n. 21/2009, depositata ieri, ha fornito l'interpretazione autentica di una controversa norma della Finanziaria 2008 (art. 1, comma 562, della legge n. 296/2007) che dà la possibilità ai piccoli comuni di «procedere all'assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nell'anno precedente».
La disposizione è stata oggetto di letture discordanti da parte delle sezioni regionali della magistratura contabile. Le tesi che si sono fronteggiate sono sostanzialmente tre.
La prima, più a maglie larghe, sostenuta in Piemonte e Sardegna, ritiene che sussista una cessazione del rapporto di lavoro non solo in caso di estinzione del rapporto stesso, ma anche nel caso di mobilità. La tesi più restrittiva, a cui ha aderito la sezione regionale del Veneto, ha invece negato che la mobilità in uscita in un ente sotto i 5 mila abitanti possa essere interpretata come cessazione del rapporto di lavoro. Nel mezzo si è collocata la Corte conti Lombardia la quale ha auspicato che il trasferimento per mobilità non sia inteso come un'operazione «che permette l'instaurazione di nuovi rapporti di lavoro al di fuori dei limiti numerici e di spesa previsti» dalla legge. Nel dubbio la Corte conti Liguria, interrogata sul punto dal comune di Savignone (Ge), ha trasmesso gli atti alla sezione autonomie.
I giudici hanno chiarito che nella mobilità «il rapporto di lavoro prosegue con un altro datore per cui l'amministrazione cedente può solo beneficiare, in termini di risparmio di spesa, dell'avvenuta cessazione del contratto», ma la spesa «rimane inalterata in termini globali».
Del resto, prosegue la Corte, «corrisponde ad un principio di carattere generale che per effettiva cessazione debba intendersi il collocamento di un soggetto al di fuori del circuito di lavoro» con perdita della retribuzione (articolo ItaliaOggi del 28.11.2009, pag. 27).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi senza controlli. Corte conti: le norme del dl n. 78/2009 si applicano solo alle amministrazioni statali. Illegittima la verifica sulle consulenze degli enti.
Le disposizioni in materia di controllo preventivo di legittimità da parte della Corte dei conti, introdotte dall'articolo 17, comma 30, del dl n. 78/2009, non si applicano agli atti e ai provvedimenti di incarichi e consulenze emanati dagli enti locali territoriali o dalle loro articolazioni. Se, infatti, l'intento del legislatore fosse stato quello di sottoporre a controlli singoli atti di regioni o enti locali, avrebbe chiaramente introdotto delle disposizioni legislative in contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione, la quale pone gli enti locali e territoriali su un piano di equiordinazione con lo Stato e, dunque, non più assoggettabili a controlli centralizzati.
Lo ha chiarito la Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla legittimità degli atti delle amministrazioni dello Stato, nel testo della deliberazione 25.11.2009 n. 20/2009, con la quale, per la prima volta dalla sua entrata in vigore, ha chiarito l'ambito soggettivo e la portata delle disposizioni contenute all'articolo 17, commi 30 e 30-bis, della manovra d'estate.
I giudici della Corte hanno confermato la tesi anticipata sulle colonne di ItaliaOggi il 16/10/2009.
Come si ricorderà, la norma richiamata ha inteso allargare il controllo preventivo di legittimità della Corte, ex articolo 3, comma 1, della legge n. 20/1994, anche agli atti e contratti di conferimento incarichi ad esperti e specialisti, nonché gli incarichi di studi e consulenza, ma nulla dice in merito ai soggetti (pubblici) cui la norma è indirizzata.
Preliminarmente all'esame dell'atto pervenutole (un contratto di consulenza siglato da un'azienda sanitaria locale), la Corte ha deciso sgomberare il campo con delle osservazioni di fondamentale importanza in merito all'ambito soggettivo del controllo previsto dal dl n. 78/2009. In poche parole, a chi si indirizza tale controllo preventivo di legittimità? Alle sole amministrazioni statali o all'ampia dizione di pubblica amministrazione ex articolo 1, comma 2, del dlgs n. 165/2001?
I magistrati della Corte hanno svolto pertanto un'ottima analisi sulla genesi del provvedimento normativo. L'intenzione del legislatore (d'urgenza) non era certo quella di comprendere gli enti locali territoriali nel novero dei soggetti cui si riferisce la norma. Ciò risulta indirettamente dalla circostanza che l'emanazione della norma «non è stata preceduta né accompagnata da consultazioni con le regioni» che, come noto (Corte Cost. n. 417/2005), sono soggetti legittimati ad intervenire a tutela delle autonomie locali. È vero che nella funzione legislativa non sussiste alcun obbligo di consultazione, ma, nel caso di specie, la Corte afferma che «sembra più plausibile che il legislatore statale non abbia neppure avvertito l'esigenza di una consultazione, proprio perché non aveva alcuna intenzione di intervenire su competenze proprie delle autonomie locali». D'altra parte, ha proseguito il collegio della magistratura contabile, sarebbe stato «difficilmente concepibile» che il legislatore ignorasse che i controlli preventivi di legittimità su atti di regioni ed enti locali oggi sfuggono al controllo centralizzato. Per questo, la Corte ha ritenuto che una competenza statale in materia di controlli preventivi di legittimità sugli enti locali sarebbe incompatibile con la Costituzione, anche se venisse invocata la potestà legislativa in materia di coordinamento di finanza pubblica.
In tale ultimo caso, la Corte ha osservato che se si volesse sottoporre a controlli interdittivi singoli atti di regioni o enti locali, anziché limitarsi ad indicare l'esigenza di una verifica più rigorosa sul versante delle spese per consulenze ed incarichi, ciò esorbiterebbe dalla competenza dello Stato, il quale ha titolo solamente a porre i principi fondamentali, lasciando all'autonomia di regioni ed enti locali, «la concreta previsione degli strumenti e dei procedimenti di verifica» (articolo ItaliaOggi del 28.11.2009, pag. 27).

ENTI LOCALI: Ok ai contratti locali difformi dal Ccnl. L'emergenza salva. La Corte dei Conti Toscana esclude il danno erariale.
La sottoscrizione e l'applicazione di clausole dei contratti decentrati integrativi nulle perché in contrasto con i vincoli dei contratti nazionali e che determinano un danno erariale per gli oneri aggiuntivi che ne sono scaturiti in capo alla p.a. non dà luogo al maturare di responsabilità amministrativa per la parte pubblica nel caso in cui tale comportamento sia stato determinato da comprovate condizioni di emergenza, quale per esempio la carenza di personale, e dalla necessità di garantire la qualità dei servizi erogati.
È questo l'importante principio fissato dalla Corte dei Conti della Toscana, sentenza 11.09.2009 n. 518, che apre uno spiraglio per i numerosi casi in cui a carico di dirigenti, segretari e amministratori sono aperti giudizi di responsabilità dinanzi alla magistratura contabile.
Basta ricordare come, in passato, la Corte dei conti della Lombardia, sentenza n. 372/2006, in presenza di un contratto decentrato in un comune che ha disposto la riduzione orario a 35 ore per tutto il personale ha evidenziato che «tale ampliamento viola il divieto legislativo di sottoscrizione in sede decentrata di contratti integrativi in contrasto con i vincoli risultanti dai Ccnl e le relative clausole erano dunque affette da nullità e come tali inapplicabili».
E di conseguenza ha rilevato che sussiste colpa grave: delle «parti stipulanti», della giunta che ha sollecitato (pungolato) la applicazione del contratto decentrato e del segretario comunale, che «ben avrebbe potuto e dovuto cogliere e segnalare la palese discrepanza». E ancora la stessa Corte dei conti della Lombardia, sentenza n. 457/2008, ha condannato il segretario, gli amministratori, il dirigente del personale e i revisori dei conti di un comune che hanno applicato un contratto decentrato caratterizzato dalla presenza di numerose clausole illegittime.
Il caso specifico riguarda una dirigente scolastica che ha sottoscritto, contro il parere dei revisori dei conti, e applicato, contro il parere della responsabile della ragioneria, un contratto decentrato integrativo che ha ridotto da 36 a 35 ore la settimana l'orario del personale Ata. Tale riduzione è consentita dal contratto nazionale del personale della scuola, ma in presenza di condizioni (in particolare la durata dell'orario di servizio di un minimo di dieci ore al giorno per almeno tre giorni la settimana) che nella scuola non si sono in alcun modo realizzate, né in precedenza e neppure nelle fasi successive.
Secondo la sentenza «delle disposizioni in argomento deve essere fatta un'interpretazione per così dire sostanzialistica e in ogni caso alla luce dei principi di legittimità nel senso di cogliere la vera finalità della disciplina normativa». Su questa base non ci sono ragioni che impongono di restare nell'ambito delle strette previsioni dettate dalla lettera dei contratti collettivi nazionali di lavoro: «Quelle situazioni tipiche possono ammettere delle equivalenze laddove si consideri che la ragione della previsione risiede nell'intento di incentivare o compensare, in qualche modo, i lavoratori che si sobbarcano il sacrificio di un orario non concentrato nella tradizionale parte antimeridiana della giornata». Quindi, possiamo così sintetizzare questa parte del ragionamento seguito dai giudici della Corte dei conti della Toscana, al di là della lettera delle previsioni contrattuali bisogna cogliere la loro logica sostanziale, il loro spirito, il che consente di applicare quindi un canone interpretativo analogico.
Per cui «se, come nel caso di specie, l'articolazione anomala dell'orario è effetto della carenza di organico e, quindi, di un'anomalia non superabile se non con la diversa articolazione, appare corrispondente a ragioni di giustizia che al di là della letterale formulazione della norma possa ritenersi configurato il presupposto legittimante qualora la stessa condizione di disagio per i lavoratori si realizzi anche in presenza di un orario leggermente inferiore ma reso necessario per sopperire a una disfunzione organizzativa» (articolo ItaliaOggi del 27.11.2009, pag. 43).

QUESITI & PARERI

EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria abuso edilizio su immobile in area di vincolo ambientale.
Viene posto quesito in tema di sanatoria di abuso edilizio commesso su immobile compreso in area soggetta a vincolo ambientale.
In particolare si riferisce che sono state realizzate opere in difformità da concessioni edilizie ed autorizzazioni paesaggistiche del 1997 e del 1998 su un fabbricato di civile abitazione ricadente nella fascia di 150 metri da un corso di acqua pubblica e perciò soggetto a vincolo paesaggistico (prima ex art. 1, lett. c), L. 431/1985 ed oggi in forza dell’art. 142, comma 1, lett. c), del “codice dei beni culturali”, D.lgs. 42/2004) (Regione Piemonte, parere n. 107/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Frazionamento area edificabile su determinazione volumetrica residua.
Viene richiesto a questo Servizio un parere in merito agli effetti che può avere il frazionamento di un’area edificabile sulla determinazione della volumetria residua realizzabile.
Il Comune espone il caso in questi termini.
In base al Piano Regolatore vigente, una determinata superficie (attualmente appartenente ad un unico proprietario) ricade in parte in “area consolidata residenziale: aree di completamento” ed in parte in “area di antico impianto”.
Catastalmente, la superficie di cui trattasi era in origine costituita da due mappali, che per convenzione verranno di seguito definiti mappale 1 e mappale 2.
Nel 1959, il primo dei due mappali (il mappale 1) venne edificato. Il secondo (mappale 2), adiacente a quello edificato, venne adibito ad orto.
Secondo il vigente strumento urbanistico generale il mappale edificato ricade nella suddetta “area consolidata residenziale”, mentre il mappale destinato ad orto fa parte dell’”area di antico impianto”.
Successivamente all’edificazione, i mappali 1 e 2 vennero uniti in un'unica particella catastale (che definiremo mappale 3).
La variante strutturale adottata (ora in corso di approvazione) classifica tutta l’area di cui trattasi (costituita dagli originari mappali 1 e 2, cioè dall’odierno mappale 3) come “area consolidata residenziale: lotto di completamento” ed attribuisce alla stessa un determinato indice di utilizzazione fondiaria. L’esistente edificio, comunque, esaurisce la complessiva capacità edificatoria dell’intero lotto (costituito dagli originari mappali 1 e 2, attualmente unico mappale 3), che pertanto risulta saturo.
Il proprietario dell’area ha intenzione di frazionare l’area (ricostituendo gli originari mappali 1 e 2) e di procedere alla vendita delle porzioni risultanti dal frazionamento a due diversi acquirenti.
Il Comune si chiede se il frazionamento possa essere legittimamente attuato.
Secondo il Comune stesso, infatti, tale operazione potrebbe rendere edificabile un lotto (la porzione destinata ad orto) che attualmente edificabile non è, in quanto il fabbricato esistente esaurisce le potenzialità edificatorie dell’intera area (l’odierno mappale 3), urbanisticamente classificata (dal Piano adottato) come “area consolidata residenziale: lotto di completamento" (Regione Piemonte, parere n. 101/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in sanatoria. Assenza titolo edilizio.
E’ chiesto parere in merito al rilascio di permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una tettoia aperta su tutti i lati e collocata sulla copertura piana di altra tettoia in muratura.
Il Comune richiedente segnala di aver rilasciato a soggetti privati, nell’anno 2005, il titolo abilitativo per la realizzazione, in area di centro urbano, di una tettoia in muratura ad uso deposito/legnaia, in conformità alle disposizioni del vigente P.R.G.C..
Nell’anno 2009 il Comune, a seguito di sopralluogo, verificava la realizzazione di opere in difformità dal titolo edilizio in possesso dei privati –consistenti nella realizzazione di una finestra non assentita-, nonché la realizzazione, sulla copertura piana della tettoia in questione, di un’ulteriore tettoia in legno, completamente aperta su tutti i lati.
Successivamente, i privati presentavano istanza di permesso di costruire in sanatoria sia per le opere realizzate in parziale difformità rispetto al titolo abilitativo, sia per la tettoia costruita ex novo.
Il Comune segnala che, mentre le opere realizzate in parziale difformità risultano sicuramente sanabili in base alle prescrizioni del P.R.G.C. vigente, dubbi sussistono in merito alla realizzazione della tettoia aperta su tutti i lati, collocata in area qualificata come “satura” dagli strumenti urbanistici comunali, ove risulta ammessa “soltanto la costruzione di manufatti ad uso legnaia e/o deposito nella misura massima di 15 mq. di superficie coperta, come quanto già sfruttata per il sottostante manufatto”.
Il Comune richiede, dunque, di sapere come può essere “configurata la soprastante copertura della tettoia utilizzata anche come copertura per sedie e tavolo e come può essere inquadrato a livello sanzionatorio l’abuso commesso con la copertura della tettoia” (Regione Piemonte, parere n. 98/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilascio permesso a costruire in sanatoria (art. 36, T.U. Edil.).
Viene posto un quesito inerente alla possibilità di procedere al rilascio di un permesso di costruire in sanatoria “a regime” (art. 36 T.U. edil.) avente ad oggetto un immobile realizzato in difformità del titolo abilitativo ed in violazione del vigente P.R.G., subordinando la sanatoria stessa alla demolizione di alcune parti di edificio ed alla nuova costruzione di ulteriori porzioni di fabbrica.
Il Comune richiedente, in particolare, riferisce di aver accertato, in seguito ad un controllo ispettivo, la realizzazione da parte di un privato cittadino di opere edilizie in totale difformità dal permesso di costruire, nonché in violazione di alcune norme dell’allora vigente P.R.G.I., rimasto peraltro immutato successivamente; in seguito alla relativa contestazione da parte dell’Ufficio Tecnico ed all’emissione di un provvedimento di sospensione dei lavori, il responsabile dell’abuso presentava richiesta di accertamento di conformità delle opere eseguite, prevedendo modifiche strutturali all’edificio consistenti nella demolizione e ricostruzione di alcune porzioni dello stesso (Regione Piemonte, parere n. 96/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Qualificazione intervento previsto in ambito edilizio dalla vigente normativa.
Viene chiesto parere in ordine alla qualificazione dell’intervento di sola tinteggiatura o ritinteggiatura (peraltro totale) di un edificio, nell’ambito delle categorie di interventi edilizi individuate dalla vigente normativa.
Più specificatamente il Comune si interroga sulla qualificabilità dell’intervento predetto come “manutenzione ordinaria” o come “manutenzione straordinaria”, ricercando al riguardo la risposta oggettivamente più corretta (Regione Piemonte, parere n. 87/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ENTI LOCALI: P. Russo e M. I. Bruno, Nuovi profili di responsabilità per danno erariale nel riconoscimento dei debiti fuori bilancio per acquisto di beni e servizi alla luce del c.d. "decreto anticrisi" (d.l. 78/2009) (link a www.diritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Carapellucci, Le ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti: la nuova declinazione di un istituto controverso (link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: C. Rapicavoli, D.Lgs. 27.10.2009 n. 150 “Attuazione della Legge 04.03.2009 n. 15 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni" - Prime indicazioni applicative (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: C. Rapicavoli, DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DURC - DOCUMENTO UNICO DI REGOLARITÀ CONTRIBUTIVA (link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: Le relazioni del convegno sul leasing per realizzare opere pubbliche.
Pubblichiamo il testo della relazione sui profili generali del leasing per realizzare opere pubbliche, tenuta dal prof. Bruno Barel dell'Università di Padova al convegno di Montecchio Maggiore del giorno 19.11.2009, ringraziando sentitamente l'autore per il suo prestigioso intervento.
Allo stesso modo ringraziamo gli altri relatori, il dott. Francesco Pastore e il dott. Andrea Albensi, e pubblichiamo le slides dei loro interventi (link a http://venetoius.myblog.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

INCARICHI PROGETTUALI: Calcolo coefficienti per la determinazione dei punteggi.
Gara d'appalto - Servizi di progettazione - Calcolo dei coefficienti che concorrono alla determinazione del punteggio finale - Trasformazione valori millesimali in valori centesimali - Conformità alla normativa di settore - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’istanza di parere, sollevata dalla società interveniente DAM S.p.A. in sede di contraddittorio documentale.
In particolare, viene contestata l’assenza di una controversia tra le parti, secondo quanto stabilito dall’art. 3 del “Regolamento sul procedimento per la soluzione delle controversie” adottato da questa Autorità.
Invero, tale eccezione appare infondata, tenuto conto che la nozione di controversia che viene in rilievo nella presente sede precontenziosa è evidentemente più ampia rispetto alla nozione tradizionale di ordine giurisdizionale.
Ne consegue, pertanto, che non necessita -come diversamente affermato dalla DAM S.p.A.- la condizione connessa ad una situazione di litispendenza o di controversia emergente da atti formali, essendo sufficiente, ai sensi della norma primaria di cui all’art. 6, comma 7, lett. n) del D.Lgs. n. 163/2006, che via siano “questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara”, mentre per espressa previsione di questa Autorità (art. 3, punto 2 del citato Regolamento) la pendenza di giudizio costituisce una causa tipica di non ammissibilità dell’istanza rivolta ad acquisire il parere.
Nel merito è sufficiente constatare che, nell’economia della procedura diretta ad aggiudicare il servizio di progettazione in argomento, la Commissione giudicatrice ha, in un primo momento, calcolato i coefficienti di valutazione ed il punteggio finale riportando i singoli valori in termini numerici decimali che contenevano anche l’indicazione dei millesimi. Mentre, successivamente, in applicazione dell’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, ha ritenuto di riportare gli stessi valori in termini numerici decimali con la sola indicazione dei centesimi.
Per operare tale trasformazione la Commissione ha eliminato la cifra dei millesimi ed arrotondato quella dei centesimi all’unità inferiore o superiore, a seconda che la cifra dei millesimi stessi fosse inferiore a cinque o pari o superiore a cinque. La stessa Commissione di gara ha poi annullato tale diversa graduatoria dei soggetti partecipanti senza raggiungere alcun convincimento sul corretto metodo di calcolo da seguire.
Si evidenzia, al riguardo, che la soluzione del problema connesso al corretto calcolo dei coefficienti che concorrono alla determinazione del punteggio finale da assegnare a ciascun soggetto partecipante può senz’altro ricavarsi da una attenta lettura della lettera della legge. Infatti, secondo l’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, espressamente richiamato a tale scopo dal disciplinare di gara (art. 6, comma 5), sono coefficienti compresi tra 0 e 1, quelli espressi in valori centesimali, attribuiti a ciascun concorrente; dove il coefficiente è pari a zero in corrispondenza della prestazione minima possibile; mentre il coefficiente è pari ad uno in corrispondenza della prestazione massima offerta. Tutte le altre posizione possono trovare una graduazione che in linea teorica e matematica sarebbe data da una serie infinita di numeri. Per tale ovvia ragione il legislatore ha ritenuto che gli stessi coefficienti e, quindi, il punteggio finale fosse dato dalla sommatoria di valori al massimo centesimali, cioè con due sole cifre dopo la virgola.
Tale interpretazione logico sistematica induce a ritenere che l’operato della Commissione di gara, come definito nel verbale n. 7 del 23.06.2008, fosse corretto e sicuramente aderente alla lettera ed allo spirito della legge, che impone un criterio logico e prudenziale di valutazione. Peraltro, la circostanza che l’art. 6, comma 5, del disciplinare di gara espressamente dispone che “Successivamente la commissione giudicatrice, in una o più sedute riservate, procede, sulla base della documentazione contenuta nella busta “B – Offerta tecnica” ed ai sensi delle disposizioni di cui all’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, alla valutazione del merito tecnico e delle caratteristiche qualitative e metodologiche…” consente di affermare che il criterio adottato dalla Commissione di gara nel citato verbale n. 7, per espresso richiamo della stazione appaltante nel proprio disciplinare di gara, è stato legittimamente predeterminato, diversamente da quanto asserito dalla DAM S.p.A. Né, allo stesso tempo, la Commissione nel successivo verbale n. 8 del 25.11.2008 ha individuato una ragione di per sé sufficiente per derogare al summenzionato criterio di calcolo.
Giova, infine, rilevare che l’operazione di trasformazione dei valori millesimali in valori centesimali è del tutto obiettiva e corretta, atteso che essa si rifà ad un dato equo e casuale che più volte è stato utilizzato nella prassi dalla p.a..
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’utilizzo del criterio di cui all’allegato E del D.P.R. n. 554/1999 da parte della Commissione di gara è corretto e che il criterio medesimo andava doverosamente applicato per espresso richiamo del disciplinare di gara (parere 08.10.2009 n. 109 - link a
www.autoritalavoripubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: ATI e certificazione di qualità.
Appalti di ll.pp. - Qualificazione - Appalto con importo in classifica III - Possesso sistema di qualità - Ati orizzontale con mandanti in classifica I e II - Non sussiste obbligo di attestato SOA con possesso requisito qualità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità riguarda la legittimità del provvedimento di esclusione per mancata documentazione del possesso della certificazione di qualità aziendale UNI EN ISO 9000, disposto in applicazione di previsioni della lex specialis di gara intese alla asserita luce di una precedente determinazione di questa Autorità (n. 29/2002), invocata con diversi esiti da entrambe le parti (impresa istante e stazione appaltante).
In particolare, il punto 12 del bando di gara di cui trattasi, relativo ai requisiti minimi di carattere economico e tecnico necessari per la partecipazione, prevede che i concorrenti, all’atto dell’offerta debbano possedere attestazione SOA, in corso di validità, che documenti il possesso della qualificazione in categorie e classifiche adeguate ai lavori da assumere nonché il possesso di certificazione di qualità UNI EN ISO 9000, ai sensi del D.P.R. n. 34/2000. Al riguardo, il punto 1.2 del disciplinare specifica che, qualora non risulti espressamente riportato nell’attestazione SOA il possesso della certificazione di qualità aziendale rilasciata da soggetto accreditato, i concorrenti dovranno produrre a pena di esclusione copia fotostatica, dichiarata conforme all’originale, di tale documentazione e precisa, altresì, che, “In caso di ATI si applica quanto disposto dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici con con determinazione n. 29/2002, pubblicata nella GURI n. 275 del 23.11.2002".
Con specifico riguardo alla corretta interpretazione della citata determinazione di questa Autorità si evidenzia che, nel fornire chiarimenti sull’elemento rilevante ai fine della determinazione dell’obbligo del possesso della certificazione di qualità UNI EN ISO 9000 in caso di ATI, l’Autorità ha precisato che tale obbligo non è connesso all’importo dell’appalto, ma alla classifica delle attestazioni. Conseguentemente, come esplicitato anche in altre pronunce (deliberazione n. 27/2004, n. 241/2003, n. 182/2003) l’obbligo di dimostrare il possesso del “requisito qualità” sussiste soltanto quando l’importo dei lavori che il concorrente intende assumere richieda una classifica di qualificazione per la quale il possesso del sistema di qualità aziendale UNI EN ISO 9000 sia già divenuto obbligatorio, secondo la cadenza temporale disciplinata (in rapporto alle classifiche) dall’art. 4 e dall’allegato B del D.P.R. 25.01.2000, n. 34, ossia a partire dalla classifica III e, quindi, per importi superiori a euro 516.457,00.
Nel caso di specie l’importo dei lavori che i concorrenti sono chiamati ad eseguire è pari a € 863.950,78, per cui il bando correttamente richiede la classifica III che implica l’obbligo del possesso del requisito della qualità.
Tuttavia, l’impresa istante System Co.E.S. S.r.l. ha evidenziato di aver dichiarato, in sede di gara, che per i lavori oggetto dell’appalto avrebbe costituito un’ATI orizzontale così composta: Capogruppo System Co.E.S. S.r.l., che vi partecipa con una percentuale del 60% pari a € 544.410,47, qualificata in OG3, classifica II, e Mandante ditta Vigilante Renato, che vi partecipa con una percentuale del 40% pari a € 362.940,31, qualificata in OG3 classifica II.
Ciò comporta, da un lato, che il raggruppamento di che trattasi copre con le iscrizioni possedute l’intero importo dell’appalto, dall’altro lato che ciascun componente del raggruppamento medesimo (considerato l’incremento del quinto per la capogruppo) esegue lavori per importi ricompresi nella classifica II per la quale l’art. 4 e l’allegato B del D.P.R. 25.01.2000, n. 34 prevedono l’esenzione dall’obbligo del possesso della certificazione di qualità.
Si evidenzia, peraltro, che questa Autorità, proprio con specifico riguardo al possesso del sistema di qualità nelle associazioni temporanee di imprese ha ritenuto che consentire la partecipazione ad un appalto per il quale viene richiesta la classifica III anche ad imprese riunite in possesso di classifica I e II non risulta alterare la par condicio tra i concorrenti che partecipano alla gara in forma singola e in forma associata, atteso che la ratio della normativa in materia è proprio quella di agevolare la partecipazione alle gare delle imprese di piccole dimensioni, onde evitare restrizioni del mercato degli appalti (cfr.: parere n. 125 del 22.11.2007).
Ne consegue che il raggruppamento di che trattasi, coprendo con le iscrizioni possedute l'importo dell'appalto ed eseguendo ciascun componente lavori per importi ricompresi nella classifica II, può partecipare alla gara anche se privo del requisito della certificazione UNI EN ISO 9000, il cui possesso non è obbligatorio per la classifica II in possesso delle due imprese che lo costituiscono.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dalla gara della costituenda ATI orizzontale System Co.E.S. S.r.l./ditta Vigilante Renato non è conforme alla normativa di settore e alla lex specialis di gara (parere 08.10.2009 n. 106 - link a
www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Erroneo inserimento offerta economica nella documentazione amministrativa.
Gara d'appalto - Documentazione di gara - Erroneo inserimento busta offerta economica nella busta della documentazione amministrativa - Verifica erroneo inserimento in seduta pubblica - Violazione par condicio - Non sussiste - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attiene alla valutazione della correttezza dell’operato di una Stazione Appaltante che ammetta alle successive fasi della procedura di gara un concorrente che, ai fini della partecipazione alla gara, non abbia presentato tre buste distinte, ma abbia presentato la busta contenente l’offerta economica, chiusa e sigillata, all’interno della busta contenente la documentazione amministrativa.
Al riguardo, occorre preliminarmente accertare il contenuto delle statuizioni della lex specialis in ordine alle modalità di presentazione della domanda di partecipazione, al fine di verificare l’eventuale sussistenza di prescrizioni di oneri formali, la cui violazione sia sanzionata con l’esclusione e la cui portata vincolante ne imponga una esecuzione puntuale nel corso delle operazioni di gara.
Ciò in quanto è principio consolidato quello secondo cui la portata vincolante delle prescrizioni contenute nella lex specialis produce l’effetto di esigere che ad esse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura di gara, senza che in capo all’organo amministrativo cui compete l’attuazione delle regole stabilite nel bando, residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento (cfr. ex multis parere AVCP n. 42 del 02.04.2009; Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 349 del 31.01.2006; TAR Veneto, Venezia, sez. I, sentenza 31.03.2009 n. 1029).
A ciò consegue che nel caso in cui un bando di gara prescriva in capo ai partecipanti determinati oneri formali deve ritenersi che si è inteso dare prevalenza al principio di formalità collegato alla garanzia della par condicio, che per l’effetto non può essere superato dall’opposto principio del favor partecipationis (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1822 del 27.03.2009).
Allo stesso modo occorrerà accertare se, nonostante il fatto che le prescrizioni del bando di gara non siano sanzionate con l’esclusione, ad esse la Stazione Appaltante non abbia in qualche modo voluto attribuire una funzione a tutela di interessi essenziali o che le stesse intendano tutelare la par condicio dei concorrenti, dal momento che in tale caso, l’eventuale mancata indicazione della sanzione dell’esclusione in caso di violazione di specifiche prescrizioni all’interno del bando di gara, non impedisce alla Stazione Appaltante medesima di procedere comunque all’esclusione del concorrente che ad esse non abbia ottemperato.
Nel caso di specie la disciplina di gara, nella sezione relativa alle “modalità di presentazione e ai criteri di ammissibilità delle offerte” prevede espressamente che i plichi contenenti la documentazione amministrativa e la busta contenente l’offerta economica, pena l’esclusione dalla gara, devono pervenire esclusivamente tramite raccomandata/posta celere del servizio Poste Italiane entro e non oltre le 13.00 del giorno 29.01.2009. E’ inoltre previsto che i plichi devono essere idoneamente sigillati con ceralacca, controfirmati sui lembi di chiusura e devono recare all’esterno –oltre all’esatta ragione sociale del mittente e al suo indirizzo– il numero di telefono, fax, in numero di codice dell’appalto, l’oggetto dell’appalto, l’importo, il numero di codice fiscale, il codice attività e la partita iva dell’impresa concorrente, il giorno e l’ora dell’espletamento della gara.
Essi devono contenere al loro interno tre buste, “a pena di esclusione tutte sigillate con ceralacca e controfirmate sui lembi di chiusura, recanti l’intestazione del mittente e l’indicazione del numero di codice dell’appalto”, di cui una contenente la documentazione amministrativa (Busta A), una contenente l’offerta economica (Busta B) e una contenente i giustificativi dell’offerta economica (Busta C).
Dalla lettura delle prescrizioni della lex specialis appare dunque chiaro che le condizioni da rispettare a pena di esclusione sono riferite unicamente all’utilizzo del solo mezzo postale per far pervenire i plichi e alla modalità di presentazione dei plichi e delle buste in essi contenute, appositamente sigillati e controfirmati a tutela della segretezza del loro contenuto e riportanti il nominativo del concorrente e il codice dell’appalto, ai fini dell’imputabilità delle stesse ad un unico soggetto e alla gara cui esso partecipa.
Con specifico riferimento alla buste, quindi, l’unica prescrizione prevista a pena di esclusione consiste nel fatto che le stesse siano sigillate e controfirmate e riportino la diciture specifica al fine di riconoscerne il contenuto.
Pertanto, la scelta operata dalla Stazione Appaltante di ammettere alle successive fasi della procedura un concorrente che apparentemente aveva presentato solo due buste anziché tre, ovvero la busta A e la busta C, in quanto aveva per errore inserito la busta B, comunque presente nel plico, all’interno della Busta A, avendo in ogni caso avuto cura di firmarla, sigillarla e intestarla al mittente, imputarla al codice gara e denominarla con la dicitura busta B - Offerta Economica, non sembra configgere con le specifiche prescrizioni di gara poste a pena di esclusione.
Occorre, pertanto, accertare l’eventualità che tale mancata esclusione possa aver leso la tutela di specifici interessi essenziali perseguiti dalla Stazione Appaltante o violi il principio di par condicio tra i concorrenti.
Al riguardo e alla luce dei fatti rappresentati anche dai verbali di gara, si evince che in seduta pubblica, al momento dell’apertura dei plichi presentati dalla Effeser S.r.l., la Commissione di gara, accertava la mancanza della Busta B e, considerato che il rappresentante legale della società medesima, toccando con mano la Busta A sosteneva che la Busta B, contenente l’offerta economica, si trovava nella Busta A e chiedeva di fermare le operazioni di gara e far verificare quanto sostenuto alla competenti autorità, decideva di sospendere l’intera procedura provvedendo a sigillare tutti i plichi pervenuti.
Quindi, alla riapertura delle operazioni di gara, alla quale erano presenti i rappresentanti legali delle imprese partecipanti, la Commissione, in relazione all’offerta presentata dalla Effeser S.r.l., decideva di aprire la Busta A contente la documentazione amministrativa, ritrovava in essa la Busta B ed ammetteva, pertanto, la Effeser S.r.l. alle successive fasi della procedura.
Ebbene, la scelta operata dalla Stazione Appaltante, finalizzata ad ampliare il più possibile la partecipazione alla procedura di gara, non appare in conflitto con il principio di par condicio dei concorrenti, dal momento che non solo la verifica della presenza della Busta B all’interno della Busta A è avvenuta in seduta pubblica e quindi nel pieno rispetto del principio di trasparenza dell’attività amministrativa, ma è stato anche accertato che i plichi custoditi durante la sospensione delle operazioni di gara non erano stati manomessi e che la Busta B, estratta dalla Busta A, al pari delle buste presentate dagli altri concorrenti, rispettava le prescrizioni di sigillatura e controfirmatura prescritti dal bando, salvaguardando in tal modo il rischio di integrare una disparità di trattamento rispetto agli altri concorrenti.
Né si è così realizzata una lesione di uno specifico interesse sostanziale dell’Amministrazione, dal momento che la segretezza delle offerte e la relativa imputabilità al concorrente era stata preservata e salvaguardata e, pur avendo aperto la Busta A al fine di verificarne il contenuto ed accertare l’eventuale presenza della Busta B, la Commissione di gara non ha in tal modo invertito la normale sequenza di svolgimento della procedura, dal momento che, una volta rinvenuta la Busta B e verificatane l’integrità, l’ha messa da parte procedendo ad accertare le dichiarazioni contenute nella Busta A ed ammettere la società Effeser S.r.l. alla gara.
E’ stata pertanto preservata la fondamentale sequenza procedimentale di eseguire la valutazione dell’offerta in due tempi, separando il momento valutativo della documentazione amministrativa da quello dell’offerta economica, lasciano l’offerta segreta fino all’esame dei documenti prescritti dalla lex specialis, evitando, in tal modo, possibili influenze della Commissione di gara, dovute alla preventiva conoscenza dell’offerta, tutelando, così, l’imparzialità dell’azione e la par condicio dei concorrenti.
Pertanto, l’operato dell’ANAS, volto a dare un’interpretazione finalistica alle prescrizioni del bando, piuttosto che una lettura formalistica, appare conforme alla ratio della procedura ed è in ogni caso ispirata al principio del favor partecipationis, senza incorrere in alcun caso nella violazione dei principio di par condicio e trasparenza (cfr. in tal senso, Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 3000 del 15.05.2009).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il provvedimento adottato dall’ANAS di ammettere alla gara la società Effeser S.r.l. è conforme ai principi in materia di contratti pubblici (parere 08.10.2009 n. 96 - link a
www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Affidamento servizi di progettazione di importo inferiore a 100.000 euro.
Servizi di progettazione - Affidamento servizi di importo inferiore a 100.000 euro - Disciplina ex art. 91, c.2, dlgs. 163/2006 - Criteri di selezione professionista - Necessità di analitica e rigorosa predeterminazione elementi e subelementi di valutazione - Va esclusa - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Alla luce dei parametri di legittimità desumibili dalla determinazione di questa Autorità n. 1 del 19.01.2006, ancor oggi attuali, il procedimento di evidenza pubblica per l’affidamento dell’incarico professionale in oggetto, siccome esperito dal Comune di ITRI non presta il fianco a censure.
Invero, sotto nessuno dei profili in quella determinazione evidenziati le doglianze dell’istante possono essere positivamente apprezzate.
Si tratta, nel caso all’esame, dell’affidamento di servizi di ingegneria di importo stimato inferiore a 100.000 euro, com’è agevole desumere dagli stessi riferimenti normativi del Bando versato in atti: l’art. 91, co. 2, del D.Lgs. n.163/2006 (d’ora in avanti denominato “Codice”) –secondo cui “gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo…di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 (100.000 euro n.d.r.) possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento…nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall'articolo 57, comma 6; l'invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei”– e, per l’appunto, l’art. 57, co. 6, del Codice –secondo cui “ove possibile, la stazione appaltante individua gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico finanziaria e tecnico organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza…Gli operatori economici selezionati vengono contemporaneamente invitati a presentare le offerte oggetto della negoziazione, con lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione richiesta. La stazione appaltante sceglie l'operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa, previa verifica del possesso dei requisiti di qualificazione previsti per l'affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura aperta, ristretta, o negoziata previo bando”.
E’ noto che il principio di concorrenza e quelli di radice comunitaria (che ne rappresentano attuazione e corollario) di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, che hanno trovato recepimento espresso nel diritto interno (come, per l’appunto, nell’art. 91, co. 2, del Codice), costituendo principi fondamentali anche per il nostro ordinamento ex art.1, co. 1, della legge 241/90, si elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici e sono direttamente applicabili, a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie od interne ed in modo prevalente rispetto ad eventuali disposizioni interne di segno contrario (cfr. ex multis: TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 21.05.2008, n. 1978).
Il precedente normativo in subiecta materia è costituito dall’art. 17, comma 12, della legge 109/1994, così come modificato dalla legge n. 65/2005 in ottemperanza al pronunciamento della Commissione europea che ebbe a censurare la mancata previsione di alcun onere minimo di messa in concorrenza e l’assenza di alcuna forma di pubblicità, atta a consentire un confronto concorrenziale fra i soggetti potenzialmente interessati alla prestazione del servizio.
In osservanza a detti rilievi, il legislatore nazionale ha eliminato la possibilità dell’affidamento diretto su base fiduciaria degli incarichi per importo inferiore a 100.000 euro, facendo espresso richiamo all’obbligo da parte delle stazioni appaltanti del rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza.
Ciò si è tradotto, per quanto rileva in questa sede, nell’instaurazione di una apposita procedura negoziata (previa pubblicazione di apposito Bando -che nella fattispecie è stata effettuata alla stregua di opzione strumentale alla ricerca di qualificate manifestazioni di interesse- nelle spedite forme dell’Albo pretorio e del sito internet della stazione appaltante), con la quale si è proceduto ad una verifica preliminare tesa alla selezione -mediante l’applicazione dei criteri selettivi discrezionalmente enunciati nel Bando- di cinque candidati ammessi a presentare la successiva offerta economica, per l’affidamento dell’incarico secondo il prescelto criterio del prezzo più basso.
La preliminare richiesta del possesso dei requisiti suddetti per la partecipazione alla procedura negoziata di che trattasi è avvenuta nel pieno rispetto del principio di proporzionalità, risultando strettamente connessa alla tipologia ed all'importo dell'incarico di che trattasi, inferiore alla soglia dei 100.000 euro, senza peraltro comportare il pericolo di una indebita restrizione della concorrenza. Nessuna necessità ulteriore –dato il criterio automatico (prezzo più basso) di aggiudicazione prescelto dalla S.A.– è dato rinvenire nella fattispecie per divisare il fondamento di una distinta predeterminazione di criteri di valutazione delle offerte rapportati alla tipologia e all’importo dell’incarico, altrimenti ravvisabile nel caso di un incarico di maggior importo e complessità.
Per questo è bastevole rappresentare che nell’avviso di selezione in argomento sono stati indicati i requisiti minimi di idoneità professionale richiesti dalla stazione appaltante per assumere l’incarico in questione, in modo tale da consentire agli aspiranti, in assoluta condizione di parità, di dimostrare -tramite il curriculum- il possesso di una esperienza adeguata rapportata alla tipologia e all’importo dell’incarico. Essendo, inoltre, il criterio di aggiudicazione prescelto quello del prezzo più basso, non era necessario che la S.A. fissasse ulteriori distinti criteri e sub-criteri di merito comparativo per la selezione dei cinque professionisti da invitare successivamente a formulare l’offerta economica, così come preteso dall’istante sulla falsariga del distinto criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 83 del Codice. E’ solo in relazione a quest’ultimo criterio, infatti, che va tenuto distinto il merito tecnico dell’offerta da valutarsi nella fase di affidamento, con riguardo alle caratteristiche qualitative dei progetti presentati, che l’offerente ritenesse rappresentativi della propria capacità progettuale, in rapporto a quella degli altri concorrenti.
Del resto, diversamente da quanto preteso al riguardo dall’istante, questa Autorità ha già avuto modo di statuire, con le deliberazioni n. 43/2007 e n. 86/2007, che l’avviso deve riportare i criteri di selezione dei curricula, senza la necessità di un'espressa e puntuale predeterminazione dei pesi ponderali assegnati a ciascun criterio.
Dalle considerazioni sopra riportate emerge, dunque, che la normativa cui fa riferimento il Bando, imponeva alla stazione appaltante l'esperimento di una previa procedura di tipo comparativo per l’individuazione di cinque candidati da ammettere alla successiva fase dell’offerta economica, assistita da una adeguata pubblicità.
Al riguardo, come espresso da questa Autorità con le determinazioni n. 18/2001 e n. 30/2002, per “adeguata pubblicità” deve intendersi quella pubblicità che, seppure semplificata, risulti funzionale allo scopo di raggiungere la più ampia sfera di potenziali professionisti interessati all’affidamento, in relazione all’entità ed all’importanza dell’incarico: ciò che è avvenuto nella fattispecie, tenuto conto dell’importo e della tipologia dell’incarico.
Inoltre, per quanto attiene al procedimento di selezione dei candidati, la stazione appaltante ha puntualmente indicato nel Bando gli elementi sui quali si sarebbe basata. Si è trattato, in tutta evidenza, di oggettivi criteri curriculari di confronto comparativo, proporzionati all’incarico da conferire ed alle caratteristiche proprie della procedura negoziata prescelta.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che la procedura posta in essere dal Comune di ITRI per l’affidamento dell’incarico in oggetto è conforme alla normativa di settore (parere 08.10.2009 n. 95 - link a
www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sulla violazione dell'art. 38, c. 1, lett. i), dlgs 163/2006 in materia di regolarità contributiva nell'ipotesi in cui il predetto requisito difetti in capo all'impresa ausiliaria.
Sull'adempimento tardivo gli obblighi contributivi.

Nell'ambito delle procedure di affidamento relative ad appalti di lavori, servizi e forniture, è legittima l'esclusione di un concorrente che abbia commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme dettate in materia di contributi previdenziali ed assistenziali, ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. i), d.lgs 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) anche laddove, come nel caso di specie, la suddetta violazione sia stata commessa dall'impresa di cui la concorrente si è avvalsa ai sensi dell'art. 49 dlgs 163/2006.
E legittima l'esclusione di un concorrente per violazione delle norme sui contributi previdenziali ed assistenziali, anche nell'ipotesi in cui l'operatore escluso dalla gara abbia adempiuto alle proprie obbligazioni soltanto in un momento successivo, giacché l'affidabilità di un'impresa è provata, tra le altre, da una regolarità contributiva che si mantenga costante per tutta la durata dello svolgimento della gara.
Difetta, in capo alla stazione appaltante, il potere di verifica in ordine alla regolarità contributiva dei concorrenti, in quanto siffatta attività rientra nella competenza degli enti previdenziali, le cui risultanze assumono valore di dichiarazioni di scienza, rientrando, in tal modo, nel novero delle attestazioni redatte da un pubblico ufficiale, e per le quali la P.A. non ha alcun autonomo potere di valutazione in ordine al relativo contenuto (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 24.11.2009 n. 11599 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Demolizione ordinata dal giudice.
L’ordine di demolizione impartito dal giudice penale ai sensi dell’ari. 31, comma 9. del TU. n. 380/2001, assolvendo ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, ha natura di provvedimento accessorio rispetto alla condanna principale e costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma svincolato rispetto a quelli dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale.
Deve ritenersi definitivamente superata, infatti, in materia urbanistica, la visione di un giudice supplente dell’Amministrazione pubblica. Lo stesso territorio costituisce l’oggetto della tutela posta dalla normativa penale urbanistica ed a tale tutela sostanziale si riconnette l’attribuzione al giudice del potere di disporre provvedimenti ripristinatori specifici qualora perduri la situazione offensiva dell’interesse protetto dalla norma penale.
Se, dunque, il potere di ordinare la demolizione attribuito al giudice penale, pur essendo di natura amministrativa, è rivolto al ripristino del bene tutelato in virtù di un interesse (anche di prevenzione) correlato all‘esercizio della potestà di giustizia, il provvedimento conseguente compreso nella sentenza passata in giudicato, al pari delle altre statuizioni della sentenza medesima, è assoggettato all’esecuzione nelle forme previste dagli artt. 655 e seguenti del codice di procedura penale.
L’organo promotore dell’esecuzione va identificato, pertanto, nel pubblico ministero, il quale -ove il condannato non ottemperi all’ingiunzione a demolire- dovrà investire il giudice dell’esecuzione al fine della fissazione delle concrete modalità esecutive (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.11.2009 n. 44898 - link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI: La P.A. è cattivo pagatore. Cassazione cambia rotta sul credito.
Questa volta a scriverlo, nella sentenza 20.11.2009 n. 24526, è la Corte di Cassazione, Sezione tributaria.
I giudici, chiamati a decidere su un ricorso del ministero dell'economia e finanze nei confronti di una società, riconoscono che «deve essere abbandonato l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui gli interessi di mora deducibili ai sensi dell'articolo 71 del Tuir sono quelli per cui è normalmente ammessa la deducibilità e non anche quei crediti che seppur incerti rispetto al tempo dell'incasso non possono considerarsi a rischio di insolvenza, quando il debitore abbia natura e veste pubblica».
Per i giudici la fotografia dei rapporti tra pubblica amministrazione e imprese è diversa ora, «lo stato di insolvenza del debitore (...) deve essere rapportato alla situazione fattuale che vede gli enti pubblici pagare con enorme ritardo».
E i giudici forniscono anche le ragioni dei ritardi della pubblica amministrazione, le cause del ritardo sono infatti da ricercare, «dal cosiddetto patto di stabilità alla progressiva riduzione delle risorse provenienti dal bilancio statale»: e nel rapporto tra pubblica amministrazione e impresa, quest'ultima è tenuta a sopportare , «per un tempo non definito né definibile», scrivono i giudici, «oneri bancari di entità ben superiore agli interessi legali che le verranno successivamente riconosciuti e ciò costituisce un incontestabile rischio per le potenzialità economica dell'attività imprenditoriale».
Nella sentenza i giudici sottolineano che a suo tempo la corte aveva fissato un principio che però vista la situazione odierna dei ritardi nei pagamenti è il momento di rivedere, riconoscendo quindi una possibilità in precedenza preclusa per i debiti di un ente pubblico per definizione sempre solvibile, di iscrizione del credito nella voce di accantonamento rischi su crediti.
Nella sentenza poi si affronta anche l'aspetto, questo invece pacifico, di quando iscrivere i costi del credito in bilancio. Per la sentenza è stato corretto inserire secondo il principio di competenza i costi non al momento della ricezione delle fatture ma nel momento in cui il debito è sorto, un debito soggetto a revisione e a definizione consensuale (articolo ItaliaOggi del 24.11.2009, pag. 25).

LAVORI PUBBLICI: PERCENTUALI MINIME AL FINE DELLA QUALIFICAZIONE IN CASO DI RAGGRUPPAMENTI ORIZZONTALI.
1.- Appalto di lavori - Associazione temporanea - Mandatario - Art. 95 co. 2, D.P.R. n. 554/1999 - Requisito di ammissibilità - 40% dell'importo complessivo dell'appalto - Applicazione art. 3, D.P.R. n. 34/2000 - Non sussiste.
2.-
Appalto di lavori - Aggiudicazione - Contratto a favore di una associazione temporanea di imprese - Impugnazione - Notifica - Alla sola società mandataria - Ammissibilità.
1.- In base all'art. 95, co. 2, D.P.R. n. 554/1999, che regola il rapporto percentuale che deve intercorrere, in sede di qualificazione, tra le imprese mandanti e l'impresa mandataria, l'associazione risulta validamente costituita e può essere ammessa se la mandataria possiede almeno il 40% dell'importo complessivo dell'appalto e le mandanti almeno il 10%, ma detta soglia minima ai fini della qualificazione deve sussistere a prescindere dal ricorso al beneficio dell'incremento del quinto, di cui all'art. 3 co. 2, D.P.R. n. 34/2000.
2.- In caso di impugnativa dell'atto di aggiudicazione di un contratto a favore di una associazione temporanea di imprese, l'onere di notifica al controinteressato deve intendersi assolto con la notificazione alla sola società mandataria, quale punto di riferimento unitario del costituendo raggruppamento, idoneo come tale, grazie allo speciale potere di rappresentanza attribuito alla capogruppo, a rendere idonea l'instaurazione del giudizio nei confronti di tutte le imprese associate (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 20.11.2009 n. 2961 - link a http://mondolegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Responsabilità del direttore dei lavori.
La mera qualità di direttore dei lavori con riferimento ad attività edilizia non comporta alcun obbligo di vigilanza e denuncia in relazione alla violazione della normativa sui rifiuti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.11.2009 n. 44457 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Sulla possibilità, per la stazione appaltante, di prevedere requisiti di partecipazione ulteriori e più rigorosi di quelli prescritti dalla legge.
In materia di gare d'appalto ed affidamento di servizi pubblici, è legittima la clausola di un bando che, ai fini dell'aggiudicazione della gara, prescriva il possesso -in capo ai concorrenti- di requisiti di partecipazione più rigidi rispetto a quelli indicati dalla legge, purché gli stessi non risultino discriminanti e sproporzionati rispetto alla normativa di settore; ciò in quanto le previsioni contenute nella legislazione di settore stabiliscono una semplice presunzione circa il possesso dei requisiti richiesti ai fini della partecipazione alla gara e che, quindi, ben possono essere derogati ed incrementati dalla stazione appaltante, in virtù delle peculiari caratteristiche del servizio affidato; pertanto, nel caso di specie, il potere discrezionale così esercitato dall'Amministrazione committente è da ritenersi pienamente legittimo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.11.2009 n. 7247 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità della clausola di un bando di gara che, per lo svolgimento del servizio di smaltimento dei rifiuti in un'area portuale, prescriva, in capo ai concorrenti, il solo requisito dell'iscrizione nel registro delle imprese di pulizia.
Sulla possibilità, per un'impresa concorrente, di attestare il possesso dei requisiti di idoneità, professionalità e ed esperienza successivamente al termine di scadenza fissato dal bando per la presentazione delle offerte.

In materia di appalti per l'affidamento dei servizi di pulizia e smaltimento rifiuti da eseguirsi presso aree esterne (nella specie: area portuale di Brindisi), è illegittima la clausola del bando che preveda, quale requisito essenziale ai fini della partecipazione alla gara, la sola iscrizione dell'impresa concorrente al registro delle pulizie; ciò in quanto i servizi aventi ad oggetto attività di pulizia da svolgersi in ambienti esterni sono da ricondursi alla categoria "gestione dei rifiuti", settore per il quale, ai sensi dell'art. 212 del d.lvo n. 152/2006, c.d. codice ambientale,le pubbliche amministrazioni devono affidarsi ad operatori dotati di competenza ed affidabilità tali da consentire un'adeguata tutela dell'ambiente; garanzia minima di un buon livello di professionalità è data dall'iscrizione delle concorrenti nell'apposito albo dei gestori ambientali.
E' inammissibile la presentazione tardiva, da parte di un'impresa concorrente, della documentazione necessaria ad identificarne il possesso dei requisiti richiesti ai fini della partecipazione alla gara, giacché i criteri di selezione stabiliti dal bando devono risultare sussistenti già nella fase precedente alla valutazione delle offerte, onde consentire all'amministrazione committente di accertare la potenziale idoneità dei concorrenti ad eseguire la prestazione oggetto dell'appalto (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 19.11.2009 n. 2799 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulle modalità di organizzazione e di gestione del servizio idrico integrato.
Il D. Lgs. 03/04/2006 n. 152 (c.d. codice dell'ambiente) in materia di servizio idrico integrato, completando il percorso delineato dai precedenti provvedimenti legislativi mediante il riconoscimento della personalità giuridica in capo all'Autorità d'Ambito, prevede la partecipazione obbligatoria degli Enti locali del territorio (salvo per i Comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti facenti parte di una Comunità montana) e l'espresso trasferimento all'Autorità delle competenze spettanti ai Comuni in materia di programmazione delle infrastrutture e di gestione delle risorse idriche (art. 148 c. 1). Spetta invece alle Regioni e alle Province autonome la disciplina delle forme e dei modi della cooperazione tra gli Enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, assolto l'obbligo di costituire l'Autorità "cui è demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato" (art. 148, c. 2).
Lo strumento cui avvalersi per la programmazione degli interventi anche sotto il profilo economico-finanziario e per la definizione del modello gestionale e organizzativo è il Piano d'ambito, approvato dall'Autorità ai sensi dell'art. 149 del citato D. Lgs. n. 152/2006. In definitiva la scelta del legislatore statale e regionale è quella di superare le frammentazioni e di attribuire ad un unico Ente l'esercizio delle funzioni in materia di servizio idrico integrato, secondo le regole proprie della collegialità elaborate dalla Regione (art. 48 c. 3 L.R. Lombardia 26/2003 così come modificato dalla L.R. 18/2006).
Pertanto, non può essere riconosciuto ad alcun Comune il potere di autodeterminarsi sull'organizzazione e sulla gestione del servizio idrico integrato, in quanto ogni decisione in tal senso deve avvenire all'interno dell'Autorità d'ambito e secondo le sue regole di funzionamento: in buona sostanza le determinazioni dell'Autorità assumono portata vincolante sull'intero territorio provinciale in virtù di una precisa scelta legislativa.
La singola amministrazione locale non può, dunque, intraprendere percorsi autonomi e scegliere modalità di gestione diverse da quelle individuate dall'Autorità: per questo motivo, ove non aderisca, esso non ha interesse a contestare le determinazioni da quest'ultima legittimamente assunte né può far valere un interesse di tipo strumentale, avendo assunto sotto la propria responsabilità la decisione espressa di non farne parte e pertanto non potendo pretendere di imputare all'Ente sovracomunale le conseguenze di una propria autonoma scelta (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 19.11.2009 n. 2238 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Sulla possibilità, per l'impresa aggiudicataria di una gara pubblica, di subappaltare i lavori laddove la stessa difetti delle qualifiche necessarie ai fini dell'esecuzione di opere ad alto contenuto tecnologico.
Nell'ipotesi di un bando di gara avente ad oggetto l'esecuzione di opere ad elevato contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, è fatto divieto -all'impresa aggiudicataria della gara- di subappaltare l'esecuzione dei lavori per ovviare alla carenza delle necessarie qualifiche all'uopo richieste, laddove il subappalto oltrepassi i limiti quantitativi prescritti dall'art. 37, c. 11 del dlgs 163/2006, come modificato dal correttivo ex dlgs 152/2008.
La predeterminazione legale di un limite quantitativo per il ricorso al subappalto nelle categorie specializzate corrisponde ad un'equa tutela dell'esigenza di controllo della qualità degli operatori economici, in relazione a prestazioni particolarmente significative, di cui è portatrice la stazione appaltante (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 18.11.2009 n. 1048 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sospensione condizionale e demolizione.
Il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva, in quanto il relativo ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato e si tratta di una sanzione amministrativa esercitata dal giudice penale con un potere autonomo.
Il fatto che sia stata affermata la necessità di “coordinare” l’esercizio di tale potere -revocabile sino alla fase esecutiva con eventuali altri interventi della P.A.- non equivale a precluderlo a priori.
Conseguentemente, l’intervenuta sospensione dell’analogo provvedimento da parte del TAR non si riverbera sulla competenza del giudice penale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.11.2009 n. 43862 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: BOSCHI E FORESTE - INCENDI - Aree percorse dal fuoco - Divieti, sanzioni e prescrizioni - Art. 10 L. n. 353/2000 - Ambito oggettivo di applicazione della norma - Zone boscate e pascoli - Zone arborate cespugliate - Esclusione - Fattispecie - Coltivazione ad uliveto.
Dalla lettura degli artt. 2 e 10, cc. 1 e 2 della legge quadro sugli incendi boschivi (L. n. 353 del 2000) emerge che la definizione di “incendio boschivo” di cui all’art. 2 si riferisce ad aree (boscate, cespugliate o arborate) più ampie di quelle richiamate nel comma 1 dell’art. 10 che limita, invece, l’applicazione dei divieti, prescrizioni e sanzioni soltanto a “zone boscate e pascoli i cui soprassuoli” sono stati percorsi dal fuoco, cioè un insieme di aree naturali e vegetali più delimitato rispetto a quello di cui sopra.
Ne deriva che l’ambito oggettivo di applicazione della norma speciale è più limitato e riguarda le sole zone boscate e pascoli (e non le zone arborate).
A ciò va aggiunto che nella definizione di “bosco” il legislatore sia ha previsto una equiparazione dello stesso alla foresta e alla selva (art. 2, comma 1, D.Lgs. 18.05.2001, n. 227) ed ha individuato alcune fattispecie assimilate a bosco (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 227 del 2001), inoltre ha distinto la vegetazione forestale da quella arbustiva (art. 3, commi 3 e 4, L.R. n. 39 del 2002), definendo così una disciplina unitaria e coordinata per i boschi e le aree boscate (fattispecie relativa ad area coperta da coltura agraria - oliveto e vigneto) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 17.11.2009 n. 11242 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti eolici - Autorizzazione all’installazione - Comune - Sospensione sine die - Illegittimità - D.lgs. n. 387/2003.
Il Comune non può bloccare l’istallazione degli impianti eolici sine die. Un potere di sospensione sine die è in genere vietato dall’ordinamento; deve ritenersi a maggior ragione inammissibile qualora il legislatore abbia inteso, come con il d.lgs. n. 387/2003, accelerare -per di più entro un termine perentorio- e semplificare determinate procedure.
Ed infatti, la giurisprudenza ha già affermato che il blocco sine die degli impianti eolici non può essere consentito (C. Cost. n. 364/2006; Tar Molise, n. 20/2007).
Impianti eolici - Installazione - Comune - Determinazione assunta al di fuori della conferenza di cui al d.lgs. n. 387/2003 - Illegittimità - Incompetenza - Autorizzazione regionale.
Avendo il legislatore previsto, con il d.lgs. n. 387/2003, una conferenza unificata, in cui tutte le Amministrazioni coinvolte debbono esprimere le proprie valutazioni, il Comune non può decidere autonomamente, al di fuori di tale conferenza, di vietare l’istallazione degli impianti eolici.
Inoltre, come si evince dall’art. 12 co. 3 d.lgs. n. 387/2003, l’ente competente a rilasciare (o a negare) l’autorizzazione è la Regione, o un ente delegato dalla Regione: sicché il Comune deve essere ritenuto incompetente (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 17.11.2009 n. 7547 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: MODIFICHE REGIONALI ILLEGITTIME AL P.R.G..
1.- Piani urbanistici - Regolatore generale - Regione - Approvazione con modifiche - Nei soli casi tassativamente indicati dall'art. 45, L.R. n. 61/1985.
2.- Piani urbanistici - Regolatore generale - Modifica - Beni mai qualificati di interesse paesaggistico - Vincolo - Assenza - Competenza - Non sussiste.
3.- Giudizio amministrativo - Cautelare - Ordinanza - Effetti - Sospensione delle modifiche d'ufficio apportate dalla Regione al P.R.G. - Fattispecie.

1.- La Regione può approvare il piano regolatore introducendo modifiche d'ufficio solo nelle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 45, L.R. n. 61/1985
2.- La Regione non può modificare d'ufficio il piano regolatore invocando la propria competenza in materia di paesaggio su beni che formalmente non sono mai stati qualificati d'interesse paesistico, né tale prerogativa può riconoscersi, in assenza di specifico vincolo, al PTRC.
Anche a voler ritenere sussistente una potestà della Regione in tal senso, essa non sarebbe comunque idonea, nel caso specifico, a legittimare l'introduzione di modifiche d'ufficio, in quanto esercitata in assenza di un minimo di supporto motivazionale che desse conto dell'impatto negativo della nuova previsione urbanistica sulle esigenze di protezione della zona.
3.- La sospensione in via giudiziale, con ordinanza cautelare delle modifiche d'ufficio apportate dalla Regione ad un'area di proprietà privata, comportano non già la momentanea inefficacia soltanto delle predette modifiche e l'approvazione pura e semplice della variante al P.R.G. senza le contestate modifiche, bensì la temporanea cristallizzazione degli effetti dell'atto approvativo nella sua complessiva formulazione e configurazione (il Collegio ritiene, dunque, errata la censura sollevata da parte ricorrente secondo la quale l'ordinanza n. 495/2008 con cui l'intestato Tribunale, accogliendo la proposta istanza cautelare, aveva sospeso la delibera regionale di approvazione della variante nella parte in cui aveva modificato d'ufficio la destinazione urbanistica attribuita dal Comune all'area di sua proprietà, avrebbe inciso non già sull'approvazione dello strumento urbanistico, ma esclusivamente sulle modifiche d'ufficio apportate alla classificazione dell'area, permanendo l'efficacia approvativa dell'intero piano) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 17.11.2009 n. 2949 - link a http://mondolegale.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Requisiti tecnico-finanziari di partecipazione - Mancanza di specifica prescrizione di gara - Possibilità di ricorrere all’istituto dell’avvalimento - Sussistenza.
Anche in mancanza di specifica prescrizione del bando di gara, è possibile ricorrere all’istituto dell’avvalimento, ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di ordine tecnico-finanziario di partecipazione (Cons. Stato, sez. VI, 22.04.2008, n. 1856) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.11.2009 n. 7054 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Riapertura del procedimento di gara - Potere di autotutela - Procedimento unico - Comunicazione della riapertura - Necessità - Esclusione.
La riapertura del procedimento di gara ai fini dell'esercizio del potere di autotutela volto ad eliminare illegittimità precedentemente verificatesi non costituisce un nuovo procedimento amministrativo, essendo unico il procedimento di gara per la scelta del contraente nei pubblici appalti che ha inizio con il bando di gara e si conclude solo con l'aggiudicazione definitiva, con la conseguenza che non è necessaria la comunicazione della riapertura del procedimento di gara e delle successive attività della commissione ma solo la comunicazione della data in cui la commissione procede al riesame (Consiglio Stato, sez. IV, 05.10.2005, n. 5360).
Commissione di gara - Organo straordinario e temporaneo - Attività - Rilevanza esterna - Approvazione da parte degli organi competenti dell’amministrazione aggiudicatrice - Aggiudicazione definitiva - Potere di autotutela.
La commissione di gara è un organo straordinario e temporaneo dell'amministrazione aggiudicatrice (C.d.S., sez. IV, 04.02.2003, n. 560; C.G.A., 06.09.2000, n. 413) e non già una figura organizzativa autonoma e distinta rispetto ad essa (C.d.S., sez. V, 14.04.1997, n. 358), la cui attività acquisisce rilevanza esterna solo in quanto recepita e approvata dagli organi competenti della predetta amministrazione appaltante. Infatti, essa svolge compiti di natura essenzialmente tecnica, con funzione preparatoria e servente, rispetto all'amministrazione appaltante, essendo investita della specifica funzione di esame e valutazione delle offerte formulate dai concorrenti, finalizzata alla individuazione del miglior contraente possibile, attività che si concreta nella c.d. aggiudicazione provvisoria.
La funzione di detta commissione si esaurisce soltanto con l'approvazione del proprio operato da parte degli organi competenti dell'amministrazione appaltante e, cioè, con il provvedimento di c.d. aggiudicazione definitiva: nel periodo intercorrente tra tali atti non può fondatamente negarsi il potere della stessa commissione di riesaminare nell'esercizio del potere di autotutela il procedimento di gara già espletato, anche riaprendo il procedimento di gara per emendarlo da errori commessi e da illegittimità verificatesi, anche in relazione all'eventuale illegittima ammissione o esclusione dalla gara di un'impresa concorrente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.11.2009 n. 7042 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso di attivazione dello sportello unico attività produttive, in variante al vigente P.R.G., il concetto di “insufficienza in relazione al progetto presentato” rimanda a una valutazione, per così dire, di tipo quantitativo da parte della Conferenza e non di natura qualitativa. In altre parole, la Conferenza, per dare corso alla proposta di variante urbanistica deve limitarsi a verificare la presenza o sufficienza (dal punto di vista dimensionale) delle aree destinate all’insediamento degli impianti nello strumento urbanistico senza entrare nel merito della concreta fruibilità di queste aree.
La questione ridotta nella sua essenza, è se, la procedura di variante semplificata di cui al citato art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998 possa essere avviata, non solo in caso di assenza di aree destinate agli insediamenti produttivi e di aree insufficienti in relazione al progetto presentato ma anche nel caso in cui dette aree siano non disponibili per i più vari motivi (nel caso di specie per assenza delle opere di urbanizzazione).
Rileva il Collegio, che la costante giurisprudenza (ex multis C. d. S., sez. IV n. 1038 del 03.03.2006), pur riconoscendo la volontà del legislatore di favorire le iniziative economiche, ha qualificato l’art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998 come disposizione di natura eccezionale che consente di variare lo strumento urbanistico “saltando” la procedura ordinaria al ricorrere di ipotesi tassativamente previste. La portata derogatoria dell’istituto rispetto alla regola del diniego necessitato all’approvazione di un progetto contrastante con lo strumento urbanistico rende i presupposti di cui all’art. 5 di stretta interpretazione.
In particolare il concetto di “insufficienza in relazione al progetto presentato” rimanda a una valutazione, per così dire, di tipo quantitativo da parte della Conferenza e non di natura qualitativa. In altre parole, la Conferenza, per dare corso alla proposta di variante urbanistica deve limitarsi a verificare la presenza o sufficienza (dal punto di vista dimensionale) delle aree destinate all’insediamento degli impianti nello strumento urbanistico senza entrare nel merito della concreta fruibilità di queste aree.
Una diversa interpretazione delle norme de qua consentirebbe di aggirare la procedura ordinaria di modifica della pianificazione urbanistica tutte le volte che le aree destinate agli insediamenti produttivi siano qualitativamente non adeguate rispetto al progetto ovvero presentino problemi specifici che il Comune ancora non ha risolto.
E’ solo l’impossibilità evidente di reperire nello strumento urbanistico esistente aree da destinare all’iniziativa produttiva che abilita il ricorso alla procedura di variante semplificata, che, comunque deve essere sottoposta al vaglio del Consiglio comunale che decide in piena autonomia se aderire o meno alla proposta di variante della Conferenza.
In altre più semplici parole qualora il P.I.P. sia stato approvato, l’interessato non può invocare l’applicazione dell’art. 5 per realizzare l’insediamento produttivo in altra area del Comune ma deve richiedere allo stesso gli atti concessori che gli permettano di realizzare l’insediamento nella aree a ciò destinate dalla programmazione urbanistica. In caso di illegittimo diniego potrà ricorrere ai rimedi ordinari di impugnazione (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 10.11.2009 n. 7217 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI soppalchi rientrano nel novero delle opere interne non soggette a concessione di costruzione, laddove non incidano sulla sagoma e sui prospetti della costruzione.
La disposizione dirigenziale impugnata ingiungeva la demolizione d’ufficio delle seguenti opere realizzate senza il permesso di costruire: soppalco di mt. 1,50 x 3,30 a mt. 2,00 d’altezza dal calpestio interno e a mt. 1,70 dal solaio di copertura.
Al riguardo, deve condividersi l’orientamento giurisprudenziale formatosi nella vigenza degli artt. 9 e 26 L. 28.02.1985 n. 47, secondo cui i soppalchi rientrano nel novero delle opere interne non soggette a concessione di costruzione, laddove non incidano sulla sagoma e sui prospetti della costruzione (TAR Firenze n. 21 del 07.02.1997, “La costruzione (o la ricostruzione) di un soppalco di modeste dimensioni ad uso deposito, sbratto o ripostiglio, all'interno di un appartamento (o di un esercizio commerciale) per ottenere la duplice utilizzazione di un vano, è, di regola, opera che, non comportando aumento di volume né aumento della superficie utile né modifica della destinazione d'uso dell'immobile, non è riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia, e ciò anche nel caso in cui le dimensioni del manufatto e, soprattutto, la circostanza che per la sua realizzazione occorra la demolizione di un controsoffitto e la posa in opera di un solaio ad una diversa quota d'imposta, ricorrendo in tale ipotesi una fattispecie di restauro e risanamento conservativo in quanto, pur introducendo un quid novi, si rivela rispettoso delle caratteristiche tipologiche, formali e strutturali dell'edificio e non comporta una destinazione d'uso con esse incompatibile”; TAR Lazio-Roma n. 962 del 17.05.1996; TAR Lazio-Roma n. 1161 del 15.07.1997 “La realizzazione di un soppalco con struttura in ferro e legno di ridotte dimensioni all'interno di locale con destinazione commerciale, ai fini di una migliore sistemazione ed utilizzazione dello stesso -e che non risulti in contrasto con la disciplina urbanistica della zona, non rechi modifiche della sagoma o dei prospetti della costruzione o aumento del numero delle superfici utili, del numero delle unità immobiliari o della destinazione di zona e che non sia pregiudizievole alla statica dell'immobile- non comporta l'obbligo di munirsi di concessione edilizia”).
Pertanto, essendo i lavori descritti nell'impugnato provvedimento qualificabili in termini di opere interne di modestissime dimensioni, che non comportano aumento di volume né aumento della superficie utile né modifica della destinazione d'uso dell'immobile, si palesa illegittima la irrogazione della sanzione del ripristino (in ciò prescindendosi dalla altezza del realizzato soppalco).
L’Amministrazione comunale avrebbe infatti dovuto valutare, trattandosi –per quanto sopra- di opere sottoposte al regime della DIA, l’applicazione della semplice sanzione pecuniaria (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 27.03.2007, n. 2859) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 09.11.2009 n. 7068 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe scelte compiute dall'Amministrazione in sede formazione del P.R.G. o di variante dello stesso sono espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui essa dispone in materia e dalla quale discende la loro sindacabilità solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità, arbitrarietà ed evidente travisamento dei fatti.
Per la materia della pianificazione urbanistica si è consolidata una giurisprudenza in base alla quale le scelte effettuate dall’Amministrazione in sede di adozione del piano regolatore, o di una sua variante generale, costituiscono apprezzamenti di merito, sottratti al sindacato di legittimità, a meno che non siano inficiati da errori di fatto o da abnormi illogicità (cfr., T.R.G.A. Trento, 21.03.2006, n. 83 e 20.08.2008, n. 220).
Anche il Consiglio di Stato si è più volte pronunciato a tale riguardo, chiarendo che “le scelte compiute dall'Amministrazione in sede formazione del piano regolatore o di variante dello stesso sono espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui essa dispone in materia e dalla quale discende la loro sindacabilità solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità, arbitrarietà ed evidente travisamento dei fatti” (cfr., ex multis, sez. IV, 27.12.2007, n. 6686); che tali scelte, “connotate da alta discrezionalità, non necessitano di specifica motivazione, essendo sufficiente il richiamo ai criteri tecnici di redazione del piano, se non in presenza di aspettative qualificate e non generiche in capo ai privati, quali quelle derivanti da pronunce giurisdizionali passate in giudicato oppure da accordi intervenuti con l'ente locale, in particolare da convenzioni di lottizzazione, ma a condizione che siano divenute operative” (cfr., ex multis, sez. IV, 27.12.2007, n. 6686; 02.03.2009, n. 1149; 12.03.2009, n. 1477 e 24.04.2009, n. 2630) (T.R.G.A. Trento, sentenza 06.11.2009 n. 277 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICASulla finalità e sulla necessità del Piano di Lottizzazione.
Per quanto attiene alle finalità perseguite con la lottizzazione edilizia, è stato da tempo segnalato che essa ha per oggetto l’ordinata suddivisione del suolo per consentire di ivi pianificare l’attività costruttiva con le connesse opere di urbanizzazione, conferendo un nuovo assetto ad una parte del territorio tramite la combinazione di strutture di interesse pubblico e privato. “Nel sistema pianificatorio, infatti, la lottizzazione assume la valenza di piano urbanistico di attuazione, ossia di strumento esecutivo di urbanizzazione e di preconcessione edilizia e, pertanto, avendo un contenuto simile a quello dello strumento urbanistico generale, in relazione alla specifica destinazione della zona interessata, deve delineare in modo schematico sia il tracciato delle aree destinate a strade e alle altre opere di urbanizzazione sia il tracciato dei lotti edificabili” (cfr. T.R.G.A., Trento, 02.11.2000, n. 429).
Il Consiglio di Stato ha a sua volta affermato che lo strumento della lottizzazione è utile soprattutto quando si tratta di asservire per la prima volta un’area ad un nuovo insediamento, mediante la costruzione di uno o più fabbricati “che obiettivamente esigano per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo la realizzazione o il potenziamento delle opere e dei servizi necessari a soddisfare taluni bisogni della collettività, vale a dire la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria o secondaria” (cfr. C.d.S., sez. IV, 04.12.2007, n. 6171).
Sempre il Consiglio di Stato ha avuto occasione di precisare che la fattispecie lottizzatoria se, da un lato, esula sia dalle situazioni di zone completamente urbanizzate sia dai casi di “lotto intercluso, … nel qual caso nessuno spazio potrebbe rinvenirsi per una ulteriore pianificazione”, da altro lato si configura non soltanto nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, ma anche in quelle, intermedie, di zone parzialmente edificate e urbanizzate, nelle quali si profili “un'esigenza di raccordo col preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione” (cfr., C.d.S., sez. V, 15.02.2001, n. 790 e la giurisprudenza ivi richiamata), in quanto trattasi di aree ancora “esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici” (cfr., C.d.S., sez. V, 01.12.2003, n. 7799).
In tal senso, la lottizzazione può essere ritenuta necessaria anche con riguardo ad edifici singoli, quando si tratti di “interventi costruttivi di consistente rilievo”, tanto che per escluderne la necessità “deve essere verificata una situazione di pressoché completa e razionale edificazione della zona tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo” (cfr., C.d.S. n. 790 del 2001, cit.) (T.R.G.A. Trento, sentenza 06.11.2009 n. 277 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Offerte negli appalti pubblici valide solo se in tempo. I termini indicati nei bandi di gara hanno carattere perentorio e non possono essere derogati.
I termini indicati nei bandi delle gare pubbliche per la presentazione delle garanzie delle offerte hanno carattere perentorio e non possono essere derogati, pena l’esclusione dalla procedura di gara.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha così accolto il ricorso di un’impresa contro la Regione Lazio che aveva aggiudicato la gara di appalto, avente ad oggetto l'affidamento dei lavori di ristrutturazione della rete fognaria presso la sede della giunta regionale, ad un’altra società concorrente che era in ritardo.
Per l’impresa ricorrente, arrivata seconda nella procedura di gara, l’aggiudicazione decisa non sarebbe regolare poiché la stazione appaltante, nell’affidare l’appalto, non avrebbe tenuto conto delle regole relative ai termini di presentazione delle garanzie delle offerte richieste alle imprese partecipanti, presenti nel bando di gara, che costituisce la legge speciale della procedura e come tale deve essere rispettato non soltanto dalle imprese che partecipano alla procedura, ma anche dalla stessa stazione appaltante che ha emanato il bando.
Secondo i giudici amministrativi il ricorso è fondato in quanto, considerato che “nelle gare pubbliche il termine fissato dal bando per la presentazione delle offerte ha carattere perentorio, con la conseguenza che il mancato rispetto dello stesso comporta l'esclusione dalla procedura comparativa, superabile solo in caso di illegittimo rifiuto da parte della stazione appaltante ad accettare la domanda tempestivamente presentata”, la stazione appaltante non poteva aggiudicare la gara alla società che aveva prodotto l’ estensione della validità della polizza fideiussoria oltre il termine previsto dal momento che si trattava di un termine che aveva carattere perentorio e che quindi non poteva essere derogato.
Nel caso in esame il carattere perentorio del termine stabilito nel bando si evince anche dalla circostanza che si prevede che la mancata presentazione nei termini dei documenti richiesti avrebbe comportato l’esclusione delle imprese dalla procedura comparativa. Da ciò ne consegue che l’aggiudicazione definitiva non è valida e pertanto deve essere annullata (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 04.11.2009 n. 10828 - link a www.aziendalex.kataweb.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Ordinanza di rimozione - Competenza - Dirigenti - Art. 14, c. 3 d.lgs. n. 22/1997 - Art. 152 d.lgs. n. 152/2006.
La disposizione di cui all’art. 14, comma 3°, del D.Lgs. 05.02.1997 n. 22 affida al Sindaco il potere di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati, ma, in virtù del principio sulla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali, di cui all’art. 107 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, la norma va ora letta alla luce del nuovo principio per il quale spetta ai dirigenti tutta l’attività di gestione, tra cui è ricompresa quella sulla rimozione dei rifiuti abbandonati.
La soluzione non cambia neppure dopo l’adozione del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, il cui articolo 192, comma 3°, ultima parte, riproduce, con identica formulazione, la disposizione di cui all’art. 14, come 3°, ultimo periodo (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 04.11.2009 n. 1598 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIndici della presenza di una ristrutturazione (anziché di restauro e risanamento conservativo) sono l’importanza dell’intervento (criterio quantitativo) e l’aggiunta di nuovi elementi non finalizzati al recupero dell’esistente (criterio qualitativo).
La ristrutturazione è un concetto non sovrapponibile a quello di superficie lorda di pavimento, nel senso che può esservi la prima anche quando le norme comunali escludano la presenza della seconda. Parimenti la superficie utilizzata per il calcolo del contributo di costruzione nella ristrutturazione non corrisponde necessariamente alla superficie lorda di pavimento.
Per stabilire se vi sia ristrutturazione (e quindi se l’intervento edilizio sia oneroso) occorre infatti valutare le opere nel loro complesso indipendentemente dal fatto che si realizzi un guadagno di superficie lorda di pavimento.
L’art. 27, comma 1, lett. d), della LR 11.03.2005 n. 12 (che codifica ora la materia riprendendo per questa parte nozioni consolidate) individua la ristrutturazione in un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Indici della presenza di una ristrutturazione (anziché di restauro e risanamento conservativo) sono l’importanza dell’intervento (criterio quantitativo) e l’aggiunta di nuovi elementi non finalizzati al recupero dell’esistente (criterio qualitativo).
Nel caso in esame le demolizioni e ricostruzioni (che hanno interessato in modo coordinato i tre piani di proprietà del ricorrente) e la chiusura dell’altana (che ha permesso di aggiungere un nuovo locale funzionalmente e strutturalmente collegato a quelli dei piani inferiori) corrispondono alla descrizione di un intervento di ristrutturazione. Il fatto che il nuovo locale sia accessorio nella destinazione è irrilevante, in quanto deve essere preso in considerazione per l’utilità aggiuntiva che apporta al resto dell’unità abitativa. Nella sostanza quindi la decisione del Comune sull’onerosità del titolo edilizio appare corretta (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 02.11.2009 n. 1785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Timbrare il cartellino e lasciare il posto di lavoro può integrare il reato di truffa.
Si è molto discusso se integra il reato di falso ideologico in atto pubblico o di truffa consumata la mancata timbratura, da parte del dipendente pubblico, del cartellino segnatempo in occasione di brevi allontanamenti dal luogo di lavoro.
La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata (nonostante le pronunce in tema siano poco numerose ed in gran parte risalenti nel tempo) nel ritenere che i cartellini marcatempo, una volta installati, costituiscano prova della presenza sul luogo di lavoro degli intestatari, nel periodo intercorrente tra l'ora di ingresso e quella di uscita, con la conseguente rilevanza delle relative attestazioni, sia ai fini della regolarità del servizio (nel caso in cui gli interessati siano adibiti a funzioni o servizi pubblici) sia ai fini della retribuzione che a ciascuno compete.
L'omessa timbratura del cartellino, in occasione di allontanamenti intermedi del dipendente, come nel caso di specie per andare allo stadio, impedisce pertanto, a sua volta il controllo di chi è tenuto alla retribuzione, sulla quantità dell'attività lavorativa prestata, tanto in vista di un recupero (ove previsto) del periodo di assenza, quanto in vista di una detrazione correlativa dal compenso mensile, così che, sotto tali profili, costituisce condotta idonea a trarre in inganno ed a far conseguire ingiusti profitti (Cass. pen., Sez. V, 23.09.1996, n. 9192). Sicché l'omessa attestazione di un allontanamento temporaneo è un artificio idoneo a indurre in errore colui che leggerà poi il cartellino, non è un'attestazione falsa.
Sulla questione, un minoritario indirizzo giurisprudenziale fa leva, in sostanza, sulla considerazione che la timbratura del cartellino rileva "in via diretta ed immediata unicamente ai fini della retribuzione e comunque del regolare svolgimento della prestazione di lavoro e solo indirettamente, e mediatamente, ai fini del regolare svolgimento del servizio" (Cass. pen., Sez. 5, n. 44689 del 2005). Di conseguenza, la condotta di falsificazione ideologica del pubblico ufficiale ipotizzata dall'art. 479 c.p. (come quella materiale di cui all'art. 476 c.p.) deve sostanziarsi in una attività svolta "nell'esercizio delle sue funzioni" pubblicistiche, appare ineludibile distinguere, nell'attività del pubblico impiegato -ed in un contesto in cui il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti ha assunto connotazioni privatistiche (a seguito della disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 29 del 1993, modificata dal D.Lgs. n. 80 del 1998, ora trasfusa nel D.Lgs. n. 165 del 2001)- "gli atti che sono espressione della pubblica funzione e/o del pubblico servizio e che tendono a conseguire gli obiettivi dell'ente pubblico" da quelli "strettamente attinenti alla prestazione" di lavoro, "ed aventi, perciò, esclusivo rilievo sul piano contrattuale e non anche su quello funzionale" (Cass., Sez. 5^, n. 12789/2003).
Premesso, invero, che secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte e la prevalente dottrina, "agli effetti delle norme sul falso documentale, il concetto di atto pubblico è più ampio rispetto a quello che si desume dalla definizione contenuta nell'art. 2699 c.c., in quanto comprende non soltanto quei documenti che sono redatti con le richieste formalità da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, ma anche i documenti formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle sue funzioni, attestanti fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi attitudine ad assumere rilevanza giuridica", rimane che -come si esprime autorevole dottrina- "la falsa rappresentazione della realtà che viene documentata deve essere rilevante in relazione alla specifica attività del pubblico ufficiale e ciò significa che la falsità deve investire un fatto che, in relazione al concreto esercizio della funzione o attribuzione pubblica, abbia la potenzialità di produrre effetti giuridici".
Deve, allora, convenirsi che, in effetti, il cartellino marcatempo ed i fogli di presenza sono destinati ad attestare solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra il pubblico dipendente e la pubblica amministrazione, ed in ciò esauriscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione. Il pubblico dipendente, in sostanza "non agisce neppure indirettamente per conto della P.A., ma opera come mero soggetto privato, senza attestare alcunché in ordine all'attività della P.A.".
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto: i cartellini marcatempo ed i fogli di presenza dei pubblici dipendenti non sono atti pubblici, essendo essi destinati ad attestare da parte del pubblico dipendente solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra lui e la pubblica amministrazione (oggi soggetto a disciplina privatistica), ed in ciò esauriscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione. Tanto ritenuto, pure torna opportuno, da ultimo, rilevare che, ove, poi, tali attestazioni del pubblico dipendente siano utilizzate, recepite, in atti della pubblica amministrazione a loro volta attestativi, dichiarativi o di volontà della stessa, tanto può dar luogo ad ipotesi di falso per induzione, ai sensi dell'art. 48 c.p. (Cass. pen., Sez. V, 21/09/2004, n. 44288).
…truffa consumata?
Le Sezioni unite della Corte di legittimità (Cass. pen. Sez. Unite, 11/04/2006, n. 15983) nel risolvere il precedente contrasto registratosi sul punto, hanno di recente avuto modo di affermare che non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica; documenti che, peraltro,non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione.
Ma dalla non riconducibilità del fatto nello schema del delitto di falso ideologico, non deriva affatto il venir meno del carattere fraudolento della condotta, non essendo revocabile in dubbio che -proprio in considerazione della funzione attestativa ed "autocertificativa" che la sottoscrizione del "foglio di presenza" assume agli effetti del rispetto dell'orario di lavoro e dell'espletamento in concreto delle proprie mansioni- qualsiasi condotta "manipolativa" delle risultanze di quella attestazione è di per se -ed ontologicamente- idonea a trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio circa il "fatto" che quella attestazione è volta a dimostrare (la presenza sul luogo di lavoro).
In questa prospettiva, dunque, la tesi del ricorrente, secondo la quale mancherebbe il nesso eziologico, giacché all'imputato non sarebbe addebitabile una falsa attestazione, giacché, in realtà, lo stesso si sarebbe limitato a omettere di indicare le assenze intermedie, perde qualsiasi capacità suggestiva, giacché è proprio la firma di ingresso e quella di uscita (con i corrispondenti orari) a rappresentare il dato di "verità non manipolarle", pena la ravvisabilità di un evidente "artificio".
Deve chiarirsi ulteriormente, in proposito, che l'omissione di cui si tratta è giuridicamente rilevante, poiché il dipendente pubblico, nella specie, è tenuto ad uniformarsi ai principi di correttezza, anche nella fase esecutiva del contratto e, pertanto, ha l'obbligo giuridico di portare a conoscenza della controparte del rapporto di lavoro non soltanto l'orario di ingresso e quello di uscita, ma anche quello relativo ad allontanamenti intermedi sempre che questi, conglobati nell'arco del periodo retributivo, siano economicamente apprezzabili: tale obbligo va adempiuto tramite i sistemi all'uopo predisposti e, quindi anche mediante la corretta timbratura del cartellino segnatempo o della scheda magnetica, ove installati, salvo che siano adottate altre procedure equivalenti, a condizione che queste siano formali e probatoriamente idonee ad assolvere alla medesima funzione.
Se non ogni violazione del citato obbligo di correttezza contrattuale concreta il reato di truffa (anche ove produttiva, rispettivamente, di danno per un soggetto e di profitto per un altro) è da ravvisarsi invece l'estremo costitutivo del raggiro nella condotta di chi crea l'apparenza dell'adempimento, in contrasto con la realtà. Qualora, poi, l'assenza del dipendente sia occultata da registrazioni effettuate ad opera di altro dipendente, al raggiro indicato si aggiunge un evidente artificio.
Attesa la funzione dei c.d. «cartellini segnatempo» di costituire prova della continuativa presenza del dipendente sul luogo di lavoro nel tempo compreso tra l'ora d'ingresso e quella di uscita, secondo la sentenza in esame (cui si uniforma a Cass. pen., Sez. V, 22.09.2003, n. 39077; idem Cass. pen., Sez. II, 16.03.2004, n. 19302; Cass. pen., Sez. II, 06.10.2006, n. 34210) deve ritenersi che, indipendentemente dalla configurabilità, o meno del falso ideologico (avuto riguardo alla controversa natura giuridica dei detti cartellini), costituisca comunque condotta suscettibile di integrare il reato di truffa consumata quella del pubblico dipendente che si allontani temporaneamente dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi, conglobati nell'arco dei periodo retributivo, siano da considerare economicamente apprezzabili (Corte di Cassazione, Sez. II penale, sentenza 28.10.2009 n. 41471 - link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Competenze.
L’art. 9 della legge n. 447 del 1995 dispone che “qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della Giunta regionale, il prefetto, il Ministro dell'ambiente, secondo quanto previsto dall'art. 8 della legge 03.03.1987, n. 59, e il Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'ambito delle rispettive competenze, con provvedimento motivato, possono ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività. Nel caso di servizi pubblici essenziali, tale facoltà è riservata esclusivamente al Presidente del Consiglio dei Ministri”. Tale norma non detta espressamente un criterio di riparto delle competenze tra i diversi enti che menziona.
La tesi secondo cui la competenza ad adottare tali provvedimenti dipenderebbe dall’appartenenza comunale o statale dei beni dai quali proviene la fonte rumorosa non è condivisibile, perché ad un siffatto criterio non fa riferimento nessuna norma e l’esistenza di un bene pubblico quale fonte del disturbo è un’eventualità del tutto occasionale, dovendosi configurare nella maggior parte dei casi una provenienza da beni privati.
Poiché la norma citata configura un potere sostanzialmente analogo a quello attribuito al Sindaco dal Dlgs. 18.08.2000, n. 267 agli articoli 50 e 54, sembra congruo applicare in via residuale il criterio di riparto dettato dai commi 5 e 6 dell’art. 50 del Dlgs. n. 267 del 2000, e pertanto la competenza deve essere ricondotta in capo al Sindaco in caso di situazioni, come quella all’esame, di carattere esclusivamente locale, ferma restando la competenza degli altri enti menzionati dall’art. 9 della legge n. 447 del 1995 in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali di carattere sovracomunale (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 26.10.2009 n. 2655 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Clausole “escludenti” del bando di gara e principio di proporzionalità.
E' illegittima la clausola della lettera d'invito di una gara di appalto che impone -a pena di esclusione- di indicare sul plico generale contenente l’offerta e sui plichi interni, il codice fiscale, la partita IVA e l’indirizzo di ciascuna impresa, atteso che tale clausola deve ritenersi in contrasto con i principi di proporzionalità e di non aggravamento del procedimento di cui agli artt. 2 e 74 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e s.m., in quanto non comporta alcun effettivo vantaggio né per la stazione appaltante, né per l’interesse pubblico alla scelta dell’offerta più idonea alla realizzazione dei lavori da appaltare (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 23.10.2009 n. 10361 - link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria. Autorizzazione alle emissioni.
L’autorizzazione alle emissioni richiede e presuppone che sia previamente verificato il possibile pregiudizio recato dalle emissioni agli elementi che compongono l’ambiente: ossia l’assetto topografico-urbano; la salubrità igienica dei luoghi (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.10.2009 n. 2796 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Accertamenti fonometrici.
Per l'emanazione di un'ordinanza di abbattimento delle emissioni sonore irrilevante deve ritenersi la circostanza (solo ipotizzata) che i tecnici non siano stati presenti sul luogo per tutto il tempo della misurazione (nessuna norma impone la presenza costante del personale per tutto il tempo della misurazione), così come irrilevante deve ritenersi la circostanza che il superamento del limite di tollerabilità sia stato riscontrato per un tempo di rilevazione modesto (l'importante è che si sia realizzato il superamento del limite fissato dalla normativa) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 20.10.2009 n. 2617 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze tra fabbricati.
L'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 (emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell'art. 41-quinquies l. 17.08.1942 n. 1150, introdotto dalla l. 06.08.1967 n. 765), là dove prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine.
Pertanto, le distanze tra costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.10.2009 n. 1742 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazioni, conta la sostanza. TAR Toscana: non rileva che la convenzione sia chiamata accordo sostitutivo anziché contratto. Ai fini degli adempimenti la p.a. può usare tutti i rimedi.
L'amministrazione può usare tutti i rimedi, anche di diritto civile, per ottenere l'adempimento di obblighi derivanti dalla stipula di convenzioni di lottizzazione ancorché qualificate come accordi sostitutivi e non come contratti.
Lo afferma il TAR Toscana, Sez I, con la sentenza 16.09.2009 n. 1446 che prende in esame alcuni profili attuativi di una convenzione urbanistica di lottizzazione.
L'amministrazione comunale, in presenza di inadempimento da parte dei lottizzanti, ingiungeva ai proprietari di adempiere l'obbligo di realizzare una strada e, perdurando l'inadempimento, ricorreva al Tar per veder riconosciuto il proprio diritto alla realizzazione e cessione delle opere di urbanizzazione, previa risoluzione del contratto.
L'eccezione sulla giurisdizione del giudice amministrativo formulata dai privati firmatari della convenzione, disattesa dal Tar, offre lo spunto ai giudici per approfondire innanzitutto la natura giuridica delle convenzioni di lottizzazione stipulate dai comuni con i privati e trarne le dovute conseguenze sia sul piano processuale, sia sul piano sostanziale.
La sentenza afferma quindi che le convenzioni di lottizzazione “costituiscono strumenti di attuazione del piano regolatore generale” e quindi, hanno natura di atto negoziale. I giudici precisano in particolare che si tratta di “accordi sostitutivi del provvedimento” soggetti alla disciplina della legge sul procedimento amministrativo (241/1990, articolo 11) che “presuppongono la ricerca da parte della pubblica amministrazione del consenso del privato su un certo assetto di interessi ed attribuiscono allo stesso posizioni di diritto-obbligo”.
Da questa qualificazione deriva che, in caso di modifica della convenzione, occorre raccogliere le “manifestazioni di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso alla sua formazione, ivi compresi, ovviamente, anche i soggetti privati i quali, pur non essendo proprietari dei lotti incisi dalla variante, hanno proposto il piano ed hanno sottoscritto la relativa convenzione urbanistica”.
Sul piano processuale la sentenza afferma la competenza del giudice amministrativo in virtù del comma 5 dell'articolo 11 della legge 241 (che riserva le controversie relative ad accordi alla competenza esclusiva del giudice amministrativo), ma anche –essendo le convenzioni di lottizzazioni afferenti alla materia urbanistica- in base all'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 che devolve alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia. Risulta quindi legittimo che l'amministrazione abbia chiesto al giudice amministrativo la condanna del privato inadempiente rispetto all'accordo di lottizzazione.
Interessanti anche le considerazioni svolte dai giudici sul piano sostanziale dal momento che si afferma che trattandosi di accordo sostitutivo appartenente alla più ampia categoria degli atti negoziali, ne deriva l'applicazione dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti. Nel caso specifico all'esame dei giudici, una delle due parti eccepiva l'inadempimento dell'altra come causa di risoluzione del contratto (ex art. 1453 del codice civile) dopo avere richiesto l'esecuzione in forma specifica degli obblighi di cui alla convenzione (ex art. 2931 e seguenti del codice).
L'applicazione di questi principi civilistici, dicono i giudici, discende dall'articolo 11 della legge 241 che ammette il ricorso nel processo amministrativo ai rimedi contrattuali previsti dal codice civile (come la risoluzione del contratto) e ciò anche se si qualifichi la convenzione in termini di accordo e non di contratto. Per i giudici, infatti, in caso di inadempimento (della parte lottizzante o del suo avente causa) dell'obbligo di eseguire le prescritte opere di urbanizzazione primaria e secondaria, “l'amministrazione deve poter contare su tutti i rimedi offerti dall'ordinamento ad un privato creditore per poter realizzare coattivamente il proprio interesse” (articolo ItaliaOggi del 09.10.2009, pag. 17).

EDILIZIA PRIVATA: Mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie - Permesso di costruire - Art. 3, 1° c., lett. d), T.U. n. 380/2001.
Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, qualora esso venga realizzato dopo l'ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza, si configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia (art. 3, 1° comma, lett. d), del T.U. n. 380/2001), in quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente".
L'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione.
Destinazione di un immobile - Concetto di uso urbanistico.
La destinazione di un immobile non si identifica con l'uso che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con quella impressa dal titolo abilitativo assentito.
Ciò significa che "il concetto di uso urbanisticamente rilevante è ancorato alla tipologia strutturale dell'immobile, quale individuata nell'atto di concessione, senza che esso possa essere influenzato da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori" (TAR Lombardia-Milano, Sez. 1, 07.05.1992, n. 219; C.d.S. Sez. V, 09.02.2001, n. 583).
Cambio della destinazione d'uso di un fabbricato - Strumento urbanistico - Alterazione di equilibri prefigurati - Insanabilità.
La richiesta di cambio della destinazione d'uso di un fabbricato, qualora non inerisca all'ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un'alternazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede. (Consiglio di Stato Sez. V, 03.01.1998, n. 24) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.03.2009 n. 9894 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Attività di ristrutturazione edilizia - Connessione finalistica delle opere eseguite.
La ristrutturazione edilizia non è vincolata, al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, né modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso) sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d'uso "compatibili" con l'edificio conservato).
La stessa attività di ristrutturazione, nel reato, può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi dianzi enunciati.
L'elemento caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate partitamente ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.03.2009 n. 9894 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA (denunzia di inizio dell'attività) - Mancanza o difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA - Effetti - Art. 22 cc.. 1, 2 e 3; 37, 6° c.; 44, lett. b), T.U. n. 380/2001 - D.Lgs n. 301/2002.
Nei casi previsti dai commi 1 e 2 dell'art. 22 del T.U. n. 380/2001 come modificato dal D.Lgs 27.12.2002, n. 301 -in cui la DIA, si pone come titolo abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di inizio dell'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata non comportano l'applicazione di sanzioni penali ma sono sanzionate soltanto in via amministrativa (art. 37, 6° comma, del T.U. n. 380/2001).
Dovendo ritenersi, però, che sia comunque punibile ai sensi dell'art. 44, lett. a), del T.U. n. 380/2001 -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio l'esecuzione di interventi sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
Nei casi previsti dal 3° comma, dell'art. 22 del T.U. n. 380/2001, invece- in cui la DIA si pone come alternativa al permesso di costruire (ai sensi del comma 2 bis del successivo art. 44) l'assenza sia del permesso di costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata integrano il reato di cui al successivo art. 44, lett. b) [vedi Cass.: Sez. V, 26.04.2005, Giordano; Sez. III 09/03/2006, n. 8303; 26/01/2004, n. 2579, Tollon].
Non trova comunque sanzione penale la difformità parziale (vedi Cass., Sez. III, 23/09/2004, roattini). Ciò che conta non è la qualificazione dell'intervento data dal privato nella DIA presentata ma la esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere poi effettivamente eseguite (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.03.2009 n. 9894 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: PRG - Destinazione d'uso urbanistico - Atto di destinazione specifica - Controllo della destinazione d'uso degli immobili - Modalità - D.M. n. 1444/1968.
Lo strumento urbanistico rappresenta l'atto di destinazione generica ed esso trova attuazione nelle prescrizioni imposte dal titolo che abilita a costruire, quale atto di destinazione specifica che vincola il titolare ed i suoi aventi causa. Possono conseguentemente distinguersi: una destinazione d'uso urbanistico, riferita alle categorie specificate dalla legge e dal D.M. n. 1444/1968; una destinazione d'uso edilizio, che attiene al singolo edificio ed alle sue capacità funzionali.
Duplice è, dunque, l'esigenza correlata al controllo della destinazione d'uso degli immobili: da un lato quella di assicurare tutela alla zonizzazione funzionale, dall'altro quella di consentire l'applicazione della normativa sugli standards, regolatrice della differenziazione infrastrutturale del territorio. Il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, tenuto conto che nell'ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell'ambito della medesima categoria (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.03.2009 n. 9894 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Malattia sostituibile con ferie per sospendere il decorrere del periodo di comporto.
Il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia; in tali casi non sarebbe costituzionalmente corretto precludere il diritto alle ferie in ragione delle condizioni psico-fisiche inidonee al loro pieno godimento –non potendo operare, a causa della probabile perdita del posto di lavoro conseguente al superamento del comporto, il criterio della sospensione delle stesse e del loro spostamento al termine della malattia– perché si renderebbe così impossibile la effettiva fruizione delle ferie.
Ne consegue che il datore di lavoro nell’esercizio del suo diritto alla determinazione del periodo feriale è tenuto, se sussiste una richiesta del lavoratore ad imputare a ferie un’assenza per malattia, a prendere in debita considerazione il fondamentale interesse del lavoratore ad evitare la perdita del posto di lavoro in conformità con i principi generali di correttezza e buona fede
(Corte di Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 03.03.2009 n. 5078 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 23.11.2009

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 46 del 17.11.2009, "Interventi per il potenziamento del sistema regionale delle aree protette: attuazione del progetto «Dai parchi alla rete ecologica regionale», del «Programma di interventi di investimento nel patrimonio forestale regionale ricadente in aree protette» e contributo per l'attuazione del progetto speciale «Circuito Abbazie»" (deliberazione G.R. 28.10.2009 n. 10415 - link a www.infopoint.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGODecreto legislativo 27.10.2009, n. 150 - controlli sulle assenze per malattia (circolare 12.11.2009 n. 7/2009 - link a www.innovazionepa.gov.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Parere alla Camera di commercio di Massa Carrara e al Ministero per i beni e le attività culturali in merito alla possibilità per i dipendenti nominati "tutore legale" e "amministratore di sostegno" di usufruire dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della Legge 104/1992 (parere UPPA 23.10.2009 n. 44700 di prot. -  link a www.innovazionepa.gov.it).

ENTI LOCALI: Legge 18.06.2009, n. 69 "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile" - Pubblicazione dei dati sulla dirigenza e sulle assenze e presenze del personale - Ulteriori indicazioni operative (circolare 12.10.2009 n. 5/2009 - link a www.innovazionepa.gov.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, Legge Regionale lombarda n. 13/2009 (seconda parte) (AL n. 11/2009).

EDILIZIA PRIVATA: V. Corrà, E. Gozzi, U. Maj, I. Nava, C. Sangiorgi, Normativa acustica D.P.C.M. 05.12.1997 (AL n. 11/2009).

APPALTI: D. Argenio, Il responsabile unico del procedimento nel Codice dei contratti pubblici (link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G. Lodato, Il provvedimento di sospensione della attività imprenditoriale, adottato dagli organi di vigilanza del ministero del lavoro alla luce delle modifiche normative introdotte all’art. 14 d.leg.vo 81/2008 dal d.leg.vo 106/2009, anche con riferimento al profilo sanzionatorio (link a www.diritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: A. Gurrieri, La legge sulla “competività” 2009 - modifiche alla L. 241/1990 - conseguenze sul regime di responsabilità dei dirigenti pubblici (link a www.diritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. V. Balossi, Raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante (nota a Cass. pen. n. 20249/2009) (link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: G. Nicoletti, La battaglia dell'acqua: PRIVATIZZAZIONE SI, PRIVATIZZAZIONE NO (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Illegittima la clausola contenuta nella lex specialis che non consente alle imprese concorrenti la produzione del certificato di qualità in copia conforme all’originale (link a www.www.mediagraphic.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Disponibile on line il volume "Riconquistare il Paesaggio".
La Convenzione Europea del Paesaggio è stata ratificata dal nostro paese il 09.01.2006 (G.U. 20.01.2006, n. 16).
Sottoscritta a Firenze il 20.10.2000, la convenzione ha l’obiettivo di salvaguardare tutti i paesaggi europei e, come tale, si inserisce di diritto nel quadro normativo nazionale ed europeo dedicato alla salvaguardia della diversità culturale e biologica del vecchio continente.
Il volume “Riconquistare il Paesaggio”, realizzato dal WWF-Italia in collaborazione con il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, fornisce agli Amministratori e ai funzionari delle Regioni e degli altri Enti locali un utile strumento di conoscenza ed interpretazione (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: I chiarimenti del Ministero del Lavoro sulla sospensione dell’attività imprenditoriale prevista dal Testo Unico della Sicurezza (D.Lgs. 81/2008).
La Direzione generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con circolare n. 33/2009, fornisce alcuni chiarimenti sul provvedimento di sospensione della attività imprenditoriale previsto dall’articolo 14 del D.Lgs. 81/2008 e recentemente modificato dal D.Lgs. n. 106/2009.
La Circolare individua le condizioni in presenza delle quali è possibile per gli organi di vigilanza sospendere l’attività di impresa.
In particolare, si chiarisce che la sospensione dell'attività imprenditoriale può essere adottata non solo se si assumono lavoratori non regolari, ma anche in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Detrazione 55% per le porte di ingresso che rispettano i limiti di trasmittanza delle finestre.
La detrazione fiscale del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici può essere applicata anche alle spese per la sostituzione della porta di ingresso, a condizione che sia rispettata la stessa trasmittanza termica delle finestre comprensive di infissi, indicata nelle tabelle di cui all'allegato B del DM 11.03.2008.
La precisazione è contenuta nella FAQ n. 33 dell’Enea di cui si riporta il testo ... (link a www.acca.it).

ENTI LOCALI: Giunte a rischio in metà comuni. Le novità del ddl Calderoli. Cambiano i controlli, direttori generali sopra i 65 mila. Fino a 3 mila abitanti il sindaco potrà tagliare gli assessori.
Giunte a rischio in più della metà dei comuni. Negli enti fino a 3 mila abitanti che costituiscono l'ossatura più corposa del tessuto municipale italiano (4.547 enti sul totale di 8.101) il sindaco una volta eletto potrà decidere se nominare una mini-giunta di soli due assessori, o non nominarla affatto delegando le funzioni a due consiglieri comunali.
L'ultimissima versione del ddl Calderoli varato giovedì dal consiglio dei ministri (si veda ItaliaOggi di ieri) ha operato una piccola inversione di rotta rispetto all'idea, contenuta nel testo approvato in prima lettura dal cdm il 15 luglio, di sopprimere totalmente le giunte (si veda ItaliaOggi del 12/11/2009) nei piccolissimi comuni (fino a 1.000 abitanti). L'abolizione dell'organo esecutivo da obbligatoria diventa facoltativa, in quanto lasciata alla discrezionalità del sindaco, ma riguarda una platea tre volte più grande di enti (da circa 1.500 a 4.547). E mette a rischio 9.000 ulteriori poltrone oltre alle 50 mila fatte fuori dal Codice delle autonomie.
Direttori generali. Solo i comuni con più di 65 mila abitanti (ora la soglia è di 15 mila abitanti) e le province potranno avere il direttore generale che sarà nominato al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato. I comuni più piccoli potranno procedere alla nomina del direttore generale previa stipula di convenzione tra comuni la cui popolazione raggiunta i 65 mila abitanti.
Controlli preventivi di legittimità. Il disegno di legge rispolvera i controlli preventivi di legittimità. Nell'ambito della tipologia dei controlli di regolarità amministrativa e contabile, infatti, il ddl prevede espressamente una fase di verifica della rispondenza alla legge dei provvedimenti in via di approvazione.
La verifica della regolarità amministrativa antecedente alla formazione dell'atto è assegnata alla competenza del responsabile del servizio, il quale dovrà rilasciare un parere di congruità attestante la legittimità, la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa. Il parere, dunque, viene rilasciato in fase istruttoria e deve, ovviamente, accompagnare il provvedimento una volta che sia definitivamente adottato.
Resta il condizionamento dell'efficacia delle determine adottate dai responsabili di servizi che comportano impegni della spesa all'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria, da parte del responsabile del servizio finanziario, chiamato a sua volta a partecipare ai controlli di regolarità amministrativa e contabile, ovviamente solo per questa ultima parte.
Oggettivamente, la previsione del parere di congruità appare un appesantimento burocratico non del tutto utile: anche oggi, pur in mancanza del parere, chi adotta i provvedimenti gestionali si assume per intero la responsabilità della regolarità degli stessi sotto ogni profilo: legittimità, tecnica, contabile.
Controlli successivi di regolarità. Il parere di congruità e il visto del responsabile finanziario non esauriscono le verifiche sui provvedimenti, che si svolgono anche in fase successiva alla loro adozione ed efficacia. I controlli successivi si espletano secondo i principi generali della revisione aziendale. La competenza principale spetta al segretario dell'ente e riguarderanno tutti gli atti di gestione finanziaria (impegni di spesa, liquidazioni e accertamenti), nonché i contratti; le altre tipologie di atti saranno selezionate a campione.
L'esito dei controlli sugli atti si prevede sia rilevante ai fini della valutazione dei dipendenti. Ma, in tal modo, si snatura il processo di valutazione, che dovrebbe concernere i risultati dell'azione gestionale nel suo complesso, come lo stesso disegno di legge conferma nel corpo delle sue disposizioni, non i singoli atti.
Funzioni del segretario. Il ddl, così come torna ad attribuire rilievo ai controlli interni di legittimità, esalta le funzioni del segretario in questa fase, tornando parzialmente indietro rispetto alla riforma Bassanini del 1997, che aveva eliminato l'espressione del parere preventivo di legittimità in capo al segretario. In questo caso, il controllo sarà di carattere successivo e abbraccerà una serie molto ampia di provvedimenti, come visto prima. Tuttavia, il controllo dovrà essere effettuato su un campione casuale, scelto in base a specifiche tecniche di campionamento.
Il segretario, comunque, è chiamato a dirigere i controlli: si comprende, pertanto, che essi dovranno essere svolti da un collegio o da uffici soggetti, appunto, alla direzione del segretario.
L'accentuazione delle funzioni di controllo interno rendono tanto più problematica, tuttavia, la permanente configurazione dello status dei segretari comunali come connessa strettamente al mandato del sindaco e soggetta a uno spoil system che non appare compatibile.
Qualità dei servizi. Il ddl, in linea con le riforme attuate dal ministro Brunetta, prevede anche l'effettuazione di controlli obbligatori sulla qualità dei servizi resi, anche per il tramite di società partecipate o appaltatori.
I regolamenti di organizzazione stabiliranno le modalità concrete di svolgimento di tali controlli, ma, in ogni caso, saranno obbligatorie indagini di soddisfazione, sportelli reclami e sistemi di comunicazione con i cittadini, sullo stile delle Reti amiche (articolo ItaliaOggi del 21.11.2009, pag. 26).

INCARICHI PROGETTAZIONE: Appalti, niente affidamenti diretti tra la Asl e l'Università. L'Oice ha presentato ricorso alla Ue alla Corte dei Conti e all'Authority di vigilanza. Gli atenei non possono partecipare alle gare di progettazione: il caso dell'ospedale di Lecce.
Devono essere dichiarati illegittimi gli affidamenti di progettazione disposti in via diretta a favore di una Università da parte di una Asl; le Università non possono progettare né partecipare a gare, ma devono limitarsi a svolgere le loro attività istituzionali di ricerca scientifica e di insegnamento.
E' quanto ha chiesto l'Oice, l'Associazione delle società di ingegneria e architettura, con un ricorso presentato al Tar Puglia di Lecce, unitamente a tre società associate, con il patrocinio di Angelo Clarizia.
Il ricorso, che fa seguito ad un esposto presentato dalla stessa Associazione alla Commissione europea, alla Corte dei Conti e all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, sarà esaminato giovedì 19 in sede cautelare e ha ad oggetto la legittimità di due affidamenti disposti dalla ASL Lecce il 7 ottobre scorso a favore dell'Università del Salento.
Il primo affidamento, beneficiaria l'Università del Salento di Lecce per una progettazione definitiva di una struttura ospedaliera, prevede 676.000 euro di onorari, ai quali la stazione appaltante prevede di aggiungere un incremento del 13% per «attività conto terzi», oltre alla possibilità di un successivo affidamento della progettazione esecutiva e della direzione dei lavori.
Il secondo affidamento riguarda un contratto di consulenza per l'effettuazione di verifiche sismiche pari a 200.000 euro, disposto dalla stessa Asl di Lecce a favore del Dipartimento di ingegneria dell'innovazione sempre dell'Università del Salento.
L'Oice, così come gli ordini provinciali degli ingegneri e degli architetti che hanno a loro volta presentato autonomi ricorsi contro gli stessi affidamenti, censura l'affidamento diretto di attività che dovevano invece essere messe sul mercato con una regolare gara, peraltro anche di rilievo comunitario. «Si tratta», ha detto il presidente dell'Oice, Oddi Baglioni, «di affidamenti avvenuti, a nostro avviso, in evidente violazione di legge e in contrasto con quanto l'Autorità ha autorevolmente affermato negli ultimi anni, con riferimento alla tematica del ruolo delle Università in questo settore».
Ma l'obiettivo del ricorso, oltre a vedere dichiarata l'illegittimità degli affidamenti, è anche quello di ottenere una pronuncia che esamini a fondo il ruolo delle Università in questo settore: «L'affidamento de quo», si legge nel ricorso, «è senz'altro illegittimo perché le funzioni ed i compiti istituzionali dell'Università consistono esclusivamente nella promozione della ricerca scientifica e nell'offerta didattica; l''attività di progettazione esula in toto dai fini istituzionali dell'Ateneo in quanto attiene ad un'attività economica -ai sensi della normativa comunitaria- di natura tecnica che non riguarda la ricerca scientifica e l'insegnamento».
In passato l'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (delibera 119/2007) aveva stabilito che le università non potessero svolgere attività di progettazione, né partecipare a gare per tali affidamenti; soltanto società di ingegneria cosiddette di spin off, costituite dalle Università, ma autonome e operanti sul mercato, potrebbero partecipare alle gare» (articolo ItaliaOggi del 18.11.2009, pag. 43).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, c. 1 e 4, della L.R. Lombardia n. 26/2003 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale), modificata dalla L.R. Lombardia n. 18/2006, in materia di servizio idrico integrato.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 49, c.1, della L.R Lombardia n. 26/2003, (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), come sostituito dall'art. 4, c. 1, lett. p), della L.R. Lombardia 18.08.2006, n. 18, in quanto ponendo il principio della separazione delle gestioni, violava specificamente la competenza statale in materia di funzioni fondamentali dei comuni, laddove, in contrasto con la disciplina statale, consentiva ed anzi imponeva una separazione non coordinata tra la gestione della rete e l'erogazione del servizio idrico integrato.
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 49, c. 4, della L.R. Lombardia n. 26 del 2003, come sostituito dall'art. 4, c. 1, lett. p), della l. R. Lombardia n. 18 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 117, c. 2, lettere e) e p) della Costituzione, in relazione all'art. 148, c. 5, del d.lvo 03.04.2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in quanto il suddetto comma stabilendo che l'affidamento del servizio di erogazione possa avvenire solo con la modalità della gara pubblica, detta una disciplina più rigorosa, approntando una più ampia ed efficace tutela della concorrenza; materia -quest'ultima- rientrante, comunque, nella competenza residuale delle Regioni (Corte Costituzionale, sentenza 20.11.2009 n. 307 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Interventi in area boscata.
Nessun rilievo assume, ai fini della configurazione del reato paesaggistico, la comunicazione di taglio di legna perché questa denuncia non autorizza il taglio a raso e tantomeno lo spianamento di un terreno ma solo il taglio di legna da ardere. Nell’area boschiva protetta ogni intervento modificativo deve essere autorizzato.
Lo sradicamento di alberi ed il livellamento del terreno costituiscono a tutti gli effetti “lavori” ai sensi del’art. 181 D.L.vo 42/2004 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.11.2009 n. 43863 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Vincolo idrogeologico.
Nel caso in cui risulti accertata l’esistenza soltanto di un vincolo idrogeologico interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione abusiva, con esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto, non è configurabile il reato paesaggistico, né quello di cui all’ari. 734 c.p., che presuppone l’imposizione di un vincolo a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio.
Né tale principio di diritto è in contrasto con il consolidato indirizzo interpretativo secondo il quale anche il vincolo idrogeologico rientra tra quelli ostativi alla applicabilità delle disposizioni in materia di condono edilizio.
Invero, il vincolo idrogeologico è, invece, previsto, quale causa di non suscettibilità di sanatoria degli abusi edilizi. dall’art. 33, comma primo lett. a), della L. n. 47/1985 e dalla normativa successiva che richiama il capo IV di detta legge.
E’, però, evidente che le disposizioni in materia di condono edilizio hanno carattere eccezionale e non possono trovare applicazione al di fuori dei casi da esse previsti, sicché il riferimento della ordinanza alle disposizioni sul condono, al fine di equiparate il vincolo idrogeologico agli altri vincoli tutelati dal D. Lgs. n. 42/2004, risulta palesemente errato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.11.2009 n. 43731 - link a www.lexambiente.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Sulla possibilità per un raggruppamento di professionisti di aggiudicarsi una gara pubblica avvalendosi delle competenze di altre imprese.
Un operatore economico può provare il possesso dei requisiti necessari per la partecipazione ad una gara di appalto avvalendosi delle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica, dai rapporti o dai vincoli che intercorrono tra il prestatore e i soggetti dai quali trae le competenze.
Nel caso di specie, pertanto, un raggruppamento di professionisti partecipante ad una gara per l'affidamento dei servizi di progettazione per il recupero, la riqualificazione ed il restauro di un edificio può legittimamente utilizzare l'istituto dell'avvalimento per le attività residuali esplicitamente individuate dal bando di gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.11.2009 n. 7054 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Appalti, più spazi ai professionisti. Il Consiglio di stato ha fornito un'interpretazione estensiva dell'istituto dell'avvalimento. La società di architetti può utilizzare anche imprese terze.
Via libera alle associazioni professionali negli appalti pubblici. Infatti possono aggiudicarsi una gara avvalendosi di altre aziende con competenze specifiche.
A questa conclusione è giunto il Consiglio di Stato che, con la decisione n. 7054 del 12.11.2009, ha fornito un'interpretazione estensiva dell'istituto dell'avvalimento dando ragione a una associazione professionale di architetti che aveva vinto un appalto per il restauro di una villa comunale.
Il Collegio di Piazza Spada ha confermato la decisione depositata dal Tar Lombardia secondo cui le i raggruppamenti temporanei di professionisti sono sullo stesso piano dei raggruppamenti di imprese. Fra l'altro, sulla decisione ha pesato una sentenza della Corte di giustizia del '99 –si legge nelle motivazioni– che ha avuto lo scopo di ampliare la dinamica concorrenziale svolta dai raggruppamenti temporanei di imprese e di professionisti.
In proposito, si legge nella decisione del Consiglio di stato, «il primo giudice ritenne infondato nel merito il ricorso osservando che, in omaggio allo scopo di ampliamento della dinamica concorrenziale e della obiettiva funzione antimonopolistica svolta dai raggruppamenti temporanei di imprese e di professionisti (agli stessi equiparati nella disciplina comunitaria), sin dal 1999 (cfr. la sentenza del 02.12.1999 nella causa C-176/98) la Corte di Giustizia ha chiarito la interpretazione sostanzialista della direttiva 92/50, nel senso, cioè, di consentire ad un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara di appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli con gli stessi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto». In sostanza, spiegano i giudici, le direttive appalti pubblici non permettono di restringere la possibilità di partecipare alle gare «ad alcune categorie di operatori escludendone altre».
La Commissione Ue, secondo palazzo Spada, considera dunque che «l'art. 34, par. 1 del codice, anche in combinato disposto con l'art. 206, par. 1, nonché gli artt. 90 e 101, anche in combinato con l'art. 237 sono contrari alle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, nella misura in cui essi escludono la possibilità di partecipazione alle gare di appalti e ai concorsi di progettazione soggetti a dette direttive, per gli operatori che hanno una forma giuridica diversa da quelle contemplate dai citati articoli» (articolo ItaliaOggi del 17.11.2009, pag. 21).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni e modifica della destinazione d’uso.
In base all’articolo 22, comma primo, sono soggetti a DIA cosiddetta ordinaria in via residuale gli interventi non assoggettati a permesso di costruire e non esenti dal titolo. In definitiva sono sottoposti alla denuncia d’inizio attività cosiddetta ordinaria solo gli interventi minori.
E’ ben vero che l’articolo 22, terzo comma, del testo unico sull’edilizia dispone che in alternativa al permesso di costruire possono realizzarsi con la denuncia d’inizio attività (cosiddetta Superdia) anche gli interventi di cui all’articolo 10, lettera c), del testo unico ossia gli interventi di ristrutturazione pesante ma il rinvio contenuto nel terzo comma dell’articolo 22, lettera a), all’articolo 10, comma I, lettera c), del testo unico deve essere interpretato nel senso che gli interventi di ristrutturazione cosiddetta pesante di cui all’articolo 10, comma I, lettera c), possono essere realizzati con la cosiddetta Superdia a condizione però che tali interventi, pure implicando modificazioni della sagoma o dei volumi, ecc. non modifichino la destinazione d’uso passando da una categoria funzionalmente autonoma ad una diversa, anch’essa funzionalmente autonoma.
Dalla normativa dianzi evidenziata emerge che i mutamenti della destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome devono essere assentiti con permesso di costruire e, nei soli centri storici, anche quando avvengono nell’ambito della medesima categoria (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.11.2009 n. 42915 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Modifica della destinazione d’uso.
Il mutamento di destinazione d’uso di un immobile attuato attraverso l’esecuzione di opere edilizie configura un’ipotesi di ristrutturazione edilizia che integra il reato di esecuzione di lavori in assenza di permesso di costruire in quanto l’esecuzione di lavori, anche se di modesta entità, porta alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. L’intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione.
Non ha rilievo l’entità delle opere eseguite, allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire permane per gli interventi:
— di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle destinazioni d’uso (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. b);
— di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento degli “elementi tipologici” dell’edificio, cioè di quei caratteri non soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la qualificazione in base alle tipologie edilizie (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e).
Gli interventi anzidetti, invero, devono considerarsi “di nuova costruzione” ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.11.2009 n. 42913 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: VINCOLI ED INDENNIZZO.
1.- Espropriazione ed occupazione - Indennità - Corresponsione - Per i vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione - Sussiste.
2.- Espropriazione ed occupazione - Indennità - Corresponsione - Per i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore o per attrezzature e servizi - Non sussiste.

1.- Sono indennizzabili soltanto i vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà; mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad. es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali).
2.- Le destinazioni a parco urbano, a verde urbano, a verde pubblico, verde pubblico attrezzato, parco giochi, e simili si pongono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo -con le connesse garanzie costituzionali (indennizzo o durata predefinita)- e costituiscono espressione di potestà conformativa (avente validità a tempo indeterminato) quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non già ad esclusiva iniziativa pubblica, ma ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, senza necessità di ablazione del bene (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.11.2009 n. 4997 - link a
http://mondolegale.it).

APPALTI SERVIZI: - Sulla legittimità della clausola di un bando di gara che prescrive di dimostrare le capacità tecnico-professionali delle concorrenti mediante attestazione di servizi in precedenza resi in settori analoghi.
- Sulla possibilità di verificare il requisito di cui sopra durante il periodo di prova.

- In materia di appalti di servizi, è legittima la clausola di un bando che, ai fini dell'aggiudicazione della gara, impone alle concorrenti dei allegare, unitamente all'offerta economicamente più vantaggiosa, documenti che attestino il possesso della capacità tecnica sulla base di un elenco di analoghi servizi precedentemente svolti presso amministrazioni e/o enti pubblici e privati, con specifiche indicazioni riguardo ad importi, date e destinatari, come prescritto dall'art. 42 del Codice dei contratti.
- In conformità al dettato normativo del dlgs 163/2006, la stazione appaltante non può consentire che la verifica della sussistenza della capacità tecnica, in capo alle concorrenti, sia omessa e differita al successivo periodo di prova (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 09.11.2009 n. 1721 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: - Sull'applicabilità del divieto disposto dall'art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223, (c.d. decreto Bersani) alle sole società caratterizzate dalla strumentalità.
- Sull'ambito applicativo dell'art. 3, c. 27, della l. n. 244 del 2007, rispetto a quello dell'art. 13 del d.l. n. 223/2006, (decreto Bersani).

- L'art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223, (c.d. decreto Bersani) convertito in l. 04.08.2006, n. 248, si applica alle sole società a capitale interamente pubblico o misto, caratterizzate dalla strumentalità all'attività degli enti e dall'essere moduli organizzativi interni delle amministrazioni affidanti.
Nel caso di specie, la società controinteressata, indirettamente partecipata da enti pubblici, è tuttavia priva dei vincoli della strumentalità e della funzionalità con l'ente pubblico, e si caratterizza, invece, dall'operare nel mercato in diretta concorrenza con le altre imprese pubbliche o private, pertanto, sfugge all'applicazione del divieto previsto dal citato art. 13 del decreto Bersani, poiché essa non svolge alcuna attività di supporto all'amministrazione territoriale e, quindi, non può sfruttare la posizione di privilegio che caratterizza le società pubbliche allorché operino quale "ente strumentale" del soggetto pubblico di riferimento a discapito di operatori privati.
- L'ambito applicativo dell'art. 3, c. 27, della l. n. 244 del 2007, che vieta alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, c.2, del d. lvo n. 165 del 2001, di partecipare in società aventi per oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, vietando, altresì, di assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche in minoranza, in tali società, è diverso rispetto a quello dell'art. 13 del d.l. n. 223/2006, (decreto Bersani).
Invero, mentre l'art. 13 citato riduce ex lege la capacità di agire di una società-veicolo, imponendo una esclusività dell'attività svolta in favore dell'ente di riferimento; l'art. 3, c. 27, della l. n. 244 del 2007 delimita la capacità di agire dell'ente titolare della partecipazione sociale a quelli che dovrebbero essere i suoi propri confini (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 06.11.2009 n. 10891 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di manutenzione straordinaria si fonda sul duplice presupposto che i lavori siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienico-sanitari o tecnologici e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso.
La realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia poiché, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente.

Il manufatto realizzato (ndr: senza permesso di costruire) consiste in una tettoia che insiste nella parte esterna del terrazzino di mq. 9,00 (mt. 3,00 x 3,00) che è chiuso per tre lati nella parte interna e termina con un balcone aggettante (mt. 3,00 x 1,5 = mq. 4,50).
Il tipo di manufatto realizzato non può essere considerato opera di manutenzione straordinaria soggetta a D.I.A., in quanto il concetto di manutenzione straordinaria si fonda sul duplice presupposto che i lavori siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell'edificio o alla realizzazione di impianti igienico-sanitari o tecnologici e che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso (TAR Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n. 9725).
Nel caso di specie i lavori realizzati esulano dalla mera rinnovazione o sostituzioni di parti dell’edificio e risultano essere state alterate le superficie ed i volumi, anche considerando la chiusura in alluminio e vetri operata nella parte superiore.
Detti lavori comportano una rilevante modifica dell'assetto edilizio preesistente che richiedeva il rilascio del permesso di costruire ed, in tal senso, esulano altresì dalla nozione di pertinenza, che consente di derogare al regime abilitativo, in quanto quest’ultima va definita, oltre che in ragione della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche in relazione alla consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio (TAR Campania Napoli, sez. II, 26.09.2008, n. 11309).
In ogni caso, pur se si volesse considerare la tettoia quale pertinenza dell’immobile principale, si richiama quella giurisprudenza secondo cui la realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia poiché, pur avendo carattere pertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto edilizio preesistente (TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 16.07.2002, n. 4107; TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 08.07.2002, n. 1936; TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10059; TAR Campania Napoli, sez. VI, 04.08.2008, n. 9725) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 04.11.2009 n. 6876 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer l’identificazione della nozione di volume tecnico rilevano tre parametri: il primo, positivo e di tipo funzionale, costituito dall’esistenza di un rapporto di strumentalità necessaria tra il manufatto e l’utilizzo della costruzione a cui accede; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno della parte abitativa, e dall’altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis TAR Campania Napoli, Sez. IV, 13.05.2008, n. 4258; TAR Lombardia Milano, Sez. II, 25.03.2008, n. 582), per l’identificazione della nozione di volume tecnico rilevano tre parametri: il primo, positivo e di tipo funzionale, costituito dall’esistenza di un rapporto di strumentalità necessaria tra il manufatto e l’utilizzo della costruzione a cui accede; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno della parte abitativa, e dall’altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti. Pertanto rientrano in tale nozione solo le opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Pertanto, l’intervento oggetto dell’istanza di accertamento della compatibilità paesistica presentata dalla ricorrente consiste nella realizzazione di un volume tecnico; e, come ritenuto da questa Sezione in sentenza n. 1748/2009, l’art. 167 d.lgs. 42/2004, nella parte in cui non consente l’accertamento di compatibilità paesaggistica per gli interventi che comportano “nuovi volumi” va interpretata nel senso che essa non si riferisce anche ai volumi tecnici (fermo restando il potere dell’Amministrazione preposta alla tutela di accertare, caso per caso, la compatibilità del volume tecnico con le esigenze di tutela del paesaggio).
Infatti, come precisato nella sentenza n. 1748/2009 sopra citata, i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono, sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale e, come tali, sono ininfluenti ai fini del calcolo degli indici di edificabilità. Ne consegue che, come evidenziato dalla ricorrente, la stessa ratio che in materia urbanistica induce ad escludere i volumi tecnici del calcolo della volumetria edificabile dovrebbe valere anche in materia paesistica per escludere tali volumi dal divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 03.11.2009 n. 6827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici.
È ben vero che anche un volume tecnico può incidere in modo pregiudizievole sul paesaggio, e che la normativa paesaggistica ha una sua autonomia rispetto a quella edilizia ed urbanistica; tuttavia il Collegio ritiene che detta obiezione possa essere superata dalle considerazioni già svolte dalla Sezione nel proprio precedente sopracitato:
Rilievo decisivo assume quindi -a giudizio del Collegio- l’interpretazione teleologica della disposizione in esame. Si deve infatti osservare innanzi tutto che la Soprintendenza, attenendosi rigorosamente alla prospettata interpretazione letterale, coerentemente perviene a negare la possibilità di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria anche per i volumi interrati, conclusione questa che si pone tuttavia in stridente contrasto con la evidenziata ratio del divieto posto dall’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004, perché i volumi interrati sono palesemente privi di ogni incidenza sul paesaggio.
Analoghe considerazioni valgono per l’ulteriore argomento letterale addotto dalla Soprintendenza, che fa leva sul riferimento testuale alle “superfici utili”, dal quale la stessa Soprintendenza coerentemente desume che le superfici non residenziali sarebbero suscettibili di sanatoria. Infatti è evidente che la realizzazione di un soppalco all’interno di un preesistente volume è anch’essa priva di ogni incidenza sul paesaggio, a prescindere dal fatto che il soppalco determini o meno un aumento delle superfici residenziali.
Pertanto l’interpretazione teleologica induce inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati.
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici
” (Tar Campania, Napoli, VII, 1748/2009) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 03.11.2009 n. 6827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Ordinanza sindacale - Esposto di una sola famiglia - Sufficienza.
L'accertata presenza di un fenomeno di inquinamento acustico -pur se non coinvolgente l'intera collettività- deve ritenersi sufficiente a concretare l'eccezionale ed urgente necessità di intervenire a tutela della salute pubblica, con la conseguenza che l’ordinanza sindacale ben può essere adottata anche a seguito dell’esposto di una sola famiglia, non constando nella norma alcun parametro numerico o dimensionale (da ultimo, in tal senso TAR Piemonte, I, 02.03.2009, n. 199).
INQUINAMENTO ACUSTICO - Ordinanza sindacale - Art. 9 L. n. 447/1995 - Rimedio ordinario.
L'art. 9 della legge 447/1995 rappresenta l'ordinario rimedio in materia di inquinamento acustico, non prevedendo la citata legge altri strumenti a disposizione delle Amministrazioni comunali (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 08.06.2006, n. 3340 e sez. I, 24.01.2006, n. 488, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27.12.2007, n. 6819).
INQUINAMENTO ACUSTICO - Potere di ordinanza comunale - Art. 9 L. n. 447/95 - Potestà regolatoria - Potere conformativo dell’attività privata - Riduzione o rimodulazione dell’orario dell’attività fonte di immissioni.
Il potere di ordinanza comunale in materia di inquinamento acustico (art. 9 L. n. 447/1995) costituisce espressione della potestà regolatoria volta a conformare l'attività privata al rispetto dei limiti di emissione acustica nell'ambito del territorio comunale; tale potere conformativo può manifestarsi, anche attraverso l'obbligo per il responsabile delle immissioni rumorose di ridurre o rimodulare l'orario della propria attività fonte delle suddette immissioni (TAR Lombardia, Milano, IV, 02.04.2008, n. 715).
INQUINAMENTO ACUSTICO - Superamento dei limiti di legge - Situazione di rischio per la salute pubblica - Ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 - Motivazione per relationem al verbale dei rilievi fonometrici - Idoneità.
Il superamento dei limiti di legge, in materia di inquinamento acustico, implica automaticamente la sussistenza di una situazione di rischio per la salute pubblica che i soggetti preposti al controllo sono tenuti a rimuovere attraverso l’unico mezzo a disposizione rappresentato, per l’appunto, dall’ordinanza ai sensi dell’art. 9 della legge 447/1995.
La motivazione espressa per relationem al verbale dei rilievi fonometrici operati dall’USSL appare, quindi, del tutto sufficiente ad integrare il rispetto dell’obbligo di legge (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.11.2009 n. 1814 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Limite all’esercizio della facoltà del subappalto previsto nel bando ma dichiarato erroneamente in sede di gara – Sindacato del Giudice nella valutazione delle offerte anomale.
Il Consiglio di Stato ha statuito che l’incompleta o erronea dichiarazione di un concorrente relativa all’esercizio della facoltà di subappalto è suscettibile di comportare l’esclusione dello stesso solo nel caso in cui questi non possieda in proprio la qualificazione per le lavorazioni che intendeva subappaltare. Il soggetto, in questo caso, dovrà eseguire in proprio l’opera oggetto del mancato subappalto.
Nella stessa Sentenza la Corte ha stabilito, altresì, che il Giudice non possa sostituirsi all’Amministrazione nella valutazione dell’offerta nel merito. La Stazione Appaltante è obbligata ad effettuare la verifica di congruità delle offerte, sopratutto in relazione alla valutazione dell’anomalia delle stesse.
L’attribuzione dei punteggi nelle gare d’appalto deve essere espressione non solo tecnica ma anche amministrativa e, pertanto, la valutazione delle offerte sarà soggetta a sindacato giurisdizionale solo per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione, dell’illogicità manifesta, dell’erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza dell’iter valutativo e dei relativi esiti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.10.2009 n. 6708 - link a www.
www.mediagraphic.it).

APPALTI: Gara d’appalto - Dichiarazioni sostitutive e allegazione della copia fotostatica del documento di riconoscimento del sottoscrittore: Elemento indefettibile anche in caso di pluralità di dichiarazioni contenute in unica busta.
L’allegazione della copia fotostatica del documento di identità ai fini delle autocertificazioni di cui all’art. 38, comma 3, T.U. 28.12.2000 n. 445, assolve alla duplice funzione di comprovare il nesso di imputabilità della dichiarazione ad una determinata persona, nonché a garantire, attraverso l’assunzione delle responsabilità penali, la veridicità delle dichiarazioni ivi contenute.
Il TAR pugliese precisa, altresì, che in caso di pluralità di dichiarazioni, anche se contenute su più fogli, purché inserite all’interno di una busta unica, possono essere corredate da una unica copia del documento di identità (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 29.10.2009 n. 2357 - link a www.
www.mediagraphic.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Art. 9 L. n. 447/1995 - Competenza - Criterio di riparto - Art. 50, cc. 5 e 6 d.lgs. n. 267/2003 - Situazioni a carattere locale - Ambiti territoriali di carattere sovracomunale.
Non è condivisibile la tesi secondo cui la competenza ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 9 della L. n. 447/1995 dipenderebbe dall’appartenenza comunale o statale dei beni dai quali proviene la fonte rumorosa, perché ad un siffatto criterio non fa riferimento nessuna norma e l’esistenza di un bene pubblico quale fonte del disturbo è un’eventualità del tutto occasionale, dovendosi configurare nella maggior parte dei casi una provenienza da beni privati.
Poiché la norma citata configura un potere sostanzialmente analogo a quello attribuito al Sindaco dal Dlgs. 18.08.2000, n. 267 agli articoli 50 e 54, sembra congruo applicare in via residuale il criterio di riparto dettato dai commi 5 e 6 dell’art. 50 del Dlgs. n. 267 del 2000, e pertanto la competenza deve essere ricondotta in capo al Sindaco in caso di situazioni di carattere esclusivamente locale, ferma restando la competenza degli altri enti menzionati dall’art. 9 della legge n. 447 del 1995 in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali di carattere sovracomunale (fattispecie relativa all’adozione da parte del Sindaco di un’ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 con la quale era inibito l’uso di un’area demaniale).
INQUINAMENTO ACUSTICO - Insediamenti storici - Piani di risanamento acustico - Azione concertata tra i soggetti coinvolti - Presentazione del piano - Comune - Passivo rifiuto di dar corso alla procedura di approvazione - Illegittimità.
Dall’insieme delle norme di cui agli artt. 7, 4, c. 1 e 15 della legge 26.10.1995, n. 447 risulta che le molteplici iniziative volte alla rimozione delle situazioni di criticità determinate dalla storicità degli insediamenti, è demandata all’azione concertata dei diversi soggetti coinvolti cui devono concorrere le istituzioni, le attività produttive da cui provengono le emissioni sonore e gli stessi cittadini con interventi diretti sui ricettori sensibili.
Pertanto, a fronte della presentazione di un piano di risanamento acustico da parte di un’impresa illegittimamente il Comune si limita al passivo rifiuto di dar corso alla procedura di approvazione senza indicare in modo propositivo, completo e puntuale gli elementi giudicati non idonei o mancanti al fine del raggiungimento dei risultati attesi, e le opere e i rimedi specifici ritenuti necessari per il contenimento del rumore (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 26.10.2009 n. 2655 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Piena discrezionalità sull’utilizzazione delle graduatorie per la P.A..
Sul piano delle disposizioni di carattere generale, per giurisprudenza consolidata (in questo senso, da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, decisione 18.06.2009, n. 3998), cui anche questo Tribunale Amministrativo aderisce (si veda la sentenza 08.02.2008, n. 207), gli artt. 15, d.P.R. 09.05.1994, n. 487 e 22, comma 8, l. 24.12.1994, n. 274 non riconoscono agli idonei dei concorsi pubblici alcun diritto ad essere immessi in ruolo, ma si limitano ad attribuire all'Amministrazione, in alternativa allo svolgimento della procedura concorsuale ordinaria, la facoltà di procedere allo scorrimento delle graduatorie ancora valide di concorsi già indetti, sì da poter conferire agli idonei i posti non coperti dopo la chiamata dei vincitori, ovvero medio tempore resisi disponibili, nei limiti della pianta organica (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 21.10.2009 n. 1692 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: A. Rinaldi, Autorizzazione edilizia e interventi per l’utilizzo delle fonti energetiche.
Offre profili di notevole interesse, per il diritto sostanziale, la sentenza in disamina: infatti, si verte in ordine ad un ambito ancora poco ‘esplorato’ del T.U. Edilizia (DPR 380/2001), quello attinente le autorizzazioni per gli interventi d’utilizzo delle fonti energetiche: tema che, va da sé, innesta problematiche ambientali nella materia strettamente urbanistico-edilizia.
Colla sentenza 15.10.2009 n. 948 la I Sezione del TAR Lazio-Latina, ha accolto il ricorso presentato avverso il provvedimento di revoca della DIA, e conseguente sospensione dei lavori, inerenti l’installazione –su un immobile di sua proprietà adibito ad albergo ristorante e sito in zona A “centro storico”– di un impianto integrato per la produzione di acqua calda (sanitaria) mediante l’apporto di collettori solari.
Il Collegio ha ritenuto illegittimo l’operato del Comune, in quanto esso avrebbe disapplicato il chiaro disposto normativo dell’articolo 123 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (che riproduce sostanzialmente la disposizione dell’articolo 26 della legge 09.01.1991, n. 10) secondo cui “gli interventi di utilizzo delle fonti di energia di cui all'articolo 1 della legge 09.01.1991, n. 10, in edifici ed impianti industriali non sono soggetti ad autorizzazione specifica e sono assimilati a tutti gli effetti alla manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a). L'installazione di impianti solari e di pompe di calore da parte di installatori qualificati, destinati unicamente alla produzione di acqua calda e di aria negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi, è considerata estensione dell'impianto idrico-sanitario già in opera”.
Il Tribunale, confacendosi ad un precedente della Corte di Cassazione Penale, ha rilevato come la disposizione citata preveda una semplificazione del regime urbanistico-edilizio volta a permettere la realizzazione dell’impianto anche quando esso implichi, per esigenze tecnologiche, modifiche esterne e/o la realizzazione di necessari volumi tecnici (Cassazione penale, Sez. III, 17.11.1995 n. 3974) (link a www.greenlex.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Bonifiche.
Qualora emergano elementi che depongono nel senso di una sostanziale adesione delle competenti Amministrazioni in favore del modello della barriera idraulica, il mutamento di avviso da parte delle Amministrazioni stesse, con opzione verso un’altra tipologia di intervento, può avvenire solo in base ad una congrua ed approfondita motivazione ed all’esito di un’adeguata istruttoria, che tenga conto di tutte le circostanze rilevanti del caso: la sussistenza di detti obblighi procedimentali, prima ancora che da specifiche norme vigenti nel settore della disciplina ambientale, discende dai principi generali di economicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990, nonché dal divieto di aggravamento del procedimento amministrativo ex art. 1, comma 2, della citata l. n. 241 (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 14.10.2009 n. 1540 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. A. Mazzola, “Rumore sì, rumore no”.
La sentenza 11.06.2009 n. 2295 del Tribunale di Genova, Sez. III civile, lascia perplessi perché si discosta dall’unanime orientamento giurisprudenziale di considerare intollerabile il rumore, non applicando il noto criterio dell’incremento di 3 decibel, sostituito nella specie dal criterio di accettabilità prescritto dal legislatore con fonte regolamentare (si rinvia per un maggiore approfondimento a Mazzola M.A., Immissioni e risarcimento del danno, Utet, 2009).
Le perplessità non riguardano soltanto la via intrapresa quanto le fragili motivazioni che la sostengono, di natura tecnica.
Probabilmente la scelta di seguire tale via è stata fortemente condizionata dalla recente scelta del legislatore di intervenire in materia di immissioni intollerabili da rumore con l’art. 6-ter della legge 27.02.2009, n. 13 (G.U. 28.02.2009 n. 49) - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30.12.2008, n. 208 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale -serie generale- n. 304 del 31.12.2008), recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente, ed entrata in vigore l'01.03.2009, che ha appunto convertito con modificazioni il decreto-legge 30.12.2008, n. 208, inerente misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente.
In particolare la norma ha statuito che “1. Nell'accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell'articolo 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso.” (Art. 6-ter, Normale tollerabilità delle immissioni acustiche).
E’ evidente come tale norma non abbia effetto retroattivo e difatti il giudice ligure non la cita, perlomeno esplicitamente. La fa però sua nell’impianto motivazionale e la scelta di attribuire carattere di tollerabilità (salvo alcune immissioni, la cui intollerabilità risulta infine sufficiente per giustificare un riparto delle spese più gravose per il condominio) alle immissioni di rumore prodotte dalla caldaia condominiale nel loro complesso, o comunque nella parte dominante di esse, induce l’organo giudicante pure a valutare con maggiore senso critico la prova dei danni non patrimoniali. Danni che difatti non riconosce, unitamente a quelli patrimoniali, sempre negati.
Invero, le motivazioni in ordine alla valutazione dei danni appare comunque in parte condivisibile (danni alla salute, e danni patrimoniali) ed in parte sostenibile (i restanti danni non patrimoniali) (link a www.greenlex.it).

AGGIORNAMENTO AL 16.11.2009

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Dalla AUSL di IMOLA il “Quaderno della sicurezza nei cantieri edili” aggiornato al D.Lgs 106/2009.
Il "Quaderno della sicurezza nei cantieri edili" è un opuscolo realizzato in collaborazione dall'U.O. Prevenzione e Sicurezza degli ambienti di lavoro dell'Ausl di Imola e dal Gruppo Provinciale Edilizia della Provincia di Bologna, per fornire ai professionisti e alle aziende del settore edile informazioni dettagliate sull'applicazione delle norme in materia di tutela della salute e sicurezza nei cantieri.
In particolare, i tecnici del Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Ausl di Imola hanno curato l'aggiornamento del Quaderno in base alle modifiche introdotte dal D.Lgs 106 al Testo Unico sulla sicurezza (D. Lgs. 81/2008), nel mese di agosto di quest'anno ... (link a www.acca.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Fac-simile di REGOLAMENTO PER L’AFFIDAMENTO DI INCARICHI INDIVIDUALI DI COLLABORAZIONE AUTONOMA (Art. 3, commi 54, 55, 56 e 57, legge n. 244/2007, art. 48, comma 3, D. Lgs n. 267/2000, artt. 46, 76 e 77 D.L. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008, artt. 21 e 22 legge n. 69/2009) (link a www.anci.lombardia.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 45 del 13.11.2009, "Regolamento dell'Albo regionale delle Cooperative sociali ai sensi dell'art. 27 della l.r. n. 1/2008 - Testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso" (Regolamento Regionale 26.10.2009 n. 3 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 45 del 10.11.2009, "Direzione Centrale Programmazione Integrata - Adeguamento ex art. 5 della l.r. 29.06.2009 degli schemi di dichiarazione e dei relativi allegati in attuazione della l.r. 02.02.2007 n. 1, art. 5 - Semplificazione dei procedimenti per l'avvio di attività economiche" (decreto D.C. 26.10.2009 n. 10863 - link a www.infopoint.it).

QUESITI

EDILIZIA PRIVATA: Nomina commissione edilizia. Composizione.
Il sindaco del Comune di (omissis) riferisce che, a seguito delle elezioni amministrative del 6-7 giugno u.s., il Consiglio comunale ha provveduto a nominare i componenti della Commissione edilizia comunale, nella seguente composizione: 3 membri espressione della maggioranza, un membro della minoranza e un esperto in materia ambientale.
Nella votazione, svoltasi a scrutinio segreto, si è registrata parità di voti tra due candidati per il membro assegnato ai due gruppi di minoranza.
Il Consiglio ha deciso di rimettere in votazione i due nominativi espressi dalla minoranza, votazione che, con il risultato di 8 a 5, ha designato l’ultimo componente della commissione.
Il membro nominato dal Consiglio eccepisce sulla legittimità della deliberazione consiliare, sostenendo che a parità di voti andava eletto il più anziano di età (senza procedere a nuova votazione) e che il membro eletto dalla minoranza doveva essere esclusivamente votato dai consiglieri dei gruppi di minoranza (Regione Piemonte, parere n. 103/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

APPALTI SERVIZI: Appalto gestione micro-nido. Affidamento.
Il sindaco del Comune di (omissis) riferisce che l’ente ha proceduto, nell’aprile 2008, ad appaltare, per la durata di cinque anni, ad una cooperativa, la gestione di un micro-nido.
L’appaltatore, pare, voglia adesso recedere dal contratto ed intende subappaltare al 100% il servizio alle due maestre che attualmente lavorano presso il nido. In alternativa la cooperativa sarebbe disponibile a supportare le due maestre, previa loro costituzione in soggetto avente i requisiti dettati dall’art. 34 del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, approvato con D.Lgs. 12.04.2006, n. 163 e s.m.i. (di seguito: Codice dei contratti), in una eventuale gara, fornendo con l’istituto dell’avvalimento, i requisiti necessari.
Il sindaco chiede se sia legittimo il subappalto al 100%, se sia legittimo l’avvalimento proposto e se sia possibile continuare il servizio in capo alle attuali maestre (Regione Piemonte, parere n. 99/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALI: Conferma segretario comunale.
Il sindaco del Comune di (omissis) riferisce che l’ente ha stipulato convenzione di segreteria con altri due comuni.
A seguito elezioni amministrative del 6-7 giugno u.s., il sindaco del comune capofila ha deciso di non confermare il segretario titolare e intenderebbe avviare il procedimento per la nomina di un nuovo segretario.
Il sindaco del Comune esponente, richiamando gli accordi sanciti in convenzione e la deliberazione del consiglio nazionale di amministrazione dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali, n. 150/1999, rivendica la partecipazione al procedimento di nomina e pone le seguenti domande:
1°) in caso di mancato accordo tra gli enti, può il sindaco del comune capofila procedere alla nomina?
2°) l’Agenzia dei segretari comunali e provinciali può concedere il nulla-osta alla nomina, se fosse formalizzato il disaccordo degli altri due comuni convenzionati?
3°) può un comune procedere allo scioglimento della convenzione e contestualmente avviare la nomina di un nuovo segretario convenzionato? (Regione Piemonte, parere n. 97/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nomina commissione edilizia. Competenza organo.
Il sindaco del Comune di (omissis) riferisce che, a seguito delle elezioni amministrative del 6-7 giugno c.a., si è proceduto alla nomina della Commissione edilizia comunale, con atto consiliare.
In assenza di norme statutarie, il regolamento edilizio vigente di quell’ente attribuisce al Consiglio comunale la competenza della nomina.
Tale previsione regolamentare, ad avviso del sindaco, non è coerente con quanto disciplinato dall’art. 42 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 e s.m.i. (in seguito T.U.), che elenca, in modo tassativo, gli atti fondamentali di competenza di quell’organo. Tra quest’ultimi non rientra la nomina della commissione edilizia.
Infine il sindaco richiama l’art. 9, comma 2, della legge regionale n. 20/2009, che modifica l’art. 4, comma 3, della legge regionale n. 19/1999, rilevando che detta disposizione stabilisce che i membri elettivi della commissione edilizia sono nominati dal “competente organo comunale.
Si chiede al consulente di esprimersi sulla legittimità dell’atto consiliare di nomina e sulla eventuale, alternativa, individuazione dell’organo competente (Regione Piemonte, parere n. 92/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sportello Unico per attività produttive. Disciplina D.P.R. n. 447/1998.
Vengono posti due interrogativi riguardanti la disciplina dello Sportello Unico per le Attività Produttive di cui al D.P.R. 447/1998.
Le questioni poste sono le seguenti:
1. se il responsabile del procedimento SUAP possa convocare la conferenza di servizi su richiesta del privato anche qualora non sussistano “i presupposti di cui al comma 3 dell’art. 4 del D.P.R. n. 447/1998”;
2. se “Nell’ambito della conferenza dei servizi, qualora l’intervento ricada in vincolo di tutela paesaggistica, il parere del servizio urbanistica del comune e il parere, sempre dello stesso servizio urbanistica, formulato sulla base del parere della Commissione locale per il paesaggio possono sostituire i rispettivi titoli abilitativi (permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica)”; ovvero, in altri termini, se ”il Comune può esimersi dal formare il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica” (Regione Piemonte, parere n. 91/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Competenza autorità d’ambito territoriale ottimale.  Servizio gestione integrata rifiuti.
Viene posto un quesito in tema di competenze delle Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale per quel che concerne l’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti (Regione Piemonte, parere n. 82/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: A. Scialò, Procedura di verifica di assoggettabilità a VIA: le prime riflessioni del Consiglio di Stato (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: D. Meneguzzo, Il fascino dell'ambiguo e la natura transprovvedimentale della D.I.A. (link a http://venetoius.myblog.it).

NEWS

ENTI LOCALI: Mini-enti, ecco il supersindaco. In cdm arriva il Codice delle autonomie. Il governo: fare presto per collegare il ddl alla Finanziaria. Sotto i mille abitanti niente giunte. Tagliati 30 mila enti inutili.
Arriva il supersindaco nei piccolissimi comuni. Nei centri sotto i mille abitanti le giunte scompariranno e il sindaco governerà da solo con l'ausilio di un consiglio comunale ridotto all'osso (soli sei componenti) a cui potrà delegare l'esercizio di singole funzioni.
La rivoluzione è contenuta nel Codice delle autonomie che il governo porterà oggi in consiglio dei ministri. E se andrà in porto (non sarà facile per l'esecutivo farla digerire alle associazioni delle autonomie) interesserà circa 1500 comuni italiani, per lo più dislocati in Piemonte e Lombardia, e un milione e mezzo di persone.
Il governo non intende perdere altro tempo sul cammino delle riforme e ha deciso di portare il ddl frutto del lavoro congiunto dei ministri Umberto Bossi e Roberto Calderoli sul tavolo del consiglio dei ministri di oggi per un'approvazione lampo. Anche a costo di non recepire tutti i rilievi di regioni ed enti locali.
Il Codice, approvato preliminarmente dal consiglio dei ministri lo scorso 15 luglio (si veda ItaliaOggi del 16/07/2009) è rimasto impantanato a causa della protesta delle regioni che hanno disertato la Conferenza unificata in polemica col governo per il patto sulla salute. L'accordo dei governatori con l'esecutivo, siglato il 23 ottobre (si veda ItaliaOggi del 24/10/2009) ha sbloccato l'impasse. Ma ora i tempi sono strettissimi perché per poter consentire al disegno di legge di viaggiare in parlamento come collegato alla Finanziaria (assieme al ddl sulla semplificazione dei rapporti tra p.a., cittadini e imprese, si veda ItaliaOggi di ieri) l'ok del consiglio dei ministri dovrà arrivare entro il 15 novembre. «C'è urgenza di chiudere», hanno ribadito ieri con insistenza al dicastero delle riforme. Un messaggio chiaro per la Conferenza unificata convocata in via straordinaria per oggi, che si riunirà al termine del consiglio dei ministri.
Come detto, le pillole amare che il sistema delle autonomie dovrà mandar giù sono molte.
Il Codice, così come partorito da Calderoli e Bossi, farà fuori in un colpo solo oltre 30 mila enti, che compongono la galassia della pubblica amministrazione locale, considerati inutili e fonte di sprechi: consorzi, bacini imbriferi, comunità montane, circoscrizioni comunali, difensori civici. Le province resteranno in piedi, ma dovranno essere razionalizzate entro due anni fino a prevederne l'eventuale accorpamento.
I risparmi che l'esecutivo si aspetta di realizzare (diversi miliardi di euro) non deriveranno solo dal taglio degli enti inutili, ma anche dalla riduzione dei costi della politica.
I consigli comunali potranno contare al massimo 40 membri nei comuni con popolazione superiore a 500 mila abitanti, fino a scendere a un minimo di sei membri nei comuni con popolazione fino a 3 mila abitanti. I consigli provinciali potranno invece avere un massimo di 30 membri nelle province con popolazione residente superiore a 1,4 milioni di abitanti, per scendere gradualmente fino a un minimo di 12 membri nelle province con meno di 300 mila abitanti. Le giunte comunali potranno essere composte da un minimo di due assessori per i comuni tra 1.001 e 3 mila abitanti, fino a un massimo di dieci assessori nei comuni con più di 500 mila abitanti. Nei comuni piccolissimi, come detto, la giunta scomparirà e il sindaco governerà da solo con l'ausilio dei consiglieri a cui potrà delegare singole funzioni. Le giunte provinciali potranno essere composte da un minimo di tre assessori per le province con meno di 300 mila abitanti, fino a un massimo di otto assessori per quelle con più di 1,4 milioni di abitanti.
Come anticipato da ItaliaOggi (si veda il numero del 21/05/2009) a decorrere dal 2010 il patto di stabilità diventerà più flessibile. I vincoli contabili saranno definiti con riferimento al saldo finanziario, espresso in termini di cassa e competenza, e calcolato su base triennale. Gli enti locali avranno la possibilità di sforare gli obiettivi programmatici, a condizione che lo scostamento venga recuperato entro tre anni e comunque prima della scadenza del mandato elettorale. Lo scostamento tra l'obiettivo e il risultato si cumulerà all'obiettivo annuale. Qualora il comparto dei comuni e delle province rispetti nel suo complesso il patto (circostanza che si verifica puntualmente ogni anno), gli enti che hanno centrato gli obiettivi potranno nell'anno successivo ridurre il concorso alla manovra «per un importo pari ad una percentuale dell'eccedenza, registrata fra il risultato conseguito e l'obiettivo assegnato nell'anno precedente». L'importo sarà determinato con decreto del ministro dell'economia (articolo ItaliaOggi del 12.11.2009, pag. 19).

PUBBLICO IMPIEGO: Il messo comunale lumaca deve risarcire il fisco.
Deve pagare i danni al fisco il messo comunale che non notifica «ritualmente» gli avvisi di accertamento Iva. La decisione su queste controversie spetta alla Corte dei conti.

Lo hanno sancito le Sezioni unite civili della Cassazione che, con la sentenza 09.11.2009 n. 23677, hanno confermato la condanna al risarcimento del danno nei confronti di un messo comunale che non aveva notificato ritualmente alcuni avvisi Iva.
La lite era finita subito di fronte alla Corte dei conti ma l'uomo si era opposto sostenendo la giurisdizione dell'Ago.
In proposito la Cassazione ha chiarito che, dopo l'entrata in vigore della legge n. 20 del '94, «la Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, per i fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge».
Ma non solo. Nelle motivazioni si legge inoltre che «è totalmente irrilevante –al fine di escludere la giurisdizione della Corte dei conti a conoscere della controversia– la circostanza che il danno reclamato (e per cui è stato promosso il presente giudizio) sia stato patito dall'erario dello Stato (e per esso dall'ufficio Iva di Avellino) mentre il messo non era all'epoca dipendente di quell'ufficio ma del comune».
Non aveva notificato ritualmente a un contribuente due avvisi di rettifica Iva redatti dall'ufficio di Avellino. Per questo la Procura regionale presso la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Campania, aveva avviato un procedimento nei suoi confronti, chiedendo che il messo fosse condannato a pagare 300mila euro di danni.
Nel frattempo era scattato, nei confronti dell'uomo, anche un processo penale, dal quale, però, era uscito assolto.
La Corte dei Conti, dopo aver dichiarato la propria competenza sul caso, ha condannato il messo al risarcimento del danno (50 mila euro) ritenendolo responsabile per «colpa grave». Contro questa decisione l'uomo ha fatto ricorso in Cassazione sollevando varie eccezioni: in primo luogo il difetto di giurisdizione della Corte dei conti, poi il fatto che lui era stato assolto dal procedimento penale.
Il Collegio esteso del Palazzaccio ha respinto i motivi presentati dalla difesa confermando integralmente tutte le responsabilità verso l'erario (articolo ItaliaOggi del 12.11.2009, pag. 21).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sull'illegittimità dell'iscrizione di un'impresa nel Casellario Informatico presso l'Osservatorio dei contratti pubblici, laddove la AVPC abbia omesso di instaurare il dovuto contraddittorio con l'impresa suddetta.
Nell'ipotesi di esclusione di un'impresa, da una gara d'appalto, per via di dichiarazioni mendaci rese in ordine alla sussistenza di precedenti condanne penali gravanti sulla stessa, è da ritenersi illegittima l'iscrizione della concorrente nel Casellario Informatico presso l'Osservatorio dei contratti pubblici, qualora l'AVPC non abbia instaurato il contraddittorio con l'impresa omettendo, peraltro, di procedere alla valutazione del mendacio sotto il profilo soggettivo (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 11.11.2009 n. 11068 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Revocabile l'aggiudicazione provvisoria.
L'aggiudicazione provvisoria nelle gare d'appalto è atto a efficacia del tutto precaria, vincolante solo per la ditta provvisoriamente aggiudicataria, ma non per l'ente appaltante. Per tale ragione, l'ente può revocare o annullare l'aggiudicazione provvisoria nell'esercizio di una facoltà insindacabile, senza motivazioni particolari, purché sia indicato l'interesse pubblico ad adottare l'atto in autotutela. E tra tali motivazioni, legittimamente possono rientrare nuove e diverse valutazioni tecniche, in merito alla congruità economica delle offerte.

È il TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 09.11.2009 n. 10991 a chiarire in maniera esemplare la funzione ed il ruolo dell'aggiudicazione provvisoria.
È, infatti, ancora dibattuta in dottrina la natura dell'aggiudicazione provvisoria. Secondo alcuni, essa determina la costituzione di una posizione differenziata in capo all'azienda individuata come migliore offerente dalla commissione, tale da costituire qualcosa di più di una mera aspettativa.
In questo caso, dunque, qualsiasi atto di autotutela o la mancata attribuzione della definitività all'aggiudicazione determinerebbe una lesione dell'impresa vincitrice. Del resto, secondo questa tesi, quando l'impresa vincitrice è individuata la gara, intesa come competizione concorrenziale, è da considerare terminata, sicché occorre solo effettuare i controlli, acquisendo a tale scopo i documenti necessari. Per tale ragione, l'impresa prescelta a seguito dell'aggiudicazione provvisoria deve adempiere a una serie di obblighi, come esibire determinati documenti, produrre le previste forme di garanzia, scaturenti proprio dalla sua posizione differenziata.
Il Tar Lazio smentisce definitivamente tale approccio.
Secondo il Tar il verbale di aggiudicazione provvisoria produce impegni nei soli confronti della società aggiudicataria ma non nei riguardi dell'ente appaltante. Questo, infatti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 11 e 12 del dlgs 163/2006 è obbligato, nella fase di approvazione dell'aggiudicazione provvisoria, a svolgere ulteriori e diverse valutazioni di opportunità in merito all'offerta considerata aggiudicataria provvisoria. Ciò implica il dovere di effettuare verifiche in ordine alla regolarità della procedura e all'opportunità e convenienza , nel quadro dell'interesse pubblico, della scelta operata dalla commissione di gara. Con la possibilità, dunque, di rivedere gli esiti dell'operato della commissione, tanto da annullare la gara svolta.
Il Tar sottolinea che l'approvazione dell'aggiudicazione provvisoria non è affatto un atto vincolato; si può aggiungere che non si tratta neanche di atto meramente confermativo o esecutivo, perché comunque è un provvedimento che, anche quando recepisca i risultati dell'aggiudicazione provvisoria, comporta una nuova ed autonoma valutazione degli interessi pubblici sottostanti.
Ecco, dunque, che l'aggiudicazione provvisoria va considerata atto ad effetti instabili che produce effetti altrettanto caduchi in capo al beneficiario. Per cui, finché non sia giunta l'aggiudicazione definitiva l'impresa non può vantare alcuna posizione giuridica particolare; anzi, l'amministrazione appaltante dispone del potere di annullare l'aggiudicazione provvisoria in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione. Per altro, aggiunge la sentenza, l'aggiudicazione provvisoria non si inserisce in alcun rapporto contrattuale, ma attiene ancora alla fase di scelta del contraente: cioè è ancora un atto della commissione, che non conclude il procedimento di gara.
Circostanze sopravvenute, dunque, consentono alle amministrazioni di valutare diversamente sul piano del merito l'opportunità di procedere ad affidare l'appalto e, dunque, di annullare o revocare la procedura essendo collegata a una facoltà insindacabile dell'amministrazione che non si inserisce in alcun rapporto contrattuale, ma attiene ancora alla fase di scelta del contraente, in cui l'amministrazione ha la possibilità di valutare la persistenza dell'interesse pubblico all'esecuzione delle opere appaltate.
L'amministrazione può provvedere all'annullamento dell'aggiudicazione provvisoria, in via implicita e senza obbligo di motivazione, se l'intervento in autotutela è basato su una valutazione di convenienza (articolo ItaliaOggi del 14.11.2009, pag. 26).

EDILIZIA PRIVATA: Veranda.
La tenda collegata al muro con intelaiatura in acciaio e con tamponamenti in materiale plastico, così come la tenda collegata al muro e con tamponamenti di vetro, deve qualificarsi veranda che richiede il permesso di costruire ai sensi dell’art. 20 del DPR n. 380 del 2001, la cui mancanza comporta le sanzioni di cui all’art. 44 del citato DPR (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.11.2009 n. 42318 - link a www.lexambiente.it).

LAVORI PUBBLICI: Sull'obbligo in capo alle imprese che operano esclusivamente nel settore dei lavori pubblici, di osservare la clausola del bando che impone di indicare, pena l'esclusione dalla gara, il nominativo del direttore tecnico nel certificato camerale.
In ordine ai requisiti di partecipazione ad una gara pubblica, la clausola che impone di indicare il nominativo del direttore tecnico all'interno del certificato camerale, è da ritenersi obbligatoria esclusivamente nei confronti delle imprese che operano nell'ambito dei lavori pubblici e non di quelle il cui regolamento aziendale non prescrive la necessità della presenza, all'interno della propria struttura, di un siffatto organo tecnico-organizzativo.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima l'esclusione dalla gara di una costituenda ATI raggruppante tre imprese, una della quali, operando esclusivamente nel settore dei servizi informatici, risultava sfornita della figura del direttore tecnico (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 04.11.2009 n. 10833 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla illegittimità della clausola di un bando di gara per l'affidamento del servizio di refezione scolastica che prescriva quale requisito inderogabile di partecipazione il possesso di un centro di cottura localizzato nel comune committente.
E' illegittima una clausola di un bando di gara per l'affidamento del servizio di refezione scolastica che prescriva quale requisito inderogabile di partecipazione il possesso di un centro di cottura localizzato nel territorio del comune committente, in quanto da un lato, manifestamente sproporzionata e distorsiva della concorrenza e, dall'altro, non utile ai fini della individuazione del miglior contraente, né giustificabile con addotte finalità di controllo dell'attività di confezionamento.
Distorsiva della concorrenza, in quanto la summenzionata clausola nel pretendere la presenza nel comune o l'acquisizione, dei locali di confezionamento dei cibi, importa l'imposizione di un dispendio economico e organizzativo, per i potenziali concorrenti, del tutto sproporzionato e incoerente con qualsiasi canone di economicità e di risparmio su scala aziendale, determinando un indubbio favoritismo per quei pochi soggetti -o quell'unico soggetto, come nella specie- che sono presenti in quel preciso ambito territoriale.
Inoltre, una clausola che prescriva quale requisito inderogabile di partecipazione il possesso di un centro di cottura localizzato nel territorio del comune committente appare di per sé irragionevole ed eccedente le finalità di selezione del miglior contraente, poiché l'ubicazione della struttura nella quale vengono preparati i pasti è sì legittimamente valutabile da parte dell'amministrazione, ma ciò non può che avvenire in relazione alla distanza chilometrica dalle scuole ed al tempo medio di percorrenza stradale, onde garantire la freschezza dei pasti consegnati alle scuole, senza che assurga a fattore discriminante la circostanza che il centro cottura ricada o meno nei confini comunali  (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 03.11.2009 n. 2602 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva, confisca e terzo di buona fede.
Il terzo acquirente di un immobile abusivamente lottizzato, pur partecipando materialmente, con il proprio atto di acquisto, al reato di lottizzazione abusiva, non può essere assoggettato alla confisca prevista dall'art. 44 dpr 380/2001 se non quando tale partecipazione sia accompagnata anche da un elemento soggettivo costituito da una condotta almeno colposa in ordine al carattere abusivo della lottizzazione negoziale e/o materiale come definita nell’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 (nella fattispecie, la Corte ha confermato il più recente indirizzo interpretativo affermato con le sentenze 17865/2009, 21188/2009 e 39078/09 tutte presenti in questo sito) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.11.2009 n. 42178 - link a www.lexambiente.it).

LAVORI PUBBLICI: Certificazioni Soa con meno paletti. Tar: documenti anche non in originale.
Illegittime clausole dei bandi che obblighino le imprese partecipanti a gare di appalto di produrre a pena di esclusione il certificato di qualità e dell'attestazione Soa, esclusivamente mediante documento originale o in copia autentica.
Il TAR Piemonte, Sez. I, con la sentenza 26.10.2009 n. 2334 torna sulla possibilità di presentare dichiarazioni sostitutive dei certificati Soa, affermando la contrarietà a legge di regole dei bandi che impongano a presentare documenti originali.
Sottolinea la sentenza che l'illegittimità di tale pretesa non è causata dal solo, oggettivo, appesantimento burocratico derivante da un «eccesso di scrupolo» della stazione appaltante; nella realtà, l'illegittimità deriva dall'aver previsto a carico delle imprese partecipanti un adempimento considerato «gravoso, inutile e contrastante con i principi di semplificazione». In effetti, simili clausole pongono nel nulla le previsioni contenute nel dpr 445/2000 e, in particolare, l'articolo 77 come novellato dall'articolo 15 della legge 3/2003.
Tale norma, anche se nella realtà non ve n'era bisogno, ha esteso esplicitamente gli effetti ed i benefici della semplificazione amministrativa alle procedure di gara per l'affidamento di appalti, servizi e forniture. Il sistema delle dichiarazioni sostitutive, dunque, anche nell'ambito delle procedure di appalto ha valenza e portata generale non derogabile, sicché qualsiasi limitazione imposta dalla p.a. a tale semplificazione si pone in contrasto un principio considerato ormai ius receptum nell'ordinamento.
Il Tar Piemonte giunge ad evidenziare che le ditte possono autodichiarare praticamente tutti i requisiti di partecipazione. Del resto, nei confronti dell'aggiudicatario e del secondo la normativa sugli appalti prevede penetranti controlli, incidenti sull'efficacia stessa dell'aggiudicazione definitiva e, dunque, sulla stessa possibilità di stipulare il contratto.
D'altra parte, il dpr 445/2000 all'articolo 1, lettera f) stabilisce che è certificato «il documento rilasciato da un'amministrazione pubblica avente funzione di ricognizione, riproduzione e partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche».
I certificati, dunque, possono consistere in dichiarazioni di scienza, con le quali determinati fatti sono accertati non solo da amministrazioni pubbliche in senso soggettivo, ma anche da soggetti «titolari di funzioni pubbliche»: In effetti, le Soa sono «organismi di diritto privato», come tali disciplinate dalla legge.
Le Soa sono titolari della funzione pubblica di attestare il possesso della qualificazione in capo alle ditte appaltatrici; spetta, dunque, alle Soa accertare la capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa necessaria per partecipare alle gare e per ottenere l'affidamento di appalti.
Si tratta di una funzione pubblica perché garantisce l'attuazione del fine pubblico previsto dall'articolo 40 del dlgs 163/2006, ai sensi del quale i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici devono essere qualificati ed improntare la loro attività ai principi della qualità, della professionalità e della correttezza. E' per questa ragione che l'attestazione rilasciata dalle Soa può considerarsi come certificato e, come tale, è sostituibile con le dichiarazioni di cui agli art. 46 e 47 del dpr 445/2000 (articolo ItaliaOggi del 10.11.2009, pag. 30).

APPALTI: Sulla sussistenza o meno dell'obbligo, in capo alle stazioni appaltanti, di aggiornare il prezzo-base della gara al tariffario adottato annualmente dalla Giunta Regionale.
Sulla legittimazione, in capo alla associazioni di categoria, ad impugnare il bando di gara anche laddove lo stesso riguardi gli interessi dei singoli operatori economici iscritti.
In materia di appalti pubblici, non sussiste legittimazione a ricorrere in capo alle imprese che non abbiano partecipato alla gara.

- In materia di procedura ad evidenza pubblica, ai sensi dell'art. 133 c.8 dlgs 163/2006, il prezzo posto a base della gara d'appalto deve conformarsi al tariffario regionale adottato annualmente con delibera della Giunta. Nel caso di specie l'operato dell'Amministrazione comunale, stazione appaltante, pur contravvenendo al principio di cui sopra, risulta tuttavia legittimo in quanto la stessa si è avvalsa di una deroga all'obbligo di aggiornamento, espressamente contemplata dalla fonte normativa recante l'approvazione dei nuovi tariffari regionali, la quale si prospetta cedevole ove la committente alleghi specifico documento di analisi dei diversi prezzi, redatto da un progettista all'uopo incaricato e riportante i relativi articoli di riferimento.
- Le associazioni di categoria sono legittimate ad impugnare le clausole del bando di gara inerenti a prezzi e tariffe, purché gli interessi tutelati siano riferibili a tutti gli operatori economici iscritti e non creino posizioni disomogenee all'interno della categoria stessa.
- Le imprese che non abbiano partecipato alla gara non sono legittimate a ricorrere avverso quelle clausole del bando che importino, come nel caso di specie, profili differenti rispetto ai requisiti richiesti ai fini della partecipazione alla gara (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 26.10.2009 n. 2330 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA Il Collegio condivide l’orientamento -già espresso in sede cautelare- che ritiene illegittima l'applicazione delle sanzioni per il ritardo nel versamento nel caso in cui il titolare della concessione, a garanzia del pagamento dei contributi concessori, abbia stipulato fideiussione contenete rinuncia al beneficio di preventiva escussione.
Finché il termine per il pagamento non è spirato, l'obbligato principale non può essere ritenuto in ritardo o inadempiente, né il Comune potrebbe agire nei suoi confronti o nei confronti del garante; solo allorché il termine sia scaduto ed il ritardo nell'adempimento si sia così concretizzato, l'Amministrazione ha l'obbligo -radicato sui principi sopra richiamati e finalizzato ad evitare che il persistente ritardo possa comportare l'assoggettamento del debitore a più gravi sanzioni- di pretendere il dovuto dal garante.

L’art. 3 della L. n. 47/1985 (vigente all’epoca ed ora trasfuso nell’art. 42 del T.U. n. 380/2001) dispone che “…Il mancato versamento, nei termini di legge, del contributo di concessione di cui agli articoli 3, 5, 6 e 10, L. 28.01.1977, n. 10 , comporta:
a) l'aumento del contributo in misura pari al 20 per cento qualora il versamento del contributo sia effettuato nei successivi centoventi giorni;
b) l'aumento del contributo in misura pari al 50 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera a), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni;
c) l'aumento del contributo in misura pari al 100 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera b), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni. …

Pur dando atto della presenza di contrastanti indirizzi giurisprudenziali al riguardo, il Collegio condivide l’orientamento -già espresso in sede cautelare- che ritiene illegittima l'applicazione delle sanzioni per il ritardo nel versamento nel caso in cui il titolare della concessione, a garanzia del pagamento dei contributi concessori, abbia stipulato fideiussione contenete rinuncia al beneficio di preventiva escussione.
E’ stato infatti rilevato che il Comune ha uno specifico dovere, fondato sugli articoli 1175, 1375 e 1227, comma 2, del cod. civ., di richiedere quanto dovutogli al garante, con la conseguenza che -se esso viene meno a tale dovere e resta inerte- viola l'obbligo gravante sul creditore di attivarsi per non aggravare la posizione del debitore (cfr. TAR Napoli Sez. II 21.05.2008 n. 4856, TAR Basilicata 23.01.2006 n. 4; Cons. St., Sez. V, 05.02.2003, n. 585, 10.01.2003 n. 32).
Va peraltro soggiunto che dalle considerazioni che precedono non può però farsi derivare la conseguenza che non possa applicarsi alcuna sanzione. Invero, condivisibile giurisprudenza (cfr. TAR Napoli Sez. II 21.05.2008 n. 4856, TAR Basilicata 23.01.2006 n. 4 e TAR Lazio Latina, 13.11.2006, n. 1660) ha posto in luce che l'obbligo del Comune di attivarsi per recuperare il dovuto dal garante sorge soltanto allorché sia spirato il termine per il pagamento e il debitore principale sia rimasto inadempiente.
E’ stato quindi chiarito che fino alla scadenza il Comune non è tenuto ad alcun adempimento, perché trattandosi di obbligazione portable, che doveva essere adempiuta al domicilio del creditore (art. 1182 del codice civile), per tali obbligazioni non è necessaria la costituzione in mora del debitore quando, essendo stabilito un termine, lo stesso è scaduto inutilmente (art. 1219 del codice civile).
In altri termini, finché il termine per il pagamento non è spirato, l'obbligato principale non può essere ritenuto in ritardo o inadempiente, né il Comune potrebbe agire nei suoi confronti o nei confronti del garante; solo allorché il termine sia scaduto ed il ritardo nell'adempimento si sia così concretizzato, l'Amministrazione ha l'obbligo -radicato sui principi sopra richiamati e finalizzato ad evitare che il persistente ritardo possa comportare l'assoggettamento del debitore a più gravi sanzioni- di pretendere il dovuto dal garante.
Quanto sopra porta evidentemente a ritenere che un sia pur limitato ritardo nella riscossione, ove il debitore principale non rispetti il termine previsto per il pagamento, è inevitabile anche se il Comune chieda immediatamente l'adempimento al garante (e questo provveda); ciò implica quindi l'applicazione della sanzione prevista per il ritardo nell'adempimento protratto per i primi 120 giorni.
È chiaro però che -ove il Comune resti del tutto inerte e il pagamento avvenga con ritardo superiore a 120 giorni- esso non potrà pretendere di applicare le maggiorazioni della sanzione previste, perché il maggior ritardo avrebbe potuto essere evitato (e la posizione del debitore non aggravata) se esso avesse esercitato correttamente e diligentemente i propri diritti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.10.2009 n. 1760 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Ribasso consentito. Il Tar Piemonte respinge il ricorso degli ingegneri di Piemonte e Valle d'Aosta. Ok all'aggiudicazione dei lavori al 75% in meno.
Sì al massimo ribasso negli appalti pubblici. Per il Tar Piemonte, infatti, è legittima l'aggiudicazione al 75% di ribasso per la progettazione della Cittadella Policlinico di Torino. Respinto quindi il ricorso della Federazione interregionale ordini degli ingegneri del Piemonte e della Valle d'Aosta e dall'ordine degli ingegneri della Valle d'Aosta. Secondo il tribunale, il giudice amministrativo non può sindacare nel merito la relazione del responsabile unico del procedimento che stima il tempo minimo e il costo di una prestazione di progettazione e direzione dei lavori ai fini della verifica di congruità delle offerte.
È quanto ha stabilito il TAR Piemonte, Sez. I, ordinanza 22.10.2009 n. 830 la cui ordinanza sarà con tutta probabilità impugnata in Consiglio di stato, in attesa della discussione del merito.
Il ricorso presentato dalla Fiopa e dall'Ordine ingegneri regione Valle D'Aosta aveva a oggetto l'aggiudicazione definitiva dell'appalto di servizi di progettazione e direzione dei lavori di un parcheggio pluripiano presso la Cittadella Politecnica a Torino.
L'appalto, bandito un anno fa, è stato aggiudicato, con il criterio del prezzo più basso, ad una offerta che prevedeva un ribasso del 75,11% rispetto all'importo posto a base di gara di quasi due milioni di euro. I giudici, nelle motivazioni dell'ordinanza cautelare, hanno in primo luogo negato la legittimazione attiva della federazione interregionale ritenendola «priva della rappresentatività dei professionisti iscritti ai relativi ordini professionali». Per i giudici la Federazione si limita a coordinare l'attività degli ordini aderenti «senza assolvere a funzioni e compiti di diretta rappresentanza degli iscritti».
Nulla quaestio invece per la legittimazione dell'Ordine di Aosta che può quindi «impugnare in sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della sfera giuridica dell'ente come soggetto di diritto, ma anche degli interessi di categoria dei soggetti appartenenti all'ordine o collegio, di cui l'ente ha la rappresentanza istituzionale».
Venendo al merito della richiesta di sospensiva il Tar non ha riconosciuto la violazione della norma del codice che disciplina la valutazione dell'anomalia delle offerte (art. 88, comma 3 del dlgs 163/2006) in quanto la norma «non vieta che nella valutazione di anomalia la relativa commissione possa assumere a riferimento parametri ed elementi guida individuati nella relazione redatta dal Rup (responsabile unico del procedimento) per lo scrutinio di anomalia effettuato in occasione della precedente aggiudicazione della stessa gara, poi ritirata in via di autotutela». In sostanza la relazione del Rup, che aveva valutato in 2880 ore il tempo minimo e in 146.880 euro il costo minimo della prestazione contrattuale (a 51 euro/ora), ancorché predisposta per un'altra offerta, ben poteva essere utilizzata anche con riguardo alla seconda aggiudicazione.
L'ordinanza chiarisce anche che il giudice amministrativo non può sindacare le valutazioni tecnicamente discrezionali espresse da organi amministrativi preposti alla valutazione dell'anomalia, ma deve limitarsi ad accertare eventuali elementi di manifesta incongruenza, illogicità e irragionevolezza che, nel caso di specie, non sono stati individuati.
Il collegio non accoglie neanche la censura relativa all'inidoneità del livello di inquadramento del progettista di impianti meccanici ed elettrici indicato in offerta, dal momento che ritiene si tratti di un livello che comprende mansioni che comportino «particolari conoscenze tecnico-professionali», coerenti quindi con la figura proposta. Adesso la questione passa al Consiglio di Stato (articolo ItaliaOggi del 10.11.2009, pag. 32).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di un ascensore interno non necessita di alcun preliminare titolo abilitativo.
La realizzazione dell’ascensore interno soddisfa imprescindibili esigenze abitative di coloro che, versando in condizioni fisiche di minore abilità, devono poter raggiungere le unità immobiliari collocate agli ultimi piani.
È sintomatica la situazione soggettiva dei parenti prossimi del condomino ricorrente che, proprio in considerazione della carenza di ascensore, lamenta che l’anziana madre non è in grado di accedere all’abitazione sita all’ultimo piano del condominio.
Né va passato sotto silenzio che la realizzazione dell’ascensore è ascrivibile al genus degli interventi preordinati a rimuovere le barriere architettoniche: l’art. 6, comma 2, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 esonera dalla richiesta del titolo abilitativo gli interventi volti all’eliminazione delle barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio.
La littera legis è univoca nell’escludere gli ascensori interni dal previo ottenimento del titolo abilitativo.
Eventuali disposizioni contenute negli strumenti urbanistici o nel regolamento edilizio devono essere scrutinate alla luce della richiamata disposizione che, in ragione della collocazione sistematica della fonte dalla quale promana, è norma di principio come tale vincolante sia il legislatore regionale che quello locale (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.10.2009 n. 2792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAL’ordine di smaltimento di rifiuti abbandonati non può essere indiscriminatamente rivolto al proprietario, o comunque al soggetto che ha la disponibilità dell’area, in quanto la responsabilità del soggetto “proprietario” postula l'imputabilità allo stesso "a titolo di dolo o colpa" dei fatti di abbandono e/o di deposito incontrollato di rifiuti, sicché la suddetta responsabilità sorge esclusivamente allorché egli possa ritenersi obbligato in relazione a una sua corresponsabilità, anche omissiva, con l’autore dell’abbandono illecito dei rifiuti.
Il ricorso è fondato sul profilo assorbente della dedotta violazione dell'art. 14 del D.lgs. n. 22/1997 in forza del quale l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati e (comma 3^) "... chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate".
Invero, come questa Sezione ha già avuto modo di chiarire in precedenti analoghe controversie, l’ordine di smaltimento di rifiuti abbandonati non può essere indiscriminatamente rivolto al proprietario, o comunque al soggetto che ha la disponibilità dell’area, in quanto la responsabilità del soggetto “proprietario” postula, giusta il citato disposto normativo, l'imputabilità allo stesso "a titolo di dolo o colpa" dei fatti di abbandono e/o di deposito incontrollato di rifiuti, sicché la suddetta responsabilità sorge esclusivamente allorché egli possa ritenersi obbligato in relazione a una sua corresponsabilità, anche omissiva, con l’autore dell’abbandono illecito dei rifiuti (cfr. C.d.S. sez. V 19.03.2009 n. 1612; id. C.d.S. Sez. IV - 12.05.2006 n. 2676; TAR Basilicata - 26.10.2007, n. 128; TAR Campania, Napoli, sez. I, 27.02.2004, n. 2445).
Tale assunto, che si pone in linea con l’indirizzo interpretativo ampiamente maggioritario della giurisprudenza amministrativa in subiecta materia (TAR Sardegna 18.05.2007 n. 975; TRGA Trentino Alto Adige, Trento, 14.03.2002, n. 104; TAR Piemonte, sez. II, 23.02.2002, n. 471, nonché, per i risvolti penali, Cass. Penale sez. 3^ 16.06.2008 n. 24331), va ulteriormente esplicitato e definito nel senso che, al di là di vuote formule astratte (quali la culpa in vigilando o generici obblighi di custodia), la legittimità degli interventi in questione nei confronti dei proprietari delle aree interessate postula che, sul presupposto dell’oggettivo accertamento della presenza dei rifiuti nell’area di proprietà, si innesti un’ulteriore e specifica valutazione che, previa motivata considerazione di tutti gli elementi (anche indiziari) correlati alla situazione fattuale, evidenzi concreti aspetti di corresponsabilità del titolare del fondo, anche in termini di comportamento omissivo specificamente e causalmente correlato, in funzione agevolatrice, alla realizzazione della condotta vietata (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 20.10.2009 n. 2613 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE PROGETTUALI: Ai fini della valutazione o meno dell'"esiguità" nelle dimensioni delle costruzioni, per stabilire se possono ricadere nella sfera di competenza dei geometri, devono rilevare sia il criterio “qualitativo” che quello “economico”.
La competenza dei geometri è, infatti, limitata alle sole costruzioni minori, di modeste dimensioni, con divieto di progetto di opere per cui vi sia impiego di cemento armato, tale da implicare un pregiudizio alle persone in caso di difetto strutturale, stante anche l'evidente favore che le varie norme pongono per la competenza esclusiva dei tecnici laureati.

In materia di competenza professionale del geometra, va premesso che il sistema, ricostruito attraverso il combinato disposto dell'art. 16 del R.D. 11.02.1929 n. 274, della legge 05.11.1971 n. 1086 e della legge 02.02.1974 n. 64 (che hanno, rispettivamente, disciplinato le opere in conglomerato cementizio e le costruzioni in zone sismiche), prevede che la progettazione delle costruzioni civili, ove si adottino strutture in cemento armato, è riservata solo agli ingegneri ed agli architetti iscritti nei relativi albi professionali (cfr. fra le recenti, Cass., Sez. II, 08.04.2009 n. 8543 e 14.04.2005 n. 7778).
Con sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 27.04.1993, è stato precisato che il parametro della modestia delle costruzioni, stabilito dall'art. 16, lett. l) e m) del R.D. 11.02.1929, n. 274, con cui è stato approvato il regolamento sulla professione dei geometri, quale criterio discriminatore tra la competenza dei geometri e quella degli ingegneri ed architetti, non è generico, in quanto si riferisce a nozioni tecniche di comune esperienza, che consentono di valutare se la struttura dell'edificio e le modalità costruttive, unitamente al criterio quantitativo e economico, escludano che la costruzione possa essere realizzata da professionisti di rango inferiore.
Pertanto, ai fini della valutazione o meno dell'"esiguità" nelle dimensioni delle costruzioni in parola, per stabilire se possono ricadere nella sfera di competenza dei geometri, devono rilevare sia il criterio “qualitativo” che quello “economico”.
La competenza dei geometri è, infatti, limitata alle sole costruzioni minori, di modeste dimensioni, con divieto di progetto di opere per cui vi sia impiego di cemento armato, tale da implicare un pregiudizio alle persone in caso di difetto strutturale, stante anche l'evidente favore che le varie norme pongono per la competenza esclusiva dei tecnici laureati (in tal senso, anche: Cons. Stato. Sez. V n. 25 del 13.01.1999, nonché Cass. sez. II n. 15327 del 29.11.2000).
Comunque, anche quando è ammessa la competenza del geometra per la progettazione in strutture di cemento armato, essa va sempre limitata alla opere di dimensioni minori, sicché, per valutare l'idoneità del geometra a firmare il progetto di natura edilizia che comporta l'uso del cemento armato, occorre considerare le specifiche caratteristiche dell'intervento, al fine di ammetterla solo se si tratti di opera di modeste dimensioni (cfr. Cons. Stato, Sez V: 16.09.2004, n. 6004 e 31.01.2001, n. 348) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 20.10.2009 n. 1116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In merito alla richiesta di proroga del termine di ultimazione lavori di rilasciata concessione edilizia, per il legislatore i "fatti sopravvenuti" -che ne motivano la richiesta- non hanno un rilievo automatico, ma costituiscono oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile purché non vi sia la pronuncia di decadenza.
L’art. 4, 4° comma, della legge 28.01.1977 n. 10 (riproduttivo di un principio desumibile già dall'art. 31 della legge n. 1150 del 1942 e ripreso poi dal vigente art.15, comma 2, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380), prevede che il termine di compimento dei lavori "non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione".
Per il legislatore, tali "fatti sopravvenuti" (che possono consistere nel “factum principis” o in altri casi di “forza maggiore”) non hanno un rilievo automatico, ma costituiscono oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile purché non vi sia la pronuncia di decadenza.
Invero, occorre che la perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti debba essere accertata con un atto di natura ricognitiva avente effetti “ex tunc” e, quindi, debba essere formalmente dichiarata, anche ai fini del contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto, legittimanti la declaratoria di decadenza (ex plurimis: Cons. Stato Sez. IV 29.01.2008 n. 249): "è, infatti, inammissibile la domanda di accertamento della decadenza della concessione edilizia, in relazione alla quale l'interessato può solo sollecitare l'esercizio del relativo potere da parte del comune, mediante apposita istanza ad agire e, in caso di sua inerzia, con lo strumento del silenzio rifiuto" (conf.: Tar Latina, 13.06.2006, n. 375).
Ne consegue che, nel caso di specie, non essendo intervenuto alcun provvedimento di decadenza dell’originaria concessione edilizia del 1991/1993, non possono trovare ingresso nel presente giudizio le considerazioni svolte dalla ricorrente, in qualche modo incentrate su una sorta di “decadenza implicita” od “automatica”, della quale si postula l’accertamento da parte di questo giudice.
Comunque, al riguardo, non risultano destituite di fondamento le repliche svolte dalla difesa del Comune, intese a dimostrare, in sostanza, che, al di là del nomen juris, l’impugnato concessione edilizia ha natura e funzione autonoma, non soltanto perché concerne un’opera diversa e dotata di una sua autonomia strutturale (porticato), rispetto alla concessione edilizia del 1991/1993 (avente ad oggetto la costruzione del fabbricato cui accede), ma anche perché prevede autonomi termini di inizio e completamento lavori nonché la corresponsione di ulteriori oneri concessori (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 20.10.2009 n. 1116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444, là dove prescrive la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e -pertanto- non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine.
La questione portata all’esame della Sezione riguarda l’autorizzazione alla realizzazione da parte dei controinteressati, in forza dell’impugnata concessione edilizia, di una parete in muratura a chiusura di una tettoia -posta a protezione di un bocciodromo- in sostituzione della antecedente protezione, costituita da un telone di plastica (cellophane).
Va innanzi tutto ricordato che il D.M. 02.04.1968 n. 1444 –recante “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765”– all’art 9. “Limiti di distanza tra i fabbricati” stabilisce che: “Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
…omissis …
”.
Va innanzitutto disattesa la prospettazione della difesa dell’Amministrazione comunale, secondo cui la norma in questione troverebbe ingresso solamente nei rapporti tra privati .
E’ anzi vero l’opposto (cfr. ex multis Cass. Civ., Sez. II, 02.10.2000 n. 13011, idem, Sez. II, 22.09.2004 n. 19009), poiché il D.M. 02.04.1968 n. 1444 -là dove all’art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti– è norma che impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante anche nei rapporti tra privati. E da ciò deriva (cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. II 01.11.2004 n. 21899) che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata.
Più in generale, va posto in rilievo che l'art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 (emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell'art. 41-quinquies l. 17.08.1942 n. 1150, introdotto dalla l. 06.08.1967 n. 765), là dove prescrive la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e -pertanto- non è eludibile in funzione della natura giuridica dell'intercapedine (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 04.12.2001 n. 1734, TAR Liguria Sez. I, 12.02.2004 n. 145). Pertanto, le distanze tra costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi (cfr. Cons. St., Sez. IV, 05.12.2005 n. 6909).
Va ulteriormente osservato che in tema di distanza fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. “doppia tutela”. Questo vuol dire che il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata.
Più specificamente, per consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, "le controversie tra proprietari di fabbricati vicini aventi ad oggetto questioni relative all'osservanza di norme che prescrivano distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo anche a tale materia applicabile il principio secondo il quale nei rapporti tra privati non si pone una questione di giurisdizione, essendo la posizione di interesse legittimo prospettabile solo in rapporto all'esercizio del potere della pubblica amministrazione che, invece, in tali controversie non è parte in causa. Né a tal fine rileva l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, atteso che il giudice ordinario, cui spetta la giurisdizione, vertendosi in tema di assunta violazione di un diritto soggettivo, può incidentalmente accertare l'eventuale illegittimità della concessione edilizia medesima, onde disapplicarla; mentre la giurisdizione del giudice amministrativo è al riguardo configurabile allorché la controversia sia insorta tra il privato e la pubblica amministrazione, per avere il primo impugnato detta concessione al fine di ottenerne l'annullamento nei confronti della seconda" (cfr., ex multis, Cass., SS.UU., 01.07.2002 n. 9555).
Consegue, quindi, da ciò che sussistono nel nostro ordinamento ipotesi di doppia tutela in relazione a possibili violazioni della disciplina vigente in materia di distacco delle costruzioni dai confini del fondo ovvero da altre costruzioni, a seconda che si agisca nei riguardi del confinante ovvero nei confronti dell'Amministrazione Comunale che ha rilasciato il titolo edilizio, ben potendo le azioni stesse coesistere e ben potendo il titolare dell'interesse qualificato alla legittimità dell'azione amministrativa ottenere, comunque, in sede di giurisdizione amministrativa l'annullamento ope iudicis del titolo edilizio reputato illegittimo anche a prescindere dalla sua eventuale disapplicazione da parte del giudice ordinario concomitantemente adito, a' sensi degli artt. 4 e 5 della L. 25.03.1965 n. 2248, all. E. (cfr. TAR Veneto Sez 2° 17.06.2005 n. 2504).
In tale contesto deve dunque affermarsi che la sostituzione della preesistente chiusura laterale con telo di cellophane con una parete di chiusura in muratura dotata di finestre costituisce trasformazione della res, con conseguente obbligo di rispetto della disposizione di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.
Va soggiunto (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 26.08.2002, n. 12483) che l'eventuale diritto del proprietario frontista a mantenere un fabbricato preesistente sin dall'origine costruito ad una distanza inferiore a quella legale rispetto all'immobile limitrofo non conferisce al predetto l'ulteriore diritto di apportare al manufatto aggiunte e/o modifiche di qualsiasi natura nella parte che, in base alla normativa attualmente vigente, risulti a distanza inferiore a quella minima legale, atteso che dette aggiunte o modifiche costituirebbero un'ulteriore -e non consentita- violazione della normativa in materia di distanze (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.10.2009 n. 1742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe opere perimetrali di chiusura di una tettoia non sono riconducibili a quelle di completamento funzionale in quanto trasformano radicalmente il manufatto in un locale chiuso con un diverso grado di funzionalità.
Le opere che trasformino una tettoia in un edificio non costituiscono un completamento funzionale ma una trasformazione dell’originario manufatto in un qualcosa di nuovo.
La trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, determina la realizzazione di un nuovo vano in tal modo ponendo in essere un aumento della volumetria.
La sostituzione di una preesistente tenda parasole con un porticato non costituisce intervento di manutenzione straordinaria, stante la prevalenza del momento trasformativo innovativo rispetto a quello conservativo, ed è soggetta a concessione edilizia, rientrando nelle opere previste dall'art. 31, lett. d), l. n. 457 del 1978.

Come è stato condivisibilmente sostenuto (cfr. TAR Lazio Sez. 2° 01.06.2001 n. 4843), le opere perimetrali di chiusura di una tettoia non sono riconducibili a quelle di completamento funzionale in quanto trasformano radicalmente il manufatto in un locale chiuso con un diverso grado di funzionalità. Invero, la tettoia costituisce struttura manufatto autonomamente utilizzabile, come tale non necessitante di tamponature laterali.
La giurisprudenza amministrativa ha in proposito rilevato che non possono qualificarsi come opere di completamento funzionale quelle che si traducono nella creazione di un quid novi rispetto alla consistenza strutturale e tipologica del manufatto già realizzato e che attribuiscono una diversa caratterizzazione funzionale allo stesso, sicché le opere che trasformino una tettoia in un edificio non costituiscono un completamento funzionale ma una trasformazione dell’originario manufatto in un qualcosa di nuovo.
Eguale ratio è rinvenibile nell’indirizzo della Cassazione penale (cfr. Sez. III 26.04.2007 n. 35011) là dove viene affermato che la trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, determina la realizzazione di un nuovo vano in tal modo ponendo in essere un aumento della volumetria.
Ancora è stato ritenuto (cfr. TAR Latina 19.01.2007 n. 44) che la sostituzione di una preesistente tenda parasole con un porticato non costituisce intervento di manutenzione straordinaria, stante la prevalenza del momento trasformativo innovativo rispetto a quello conservativo, ed è soggetta a concessione edilizia, rientrando nelle opere previste dall'art. 31, lett. d), l. n. 457 del 1978 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.10.2009 n. 1742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Cessata efficacia di piano attuativo.
La cessata efficacia di un piano attuativo non eseguito non rende l'area interessata priva di disciplina urbanistica, alla stregua delle c.d. «zone bianche», per le quali risultano dettate le rigide prescrizioni di cui all'art. 4, comma ult., della legge 28.01.1977 n. 10 - poi, confluito nell'art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Dette prescrizioni, infatti, appaiono giustificate per le zone nelle quali si riscontri la mancanza di qualsiasi programmazione d'uso del territorio. Ciò nella considerazione che, in assenza di disciplina, in tali zone si riespanderebbe illimitatamente lo "ius aedificandi" insito nel diritto di proprietà e, quindi, senza alcuna tutela dell'interesse pubblico ad uno sviluppo edificatorio organico (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 06.10.2009 n. 580 - link a www.lexambiente.it).

AGGIORNAMENTO AL 09.11.2009

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 44 del 06.11.2009, "Modifiche ed integrazioni alla d.g.r. n. 6581/2008 relativa ai criteri per la localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti urbani e speciali (art. 18, comma 3, l.r. n. 26/2003)" (deliberazione G.R. 21.10.2009 n. 10360 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 44 del 02.11.2009, "Modalità operative per interventi di sostituzione edilizia in centri storici e nuclei di antica formazione ai sensi del comma 4, articolo 3, l.r. 13/2009" (decreto D.U.O. 14.10.2009 n. 10411 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 44 del 02.11.2009, "Indirizzi generali per i Comuni sugli orari e i turni di apertura e chiusura degli impianti di distribuzione dei carburanti (art. 1, comma 3, l.r. 24/2004)" (deliberazione G.R. 21.10.2009 n. 10359 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.U.E. 31.10.2009 n. L/285 "DIRETTIVA 2009/126/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 21.10.2009 relativa alla fase II del recupero di vapori di benzina durante il rifornimento dei veicoli a motore nelle stazioni di servizio" (link a http://eur-lex.europa.eu).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ATTI AMMINISTRATIVI: P. Amovilli, LA COMUNICAZIONE DEI MOTIVI OSTATIVI ALL’ACCOGLIMENTO DELL’ISTANZA (ART. 10-bis L. 241/1990) TRA PARTECIPAZIONE, DEFLAZIONE DEL CONTENZIOSO E NUOVI MODELLI DI CONTRADDITORIO “AD ARMI PARI” (link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: L. Busico, La responsabilità dei pubblici dipendenti ed il potere disciplinare: cenni alle recenti riforme normative (link a www.diritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: C. Tarantino, SCARICHI DI AUTOLAVAGGI E DI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI: DISCIPLINA, CONTROLLI, SANZIONI (link a www.lexambiente.it).

APPALTI: Escluso dalle gare d’appalto chi non denuncia il racket (link a www.mediagraphic.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGO: Lavoro dipendente, congedi al padre anche se la mamma è casalinga.
Il padre lavoratore dipendente può fruire dei riposi giornalieri previsti dalla legge per l'accudimento dei figli anche nel caso in cui la madre sia casalinga.
L'INPS, con circolare n. 112 del 15.10.2009, fornisce le necessarie indicazioni per usufruire di tale possibilità, scaturita dal disposto della sentenza n. 4293 del Consiglio di Stato, che interpreta in via estensiva quanto prevede il Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità (d. lgs. 151/2001).
L'art. 40 del decreto legislativo 151 del 26.03.2001 prevede che al padre lavoratore dipendente siano riconosciuti periodi di riposo: nel caso in cui i figli siano affidati solo al padre; nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; nel caso di morte o di grave infermità della madre.
L'Inps, in varie circolari, aveva ritenuto dovesse intendersi come "lavoratrice non dipendente" la madre lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola, parasubordinata, libera professionista) avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell'Istituto o di altro ente previdenziale, e non anche la madre casalinga.
Il Consiglio di Stato, invece, con la sentenza n. 4293 del 09.09.2008, afferma che la ratio della norma, volta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, induce a ritenere ammissibile la fruizione dei riposi giornalieri da parte del padre anche nel caso in cui la madre svolga lavoro casalingo.
Il padre dipendente può dunque fruire dei riposi giornalieri nei limiti di due ore o di un'ora al giorno, a seconda dell'orario giornaliero di lavoro, entro il primo anno di vita del bambino o entro il primo anno dall'ingresso in famiglia del minore adottato o affidato, e può utilizzare i riposi a partire dal giorno successivo ai 3 mesi dopo il parto (link a www.governo.it).

PUBBLICO IMPIEGO Mobbing a lungo termine. La Cassazione esclude la condotta mobbizzante durata meno di tre mesi. Configurabile solo se la persecuzione è duratura.
La condotta mobbizzante rileva solo se la persecuzione è sistematica e duratura.
Questo è quanto affermato dalla recente sentenza della Cassazione del 17.09.2009 n. 20046.
È correttamente motivata, dunque, la sentenza d'appello che ha escluso la configurabilità del «mobbing» in una vicenda durata meno di tre mesi, e non per i sei mesi individuati dalla prassi giudiziaria.
Nell'ambito lavorativo, secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza prevalente, la parola mobbing ha assunto il significato di pratica persecutoria o, più in generale, di violenza psicologica messa in atto dal datore di lavoro o dai colleghi nei confronti di un lavoratore per costringerlo alle dimissioni o comunque ad uscire dall'ambito lavorativo.
In particolare il mobbing ricorre quando sia accertata la reiterazione nel tempo di comportamenti di ostracismo e di persecuzione nei confronti del lavoratore-mobbizzato, vittima designata da parte o dei colleghi attuando così il cosiddetto «mobbing» orizzontale, o dei superiori gerarchici definito come «bossing» verticale, senza che i titolari del rapporto di lavoro intervengano in alcun modo per interrompere detti comportamenti, con ciò assumendosi la responsabilità delle loro conseguenze ai sensi degli artt. 2049 e 2087 del codice civile. Il caso esaminato è relativo ad una lavoratrice la quale ha affermato che per quasi un trimestre era stato attuato nei suoi confronti il cosiddetto mobbing.
Dapprima attraverso una inesistente contestazione disciplinare di assenza dal lavoro, poi mediante la sua totale destituzione dalle funzioni manageriali svolte, passando poi attraverso il demansionamento attuato con un distacco aziendale per l'espletamento solo di mansioni già svolte in passato ed infine con il licenziamento.
La lavoratrice decide quindi di impugnare davanti al giudice del lavoro tutta la vicenda, il quale ritiene tuttavia che, poiché possa integrarsi la condotta mobbizzante, occorre che la persecuzione debba identificarsi come sistematica e duratura.
Infatti nel caso di specie la condotta mobizzante era stata caratterizzata dalla brevità del periodo «essendosi eventualmente protratti per meno di un trimestre (e non per i sei mesi individuati dalla prassi giudiziaria) gli episodi vessatori e persecutori asseritamente operati dal preposto».
La lavoratrice decide comunque di impugnare nel merito la sentenza. Giustamente sembra che, se il mobbing di solito richiede una reiterazione in un tempo congruo di comportamenti complessivamente vessatori, non si può escludere a priori che l'effetto lesivo si verifichi anche in ipotesi di fatti episodici o di breve durata, ma comunque particolarmente intensi. Oppure che si tratti di fatti pur posti in essere in un ambito temporale limitato, ma con effetti lesivi comunque duraturi, o di illecito datoriale progressivo, che accresca nel tempo la sua carica lesiva, specie se i fatti lesivi cessano solo in ragione dell'ultimo di essi, costituito dalla scelta datoriale di licenziare illegittimamente il dipendente sgradito.
Il ricorso in Cassazione presentato dalla lavoratrice viene però respinto, in considerazione dei limiti del sindacato del giudice di legittimità sulla valutazione delle prove compiuta dalla sentenza di merito.
Infatti la Suprema corte precisa che, riprendendo principi ormai consolidati, senza addentrarsi invece sulla valutazione della configurabilità di una nozione giuridica di mobbing di breve durata e della resistenza delle considerazioni di merito in relazione a una eventualmente diversa nozione di illecito datoriale, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione attribuisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito.
A questo spetta, dunque in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti.
Si aggiunge dunque un tassello in più nella costruzione di un indice sistematico da seguire per le cause di mobbing e per valutare un rischio «stress» da lavoro- correlato che necessariamente dovrà essere inserito nel Documento di valutazione del rischio, dai datori di lavoro, a partire dal 1° agosto 2010 (articolo ItaliaOggi del 06.11.2009, pag. 29).

EDILIZIA PRIVATA: Adempimenti soft nei lavori edili. Una circolare del ministero del welfare chiarisce le misure per la sicurezza nei cantieri privati. Un solo responsabile per le opere inferiori a 100 mila euro.
Adempimenti soft per la sicurezza lavoro se l'opera edile non è complessa. Quando si tratti di lavori privati non soggetti al permesso di costruire e comunque di importo inferiore ai 100 mila euro, i committenti possono nominare soltanto il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, il quale svolgerà anche i compiti affidati dalla legge al coordinatore per la progettazione (la cui nomina può essere evitata).
Lo precisa la circolare 29.10.2009 n. 30/2009 del ministero del lavoro che illustra l'applicazione delle nuove norme in materia di sicurezza del lavoro (dlgs n. 106/2009 di modifica del dlgs n. 81/2008, il Tu sicurezza) ai cantieri edili privati.
Cantieri e sicurezza. I chiarimenti riguardano l'applicazione delle specifiche misure di prevenzione (sicurezza lavoro) previste per i cantieri, vale a dire qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile (lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione etc., permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, etc).
I chiarimenti, in particolare, riguardano le misure di prevenzione da adottare quando nei cantieri, come prima definiti, è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea. In tali casi, il Tu sicurezza impone al committente (che è il soggetto per conto del quale l'opera viene realizzata) o al responsabile dei lavori (il soggetto che può essere incaricato dal committente per svolgere i suoi compiti):
- prima dell'affidamento dei lavori di designare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori;
- contestualmente all'affidamento dei lavori di designare il coordinatore per la progettazione. Entrambe le predette figure di «coordinatore» (per l'esecuzione dei lavori e per la progettazione) hanno il compito di monitorare e verificare l'applicazione delle misure sulla sicurezza. Il primo (il coordinatore per l'esecuzione dei lavori) durante lo svolgimento delle attività; il secondo (il coordinatore per la progettazione) in sede di progettazione (appunto) dei lavori.
I chiarimenti. Il dlgs n. 106/2009 (modifiche al Tu sicurezza), tra le altre novità, ha previsto una specifica ipotesi di disapplicazione del predetto obbligo.
Infatti, ha stabilito che nei lavori privati non soggetti a permesso di costruire e comunque d'importo inferiore a 100 mila euro, il committente (e neanche il responsabile dei lavori) non è tenuto a designare il coordinatore per la progettazione, perché in tal caso le funzioni di tale coordinatore vengono svolte dal coordinatore per l'esecuzione dei lavori.
A riscontro di numerose richieste di chiarimento, la circolare n. 30/2009 del ministero precisa che «tale norma persegue la finalità di consentire al committente la nomina del solo coordinatore per l'esecuzione in cantieri non particolarmente complessi nei quali gli obblighi del coordinatore per la progettazione sono di entità tale da poter essere affidati all'unica figura del coordinatore per l'esecuzione».
In tali casi, chiarisce meglio il ministero, «il coordinatore per l'esecuzione svolge, senza eccezioni o limitazioni, tutte le funzioni» che il Tu (articolo 91) «attribuisce al coordinatore per la progettazione».
In via di principio, spiega il ministero, si tratta di compiti che devono essere svolti durante la progettazione dell'opera; e, pertanto, il Tu (articolo 90, comma 3) prevede che il committente o il responsabile dei lavori designi il coordinatore per la progettazione contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione.
Analogamente, aggiunge il ministero, nelle ipotesi di deroga in esame (lavori edili privati di lieve complessità fino a 100 mila euro), «il coordinatore per l'esecuzione dei lavori deve essere nominato contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione, in modo da consentire la piena realizzazione di tutti i compiti connessi al ruolo di coordinatore per la progettazione, anche nei casi in cui tale ruolo venga svolto dal coordinatore per l'esecuzione». (articolo ItaliaOggi del 04.11.2009, pag. 30).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Demolizione e patteggiamento.
Non c’è dubbio che l’ordine di demolizione costituisca atto dovuto in quanto obbligatoriamente previsto, dalla normativa in vigore, in relazione alle opere abusivamente realizzate. Tale sanzione, pur formalmente giurisdizionale, ha natura sostanzialmente amministrativa di tipo ablatorio che il giudice deve disporre, non trattandosi di pena accessoria né di misura di sicurezza, anche nella sentenza applicativa di pena concordata tra le parti ex art. 444 c.p.p. a nulla rilevando che l’ordine medesimo non abbia formato oggetto dell’accordo intercorso tra le parti.
L’ordine di demolizione, infatti, essendo atto dovuto, non è suscettibile di valutazione discrezionale ed è sottratto, conseguentemente, alla disponibilità delle parti; di tale obbligatoria sanzione l’imputato, pertanto, deve tener conto nell’operare la scelta del patteggiamento.
Ne deriva che, anche in caso di patteggiamento, la manifestazione di volontà delle parti non può investire la misura amministrativa; pertanto così come non può essere ritenuto valido un accordo che preveda la esclusione della demolizione, ugualmente il mancato riferimento all’ordine di demolizione, nella richiesta e nell’accettazione del patteggiamento, non esime il giudice dal provvedere ai sensi dell’art. 7 L. 47/1985 (ora art. 31, comma 9, bPR 380/2001) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 30.10.2009 n. 41748 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: CAMPI ELETTROMAGNETICI.
1.- Telecomunicazioni - Radio e televisione - Impianto di teleradiodiffusione - L.R. n. 29/1993 - Ratio.
2.- Telecomunicazioni - Radio e televisione - Impianto di teleradiodiffusione - L.R. 29/1993 - Presupposto di applicazione - Esistenza di popolazione nella zona dove sorge l'impianto - In assenza - Applicazione normativa - Non sussiste.
1.- La "ratio" della normativa contenuta nella L.R. n. 29/1993 che stabilisce i valori massimi a cui la popolazione può essere esposta alle radiazioni di un campo elettrico va ravvisata nell'esigenza di tutelare la popolazione stessa dai potenziali rischi alla salute connessi con le fonti di radiazioni non ionizzanti. Ma se questo è lo scopo della predetta normativa va da sé che il presupposto per la sua applicazione è costituito dalla presenza della popolazione, specifico oggetto della tutela legislativa: talché in assenza di essa, e cioè nelle zone ove non esiste né popolazione stanziale, né di transito, la richiamata normativa è inapplicabile.
2.- Qualora la popolazione locale non sia minacciata dal superamento dei limiti massimi delle radiazioni, in quanto l'area interessata da tale fenomeno, sia completamente interdetta, non sussiste alcuna necessità di ridurre l'intensità del campo elettromagnetico degli impianti di radiodiffusione ivi collocati, ed è conseguentemente illegittimo il provvedimento con cui l'Amministrazione, riscontrato il mancato rispetto della riduzione di campo da parte di una emittente, ordini la disattivazione del relativo apparato radiante (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 30.10.2009 n. 2696 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Sequestro immobile ultimato.
In materia edilizia è legittimo disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivamente costruito la cui edificazione risulti già ultimata purché le conseguenze ulteriori rispetto alla consumazione del reato abbiano carattere antigiuridico e possano essere impedite per effetto dell’accertamento del reato e purché il pericolo presenti il requisito della concretezza.
Giustifica, quindi, il sequestro la circostanza che le caratteristiche e la consistenza delle nuove unità immobiliari ottenute, aventi una propria individualità funzionale, arrecano concreto pregiudizio all’assetto urbanistico del territorio perché strumentali a determinare un aggravio del carico urbanistico stante la sopravvenuta, continuativa fruizione dei nuovi locali da parte di stabili occupanti, peggiorativa della situazione preesistente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.10.2009 n. 41541 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo l'ordine di demolizione della tettoia in legno (m 7,5 x 4,70) realizzata senza permesso di costruire con un lato sul muro di cinta a delimitazione della proprietà e per l’altro lato sulla parete esterna del fabbricato in via Galilei n. 15.
La tettoia è chiaramente a servizio del fabbricato sulla cui parete esterna si appoggia e tenuto conto delle sue dimensioni e di questa sua specifica funzione e collocazione, non può considerarsi né opera di “ristrutturazione edilizia” ai sensi della lett. d) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, né di “nuova costruzione” ai sensi dei punto e.1 ed e.6. dello stesso art. 3, atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g..
La tettoia non può, quindi, essere ricondotta nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del d.P.R. n.380/2001 sottopone a preventivo permesso di costruire, ma, più correttamente, a quelli sottoposti a preventiva denuncia di inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma, non essendo ravvisabile, di contro, alcuna delle ipotesi che il precedente art. 6 considera attività edilizia libera.
La sanzione applicabile era, quindi, quella pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 e non la demolizione prevista dal precedente art. 33 (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 29.10.2009 n. 645 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il rispetto delle regole di gara da parte dei concorrenti, e ancor prima da parte del soggetto che le ha dettate, è un valore ex se, che prescinde dalla circostanza che le eventuali violazioni risultino, ex post, inoffensive.
Nell'ipotesi di "rivendita" conseguente a dismissioni dei beni del patrimonio di un ente (nella fattispecie: l'Azienda farmaceutica appartenente alla Fondazione Ordine Mauriziano), è illegittimo il provvedimento di aggiudicazione in favore del soggetto concorrente che abbia violato l'obbligo, a pena di inammissibilità, di formulare la propria offerta avvalendosi dell'apposito modello depositato presso il responsabile del procedimento.
La scelta di "salvare" un'offerta formulata in violazione di prescrizioni di bando a pena espressa di inammissibilità (ancorché più vantaggiosa) in base alla sostanziale "inoffensività" dell'omissione delle prescritte dichiarazioni integra, infatti, una contraddizione nella condotta della Fondazione, tenuta alla coerenza nella gestione della gara con le regole dalla medesima dettate, pena la violazione della par condicio dei concorrenti.
Il rispetto delle regole di gara da parte dei concorrenti, e ancor prima da parte del soggetto che le ha dettate, è un valore ex se, che prescinde dalla circostanza che le eventuali violazioni risultino, ex post, inoffensive (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 26.10.2009 n. 2333 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Decorrenza del termine per proporre ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di aggiudicazione nelle gare "a cottimo fiduciario".
Nell'ipotesi di gara in forma di "cottimo fiduciario", il termine di 60 gg. previsto dall'art. 21 L. 1034/1971 (Legge TAR) per impugnare il provvedimento amministrativo di aggiudicazione decorre dal giorno in cui si sia avuta piena conoscenza, oltre al dispositivo, anche della motivazione dell'atto.
Nella gara di "cottimo fiduciario, trattandosi di procedura finalizzata all'acquisizione di servizi a costi contenuti, il criterio di assegnazione riferito al prezzo d0offerta più basso deve ritenersi determinante ai fini dell'aggiudicazione stessa" (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 26.10.2009 n. 2331 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: DIVIETO DI VARIAZIONE SOGGETTIVA DEI RAGGRUPPAMENTI.
1. Associazione temporanea - Requisiti associati - Verifica da parte dell'amministrazione - Nel caso di variazione soggettiva dei raggruppamenti - Necessarietà.
2. Aggiudicazione - Verifica dei requisiti - Necessaria - Casi - Ratio dell'istituto.
3. Documentazione - Rispetto di requisiti minimi ed ulteriori - Si configura - Condizioni.

1. Il principio sotteso al divieto posto dall'art. 37, co. 9, del codice dei contratti, è quello di evitare che l'amministrazione aggiudicatrice concluda il contratto con operatori economici i quali non abbiano partecipato alla gara e nei confronti dei quali, in particolare, non sia stata effettuata la verifica del possesso dei requisiti di ordine generale e di ordine economico-finanziario. Il divieto di variazione soggettiva dei raggruppamenti non opera, conseguentemente, in tutte le ipotesi in cui l'amministrazione aggiudicatrice verifichi, prima dell'aggiudicazione o della stipulazione del contratto, la sussistenza dei requisiti nei confronti del nuovo soggetto che si aggiunga ai componenti originari del raggruppamento temporaneo o che ne sostituisca alcuno (Cfr. sul punto, in senso conforme, Cons. Stato, sez. VI, 06-04-2006 n. 1873; Cons. Stato, sez. V, 03-08-2006 n. 5081; Cons. Stato, sez. IV, 23-07-2007 n. 4101; Cons. Stato, sez. VI, 13-05-2009 n. 2964).
2. La necessità della verifica dei requisiti per l'aggiudicazione è particolarmente rilevante nel caso delle associazioni temporanee di imprese. Infatti, ove si tenga conto che si tratta di uno strumento giuridico che ha la finalità principale di consentire la partecipazione ai pubblici appalti avvalendosi della somma dei requisiti delle singole imprese associate (o associande), il recesso da parte di una di loro comporta naturalmente la necessità di verificare se le imprese rimanenti abbiano da sole i requisiti prescritti.
3. Le amministrazioni possono richiedere alle imprese requisiti di partecipazione ad una gara d'appalto più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché tali ulteriori prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e adeguatezza e siano giustificate da specifiche esigenze imposte dal peculiare oggetto dell'appalto (Cons. Stato, sez. V, 23-12-2008 n. 6534) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 24.10.2009 n. 1569 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Immissioni sonore - Ordinanza di abbattimento - Limite di tollerabilità - Superamento per un tempo di rilevazione modesto - Irrilevanza.
Ai fini dell’emissione di un’ordinanza di abbattimento delle immissioni sonore, è irrilevante la circostanza che il superamento del limite di tollerabilità sia stato riscontrato per un tempo di rilevazione modesto, rilevando il solo superamento del limite fissato dalla normativa (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 20.10.2009 n. 2617 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze - Pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - D.M. 02.04.1968, n. 1444, art. 9 - Strumenti urbanistici contrastanti con la norma - Giudice di merito - Disapplicazione.
Il D.M. 02.04.1968 n. 1444 -là dove all’art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti- è norma che impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici.
Da ciò deriva (cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. II 01.11.2004 n. 21899) che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata.
Distanza fra costruzioni - Regime della cd. “doppia tutela”.
In tema di distanza fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. “doppia tutela”. Questo vuol dire che il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata. (cfr., ex multis, Cass., SS.UU., 01.07.2002 n. 9555).
Consegue, quindi, da ciò che sussistono nel nostro ordinamento ipotesi di doppia tutela in relazione a possibili violazioni della disciplina vigente in materia di distacco delle costruzioni dai confini del fondo ovvero da altre costruzioni, a seconda che si agisca nei riguardi del confinante ovvero nei confronti dell'Amministrazione Comunale che ha rilasciato il titolo edilizio, ben potendo le azioni stesse coesistere e ben potendo il titolare dell'interesse qualificato alla legittimità dell'azione amministrativa ottenere, comunque, in sede di giurisdizione amministrativa l'annullamento ope iudicis del titolo edilizio reputato illegittimo anche a prescindere dalla sua eventuale disapplicazione da parte del giudice ordinario concomitantemente adito, a' sensi degli artt. 4 e 5 della L. 25.03.1965 n. 2248, all. E. (cfr. TAR Veneto Sez 2° 17.06.2005 n. 2504).
Distanze tra edifici - Proprietario frontista - Diritto al mantenimento di un fabbricato preesistente costruito a distanza inferiore a quella legale - Ulteriore diritto ad apportare modifiche o aggiunte - Esclusione.
L'eventuale diritto del proprietario frontista a mantenere un fabbricato preesistente sin dall'origine costruito ad una distanza inferiore a quella legale rispetto all'immobile limitrofo non conferisce al predetto l'ulteriore diritto di apportare al manufatto aggiunte e/o modifiche di qualsiasi natura nella parte che, in base alla normativa attualmente vigente, risulti a distanza inferiore a quella minima legale, atteso che dette aggiunte o modifiche costituirebbero un'ulteriore -e non consentita- violazione della normativa in materia di distanze. (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 26.08.2002, n. 12483) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.10.2009 n. 1742 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAQuanto meno in applicazione del d.m.. 13.06.1994 n. 495, l'amministrazione statale è obbligata a comunicare al privato l'avvio del procedimento di annullamento allo scopo di consentire all'interessato di avvalersi degli strumenti di partecipazione e di accesso, previsti dalla legge n. 241 del 1990.
La giurisprudenza della Sezione (n. 4546 del 2000) ha affermato che: “quanto meno in applicazione del d.m.. 13.06.1994 n. 495, l'amministrazione statale è obbligata a comunicare al privato l'avvio del procedimento di annullamento allo scopo di consentire all'interessato di avvalersi degli strumenti di partecipazione e di accesso, previsti dalla legge n. 241 del 1990" (cfr., Cons. Stato, VI, n. 2069/1999).
Con successiva decisione la Sezione ha anche rilevato che, in mancanza di un atto di comunicazione dell'avvio della nuova fase, il destinatario del provvedimento di autorizzazione non è neanche in grado di conoscere il preciso momento di perfezionamento o di integrazione dell'efficacia dell'atto autorizzatorio, decorrendo il termine di sessanta giorni solo dal momento in cui perviene all'amministrazione statale la documentazione completa (cfr. Cons. Stato, VI, n. 909/2000).
Nella stessa sentenza è stato affermato che non può non condividersi l'esigenza di assicurare al destinatario del provvedimento la possibilità di interloquire tempestivamente nella ulteriore fase di verifica ministeriale della legittimità dell'autorizzazione, evidenziando come l'apporto del privato possa essere particolarmente utile anche per la stessa amministrazione.
La giurisprudenza ha pure ammesso che tale comunicazione possa avvenire con strumenti alternativi, quale la contemporanea informazione all’interessato, da parte del Comune, dell’invio della pratica al Ministero per i beni culturali per il prosieguo della procedura (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.10.2009 n. 6281 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’esame delle domande di concessione edilizia è rigorosamente vincolato al rispetto delle prescrizioni vigenti; di talché non è ravvisabile alcun vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento nel comportamento dell’Amministrazione comunale che subordini il rilascio del titolo abilitativo al rispetto di tali disposizioni.
È pacifico in giurisprudenza che l’esame delle domande di concessione edilizia è rigorosamente vincolato al rispetto delle prescrizioni vigenti; di talché non è ravvisabile alcun vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento nel comportamento dell’Amministrazione comunale che subordini il rilascio del titolo abilitativo al rispetto di tali disposizioni: “In ordine al rilascio di una concessione edilizia non sono configurabili vizi di eccesso di potere, nelle forme della contraddittorietà e dell'ingiustizia manifesta, rispetto ad un atto di natura vincolata” (cfr. Consiglio Stato, Sez. V, 24.08.2007, n. 4507; nello stesso senso, TRGA Bolzano, 27.02.2006, n. 81 e 05.06.2009, n. 217).
Va aggiunto che il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento presuppone non solo un potere discrezionale dell’Amministrazione, ma anche il confronto tra situazioni assolutamente omogenee, posto che solo in tali ipotesi la diversità del metro valutativo può denotare l’irrazionalità della scelta compiuta (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 11.03.2008, n. 1049; Sez. IV, 22.06.2004, n. 4434; TRGA Bolzano, 10.04.2007, n. 134; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 16.07.2004, n. 6998).
In ogni caso, il comportamento, ove del caso illegittimo, tenuto dall’Amministrazione comunale in un identico caso precedente non porrebbe comunque i ricorrenti nella condizione di invocare validamente in loro favore lo stesso comportamento (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II, 17.11.2005, n. 11515 e TRGA Bolzano, 22.06.2006, n. 280 e 05.06.2009, n. 217) (TRGA Trentino Alto Adige, sentenza 13.10.2009 n. 339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso di annullamento del diniego di concessione edilizia, trova applicazione la normativa urbanistica vigente al momento della notificazione della sentenza, con la conseguenza che solo dopo tale notificazione ulteriori modificazioni dell’assetto normativo diventano irrilevanti.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nel caso di annullamento del diniego di concessione edilizia, trova applicazione la normativa urbanistica vigente al momento della notificazione della sentenza, con la conseguenza che solo dopo tale notificazione ulteriori modificazioni dell’assetto normativo diventano irrilevanti (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 13.12.1999, n. 2106 e 22.02.2002, n. 1079 e TRGA Bolzano 24.07.2002, n. 358).
Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, “allorché un provvedimento di diniego viene annullato per vizi che comunque, …(come nel caso di specie)… consentono il riesercizio del potere, se l’atto negativo viene reiterato, per ragioni diverse dal precedente, il sopravvenuto provvedimento negativo esclude, allo stato, la sussistenza di un danno risarcibile derivante dal primo provvedimento, salva la verifica degli estremi del danno in caso di annullamento giurisdizionale anche del secondo provvedimento” (cfr. Consiglio di Stato, Ad Plen. 03.12.2008, n. 13; id: Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.09.2002, n. 4435) (TRGA Trentino Alto Adige, sentenza 13.10.2009 n. 339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL’atto amministrativo fondato su più ordini di motivi deve considerarsi legittimo, se almeno uno di essi sia esente da vizi e sia idoneo a sostenere congruamente l’atto stesso.
L’atto amministrativo fondato su più ordini di motivi deve considerarsi legittimo, se almeno uno di essi sia esente da vizi e sia idoneo a sostenere congruamente l’atto stesso (c.d. “principio della ragione sufficiente” - cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 08.06.2007, n. 3020; Sez. IV, 10.12.2007, n. 6325; Sez. V, 28.12.2007, n. 6732 e TRGA Bolzano, 02.09.2008, n. 312; 08.11.2005, n. 372; 24.05.2005, n. 191, 28.09.2004, n. 417 e 15.02.2002, n. 82) (TRGA Trentino Alto Adige, sentenza 13.10.2009 n. 339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIRisulta necessario, ai fini dell'applicazione della (pesante) sanzione generale dell'esclusione nelle gare pubbliche, che il precedente penale rinvenuto sia inquadrabile, nell'ambito di un coerente apprezzamento della graduazione, in termini di <grave lesione> della moralità professionale.
La gravità del reato è, dunque, presupposto necessario per poter pronunziare la conseguente sanzione. Qualora invece il precedente penale (dichiarato o non) abbia un grado di lesività di tipo lieve o ordinario l'amministrazione, dopo averlo valutato nella sua sostanza, non può porlo a fondamento di una decisione di esclusione dalla partecipazione alla gara.

La questione controversa, che ha determinato l'esclusione dalla gara successivamente alla già disposta aggiudicazione provvisoria, si concentra sulla portata della dichiarazione concernente i “gravi reati che incidono sulla moralità professionale” prevista all'articolo 38 del Codice dei contratti pubblici.
L’art. 38 del D. Lgs. 163/2006, stabilisce, al punto c), che “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:…………..c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, <per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale>; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio.”
Il punto 2B del Bando, dopo aver riportato per esteso il testo della norma (art. 38) ha precisato, ulteriormente, che la dichiarazione deve contenere tutti i provvedimenti emessi a carico degli interessati, compresi quelli che non risultano nel certificato del casellario ordinario.
L’ing. .............. (direttore Tecnico della società ricorrente) ha compiuto la dichiarazione il 09.01.2009 in termini negativi, utilizzando, peraltro, il modello fornito dalla stessa Amministrazione, barrando le caselle A e B (cfr. doc. 2 del fascicolo Avvocatura comunale).
L'Amministrazione in sede di verifica ha riscontrato l'esistenza a suo carico di un decreto penale di condanna del 2000 per lire 350.000 di ammenda, per ritardo nella comunicazione di informazioni/documentazione all’ufficio del lavoro (contravvenzione contemplata all’art. 4 della L. 22.07.1961 n. 628).
Il Collegio ritiene che, a prescindere dalla circostanza che successivamente è stata dichiarata dal giudice dell’esecuzione di Oristano (il 02.04.2009) l’estinzione del reato ex art. 460 comma 5° c.p.p. (post 2 anni, in caso di contravvenzione), l’omessa dichiarazione, in sede di gara, non può rientrare nella fattispecie normativa in quanto essa, indubbiamente, non coinvolge un “grave reato” incidente la moralità professionale.
Risulta cioè necessario, ai fini dell'applicazione della (pesante) sanzione generale dell'esclusione nelle gare pubbliche, che il precedente penale rinvenuto (e nel ns. caso non dichiarato) sia inquadrabile, nell'ambito di un coerente apprezzamento della graduazione, in termini di <grave lesione> della moralità professionale. La gravità del reato è, dunque, presupposto necessario per poter pronunziare la conseguente sanzione. Qualora invece il precedente penale (dichiarato o non) abbia un grado di lesività di tipo lieve o ordinario l'amministrazione, dopo averlo valutato nella sua sostanza, non può porlo a fondamento di una decisione di esclusione dalla partecipazione alla gara.
La valutazione che l'amministrazione deve compiere deve avvenire nel merito, sia nel caso di dichiarato precedente che in caso di dichiarata assenza.
In sostanza, qualora il soggetto interessato abbia compiuto, come nel caso di specie, una dichiarazione negativa, l'amministrazione non può sostenere che la semplice omissione dell’ indicazione del precedente rappresenti una violazione della norma, trattandosi, in questo caso, semmai di mero falso innocuo. Semmai potrebbe aversi (teoricamente) una difforme valutazione nel giudizio di rilevanza, ma non una dichiarazione mendace.
Non può quindi condividersi una lettura puramente formalistica della disposizione sanzionatoria.
Ed in ogni caso va considerato che il soggetto dichiarante ha attestato l'insussistenza di “condanne per gravi reati in danno dello Stato o della comunità che incidono sulla moralità professionale” (e non l’inesistenza di precedenti in generale), elemento che si è rivelato corretto in considerazione della lievità del precedente penale in questione (decreto penale).
In particolare va evidenziato che l’Autorità di vigilanza lavori pubblici ritiene particolarmente complessa l’individuazione dei reati che sono considerati incidenti sull’affidabilità morale e professionale dell’imprenditore e delle modalità attraverso le quali può essere dimostrata la mancata ricorrenza della condizione in esame (cfr. determinazione 15.07.2003 n. 13). Sicuramente “influiscono sull’affidabilità morale e professionale del contraente i reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica ed il patrimonio, se relativi a fatti la cui natura e contenuto siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con le stazioni appaltanti per la loro inerenza alle specifiche obbligazioni dedotte in precedenti rapporti con le stesse. La mancanza, tuttavia, di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad. es. l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive” (così si è espressa l’Autorità con determinazione n. 56 del 13.12.2000). Tutti elementi, dunque, che debbono essere valutati dall’Amministrazione.
E la giurisprudenza, in questa precisa materia, ha espressamente affermato, in un caso del tutto analogo a quello oggi in esame, che “è illegittima la determinazione della P.A. di non convalidare l’aggiudicazione provvisoria disposta in favore dell’impresa, a causa della mancata dichiarazione, senza previo apprezzamento in ordine alla capacità di detta condanna di incidere sulla moralità professionale dell’impresa” (TAR Lazio, sez. II, n. 3984 del 20.04.2009).
Né si può sostenere che il bando abbia esteso l’ambito dell’obbligo di dichiarazione delle condanne (con la precisazione aggiunta al punto 2B) in quanto l’Amministrazione non può sostituirsi al legislatore ampliando le fattispecie e/o imponendo obblighi ulteriori, non funzionali all’analisi ed alla pronunzia di esclusione ben definita dall’art. 38 del Codice (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 09.10.2009 n. 1525 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Reato di lottizzazione abusiva - Confisca - Presupposti essenziali ed indefettibili - Art. 44, 2° c. T.U. n. 380/2001 (precedentemente art. 19 L. n. 47/1985).
Per disporre la confisca prevista dall'art. 44, 2° comma del T.U. n. 380/2001 (e precedentemente dall'art. 19 della legge n. 47/1985), il soggetto proprietario della res non deve essere necessariamente "condannato", in quanto data sanzione ben può essere disposta allorquando sia stata comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (soggettivo ed oggettivo) anche se per una causa diversa, quale e, ad esempio, l'intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna del suo autore ed alla inflizione della pena.
Pertanto, presupposto essenziale ed indefettibile, per l'applicazione della confisca, è (secondo I'interpretazione giurisprudenziale costante) che sia stata accertata l'effettiva esistenza di una lottizzazione abusiva.
Inoltre, ulteriore condizione, che si riconnette alle recenti decisioni della Corte di Strasburgo, investe l'elemento soggettivo del reato ed è quella del necessario riscontro quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere (Cass. Sez. III, 20.05.2009, n. 21188, Casasanta ed altri; Cass. Sez. III, 29.04.2009, n. 17865, Quarta ed altri; Cass. Sez. III, 02.10.2008, n. 37472, Belloi ed altri).
Lottizzazione abusiva - Frazionamento fondiario - Terreni lottizzati o rientranti nel generale progetto lottizzatorio - Confisca - Criteri per applicare la misura.
La misura della confisca, va estesa ai soli "terreni lottizzati" ovvero "rientranti nel generale progetto lottizzatorio", da identificarsi in quelli che risultino oggetto di un'operazione di frazionamento preordinata ad agevolarne l'utilizzazione a scopo edilizio. Ove esista, pertanto, un preventivo frazionamento, va confiscata tutta l'area interessata da tale frazionamento nonché dalla previsione delle relative infrastrutture ed opere urbanizzative, indipendentemente dall'attività di edificazione posta concretamente in essere.
Nell'ipotesi, invece, in cui non sia stato predisposto un frazionamento fondiario e tuttavia si sia conferito, di fatto, un diverso assetto ad una porzione di territorio comunale, la confisca va limitata a quella porzione territoriale effettivamente interessata dalla vendita di lotti separati, dalla edificazione e dalla realizzazione di infrastrutture (Cass., Sez. III, 02.10.2008, n. 37472, Belloi ed altri).
Reati urbanistici e misure di cautela reale.
In materia di reati urbanistici, la persistente disponibilità del bene comporta perduranti effetti lesivi dell'equilibrio urbanistico ed ambientale e non costituisce "un elemento neutro sotto il profilo dell'offensività" (Cass. Sez. Unite con la sentenza n. 12878/2003).
Reato di lottizzazione abusiva - Configurabilità - Pluralità di soggetti - Accordo preventivo - Ininfluenza.
Il reato di lottizzazione abusiva secondo concorde interpretazione giurisprudenziale - nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purché ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo.
Lottizzazione abusiva negoziale - Carattere plurisoggettivo e nesso causale.
La lottizzazione abusiva negoziale -in particolare- ha carattere generalmente plurisoggettivo, poiché in essa normalmente confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria caratterizzata dal nesso causale che lega i comportamenti dei vari partecipi diretti a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale.
Reato di lottizzazione abusiva - Condotta dell'acquirente - Acquisto del sub-acquirente - Configurabilità - Art. 2. Cost. - Artt. 5 e 42, 4° c., cod. pen..
La condotta dell'acquirente, non configura un evento imprevisto ed imprevedibile per il venditore, perché anzi inserisce un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di quegli (Cass., Sez. Unite, 27.03.1992, n. 4708, ric. Fogliani) e, per la cooperazione dell'acquirente nel reato, non sono necessari un previo concerto o un'azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 della Costituzione (sul punto, si vedano le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364/1988, ove viene evidenziato che la Costituzione richiede dai singoli soggetti la massima costante tensione ai fini del rispetto degli interessi dell'altrui persona umana ed è per la violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la stessa Costituzione chiama a rispondere penalmente anche chi lede tali interessi non conoscendone positivamente la tutela giuridica).
L'acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo estraneo" al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell'adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza - di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell' intervento -o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza- la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio. Le posizioni, dunque, sono separabili se risulti provata la malafede dei venditori, che, traendo in inganno gli acquirenti, li convincono della legittimità delle operazioni (Cass., Sez. III, 22.05.1990, Oranges e 26.01.1998, Cusimano).
Neppure l'acquisto del sub-acquirente può essere considerato legittimo con valutazione aprioristica limitata alla sussistenza di detta sola qualità, allorché si consideri che l'utilizzazione delle modalità dell'acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di lottizzazione negoziale [vedi Cass., Sez. III, 08.11.2000, Petracchi].
Infine deve ribadirsi, che non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42, 4° comma, cod. pen., dovendo ovviamente valutarsi i casi di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 cod. pen. secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte Costituzionale.
Il venditore, non può predisporre l'alienazione degli immobili in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono essere cauti e diligenti nell'acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona: "Il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale illecita del venditore" (Cass., Sez. I11, 26.6.2008, Belloi ed altri).
Lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio - Attività materiale - Attività giuridica - Lottizzazione cd. "negoziale" o "cartolare" - Cd. lottizzazione materiale e negoziale - c.d. Lottizzazione abusiva mista - Configurabilità del reato - Art. 30, 1° c.. del T.U. n. 380/2001.
A norma dell'art. 30, 1° comma. del T.U. n. 380/2001, si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio: quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali, o senza la prescritta autorizzazione [attività materiale]; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio [attività giuridica].
Questo secondo tipo di lottizzazione viene denominato "negoziale" o "cartolare" e si fonda sulla presenza di elementi indiziari, da cui risulti, in modo non equivoco, la destinazione a scopo edificatorio del terreno. Tali elementi indiziari (descritti con elencazione normativa non tassativa) non devono essere presenti tutti in concorso fra di loro, in quanto è sufficiente anche la presenza di uno solo di essi, rilevante ed idoneo a fare configurare, con margini di plausibile veridicità, la volontà di procedere a lottizzazione (Consiglio di Stato, Sez. V, 14.05.2004, n. 3136).
I due tipi di attività illecite dianzi descritti (lottizzazione materiale e negoziale) possono essere espletati, ad evidenza, anche congiuntamente (c.d. lottizzazione abusiva mista), in un intreccio di atti materiali e giuridici comunque finalizzati a realizzare una trasformazione urbanistica e/o edilizia dei terreni non autorizzata oppure in violazione della pianificazione vigente.
Reato di lottizzazione abusiva - Casi di configurabilità - Incidenza del nuovo insediamento e destinazione programmata del territorio.
Può configurarsi il reato di lottizzazione abusiva in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione di un piano esecutivo e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione, ma anche allorquando, detto intervento non potrebbe in nessun caso essere realizzato poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con la destinazione programmata del territorio comunale.
Nei casi in cui si agisca sul territorio con un'attività finalizzata ed idonea a snaturarne la programmazione deve ritenersi inconferente ogni riferimento all'incidenza del nuovo insediamento sullo stato di urbanizzazione esistente.
Confisca - Funzione e applicazione - Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo - Art. 44, 2° c. T.U. sull'edilizia n. 380/2001.
La confisca già prevista dall'art. 19 della legge n. 47/1955 ed attualmente collocata tra le "sanzioni penali" dall'art. 44, 2° comma del T.U. sull'edilizia n. 380/2001: "non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma mira nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla Legge".
Quindi, una "pena" ai sensi dell'art. 7 della Convenzione e la irrogazione di tale "pena" senza che sia stata stabilita l'esistenza di dolo o colpa dei destinatari di essa, costituisce infrazione dello stesso art. 7, una corretta interpretazione del quale "esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato" (Corte europea dei diritti dell'uomo, 30.08.2007 ed il 20.01.2009, ricorso n. 75909/2001 proposto contro l'Italia dalla s.r.l. "Sud Fondi" ed altri).
Sequestro preventivo - Oggetto del sequestro - Art. 321 c.p.p..
Oggetto del sequestro preventivo di cui al primo comma dell'art. 321 c.p.p. può essere qualsiasi bene a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (Cass.: n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 1246/2003, n. 29797/2001, n. 4496/1999, n. 1565/1997, n. 156/1993, n. 2296/1992) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39078 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: PRG - Natura di atto complesso - Interpretazione unilaterale - Esclusione.
Il PRG essendo un atto complesso comporta che, dal momento dell'approvazione regionale, non è più possibile una interpretazione unilaterale da parte del Comune o della Regione ma essa va effettuata d'intesa tra le due autorità.
Pianificazione generale - Zona agricola - Funzione.
Ai sensi del T.U. n. 380/2001, la destinazione a zona agricola di un'area, costituisce espressione del potere conformativo del diritto di proprietà e non determina disparità di trattamento, in quanto la valutazione sulla possibilità di edificazione non si ricollega ad una distinzione tra cittadini, ma solo alla particolare destinazione dei beni.
Pianificazione urbanistica - Individuazione delle zone agricole - Funzione - Fattispecie.
L’individuazione delle zone agricole nell'ambito del contesto pianificatorio svolge anche una funzione ambientale, considerando che la loro individuazione può essere utilizzata pure a salvaguardia del paesaggio e dell'ambiente "e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga utilizzata per colture tipiche o sia già in possesso di tutte le caratteristiche previste dalla legge per tale utilizzazione" (Consiglio di Stato, Sez. IV: 14.10.2005, n. 5713; 31.01.2005, n. 259; 22.06.2004, n. 4466; 10.12.2003, n. 8146).
Nella specie, diventa superflua, conseguentemente, ogni discettazione circa la delimitazione interpretativa della categoria degli "addetti all'agricoltura", a fronte di una situazione di fatto che oggettivamente vanifica la valenza conservativa dei valori naturalistici attribuita alla zona agricola (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39078 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Rilascio - Disponibilità qualificata con l'immobile - Presupposto indefettibile.
Presupposto indefettibile del rilascio della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) a che il destinatario del provvedimento amministrativo abbia titolo, in base alla legge, alla trasformazione urbanistica dell'area: si trovi, cioè, in un rapporto di disponibilità qualificata con l'immobile, da intendersi quale titolarità di una posizione soggettiva che civilisticamente costituisca titolo per esercitare un'attività costruttiva sul fondo.
Titolo concessorio - Permesso di costruire trasferito "insieme all'immobile" - Rapporto tra area disponibile e indice di fabbricabilità fondiario - Art. 4 L. n. 10/1977 oggi art. 11 D.P.R. n. 380/2001.
Il titolo concessorio può essere trasferito "insieme all'immobile" e dunque soltanto a quei soggetti che avrebbero titolo anche a richiederlo autonomamente, versando, nei confronti dell'immobile o del suo proprietario, in una delle condizioni già previste dall'art. 4 della legge n. 10/1977 ed oggi dall'art. 11 del D.P.R. n. 380/2001.
Parametro cardine di riferimento per la richiesta del permesso di costruire (già concessione edilizia) è il rapporto tra area disponibile e volume sulla stessa edificabile e si correla all'indice di fabbricabilità fondiario, che definisce il rapporto massimo consentito tra metri cubi edificabili e metri quadrati dell'area o lotto su cui va ad insistere la costruzione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39078 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ambiente in genere. V.i.a. e termini di durata della procedura.
I termini di durata della procedura di Via non possono essere considerati perentori: essi infatti non sono assistiti da alcuna espressa decadenza, né sono previste conseguenze giuridicamente significative o sanzioni per la loro decorrenza.
Essi, invece, hanno carattere sollecitatorio rispetto alla definizione dell’iter procedimentale, rispondono all’interesse primario di contenere in tempi ragionevoli e giustificati le varie fasi delle procedure autorizzative e, perciò, non possono che essere stabiliti a favore del solo proponente (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 06.10.2009 n. 1755 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Natura dell'ordinanza di rimozione.
Il potere di ordinanza previsto dall'art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 (ed in precedenza dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997) ha un diverso fondamento rispetto alle ordinanze disciplinate dall'art. 54 del T.U.E.L..
Il citato art. 192 prefigura un'ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio, di cui è riprova il fatto che per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido, è necessaria l'imputazione agli stessi a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge.
Tale interpretazione acquista ulteriore rilievo se si considera che sia il D.P.R. n. 915/1982 sia il D.Lgs. n. 22/1997, sia, infine, il D.Lgs. n. 152/2006, hanno espressamente attribuito al Sindaco la titolarità del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di rifiuti, rispettivamente agli art. 12, 13 e 191 (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 29.09.2009 n. 2454 - link a www.lexambiente.it).

AGGIORNAMENTO AL 02.11.2009

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GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: D.Lgs. 09.04.2008, n. 81: testo coordinato con il D.Lgs. 03.08.2009 n. 106.

PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 31.10.2009 n. 254, suppl. ord. n. 197/L, "Attuazione della legge 04.03.2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni" (D.Lgs. 27.10.2009 n. 150).

ENTI LOCALI: G.U. 03.10.2009 n. 230 "Testo del decreto-legge 03.08.2009, n. 103 coordinato con la legge di conversione 03.10.2009, n. 141 recante «Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009»".

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 6° suppl. straord. al n. 43 del 30.10.2009, "Nuovi canoni regionali di polizia idraulica in applicazione dell'art. 6, comma 5, della l.r. 10/2009" (deliberazione G.R. 28.10.2009 n. 10402 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 43 del 30.10.2009, "Testo coordinato della l.r. 28.02.2005, n. 9 «Nuova disciplina del servizio volontario di vigilanza ecologica» modificata e integrata dalla l.r. 06.05.2008, n. 14" (testo coordinato della L.R. 28.02.2005 n. 9 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 43 del 26.10.2009, "Disciplina del consiglio delle autonomie locali della Lombardia, ai sensi dell'art. 54 dello Statuto d'autonomia" (L.R. 23.10.2009 n. 22 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, La Legge Regionale lombarda n. 13/2009 per il rilancio dell’edilizia (prima parte) (AL n. 10/2009).

EDILIZIA PRIVATA: M. Brignoli e V. Gaglio, Normative sui parchi tematici (AL n. 10/2009).

EDILIZIA PRIVATA: G. Dall’O’ e F. Arecco, Le Linee Guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici (link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: A. Pierobon, FRAMMENTAZIONE GESTIONALE, ISTITUZIONE DEGLI A.T.O., NUOVE COMPETENZE, AFFIDAMENTO DI SERVIZI E L’IN HOUSE IN UNA RECENTE DELIBERAZIONE DELL’AUTORITA’ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Frattini, ILLECITI EDILIZI ED AMBIENTALI (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L. Marini, INSICUREZZA URBANA E DISTURBO ALLA QUIETE DERIVANTE DA ESERCIZI PUBBLICI: RIMEDI AMMINISTRATIVI E ASPETTI OPERATIVI DI CONTRASTO (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: C. Angelillis, Condoni e lottizzazioni abusive (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Alborino, La disciplina dei veicoli abbandonati e dei veicoli fuori uso (link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI: R. Amoroso, Opposizione a sanzioni amministrative (link a www.diritto.it).

ENTI LOCALI - VARI: E. Rovere, MULTE e RICORSI NEL CODICE STRADALE (link a www.diritto.it)

NEWS

CONSIGLIERI COMUNALI: Protocollo senza segreti. Le istanze devono essere precise per non intralciare l'attività degli uffici. I consiglieri comunali hanno diritto d'accesso.
Può un consigliere comunale visionare il protocollo del comune?
In proposito occorre evidenziare che la giurisprudenza amministrativa si è ormai consolidata nel senso dell'accessibilità dei consiglieri comunali a tutti i documenti amministrativi, in virtù del munus agli stessi affidato.
E' stato, infatti, più volte affermato che «il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze amministrative dell'organo collegiale ma, essendo riferito all'espletamento del mandato, riguarda l'esercizio del munus di cui egli è investito in tutte le sue potenziali implicazioni al fine di una compiuta valutazione della correttezza e dell'efficacia dell'operato dell'amministrazione comunale».
Il consiglio di stato nella sentenza n. 4471/2005 utilizza l'espressione «diritto soggettivo pubblico funzionalizzato» per individuare la situazione giuridica riconosciuta ai consiglieri comunali, vale a dire un diritto che «implica l'esercizio di facoltà finalizzate al pieno e effettivo svolgimento delle funzioni assegnate direttamente al Consiglio comunale». Pertanto «ogni limitazione all'esercizio del diritto sancito dall'art. 43 del dlgs 18.08.2000, n. 267 interferisce inevitabilmente con la potestà istituzionale del consiglio comunale di sindacare la gestione dell'ente, onde assicurarne, in uno con la trasparenza e la piena democraticità, anche il buon andamento».
È importante, altresì, sottolineare come la medesima giurisprudenza amministrativa (Cons. stato, sent. n. 4855/2006) ha rilevato la profonda differenza tra l'accesso dei soggetti interessati di cui alla legge n. 241/1990 e l'accesso di cui all'articolo 43 citato: il primo è un istituto che consente ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti, al fine di poter predisporre la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, mentre il secondo è un istituto giuridico finalizzato a consentire al consigliere comunale di esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali decisionali del comune.
«Da ciò la conseguenza, che è una conseguenza necessitata, che al consigliere comunale non può essere opposto alcun diniego, determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è quella di verificare che il sindaco e la giunta municipale esercitino correttamente la loro funzione». Pertanto, alla luce sia di quanto previsto dall'art. 43 del menzionato dlgs 267/2000 sia della citata e consolidata giurisprudenza devono ritenersi fondate le richieste, come quella in esame, prodotte dal consigliere comunale.
Per quanto concerne, in particolare, quella di prendere visione del protocollo generale e di quello riservato del sindaco, si segnalano le pronunce giurisprudenziali le quali, con orientamento conforme, hanno accolto i relativi ricorsi avverso il diniego opposto dall'amministrazione.
I giudici del Tar Sardegna, con sentenza n. 29/2007, hanno affermato che è consentito prendere visione del protocollo generale senza alcuna esclusione «di oggetti e notizie riservate e di materie coperte da segreto», posto che i consiglieri comunali sono comunque tenuti al segreto ai sensi del più volte citato articolo 43.
In ordine alle modalità di esercizio del diritto in esame, lo stesso Consiglio di stato, tuttavia, ha riconosciuto la necessità di contemperare l'esigenza dei consiglieri ad espletare il proprio mandato con quella dell'amministrazione al regolare svolgimento della propria attività, dettando precise indicazioni in merito all'esercizio del diritto.
In particolare, è stata segnalata la necessità che la formulazione di richieste da parte dei consiglieri sia il più possibile precisa, riportando l'indicazione degli oggetti di interesse ed evitando adempimenti gravosi o intralci all'attività ed al regolare funzionamento degli uffici. Il Supremo consesso ha, infatti, costantemente richiamato l'attenzione sulla necessità che le istanze di accesso agli atti non siano «generiche ed indeterminate ma tali da consentire una sia pur minima identificazione dei supporti documentali che si intende consultare» non essendo configurabile il diritto di accesso del consigliere come generalizzato ed indiscriminato ad ottenere qualsiasi tipo di atto dall'ente.
La commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, ha più volte precisato che, per non impedire od ostacolare lo svolgimento dell'azione amministrativa, fermo restando che il diritto di accesso non può essere garantito nell'immediatezza in tutti i casi, o con mezzi estranei all'organizzazione attuale dell'ente, "rientrerà nelle facoltà del responsabile del procedimento dilazionare opportunamente nel tempo il rilascio delle copie richieste, al fine di contemperare tale adempimento straordinario con l'esigenza di assicurare l'adempimento dell'attività ordinaria, il consigliere avrà facoltà di prendere visione, nel frattempo, di quanto richiesto negli orari stabiliti presso gli uffici comunali competenti".
Si auspica che l'ente adotti sollecitamente norme regolamentari che tengano conto del riferito orientamento giurisprudenziale (articolo ItaliaOggi del 30.10.2009, pag. 39).

VARI: Efficienza energetica degli impianti di riscaldamento: dal Ministero dello Sviluppo Economico le istruzioni per il cittadino.
La scelta attenta degli impianti di riscaldamento delle abitazioni, in particolare della caldaia, e il loro mantenimento in efficienza assicura, nel corso degli anni, costi di gestione e bollette energetiche più bassi, minori consumi e inquinamento, regolarità di funzionamento e maggiore sicurezza per le nostre case.
La normativa in materia di efficienza energetica degli edifici definisce un sistema di regole finalizzate ad assicurare le migliori prestazioni energetiche degli impianti termici e richiama i principali riferimenti per garantirne la sicurezza e la funzionalità nel tempo.
Per supportare i semplici cittadini nel mantenere l'efficienza della caldaia, il Ministero dello Sviluppo Economico ha realizzato un breve vademecum dal titolo: "EFFICIENZA ENERGETICA DEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO: ISTRUZIONI PER IL CITTADINO".
Nel documento il ministero afferma che, per assicurare il miglior esercizio, i cittadini devono provvedere a far eseguire i controlli per l'efficienza energetica sui loro impianti di riscaldamento secondo le scadenze temporali riportate in un'apposita tabella.
Le tempistiche indicate sono quelle minime obbligatorie; le Amministrazioni regionali, infatti, in relazione a loro valutazioni e specificità territoriali, possono renderle più stringenti (link a www.acca.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU' VANTAGGIOSA: CRITERI PER L'AGGIUDICAZIONE DELLA GARA PUBBLICA.
1.- Aggiudicazione - Offerta economicamente più vantaggiosa - Rispetto dei criteri fissati dal bando - Assenza - Soluzioni alternative.
2.- Aggiudicazione - Offerta economicamente più vantaggiosa - Motivazione - Valutazione numerica - Inammissibilità.
3.- Impugnativa della procedura per l'aggiudicazione - Impresa facente parte del raggruppamento - Legittimazione ad agire - Sussiste.

1.- In sede di attribuzione dei punteggi in una gara da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, caratterizzata da ampia discrezionalità tecnica, la commissione di gara è tenuta al rispetto dei criteri fissati dal bando di gara, ma ove questo non disciplini, in modo puntuale, l'attribuzione dei punteggi ai concorrenti, in base al principio di trasparenza al quale l'intera attività amministrativa deve conformarsi, essa è tenuta a prefissare oggettivi criteri di massima, così autolimitando il proprio potere di apprezzamento, oppure a chiarire con idonea motivazione le ragioni dell'attribuzione di ciascun punteggio entro i limiti previsti; ciò, se non attraverso diffuse esternazioni, quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio in relazione all'apprezzamento sinteticamente espresso con l'indicazione numerica.
2.- La mera valutazione numerica non può rappresentare una motivazione sufficiente, in quanto inidonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico-giuridico mediante cui l'amministrazione si è determinata ad adottare un atto, al fine di controllare il corretto esercizio del potere, onde poter far valere, eventualmente, le proprie ragioni.
3.- Nel caso di impugnativa di una procedura per l'aggiudicazione di un appalto con la p.a. sussiste la legittimazione attiva dell'impresa singola facente parte di un raggruppamento temporaneo di imprese sia che quest'ultimo si sia già costituito al momento della presentazione dell'offerta, sia che debba costituirsi all'esito dell'aggiudicazione, atteso che il conferimento del mandato speciale all'impresa capogruppo non preclude la facoltà delle singole imprese di agire singulatim, mancando un'espressa previsione in tal senso nella normativa sia comunitaria che nazionale (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.10.2009 n. 4878 - link a
http://mondolegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO - Disciplina degli scarichi - Principi generali - Artt. 101 e 108 d.lgs. n. 152/2006 - Rispetto dei limiti tabellari - Conseguimento - Divieto di diluizione.
Dalla lettura in combinato disposto dell’art. 101 e dell’art. 108 del d.lgs. n. 152/2006, anche a seguito della modifica di cui al d.lgs. n. 4/2008, si evince che la disciplina in materia di tutela delle acque dall’inquinamento annovera, tra i criteri generali della disciplina degli scarichi, il principio che prevede che il rispetto dei limiti tabellari di scarico non deve essere conseguito mediante la diluizione, sia che essa avvenga con acque prelevate esclusivamente per questo scopo, sia che avvenga con acque di raffreddamento e di lavaggio (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 20.10.2009 n. 2624 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti. Ordinanza di rimozione.
1.
L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 25.08.2008, n. 4061).
2. È legittima l’ordinanza di rimozione dei rifiuti di cui all’art 192 del D.lgs. n. 152/2006, qualora il provvedimento riproduca testualmente ampi stralci della relazione tecnica pervenuta all’Amministrazione comunale, da cui risulta un “forte, concreto e immediato rischio di propagazione degli inquinanti nell’ambiente circostante, sia tramite perdite liquide che in forma areale, con grave pericolo per la salute pubblica e l’ambiente”, in ragione del cattivo stato di conservazione dei contenitori dei rifiuti con conseguente rischio di sviluppo di reazioni chimiche tra rifiuti differenti e di emissioni tossiche in atmosfera.
Risultano, pertanto, senz’altro sussistenti quelle situazioni di carattere eccezionale e impreviste costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità richieste dall’art. 54 del D.lgs. n. 267/2000 per l’esercizio del potere di urgenza da parte del Sindaco, e in tale contesto il carattere eccezionale ed imprevedibile della minaccia non può dirsi insussistente perché l’abbandono dei rifiuti nel sito costituiva una situazione temporalmente preesistente.
Inoltre, il ritardo ulteriore nell’agire da parte del Sindaco, rispetto alle circostanze emerse per la prima volta nella relazione tecnica, avrebbe comportato un sicuro aggravamento della situazione (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 20.10.2009 n. 2623 - link a www.
lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati.
1.
La conferenza dei servizi costituisce un modulo organizzativo, volto all’acquisizione dell’avviso di tutte le amministrazioni preposte alla cura dei diversi interessi rilevanti, finalizzato all’accelerazione dei tempi procedurali, mediante un esame contestuale di tutti gli interessi pubblici coinvolti. Essa non si identifica con un nuovo organo separato dai singoli partecipanti, per cui l’avviso espresso in conferenza dei servizi dai rappresentanti delle varie amministrazioni partecipanti rimane sempre imputabile alle stesse.
Ciò non implica, tuttavia, che gli atti posti in essere in sede di conferenza e quelli precedenti e, in particolare, quelli con i quali sia espresso l’avviso delle singole amministrazione, siano idonei a ledere in modo diretto ed immediato la sfera del cittadino inciso dal provvedimento emanato a seguito della conferenza di servizio. L’esito della conferenza dei servizi costituisce, infatti, il necessario atto di impulso di un’autonoma fase, volta all’emanazione di un nuovo provvedimento dell’amministrazione che ha indetto la conferenza dei servizi (Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.05.2004 n. 2874).
È solo quest’ultimo atto che è direttamente ed immediatamente lesivo ed è contro di esso, pertanto, che deve dirigersi l’impugnazione, in quanto gli altri atti o hanno carattere meramente endoprocedimentale ovvero non risultano impugnabili, se non unitamente al provvedimento conclusivo, in quanto non immediatamente lesivi (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 17.05.2002, n. 2696).
2. Il potere del Sindaco di adottare provvedimenti contingibili e urgenti non può mai trasmodare in una violazione del principio di legalità e va ancorato ad una serie di principi che devono guidarne l’utilizzo, quali appunto la necessità e l’urgenza, la durata limitata nel tempo, la motivazione, ovvero la insussistenza di altri poteri per risolvere la questione: in sostanza, esso presuppone un’oggettiva situazione di effettivo e concreto pericolo per l’incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva (ex plurimis: Cons. St., Ad. Plen., 30.07.2007, n. 10; Sez. V, 28.05.2007, n. 2109; Sez. II, 24.10.2007, n. 2210; che precisa, proprio che tali provvedimenti sono consentiti anche quando vi è una apposita disciplina che regoli in via ordinaria determinate situazioni, laddove la necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza alla tutela del bene risulti tanto urgente da non consentirne il tempestivo utilizzo).
3. Il potere di ordinanza previsto dall’art. 14 del D.L.gvo 05.02.1997 n. 22 (ed in precedenza dall’art. 9, D.P.R. n. 915 del 1982), oggi riprodotto dall’ art. 192 del D.Lgvo. 03.04.2006 n.152, ha un diverso fondamento rispetto alle ordinanze disciplinate dall’art. 54 t.u. enti locali. Ed invero, mentre, il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti deve essere atipico e residuale e, cioè, esercitabile, sussistendone i presupposti, tutte le volte in cui non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici, in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore, viceversa, l’art. 14, comma 3, del D.L.gvo n. 22 del 1997 e poi l’art. 192 del D.L.gvo n. 152 del 2006 configurano una specifica normativa con la previsione d’un ordinario potere d’intervento, attribuito all’autorità amministrativa, a carattere sanzionatorio: tanto è vero che, per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido, prevede in capo agli stessi l’imputazione a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge.
4. Pur essendo l’ordinanza ex art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006 astrattamente suscettibile di poter rientrare nella sfera di competenza del responsabile dell’area tecnica, ai sensi dell’art. 107, comma 5°, del D.L.gvo 18.08.2000 n. 267 («l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti...»), essa viene attribuita al Sindaco dall’insuperabile dato testuale dell’art. 192, comma 3°, del D. Lgs. n. 152 del 2006, secondo periodo, il quale prevede che <<Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate>>, in coerente applicazione del canone ermeneutico “lex posterior specialis derogat anteriori generali” nonché ai sensi dello stesso art. 107, comma 4°, del t.u. enti locali, il quale consente che <<Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, comma 4°, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative>>.
5. È illegittima l’ordinanza contingibile e urgente con la quale il Sindaco ha ingiunto all’Agenzia del Demanio di provvedere allo smaltimento dei rifiuti ed alla bonifica di un sito inquinato ove il Corpo di polizia provinciale aveva accertato la presenza di rifiuti speciali e pericolosi abbandonati, nel caso in cui non sia stata né accertata, né tantomeno dimostrata dall’ente civico la sussistenza dell’elemento psicologico (ossia almeno la colpa), che avrebbe dovuto sorreggere la condotta omissiva imputabile all’Amministrazione del Demanio, quale condizione necessaria per la legittimità del provvedimento impugnato, essendosi l’Amministrazione Comunale unicamente limitata a rilevare l’appartenenza del bene interessato alla Agenzia Demaniale e, per ciò soltanto, ordinandole di bonificare il fondo (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza  20.10.2009 n. 1118 - link a www.
lexambiente.it).

ENTI LOCALI: Illegittima la nomina del difensore civico senza la previa valutazione dei curricula dei candidati.
E' illegittima la delibera del consiglio comunale che nomina il difensore civico, la quale non sia stata preceduta dalla valutazione dei curricula di ciascuno dei candidati, così come previsto dalla normativa di riferimento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.10.2009 n. 6394 - link a www.eius.it).

APPALTI: DURC: negli appalti pubblici ha validità trimestrale.
Il TAR Puglia, Lecce, chiarisce che il DURC, nelle procedure di gara per appalti pubblici, ha validità trimestrale e può essere presentato anche in forma di autocertificazione ai fini della partecipazione della gara essendo previsto, in originale, per l’aggiudicazione.
A parere del Collegio, infatti, la clausola del disciplinare che richiede, espressamente e a pena di esclusione, ai fini della partecipazione alla gara esclusivamente la produzione dell’originale o copia conforme del DURC, peraltro non antecedente al mese dalla data della gara, è illegittima in quanto:
- in modo ingiustificatamente restrittivo, non prevede la possibilità di produrre il DURC anche successivamente alla presentazione della domanda, a fronte dell’obbligo di presentare la certificazione contributiva sancito dal legislatore solo a carico dell’aggiudicatario;
- esclusivamente per la fruizione delle agevolazioni normative e contributive il DURC ha validità mensile e nel solo settore degli appalti privati lo stesso ha una validità trimestrale.
Nulla è detto con riferimento alla validità generale nel settore degli appalti pubblici per cui, nella lacuna, trova applicazione l’art. 39-septies del decreto legge 30.12.2005, n. 273, convertito dalla legge 23.02.2006, n. 51 il quale dispone: "1. Il documento unico di regolarità contributiva di cui all' articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14.08.1996, n. 494 ha validità di tre mesi" (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 16.10.2009 n. 2304 - link a www.gruppodelfino.it).

APPALTI: Sui soggetti tenuti a rendere la dichiarazione di cui all'art. 38, c. 1, lett. b), del D. L.vo n. 163/2006.
Un reato di lieve entità è oggettivamente inidoneo ad incidere sul giudizio di affidabilità morale e professionale del concorrente.

- L'art. 38, c. 1, lett. b), del D. L.vo n. 163/2006, con riferimento alla società per azioni, individua i soggetti tenuti a rilasciare la prescritta dichiarazione negli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o nel direttore tecnico.
Nonostante la specifica previsione normativa, parte della giurisprudenza, ispirata dalla ratio sottesa alla norma "di verificare la affidabilità complessivamente considerata dell'operatore economico che andrà a stipulare il contratto di appalto con la stazione appaltante" individuando coloro che effettivamente "sono in grado di manifestare all'esterno al volontà dell'azienda", ha ampliato l'ambito di applicazione della disposizione includendo nel novero dei necessari dichiaranti anche soggetti che, pur non ricoprendo le specifiche cariche indicate, siano, tuttavia, titolari di ampi poteri decisionali tali da consentire di determinare gli indirizzi di gestione dell'impresa.
Secondo il richiamato orientamento occorrerebbe "avere riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto, più che alle qualifiche formali, altrimenti la ratio legis potrebbe venire agevolmente elusa e dunque vanificata".
L'elemento formale dell'investitura nella carica sociale dovrebbe, quindi, essere integrato da un'analisi nel concreto dei poteri effettivamente conferiti al fine di individuare, e sottoporre ai prescritti oneri dichiarativi, anche i soggetti che, indipendentemente dalla carica ricoperta, risultino essere titolari di poteri decisionali al pari di un amministratore o di un direttore tecnico.
- Nel caso in cui il fatto reato in relazione al quale è intervenuta una condanna sia di lieve entità esso è oggettivamente inidoneo ad incidere sul giudizio di affidabilità morale e professionale del concorrente (TAR Lombardia, Milano, Sez. I, sentenza 15.10.2009 n. 4802 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: REITERA DEI VINCOLI ESPROPRIATIVI E AUMENTO DEGLI STANDARD URBANISTICI.
1.- Piani urbanistici - Introduzione standard urbanistici - Motivazione - Obbligo - Sussiste.
2.- Giudizio amministrativo - Risarcimento danno - Annullamento dell'atto lesivo - Interessi pretensivi - Nuova valutazione della p.A. - Apprezzamento discrezionale.
3.- Espropriazione ed occupazione - Realizzazione di opere pubbliche - Reitera vincolo - Ammissibilità - Aumento degli standards - Analisi sulla necessità dei servizi - Obbligo - Sussiste - Fattispecie.

1.- L'Amministrazione ben può introdurre un maggior rapporto di standard, ma con l'obbligo di una incisiva motivazione.
2.- Il diritto al risarcimento del danno in materia di interessi pretesivi non può riconoscersi nell'ipotesi di attività amministrativa rinnovatoria successiva al Giudizio Amministrativo se residua un margine di apprezzamento discrezionale in capo all'Amministrazione sulla modalità con cui ottemperare alla statuizione, tale da configurare come mera evenienza l'emanazione di un provvedimento ampliativo.
3.- La prospettazione di future opere pubbliche può costituire una giustificazione per l'imposizione o la reiterazione di un vincolo espropriativo, ma non ha alcuno specifico rilievo rispetto alla scelta di aumento degli standards, che invece presupporrebbe un'analisi sulla necessità dei servizi, rapportata alla situazione demografica e socio economica della popolazione, come richiesto dai criteri regionali di cui all'art. 7, co. 3, L.R. Lombardia n. 1/2001 (nel caso di specie, il sovradimensionamento degli standards non risulta motivato, né con riferimento alla globalità del territorio comunale, né in correlazione all'area di proprietà del ricorrente) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.10.2009 n. 4787 - link a
http://mondolegale.it).

APPALTI: ATI - Art. 37 d.lgs. n. 163/2006 - Quota di partecipazione -Definizione - Proposta contrattuale - Momento genetico del rapporto.
Dall’art. 37 del d.lgs. n. 163/2006 (che, quanto al settore lavori, è ricognitiva dei principi già desumibili dall’art. 13 della L. 109/1994 e dall’art. 19, commi 3 e 4, della L. 55/1990) risulta chiaramente che deve sussistere una perfetta simmetria tra quota di lavori e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento e, ancor prima, che la quota di partecipazione deve essere stabilita e manifestata dai componenti del raggruppamento in uno alla partecipazione alla gara.
La definizione delle quote di partecipazione ad un’ATI non riguarda infatti la fase esecutiva del rapporto sebbene il suo momento genetico; cosicché è nella proposta contrattuale della parte che deve risultare esplicitata l’identità del soggetto contraente ossia, nel caso appunto di partecipazione in associazione temporanea, le quote attribuite a ciascun componente (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 08.10.2009 n. 5196 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Cessata efficacia di un piano attuativo non eseguito - Disciplina d’uso del territorio applicabile - Equiparazione alle “zone bianche” - Esclusione.
La cessata efficacia di un piano attuativo non eseguito non rende l'area interessata priva di disciplina urbanistica, alla stregua delle c.d. «zone bianche», per le quali risultano dettate le rigide prescrizioni di cui all'art. 4, comma ult., della legge 28.01.1977 n. 10 - poi, confluito nell'art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Dette prescrizioni, infatti, appaiono giustificate per le zone nelle quali si riscontri la mancanza di qualsiasi programmazione d'uso del territorio. Quando, invece, sia venuta meno soltanto la pianificazione attuativa, deve in primo luogo farsi riferimento al p.r.g. per individuare i limiti della sempre vigente disciplina di uso del territorio.
Pertanto, soltanto un piano regolatore generale privo dei contenuti essenziali di cui all'art. 7 della legge n. 1150 del 1942, nel testo sostituito dall'art. 1 della legge n. 1187 del 1968, potrebbe rendere l'area -nell'ipotesi di sopravvenuta inefficacia delle norme del piano attuativo- assimilabile ad una c.d. zona bianca, disciplinata alla stregua delle aree prive di regolamentazione urbanistica.
Nella normalità dei casi, una volta scadute le norme attuative, permane invece la disciplina d'uso del territorio disposta a livello di p.r.g., con sopravvenienza o meno della sola necessità di ulteriore pianificazione attuativa (TAR Campania Napoli, sez. II, 06.10.2006 , n. 8498; Consiglio di Stato, sez. IV, 14.10.2005 , n. 5801) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 06.10.2009 n. 580 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Trasporto e formulario di accompagnamento.
La Cassazione ha stabilito che il d.m. 01.04.1998 n. 145 ha legittimamene integrato l’elenco dei dati che devono risultare dal formulario di identificazione dei rifiuti durante il trasporto e di cui all’art. 15 del d.lgs. 05.02.1997 n. 22, prescrivendo, tra l’altro, anche l'indicazione degli orari del trasporto, utile ai fini di una completa "tracciabilità" del trasporto dei rifiuti (Corte di Cassazione, Civ. Sez. civile, sentenza 05.10.2009 n. 21260 - link a www.
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AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Piano di classificazione acustica - Adozione - Destinazione di zona - Singoli insediamenti produttivi - Irrilevanza.
In sede di adozione del Piano di classificazione acustica non si deve tenere conto del singolo insediamento produttivo, ma della destinazione della zona, altrimenti si rischia di confondere due ambiti distinti (che pure debbono in qualche modo trovare un punto di contatto), ossia quello urbanistico-edilizio e quello inerente la classificazione acustica.
Si vuol dire cioè che se ad una certa porzione del territorio è stata legittimamente impressa la destinazione urbanistica di zona “D”, in quella zona sono allocabili insediamenti produttivi e la stessa deve essere, ai fini acustici, classificata in classe V o VI a seconda dei casi. A questo proposito non rileva lo specifico impianto produttivo che deve essere allocato, la cui compatibilità con il sito prescelto è oggetto di altri specifici procedimenti, unificati nello Sportello Unico di cui al DPR n. 447/1998 (valutazione di impatto ambientale, compatibilità paesaggistica, compatibilità ai sensi dell’art. 216 del T.U. n. 1265/1934, compatibilità con il Piano di assetto idrogeologico, e così via).
INQUINAMENTO ACUSTICO - Piano di classificazione acustica - Predisposizione - Adempimenti preventivi - Misurazione sul campo - Necessità - Esclusione - Metodo “qualitativo”.
La predisposizione del Piano di classificazione acustica non deve essere preceduta da misurazioni effettuate sul campo (le quali, invece, sono indispensabili per verificare, in qualsiasi momento, se sono superati i limiti previsti per ciascuna zona). Inoltre, per i Comuni di più ridotte dimensioni è del tutto legittimo l’utilizzo del metodo c.d. qualitativo, il quale presuppone un esame delle destinazioni d’uso del territorio previste dal P.R.G., della situazione topografica e un’analisi dell’uso del territorio non basata direttamente su dati quantitativi.
INQUINAMENTO ACUSTICO - Classificazione acustica - Zone che differiscono per più di 5dBa - Divieto di accostamento - Fasce di transizione - Discontinuità.
Il divieto di accostamento di zone che differiscano fra loro per più di 5 dBa non opera quando, in presenza di destinazioni urbanistiche consolidate, sia possibile prevedere fasce di transizione (c.d. zone cuscinetto) oppure quando esistano ostacoli naturali (definite più propriamente “discontinuità”) che attenuino il livello di immissioni (TAR Marche, Sez. I, sentenza 29.09.2009 n. 930 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: AREE PROTETTE - SIC e ZPS - Valutazione di incidenza - Direttiva 92/43/CEE - Guida interpretativa - Piani settoriali soggetti a valutazione di incidenza - Piano di classificazione acustica - Esclusione - Ragioni.
La Commissione CE ha diramato la Guida interpretativa dell’art. 6 della direttiva 92/43/CEE, in cui sono definiti i criteri in base ai quali si può ritenere che un piano o un progetto siano tali da avere incidenza sui valori tutelati dalla citata direttiva.
Alle pagine 30 e seguenti del documento (in particolare al punto 4.3.2.) la Commissione afferma che anche i Piani settoriali sono soggetti alla valutazione di incidenza, ma, nel richiamare alcune tipologie di piani settoriali, menziona quelli relativi alle reti dei trasporti, quelli inerenti la gestione dei rifiuti o quelli relativi alla gestione dell’acqua, ossia tutti piani che, pur non essendo direttamente connessi e necessari alla gestione dei siti di importanza comunitaria, hanno comunque un’incidenza significativa sugli habitat ricompresi nell’ambito di applicazione dei piani stessi.
A parte la valenza non precettiva del citato documento, ciò che rileva è il fatto che non ogni piano o progetto teoricamente interferente con il bene ambiente è soggetto a valutazione di incidenza, altrimenti non ci sarebbe stato alcun bisogno di un’interpretazione autentica da parte delle Istituzioni comunitarie, dovendo essere sottoposto a valutazione di incidenza qualsiasi piano. Ne consegue che può ritenersi escluso falla valutazione di incidenza il piano di classificazione acustica, il quale non ha natura urbanistica e non implica di per sé conseguenze sull’ambiente, attesa la funzione che ad esso riconnette la legge istitutiva.
Tale funzione è più che altro quella di “fotografare” il territorio comunale dal punto di vista acustico, nel mentre gli atti di pianificazione (generale o esecutiva) capaci di incidere direttamente sull’habitat sono quelli urbanistici e quelli relativi alla realizzazione di opere pubbliche o private che presentano un certo impatto ambientale.
AREE PROTETTE - ZPS - Attività umane teoricamente incompatibili con le esigenze di tutela ambientale - Normativa comunitaria - Valutazione di incidenza.
La delimitazione delle Z.P.S. non sempre è tale da consentire di poter scindere in maniera netta le zone ancora “incontaminate” e quelle già antropizzate, per cui è del tutto possibile che una Z.P.S. inglobi al suo interno aree che, in base ai vigenti strumenti urbanistici, ospitano attività umane teoricamente incompatibili con le esigenze di tutela ambientale.
Peraltro, la normativa comunitaria non vieta le attività umane all’interno dei siti compresi nella rete Natura 2000, ma le condiziona alla positiva valutazione di incidenza, la quale, a sua volta, è subordinata alla verifica della non compromissione di habitat naturali (TAR Marche, Sez. I, sentenza 29.09.2009 n. 930 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: CONTRATTI - LAVORI DI SOMMA URGENZA.
La norma –applicabile “ratione temporis” al caso esaminato- dell'art. 23, comma 3, del decreto-legge 02.03.1989, n. 66, convertito, con modificazioni, nella legge n. 144 del 1989, secondo cui per i lavori di somma urgenza stabiliti dalle amministrazioni comunali e provinciali l'ordinazione fatta a terzi deve essere regolarizzata improrogabilmente entro trenta giorni e comunque entro la fine dell’esercizio, a pena di decadenza, è applicabile non solo ai contratti di fornitura ma anche ai contratti di appalto di lavori pubblici.
La regolarizzazione, che corrisponde ad un preciso obbligo della P.A., la cui violazione può essere fatta valere non solo dal terzo contraente, ma anche dalla stessa Amministrazione e, se del caso, dall’amministratore o dal funzionario che vi abbia interesse, e che è finalizzata ad evitare l'accumularsi di debiti fuori bilancio, deve intervenire necessariamente nel termine sopra indicato; in mancanza, non può ritenersi sussistente un valido rapporto obbligatorio tra l'Amministrazione ed il terzo (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 28.09.2009 n. 20763 - link a www.cortedicassazione.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Discariche e impianti di trattamento - Atti di localizzazione - Impugnazione - Persona fisica - Legittimazione - Mera vicinitas - Insufficienza - Prova del danno.
La legittimazione di una persona fisica ad impugnare atti di localizzazione di discariche e di impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani non discende dalla mera vicinanza dell'abitazione ad una discarica, ma è subordinata alla prova del danno che il ricorrente riceve nella sua sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18.07.1995, n. 754; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.1998, n. 1088; Consiglio di Stato, Sez. V, 31.01.2001, n. 358; Consiglio di Stato, Sez. V, 16.04.2003, n. 1948 e più recentemente TAR Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 11.12.2006, n. 3216; TAR Emilia Romagna - Bologna, Sez. I, 26.11.2007, n. 3365; Consiglio di Stato, Sez. VI, 13.09.2007, n. 5453).
RIFIUTI - Art. 183 c. 1, lett. p), d.lgs. n. 152/2006 - Sottoprodotto - Impiego - Processo di produzione.
In forza dell’art. 183, co. 1, lett. p), del d.lgs. n. 152/2006, l’impiego del sottoprodotto deve avvenire direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione individuato e definito.
RIFIUTI - Scarti legnosi dell’agricoltura - Residuati della lavorazione meccanica del legno - Natura di rifiuto - Esclusione - Utilizzo nell’alimentazione di un impianto di produzione di energia da biomasse.
Non costituiscono rifiuto e possono quindi essere tipicamente e propriamente utilizzati nell’alimentazione di un impianto di produzione di energia da biomasse vegetali, gli scarti legnosi dell’agricoltura e i residuati della lavorazione esclusivamente meccanica del legno, quali segature, tondelli, cortecce e cippato legnoso, anche ove quest’ultimo sia trattato con impiego di acqua per estrarne il tannino, poiché l‘acqua naturale non è un solvente e non può essere assimilata ad una sostanza chimica (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 25.09.2009 n. 2292 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Provvedimento - Contenuto determinativo - Parte dispositiva e parte prescrittiva - Beneficiario del provvedimento ampliativo - Mancata ottemperanza alla prescrizioni - Effetti sul provvedimento - Fattispecie.
Il contenuto determinativo di un provvedimento è costituito non solo dalla parte dispositiva ma anche dalla parte prescrittiva, rappresentata dall’insieme delle prescrizioni che circondano il rilascio di un titolo autorizzatorio ed entrano a far parte del dispositivo dell’atto, il quale va giudicato, in rapporto al parametro normativo di riferimento, nella sua integralità determinativa, costituita anche dalle prescrizioni imposte al soggetto beneficiario del provvedimento ampliativo, conseguendone la legittimità di un’autorizzazione alla realizzazione di un impianto alimentato da FER qualora la stessa rechi la tassativa e vincolante prescrizione che per l’alimentazione e il funzionamento della centrale debbano essere impiegate solo biomasse vegetali trattate meccanicamente, con esclusione di prodotti qualificabili come rifiuto. Poco importa poi se in fase di attuazione del provvedimento autorizzatorio il beneficiario non ottemperi alla riferita prescrizione: il comportamento divergente ed inadempiente del destinatario non si riverbera ex post sulla legittimità del provvedimento amministrativo autorizzatorio, che riamane invulnerata, potendo e dovendo l’inottemperanza de qua rilevare in occasione e sede di controlli che l’Amministrazione potrà effettuare, il cui negativo esito potrà condurre anche alla revoca sanzionatoria dell’autorizzazione.
Procedimento amministrativo - Art. 14-ter, c. 8, L. n. 241/1990 - Richiesta di integrazioni e chiarimenti - Finalità della norma - Rapida conclusione del procedimento - Legittimazione ad agire contro la violazione della norma - Soggetto richiedente l’atto ampliativo.
La prescrizione di cui all’art. 14-ter, c. 8, della L. n. 241/90, ai sensi del quale le integrazioni e i chiarimenti possono essere domandati dall’Amministrazione una sola volta, come pure quella che fissa a trenta giorni il termine entro il quale le stesse debbono essere prodotte è finalizzata a consentire la rapida conclusione del procedimento e la più celere evasione del’istanza presentata dal privato e sottoposta al contestuale esame tipico tratto del conferenza di servizi. Celerità e snellezza che intuitivamente avvantaggiano solo il soggetto richiedente l’atto ampliativo.
Ne consegue che legittimato a dolersi della sua violazione è dunque unicamente il soggetto privato che abbia presentato un’istanza soggetta alla fase di valutazione contestuale tipica della conferenza di sevizi (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 25.09.2009 n. 2292 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Offerta economicamente più vantaggiosa - Rilevanza del profilo tecnico-qualitativo rispetto a quello economico - Determinazione - Discrezionalità amministrativa - Attribuzione del punteggio numerico - Sufficienza - Sindacato del giudice - Limiti.
Quando il criterio di aggiudicazione di un appalto sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rientra nella discrezionalità della stazione appaltante determinare la rilevanza del profilo tecnico-qualitativo rispetto a quello economico; in tali casi la valutazione tecnica espressa dalla Commissione di gara che consiste nell’attribuzione di un semplice punteggio numerico nell’ambito della forcella prestabilita è idonea ad assolvere all’onere di motivazione e non è sindacabile da parte del giudice amministrativo, tramite consulenza tecnica, salvo il caso in cui presenti profili di illogicità, irragionevolezza o travisamento (Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22.11.2006, n. 6835 e 18.12.2006, n. 7578; Sez. V, 28.12.2006, n. 8076 e 25.07.2006, n. 4657) (TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sentenza 24.09.2009 n. 683 - link a www.ambientediritto.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Atti amministrativi - Adozione - Conflitto di interessi - Obbligo di astensione ex art. 78 d.lgs. n. 267/2000 - Piccoli comuni - Deroga - Inconfigurabilità - Votazioni frazionate.
L’obbligo di astensione del titolare di un pubblico ufficio dal procedimento di adozione di atti nei quali sia interessato egli stesso o un suo prossimo congiunto, sancito d all’art. 78 del d.lgs. n. 267/2000, non ammette deroghe neppure con riferimento alla realtà dei piccoli comuni, nei quali, può, al più, ammettersi la possibilità di dare luogo a votazioni frazionate su singole componenti di un progetto, che possano evitare il ricorso costante al commissario ad acta - (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 22.09.2009 n. 675 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Localizzazione ed insediamento degli impianti di telefonia mobile - Piano comunale - Uso del territorio - Standard urbanistici - Competenza - Regioni ed enti locali - Installazioni degli impianti su proposte dei gestori - Cd. «soglie di esposizione» - Competenza - Stato - L. n. 36/2001.
L’approvazione di un piano con cui il Comune, sulla base delle proposte dei gestori, definisce complessivamente le installazioni degli impianti di telefonia mobile ammesse sul territorio comunale e a queste previsioni subordina il rilascio delle autorizzazioni, legittimamente contempera l’esigenza di copertura del servizio sul territorio con quella pianificatoria di un corretto insediamento degli impianti, oltre che con l’esigenza di minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici, assicurando al contempo ai gestori uniformità di trattamento in sede di vaglio congiunto delle relative richieste: a tale conclusione induce il riparto di competenze desumibile dalla legge n. 36 del 2001, nel senso che allo Stato è affidata la fissazione delle c.d. «soglie di esposizione», mentre alle Regioni e agli enti locali spetta la disciplina dell’uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioè le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurne il più possibile l’incidenza negativa sul territorio, sempreché naturalmente i criteri localizzativi e gli standard urbanistici non siano tali da impedire o ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti medesimi (v. Corte cost. sentenza 07.10.2003 n. 307).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Installazioni degli impianti di telefonia mobile - Strumenti programmatori comunali - Termini perentori per la redazione del piano - Legittimità.
Gli strumenti programmatori con i quali il comune definisce le installazioni degli impianti di telefonia mobile e ad essi subordina il rilascio delle autorizzazioni, per assolvere la funzione di introduzione di criteri minimi di conoscenza preventiva e di pianificazione dell’installazione degli impianti, soddisfano la fondamentale esigenza di razionalità dell’azione amministrativa, onde non sono in sé illegittimi, a meno che in concreto non ne derivi una dilatazione dei tempi per il rilascio delle prescritte autorizzazioni - incompatibile con la necessità di una disciplina uniforme sul piano nazionale alla stregua delle superiori norme statali.
Tale situazione di contrasto non sussiste, tuttavia, quando la disciplina locale prevede, in coerenza con l’assetto normativo della materia, termini perentori per la redazione del piano (v. Cons. Stato, Sez. VI, 21.06.2006 n. 3734; e, da ultimo, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 21.03.2008 n. 1480) (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 22.09.2009 n. 673 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Bando di gara - Previsioni equivoche - Principio della massima partecipazione.
In caso di previsione equivoca del bando di gara o di difforme interpretazione non è possibile procedere alla esclusione della ditta che sarebbe incorsa in errore, dovendosi invece favorire la massima partecipazione alla gara intendendosi in tal modo raggiunto l'obiettivo dell'interesse pubblico che è volto a confrontarsi con la platea quanto più vasta possibile di soggetti economicamente idonei a rendere il servizio richiesto.
Somministrazione di lavoro - D.Lgs. n. 276/2003 - Lavoratore somministrato - Procedura selettiva per appalti pubblici - Computo entro la consistenza organizzativa dell’imprenditore - Fondamento.
Secondo il decreto legislativo n. 276 del 2003 la somministrazione di lavoro è posta in essere attraverso la stipulazione di due contratti, distinti ma collegati: il contratto di somministrazione di lavoro concluso tra il somministratore e l’utilizzatore, il contratto di lavoro concluso tra somministratore e lavoratore; il contratto può essere sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.
Ora, è vero che il lavoratore in somministrazione non è computato nell'organico dell'utilizzatore ai fini dell'applicazione di normativa di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell'igiene e della sicurezza sul lavoro; tuttavia il lavoratore somministrato lavora per tutta la durata del rapporto sotto le direttive e nell'interesse dell'utilizzatore, ragion per cui detti lavoratori ben potranno essere computati ai fini della valutazione della consistenza organizzativa dell'imprenditore quale requisito di carattere tecnico nell'ambito di una procedura selettiva per appalti pubblici (cfr. circolare 22.02.2005 n. 7 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali).
Verifica dell’anomalia dell’offerta - Finalità.
La finalità della verifica dell'anomalia dell'offerta è quella di evitare che offerte troppo basse espongano l'amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta e con modalità esecutive in violazione di norme con la conseguenza di far sorgere contestazioni e ricorsi.
L'amministrazione deve infatti aggiudicare l'appalto a soggetti che abbiano presentato offerte che, avuto riguardo alle caratteristiche specifiche della prestazione richiesta, risultino complessivamente proporzionate sotto il profilo economico all'insieme dei costi, rischi ed oneri che l'esecuzione della prestazione comporta a carico dell'appaltatore con l'aggiunta del normale utile d'impresa affinché la stessa possa rimanere sul mercato.
Occorre quindi contemperare l'interesse del concorrente a conseguire l'aggiudicazione formulando un'offerta competitiva con quello della stazione appaltante ad aggiudicare al minor costo senza rinunciare a standard adeguati ed al rispetto dei tempi e dei costi contrattuali.
Anomalia dell’offerta - Elementi di possibile giustificazione - Tipizzazione normativa - Esclusione.
La verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto.
Non esiste quindi una tipizzazione normativa "chiusa" degli elementi di possibile giustificazione, valendo semmai un limite logico-sistematico desumibile dalla formula dell'articolo 87 comma l, del D. Lgs. 163/2006.
Giudizio di anomalia -Giudizio positivo - Giudizio negativo - Motivazione - Differenza.
La motivazione del giudizio di anomalia dev'essere rigorosa ed analitica soltanto nel caso di giudizio negativo, mentre, nel caso di giudizio positivo, ovvero di valutazione di congruità dell'offerta anomala, non è necessario che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti, con la conseguenza che il giudizio favorevole di non anomalia dell'offerta non richiede puntualità di argomentazioni, essendo sufficiente anche una motivazione per relationem alle stesse giustificazioni presentate dal concorrente sottoposto al relativo obbligo.
Commissione giudicatrice - Natura di collegio perfetto - Supplenza - Finalità.
La commissione giudicatrice di una gara di appalto costituisce un collegio perfetto che deve operare con il plenum e non con la semplice maggioranza dei suoi componenti. La natura di collegio perfetto non è contraddetta dalla nomina di supplenti, ma, anzi, ne è confermata.
Lo scopo della supplenza, nel caso di commissioni di gara , è proprio quello, da un lato, di garantire che il collegio possa operare con il plenum anziché con la sola maggioranza, in caso di impedimento di taluno dei membri effettivi e, dall'altro lato, che la commissione svolga le sue operazioni con continuità e tempestività, senza che il suo agire sia impedito o ritardato dall'impedimento di taluno dei suoi componenti.
Infatti, il plenum dei componenti del collegio perfetto va riferito alla contestuale presenza del numero di componenti previsto e non alla necessaria identità fisica delle persone che lo compongono. L’istituto della supplenza, anche ove non previsto espressamente nel bando, deve intendersi implicito nel sistema (TAR Veneto,  Sez. I, sentenza 18.09.2009 n. 2416 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO - Area contaminata - Artt. 244, 253 e 250 del d.lgs. n. 152/2006 - Proprietario dell’area contaminata - Onere di bonifica - Vincolo reale sul fondo e privilegio speciale in favore dell’amministrazione - Notifica dell’ordine di bonifica al proprietario incolpevole.
Dal combinato disposto degli artt. 244, 253 e 250 del d.lgs. n. 152/2006, si ricava che il proprietario dell’area contaminata, ove non sia a sua volta responsabile dell’inquinamento, non ha alcun obbligo di provvedere direttamente alla verifica del livello di contaminazione ed alla bonifica, ma ha l’onere di farlo se intende evitare la costituzione del vincolo reale sul fondo e la nascita del privilegio speciale in favore dell’amministrazione; ne discende che l'ordine di eseguire quelle attività ben può essere notificato anche al proprietario incolpevole, ma al solo fine di metterlo in condizione di assolvere a tale onere e mantenere così l’area libera da vincoli (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 05.09.2005, n. 4525).
INQUINAMENTO - Sito inquinato - Pendenza di sequestro giudiziario - Effetti sull’ordine di bonifica - Art. 247 d.lgs. n. 152/2006.
La pendenza del sequestro giudiziario di un sito inquinato incide, sulla eseguibilità dell’ordine di bonifica (e dell’eventuale esecuzione in danno ad opera dell’amministrazione), e non anche sulla sua legittimità.
L’art. 247 del d.lgs. n. 152/2006 prevede infatti espressamente che, laddove il sito inquinato sia sottoposto a sequestro, l'autorità giudiziaria che lo ha disposto può comunque autorizzarvi l'accesso per l'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree, anche al fine di impedire l'ulteriore propagazione degli inquinanti ed il conseguente peggioramento della situazione ambientale.
INQUINAMENTO - RIFIUTI - Abbandono di rifiuti - Art. 14 d.lgs. n. 22/97 e art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Proprietario dell’area - Imputabilità dell’abbandono a titolo di dolo o colpa.
In tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza amministrativa, già con riferimento alla misura prevista dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997, riteneva che il proprietario dell'area fosse tenuto a provvedere allo smaltimento, ma solo a condizione che ne fosse dimostrata la corresponsabilità almeno a titolo di colpa con gli autori dell'illecito, ed aveva conseguentemente escluso che la norma configurasse un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva, affermando l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in mancanza di adeguata dimostrazione, da parte dell'amministrazione procedente, dell’imputabilità soggettiva della condotta, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione.
I medesimi principi si traggono oggi dalla previsione di cui all'art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006, che non soltanto riproduce il tenore dell'art. 14 cit. circa la necessaria imputabilità dell’abbandono a titolo di dolo o colpa, ma integra il precedente precetto, precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25.08.2008, n. 4061) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 1448 - link a www.ambientediritto.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi: se c'è una graduatoria ancora valida, lo scorrimento è obbligatorio.
E' illegittimo il provvedimento con cui l'Amministrazione bandisce un nuovo concorso, senza tener conto di una precedente graduatoria (relativa ad omologa selezione) ancora valida (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 15.09.2009 n. 8743 - link a www.eius.it).

APPALTI: Offerta economicamente più vantaggiosa - Specificazione dei criteri di valutazione - Discrezionalità tecnico-amministrativa - Ponderazione relativa attribuita a ciascun criterio - Onere motivazionale - Art. 83 d.lgs. n. 163/2006.
In materia di specificazione dei criteri per la valutazione delle offerte secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa l’art. 83 del D.L.vo 12.04.2006 n. 163 riconosce all’Amministrazione che indice la gara un’ampia discrezionalità tecnico-amministrativa al fine di definire nell’ambito della lex specialis gli elementi di giudizio dell’offerta tecnica: discrezionalità che non può essere oggetto di sindacato giurisdizionale se non in presenza di macroscopiche irrazionalità e incongruenze (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 29.10.2008 n. 1480).
Rimane comunque ferma la necessità che l’Amministrazione aggiudicante predefinisca il peso che ciascuno degli elementi di valutazione da essa predeterminati assumerà nel giudizio finale dell’offerta tecnica, anche non necessariamente abbinandovi un punteggio determinato in modo assoluto, ma quantomeno individuando la rispettiva incidenza che il singolo parametro avrà rispetto agli altri e nel giudizio complessivo: a tale obbligo corrisponde un onere sul piano della motivazione del giudizio della commissione di gara, occorrendo che la stazione appaltante chiarisca la composizione analitica della sua valutazione per ciascuna voce, indicando quale sia il peso specifico che il singolo elemento ha avuto nella valutazione dell'offerta relativa a quella voce (così Cons. Stato, Sez. V, 27.12.2007 n. 6683).
L’art. 83, comma 2, del D.L.vo 163 del 2006 rende invero obbligatoria l’indicazione, da parte della lex specialis di gara, dei criteri di valutazione, precisando “la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia espressa con un valore numerico determinato in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all’elemento cui si riferisce la soglia deve essere appropriato” (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 15.09.2009 n. 2404 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Reati urbanistici - Lottizzazione edilizia approvata e lottizzazione abusiva - Criterio distintivo tra il semplice abuso edilizio e la lottizzazione abusiva - Art.30 c. 1, DPR 380/2001, T.U.E..
In tema di reati urbanistici, anche una lottizzazione approvata può, attraverso modifiche non previste, alterare e modificare le previsioni urbanistiche. Pertanto, a prescindere dall’esistenza o meno dell’autorizzazione, si tratta di accertare se l’intervento, completamente o parzialmente abusivo, possa qualificarsi come un semplice abuso edilizio o piuttosto una lottizzazione abusiva.
Lottizzazione edilizia - Nozione - Lottizzazione abusiva - Criteri d’individuazione - Art.30, DPR 380/2001, T.U.E..
A norma dell'art.30 DPR 380/2001, va qualificata come lottizzazione quell’insieme di opere o di atti giuridici che comportano una trasformazione urbanistica od edilizia di terreni a scopo edificatorio intesa quale conferimento all'area di un diverso assetto territoriale, attraverso impianti di interesse privato e di interesse collettivo, tali da creare una nuova maglia di tessuto urbano (Cass. sez. 3 del 03.03.2005 n. 17663).
Sicché, costituisce lottizzazione edilizia qualsiasi utilizzazione del suolo che, indipendentemente dall'entità del frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione contemporanea o successiva di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, che postulino l’attuazione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria occorrenti per le necessità dell'insediamento.
Il reato di lottizzazione può configurarsi: "- in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata , per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione di un piano esecutivo e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione; - ma anche allorquando detto intervento non potrebbe in nessun caso essere realizzato poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione che non possono essere modificate da piani urbanistici attuativi" (cfr. Cass. sez. 3 n. 37472 del 26.06.2008 - ric. Belloi ed altri; conf. Cass. sez. 3 n. 12426 del 07.02.2008 - Bardini).
Reato di lottizzazione abusiva - Integrazione - Art.30 c. 1, DPR 380/2001.
Il reato di lottizzazione abusiva può essere integrato anche quando vengano realizzate opere per le quali sia stato rilasciato un provvedimento di autorizzazione, ove dette opere comportino una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio in violazione delle prescrizioni espresse dagli strumenti urbanistici e dalla legge, restando a tal proposito indifferente se la violazione dipenda dalla carenza del necessario piano di lottizzazione o se piuttosto l'intervento risulti precluso in radice per le sue connotazioni obiettive, tali da porlo in contrasto con lo strumento generale di pianificazione (Cass. sez. 6, 08.02.2005 n. 4424) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.06.2009 n. 26586 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Intervento di mera manutenzione che alteri l'aspetto esteriore dell’edificio - Autorizzazione - Necessità - Art 149, c. 1°, lett. a), D.L.vo n. 42/2004.
Nelle zone paesaggisticamente vincolate, qualsiasi intervento anche di mera manutenzione che alteri l'aspetto esteriore di un edificio deve essere autorizzato essendo esenti solo quegli interventi che non modifichino l'aspetto esteriore degli edifici (art. 149, comma primo, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.06.2009 n. 26566 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di d.i.a. anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall’ordinamento.
Il Collegio è dell’avviso, come affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, e, in particolare, dalla decisione 12.09.2007 n.4228 della Sez. IV, del Consiglio di Stato, che la denuncia di inizio attività in materia edilizia “costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento, sul quale la pubblica Amministrazione svolge un’eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell’effettivo svolgimento dell’attività) del titolo legittimante l’inizio dei lavori: titolo, il cui consolidamento non comporta, però, che l’attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, con la conseguenza che anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall’ordinamento”.
Conforme è anche la recente giurisprudenza della Cassazione penale (v.si Sez. III, 29.01.2008 n. 11113): del resto, anche se il sopravvenuto, nuovo testo dell’art. 19 della legge n. 241/1990 ora prevede, in generale, che sulla dichiarazione di inizio attività il potere di autotutela dell’Amministrazione va effettuato ai sensi dei successivi artt. 21-quinquies e 21-nonies, di fatto, l’impugnato divieto di prosecuzione dei lavori oggetto di d.i.a. a ciò adempie, né necessitava di preventiva comunicazione, trattandosi di atto obbligato a fronte dell’accertato ed incontestato uso pubblico della strada (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 02.04.2009 n. 250 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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