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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di OTTOBRE 2009

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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - VARI: "Capire la Sicurezza": cento domande e risposte sulla sicurezza sul lavoro dall’ Ispesl.
L'ISPESL di Potenza ha curato la pubblicazione “Capire la Sicurezza”, cento domande e cento risposte sulla sicurezza sul lavoro (link a www.acca.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 43 del 26.10.2009, "Monitoraggio degli interventi assentiti dai Comuni in attuazione della l.r. 13/2009" (decreto D.U.O. 14.10.2009 n. 10428 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 43 del 26.10.2009, "Determinazioni inerenti le procedure per l'accettazione e la gestione dei rottami metallici ferrosi e non ferrosi" (deliberazione G.R. 28.09.2009 n. 10222 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 42 del 23.10.2009, "Indirizzi per la programmazione regionale di risanamento della qualità dell'aria (art. 2, comma 1, l.r. n. 24/2006)" (deliberazione C.R. 06.10.2009 n. 891 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Bertuzzi, RIFIUTI: IL F.I.R. SOSTITUISCE LA SCHEDA DI TRASPORTO (link a www.tuttoambiente.it).

APPALTI: S. Cresta, Gare d’appalto: le novità in tema di controllo e collegamento tra concorrenti (link a www.altalex.com).

URBANISTICA: G. D'Oria, SUI RECENTI APPRODI DELLA CASSAZIONE IN TEMA DI "LOTTIZZAZIONE ABUSIVA"  (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L. Fanizzi e S. Misceo, Dispositivi on-line per la raccolta e la separazione delle sabbie (applicazione nelle reti fognarie separate dotate di impianti per il trattamento delle acque di prima pioggia) (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, I LAVORI IN CORSO IN MATERIA AMBIENTALE, IN PARTICOLARE PER I RIFIUTI ...   (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Montagna, Scarichi industriali e superamento dei limiti tabellari: quale la sanzione? e L. prati, Il legislatore fa chiarezza sul regime sanzionatorio degli scarichi idrici (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: L. A. Pezone e F. Pezone, LA DEPURAZIONE INTEGRATIVA, NELLE CASE, NELLE FOGNE…. (link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: G. Gentilini, Alcuni cenni sintetici sugli atti verbalizzazioni degli organi collegiali (collegi) (link a www.diritto.it).

APPALTI: M. Sperduti, Il requisito della moralità professionale di cui all’art. 38, c. 1, lett. c), del D.lgs. n. 163 del 2006 alla luce della recente giurisprudenza amministrativa (link a www.diritto.it).

APPALTI: G. Lucarini, L’arbitrato in materia di lavori pubblici tra schizofrenia legislativa e preesistenti profili di incostituzionalità (link a www.diritto.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Diritto d'accesso senza limitazioni sugli atti di gara.
Il diritto di accesso deve essere esercitato in maniera piena e illimitata. Sono illegittimi provvedimenti che consentono di prendere solo visione di documenti amministrativi, ma non di estrarne copia.

L'importante principio è stato fissato dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 19.10.2009 n. 6393, molto rilevante sia perché riforma la decisione di primo grado, sia perché è riferita all'accesso agli atti delle procedure di gara, regolata dall'articolo 13 del dlgs n. 163/2006. Inoltre, palazzo Spada mostra di aver del tutto superato la tesi della possibilità di consentire l'accesso per sola visione, ritenuta possibile, per esempio, nella sentenza della sezione VI, 07.06.2006, n. 3418.
Il citato articolo 13 del dlgs n. 163/2006, mentre rinvia alla disciplina generale dell'accesso fissata negli articolo 22 e seguenti della legge n. 241/1990, al comma 5 esclude il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione «alle informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali».
Si tratta di una disposizione piuttosto controversa, la cui ratio consiste nella volontà del legislatore di escludere dal diritto di accesso la documentazione prodotta dalle aziende nelle gare d'appalto, dalla quale possa derivare una lesione al proprio diritto alla riservatezza sui sistemi di produzione, se suscettibile di rivelare il proprio know-how industriale.
È, nella sostanza, la previsione espressa ad un'eccezione al diritto di accesso, considerato sempre preminente; tale eccezione, comunque, può costituire ostacolo all'esercizio del diritto di accesso a condizione che l'impresa alla quale sono riferiti i documenti comprovi all'ente appaltante che essi contengono informazioni integranti segreti tecnici o commerciali.
Infatti, In assenza di tale dichiarazione o di carenza della motivazione, la causa di esclusione dall'esercizio del diritto di accesso non opera.
Il comma 6 dell'articolo 13 del dlgs n. 163/2006 aggiunge, per altro, che l'accesso è in ogni caso consentito «al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso». Il legislatore, dunque, ha voluto affermare espressamente la prevalenza generale dell'accesso difensivo, strumentale, cioè, alla tutela di diritti in giudizio da parte del richiedente, del resto disposta dall'articolo 24, comma 7, della legge n. 241/1990.
Molte amministrazioni, allo scopo di contemperare esigenze di riservatezza (nel caso di specie, di un'azienda che partecipa ad una gara di appalto) e di garanzia dell'esercizio del diritto di accesso, sono solite consentire una forma attenuata di accesso, limitata alla sola esibizione dei documenti, senza la possibilità di estrarne copia.
Osserva, però, il Consiglio di stato che né l'articolo 13, comma 6, del codice dei contratti né l'articolo 24 della legge n. 241/1990 prevedono che l'accesso «difensivo», in quanto tale prevalente sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale, possa e debba essere esercitato nella forma della sola presa visione, ad esclusione dell'estrazione di copia.
Nel precedente regime normativo era l'articolo 9, comma 5, lettera d), ultimo periodo, del dpr n. 352/1992, che poteva fondare la sola esibizione dei documenti, poiché disponeva che, laddove vi fossero ragioni di tutela della riservatezza di terzi «deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici».
Ma, oggi, l'insieme delle disposizioni vigenti rivela l'illegittimità di simile modo di procedere. Infatti, l'articolo 25, comma 1, della legge n. 241/1990 dispone che l'accesso si esercita mediante esame e contemporanea estrazione di copia dei documenti; inoltre, il dpr n. 184/2006, all'articolo 7, comma 5, nel disciplinare l'accesso formale mediante esame dei documenti, prevede che «l'interessato può prendere appunti e trascrivere in tutto o in parte i documenti presi in visione».
Conclude, dunque, inevitabilmente palazzo Spada che è illegittimo il provvedimento con cui si è limita il diritto di accesso all'offerta tecnica presentata dalla ditta aggiudicataria, consentendone la sola visione e non anche l'estrazione di copia (articolo ItaliaOggi del 24.10.2009, pag. 253).

EDILIZIA PRIVATAMUTAMENTO DI DESTINAZIONE D’USO.
Ristrutturazione – Presupposti - Mutamento di destinazione d'uso di un immobile - Deve essere autorizzato mediante rilascio del permesso di costruire - Fattispecie.
Gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia prevista dall'art. 31, lett. d), legge n. 457 del 1978, (Cons. St., sez. V, 17.12.1996, n. 1551) e, quindi, ove vi sia sostanziale modifica della destinazione preesistente, concretano il mutamento di destinazione d’uso.
Da ciò consegue che il mutamento di destinazione d'uso di un immobile deve essere autorizzato mediante rilascio del permesso di costruire, qualora sia effettuato mediante opere, o qualora comporti un mutamento tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, in tali casi integrando una modificazione edilizia che incide sul carico urbanistico (v. TAR Campania-NA - Sez. III, 18/09/2008 n. 10351; TAR Puglia-BA - Sez. I, 10/06/2008 n. 1415; TAR Sicilia-CT - Sez. I, 04/01/2008 n. 55, TAR Piemonte Sez. I, 28/03/2006 n. 1560).
Con riferimento al cambio di destinazione d'uso, la giurisprudenza ha escluso la necessità di permesso a costruire solo allorquando un organismo edilizio assicura la fisionomia e conservazione della destinazione d'uso, della collocazione e delle caratteristiche fisiche identificative dell'originario manufatto (Cons. Stato, V, 08.08.2003 n. 4593).
Nel caso di specie gli interventi previsti comportavano una trasformazione della realtà strutturale, oltre che della fruibilità edilizia dell’immobile, dato che da un unico locale si ricava un piccolo appartamento dotato di tutti i comforts, dando luogo ad un organismo ben diverso da quello preesistente (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 15.10.2009 n. 2302 - link a http://mondolegale.it).

APPALTICONTESTAZIONE DEL BANDO DI GARA SENZA DOMANDA DI PARTECIPAZIONE: QUANDO E' CONSENTITA...
1. Bando - Impugnazione - Da parte di impresa non partecipante alla gara - Possibilità - Casi - Ragioni.
2. Criteri e principi - Aggiudicazione - Impugnazione - Interesse ad agire - Soggetti titolari - Disciplina - Ragioni.
3. Bando - Assenza di pubblicazione - Legittimità - Condizioni e presupposti necessari.

1. In caso di impugnazione della lex specialis di gara da parte di un'impresa appartenente al settore coinvolto dalla procedura, che già in base alle prescrizioni del bando (ritenute illegittime) verrebbe esclusa, non è richiesto che tale soggetto sia poi tenuto a presentare domanda di partecipazione alla gara al fine di potere contestare le clausole del bando per lui lesive.
Ciò in quanto ogni impresa operante in un determinato settore ha un interesse tutelato a contestare anche la scelta della P.A. di non procedere all'indizione di una procedura di gara pubblica a tutela del principio della libera concorrenza e del criterio di effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, atteso che la mancata indizione di una procedura di evidenza pubblica lede il suo interesse sostanziale a competere, secondo pari opportunità, ai fini dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo le prescritte procedure.
Inoltre, non è necessario che essa dimostri di possedere tutti i requisiti tecnici e finanziari occorrenti per partecipare alla gara, risultando l'interesse fatto valere indirizzato a censurare la soluzione organizzativa adottata e non già a riportarne l'aggiudicazione, atteso che con l'accoglimento del ricorso viene soddisfatto l'interesse strumentale tendente alla rimessa in discussione del rapporto controverso (Cons. Stato, sez. V, 16-06-2009 n. 3891).
2. Tutte le imprese operanti nell'ambito dei lavori o dei servizi da aggiudicare hanno un interesse qualificato ad impugnare l'atto con cui la P.A. decida di aggiudicare il contratto a trattativa privata (Cons. Stato, sez. V, 16-06-2009 n. 3903), poiché tutti gli operatori economici del settore sono titolari di un interesse strumentale alla effettuazione della gara, in quanto aspiranti partecipanti alla stessa.
Né a tal fine risulta necessario che l'impresa del settore ricorrente dimostri di possedere tutti i requisiti tecnici e finanziari occorrenti per partecipare alla gara, atteso che con l'accoglimento del ricorso viene soddisfatto l'interesse strumentale tendente alla rimessa in discussione del rapporto controverso e alla possibilità di partecipare alla gara per l'affidamento dei lavori, servizio o fornitura, nella cui futura ed eventuale sede l'Amministrazione potrà verificare se l'impresa possiede in concreto i requisiti per prendervi parte (Cons. Stato, sez. V, 24-11-2008 n. 5693).
3. Il ricorso alla procedura senza pubblicazione del bando di cui all'art. 57 comma 2, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006 trova fondamento nella presenza di circostanze eccezionali che non consentano l'indugio degli incanti e della licitazione privata, a condizione però che l'estrema urgenza risulti da eventi imprevedibili per la stazione appaltante e non dipenda invece da un ritardo di attivazione dei procedimenti ad essa imputabile e solo quando l'estrema urgenza non sia compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara (TAR Lazio Roma, sez. I, 18-02-2009 n. 1656; TAR Piemonte, sez. I, 24-11-2008 n. 2943) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 14.10.2009 n. 589 - link a http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATARECINZIONE IN RETE E CANCELLO SCORREVOLE.
Recinzione in rete su paletti di sostegno infissi in un cordolo di cemento - Non comporta di norma trasformazione urbanistica e edilizia del territorio – Natura - Rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà che comprende lo “ius excludendi alios".
Non è necessaria la concessione edilizia, con conseguente illegittimità della relativa sanzione demolitoria prevista dalla l. n. 47/1985, per la realizzazione di una recinzione in rete su paletti di sostegno infissi in un cordolo di cemento (TAR. Em-Rom., Pr, 19.02.2009, n. 44; TAR Em. Rom., Bo, Sez.II, 16.02.2009, n. 136; TAR Lazio, Sez. II, 03.07.2007, n. 5968).
Entro tali limiti, infatti, la recinzione così eseguita rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “ius excludendi alios”, e non comporta di norma trasformazione urbanistica e edilizia del territorio, a differenza di altre e diverse ipotesi in cui la recinzione stessa non assume solo la funzione ora descritta ma dà luogo ad una trasformazione ulteriore mediante installazione di elementi non strettamente necessari alla sua primaria funzione, quali, ad esempio, un muretto di sostegno in calcestruzzo lungo tutto il perimetro (TAR Liguria, Sez. I, 11.09.2002, n. 961).
Tale conclusione deve ritenersi applicabile anche nel caso di un cancello scorrevole, che ugualmente, se inserito nella recinzione in semplice rete, non dà luogo a trasformazione urbanistica tale da richiedere la concessione edilizia (ora permesso di costruire) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 13.10.2009 n. 1532 - link a http://mondolegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Inerti da demolizioni o scavi di manti stradali.
Gli inerti provenienti da demolizioni di edifici o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l’obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.10.2009 n. 39728 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Rottami ferrosi.
Anche a seguito delle modifiche introdotte dal d.Lgs. 16.01.2008 n. 4 al d.L.gs. 152/2006 è stato riaffermato che i rottami ferrosi rientrano nel campo di applicazione della disciplina dei rifiuti, salvo che gli stessi provengano da un centro autorizzato di gestione e trattamento di rifiuti e presentino caratteristiche rispondenti a quelle previste dai decreti ministeriali sul recupero agevolato di rifiuti pericolosi e non pericolosi e relativo regolamento, assumendo in tal caso la qualificazione di materia prima secondaria (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.10.2009 n. 39727 - link a www.lexambiente.it).

CONSIGLIERI COMUNALI: Il consigliere comunale può divulgare alla stampa documenti riservati.
Non esiste la condanna per rivelazione del segreto d’ufficio per colui che divulga notizie concernenti la pubblica amministrazione.
Sono tutelate solamente le ipotesi normativamente previste; circoscritti i casi, quindi, in cui il diritto di accesso può essere limitato, solamente la legge può imporre la copertura degli atti.
Un simile reato può essere possibile, quindi, solo nel caso in cui i documenti che sono stati diffusi abbiano la qualifica di atti segreti per espressa disposizione legislativa
(Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 12.10.2009 n. 39706 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: PARCHI E RISERVE: NORMATIVA APPLICABILE.
1.- Ambiente - Parchi - D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 - Applicazione al Parco naturale Adda Sud - Sussiste.
2.- Cave e miniere - Autorizzazione ed irrogazione delle sanzioni di cui agli artt. 7 e 15, L. 29.06.1939 n. 1497 - Delega alle provincie - Limitata - Alle attività estrattive - Interventi di miglioramento fondiario - Esclusione - Per attività estrattiva limitata - Art. 36, co. 1, L.R. n. 14/1998 - Applicazione - Sussiste.
3.- Autorizzazione - Paesistica - Art. 8, L.R. n. 18/1997 - Rilascio - In via preliminare all'avvio dei procedimenti edilizi - Fattispecie.

1.- La tutela di cui al D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali) comprende (art. 146, co. 1, lett. f) "i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi".
Il Parco naturale Adda Sud, istituito con L.R. 16.09.1983 n. 81, è dunque soggetto alle disposizioni del testo unico, tanto più che, l'area in questione è qualificata come di "rispetto paesistico".
2.- La delega alle province riguardante l'autorizzazione e l'irrogazione delle sanzioni di cui, rispettivamente, agli artt. 7 e 15, L. 29.06.1939 n. 1497, riguarda le sole attività estrattive previste dai piani delle cave, e non gli interventi di miglioramento fondiario, i quali per definizione esulano, in linea di principio, dall'ambito applicativo della legge regionale sulle attività di cava (cfr. art. 36, co. 1, L.R. n. 14/1998), mentre quelli che comportano (anche) una limitata attività estrattiva restano soggetti alla (sola) disciplina di cui al co. 2 dello stesso art. 36.
Per questa categoria di interventi torna quindi applicabile, per il profilo paesistico, l'art. 10 della L.R. n. 18/1997, il quale stabilisce che "per i Comuni ricadenti nei territori dei parchi, limitatamente alle aree ivi comprese, a far tempo dall'entrata in vigore dei rispettivi piani territoriali di coordinamento con contenuti paesistici l'autorizzazione di cui all'art. 7, L. 29.06.1939 n. 1497, è rilasciata dal Sindaco previa certificazione dall'ente gestore del parco in ordine alla conformità dell'intervento proposto con il Piano territoriale di coordinamento".
3.- Ai sensi dell'art. 8, L.R. n. 18/1997, quale che sia l'ente delegato, il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica "è, in ogni caso preliminare all'avvio dei procedimenti edilizi o, ove prevista, alla denuncia di inizio lavori, nonché all'avvio dei procedimenti di cui alla vigente legislazione forestale e sull'attività estrattiva di cava" (nel caso in esame l'autorizzazione della Provincia ex art. 36, L.R. n. 14/1998 doveva essere accompagnata, o meglio preceduta, dall'autorizzazione paesistica rilasciata dal Comune previo parere di conformità del Parco) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.10.2009 n. 4779 - link a http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sequestro preventivo, misure ripristinatorie ed acquirente dell’immobile.
Oggetto del sequestro preventivo di cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p. può essere qualsiasi bene a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti.
In relazione al reato di costruzione abusiva, con riferimento alla posizione del soggetto che acquisti la proprietà dell’immobile successivamente al compimento dell’abuso -ferme le ipotesi di nullità dell’atto di vendita specificamente poste dalla legge- la giurisprudenza è altresì costantemente orientata nel senso che le sanzioni ripristinatorie sono legittimamente irrogate nei confronti degli attuali proprietari dell’immobile, indipendentemente dall’essere stati o meno questi ultimi gli autori dell’abuso, salva la loro facoltà di fare valere sul piano civile la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa.
L’interesse dell’ordinamento è nel senso che l’immobile abusivamente realizzato venga abbattuto, con conseguente eliminazione della lesione arrecata al bene protetto e, se si accedesse alla tesi dell’impossibilità di irrogare la sanzione ripristinatoria (e di adottare il sequestro preventivo) nei confronti del proprietario successivo non responsabile dell’abuso, basterebbe una semplice alienazione (reale o simulata) per vanificare l’anzidetta fondamentale funzione.
Quanto alla demolizione dell’opera abusiva -che deve essere disposta dal giudice penale con una sentenza di condanna o ad essa equiparata, ex art. 31, ultimo comma, del D.P.R. n. 380/2001- è dunque irrilevante la circostanza che l’attuale proprietario del bene sia persona diversa dall’autore dell’illecito (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.10.2009 n. 39322 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Bonifiche.
1.
Gli atti del procedimento di bonifica dei siti di interesse nazionale, compresi quelli conclusivi, rientrano nella competenza tecnico-gestionale degli organi esecutivi (dirigenti) poiché non contengono elementi di indirizzo politico-amministrativo che possono attrarre detta competenza nella sfera riservata agli organi di governo (i quali ultimi definiscono solo gli obiettivi e programmi da attuare, verificandone i risultati, il cui raggiungimento è riservato alla responsabilità dirigenziale). Ciò in forza del generale principio di distinzione tra attività di governo e attività di gestione che presiede l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche.
L’applicazione di tale principio va del resto coordinata con quanto dispone l’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001, secondo cui: “Le attribuzioni dei dirigenti....possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”.
Detta conclusione è valida sia con riguardo allo schema procedimentale di cui all’art. 15 del DM 471/1999 (precedente al richiamato D.Lgs. n. 165/2001 e non avente natura legislativa), ancorché stabilisca che il progetto definitivo della bonifica venga approvato dal Ministro dell'Ambiente (di concerto con i Ministri dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato e della Sanità), sia nello schema procedimentale di cui all’art. 252 del D.Lgs. n. 152/2006, che attribuisce genericamente la competenza per la procedura di bonifica al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio (sentito il Ministero delle Attività produttive) (cfr. TAR Lombardia-Brescia, sentenza 319/2009).
Tale orientamento è stato confermato anche da Tar Toscana, sez. II, 2287/2008, secondo cui “la competenza ad adottare l'ordinanza prevista dall'art. 8, co. 2 del D.M. 28.10.1999 n. 471 spetta al dirigente (o in sua assenza al responsabile del servizio) e ciò sulla base del richiamo all'art. 70, co. 6 del d.lgs. 31.03.2001 n. 165 che, nel reiterare l'art. 45, co. 1 del d.lgs. n. 80 del 1998, abrogato dall'art. 72, co. 1, lett. b) del citato d.lgs. n. 165 del 2001, ha disposto che, a decorrere dal 23.04.1998, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”.
2. Il provvedimento conclusivo della Conferenza di servizi, quando non ribalti le decisioni prese in sede di Conferenza, è atto meramente confermativo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di Conferenza (e da questo principio la stessa giurisprudenza fa derivare l’impugnabilità autonoma del verbale conclusivo della Conferenza di servizi) (v. sul punto, ad esempio, la posizione di Tar Toscana, sez. I. 978/2005: la determinazione conclusiva della conferenza assunta sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in tale sede è immediatamente esecutiva ed è autonomamente ed immediatamente impugnabile e ciò rende senz'altro superflua l'adozione di un successivo provvedimento da parte dell'Amministrazione procedente che dovendo necessariamente uniformarsi alle decisioni assunte dall'organo collegiale avrebbe un carattere meramente dichiarativo degli esiti della conferenza) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza  09.10.2009 n. 1738 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva (oggetto e buona fede dell’acquirente e subacquirente).
1. L'eccezione secondo la quale alla stregua della formulazione letterale dell’art. 30, 1° comma, del T.U. n. 380/2001 e tenuto conto del principio di tassatività delle previsioni penali il reato di lottizzazione abusiva sarebbe configurabile esclusivamente nei confronti del venditore e degli acquirenti di "terreni illegittimamente frazionati" e non invece di "edifici già costruiti" può essere superata allorquando si consideri che l’alienazione frazionata dei singoli immobili deve ritenersi, per il principio dell’accessione, intimamente connessa al frazionamento in lotti (o comunque allo scorporo sia pure soltanto materiale) del terreno sui quali quegli immobili sono stati edificati.
2. La destinazione a zona agricola di un'area costituisce espressione del potere conformativo del diritto di proprietà e non determina disparità di trattamento, in quanto la valutazione sulla possibilità di edificazione non si ricollega ad una distinzione tra cittadini, ma solo alla particolare destinazione dei beni
3. L’acquirente non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, terzo estraneo al resto di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento dei doveri di informazione e conoscenza di partecipare ad un’operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l’acquirente sia consapevole dell’abusività dell’intervento -o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza- la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio.
4. Neppure l’acquisto del sub-acquirente può essere considerato legittimo con valutazione aprioristica limitata alla sussistenza di detta sola qualità, allorché si consideri che l’utilizzazione delle modalità dell’acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di lottizzazione negoziale.
5. Per disporre la confisca prevista dall’art. 44, II comma del T.U. 380/2001, il soggetto proprietario della res non deve essere necessariamente condannato, in quanto detta sanzione ben può essere disposta allorquando sia stata comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (soggettivo ed oggettivo) anche se per una causa diversa, quale è, ad esempio, l’intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna del suo autore ed alla inflizione della pena.
Presupposto essenziale ed indefettibile, per l’applicazione della confisca, è (secondo l’interpretazione giurisprudenziale costante) che sia stata accertata l’effettiva esistenza di una lottizzazione abusiva; ulteriore condizione, però, che si riconnette alle recenti decisioni della Corte di Strasburgo, investe l’elemento soggettivo del reato ed è quella del necessario riscontro quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39078 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Stagionalità e precarietà dell’opera.
In materia edilizia, ai fini della necessità del preventivo rilascio della concessione edilizia, (ora sostituita dal permesso di costruire), non rileva il carattere stagionale del manufatto realizzato, atteso che il carattere stagionale non implica precarietà dell’opera, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la perpetuità della sua funzione  (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39074 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze (piscina).
Una piscina posta al servizio esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata non è di per sé estranea al concetto di "pertinenza urbanistica" ma può diventarlo quando abbia dimensioni non trascurabili o si ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue caratteristiche, potrebbe comunque avere una destinazione autonoma (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39067 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze (locale serbatoi).
In tema di pertinenze, la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di un autonomo corpo di fabbrica in ampliamento e adiacente a quello principale, soggettivamente destinato a "locale serbatoi" ma che, per le oggettive caratteristiche costruttive e per la ripartizione interna dei locali, è utilizzabile economicamente con destinazione residenziale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39065 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Restauro e risanamento conservativo.
L’art. 3, 1° comma, lett. c), del TU n. 380/2001 identifica gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l‘organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell‘organismo stesso - ne consentano destinazioni d’uso con esso compatibili".
Tali interventi, in particolare, possono comprendere: il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio; l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso; l’eliminazione di elementi estranei all’organismo edilizio.
La finalità è quella di rinnovare l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata -poiché si tratta pur sempre di conservazione- nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali".
Ne deriva che non possono essere mutati: la "qualificazione tipologica" del manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie; gli "elementi formali" (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l’immagine caratteristica di esso; gli "elementi strutturali", cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell’organismo edilizio  (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39062 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Zone umide (elenco Ramsar).
Non costituiscono beni tutelati per legge le sole zone umide, non comprese nell’elenco Ramsar, allorché per le loro caratteristiche non sono assimilabili né ai laghi né alle acque demaniali marittime, perché se sono assimilabili a tali tipi di acque sono sottoposti alla relativa disciplina, a nulla rilevando che non siano inserite nell’elenco Ramsar, il quale,come sopra precisato, ha unicamente lo scopo di individuare e tutelare l’habitat di uccelli acquatici (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.10.2009 n. 38921 - link a www.lexambiente.it).

VARI: Divieto di fumo e responsabilità dei gestori dei locali pubblici.
I titolari dei locali pubblici non sono tenuti a vigilare sulla osservanza e sul rispetto della normativa in materia di divieto antifumo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.10.2009 n. 6167 - link a www.altalex.com).

APPALTI: Sull'obbligo ex art. 38 dlgs. 163/2006 dei partecipanti alle gare di appalto di dichiarare, non già solamente reati gravi, ma tutti quelli ascritti in via definitiva ivi inclusi quelli per i quali sia stato concesso il beneficio della non menzione.
L'art. 38 dlgs. 163/2006 impone ai partecipanti alle gare di appalto di dichiarare, a pena di esclusione dalla gara, non già solamente reati gravi, ma tutti quelli ascritti in via definitiva ai soggetti ivi contemplati, con la conseguenza che "i partecipanti alle gare sono tenuti a rendere dichiarazioni complete e veritiere e, quindi, recanti l'esatta indicazione di tutti i precedenti penali, ivi inclusi quelli per i quali sia stato concesso il beneficio della non menzione".
Né ha pregio alcuno la tesi per la quale, decorso il periodo previsto dalla disciplina penale senza ulteriori condanne, le condanne riportate ex art. 444 cpp perderebbero ipso facto rilevanza agli effetti della ammissione alle pubbliche gare.
A prescindere dal dato che la giurisprudenza ricollega l'effetto estintivo ad una formale pronuncia in tal senso ad opera del Giudice penale (della quale non vi è traccia nella specie), è assorbente la considerazione che le imprese in questione, nella specie, non si sono attenute all'obbligo del clare loqui avendo utilizzato l'espressione "nulla" nella dichiarazione prevista dall'allegato 2 al disciplinare di gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.10.2009 n. 6006 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Condono ambientale.
Il condono ambientale introdotto dall’art. 1, commi 37, 38 e 39 L. n. 308 del 2004 estingue esclusivamente il reato di cui all’art. 181 D.Lgs. n. 42 del 2004 e gli altri reati paesaggistici, ma non si estende al reato edilizio attesa la mancanza di norme di coordinamento, diversamente da quanto disciplinato con la L. n. 326 del 2003 (cosiddetto condono edilizio), che espressamente prevedeva che il rilascio del titolo abilitativo edilizio estinguesse anche il reato per la violazione del vincolo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 01.10.2009 n. 38369 - link a www.lexambiente.it).

VARI: Attraversamento sulle strisce e responsabilità dell’automobilista.
Contrariamente agli altri orientamenti giurisprudenziali, il pedone ha certamente il diritto di precedenza nell'attraversamento della strada sulle strisce pedonali.
Tale orientamento smentisce che le c.d. "strisce pedonali" non impongono al conducente dell'auto l'obbligo di fermarsi in ogni caso, come invece il segnale di "stop", ma solo di moderare ulteriormente la velocità, nell'approssimarsi alle stesse, di accertarsi dell'esistenza nei pressi di un pedone e di arrestarsi solo se è avvistato un pedone che si accinge ad attraversarle ovvero che le stia già attraversando.
In realtà, tenendo presente le motivazione della sentenza di legittimità, l'obbligo di arresto del veicolo, in prossimità degli attraversamenti pedonali, è strettamente connesso all'avvistamento di un pedone, che tenga un comportamento che in qualche modo lasci presumere che stia per avvalersi delle strisce pedonali per l'attraversamento.
Qualora detto preventivo accertamento non sia possibile, perché l'accesso alle strisce pedonali è coperto da ostacoli (quali ad esempio altre auto parcheggiate, cartelloni pubblicitari o fermate di autobus), la velocità, che già deve essere moderata per il solo fatto della presenza della zona di attraversamento pedonale, deve ulteriormente essere ridotta, non essendo assolutamente imprevedibile che, dietro quell'ostacolo visivo, possa esservi un pedone, che si accinga ad attraversare la strada.
La velocità deve essere commisurata alla possibilità di arrestare l'auto, qualora si verifichi detta ultima evenienza (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 30.09.2009 n. 20949 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Beni culturali. Valutazioni e competenze.
Le valutazioni in ordine all'esistenza di un interesse storico-artistico su un immobile, tali da giustificare l'apposizione del relativo vincolo, sono espressione di un potere nel quale sono presenti sia momenti di discrezionalità "tecnica", sia momenti di propria discrezionalità amministrativa.
Tale valutazione è prerogativa esclusiva dell'Amministrazione e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnica-discrezionale compiuta (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.09.2009 n. 5869 - link a www.lexambiente.it).

COMPETENZE GESTIONALI: Sulla spettanza al sindaco della competenza alla nomina dei rappresentanti di un comune nel consiglio d'amministrazione di un'istituzione pubblica d'assistenza e beneficenza.
Le I.P.A.B. svolgono attività connesse al perseguimento dei fini propri degli enti pubblici, nella specie dei comuni, integrandosi con l'azione svolta da questi ultimi per l'accrescimento del benessere della collettività. L'azione di tali enti non può essere, pertanto, indifferente per la pubblica autorità competente alla nomina dei consiglieri di amministrazione.
Ne deriva, ove lo statuto attribuisca al sindaco il suddetto potere di nomina degli amministratori, che lo stesso possa esercitare il potere speculare di revoca, pur in difetto di esplicita previsione statutaria, laddove il soggetto designato dall'amministrazione comunale operi discostandosi o in contrasto con la linea di azione che l'orientamento politico-amministrativo dell'ente locale intende perseguire attraverso la propria rappresentanza nell'istituzione (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 29.09.2009 n. 2455 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Installazione stazioni radiobase e turbativa pubblica.
Turbativa pubblica” è locuzione che deve essere intesa in senso oggettivo, ossìa come situazione che turba la collettività procurando alla stessa disturbi, danni, o alterazioni di qualsiasi tipo ma comunque oggettivamente riscontrabili, e non, invece, come situazione che viene percepita dai cittadini come possibile fonte di danni o disturbi: il semplice patema d’animo generato da una determinata situazione, insomma, non é idoneo ad integrare una situazione di “turbativa pubblica” (fattispecie relativa a revoca di autorizzazione alla installazione di stazione radiobase (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 25.09.2009 n. 2124 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Inquinamento acustico e ordine pubblico.
L’art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000 è stato profondamente innovato dall’art. 6 del D.L. 23.05.2008, n. 92, convertito, con importanti modificazioni, con la legge 24.07.2008, n. 125 ed ispirato all’esigenza di predisporre uno schema normativo particolarmente rigoroso in tema di ordine pubblico: in base alla nuova lettura della norma ai Sindaci è consentita l’emanazione di provvedimenti, anche non contingibili e urgenti, senza uno specifico limite temporale, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 24.09.2009 n. 682 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Scelte urbanistiche e sindacato di legittimità.
Le scelte urbanistiche costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiati da errori di fatto o da abnormi illogicità. In particolare, si ritiene che le scelte discrezionali circa la destinazione delle singole aree non necessitano di apposita motivazione oltre a quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano, risultanti dalla relazione illustrativa fatti salvi i casi in cui si reputa necessaria una puntuale motivazione, come ad esempio quando la nuova destinazione di piano incida su aspettative che derivino da un atto formalmente assunto dall’amministrazione, quale un piano di lottizzazione debitamente approvato e convenzionato (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.09.2009 n. 5043 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Localizzazione impianti.
L’approvazione annuale di un piano con cui il Comune, sulla base delle proposte dei gestori, definisce complessivamente le installazioni degli impianti di telefonia mobile ammesse sul territorio comunale e a queste previsioni subordina il rilascio delle varie autorizzazioni legittimamente contempera l’esigenza di copertura del servizio sul territorio comunale con quella pianificatoria di un corretto insediamento degli impianti -per lo più di rilevante impatto urbanistico-ambientale- oltre che con l’esigenza di minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici, assicurando al contempo ai gestori uniformità di trattamento in sede di vaglio congiunto delle relative richieste; che a tale conclusione induce il riparto di competenze desumibile dalla legge n. 36 del 2001 (“Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”), nel senso che allo Stato è affidata la fissazione delle c.d. «soglie di esposizione», mentre alle Regioni e agli enti locali spetta la disciplina dell’uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioè le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurne il più possibile l’incidenza negativa sul territorio, sempreché naturalmente i criteri localizzativi e gli standard urbanistici non siano tali da impedire o ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti medesimi (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 22.09.2009 n. 673 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: EQUIPOLLENZA TRA POSTA CELERE E POSTA RACCOMANDATA.
Domanda di partecipazione – Presentazione – Invio mediante posta celere o posta raccomandata – Equipollenza – Sussiste.
Sono da considerarsi equipollenti, al fine della partecipazione ad una procedura concorsuale, la posta celere ed la posta raccomandata (cfr. C.d.S. V n. 6322 del 15/10/2003): invero al plico spedito per “pacco celere” viene attribuito un numero che consente di seguirne il percorso; esso, infine, viene consegnato con modalità simili a quelle della raccomandata per avviso di ricevimento, di guisa che non solo rimane una documentazione in ordine al giorno, all’ora ed alla persona che materialmente riceve il plico, ma é anche previsto che in caso di assenza del destinatario l’agente postale lasci un avviso sulla porta del destinatario assente.
Trattasi di modalità assolutamente analoghe a quelle che assistono l’invio tramite raccomandata, di guisa che i due sistemi possono considerarsi assolutamente equivalenti.
Il partecipante alla gara deve quindi ritenersi libero di servirsi della posta celere indipendentemente dalla ricorrenza di situazioni che rendano il servizio della posta raccomandata oggettivamente inutilizzabile (dimensioni o peso del plico, orari di accettazione, e simili) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 2085 - link a http://mondolegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Accertamenti fonometrici e avviso di procedimento.
L’art. 7 della L. n. 241 del 1990 -pur dovendosi intendere l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento riferito al vero e proprio inizio del procedimento– non esclude che l’adempimento dell’obbligo possa, quando le circostanze ciò impongano per garantire la genuinità degli accertamenti della P.A., essere preceduto da controlli, accertamenti, ispezioni, svolti senza la partecipazione del diretto interessato.
In tali casi, pertanto, quest’ultimo dovrà essere edotto di queste precedenti attività mediante la suddetta comunicazione, al fine di metterlo in condizione di intervenire nel procedimento ed eventualmente di contestare gli accertamenti compiuti in sua assenza (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 1530 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono.
In tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza amministrativa, già con riferimento alla misura prevista dall'art. 14 del D.Lgs. n. 22/1997, riteneva che il proprietario dell'area fosse tenuto a provvedere allo smaltimento, ma solo a condizione che ne fosse dimostrata la corresponsabilità almeno a titolo di colpa con gli autori dell'illecito, ed aveva conseguentemente escluso che la norma configurasse un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva, affermando l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in mancanza di adeguata dimostrazione, da parte dell'amministrazione procedente, dell’imputabilità soggettiva della condotta, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione.
I medesimi principi si traggono oggi dalla previsione di cui all'art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006, che non soltanto riproduce il tenore dell'art. 14 cit. circa la necessaria imputabilità dell’abbandono a titolo di dolo o colpa, ma integra il precedente precetto, precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo” (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 1448 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo paesaggistico - Diniego di sanatoria con motivazione succinta - Legittimità - Fattispecie - Art. 9 Cost..
Non è illegittima una motivazione anche succinta di un diniego di sanatoria di opere in quanto nel sistema non è ravvisabile a carico della p.a. l'obbligo di indicare, in una logica comparativa degli interessi in gioco, prescrizioni tese a rendere l'intervento compatibile con la bellezza di insieme tutelata, la cui protezione risponde ad un interesse pubblico normalmente prevalente su quello privato, anche per la rilevanza costituzionale che il primo presenta ex art. 9 Cost. (Cons. Stato, V, 19.10.1999 n.1587).
Nella specie, la motivazione resa dalla commissione edilizia integrata in zona vincolata è pertinente ed idonea a giustificare il diniego tenuto conto della tipologia costruttiva e dell’accostamento dei materiali utilizzati per la realizzazione dei manufatti (cemento a vista, legno ed ondulato plastico), incongrui rispetto a quelli tipici locali, in una zona di particolare pregio ambientale.
Vincolo paesaggistico - Concessione edilizia in sanatoria - Inedificabilità assoluta - Esclusione - Parere negativo - Obbligo di motivazione - Artt. 31 e seguenti L. 47/1985.
Il vincolo paesaggistico non comporta normalmente la inedificabilità assoluta, sicché non ogni opera edilizia in zona vincolata deve ritenersi preclusa ma solo quelle opere che, a seguito di accertamento, risultino in contrasto con il valore tutelato rappresentato dall’interesse ambientale-paesaggistico, deve sottolinearsi che nel sistema delineato dagli artt. 31 e seguenti L. 47/1985 il parere negativo formulato dalla autorità preposta alla tutela del vincolo (nella specie paesaggistico) ha valore vincolante nel procedimento di condono edilizio, impedendo definitivamente il rilascio della concessione edilizia in sanatoria (Cons. Stato, Sez. IV, 15.05.2008 n. 2233) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.09.2009 n. 5232 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Art. 50 d.lgs. n. 267/2000 - Ordinanze contingibili e urgenti - Presupposti - Pericolo concreto e attuale di danno grave e imminente per la salute pubblica - Attività istruttoria.
Il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, spettante al sindaco, in qualità di ufficiale di governo, ai sensi dell'art. 50 comma 5, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, è correlato all'urgente necessità di dare risposta immediata a situazioni assolutamente eccezionali e non prevedibili e deve specificamente fondarsi, non già su generiche esigenze di sicurezza o di igiene o di tutela della salute pubblica, ma sull'esistenza concreta di "gravi pericoli" incombenti, di dimensioni tali da costituire una concreta ed effettiva minaccia per l'incolumità dei cittadini; le ordinanze contingibili ed urgenti si atteggiano, pertanto, come rimedi extra ordinem, da utilizzare quando non si possa ricorrere ai rimedi ordinari (TAR Puglia, Lecce, sez. II, 08.05.2007, n. 1832; cfr. anche TAR Puglia, Bari, sez. I, 13.03.2008, n. 593).
Se, dunque, per l'esercizio di tale potere sindacale non si può prescindere dalla ricorrenza di un pericolo concreto e attuale di danno grave e imminente per la salute pubblica, la conseguenza è che tali provvedimenti devono normalmente essere preceduti da un'adeguata attività istruttoria finalizzata all'accertamento del predetto requisito (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 05.02.2008, n. 555) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 02.09.2009 n. 4598 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza di smaltimento - Art. 50 d.lgs. n. 267/2000 - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Poteri - Esercizio congiunto - Illegittimità.
E’ illegittimo l’esercizio congiunto dei poteri di cui all’art. 50 del d. lgs. 267/2000 e di quelli di cui all’art. 192 del d. lgs. 152/2006, considerato che si tratta di poteri distinti che hanno presupposti diversi.
RIFIUTI - Obbligo di rimozione dei rifiuti abbandonati - Art. 14 d.lgs. n. 22/97 - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Confronto.
L'art. 192, d.lgs. 03.04.2006 n. 192, non si limita a riprodurre il tenore dell’abrogato art. 14, d.lgs. 05.02.1997, n. 22 (cd. decreto Ronchi) con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o di colpa, per l'obbligo di rimozione dei rifiuti illecitamente abbandonati, ma integra l'anzidetto precetto precisando che tale ordine può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo, con il palese intento di rafforzare e promuovere le esigenze di effettiva partecipazione dei potenziali destinatari del provvedimento allo specifico procedimento (Cons. Stato, sez. V, 25.08.2008, n. 4061).
RIFIUTI - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Ordinanza di rimozione e smaltimento - Competenza - Sindaco.
Spetta al sindaco, ai sensi dell'art. 192, comma 3, d. lgs. 03.04.2006 n. 152, norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, d. lgs. 18.08.2000, n. 267, la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati (Cons. Stato, sez. V, 25.08.2008, n. 4061).
RIFIUTI - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Ordine di smaltimento - Mancata comunicazione di avvio del procedimento - Illegittimità.
È illegittimo un ordine di smaltimento di rifiuti emanato ai sensi dell'art. 192 d.lgs. 03.04.2006 n. 152, nei confronti del proprietario dell'area, senza che a quest'ultimo sia stata inviata da parte dell'Amministrazione formale comunicazione dell'avvio del procedimento, adempimento obbligatorio dovendosi ritenere recessive, nella specifica materia, le regole di cui agli art. 7 e 21-octies L. 07.08.1990 n. 241 (Cons. Stato, sez. V, 25.08.2008, n. 4061).
RIFIUTI - Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Responsabilità solidale del proprietario dell’area interessata dai rifiuti con l’autore materiale della trasgressione - Limiti.
L’art. 192, comma 3, del d. lgs. 03.04.2006, n. 152, sancisce la responsabilità solidale del proprietario o del titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area interessata dalla presenza di rifiuti abbandonati, rispetto all'autore materiale della trasgressione, nel solo caso in cui la violazione possa essergli ascritta a titolo di dolo o colpa.
Siffatto sistema sanzionatorio esclude la configurabilità di ipotesi di responsabilità oggettiva o di posizione, tale cioè da poter chiamare il proprietario del sito che ospita rifiuti abbandonati, per ciò solo, a risponderne indipendentemente dalla concreta verifica, da parte della Pubblica amministrazione, di una condotta anche semplicemente agevolatrice del fatto illecito del terzo (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 02.09.2009 n. 4598 - link a www.ambientediritto.it).

AGGIORNAMENTO AL 21.10.2009

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GURI - GUUE - BURL ( e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia. serie ordinaria n. 42 del 19.10.2009, "Trasmissione informatizzata della notifica preliminare di avvio dei lavori nei cantieri" (decreto D.G. 14.09.2009 n. 9056 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia. serie ordinaria n. 42 del 19.10.2009, "Determinazioni in ordine all'assegnazione di contributi per interventi di eliminazione di barriere architettoniche (legge n. 13/1989; l.r. n. 6/1989)"  (deliberazione G.R. 07.10.2009 n. 10280 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia. serie ordinaria n. 42 del 19.10.2009, "Modifiche delle Previsioni del Piano di Tutela e Uso delle Acque (PTUA) presentate dall'Autorità d'Ambito Ottimale di Bergamo (l.r. 26/2003)" (deliberazione G.R. 07.10.2009 n. 10269 - link a www.infopoint.it).

QUESITI & PARERI

URBANISTICAQuesito 10 - In merito alle azioni che l'Ente comunale deve intraprendere a fronte dell'inadempimento della convenzione di lottizzazione.
In merito alla emanazione di una ordinanza sindacale contingibile ed urgente per porre rimedio al pericolo per la salute pubblica derivante dall'inadempimento della convenzione di lottizzazione da parte del lottizzante riguardo alla realizzazione delle urbanizzazioni primarie.
In merito agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione (Geometra Orobico n. 4/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 9 - In merito alla decorrenza del termine per l'impugnazione del titolo edilizio nel caso in cui venga in rilievo una violazione delle distanze tra fabbricati (Geometra Orobico n. 4/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 8 - In merito al concetto di ultimazione delle opere abusive ai fini dell'applicabilità della normativa in materia di condono edilizio, con specifico riguardo alla fattispecie del mutamento di destinazione d'uso (Geometra Orobico n. 4/2009).

URBANISTICAQuesito 7 - In merito al fatto che la localizzazione di edilizia residenziale pubblica di cui all'art. 51 della Legge 22.10.1971, n. 865 non costituisce un mero surrogato della formazione del piano di zona e, pertanto, la sua legittimità non deve essere verificata sulla scorta degli stessi parametri (Geometra Orobico n. 4/2009).

PUBBLICO IMPIEGO - URBANISTICAQuesito 6 - In merito alla sussistenza o meno di una competenza in generale dei geometri a predisporre progetti di variante urbanistica.
In merito alla competenza dei geometri dipendenti comunali a predisporre progetti di variante urbanistica.
In merito all'efficacia imperativa diretta propria dell'atto di adozione di una variante urbanistica (Geometra Orobico n. 4/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 5 - In merito alla differenza tra la nozione di veduta e quella di luce (Geometra Orobico n. 4/2009).

EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALIQuesito 4 - Il mercato relativo all'uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, un mercato contingentato e regolamentato.
In merito alla soluzione giuridica appropriata al problema delle modalità di affidamento ai soggetti privati degli spazi pubblici ove allocare gli impianti pubblicitari.
In merito alla scelta di molti comuni di assegnare in concessione detti spazi di territorio comunale a mezzo di gara.
In merito alla disciplina regolatoria della pubblicità nei comuni con popolazione residente superiore a 30.000 abitanti.
In merito agli impianti pubblicitari posti fuori dai centri abitati.
In merito all'assoggettamento o meno del canone, quale corrispettivo, e/o alla tassa per l'occupazione di suolo pubblico, quale prelievo tributario (Geometra Orobico n. 4/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 3 - In merito all'atto di acquisizione al patrimonio comunale di un immobile abusivo (Geometra Orobico n. 4/2009).

AMBIENTE-ECOLOGIA  - EDILIZIA PRIVATAQuesito 2 - In merito al sistema previsto dall'art. 6 della Legge n. 447/1995 che presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale (Geometra Orobico n. 4/2009).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 1 - In merito alla nuova formulazione dell'art. 32, lett. g), e dell'art. 122, comma 8, del D.Lgs. n. 163 del 2006 e sul divieto di affidamento diretto al privato titolare del permesso di costruire della realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo.
In merito all'impatto delle nuove disposizioni riguardo ai piani attuativi già approvati ed alle convenzioni urbanistiche già stipulate.
In merito all'assenza di una disposizione transitoria che consenta di esaurire i procedimenti in corso mediante affidamento diretto delle opere di urbanizzazione al titolare del permesso di costruire (Geometra Orobico n. 4/2009).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: M. Fiorona, Piano Casa regionale: brevi riflessioni a margine del convegno dell'01.10.2009 per tecnici comunali, geometri e geometri laureati della provincia di Bergamo.

URBANISTICA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 2^ lezione - parte A (diritti edificatori) (Geometra Orobico n. 4/2009).

APPALTI: I. Filippetti, Prime note a margine della “norma antiracket” contenuta nella lettera m-ter) dell’articolo 38 del Codice dei contratti pubblici (link a www.amministrazioneincammino.luiss.it).

APPALTI: S. Cresta, La nuova causa di esclusione dalle gare ex art. 38 del Codice degli appalti introdotta dal c.d. pacchetto sicurezza (L. 15.07.2009, n. 94) (link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: F. Logiudice, In house providing in pillole (link a www.altalex.com).

NEWS

ENTI LOCALI: Class action nella pubblica amministrazione.
Il Consiglio dei ministri, nella riunione del 15.10.2009, ha approvato uno schema di decreto legislativo che, attuando una specifica delega conferita al Governo, introduce nel nostro ordinamento il nuovo istituto del ricorso per l'efficienza delle Amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici e ne detta la disciplina processuale.
La "class action" rientra nel sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Il provvedimento, da una parte mira al recupero di efficienza dell'apparato pubblico e ad un forte recupero di produttività, dall'altra garantisce la tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle Amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard di riferimento. È prevista una tipologia di ricorsi diversa dall'azione collettiva introdotta dalla legge finanziaria per il 2008.
L'introduzione della "class action" ha il fine di: assicurare elevati standard qualitativi ed economici dell'intero procedimento di produzione del servizio reso all'utenza, tramite la valorizzazione del risultato ottenuto; nonché quello di prevedere: mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati o che violano le norme preposte al loro operato; l'obbligo per le amministrazioni, i cui indicatori di efficienza o produttività si discostino in misura significativa dai valori medi dei medesimi indicatori rilevati tra le amministrazioni omologhe, di fissare ai propri dirigenti anche l'obiettivo di allineamento ai parametri deliberati dall'organismo centrale di valutazione; l'attivazione di canali di comunicazione utilizzabili dai cittadini per segnalare qualsiasi disfunzioni nelle PA. (link a www.governo.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Entra nel vivo la riforma della pa targata Brunetta.
Il 09.10.2009 Consiglio dei Ministri ha definitivamente approvato il decreto legislativo di attuazione della legge di riforma della pubblica amministrazione.
La riforma ha l'obiettivo di migliorare l'organizzazione del lavoro pubblico e la qualità delle prestazioni erogate, adeguare i livelli di produttività e riconoscere i meriti e i demeriti dei dipendenti e dei dirigenti pubblici. Una riforma che coinvolge tutto l'apparato pubblico e che nei prossimi mesi sarà sperimentata nei Comuni sulla base di una intesa che il Ministro ha firmato con l'Anci. L'obiettivo è aumentare la produttività del lavoro pubblico dal 20 al 50 per cento.
"Una rivoluzione nel funzionamento della pubblica amministrazione che è una grande spinta per la modernità del Paese -ha dichiarato il Premier- che ha voluto ribadire i principi della riforma: maggiore trasparenza, risposte più rapide, meno assenteismo e più cortesia e qualità dei servizi, una amministrazione realmente al servizio dei cittadini".
Principio ispiratore della riforma: la trasparenza come accessibilità totale a tutte le informazioni concernenti l'organizzazione, gli andamenti gestionali, l'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali e dei risultati.
La novità del provvedimento è l'istituzione dell'agenzia di valutazione -ha affermato Brunetta- che ci porta a livello europeo per standard, controlli e valutazioni.  (link a www.governo.it).

VARI: Incentivi per l'acquisto di moto e ciclomotori.
Sono disponibili i fondi stanziati dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare per finanziare l'acquisto di ciclomotori, motocicli, tricicli e quadricicli, a basso impatto ambientale.
Si tratta di oltre cinque milioni di euro da destinare agli incentivi per l'acquisto di nuovi veicoli e per la rottamazione di vecchi ciclomotori. All'iniziativa sono destinati 5,1 milioni di euro (su un totale di 14,5 milioni di euro stanziati dal Ministero dell'Ambiente).
L'accordo tra il Ministero e l'ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori) prevede diverse categorie d'incentivo: motociclo elettrico; quadriciclo elettrico; ciclomotore elettrico; ciclomotore Euro 2 a quattro tempi; ciclomotore Euro 2 a due tempi. Non occorre rottamare un vecchio modello qualora si decidesse di acquistare un motociclo elettrico, un quadriciclo elettrico o un ciclomotore elettrico. In tutti gli altri casi di acquisto, l'agevolazione è legata alla contestuale rottamazione di un vecchio ciclomotore (Euro 0 o Euro 1).
Per la procedura di acquisto è sufficiente recarsi in uno dei rivenditori aderenti, scegliere il modello su cui ricade l'incentivo e compilare il modulo di richiesta del bonus fornito dal negoziante. L'incentivo viene riconosciuto automaticamente al cliente con uno sconto sul prezzo finale. Il rivenditore trasmetterà successivamente il modulo compilato al Ministero dell'Ambiente, registrando la prenotazione del cliente in un sistema informatizzato. Mensilmente, il ministero procederà ai rimborsi sulla base delle registrazioni telematiche (link a www.governo.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Gara d'appalto - Domanda di partecipazione - Presentata sullo schema predisposto dalla s.a. - Difformità' dalle prescrizioni del bando di gara - Esclusione - Inammissibilità.
Il Consiglio:
- Vista la relazione dell’Ufficio del Precontenzioso che, avendo accertato la sussistenza di un’effettiva difformità tra le prescrizioni del bando di gara e il modulo predisposto dalla Stazione Appaltante del quale le imprese concorrenti potevano avvalersi per presentare la domanda di partecipazione, essendo lo stesso privo della dichiarazione di cui al menzionato punto 8, lettera c), sezione I, del Foglio di Prescrizioni, ha pertanto ritenuto riconducibile la questione rappresentata a fattispecie di predisposizione, da parte della Stazione Appaltante, di modelli allegati al bando di gara ad esso non conformi, già esaminate dall’Autorità nelle seguenti pronunce: deliberazioni n. 68/2006, n. 98/2006 e n. 166/2007; pareri n. 1/2007, n. 52/2008, n. 164/2008, n. 229/2008, n. 235/2008, n. 257/2008 e n. 21/2009.
- Viste le deliberazioni n. 68/2006, n. 98/2006 e n. 166/2007, nonché i pareri n. 257/2008 e n. 21/2009 con i quali questa Autorità ha sostenuto che la predisposizione di uno schema di domanda di partecipazione difforme dalle prescrizioni della lex specialis di gara costituisce un comportamento equivoco della Stazione Appaltante, idoneo a generare convincimenti non esatti e a dare indicazioni o avvertenze fuorvianti, per cui l’Autorità medesima ha considerato non legittima l’esclusione dalla gara del concorrente in tal modo indotto in errore ed ha ritenuto necessaria la richiesta di un’integrazione documentale.
- Visti altresì i pareri n. 1/2007, n. 52/2008, n. 164/2008, n. 229/2008 e n. 235/2008, nonché il costante orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, sez. V, 17.10.2006 n. 6190 e 21.06.2007 n. 3384) che cristallizzano il principio secondo cui la tutela dell’affidamento e la correttezza dell’azione amministrativa impediscono che le conseguenze di una condotta colposa della Stazione Appaltante possano essere traslate a carico del soggetto partecipante con la comminatoria dell’esclusione dalla gara,
ritiene nei limiti di cui in motivazione, che il provvedimento di esclusione disposto dalla Provincia di Campobasso nei confronti della Società B & B Consulting non è conforme ai principi in materia di contratti pubblici e che la Provincia di Campobasso è tenuta a richiedere un’integrazione documentale della domanda di partecipazione (parere 10.09.2009 n. 93 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Gara d'appalto - Affidamento servizio di tesoreria - Versamento contributo all'autorità - Obbligo - Sussiste - Indeterminabilità valore dell'appalto - Irrilevanza - Pagamento nella misura massima.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attiene, da un lato, all’obbligatorietà del versamento del contributo all’Autorità ai fini della partecipazione alle procedure di gara per l’affidamento dei contratti pubblici nell’ipotesi in cui tale obbligo non sia previsto nella disciplina di gara e il valore del contratto non sia determinato, dall’altro, alla necessità di attivare la procedura di attribuzione del Codice Identificativo della Gara (CIG), mediante accreditamento presso il Sistema Informativo di Monitoraggio delle Gare (SIMOG).
Con specifico riferimento alla questione concernente l’obbligatorietà del versamento del contributo per la partecipazione alle procedure di gara, occorre premettere che l’Autorità si è più volte pronunciata sull’argomento, sostenendo che il versamento del menzionato contributo costituisce condizione di ammissibilità dell’offerta alla procedura di gara con l’effetto che la mancata dimostrazione dell’avvenuto pagamento comporta l’esclusione dell’impresa concorrente, anche nell’ipotesi in cui la lex specialis nulla preveda in tal senso (cfr. da ultimo il parere n. 25 del 31.01.2008, parere n. 189 del 19.06.2008, parere n. 69 dell’11.06.2009). E’ stato, inoltre, precisato che l’onere contributivo non sussiste, invece, nelle ipotesi in cui l’importo a base d’asta sia inferiore a 150.000 euro.
In tal senso, dispongono proprio le deliberazioni che l’Autorità ha emanato in attuazione dell’articolo 1, commi 65 e 67 della Legge 23.12.2005 n. 266 (Deliberazioni 10.01.2007, 24.01.2008, 30.07.2008), alla stregua delle quali gli operatori economici che intendono partecipare a procedure di scelta del contraente sono tenuti al pagamento della contribuzione quale condizione di ammissibilità alla procedura di selezione, nonché devono dimostrare, al momento della presentazione dell’offerta, di avere versato la somma dovuta a titolo di contribuzione, in quanto la mancata dimostrazione dell’avvenuto versamento costituisce causa di esclusione dalla procedura di gara.
Né l’obbligo di contribuzione viene meno nelle ipotesi in cui non vi sia alcuna prescrizione in tal senso nella disciplina di gara dal momento che, come più volte affermato dall’Autorità in precedenti pronunce (più recentemente, cfr. parere n. 25 del 31.01.2008, parere n. 189 del 19.06.2008, parere n. 69 dell’11.06.2009), gli operatori economici, anche qualora la lex specialis non contenga prescrizioni in ordine all’obbligo contributivo, sono ugualmente tenuti ad effettuare tale versamento, stante il fatto che la dimostrazione del pagamento del contributo costituisce per essi condizione di ammissione a presentare l’offerta.
Allo stesso modo, non può essere motivo di esenzione dal versamento del contributo ai fini della partecipazione alla gara il fatto che il valore dell’appalto non sia determinato dalla lex specialis, dal momento che le Risposte ai quesiti sui contributi in sede di gara (consultabili sul sito internet dell’Autorità) disciplinano espressamente tale fattispecie, disponendo che qualora l’importo a base di gara non sia previsto, la determinazione del contributo da versare avviene considerando l’importo massimo previsto dalla deliberazione del 24 gennaio 2008 (cfr. FAQ n. 29), stabilendo in tal modo che nessun tipo di esenzione contributiva sussista in casi simili in capo alla Stazione Appaltante e all’operatore economico.
Ne consegue che qualora una Stazione Appaltante accerti, nel corso delle operazioni di gara, che un concorrente non abbia versato il contributo all’Autorità deve procedere alla sua esclusione a prescindere dal fatto che la lex specialis nulla preveda in tal senso e che il valore del contratto sia indeterminato.
Alla luce di tali premesse e considerando i fatti rappresentati nel caso di specie, il Comune di Marsiconuovo, escludendo la Banca Popolare di Bari per non aver provveduto al versamento del contributo, ha agito conformemente alle menzionate deliberazioni dell’Autorità, che qualificano l’obbligo contributivo quale condizione di ammissibilità a presentare l’offerta.
Infatti, né la circostanza che la lex specialis non riportasse espressamente il menzionato obbligo quale condizione di partecipazione, né l’indeterminatezza del valore posto a base di gara costituiscono fattispecie esimenti in capo alla Banca Popolare di Bari, tenuta, in ogni caso, al versamento del contributo ai fini della partecipazione alla gara.
Con specifico riferimento all’altra questione prospettata, relativa all’obbligo sussistente in capo alla Stazione Appaltante di procedere all’attivazione della procedura di accreditamento presso il sistema SIMOG, occorre premettere che nelle Istruzioni relative alle contribuzioni dovute ai sensi dell’articolo 1, comma 67, della legge 23.12.2005 n. 266 di soggetti pubblici e privati, (consultabili sul sito internet dell’Autorità)alla sezione Modalità e termini di versamento della contribuzione è previsto che le Stazioni Appaltanti che intendono avviare una procedura finalizzata alla realizzazione di lavori o opere pubbliche, ovvero all’acquisizione di servizi e forniture debbono individuare uno o più dipendenti che procedano alla richiesta di accreditamento presso il Sistema Informativo di Monitoraggio delle Gare (SIMOG), per ottenere il Codice Identificativo della Gara (CIG) salvo nelle ipotesi in cui si tratti di lotti di servizi e forniture di importo inferiore a 20.000 euro o di lotti di lavori inferiore a 40.000 euro.
Non essendo prevista altra fattispecie esclusa, l’esonero dall’obbligo di attivazione della procedura di accreditamento al Sistema SIMOG non può ritenersi estendibile altresì alle ipotesi in cui l’importo a base d’asta non sia determinato.
Pertanto, qualora la Stazione Appaltante non abbia provveduto ad effettuare la relativa procedura di accreditamento, la stessa dovrà ovviare all’omissione commessa secondo le modalità indicate dall’Autorità: nel caso in cui la Stazione Appaltante abbia omesso di richiedere il CIG o di indicarlo sulla documentazione di gara, la medesima deve procedere a pubblicare un avviso di rettifica (FAQ n. 6 delle Risposte ai quesiti sui Contributi in sede di gara), mentre qualora l’Ente Appaltante abbia provveduto a perfezionare l’originaria procedura di scelta del contraente senza richiedere il Codice CIG e le circostanze non consentano, in relazione allo stato di avanzamento del procedimento, l‘assunzione di specifici provvedimenti correttivi, deve procedere ad acquisire il Codice CIG e versare –pur se scaduti i termini temporalmente previsti– la relativa quota di contribuzione (FAQ n. 6 delle Risposte ai quesiti sugli obblighi informativi verso l’Autorità di cui all’articolo 7, comma 8 del D.Lgs. n. 163/2006).
Analizzando i fatti rappresentati nel caso di specie alla luce delle menzionate premesse, appare evidente come l’omissione in cui è incorso il Comune di Marsiconuovo, in ordine all’attivazione della procedura di accreditamento della gara presso il Sistema SIMOG al fine di ottenere il rilascio del Codice CIG, non è confortata da specifiche esenzioni in tal senso disposte dall’Autorità per i casi in cui il valore del contratto posto a base di gara non sia determinato.
Ne consegue che il Comune di Marsiconuovo avrebbe dovuto attivare la procedura di accreditamento presso il Sistema SIMOG e deve pertanto sanare l’omissione posta in essere.
Tuttavia, non avendo proceduto in tal senso al momento dell’indizione della gara ed essendo oramai la procedura stessa giunta alla fase di aggiudicazione provvisoria, fase in cui non è più possibile ovviare all’omissione mediante la pubblicazione di un avviso di rettifica che comunichi ai concorrenti il Codice CIG, il Comune di Marsiconuovo, in ossequio alle prescrizioni di cui alla FAQ 6 sugli obblighi informativi verso l’Autorità di cui all’articolo 7, comma 8 del D.Lgs. n. 163/2006, dovrà provvedere ad acquisire il Codice CIG presso il Sistema SIMOG e versare la relativa quota di contribuzione, anche se sono ormai scaduti i termini; inoltre, dovrà comunicare il medesimo Codice CIG alla concorrente aggiudicataria, al fine di consentirle di integrare la documentazione prodotta in sede di partecipazione a comprova dell’avvenuto pagamento con un’apposita autodichiarazione che, riportando i dati mancanti concernenti la gara, certifichi che il versamento del contributo all’Autorità prodotto in sede di gara sia stato effettuato esclusivamente ai fini della partecipazione alla procedura di gara in questione (in tal senso, FAQ 27 sui Contributi in sede di gara).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il provvedimento di esclusione adottato dal Comune di Marsiconuovo nei confronti della Banca Popolare di Bari è conforme alla normativa di settore e che il Comune medesimo è in ogni caso tenuto ad effettuare la procedura di accreditamento presso il Sistema SIMOG al fine di ottenere il Codice CIG ed a versare la relativa quota di contribuzione e deve in ogni caso consentire alla concorrente (parere 10.09.2009 n. 92 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Gara d'appalto - Criterio offerta economicamente più vantaggiosa - Formula attribuzione punteggi offerta economica - Deve essere utilizzato tutto il range differenziale previsto per la voce - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
Con riferimento alla preliminare eccezione di carenza di interesse dell’impresa INPA S.p.A. in quanto non avrebbe partecipato alla gara in questione, va osservato che l’art. 2 del nuovo regolamento sul procedimento per la soluzione delle controversie ai sensi dell’articolo 6, comma 7, lettera n), del D.Lgs. 12.04.2006, n, 163, adottato dall’Autorità il 10.01.2008 (in G.U. 28.01.2008, n. 23) ha ampliato la categoria dei soggetti legittimati a richiedere il parere in questione rispetto all’art. 2 del precedente regolamento del 10.10.2006 (in G.U. 24.10.2006, n.248), aggiungendo alla “stazione appaltante” e alla “parte interessata” (divenuta “l’operatore economico”) anche i “soggetti portatori di interessi pubblici o privati nonché portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati”.
Ciò premesso, va tuttavia rilevato che, nella prassi dell’Autorità, il requisito della partecipazione alla procedura concorsuale viene generalmente considerato necessario per poter rivolgere l’istanza di parere, anche alla luce della causa di inammissibilità introdotta dall’art. 3 del nuovo regolamento, attinente all’“assenza di una controversia insorta fra le parti”. Infatti, chi non abbia partecipato alla procedura concorsuale, resta un soggetto terzo rispetto alle eventuali controversie che possano insorgere tra la stazione appaltante e le altre parti interessate.
Ciò non toglie che, in casi eccezionali, come nel caso di specie, quando la richiesta di parere investa questioni di massima che riguardino aspetti cruciali delle regole della concorrenza, sulla corretta osservanza delle quali l’Autorità è istituzionalmente deputata a vigilare nel settore di propria competenza, possa sussistere un interesse strumentale di un soggetto non partecipante alla gara all’enunciazione di principi che possano orientare, anche in futuro, le stazioni appaltanti nella stesura dei bandi di gara nel pieno rispetto delle regole del mercato.
Come già evidenziato nel parere del 20.03.2008 n. 95, l’Autorità è infatti competente ad esaminare l’avvenuto rispetto della concorrenza sotto il profilo della garanzia di un’ampia apertura al mercato a tutti gli operatori economici del settore ed in particolare è chiamata a vigilare su un’effettiva concorrenza che, come recentemente statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza del 22.11.2007, n. 401, deve essere intesa come concorrenza “per” il mercato, in cui il contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei valori comunitari e costituzionali.
Premesso quanto sopra, deve ritenersi che la formulazione del criterio di assegnazione del punteggio all’offerta economica contenuta nel bando sia tale da compromettere i predetti valori.
Come è noto, la disciplina dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 83 del Codice dei contratti è stata recentemente modificata dal c.d. terzo correttivo (D.Lgs. 11.09.2008, n. 152) che ha reso più stretti gli ambiti di libertà valutativa delle offerte, imponendo alle stazioni appaltanti di stabilire, fin dalla formulazione del bando, tutti i criteri di valutazione dell’offerta, precisando, ove necessario, anche i sub criteri e la ponderazione e cioè il valore o la rilevanza relativa attribuita a ciascuno di essi, conformemente ai principi comunitari (pareri dell’Autorità del 12.02.2009 n. 22 e 26.02.2009 n. 27).
In proposito, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha ricordato che i criteri di aggiudicazione definiti da un’amministrazione aggiudicatrice devono essere collegati all’oggetto dell’appalto, non devono conferire alla detta amministrazione una libertà incondizionata di scelta, devono essere espressamente menzionati nel capitolato d’oneri o nel bando di gara e devono rispettare i principi fondamentali di parità di trattamento e trasparenza (sentenza 17.09.2002, causa C-13/99, Concordia Bus Finland, punto 64). In particolare, la Corte di giustizia ha precisato che il dovere di rispettare il principio di parità di trattamento corrisponde all’essenza stessa delle direttive in materia di appalti pubblici e che i concorrenti devono trovarsi su un piano di parità sia nel momento in cui essi preparano l’offerta, sia nel momento in cui queste sono valutate (sentenza 18.10.2001, causa C-19/00, SIAC Construction, punto 34).
Alla luce di tali principi, se è vero che rientra nella discrezionalità amministrativa l’individuazione dei criteri di valutazione e la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, nel rispetto della proporzionalità e della ragionevolezza (parere dell’Autorità del 20.04.2008 n. 93), è anche vero che, una volta effettuata tale scelta discrezionale, attribuendo un massimo di 60 punti all’offerta tecnica ed un massimo di 40 punti all’offerta economica, la stazione appaltante non può adottare una formula matematica che, nella sostanza finisca, per rendere totalmente ininfluente l’offerta economica, riducendo da 40 a 4 punti il possibile scarto tra il minimo ribasso e il massimo ribasso.
Nella fattispecie, si pensi ad esempio alla presentazione di cinque offerte in cui il ribasso dell’aggio di riscossione, costituente il corrispettivo del servizio, sia pari, rispettivamente, al 29%, al 28%, al 27%, al 26% e al 1%. L’aggio medio di tutte le offerte sarebbe del 22,2% e il punteggio attribuibile alle cinque offerte sarebbe, rispettivamente:
38,70 = 40 – (29 : 22,2)
38,74 = 40 – (28 : 22,2)
38,79 = 40 – (27 : 22,2)
38,83 = 40 – (26 : 22,2)
39,96 = 40 – (1 : 22,2)
Quindi tra un’offerta economica di minimo ribasso del 29% e un’offerta di massimo ribasso del 1% vi sarebbe uno scarto di punteggio assegnabile di soli 1,26 punti.
La decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 28.09.2005, n. 5194, invocata dall’impresa istante, è del tutto pertinente, essendosi occupata di un caso simile in cui, a fronte di un criterio di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa che prevedeva l’attribuzione di un punteggio fino a 60 punti per l’offerta tecnica e di un punteggio fino a 40 punti per l’offerta economica, la formula matematica adottata conduceva a comprimere il range valutativo dell’offerta economica da 40 punti a 10 punti. In tal modo, ha osservato il Consiglio di Stato, il punteggio economico massimo attribuibile, pari, in astratto, ai 4/10 del punteggio totale, si è ridotto, di fatto –con la predetta sterilizzazione del punteggio massimo assegnabile all’offerta economica– ad un rapporto pari a circa 1/6. Percentualmente, quindi, il valore dell’offerta economica, nell’economia generale dell’attribuzione dei punteggi è disceso dal 40% ad un valore di poco superiore al 15%. Una scelta siffatta è stata ritenuta dal Consiglio di Stato illogica e contraddittoria, “finendo per svilire ingiustificatamente una delle voci principali previste per l’assegnazione dei punteggi e potendo produrre, inoltre, una situazione per cui già all’esito delle operazioni necessarie per l’assegnazione del punteggio all’offerta tecnica la commissione giudicatrice potrebbe essere in grado di definire, sostanzialmente, l’esito della gara”.
La giurisprudenza ha chiaramente affermato che, nell’ambito di una gara d’appalto svolta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, può ritenersi logico l’utilizzo, per la valutazione economica delle offerte, di una formula matematica tendente ad attribuire un punteggio inversamente proporzionale al ribasso effettuato dai concorrenti, poiché costituisce lo strumento maggiormente idoneo a contemperare da un lato, la par condicio tra gli stessi e, dall’altro, l’interesse della stazione appaltante alla scelta dell’offerta migliore (TAR Lombardia Milano, sez. I, 17.10.2007, n. 6102). E’ stato altresì affermato che, in sede di valutazione dell’offerta economica, i criteri di attribuzione del punteggio possono essere molteplici e variabili purché, nell’assegnazione degli stessi, venga utilizzato tutto il potenziale range differenziale previsto per la voce in considerazione, anche al fine di evitare un ingiustificato svuotamento di efficacia sostanziale della componente economica dell’offerta (TAR Lazio, sezione III-quater, 13.11.2008, n. 10141). Tale pronuncia si è occupata di una fattispecie del tutto analoga a quella oggetto del presente parere ed ha affermato che, a seguito dell’utilizzazione del contestato criterio valutativo, si è determinato un illogico appiattimento del punteggio spettante per l’offerta economica, con la conseguenza che il suo valore nell’economia generale dell’attribuzione dei punteggi si è ridotto in maniera tale da privare ampiamente di contenuto significativo la stessa offerta economica e da assegnare preponderanza decisiva a quella tecnica, al di là di quello che era il rapporto potenziale oggetto di autolimitazione da parte della stessa amministrazione.
Tale sentenza è stata confermata dalla recente decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, 03.06.2009, n. 3404, che, nel dare atto della novità delle questioni trattate, ha ribadito che la formula matematica impiegata, ancorata alla media delle altre offerte, si presta a facili distorsioni e turbative, essendo sufficiente presentare una offerta di disturbo con prezzi molto elevati e che si scostano dalla media degli altri (agevolmente prevedibile ex ante sulla scorta della conoscenza dei prezzi di mercato) per far salire verso l’alto il prezzo medio ed appiattire dunque la valutazione delle offerte economiche.
Il Consiglio di Stato ha altresì precisato che, mentre la valutazione degli elementi qualitativi dell’offerta consente margini di apprezzamento rimessi alla stazione appaltante, la valutazione del prezzo, sia nel criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sia nel criterio del prezzo più basso, è ancorata a semplice proporzionalità o progressività, sicché al prezzo complessivamente più basso deve corrispondere necessariamente un punteggio complessivamente più alto, il che anche nel caso all’esame del Consiglio di Stato non si è verificato, avendo conseguito offerte economiche diverse, punteggi sostanzialmente uguali. “Tale elementare e chiaro meccanismo imposto dal diritto comunitario”, prosegue la citata decisione, “non può essere inquinato con formule matematiche ancorate a medie variamente calcolate che introducono nella valutazione della singola offerta economica elementi ad essa estranei, tratti dalle altre offerte economiche” con la conseguenza che la pur ampia discrezionalità della stazione appaltante nella fissazione dei criteri di valutazione delle offerte incontra un limite invalicabile “nel divieto di rendere complicato un meccanismo legale assolutamente semplice e univoco, attraverso formule matematiche non solo inutili ma addirittura dannose sia per la tutela della par condicio dei concorrenti, sia per l’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa” posto che alla maggiore complessità delle operazioni di gara (per applicare una formula matematica non richiesta dalla legge) consegue il risultato di penalizzare ingiustificatamente le offerte più basse.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il criterio di attribuzione del punteggio dell’offerta economica contenuto nel bando si pone in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria di settore (parere 10.09.2009 n. 88 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: Appalti di ll.pp. - Requisiti di qualificazione - Previsione di requisiti ulteriori all'attestazione SOA - Inammissibilità - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
La questione prospettata sembrerebbe non riguardare il motivo per cui, a cagione della incompletezza della documentazione presentata –“in quanto non è stata prodotta la “domanda di partecipazione”– sarebbe stata esclusa l’offerta dell’impresa istante, quanto piuttosto la possibilità, da parte della stazione appaltante, di prevedere, nei bandi di gara per l’affidamento di appalti di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro, requisiti di partecipazione maggiori od ulteriori in aggiunta all’attestazione SOA.
Nei suesposti termini, peraltro, la suddetta questione avrebbe dovuto essere fatta tempestivamente valere con specifico gravame avverso il bando asseritamente limitativo della partecipazione alla gara (cfr. ex multis: Cons. St., Sez. V, 19.03.2009, n. 1624; 03.02.2009, n. 594; 28.10.2008, n. 5384; 30.07.2008, n. 3804; Sez. VI, 20.01.2009, n. 256).
Sicché, è dubitabile che la società istante –in disparte la vexata quaestio della pregiudizialità amministrativa– possa ricavare una concreta utilità dal vaglio di questa Autorità, avendo corrisposto all’invito di partecipare alla gara, dalla quale è stata (automaticamente) esclusa alla stregua dei requisiti imposti dalla lex specialis.
Non di meno, la valenza di ordine generale del quesito posto merita che sia specificato quanto segue.
Occorre, infatti, segnalare che sulla richiamata questione prospettata dall’impresa istante si è più volte pronunciata questa Autorità (si vedano ex multis: le deliberazioni n. 103/2007 e 112/2007 nonché i pareri n. 71 del 23.10.2007 e n. 264 del 17.12.2008) e che, tenendo conto di tali precedenti, si deve pervenire alla conclusione che, nella fattispecie in esame, risulta essere stato violato l’art. 1, commi 3 e 4 del DPR n. 34/2000, così come prospettato dall’impresa PIPPONZI s.r.l.
La citata disposizione regolamentare, infatti, come riportato in narrativa, prevede, al comma 3, che “Fatto salvo quanto stabilito all’articolo 3, commi 6 e 7, (e cioè per gli appalti di importo a base di gara superiore a 20.658.276 euro e per le imprese stabilite in altri Stati aderenti all’Unione europea) l'attestazione di qualificazione rilasciata a norma del presente regolamento costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell'affidamento di lavori pubblici” ed al successivo comma 4, stabilisce, altresì, che “le stazioni appaltanti non possono richiedere ai concorrenti la dimostrazione della qualificazione con modalità, procedure e contenuti diversi da quelli previsti dal presente titolo, nonché dai titoli III [requisiti per la qualificazione] e IV [norme transitorie] ”lavori pubblici”.
Da tale precetto normativo discende, quindi, che i requisiti di ordine generale, tecnico ed organizzativo che devono essere posseduti dalle imprese per poter partecipare alle gare di appalto di lavori pubblici, dettagliatamene individuati dagli articoli 17 e s.s. del suddetto Regolamento, devono intendersi come inderogabili da parte della stazione appaltante, che non può prevedere requisiti maggiori o ulteriori rispetto a quelli fissati per legge.
Conseguentemente, è da ritenere che la clausola di cui al punto 2bis del disciplinare di gara per l’appalto dei lavori in oggetto –con la quale si richiede la “dichiarazione sostitutiva di avere eseguito, negli ultimi 10 anni, almeno una pista di atletica ad anello a 6 o 8 corsie con indicato il committente, il luogo e la data di esecuzione con allegata la fotocopia del relativo certificato di omologazione o dichiarazione di regolare esecuzione e conformità al Regolamento Tecnico I.A.A.F. rilasciati da F.I.D.A.L.”– costituisce una ingiustificata restrizione dell’accesso alla gara, in contrasto con il citato art. 1, commi 3 e 4 del DPR 34/2000, oltreché con il favor partecipationis, cui devono uniformarsi le procedure di affidamento dei contratti pubblici.
Si rende, peraltro, opportuno evidenziare che la stazione appaltante avrebbe potuto, comunque, soddisfare il dichiarato obiettivo di interesse pubblico sotteso alla clausola di cui sopra -consistente nell’assicurare la conformità della prestazione oggetto del contratto di appalto alle specifiche tecniche IAAF, ai fini dell’indispensabile rilascio del collaudo sportivo- richiamando tali specifiche tecniche nel Capitolato Speciale d’Appalto e aggiungendo l’espressione “o equivalente”. Nel caso di specie, infatti, non essendo possibile individuare diversamente con la necessaria precisione l’oggetto della prestazione contrattuale, può trovare legittima ragione e giustificazione la deroga espressamente prevista dal comma 13 dell’art. 68 che recita: “A meno di non essere giustificate dall’oggetto dell’appalto, le specifiche tecniche non possono menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare né fare riferimento a un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti. Tale menzione o riferimento sono autorizzati, in via eccezionale, nel caso in cui una descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell’oggetto dell’appalto non sia possibile applicando i commi 3 e 4, a condizione che siano accompagnati dall’espressione <<o equivalente>>”.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei sensi di cui in motivazione, illegittima la prefata clausola di cui al punto 2bis del disciplinare di gara per l’appalto dei lavori in oggetto (parere 10.09.2009 n. 86 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATAPerché si possa parlare di ristrutturazione è necessaria l'esistenza di un edificio che, pur non abitato o abitabile, sia connotato nei suoi elementi essenziali -dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
E’ opportuno riportare la motivazione sulla cui base, previo rinvio al parere contrario all’intervento espresso dalla commissione edilizia integrata nella seduta del 31.03.2005, l’autorizzazione richiesta da parte ricorrente è stata respinta:
…preso atto che il recupero ambientale ed il restauro edilizio per la realizzazione del parco turistico viene attuato attraverso un intervento di ristrutturazione edilizia di 13 manufatti ricadenti in zona che il P.R.G. designa verde vincolato, il P.T.P. dei Campi Flegrei designa P.I. (protezione integrale) ed il Parco dei Campi Flegrei la delimita come “zona a riserva integrale”.
Esprime parere contrario al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione dell’intervento per i seguenti motivi:
"I 13 manufatti da recuperare attraverso l’intervento di ristrutturazione allo stato sono costituiti in prevalenza da minuscole porzioni di murature, che delimitano il solo perimetro di base senza consentire la possibilità di individuare nei connotati essenziali i manufatti e la loro funzione. Non è possibile procedere, con sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi essenziali del manufatto preesistente (altezza – tipo di copertura – volumetria). La ricostruzione dei manufatti, nel rispetto della volumetria e sagoma preesistenti non è possibile verificarla in relazione alla porzioni di strutture attualmente esistenti, quasi tutte prive di copertura ed in massima parte coperte da sabbia e vegetazione arbustiva spontanea.
L’intervento, a norma dell’art. 9 del P.T.P. dei Campi Flegrei, è incompatibile con le esigenze di tutela ambientale dal momento che arreca danni alle essenze arboree ed arbustive esistenti in zona (la cosiddetta macchia mediterranea).
La realizzazione degli impianti sportivi (campi di calcetto, di tennis, di pallavolo e di bocce) e dei percorsi (viottoli e viali) così come graficamente rappresentati in progetto, comporta il taglio e l’espianto di vegetazione arbustiva e della macchia mediterranea spontanea, vietato dalla norma del P.T.P. (art. 11, comma 5, delle norme di attuazione).
L’intervento di ristrutturazione non si limita al solo recupero edilizio delle porzioni di manufatti preesistenti, ma comporta un’urbanizzazione di un’area poco frequentata dall’uomo, anche perché posta al di là della linea ferroviaria (Circumflegrea) non facilmente accessibile. Attualmente la zona è priva di tutte le opere di urbanizzazione (strada di accesso, fognatura, illuminazione, rete idrica ecc) ed, a norma dell’art. 11, comma 5, della Norme di Attuazione del P.T.P. dei Campi Flegrei, non è consentita un’urbanizzazione, in quanto interventi da eseguirsi in tale zona devono assicurare solamente la conservazione e la tutela dell’area e tendere al mantenimento dell’attuale vegetazione tipica
”.
Parte ricorrente, per contro, ha sostenuto la riconducibilità dell’intervento ad una ipotesi di ristrutturazione edilizia, attuata mediante demolizione e ricostruzione di fabbricati aventi le medesime caratteristiche
L’attuale stato di degrado, peraltro, non sarebbe ostativo alla qualificazione proposta, atteso che lo stesso sarebbe, in parte, addebitabile al lungo tempo trascorso tra la presentazione la sua prima richiesta di autorizzazione (risalente al 1997) e la decisione dell’amministrazione (adottata nel 2005).
Sul punto occorre osservare che la stessa parte ricorrente non afferma, né negli scritti difensivi, né negli atti progettuali allegati al ricorso, la esistenza, alla data di presentazione delle varie richieste, di fabbricati sufficientemente integri da potersi predicare in relazione agli stessi quel giudizio di identità tra organismo edilizio preesistente e organismo edilizio successivo, che, per concorde giurisprudenza in materia, fa sì che l’intervento possa essere qualificato come ristrutturazione e non come nuova costruzione (cfr. sulla necessità, perché possa parlarsi di ristrutturazione, dell’esistenza di un edificio che, pur non abitato o abitabile, sia connotato nei suoi elementi essenziali -dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura- in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione e sulla estraneità alla fattispecie di interventi da realizzare nei confronti di ruderi o resti di edifici da tempo diruti e, pertanto, privi di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare, cfr. da ultimo, TAR Trentino Alto Adige Trento, 08.01.2009, n. 3, TAR Veneto Venezia, sez. II, 05.06.2008, n. 1667) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 24.09.2009 n. 5073 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: La mamma si fa male sullo scivolo... ed il comune paga.
Se la madre si fa male mentre aiuta il figlio a scendere dallo scivolo sussiste la responsabilità per custodia ex articolo 2051 c.c. del comune; tutto ciò anche se la stessa ha “fatto un uso scorretto, salendo in senso inverso alla struttura”.
Il comune ha l’obbligo di risarcire il danno, in caso di infortunio avvenuto in un parco giochi, a meno che non riesca a dimostrare un utilizzo imprevedibile delle attrezzature, sia quando l’infortunato è un minore e sia quando a farsi male è un genitore.
Per sollevarsi dalla responsabilità ex articolo 2051 c.c., infatti, non è sufficiente che il comune provi la buona manutenzione delle strutture presenti nel parco giochi e l’uso improprio delle stesse, ma deve, altresì, dimostrare che tale utilizzazione è stata assolutamente inusuale, da parte sia dei minori che dei genitori (o delle persone adulte con essi presenti) e, di conseguenza, assolutamente imprevedibile
(Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 22.09.2009 n. 20415 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVI: Né la mancata indicazione dell’Autorità giudiziaria cui indirizzare un eventuale ricorso, né l’omessa precisazione del relativo termine, costituiscono motivo di illegittimità dell’atto amministrativo.
Né la mancata indicazione dell’Autorità giudiziaria cui indirizzare un eventuale ricorso, né l’omessa precisazione del relativo termine, costituiscono, per giurisprudenza consolidata, motivo di illegittimità dell’atto amministrativo, ma, al più, una mera irregolarità suscettibile, nel concorso di ulteriori e significative circostanze, di giustificare in favore del destinatario la concessione del beneficio della remissione in termini per errore scusabile (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n° 5812 del 22.10.2002; TAR Basilicata n° 901 del 27.11.2008; TAR Sardegna n° 1649 dell’08.08.2008; TAR Campania-Napoli n° 5244 del 05.06.2008; TAR Calabria-Catanzaro n° 441 dell’08.05.2008; TAR Campania-Napoli n° 2207 del 16.04.2008; TAR Lazio-Roma n° 10462 del 18.10.2006) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 17.09.2009 n. 5001 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un modesto ampliamento di un preesistente vano finestra può essere ragionevolmente ricondotto allo schema della manutenzione straordinaria.
L’intervento in questione presenta una portata estremamente limitata, trattandosi di un modesto ampliamento di un preesistente vano finestra, con il ché non appare essere stata determinata alcuna reale ed effettiva alterazione del prospetto e della configurazione del fabbricato, così da condurre alla realizzazione di un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” e alla conseguente classificazione dell’operato in termini di ristrutturazione edilizia (come comunemente opinato in caso di effettuazione di aperture ex novo di varchi in funzione di porte o finestre): invece, il caso di specie, a giudizio del Collegio, l’accaduto può essere ragionevolmente ricondotto allo schema della manutenzione straordinaria (cfr. Cass. Pen. sez. III, n° 10856 del 04.10.1995), essendosi in definitiva soltanto –in sostanza- operato un rinnovo dell’elemento finestra preesistente (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 17.09.2009 n. 5001 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla normativa in materia di autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
I
l Collegio di condividere in toto quanto affermato da Cons. di Stato sez. VI, n° 3483 del 22.06.2007, secondo cui <<va osservato che il D.Lgs. n. 42/2004 nel mentre ha introdotto nella disciplina a regime una serie di innovazioni non solo di ordine sostanziale, ma anche procedimentale in tema di autorizzazione paesaggistica, e tra l'altro il divieto di autorizzazione in sanatoria (art. 146), ha però previsto all'art. 159 un " procedimento di autorizzazione in via transitoria", "fino alla approvazione dei piani paesaggistici", che, pur innovando per taluni aspetti la previgente disciplina, non contiene anche il divieto di autorizzazione in sanatoria.
Né vale obiettare che la disciplina introdotta dall'art. 146 sarebbe entrata immediatamente in vigore in mancanza di un espresso differimento, giacché la previsione di una normativa transitoria (per il tempo necessario alla approvazione dei piani paesaggistici) non può che determinare la temporanea sospensione della disciplina a regime.
Che in questi termini vada letto il combinato disposto dagli artt. 146 e 159 del D.Lgs. n. 42 è confermato del resto dalle "disposizioni correttive e integrative" apportate con il successivo D.Lgs. 24.03.2006, n. 157 il quale, mentre da un lato ha temperato la rigidità del divieto di autorizzazione in sanatoria introducendo una serie di eccezioni (cfr. art. 167 D.Lgs. n. 42/2004 come riformulato dall'art. 27 D.Lgs. n. 157/2006), dall'altro ha esteso anche alla fase transitoria il divieto di autorizzazione in sanatoria seppure con le eccezioni anzidette (cfr. art. 159, 6° comma, come riformulato dall'art. 26 D.Lgs. n. 157).
È dunque solo con la novella del 2006 che è stato esteso al procedimento di autorizzazione della fase transitoria il divieto di sanatoria nella nuova versione. E la ragione di ciò si rinviene agevolmente nel fatto che protraendosi nel tempo la fase transitoria (per la mancata approvazione dei piani paesaggistici) si è ritenuto di raccordare -quanto alla disciplina "sostanziale"- la autorizzazione della fase transitoria con quella a regime, tanto più che con i temperamenti introdotti il divieto di sanatoria veniva ad essere limitato agli interventi di maggiore impatto, e segnatamente a quelli comportanti "creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati
".>>: e alla stregua di tale modo di vedere, e tenuto conto che il diniego del quale si discute è datato 20.09.2005 (per cui è anteriore all’entrata in vigore del Decr. Leg.vo 157/2006, avvenuta il 12.05.2006), deve concludersi che il rilascio di una autorizzazione paesistica postuma era in quel momento ben possibile giuridicamente (e, nel senso qui propugnato, cfr. anche Cons. Giust. Amm. Sicilia n° 295 dell’11.04.2008; TAR Campania-Napoli n° 1470 del 21.03.2008).
Per completezza, poi, non può non sottolinearsi che, nell’attuale quadro normativo di riferimento (connotato proprio dalle disposizioni introdotte dall’art. 27 del ricordato Decr. Leg.vo 157/2006), in base al disposto di cui al riformulato art. 167 Decr. Leg.vo 42/2004, l’intervento in discussione ben sarebbe paesisticamente autorizzabile in via postuma, non avendo “determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 17.09.2009 n. 5001 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Concorso pubblico, posti vacanti ed obbligo di scorrere la graduatoria.
In vigenza di validità di una graduatoria di un concorso pubblico, l’Amministrazione che vuole procedere a nuove assunzioni per coprire eventuali posti vacanti che si sono resi disponibili, non lo può fare indicendo un nuovo concorso, ma ha invece l’obbligo di scorrere la stessa graduatoria, assumendo i relativi idonei (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 15.09.2009 n. 8743 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia, ricostruzione e nuova costruzione.
La Cassazione è tornata a soffermarsi sulle diversità che caratterizzano gli interventi di ristrutturazione, ricostruzione e nuova costruzione.
Si tratta degli interventi la cui definizione legislativa è contenuta nell’articolo 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, il quale dopo aver definito gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e gli interventi di restauro e di risanamento conservativo, si sofferma alla lettera d) sugli interventi di ristrutturazione edilizia.
Sono quelli “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”.
Comprendono “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
Aggiunge la stessa disposizione che “nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
Gli interventi di nuova costruzione rappresentano una categoria residuale nella quale sono stati inclusi “quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti”, salvo poi l’indicazione (lettera e) di altri particolari interventi da considerare comunque tali.
Sulle definizioni di ristrutturazione edilizia e ricostruzione (a seguito di totale o parziale demolizione), invero, già contenute dall’articolo 31, comma 1, lett. d), della L. 05.08.1978, n. 457, esiste copiosissima giurisprudenza del giudice ordinario, dei Tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato, tendente soprattutto a classificare l’intervento, anche ai fini concessori (individuare il titolo edilizio necessario).
La prima giurisprudenza degli anni ’80 e ’90 aveva già precisato che un intervento costruttivo, che implichi la demolizione e la ricostruzione del preesistente fabbricato, può esser definito come ristrutturazione a condizione che:
a) la nuova costruzione sia fedele;
b) vengano conservate le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente;
c) la successiva ricostruzione dell'edificio riproduca almeno nelle linee fondamentali, quanto a sagoma e volumi, quello preesistente, con esclusione della realizzazione di nuovi volumi.
Diversamente argomentando, basterebbe la mera preesistenza di un precedente edificio su cui si opera per definire ogni intervento come ristrutturazione (Cons. Stato, Sez. V, 14-12-2006, n. 7445; Cons. Stato, Sez. V, 24-02-1999, n. 197).
In altre parole, la demolizione di un fabbricato, con conseguente edificazione di un'opera edilizia radicalmente diversa, è del tutto estranea al concetto di ristrutturazione (Cons. Stato, Sez. V, 05-07-1999, n. 789).
Ne deriva che in ipotesi di ricostruzione di un edificio diverso da quello preesistente occorre un titolo edilizio diretto non già alla ristrutturazione, ma all’edificazione del nuovo fabbricato “anche se detta demolizione sia stata provocata dalla rovina dell'edificio” (Cons. Stato, Sez. V, 04-08-1999, n. 938).
Tuttavia, gli interventi di ristrutturazione comprendono la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi e impianti e quindi comportano la creazione di un edificio in tutto o in parte nuovo rispetto al precedente.
La conseguenza è che la trasformazione può comportare un aumento di superficie utile, ma non aggiunte di volumi in ampliamento o sopraelevazione (Cons. di Stato, Sez. V, 26.02.1992, n. 143) e può anche comportare un mutamento della destinazione d'uso dell'immobile (Cass. pen., Sez. III, 17-10-2006, n. 39860).
Per completezza d’informazione, occorre considerare che l'attività di ristrutturazione presenta molte affinità con le attività di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, tanto è vero che tale intervento (ristrutturazione) può essere attuato con attività materiali astrattamente riconducibili alle altre categorie (manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo).
Ciò che rileva ai fini della concreta individuazione della tipologia dell'intervento attuato è la finalità delle opere eseguite che devono essere valutate nel loro complesso al fine di stabilire se vi è stata la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo (TAR Marche, 10-02-1995, n. 71).
In altre parole, gli interventi di ristrutturazione edilizia diversamente dagli interventi di manutenzione straordinaria, che tendono a conservare l'organismo inalterato nei suoi elementi tipologici, sono caratterizzati dalla loro idoneità ad introdurre un qualcosa di nuovo rispetto al precedente assetto dell'edificio, realizzandosi una decisa trasformazione dell'edificio precedente, sì da giungere ad un'opera diversa per tipo, caratteristiche, dimensioni e localizzazioni (Cons. di Stato, Sez. V, 21.12.1994, n. 1559; da ultimo TAR Campania Napoli Sez. IV Sent., 16-04-2009, n. 1977).
Gli interventi di manutenzione straordinaria non possono apportare trasformazioni tali da portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma devono tendere a “conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme di opere che, in conformità agli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio, ne consentano destinazioni d'uso compatibili” (TAR Campania Napoli Sez. IV Sent., 16-04-2009, n. 1977).
La ristrutturazione edilizia, pertanto, non è vincolata al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari o mutamento della destinazione d'uso), sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l'assetto dell'edificio e consente soltanto variazioni d'uso compatibili con l'edificio conservato).
La recente decisione (19287/2009), riepiloga e sintetizza le indicazioni della stessa suprema Corte volte ad individuare le differenze fra ristrutturazione, ricostruzione e nuova costruzione.
La semplice ristrutturazione si verifica quando: “gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un fabbricato le cui componenti essenziali, quali muri perimetrali, strutture orizzontali e copertura siano rimasti inalterati”.
La ricostruzione si ha quando “le componenti dell'edificio, per evento naturale o per fatto umano, siano venute meno e l'intervento successivo non abbia comportato alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, con particolare riferimento alla volumetria, alla superficie di ingombro occupata ed all'altezza”.
Aggiunge che “nel caso di aumento di una delle suddette componenti, si è presenza di una nuova costruzione, da considerare tale agli effetti del computo delle distanze rispetto agli immobili contigui”.
In fatto di distanza dai confini, nel caso venga a configurarsi una nuova costruzione, “la distanza prevista dalle nuove disposizioni va comunque riferita al nuovo fabbricato nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico contenga una norma espressa in tal senso, oppure, in mancanza, alle sole parti eccedenti le dimensioni dell'edificio originario”.
La Cassazione, nel caso di specie ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata, per la mancata verifica da parte dei giudici di merito della conformità del nuovo edificio nell'altezza e nella volumetria, a quello preesistente: “quelli di secondo grado, in particolare, avrebbero dovuto fornire un’adeguata e convincente risposta alle censure degli appellanti, che non è dato, tuttavia, riscontrare nella motivazione, al riguardo elusiva e poco convincente, fornita dalla corte fiorentina”.
I giudici d’appello più precisamente non hanno verificato se gli “eventuali incrementi volumetrici” supposti dal consulente tecnico d’ufficio, come privi di aggravi per la proprietà limitrofa “avrebbero dato luogo ad una nuova costruzione, come tale assoggettabile alle maggiori distanze imposte dalle norme vigenti all'epoca dell'intervento
(Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 07.09.2009 n. 19287 - link a www.altalex.com).

PUBBLICO IMPIEGO: Sulla definizione giurisprudenziale del mobbing.
Il concetto giuridico di "mobbing", da cui può essere affetto un rapporto di lavoro subordinato, presuppone nell'accezione che va consolidandosi pur con varietà di accentuazioni in dottrina e giurisprudenza, una durevole serie di reiterati comportamenti vessatori e persecutori rivolti nei confronti del dipendente all'interno dell'ambiente di lavoro in cui egli opera, capaci di provocare in suo danno una situazione di reale, serio ed effettivo disagio, che si concreta dunque in un danno ingiusto, incidente sulla persona del lavoratore, ed in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psicosomatica. L'illecito si può potenzialmente concretare con una pluralità di comportamenti materiali ovvero anche di provvedimenti, del tutto a prescindere dall'inadempimento di specifici obblighi previsti dalla normativa regolante il rapporto (Trib. Milano, sez. lav., 20.05.2000 e Trib. Milano, sez. lav., 11.02.2002; Cass. civ., sez. lavoro, 06.03.2006 n. 4774).
La sussistenza di una simile situazione deve essere desunta attraverso una complessiva analisi del quadro in cui si esplica la prestazione del lavoratore: gli elementi identificativi sono stati di volta in volta individuati nella reiterazione di richiami e sanzioni disciplinari ingiustificati o nella sottrazione di vantaggi precedentemente attribuiti, che devono registrarsi con carattere di ripetitività, sulla base di un intento sistematicamente perseguito da parte del datore di lavoro al fine di creare una situazione di seria e non transeunte sofferenza nel dipendente (T.A.R. Lazio III, 25.06.2004, n. 6254).
Analogamente a quanto ricorre per i reati collegati fra di loro dalla continuazione il mobbing si deve dunque esprimere, oltre che nei singoli atti o comportamenti del datore di lavoro individuabili in concreto, nel nesso che li lega strettamente fra di loro: essi, infatti, non pervengono alla soglia del mobbing, pur restando se del caso atti illegittimi o comportamenti ingiusti, se non raggiungono la soglia della continuità e della loro particolare finalizzazione, requisiti che dimostrano la sussistenza di un disegno unitario volto a vessare il lavoratore ed a distruggerne la personalità e la figura professionale (cfr. Cassazione, Sez. lavoro 06.03.2006, n. 4774; TAR Lombardia Milano, Sez. I, 21.07.2006, n. 1844; idem, n. 1861/2006).
La giurisprudenza soprattutto del Giudice del Lavoro ha, poi, approfondito ulteriormente la questione, distinguendo il "mobbing" dal "bossing", intendendosi nella prima accezione un comportamento diffuso ed attuato da parte dei colleghi dell'interessato (mobbing orizzontale) o dei suoi superiori (mobbing verticale), che si prefiggono entrambi lo scopo di isolarlo ed a renderlo estraneo al proprio ambiente lavorativo; nella seconda in una precisa strategia aziendale finalizzata all'estromissione del lavoratore dallo stesso ambiente in cui opera a titolo subordinato (cfr. Tribunale di Pinerolo - Sez. lav., 02.04.2004).
Sulla base di quanto ora osservato deve concludersi che il mobbing rappresenta un vero e proprio concetto giuridico a contenuto indeterminato, essendo del tutto assente ogni indicazione sia da parte del Legislatore sia da parte della contrattazione collettiva in ordine ai parametri alla stregua dei quali accertarne o meno la concreta sussistenza e con essa l'illegittimità dei provvedimenti e degli atti ovvero anche l'ingiustizia dei comportamenti tramite i quali si manifesta.
Tale ricognizione si esercita dunque non già alla stregua del mero sindacato esterno di quegli indici formali, ma nella ricerca degli elementi capaci di farne emergere la sussistenza e con essa gli estremi del danno e della sua ingiustizia, avuto particolare riguardo a tutte quelle condotte incidenti sulla reputazione del lavoratore, sui suoi rapporti umani con l'ambiente di lavoro, sul contenuto stesso della prestazione lavorativa.
In detta ricerca non potrà mancare una necessaria linea di demarcazione tra l'esigenza di tutelare i lavoratori che rimangano vittime di iniziative persecutorie e la necessità di evitare l'eccessiva e patologica valutazione di ogni screzio in ambito lavorativo, che non deve comportare alcuna sanzione giuridica per qualsivoglia scorrettezza o per qualunque evento negativo occorso nel luogo di lavoro (cfr. Tribunale Cassino, Sez. lavoro, 18.12.2002, secondo cui il mobbing si differenzia dai normali conflitti interpersonali sorti nell'ambiente lavorativo, i quali non sono caratterizzati da alcuna volontà di emarginare ed espellere il collega o il subordinato dal contesto lavorativo, ma sono legati a fenomeni di antipatia personale o da rivalità o ambizione).
E" comunque incontroverso nella ricordata giurisprudenza che, per aversi mobbing, si debba accertare una serie prolungata di atti volti a soverchiare ovvero anche solo ad accerchiare o ad isolare la vittima, ponendola in una posizione di debolezza sulla base di un intento persecutorio sistematicamente perseguito; fenomeno questo non tipico dell'impiego privato, essendone stata riconosciuta la sussistenza anche con riferimento al lavoro nelle pubbliche Amministrazioni (Trib. Ravenna, 11.07.2002; Trib. Tempio Pausania, 10.07.2003).
Concludendo l'analisi sul punto il mobbing presuppone dunque i seguenti elementi:
a) la pluralità dei comportamenti e delle azioni a carattere persecutorio (illecite o anche lecite, se isolatamente considerate), sistematicamente e durevolmente dirette contro il dipendente;
b) l'evento dannoso;
c) il nesso di causalità tra la condotta e il danno;
d) la prova dell'elemento soggettivo.
Al fine di accreditare un'ipotesi di mobbing non è dunque sufficiente che l'interessato sia stato oggetto di trasferimenti di sede, di mutamenti delle mansioni assegnate, di richiami, sanzioni disciplinari od altro fatto soggettivamente avvertito come ingiusto e dannoso, ma occorre che tali vicende, oltre che essersi ripetute per un apprezzabile lasso di tempo, siano anche legate da un preciso intento del datore di lavoro diretto a vessare e perseguitare il dipendente con lo scopo di demolirne la personalità e la professionalità, il che deve essere poi dimostrato in giudizio secondo l'ordinaria regola dell'onere della prova che governa la richiesta di accertamento dei diritti soggettivi, non essendo sufficiente la mera, soggettiva percezione da parte dell'interessato, che abbia su tale scorta maturato un proprio radicato convincimento personale quanto alla "congiura" ordita dal datore di lavoro ai suoi danni
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 29.06.2009 n. 3585 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Eliminare una parete esterna e mettere una vetrina è ristrutturazione edilizia.
Il richiamo che un P.R.G.C. operi all’art. 31, lett. d), legge n. 457 del 1978 non vale a restringere l’applicabilità della norma (e quindi ad escludere la legittimità di modifiche edilizie sugli edifici realizzati prima del 1945) ai manufatti aventi destinazione residenziale, avendo, invece, significato di criterio di valutazione generale dell’ammissibilità degli interventi su immobili ricadenti in area dichiarata di notevole interesse pubblico.
La eliminazione di una parte della parete esterna di un locale e la realizzazione di un’unica vetrina prospiciente la via pubblica, concretizza un’ipotesi di “alterazione estetica dell’aspetto esteriore” dell’edificio riconducibile alla ristrutturazione edilizia
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 17.02.2009 n. 879 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 19.10.2009

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dossier BOX

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, la 1^ pronuncia (chiara ed incontrovertibile) del TAR sulla gratuita dei box dopo la L.R. n. 12/2005: ora non ci sono più dubbi, i box sono sempre e comunque gratuiti.
Sussiste il regime della gratuità per tutti i parcheggi, indipendentemente dal collegamento con un edificio e senza tenere conto della distinzione tra parcheggi obbligatori e facoltativi.
L’art. 69 della LR 12/2005 segna il superamento delle incertezze del regime anteriore, nell’ambito del quale la giurisprudenza aveva assunto per gradi posizioni sempre più favorevoli alla gratuità dei parcheggi senza tuttavia arrivare al riconoscimento degli stessi come autonomo bene giuridico tutelato in quanto tale dall’ordinamento (v. TAR Brescia 03.05.2006 n. 449; TAR Brescia 26.09.2007 n. 898).
Inizialmente la gratuità è stata infatti intesa come incentivo a introdurre volontariamente la dotazione minima di parcheggi pertinenziali negli edifici esistenti (quindi nelle nuove costruzioni sono stati considerati onerosi anche i parcheggi obbligatori ex art. 41-sexies della legge 17.08.1942 n. 1150). In seguito la gratuità è stata collegata alla funzione pubblica della dotazione minima di parcheggi pertinenziali, tanto negli edifici esistenti quanto nelle nuove costruzioni (quindi sono stati considerati onerosi solo i parcheggi eccedenti la misura minima, a causa della loro natura speculativa).
Con l’art. 69 della LR 12/2005 l’equiparazione dei parcheggi alle opere di urbanizzazione ha raggiunto la sua formulazione più coerente, in quanto l’utilità pubblica dei parcheggi è stata messa in relazione direttamente con gli interessi della viabilità senza la mediazione di uno specifico edificio (di qui l’abbandono del requisito della pertinenzialità) e senza la predeterminazione di limiti quantitativi (di qui il superamento della misura minima ex lege). Tenuto conto della nuova impostazione fatta propria dal legislatore regionale non può essere seguita l’opzione interpretativa del Comune, che tende a riprodurre schemi appartenenti al precedente assetto normativo.
A conferma si osserva che l’esistenza di un vincolo di pertinenzialità è ora richiesta soltanto per beneficiare della deroga agli strumenti urbanistici ex art. 66 della LR 12/2005 e, quindi, si colloca su un piano del tutto diverso rispetto a quello della gratuità del titolo edilizio (v. TAR Brescia 15.04.2009 n. 858) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.09.2009 n. 1709 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’effetto di deroga previsto con formulazione ampia dall’art. 9, comma 1, della legge 122/1989 deve valere anche per la quota di parcheggi eccedente la dotazione obbligatoria.
In base all’art. 69, comma 1, della LR 12/2005 tutti i parcheggi, pertinenziali e non pertinenziali, anche se eccedenti il limite di 1mq/10mc stabilito dall’art. 41-sexies della legge 17.08.1942 n. 1150, sono considerati opere di urbanizzazione e beneficiano per questo del regime della gratuità.
La deroga alle disposizioni urbanistiche è però riservata a una categoria più ristretta di parcheggi, perché in base agli art. 66-67 della LR 12/2005 deve sussistere un vincolo di pertinenzialità trascritto nei registri immobiliari. Non è invece necessario che l’edificio principale abbia destinazione residenziale, né che si tratti di edificio già esistente (v. TAR Brescia 26.09.2007 n. 898).
Pur tenendo conto che la dotazione minima di parcheggi è un obbligo ex lege che integra le previsioni urbanistiche, e costituisce inoltre un requisito preliminare al rilascio del permesso di costruire relativo all’edificio principale, l’effetto di deroga previsto con formulazione ampia dall’art. 9, comma 1, della legge 122/1989 deve valere anche per la quota di parcheggi eccedente la dotazione obbligatoria.
In sostanza, indagando la finalità della norma, si può ritenere che la deroga alla disciplina urbanistica sia concessa non tanto per permettere la realizzazione di nuovi edifici (altrimenti impossibile in mancanza di parcheggi sufficienti) ma soprattutto per incentivare la realizzazione di parcheggi pertinenziali, i quali pur essendo beni privati hanno rilievo pubblico per i vantaggi che assicurano alla viabilità (decongestionamento del traffico, minori oneri per la realizzazione di parcheggi pubblici).
Tuttavia, sia in relazione ai parcheggi obbligatori sia per quanto riguarda i parcheggi facoltativi, non possono essere messi in pericolo gli altri interessi pubblici elencati nell’art. 67 della LR 12/2005, alcuni dei quali hanno valore ambientale come nel caso della tutela dei corpi idrici e della speciale destinazione del sottosuolo (ad esempio il mantenimento di una percentuale di verde profondo per il drenaggio delle acque).
Oltre a questi, per espressa previsione dell’art. 9, comma 1, della legge 122/1989, hanno carattere prioritario i vincoli paesistico-ambientali formalmente istituiti, che pertanto rappresentano un ostacolo alla realizzazione dei parcheggi, salvo il potere di autorizzazione dell’autorità responsabile della tutela del vincolo (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 15.04.2009 n. 858 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In ambito regionale la pertinenzialità attualmente non è più un requisito necessario per l’esenzione dagli oneri concessori (art. 69 della LR 12/2005) mentre è ancora richiesta per beneficiare della deroga agli strumenti urbanistici (art. 66 della LR 12/2005).
Per quanto riguarda la classe dell’edificio (ai fini della quantificazione del costo di costruzione), in mancanza (all’epoca dei fatti) di una norma espressa, appare condivisibile la scelta di tenere conto dell’intera SNR (comprese quindi le autorimesse obbligatorie) in quanto le caratteristiche specifiche prese in esame dagli art. 5, 6, 7 del DM 10.05.1977 misurano qualità oggettive che si trasmettono all’edificio nel suo complesso.

Per scegliere tra le ipotesi di calcolo degli oneri concessori individuate dal consulente tecnico è necessario stabilire se i parcheggi privati ricadano nella definizione di opere di urbanizzazione e quindi siano sottoposti al regime di gratuità previsto dagli art. 9 e 11 della legge 122/1989 e dagli art. 1 e 2 della LR 22/1999.
In ambito regionale la questione è ora positivamente risolta dall’art. 69, comma 1, della LR 11.03.2005 n. 12, in base al quale “i parcheggi, pertinenziali e non pertinenziali, realizzati anche in eccedenza rispetto alla quota minima richiesta per legge, costituiscono opere di urbanizzazione e il relativo titolo abilitativo è gratuito”. Il comma 2 dell’art. 69 della LR 12/2005 specifica che “ai fini del calcolo del costo di costruzione, le superfici destinate a parcheggi non concorrono alla definizione della classe dell'edificio”.
Prima dell’entrata in vigore della LR 12/2005, nel periodo in cui si colloca la vicenda in esame, vi era una situazione di incertezza, in quanto la giurisprudenza interpretava l’art. 9 della legge 122/1999 in senso restrittivo riconoscendo la gratuità del titolo edificatorio soltanto ai parcheggi da adibire al servizio di edifici già esistenti (v. CS Sez. V 24.10.2000 n. 5676) ma in ambito regionale la formulazione ampia dell’art. 2, comma 2, della LR 22/1999 (che non distingue i parcheggi a seconda dell’edificio a cui sono collegati) sembrava autorizzare conclusioni diverse. Questa seconda strada appare preferibile.
Pur senza attribuire alla sopravvenuta disposizione dell’art. 69 della LR 12/2005 il valore di norma interpretativa, si può mettere in relazione l’art. 2, comma 2, della LR 22/1999 con l’art. 4, comma 4, della LR 05.12.1977 n. 60, secondo il quale per il calcolo degni oneri relativi agli edifici residenziali “i volumi e gli spazi destinati al ricovero di autovetture non sono computati, salvo che per la quota eccedente quella richiesta obbligatoriamente per parcheggio”.
Quest’ultima norma (ora abrogata dalla più ampia disciplina della LR 12/2005) era riferibile in primo luogo ai nuovi edifici e distingueva tra i parcheggi obbligatori e quelli facoltativi attribuendo implicitamente ai primi una funzione di pubblico interesse e ai secondi una finalità speculativa. Si può ritenere che inserendosi in tale contesto l’art. 2, comma 2, della LR 22/1999 abbia mantenuto la distinzione qualificando espressamente come opere di urbanizzazione i parcheggi obbligatori indipendentemente dal fatto che siano collegati o meno a edifici già esistenti. A conferma di questa conclusione si osserva che l’utilità delle opere di urbanizzazione ha carattere oggettivo e riguarda non solo il singolo edificio ma il territorio nel suo insieme, il che rende indifferente il momento in cui i parcheggi sono realizzati.
Il Comune eccepisce che nel caso in esame non è mai stato formalmente costituito e trascritto un vincolo di pertinenzialità (fatto non contestato) e dunque la disciplina di favore non potrebbe trovare applicazione. Questa tesi non è condivisibile.
Come si è anticipato sopra, in ambito regionale la pertinenzialità attualmente non è più un requisito necessario per l’esenzione dagli oneri concessori (art. 69 della LR 12/2005) mentre è ancora richiesta per beneficiare della deroga agli strumenti urbanistici (art. 66 della LR 12/2005).
Prima della LR 12/2005 la giurisprudenza subordinava in effetti la gratuità alla formazione di un vincolo di pertinenzialità (v. CS Sez. V 22.12.2005 n. 7344). Occorre peraltro osservare che il vincolo può essere costituito anche in un momento successivo rispetto al titolo edificatorio. Inoltre nel caso dei parcheggi collegati a nuovi edifici la pertinenzialità è presunta, nel senso che l’art. 41-sexies, comma 1, della legge 1150/1942 subordina il rilascio del titolo edificatorio alla presenza di una dotazione minima di spazi aventi questa destinazione (nel caso in esame la concessione edilizia del 02.02.2001 richiama espressamente al punto 7 l’obbligo di riservare a parcheggio aree nella misura minima di legge).
Per i parcheggi obbligatori la costituzione di un vincolo di pertinenza non è quindi necessaria agli effetti urbanistici, in quanto il collegamento con l’abitazione principale emerge direttamente dal progetto complessivo dell’intervento edilizio. Il carattere automatico del vincolo può essere osservato anche sul piano civilistico, dove nel caso di riserva della proprietà degli spazi obbligatori di parcheggio da parte del costruttore-venditore sorge ex lege a favore degli acquirenti un diritto reale d'uso. All’epoca dei fatti questa era la situazione consolidata. La formale stipulazione di un vincolo ha assunto rilevanza solo in conseguenza dell’art. 41-sexies, comma 2, della legge 1150/1942 (aggiunto dall’art. 12, comma 9, della legge 28.11.2005 n. 246), il quale per gli edifici realizzati successivamente ha stabilito il principio della libera commerciabilità dei parcheggi pertinenziali (v. Cass. civ. Sez. II 24.02.2006 n. 4264).
Sulla base delle considerazioni svolte sopra appare corretta la soluzione descritta dal consulente tecnico nell’ipotesi b). Il calcolo degli oneri concessori deve quindi essere svolto escludendo il volume e la superficie delle sole autorimesse obbligatorie.
Per quanto riguarda la classe dell’edificio, in mancanza (all’epoca dei fatti) di una norma espressa, appare condivisibile la scelta di tenere conto dell’intera SNR (comprese quindi le autorimesse obbligatorie) in quanto le caratteristiche specifiche prese in esame dagli art. 5, 6, 7 del DM 10.05.1977 misurano qualità oggettive che si trasmettono all’edificio nel suo complesso (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 26.09.2007 n. 898 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

GURI - GUUE - BURL ( e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: MONITORAGGIO DEGLI INTERVENTI ASSENTITI DAI COMUNI IN ATTUAZIONE DELLA L.R. 13/2009 (decreto D.U.O. 14.10.2009 n. 10428).

EDILIZIA PRIVATA: MODALITA' OPERATIVE PER INTERVENTI DI SOSTITUZIONE EDILIZIA IN CENTRI STORICI E NUCLEI DI ANTICA FORMAZIONE AI SENSI DEL COMMA 4, ARTICOLO 3, L.R. 13/2009 (decreto D.U.O. 14.10.2009 n. 10411).

QUESITI & PARERI

PUBBLICO IMPIEGO: Progressioni verticali.
Il Comune di (omissis) pone quesito sull’applicabilità della risposta resa da questo Servizio di Consulenza su di un quesito formulato da un altro Comune in materia di progressioni verticali. In particolare citando la sentenza del Consiglio di Stato n. 7304/2004 ed altre decisioni della giustizia amministrativa esprime una sorta di perplessità sul parere precedente e chiede chiarimenti sulla possibilità di effettuare progressioni verticali che possano risultare in contrasto con le ormai consolidate posizioni della giurisprudenza e della dottrina (Regione Piemonte, parere n. 100/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: L. Bellagamba, La leggerezza interpretativa del Consiglio di Stato: sarebbe legittimo prevedere l’«esperienza maturata» come parametro di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in quanto da essa possono trarsi «indici significativi (…) dell’affidabilità dell’impresa»! (link a www.linobellagamba.it).

URBANISTICA: D. Meneguzzo, Regime giuridico della convenzione di lottizzazione e conseguenze del suo inadempimento (link a http://venetoius.myblog.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: All’Amministrazione è precluso il restringere il numero dei partecipanti alle gare fino al punto da non assicurare una reale concorrenza fra gli stessi. La stazione appaltante può ovviamente elevare la soglia dei requisiti idoneativi al fine di assicurarsi un livello qualitativo adeguato all’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’appalto ma deve tuttavia farlo procedendo ad un equo bilanciamento dei diversi interessi.
Deve aderirsi all’indirizzo giurisprudenziale, anche di questo TAR (fra le ultime, TAR Puglia Lecce, I, 01.07.2008, n. 2017), il quale -sulla scia di importanti pronunce della Corte di Giustizia CE: v. in particolare sent. n. 299 del 14.10.2004; n. 210 del 14.12.2004; n. 463 del 13.05.2003- ritiene all’Amministrazione precluso il restringere il numero dei partecipanti alle gare fino al punto da non assicurare una reale concorrenza fra gli stessi. La stazione appaltante, la quale può ovviamente elevare la soglia dei requisiti idoneativi al fine di assicurarsi un livello qualitativo adeguato all’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’appalto, deve tuttavia farlo procedendo ad un equo bilanciamento dei diversi interessi, non relegando ad un ruolo marginale la tutela della concorrenza e il favor partecipationis, e ciò anche in relazione al disposto dell’art. 42, comma 3, del d.lgs. 163/2006 (riproduttivo dell’art. 44, comma 3, Direttiva CE 31.03.2005 18/04/CE), secondo cui le informazioni sulla capacità tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori dei servizi non possono eccedere l’oggetto dell’appalto.
Le amministrazioni, in definitiva, ben possono richiedere alle imprese requisiti di partecipazione ad una gara d’appalto più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché però tali ulteriori prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e adeguatezza e siano giustificate da specifiche esigenze imposte dal peculiare oggetto dell’appalto (cfr. TAR Lecce, III, n. 590/2009): il requisito relativo alla certificazione ISO 14001 previsto nel caso in esame, dunque, risultava illegittimo appunto perché non ragionevolmente calibrato con riferimento alle caratteristiche di un appalto rispetto al quale, come scritto, il profilo della tutela ambientale non era presente in modo particolarmente significativo.
Questo è tanto più esatto ove si tenga conto che l’art. 44 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che le stazioni appaltanti possano richiedere l’indicazione delle misure di gestione ambientale che l’operatore potrà applicare durante l’esecuzione del contratto “unicamente nei casi appropriati” e che tali casi devono essere previsti mediante regolamento, ai sensi dell’art. 42, primo comma, lett. f, del medesimo testo (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 06.10.2009 n. 2247 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: I vincoli espropriativi imposti sulla proprietà privata decadono dopo cinque anni se non interviene una dichiarazione di pubblica utilità.
I vincoli espropriativi imposti su beni determinati dallo strumento urbanistico hanno per legge durata limitata: in linea generale, cinque anni, alla scadenza dei quali, se non è intervenuta dichiarazione di pubblica utilità dell’opera prevista, il vincolo preordinato all’esproprio decade (art. 9 del T.U. delle norme in materia di espropriazione per pubblica utilità, approvato con D.P.R. 08.06.2001, n. 327).
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza anche di questo Tribunale –dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi- la decadenza dei vincoli urbanistici espropriativi o che, comunque, privano la proprietà del suo valore economico, comporta l’obbligo per il Comune di “reintegrare” la disciplina urbanistica dell’area interessata dal vincolo decaduto con una nuova pianificazione. Ne consegue che il proprietario dell’area interessata può presentare un’istanza, volta a ottenere l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica -così come è avvenuto nel caso in esame- e l’amministrazione è tenuta a esaminarla, anche nel caso in cui la richiesta medesima non sia suscettibile di accoglimento, con l’obbligo di motivare congruamente tale decisione (Consiglio di Stato, sez. IV, 22.06.2004, n. 4426; TAR Campania, Salerno, sez. I, 03.06.2009, n. 2825; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 25.06.2009, n. 1167; Catania, sez. I, 13.03.2008, n. 467; 18.07.2006, n. 1183; 21.06.2004, n. 1733); fermo restando, naturalmente, il potere discrezionale dell’Amministrazione comunale in ordine alla verifica e alla scelta della destinazione, in coerenza con la più generale disciplina del territorio, meglio idonea e adeguata in relazione all’interesse pubblico al corretto e armonico suo utilizzo (Consiglio di Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3025).
In ordine ai termini di durata dei vincoli espropriativi urbanistici, va, peraltro, richiamato il parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 461/2005 dell'01.09.2005 –dalla cui condivisibile interpretazione non si ravvisano ragioni per discostarsi– secondo cui deve ritenersi applicabile nel territorio della Regione Siciliana il termine di durata quinquennale dei vincoli espropriativi urbanistici di cui all’art. 9 del D.P.R. 327/2001, con decorrenza dalla data di approvazione degli strumenti urbanistici (cfr. sul punto, anche TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 09.07.2008, n. 905).
In ordine all’obbligo di provvedere, è stato evidenziato che l’obbligo gravante sul Comune in caso di decadenza di vincolo preordinato all’esproprio, va assolto mediante l’adozione di una variante specifica o di variante generale, gli unici strumenti che consentono alle amministrazioni comunali di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale, rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse (in termini: Consiglio di Stato, sez. IV, 31.05.2007, n. 2885). Il potere di conformazione urbanistica, peraltro, è attribuito dalla legge all’organo consiliare, di talché il semplice avvio del procedimento di revisione del piano regolatore generale comunale non costituisce adempimento da parte del comune dell’obbligo di attribuire la riqualificazione urbanistica alla zona rimasta priva di specifica disciplina a seguito di decadenza del vincolo di destinazione su di essa gravante (cfr.: Consiglio di Stato, sez. IV, 05.12.2006, n. 7131; sez. V, 01.10.2003, n. 5675).
L’adempimento non elusivo di tale obbligo può essere dato, infatti, soltanto dallo specifico ed effettivo completamento del Piano regolatore generale per quella zona, mediante adozione di un provvedimento espresso (e cioè di una variante) da parte del competente Organo consiliare.
La decadenza dei vincoli urbanistici per l'inutile decorso del termine quinquennale dall'approvazione del piano regolatore generale obbliga il comune a procedere alla nuova qualificazione dell'area rimasta priva di disciplina, per cui è illegittima l'inerzia serbata al riguardo dalla p.a. ed è possibile la formazione del silenzio rifiuto a seguito dell'intimazione da parte dei proprietari dell'area stessa. Laddove, però, l'amministrazione, a giustificazione del silenzio, pronunci asserzioni generiche e non indichi con precisione i tempi procedimentali necessari, il provvedimento silenzioso va dichiarato illegittimo, con la consequenziale declaratoria dell'obbligo di provvedere in capo all'organo competente ad effettuare discrezionalmente la scelta della nuova destinazione da imprimere all'area, mediante adeguata motivazione (TAR Puglia Bari, sez. II, 22.11.2001, n. 5129; in senso conforme: TAR Campania, Salerno, sez. II, 16.06.2008, n. 1944; TAR Lazio, Latina, sez. I, 04.12.2007, n. 1485) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 06.10.2009 n. 1565 - link a
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ENTI LOCALI: Sulla possibilità di trasformare il gettone di presenza in indennità di funzione ai sensi dell'art. 82 del TUEL (d.lvo n. 267/2000).
Ai sensi dell'art. 82 del d.l.vo n. 267/2000 (TUEL), gli statuti e i regolamenti degli enti possono prevedere, a richiesta di ciascun consigliere, la trasformazione del gettone di presenza in una indennità di funzione, sempre che tale regime comporti per l'ente pari o minori oneri finanziari.
La circolare del Ministero degli Interni n. 8/2001 indica le cautele da adottare per evitare che la trasformazione della retribuzione con gettone di presenza in indennità di funzione si possa tradurre per l'ente in una spesa superiore. Sulla base di tale indicazione l'ente deve effettuare una oculata e realistica previsione, individuando un concreto riferimento nel numero di sedute svoltesi nel corso dell'anno precedente, prevedendo un conguaglio da operarsi alla fine di ciascun anno in caso di spesa superiore.
Nel caso di specie, nonostante l'iter procedimentale seguito dal consiglio comunale non sia immune da censure non sembra possano essere ritenuti sussistenti, nemmeno all'esito di un eventuale giudizio, gli elementi costitutivi delle fattispecie di reato contestate (art. 323 co. 1 e 2 cp. e art. 640 co. 1 e 2 n. 2 cp.). Non è configurabile l'elemento psicologico del reato di cui all'art. 323 cp., in quanto, sia pure con un certo ritardo, il consiglio comunale, nel confermare la misura dell'indennità, ha espressamente previsto il criterio del conguaglio in caso di aggravio di spesa derivante dalla corresponsione dell'indennità di funzione.
L'impossibilità di ravvisare, quanto meno sul piano dell'elemento psicologico il reato di abuso in atti di ufficio, determina l'insussistenza del reato di truffa aggravata rispetto al quale l'abuso è strumentale, ed, inoltre, non è possibile individuare, pur nell'iter alquanto controverso seguito dal consiglio comunale, elementi quali gli artifizi e i raggiri indispensabili per la configurazione della fattispecie delittuosa di cui all'art. 640 cp.. Le decisioni sono dunque scaturite da una attività amministrativa non correttamente esercitata, ma certamente trasparente e orientata anche da un dibattito nel quale non sono mancate opinioni contrarie, anche se poi, una volta approvate le delibere, tutti i consiglieri comunali hanno esercitato l'opzione in favore della indennità di funzione (TRIBUNALE civile e penale di Salerno (ufficio del GIP), sentenza 06.10.2009 n. 556 - link a
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EDILIZIA PRIVATALe disposizioni sulle distanze fra i fabbricati dettate dall'art. 873 c.c., che hanno lo scopo di evitare pericolose intercapedini tra pareti che si fronteggiano, vincolano, con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e sicurezza, anche i Comuni in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici.
La normativa sulle distanze deve essere quindi rispettata quando attraverso la ristrutturazione si modifica sostanzialmente il manufatto esistente, realizzando un organismo edilizio diverso dal precedente per volume e sagoma, perché in tal caso si integrano gli estremi di una vera e propria nuova costruzione non riconducibile concettualmente né tipologicamente alla categoria giuridica della ristrutturazione come disciplinata dall’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, recante il Testo Unico dell’Edilizia.
L’ordinamento giuridico prevede, in via generale, limitazioni di varia natura al diritto di costruire, a tutela dell’ordinato sviluppo del territorio e dei diritti dei terzi controinteressati.
Tali limiti possono essere di natura civilistica e dipendere direttamente dalla legge (come stabilito nel libro terzo, capo secondo, del codice civile con le norme sulle distanze, le luci, le vedute, etc.) o dall’autonomia pattizia delle parti o essere di natura pubblicistica, e dipendere dalle scelte urbanistiche ed edilizie effettuate dall’amministrazione.
I limiti legali, come quelli sulle distanze, peraltro non sono diretti solo a tutelare la proprietà privata ed i rapporti tra vicini ma anche l’ordinato sviluppo urbanistico del territorio, ed infatti molto spesso tali limiti coincidono con i limiti che i vari Comuni inseriscono nei piani regolatori o sono da questi resi più rigorosi. Per tali profili gli aspetti pubblicistici e gli aspetti privatistici dell’attività edificatoria si sovrappongono ed assumono rilevanza qualificata nel procedimento di rilascio di un permesso di costruire.
Per quanto riguarda in particolare le distanze fra i fabbricati, i limiti all’edificazione sono dettati, oltre che dalle norme del codice civile, dall’art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 (che, al di fuori delle zone A dei Piani Regolatori, prevede una distanza minima assoluta di 10 metri tra le pareti finestrate e le pareti degli edifici antistanti) e dalla disciplina di dettaglio contenuta nella strumentazione urbanistica ed edilizia dei singoli Comuni.
In proposito si è affermato che le disposizioni sulle distanze fra i fabbricati dettate dall'art. 873 c.c., che hanno lo scopo di evitare pericolose intercapedini tra pareti che si fronteggiano (Consiglio di Stato, sez. IV, 05.10.2005, n. 5348), vincolano, con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e sicurezza, anche i Comuni in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato, sez. V, 26.10.2006, n. 6399).
In conseguenza gli organi comunali, a seguito della richiesta di rilascio di un permesso di costruire, sono tenuti a verificare il rispetto delle norme previste dagli strumenti urbanistici ed edilizi in materia di distanza tra gli edifici, così garantendo anche il rispetto delle norme codicistiche sulle distanze (TAR Campania, Napoli, Sez. II, n. 19795 del 2008).
le disposizioni sulle distanze dettate dall'art. 9 del DM n. 1444 del 1968 (e dal Regolamento Edilizio Comunale) si applichino a tutti gli interventi edilizi che abbiano il contenuto sostanziale di nuova costruzione, e quindi anche alle ristrutturazioni con ampliamento dei volumi (Cassazione civile, Sez. II, 28 settembre 2007 n. 20574).
La normativa sulle distanze deve essere quindi rispettata quando attraverso la ristrutturazione si modifica sostanzialmente il manufatto esistente, realizzando un organismo edilizio diverso dal precedente per volume e sagoma, perché in tal caso si integrano gli estremi di una vera e propria nuova costruzione non riconducibile concettualmente né tipologicamente alla categoria giuridica della ristrutturazione come disciplinata dall’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, recante il Testo Unico dell’Edilizia.
Infatti il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla ricostruzione del manufatto, ma tanto può ritenersi consentito alla precisa condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma e volume tra il vecchio e il nuovo manufatto. È quindi possibile pervenire in tal modo ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, purché la diversità sia dovuta ad interventi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, e non già la realizzazione di nuovi volumi o una diversa ubicazione. Ciò in quanto, diversamente opinando, sarebbe sufficiente la preesistenza di un edificio per definire ristrutturazione qualsiasi nuova realizzazione eseguita in luogo o sul luogo di quella preesistente (Consiglio di Stato, sez. V, 04.03.2008, n. 918).
Le disposizioni sulle distanze devono essere poi applicate anche nel caso di sopraelevazione di un immobile esistente. Infatti la circostanza che un edificio preesista non dà diritto a mantenere l'allineamento acquisito per una eventuale sopraelevazione, fatti salvi casi particolari, quando l'allineamento corrisponda a un interesse pubblico autonomo e attinente all'assetto urbanistico complessivo di una zona urbanistica (Corte Costituzionale 16.06.2005 n. 232) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 30.09.2009 n. 5110 - link a
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ESPROPRIAZIONE: DELIMITAZIONE DI UN'AREA (PER COSI' DIRE) "PUBBLICA".
1.- Espropriazione ed occupazione - Accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di esproprio - Passaggio proprietà dal privato alla p.A. - Non sussiste - Caducazione in caso di mancata conclusione della procedura - Ammissibilità.
2.- Espropriazione ed occupazione - Indennità - Determinazione - Con accordo bonario - Ammissibilità - Futura contestazione sull'ammontare - Inammissibilità.
3.- Espropriazione ed occupazione - Procedimento - Decreto espropriazione - Mancata adozione entro i termini - Caducazione intera procedura - Ex tunc - Ammissibilità.

1.- In tema di espropriazione per pubblica utilità l'accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di esproprio non comporta la cessione volontaria del bene, sicché è sempre necessario il completamento del procedimento al fine del passaggio della proprietà del bene dall'espropriato all'espropriante: pertanto, detto accordo non ha valenza sostitutiva degli atti conclusivi, ma viene invece a caducarsi ed a perdere efficacia qualora il procedimento non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio.
2.- L'unico effetto derivante dalla sottoscrizione di un accordo bonario è quello di precludere ogni futura contestazione sull'importo dell'indennità di espropriazione ove, ultimato il procedimento, si addivenga al trasferimento del bene all'espropriante.
3.- La decorrenza dei termini prefissati senza che sia stato emanato il decreto di esproprio comporta l'inefficacia, ex art. 13, co. 3, L. n. 2359/1865, della dichiarazione di pubblica utilità, con conseguente venir meno, ex tunc, dell'intero procedimento. Ciò si evince dalla lettera e dalla ratio dello stesso art. 13, co. 3, il quale dispone che in questo caso l'amministrazione avrebbe dovuto procedere all'adozione di una nuova dichiarazione di pubblica utilità (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 30.09.2009 n. 2464 - link a http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATANon è illegittima una motivazione, anche succinta, di un diniego che si fondi sul parere contrario ai fini paesaggistici e che l'onere motivazionale ben può essere assolto mediante l'individuazione, nell'intervento abusivo, di caratteristiche che oggettivamente ne impediscono il corretto inserimento nella zona che è oggetto di specifica tutela.
Risulta dunque sufficientemente motivato il parere negativo adottato dalla Soprintendenza e fatto proprio dal Comune che individua l’incompatibilità della natura dell’opera (capanno per attrezzi agricoli) con il paesaggio circostante, in un’area sottoposta a vincolo ex lege.

Rileva il Collegio che, come già affermato in generale dalla giurisprudenza in materia di sanatoria edilizia, non è illegittima una motivazione anche succinta di un diniego che si fondi sul parere contrario ai fini paesaggistici e che l'onere motivazionale ben può essere assolto mediante l'individuazione, nell'intervento abusivo, di caratteristiche che oggettivamente ne impediscono il corretto inserimento nella zona che è oggetto di specifica tutela, ancorché l'amministrazione utilizzi formule di diniego analoghe nei confronti di altre fattispecie, quando che le connotazioni individuate rispetto al manufatto sono comuni ad una vasta gamma di interventi abusivi e quindi la motivazione adottata può ben apparire stereotipa per un gran numero di casi, purché siano esternate le ragioni per le quali le caratteristiche costruttive ed i materiali utilizzati arrechino pregiudizio alla bellezza tutelata.
Nel caso in esame vi è lo specifico riferimento alla natura dell’opera, un capanno per attrezzi che, come osserva la stessa relazione descrittiva presentata dal ricorrente è realizzato “con struttura in metallo, pannelli in legno ed onduline plastificate”. La Soprintendenza ha quindi ritenuto che tale manufatto, costruito in assenza di autorizzazione paesaggistica, sia incompatibile con i valori tutelati dal vincolo (in materia Tar Toscana 19.06.2007 n. 890).
Ancora, in un caso simile al presente, sempre il Tar Toscana ha osservato come, in sede di diniego di concessione edilizia in sanatoria, il giudizio in ordine alla compatibilità degli interventi, in quanto espressione di un potere tecnico-discrezionale, si rileva censurabile in sede di legittimità solo per palesi errori attinenti la valutazione degli elementi di fatto o per illogicità (Tar Toscana 27.11.2006 n. 6052). Nel caso in esame tale illogicità non è presente, in quanto vi è preciso riferimento alla natura dell’opera e alla circostanza che la stessa arrechi modificazioni allo stato dei luoghi.
Né sussiste un obbligo dell’ente preposto al parere o alla decisione di ribattere punto per punto a quanto affermato nell’istanza di sanatoria, o tanto meno quello di indicare, in una logica comparativa degli interessi in gioco, prescrizioni tese a rendere l’intervento compatibile con la bellezza di insieme tutelata, la cui protezione risponde ad un interesse pubblico normalmente prevalente su quello privato, anche per la rilevanza costituzionale che il primo presenta (Cds Sez. VI 15.05.2008 n. 233).
Del resto il contenuto della relazione descrittiva presentata dal ricorrente, in atti, è comunque generico limitandosi ad affermazioni apodittiche sulla compatibilità paesaggistica del manufatto, tra cui quella che il capanno è visibile solo dalla proprietà del ricorrente.
Va altresì ricordato che il Consiglio di Stato, in sede consultiva (Parere Sez. II 19.10.2005 n. 09029 - Ad. del 15.06.2005 n. sez. 1956) ha osservato, con riguardo al procedimento di cui all’art. 1 c. 38 del D.lgs. 308/2004, come il Comune possa discostarsi da parere della Soprintendenza solo con adeguata motivazione, tenendo conto della rilevanza degli interessi coinvolti, dato che la tutela ambientale assume “valore costituzionale primario”. Logico corollario del valore del bene tutelato è che vi è ampia discrezionalità degli enti preposti nello stabilire la compatibilità paesaggistica di opere costruite in assenza di concessione edilizia e di autorizzazione paesaggistica.
Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, risulta dunque sufficientemente motivato il parere negativo adottato dalla Soprintendenza e fatto proprio dal Comune che individua l’incompatibilità della natura dell’opera (capanno per attrezzi agricoli) con il paesaggio circostante, in un’area sottoposta a vincolo ex lege (TAR Marche, sentenza 30.09.2009 n. 932 - link a
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EDILIZIA PRIVATALa possibilità di realizzare in zona A nuove costruzioni a meno di 10 metri da pareti finestrate si deve considerare subordinata alla presenza di una specifica disciplina comunale adottata in relazione al particolare stato dei luoghi.
Con il primo motivo viene proposta un’interpretazione dell’art. 9, comma 1, n. 1 e 2 del DM 1444/1968 in base alla quale in zona A per gli interventi qualificabili come nuova costruzione (ossia diversi dal risanamento conservativo e dalla ristrutturazione) dovrebbe comunque essere applicata la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate prevista per le nuove costruzioni al di fuori della zona A.
La tesi contiene elementi di ragionevolezza, in quanto la necessità di evitare intercapedini malsane si fonda su esigenze igienico-sanitarie che valgono l’intero territorio comunale. La soluzione proposta non può tuttavia essere condivisa. Gli argomenti che impediscono l’accoglimento della tesi dei ricorrenti sono essenzialmente due, uno formale e uno sostanziale.
Sul piano formale occorre prendere atto della formulazione dell’art. 9 del DM 1444/1968, che non prevede per la zona A una distanza minima tra pareti finestrate nel caso di nuova costruzione. È vero che il centro storico è per definizione edificato e quindi normalmente non esiste il problema di inserire nuovi edifici, ma questa evenienza non può neppure essere del tutto esclusa. Occorre poi considerare che nella terminologia dell’art. 9 del DM 1444/1968 hanno valore di nuova costruzione tutti gli interventi comportanti ulteriore volumetria, come emerge dal fatto che gli edifici sono presi in considerazione in quanto “volumi edificati preesistenti”.
Aumenti di volumetria possono quindi certamente riguardare anche il centro storico, prevalentemente in occasione di interventi di ristrutturazione o di recupero del sottotetto. Accertata una lacuna nell’art. 9, comma 1, n. 1 del DM 1444/1968 non sarebbe tuttavia corretto, per il principio generale che vieta l’analogia in malam partem, applicare le norme limitative previste per le altre zone del territorio. Il risultato logico è invece l’estensione del potere di regolamentazione dei comuni, ai quali è in definitiva rimessa la scelta della distanza minima (v. Cass. civ. Sez. II 03.02.1999 n. 879: “il punto n. 1 dell'art. 9 di tale decreto, autorizza i Comuni a prevedere in queste aree dei distacchi diversi e minori da quelli che devono essere rispettati nelle altre parti del territorio”).
Sul piano sostanziale il riconoscimento di un ampio potere regolatorio dei comuni impone che sia raggiunto a livello locale un equilibrio accettabile tra le esigenze edificatorie dei privati e la tutela degli interessi pubblici urbanistici e igienico-sanitari. Di conseguenza, a parte i casi in cui non vi sia in concreto il rischio di intercapedini (v. TAR Brescia 03.07.2008 n. 788), la possibilità di realizzare in zona A nuove costruzioni a meno di 10 metri da pareti finestrate si deve considerare subordinata alla presenza di una specifica disciplina comunale adottata in relazione al particolare stato dei luoghi.
Sotto questo profilo può essere applicato il comma 3 (secondo periodo) dell’art. 9 del DM 1444/1968, in quanto norma che precisa le condizioni di esercizio del potere regolatorio dei comuni. Indubbiamente questa norma ha come oggetto primario l’edificazione al di fuori del centro storico (circostanza evidenziata dal riferimento alle convenzioni di lottizzazione con previsioni planivolumetriche).
Potendo impostare ex novo l’urbanizzazione di un’area vi è l’opportunità di superare attraverso apposite soluzioni costruttive i problemi derivanti dalla vicinanza degli edifici. Non si può tuttavia escludere che una valutazione in questo senso sia possibile anche in relazione al tessuto urbano già edificato, e in effetti il riferimento della norma ai piani particolareggiati (utilizzabili per qualsiasi parte del territorio, compreso il centro storico) lascia aperta questa opzione interpretativa.
Nel caso in esame esiste un piano particolareggiato del centro storico che per l’edificio della controinteressata consente espressamente la sopraelevazione ai fini del recupero del sottotetto. L’intervento edilizio in questione si colloca quindi all’interno di una puntuale valutazione urbanistica, il che equivale all’autorizzazione a mantenere invariate le distanze preesistenti rispetto alle pareti finestrate dei fabbricati vicini.
È vero che il piano particolareggiato è risalente nel tempo e ormai scaduto per decorrenza del termine decennale (previsto dall’art. 2 del piano stesso) ma gli effetti conformativi sono per interpretazione giurisprudenziale tendenzialmente permanenti (v. CS Sez. IV 04.12.2007 n. 6170). Dunque l’attività edificatoria consiste tuttora nelle facoltà e nelle prescrizioni stabilite dal piano (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.09.2009 n. 1712 - link a
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EDILIZIA PRIVATANel recuperare i sottotetti esistenti ex lege regionale n. 12/2005 l’altezza media ponderale di 2,40 metri deve essere intesa contemporaneamente come misura minima (ai fini dell'abitabilità) e massima (con riguardo alla sopraelevazione dell’edificio).
L’art. 64, comma 1, della LR 12/2005 consente la modificazione delle altezze di colmo e di gronda “unicamente al fine di assicurare i parametri di cui all'articolo 63 comma 6” della medesima legge. Pertanto l’altezza media ponderale di 2,40 metri deve essere intesa contemporaneamente come misura minima (ai fini dell'abitabilità) e massima (con riguardo alla sopraelevazione dell’edificio). La norma tende a evitare che il recupero del sottotetto si trasformi in una generalizzata facoltà di sopraelevazione e assuma in questo modo connotati speculativi.
In relazione alle difficoltà tecniche della sopraelevazione potrebbero essere considerati ammissibili dei modesti incrementi rispetto alla misura di 2,40 metri, ma nel caso in esame lo scostamento è pari circa al 22% e quindi non può essere qualificato come trascurabile. Se esaminato esclusivamente in relazione alla disciplina legislativa regionale l’intervento edilizio sarebbe quindi illegittimo, e non potrebbe essere sanato neppure attraverso l’inserimento del solaio che a quota 2,70 metri separa il piano sottotetto dalla copertura. Questo solaio crea in realtà un secondo sottotetto, ossia un elemento del tutto estraneo alla previsione normativa che consente di sopraelevare l’edificio.
Tuttavia i comuni nell’esercizio del proprio potere regolatorio possono disciplinare il recupero dei sottotetti in maniera più ampia di quanto stabilito dalla legge regionale. Se la normativa comunale è anteriore alla legge regionale (come succede nel caso in esame, dove il piano particolareggiato precede la prima regolamentazione regionale di cui alla LR 15.07.1996 n. 15) le norme più favorevoli mantengono efficacia, sia per il principio di specialità sia perché il recupero dei sottotetti corrisponde a un interesse pubblico di cui la legge regionale individua soltanto la misura minima lasciando spazio per il resto alle scelte urbanistiche dei comuni.
Come si è visto sopra, il piano particolareggiato rinvia al regolamento edilizio, il quale contiene due disposizioni più favorevoli ai proprietari rispetto alla LR 12/2005. Precisamente:
a) permette la sopraelevazione dell’edificio nella misura necessaria a raggiungere l’altezza media interna di 2,70 metri (con un minimo di 2,10 metri) per gli spazi di abitazione;
b) utilizza il parametro dell’altezza media dei singoli locali anziché quello dell'altezza media ponderale delle singole unità immobiliari recuperate nel sottotetto.
La DIA presentata dalla controinteressata segue questa impostazione, il che spiega e giustifica la maggiore altezza interna e la conseguente sopraelevazione dell’edificio.
Quanto al problema del secondo sottotetto ricavato dal posizionamento di un solaio si osserva che neppure la normativa comunale consentirebbe di recuperare il sottotetto creando due piani sovrapposti. Tuttavia in questo caso il secondo sottotetto non appare rilevante in quanto non raggiunge l’altezza media necessaria per essere considerato abitabile (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.09.2009 n. 1712 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: RICORSO PRESENTATO DOPO LA RICHIESTA DI SANATORIA.
Giudizio amministrativo – Procedura – Istanza di sanatoria presentata in data precedente alla introduzione del ricorso ma successivamente alla data del provvedimento di ripristino – Improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse – Dovendosi l’amministrazione comunque ripronunciare sull’istanza di sanatoria in via del tutto autonoma rispetto al provvedimento impugnato Viene meno l’interesse del ricorrente.
Deve essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso proposto avverso l'ordine di ripristino, allorquando risulti presentata una domanda di sanatoria (sia per l'accertamento di conformità che per il "condono") in data precedente alla introduzione del ricorso stesso e successivamente alla data del provvedimento di ripristino.
Ciò in quanto l'esercizio della facoltà di regolarizzare la propria posizione da parte del privato impedisce l'esercizio del potere repressivo dell'Amministrazione, almeno fino a quando la stessa non si pronunci in senso negativo sulla istanza medesima, ed, inoltre, in quanto l'applicazione di detto principio determina, sotto l'aspetto processuale, la sopravvenuta carenza d'interesse all'annullamento dell'atto sanzionatorio in relazione al quale è stata prodotta la suddetta domanda di sanatoria e la traslazione e differimento dell'interesse ad impugnare verso il futuro provvedimento che, eventualmente, respinga la domanda medesima, disponendo nuovamente la demolizione dell'opera edilizia ritenuta abusiva (Consiglio di Stato, sez. VI, 12.11.2008, n. 5646; negli stessi termini TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 07.11.2008, n. 1482; TAR Campania Napoli, sez. IV, 07.11.2008, n. 19352; TAR Sicilia Catania, sez. I, 04.11.2008, n. 1911; TAR Lazio Roma, sez. II, 15.09.2008 , n. 8306).
Di conseguenza il ricorrente non potrebbe ottenere alcun risultato favorevole da tale presente impugnazione, dovendosi l’amministrazione comunque ripronunciare sull’istanza di sanatoria in via del tutto autonoma rispetto al provvedimento impugnato in questa sede (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 25.09.2009 n. 2135 - link a http://mondolegale.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Il lavoro extra non fa danno - Corte conti: la mancata autorizzazione non danneggia di per sé la p.a. - Responsabilità solo se si prova lo scarso impegno.
Non sempre l'attività extraistituzionale svolta da un dipendente pubblico senza la prevista autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza configura un danno erariale. Infatti, è necessario che si dimostri che il dipendente pubblico, per svolgere la sua seconda attività, renda meno sul posto di lavoro. In mancanza di ciò, non è possibile affermare che c'è un danno erariale quale effetto automatico della violazione delle norme sulla mancata autorizzazione di attività extraistituzionali.
È quanto ha messo nero su bianco la Corte di Conti, I Sez. centrale di appello, nel testo della sentenza 16.09.2009 n. 554, con la quale ha mandato esente da responsabilità amministrativa, un funzionario pubblico cui era stato contestato lo svolgimento di attività extralavorativa senza la necessaria e preventiva autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza. Una decisione che, nel merito, ha comunque confermato quanto già statuito dal giudice di primo grado.
Nei fatti oggetto del giudizio di appello, ad un funzionario in servizio presso un ufficio doganale, con rapporto di lavoro a tempo pieno, veniva contestato lo svolgimento di altra attività remunerata senza la prescritta autorizzazione prevista dalla lett. b), punto 5, della circolare n. 6/97 della funzione pubblica. Nello specifico, al funzionario pubblico si contestava di aver svolto, dal marzo 1997 al luglio del 2003, l'attività di amministratore di condomini, con la percezione di compensi per un ammontare complessivo di oltre 95 mila euro.
Il collegio giudicante di primo grado aveva assolto il funzionario in quanto «è mancata la prova necessaria che da tale attività sia derivato un danno all'Erario». In breve, la lamentata «sottrazione di energie lavorative ed intellettuali alla pubblica amministrazione a fini privati» non è stata dimostrata, né tale danno può desumersi dal mancato versamento all'Erario dei compensi percepiti, accertato e perseguito in sede disciplinare, in quanto tale obbligo, secondo i primi giudici, «discende direttamente dalla legge e prescinde comunque dalla produzione di un danno all'amministrazione connesso ad un comportamento gravemente colposo». Principio che, come osservato, è stato confermato anche dal collegio di appello della magistratura contabile.
Dagli atti del giudizio, infatti, è risultato che il funzionario non ha mai nascosto alla propria amministrazione di appartenenza lo svolgimento dell'attività di amministratore condominiale e, soprattutto, «che tale situazione non ha mai in alcun modo limitato o condizionato i propri compiti istituzionali, l'espletamento del lavoro d'ufficio ed il rispetto rigoroso dell'orario di lavoro».
In poche parole, il collegio ha precisato che il danno erariale, ritenuto conseguenza automatica dell'esercizio di attività extraistituzionale e che si è sostanziato nell'illecita sottrazione di energie lavorative ed intellettuali alla p.a., deve essere comunque dimostrato attraverso la prova di una (riscontrata) minore resa del servizio, con abbassamento, anche qualitativo, delle prestazioni lavorative. Sarebbe stato diverso se nel caso in esame ci si fosse imbattuti in un'attestazione in cui si accerti una situazione di disordine amministrativo o contabile che fosse riconducibile esclusivamente al funzionario. Ma nella vicenda di cui ci stiamo occupando tale evenienza non è stata riscontrata. Il datore di lavoro pubblico, infatti, non ha mai imputato al funzionario convenuto alcun disservizio o disordine amministrativo che abbia generato effetti negativi nella gestione del servizio pubblico. Né eventuali ripercussioni negative sul lavoro, per effetto dello svolgimento dell'attività di amministratore di condominio, risultano essere emerse con il procedimento disciplinare (articolo ItaliaOggi del 17.10.2009, pag. 30).

APPALTI: ONERI FORMALI PREVISTI DA UN BANDO DI APPALTO DI LAVORI.
Appalto di lavori – Bando – Stazione appaltante - Requisiti richiesti – Oneri formali e sostanziali.
Nel caso in cui il bando di gara di un appalto di lavori impone ai partecipanti, a pena di esclusione, determinati oneri formali deve ritenersi che la stessa stazione appaltante ha inteso dare prevalenza al principio di formalità collegato alla garanzia della par condicio, che per l'effetto non può essere superato dall'opposto principio del favor partecipationis, fondato su considerazioni di carattere sostanziale (cfr. per l’enunciazione dello stesso principio Consiglio di Stato sent. 3690/2009, 1822/2009, 567/2008),sempre che il possesso dei requisiti richiesti non risulti dal complesso della documentazione presentata dal concorrente ai fini della partecipazione alla gara TAR Puglia-Legge, Sez. III, sentenza 10.09.2009 n. 2108 - (link a http://mondolegale.it).

AGGIORNAMENTO AL 12.10.2009

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DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: L. Bellagamba, La questione del ricalcolo della soglia di anomalia, per difetto di requisiti morali (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: L. Bellagamba, Il difficile problema dell’avvalimento della certificazione di qualità - Quando il bando di gara non è lo schema acquistato al supermercato o scopiazzato da internet … (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI: Nelle gare conta il “curriculum” (link a www.mediagraphic.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: F. Albanese, La valutazione d’incidenza ex art. 5 del D.P.R. 357/1997 come parere obbligatorio, preventivo e vincolante (link a www.lexambiente.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Piano Casa Lombardia, è attivo il servizio web per i comuni relativo agli adempimenti l.r. 13/2009 "Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio e urbanistico della Lombardia".
Con la finalità di monitorare l'attuazione della legge, è richiesta ai Comuni (art. 6, comma 2) la segnalazione a Regione Lombardia dei provvedimenti assunti entro il 15.10.2009 ai sensi dell' art. 5, commi 4 e 6.
Per semplificare tale incombenza è stato realizzato un servizio WEB dedicato, analogo a quello già attivo per il Sistema Informativo Lombardo della VAS.
Gli utenti già registrati a questo servizio possono utilizzare la stessa password.

EDILIZIA PRIVATA: CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Disco verde a uno schema di decreto che attua il Codice - Paesaggio, autorizzazioni snelle - Per interventi di lieve entità il via libera entro 60 giorni.
Semplificate le autorizzazioni paesaggistiche per interventi di lieve entità; l’autorizzazione sarà rilasciata al massimo entro 60 giorni invece che in 105 giorni; necessaria la relazione di un professionista; interessati anche gli incrementi di volume fino a un massimo del 10% della costruzione originaria e comunque non oltre i 100 metri cubi.
È quanto prevede, fra le altre cose lo schema di regolamento varato ieri dal consiglio dei ministri che attua l’articolo 146, comma 9, del codice dei beni culturali e del paesaggio, il codice Urbani (dlgs n. 42/2004), norma che entrerà in vigore il 1° gennaio 2010 ai sensi dell’articolo 159 del codice, definendo le procedure semplificate per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di minimo impatto paesaggistico.
Scopo principale dell’intervento regolamentare, che comunque non prevede il silenzio assenso, è quello di snellire e concentrare i procedimenti concernenti interventi definiti di «lieve entità» per i quali , stando a quanto dichiarato dal ministero, vengono presentate ogni anno centinaia di autorizzazioni paesaggistiche, con un effetto di rilevante congestione degli uffici comunali.
Il testo, composto da sette articoli e da un allegato, prevede tredici semplificazioni su quarantadue tipologie di interventi (indicati in un allegato al regolamento che potrà essere successivamente variato e/o integrato), tutti di limitata entità, «da realizzarsi su aree o immobili dichiarati di interesse paesaggistico» che «comportino un’alterazione dei luoghi o dell’aspetto esteriore degli edifici». Fra gli interventi che ricadono nel regolamento ci sono gli incrementi di volume fino a un massimo del 10% della costruzione originaria
e comunque non oltre i 100 metri cubi; gli interventi di demolizione e ricostruzione con il rispetto di volumetrie e sagome preesistenti; gli interventi sulle coperture degli edifici (rifacimenti tetti, lastricati solari, inserimenti di canne fumarie), interventi su porte e finestre dei prospetti degli edifici esistenti; la realizzazione o le modifiche di autorimesse pertinenziali; la realizzazione di tettoie, porticati e gazebo; l’eliminazione di barriere architettoniche.
Saranno soggetti al regolamento anche gli interventi su parabole televisive condominiali, pannelli solari e fotovoltaici, ma anche quelli di adeguamento alle normative antisismiche. Secondo quanto afferma il ministero si dovrebbe trattare di quasi il 75% degli interventi che incidono sul paesaggio.
Il regolamento stabilisce che la domanda per ottenere il rilascio dell’autorizzazione semplificata sia corredata soltanto da una «relazione paesaggistica semplificata» da redigere sulla base di una scheda tipo allegata al codice Urbani; con ciò si rende inapplicabile la procedura ordinaria prevista dal dpcm del 12.12.2005. La relazione dovrà essere predisposta da un professionista abilitato all’esercizio della professione che dovrà attestare la conformità dell’intervento alla disciplina del paesaggio ed alla vigente disciplina urbanistica. La presentazione dell’istanza, ove possibile, dovrà avvenire, per via telematica e, qualora essa riguardi attività industriali o artigianali, tramite lo sportello unico, se istituito. Non viene in alcun modo previsto il silenzio-assenso. Il provvedimento stabilisce l’obbligo di concludere il procedimento autorizzatorio
nel termine di 60 giorni dal ricevimento dell’istanza, con una riduzione del 40% dei termini ordinariamente previsti dall’articolo 146 per la conclusione del procedimento.
Si passa, in sostanza, da 105 giorni (di cui 40 presso il comune, 45 per il parere vincolante del soprintendente e 20 per il provvedimento definitivo) ai 60 giorni totali di cui all’articolo 3, comma 1 del regolamento. Se poi l’amministrazione conclude anticipatamente e negativamente l’istruttoria, il termine si riduce a 30 giorni.
Il regolamento delinea con precisione gli adempimenti amministrativi. I funzionari dovranno effettuare una verifica immediata delle richieste di autorizzazione pervenute, in modo da comunicare al richiedente se l’intervento è soggetto ad autorizzazione ordinaria o, invece, semplificata in quanto rientrante tra quelli di «lieve entità», oppure se è esonerato ai sensi dell’art. 149 del codice dall’autorizzazione.
Si prevede che sia effettuata anche una verifica preliminare della conformità dell’intervento progettato rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia, dal momento che potrebbe essere inutile avviare l’istruttoria a fini paesaggistici se comunque l’intervento non è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia.
Il parere del soprintendente non è vincolante, ma solo obbligatorio, alla sola condizione che l’area interessata sia assoggettata ad un vincolo o ad un piano paesaggistico che contengano specifiche prescrizioni d’uso del paesaggio; non è obbligatorio, vista la lievità degli interventi, il parere delle Commissioni locali per il paesaggio Una volta rilasciata, l’autorizzazione paesaggistica sarà immediatamente efficace, non applicandosi la moratoria di trenta giorni prevista per gli interventi «maggiori».
Dal punto di vista organizzativo il regolamento stabilisce che presso ciascuna soprintendenza siano individuati uno o più funzionari responsabili dei procedimenti di autorizzazione paesaggistica semplificata; sarà invece compito delle regioni promuovere la costituzione, presso le amministrazioni locali competenti al rilascio dell’autorizzazione, di unità operative o uffici, anche sovracomunali, specificamente dedicati alla predetta tipologia di procedimenti (articolo ItaliaOggi del 10.10.2009, pag. 33).

PUBBLICO IMPIEGO: CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Ok alla riforma Brunetta. Contrattazione collettiva ristretta - Lavoro pubblico, bastone e carota - Premi alla produttività. Falsa malattia: è truffa aggravata.
Lavoro pubblico, si cambia. Entra in scena la riforma del lavoro pubblico, per effetto dell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri, ieri, del testo del decreto legislativo che attua la delega contenuta nella legge 15/2009, la cosiddetta «riforma Brunetta».
Non si tratta di una modifica completa del dlgs 165/2001 conosciuto impropriamente come testo unico sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Lo scopo della riforma, che attende ora solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è incidere in particolare su alcune «disfunzioni» del sistema previgente correggendo alcuni fallimenti delle precedenti riforme, puntando sull'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e sull'efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, come rivela il titolo del decreto legislativo.
Produttività e merito. La prima parte del decreto legislativo, che va dagli articoli 4 a 31 è specificamente dedicata al tema centrale della riforma, il rilancio di sistemi di valorizzazione della produttività e del merito.
Le norme prevedono la fissazione di un preciso ciclo della gestione delle performance delle strutture e dei singoli dipendenti, che assicuri la capacità di programmare gli obiettivi da conseguire, fissi i sistemi per misurare la quantità e qualità del lavoro prevista, controlli l'andamento delle attività in corso di svolgimento, rendiconti, alla fine, come e in che misura sono stati conseguiti i risultati. In modo che possa risultare evidente chi è risultato produttivo e chi no. La selettività delle valutazioni, infatti, viene considerata come fondamentale strumento per la meritocrazia.
Una Commissione nazionale fisserà criteri generali cui attenersi per gestire il ciclo della performance, nonché modelli di sistemi di valutazione e indicatori, fornendo supporto alle amministrazioni.
Per lo stato e gli enti nazionali, inoltre, scatta l'obbligo di differenziare le valutazioni dei dipendenti in tre distinte fasce; a quella più alta spetterà il cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale; a quella intermedia il restante 50%; per l'ultima fascia non residueranno risorse.
Regioni, enti locali ed enti del sistema sanitario nazionale potranno da subito, invece, prevedere anche più di tre fasce ed un diverso sistema di distribuzione percentuale delle risorse, purché si garantisca che quelle prevalenti siano destinate al finanziamento dei dipendenti più meritevoli.
Si cancellano le progressioni verticali, sostituite da concorsi pubblici con riserva di posti non superiore al 50%, disciplinati direttamente dalla legge, che disapplica, dunque, le norme della contrattazione collettiva sin qui vigenti in materia.
Inoltre, le amministrazioni dovranno rendere visibili e accessibili tutte le informazioni sulla contrattazione e gli investimenti in programmi di incentivazione della produttività dei dipendenti, esponendo l'imputazione del costo del personale a quello dei servizi ed i benefici che ricavano i cittadini dai progetti di miglioramento.
Dirigenza e poteri datoriali. La seconda parte, che comprende gli articoli da 32 a 47, contiene alcune modifiche alle norme del dlgs 165/2001, in merito ai poteri datoriali dei dirigenti ed agli incarichi.
La riforma insiste molto sull'esercizio del potere di conformazione del rapporto di lavoro, gli ordini di servizio, dei dirigenti, che costituiscono una vera e propria fonte, come la legge ed i contratti di lavoro, del rapporto di lavoro pubblico. I dirigenti sono chiamati ad organizzare e gestire al meglio le risorse. A questo scopo, hanno l'onere di definire i profili professionali, specificare la qualità e quantità dei dipendenti necessari allo svolgimento delle attività di competenza delle strutture loro affidate.
Per questo, i dirigenti risponderanno del mancato esercizio dei poteri datoriali, se l'omissione di tali poteri comporti lo scarso rendimento dei propri dipendenti. Accanto all'evidenziazione del ruolo e delle responsabilità del privato datore di lavoro, la dirigenza avrà il compito di valutare direttamente i dipendenti, allo scopo di assegnare gli incentivi. E non potrà sottrarsi al dovere di attivare i procedimenti disciplinari.
La riforma, inoltre, tenta di apportare un correttivo allo spoil system ed agli incarichi solo fiduciari, attuando le indicazioni contenute nelle sentenze 103/2007, 104/2007 e 161/2008, della Corte costituzionale. Occorrerà rispettare una precisa procedura per assegnare gli incarichi, ad evidenza pubblica. Le revoche scatteranno solo a condizione di aver evidenziato valutazioni negative dei dirigenti.
Contrattazione. La terza parte, dall'articolo 48 all'articolo 66, modifica in modo rilevante le relazioni sindacali. La contrattazione collettiva perde notevolmente di importanza: la fonte principale della disciplina del lavoro pubblico torna ad essere la legge. Le modifiche al dlgs 165/2001 restringono moltissimo le materie di competenza della contrattazione, sostanzialmente ridotte alla sola disciplina del rapporto di lavoro e alle regole generali sulla valutazione della produttività. Strettissimi saranno i vincoli ai contratti decentrati, le cui clausole, se in violazione di tali limiti, oltre ad essere nulle ed inapplicabili, saranno automaticamente sostituite con quelle delle norme di legge violate.
In sede di contrattazione decentrata, inoltre, anche in caso di mancato accordo con i sindacati, gli enti potranno egualmente, nelle more della stipulazione dei contratti, dare corso unilateralmente ai rinnovi.
Sanzioni disciplinari. Gli ultimi articoli sottraggono quasi interamente alla contrattazione la materia delle sanzioni. Si introduce una particolare fattispecie di truffa aggravata per l'utilizzo di certificati di falsa malattia, che può dare corso al licenziamento del dipendente infedele, come anche del medico se dipendente pubblico. Si specificano in modo più chiaro i casi di licenziamento disciplinare, che vanno dallo scarso rendimento, all'assenza ingiustificata, all'alterazione dei cartellini presenza (articolo ItaliaOggi del 10.10.2009, pag. 32).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Il decorso del termine ingiunto per la demolizione del manufatto abusivo rende improcedibile la domanda di sanatoria per effetto della acquisizione del bene alla mano pubblica.
Il ricorrente non ha ottemperato all’ingiunzione di demolizione contenuta nell’ordinanza 51a/2008 del 22.10.2008, notificata dal Comune di Como il 30.10.2008. Il decorso del termine di novanta giorni dalla notifica dell’ingiunzione di demolizione ha determinato, ai sensi dell’art. 31, c. 3, d.P.R. n. 380/2001, il trasferimento ipso iure dell’opera abusiva al patrimonio comunale; l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione costituisce, difatti, un semplice atto dichiarativo dell’intervenuto passaggio automatico della proprietà del bene (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.12.2008, n. 6174).
L’istanza di accertamento di conformità paesaggistica della “serra bioclimatica” è stata presentata allorché l’opera era già trasferita ope legis al patrimonio comunale: alcuna utilità potrebbe, quindi, derivare al ricorrente dall’annullamento dei provvedimenti con cui il Parco Regionale Spina verde ha negato l’autorizzazione paesaggistica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.10.2009 n. 4767 - link a www.cameramministrativacomo.it).

EDILIZIA PRIVATA: Anche un vano interrato necessita del permesso di costruire.
La circostanza che la costruzione, adibita a cantina sia interrata non può portare ad affermarne l’irrilevanza sotto il profilo urbanistico: con l’art. 3, d.P.R. n. 380/2001, il legislatore ha, difatti, ricompreso i manufatti edilizi interrati tra le nuove costruzioni, facendo propria la soluzione già seguita dalla giurisprudenza secondo cui i lavori di costruzione edilizia subordinati a concessione non sono solo quelli per i quali il manufatto si eleva al di sopra del suolo ma anche quelli in tutto o in parte interrati perché trasformano durevolmente l'area impegnata (Cass. pen., sez. III, 25.03.1994; Cons. Stato, sez. V, 10.04.1991, n. 486) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.10.2009 n. 4764 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità della disdetta da parte di un sindaco di un rapporto concessorio con la società che gestiva il servizio di illuminazione votiva nel cimitero comunale.
E' legittimo l'atto con cui un sindaco ha comunicato la volontà dell'ente di interrompere il rapporto in corso con la società che gestiva il servizio di illuminazione votiva nel cimitero comunale, nonostante fosse previsto in una clausola del capitolato che la concessione avesse durata di 25 anni e che la stessa fosse tacitamente rinnovabile di anno in anno, salvo regolare disdetta da inviare almeno 6 mesi prima.
La suddetta clausola stipulata prima della legge n. 537 del 1993, pur valida al momento della sua adozione, deve ritenersi inefficace in ragione del chiaro divieto normativo vigente al momento dell'asserita verificazione della rinnovazione tacita. In altri termini, l'incidenza su un rapporto di durata di un divieto normativo intervenuto successivamente alla stipulazione della concessione determina la privazione di efficacia del rapporto stesso.
Si puntualizza che non è corretto qualificare il precetto contenuto nella concessione come nullo, atteso che la nullità attiene ad un vizio strutturale della fattispecie non essendo configurabile una nullità sopravvenuta (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 06.10.2009 n. 1023 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: BANDO DI GARA: PRESENTAZIONE DEL PLICO.
Bando - Lex specialis - Richiesta determinati requisiti - Fattispecie.
La norma del bando di gara, peculiare "lex specialis", che preveda particolari prescrizioni in ordine alle modalità di presentazione dell'offerta (contenuta in un plico debitamente sigillato e controfirmato sui lembi di chiusura), non può non essere interpretata nel senso che tutti i lembi delle buste vanno necessariamente sigillati e controfirmati dai concorrenti, quale garanzia certa e incontrovertibile dell'inalterabilità dell'offerta, uscita dalla loro disponibilità (nel caso concreto, la controinteressata ha adoperato proprio una busta con tre lembi preincollati su quattro, del tipo appena descritto, ma si è limitata, a differenza di quanto ha fatto la ricorrente, a sigillarne con nastro adesivo firmato il solo lembo non preincollato e chiuso al momento dell'utilizzo. Non rispettando la previsione letterale e la ratio del bando, si sarebbe quindi dovuta escludere) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.10.2009 n. 1722 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Dichiarazione inizio attività - Installazione e di produzione di elettricità da fonte eolica - Valgono gli stessi principi elaborati in tema di denuncia edilizia – Requisiti.
Con riferimento alla denuncia d’inizio attività d’installazione e di produzione di elettricità da fonte eolica (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 22.07.2009 n. 1939) valgono gli stessi principi elaborati in tema di denuncia edilizia e precisamente: “la denuncia di inizio attività dev’essere prodotta, ai sensi dell’articolo 23, primo comma, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 dal soggetto legittimato, ovvero da “Il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività”. La formulazione richiama quella dell'articolo 11 del D.P.R. (secondo il quale “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo") a sua volta ispirata dall'art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso; quindi anche il locatario se il contratto di locazione reca l'esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione all'esecuzione di dati interventi di trasformazione edilizia del bene in funzione dell'uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri (Cass. civ., III sez., 15.03.2007 n. 6005; Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2001 n. 2882; 04.02.2004 n. 368; TAR Veneto, Sez. II, 23.07.2001 n. 2211; TAR Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 01.07.2008 n. 338).
D’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del possesso del titolo, la cui mancanza impedisce all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto (Cons. Stato, Sez. IV, 22.06.2000 n. 3525; Sez. V, 12.05.2003, n. 2506; Sez. IV, 08.06.2007 n. 3027; TAR Emilia Romagna, Parma, 21.02.2007 n. 53; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 12.12.2007 n. 16213; TAR Basilicata, 19.01.2008 n. 15 (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 01.10.2009 n. 2226 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: MOTIVAZIONE SUCCINTA DI UN DINIEGO DI SANATORIA.
1- Abusi – Sanatoria – Diniego – Succinta motivazione di diniego fondata sul parere contrario ai fini paesaggistici - Ratio - Fattispecie.
2- Beni culturali ed ambientali – Vincolo – Parere della Soprintendenza – Discrezionalità del Comune nel disattenderlo – E’ necessaria una adeguata motivazione.

1- In materia di sanatoria edilizia, non è illegittima una motivazione anche succinta di un diniego che si fondi sul parere contrario ai fini paesaggistici e che l'onere motivazionale ben può essere assolto mediante l'individuazione, nell'intervento abusivo, di caratteristiche che oggettivamente ne impediscono il corretto inserimento nella zona che è oggetto di specifica tutela, ancorché l'amministrazione utilizzi formule di diniego analoghe nei confronti di altre fattispecie, quando che le connotazioni individuate rispetto al manufatto sono comuni ad una vasta gamma di interventi abusivi e quindi la motivazione adottata può ben apparire stereotipa per un gran numero di casi, purché siano esternate le ragioni per le quali le caratteristiche costruttive ed i materiali utilizzati arrechino pregiudizio alla bellezza tutelata.
Nel caso in esame vi è lo specifico riferimento alla natura dell’opera, un capanno per attrezzi che, come osserva la stessa relazione descrittiva presentata dal ricorrente è realizzato “con struttura in metallo, pannelli in legno ed onduline plastificate”. La Soprintendenza ha quindi ritenuto che tale manufatto, costruito in assenza di autorizzazione paesaggistica, sia incompatibile con i valori tutelati dal vincolo (Tar Toscana 19.06.2007 n. 890).
Ancora, in un caso simile al presente, sempre il Tar Toscana ha osservato come, in sede di diniego di concessione edilizia in sanatoria, il giudizio in ordine alla compatibilità degli interventi, in quanto espressione di un potere tecnico-discrezionale, si rileva censurabile in sede di legittimità solo per palesi errori attinenti la valutazione degli elementi di fatto o per illogicità (Tar Toscana 27.11.2006 n. 6052).
2- Il Comune, con riguardo al procedimento di cui all’art. 1 c. 38 del D.lgs. 308/2004, può discostarsi dal parere della Sorprintendenza solo con adeguata motivazione, tenendo conto della rilevanza degli interessi coinvolti, dato che la tutela ambientale assume “valore costituzionale primario”.
Logico corollario del valore del bene tutelato è che vi è ampia discrezionalità degli enti preposti nello stabilire la compatibilità paesaggistica di opere costruite in assenza di concessione edilizia e di autorizzazione paesaggistica (Consiglio di Stato, Sede consultiva, Parere Sez. II 19.10.2005 n. 9029; Ad. del 15.06.2005 n. sez. 1956) (TAR Marche, sentenza 30.09.2009 n. 932 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: EDIFICABILITA' NELLE AREE AGRICOLE.
1.- Attività edilizia - Limitata - Per le zone agricole "E" - Normativa applicabile - Art. 2, L.R. Lombardia n. 93/1980 - In via sussidiaria alla pianificazione urbanistica comunale.
2.- Autorizzazione - Alla escavazione di un pozzo - Tutela affidamento privato alla successiva realizzazione di un edificio - Non sussiste.
3.- Zone agricole "E" - Poteri comunali - Sussistenza - Delimitazione - In relazione alla L.R. Lombardia n. 12/2005.
4.- Edificabilità su aree agricole - Art. 59, co. 3, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Limiti massimi - Potere comunale - Esercitabile - Entro i limiti.
5.- Edificabilità in aree agricole - Art. 59, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Criteri di riferimento per individuare i soggetti legittimati a costruire.

1.- L'articolo 2 della L.R. n. 93/1980, nel prevedere la normativa applicabile nei territori dei Comuni per le zone agricole "E", non ha precluso all'autorità urbanistica l'esercizio del più pieno potere di pianificazione del territorio, anche in funzione di salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici.
Le disposizioni dell'art. 2 della legge regionale si applicano in via sussidiaria, solo ove manchino specifiche prescrizioni dello strumento urbanistico, e non rendono illegittime le scelte inerenti alla assoluta inedificabilità e immodificabilità delle aree agricole, ovvero quelle che subordinano l'identificazione delle possibili modifiche all'adozione di un piano attuativo, volto alla razionale gestione del territorio.
2.- Nessuna tutela dell'affidamento può derivare da atti diretti a scopi diversi ed aventi ad oggetto beni diversi da quelli che il privato si aspetta di acquisire dall'amministrazione. Non è possibile ritenere che l'autorizzazione all'escavazione di un pozzo possa costituire implicita manifestazione di assenso alla realizzazione di edifici in zona agricola in quanto si tratta di atto relativo semplicemente alla conduzione agricola del fondo indipendentemente dalle sue modalità.
3.- La L.R. n. 12/2005 (che ha sostanzialmente riprodotto le disposizioni della L.R. 07.06.1980 n. 93 - Norme in materia di edificazione nelle zone agricole) demanda alla strumentazione urbanistica comunale (oggi Piano delle regole) oltre all'individuazione delle aree destinate all'agricoltura, la definizione della relativa "disciplina d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia" (art. 10, co. 4, lett. a, punto 1), in conformità con quanto previsto dagli artt. 59 ss. della stessa legge regionale.
4.- Con riferimento, alle costruzioni con finalità (anche) residenziale, occorre evidenziare che l'art. 59, co. 3, L.R. n. 12/2005 stabilisce indici edificatori che costituiscono per il pianificatore comunale solo un limite massimo.
Tale inciso, letto in correlazione con i nuovi poteri pianificatori comunali di cui all'art. 10, co. 4, lett. a) punto 1 e con il principio di sussidiarietà verticale di cui all'art. 118, co. 1, Cost., porta alla conclusione che se il Comune non può prevedere limiti superiori a quelli contenuti nell'art. 59 (in forza della norma di prevalenza ex art. 61) non per questo allo stesso è sottratto il potere di stabilire limiti inferiori od altri tipi di limiti, nel rispetto delle altre fonti normative e dei principi generali dell'azione amministrativa.
In sostanza la previsione di uno "statuto" della disciplina edificatoria nelle aree agricole, determinato direttamente con legge, mediante una disciplina edificatoria inderogabile e direttamente applicabile sull'intero territorio regionale, pare volto a dettare una disciplina uniforme nei limiti massimi, diretta a tutelare, piuttosto che le esigenze edificatorie dell'agricoltura intesa come produzione, la funzione generale di contenimento dell'attività edilizia in zona agricola anche prevalendo su norme più permissive introdotte a livello locale.
Ne consegue che tale disciplina non impedisce al Comune di individuare altri interessi di valore preminente che, riguardando anche le zone agricole, comportino l'adozione di una disciplina più restrittiva dell'edificabilità agricola.
5.- L'articolo 59 della L.R. n. 12/2005 prevede che l'azienda costituisca il criterio di riferimento per individuare i soggetti legittimati a costruire in zona agricola (l'imprenditore agricolo ed i dipendenti dell'azienda) e correla i limiti volumetrici per le attrezzature e le infrastrutture produttive alla superficie aziendale.
Il riferimento contenuto nell'art. 12.4 delle n.t.a. al complesso aziendale per disciplinare l'edificabilità costituisce quindi un criterio che trova fondamento nello statuto delle aree agricole stabilito dalla legge regionale (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.09.2009 n. 4749 - link a
http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: Potere di ordinanza e deroghe allo strumento urbanistico.
L’art. 5 L. 225/1952 attribuisce al Presidente del Consiglio o ai soggetti da questi delegati un potere di ordinanza per l’esecuzione degli interventi di emergenza.
Tali ordinanze (definite anche di necessità) costituiscono fonti normative primarie e possono essere emesse anche in deroga alla disciplina vigente ed esplicarsi quindi contra legem in via temporanea fino a quando non cessi lo stato di necessità ed urgenza.
La salvaguardia delle attribuzioni degli enti locali è garantita dal fatto che il potere di ordinanza in questione deve essere definito nel contenuto, nei tempi e nelle modalità di esercizio (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.09.2009 n. 38089 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni edilizie.
Il T.U. n. 380/2001 ha introdotto uno sdoppiamento della categoria delle ristrutturazioni edilizie, riconducendo ad essa anche interventi che ammettono integrazioni funzionali e strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume.
Deve, però, ritenersi che le "modifiche del volume", previste dall’art. 10 possono consistere in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti, poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe ovviamente meno la linea di demarcazione tra "ristrutturazione edilizia" e "nuova opera" (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.09.2009 n. 38088 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: E' illegittimo l'affidamento diretto del servizio di gestione degli impianti termici ad una società mista il cui socio originario, benché sia stato scelto a seguito di una gara pubblica, abbia unilateralmente alienato le proprie azioni.
L'affidamento diretto di un servizio pubblico, al di fuori del sistema della gara, ad una società esterna (ossia soggettivamente autonoma) è consentito solo quando il rapporto esistente con tale società presenti caratteristiche tali che questa possa essere ritenuta come una "derivazione" o una "longa manus" dell'ente stesso. La società esterna, inoltre, può essere considerata tale solo se l'ente esercita su di essa un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi e richiede la necessaria partecipazione pubblica totalitaria, "giacché una partecipazione minoritaria già preclude la possibilità di effettuare il predetto controllo".
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo l'affidamento diretto ad una società mista pubblico-privata del servizio manutenzione degli impianti termici di competenza della provincia sebbene sia stata effettuata la selezione del partner privato della società mista a seguito di una procedura di evidenza pubblica, in quanto la provincia, pur avendo una partecipazione maggioritaria nella predetta società mista, non esercita tale forma di controllo essendo lo stesso socio originario stato sostituito da due diverse società private nel corso del rapporto per unilaterale determinazione del socio privato originario, che ha liberamente alienato le proprie azioni, non essendovi preclusioni al riguardo nello statuto societario. Non si può, quindi, affermare che il partner privato, nella specie, sia stato scelto dalla provincia a seguito di una gara pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.09.2009 n. 5814 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: E' legittima la scelta di un comune di gestire il servizio pubblico locale di igiene urbana attraverso l'adesione ad una società a capitale interamente pubblico, piuttosto che esternalizzare il servizio affidandolo a trattativa privata.
E' legittima la scelta di un comune di gestire il servizio pubblico locale di igiene urbana attraverso l'adesione ad una società a capitale interamente pubblico, piuttosto che esternalizzare il servizio affidandolo a trattativa privata, essendo andata deserta la gara ad evidenza pubblica. Il ricorso alla trattativa privata è, infatti, frutto di una scelta discrezionale, pertanto, non può ragionevolmente negarsi alla stessa amministrazione il potere di valutare la sussistenza di altri strumenti, anche diversi dall'affidamento in appalto, per la gestione del servizio di raccolta rifiuti e di igiene urbana e dunque, anche il potere di modificare l'originaria scelta di fondo, passando cioè dall'esternalizzazione del servizio all'affidamento in house, atteso che, al contrario, la nuova determinazione amministrativa, è motivata, inspirandosi, nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dall'art. 97 della Costituzione, ad un conseguimento dell'interesse pubblico inteso non già in una visione meramente statica (limitata cioè esclusivamente al buon funzionamento del servizio di igiene urbana cittadina), ma dinamica in cui il nuovo approccio alla realizzazione dell'interesse pubblico attraverso l'internalizzazione e l'affidamento del servizio ad una società di capitali interamente pubblico possa costituire il momento iniziale e dialogo di confronto con gli altri enti, partecipanti alla società pubblica, per l'individuazione di nuove prospettive di tutela e di conseguimento dell'interesse pubblico.
E' legittima la scelta di un comune di gestire il servizio pubblico locale di igiene urbana attraverso l'adesione ad una società a capitale interamente pubblico, nonostante la minima partecipazione (quasi simbolica, pari allo 0,26% del capitale societario), in quanto nello statuto sono stati previsti accorgimenti tesi a chiarire e precisare le modalità per la sussistenza del requisito del controllo analogo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.09.2009 n. 5808 - link a www.
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EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Violazione paesaggistica (natura del reato).
Il reato di cui all'art. 181 d.lgs. 2004 n. 42 ha natura di reato di pericolo e si consuma con la sola realizzazione dei lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica e prescinde da ogni accertamento in ordine alla avvenuta alterazione, danneggiamento o deturpamento del paesaggio, in quanto, per la sua configurabilità è sufficiente che l’agente faccia del bene protetto dal vincolo un uso diverso da quello cui è destinato, essendo -il vincolo posto- prodromico al governo del territorio stesso.
Pertanto, non ha alcun rilievo l’eventuale mancanza di danno ambientale, ancorché attestata dall’Ufficio Tutela del Territorio, con la sola eccezione di interventi di entità talmente minima da non essere in grado, neppure astrattamente, di pregiudicare il bene paesaggistico ambientale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 25.09.2009 n. 37610 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sequestro e sgombero dell’immobile sequestrato.
Il provvedimento di sgombero emesso dal P.M. è suscettibile solo di controllo, attraverso il rimedio dell’incidente di esecuzione, in relazione alla sua indispensabilità ai fini dell’attuazione della misura cautelare.
E il giudice deve limitarsi ad accertare se le finalità cautelari del provvedimento di sequestro possano essere attuate con modalità diverse e tale accertamento, se motivato congruamente ed esente da vizi logici, non è censurabile in sede di legittimità (conformi e di identico contenuto le sent. 37593/2009, 37594/2009 e 37595/2009) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.09.2009 n. 37592 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione solaio.
La costruzione di un solaio in cemento armato, che per di più insiste su edificio abusivamente realizzato, ha evidenti finalità statiche e riverbera effetti decisivi sulla staticità dell’intero stabile indipendentemente dalla natura dei materiali ulteriori utilizzati per la sopraelevazione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.09.2009 n. 37576 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: REPRESSIONE DELL'ABUSIVISMO EDILIZIO.
1. Abusi - Demolizione - In pendenza di domanda di sanatoria - Impossibile - Ragioni.
2. Abusi - Demolizione - Ingiunzione - Presupposti - Motivazione - Profili.

1. Ai sensi degli artt. 38 e 44, L. n. 47/1985, contenuti nel capo IV della legge medesima, in pendenza della domanda di sanatoria, è preclusa l'adozione di provvedimenti repressivi dell'abuso edilizio, atteso che nell'ipotesi di diniego della domanda di sanatoria, l'Amministrazione dovrà adottare nuova ingiunzione di demolizione, con fissazione di nuovi termini per la spontanea esecuzione (TAR Campania Napoli, sez. VII, 21-03-2008 n. 1472).
2. In materia urbanistica, il presupposto per l'adozione dell'ingiunzione di demolizione delle opere edilizie abusive è soltanto la constatata esecuzione dell'opera in totale difformità della concessione o in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione (TAR Campania-Napoli, sez. VI, 25-02-2009 n. 1100) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 24.09.2009 n. 5072 - link a
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APPALTI: GARA D'APPALTO - OFFERTE ANOMALE - GIUSTIFICAZIONI PREVENTIVE A CORREDO DELL'OFFERTA - INCOMPLETEZZA - ESCLUSIONE DALLA GARA - ILLEGITTIMITA' - CONTRADDITTORIO SUCCESSIVO - NECESSITA'.
In tema di offerte anomale, il contraddittorio successivo deve consentire alle imprese partecipanti, le cui offerte siano sospettate di anomalia, la piena facoltà di far valere le proprie ragioni e di esporre i chiarimenti necessari, posto che funzione dei giustificativi richiesti in sede preliminare è solo quella di far avere alla stazione appaltante una prima indicazione relativamente alla congruità del prezzo offerto. Ne consegue che le clausole del bando di gara, che contemplino la presentazione di giustificazioni a corredo dell’offerta, costituiscono strumenti di celerità e semplificazione del procedimento; pertanto l’eventuale incompletezza dei giustificativi richiesti preliminarmente non esonera l’Amministrazione dall’espletamento della successiva fase in contraddittorio. La richiesta dei giustificativi,anche se formulata dalle regole della gara ai fini della partecipazione alla stessa,non costituisce un elemento dell’offerta richiesto ai fini dell’ammissione, ma un corredo dell’offerta funzionale alla verifica di anomalia.
La prescrizione del bando che impone la presentazione delle giustificazioni unitamente all’offerta al fine di accelerare l’iter del procedimento va correlata alle esigenze essenziali dello stesso, quali chiarite dall’interpretazione del giudice comunitario. L’assenza o l’incompletezza delle giustificazioni presentate ex ante non influisce sulla regolarità della gara perché non altera la par condicio,né si può ritenere che rientri nei poteri della stazione appaltante di richiedere il relativo adempimento a pena di esclusione.
La necessità,più volte ribadita dal giudice comunitario,che la valutazione di anomalia avvenga in base ad un completo contraddittorio con l’impresa interessata,porterebbe infatti alla disapplicazione della prescrizione, perché contrastante con la disciplina comunitaria.
L’Amministrazione avrebbe dunque dovuto, considerando i giustificativi insufficienti, procedere al riesame degli stessi in contraddittorio con l’impresa interessata, essendo impedito alla Amministrazione di procedere ex abrupto all’esclusione del concorrente per incompletezza dei giustificativi.
In altri termini, la Commissione di gara, prima di formulare qualsivoglia definitivo giudizio di anomalia dell’offerta, doveva richiedere le giustificazioni ulteriori prescritte dai successivi art. 87 e 88 del citato D.lgs. 163/2006 in contraddittorio (art. 87, “quando un’offerta appaia anormalmente bassa, la stazione appaltante richiede all’offerente le giustificazioni, eventualmente necessarie in aggiunta a quelle già presentate a corredo dell’offerta, ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell’offerta medesima”) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 24.09.2009 n. 2186 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Destinazione d’uso.
Lo strumento urbanistico rappresenta l'atto di destinazione generica ed esso trova attuazione nelle prescrizioni imposte dal titolo che abilita a costruire, quale atto di destinazione specifica che vincola il titolare ed i suoi aventi causa.
Possono, pertanto, distinguersi: una destinazione d’uso urbanistico, riferita alle categorie specificate dalla legge, ed una destinazione d’uso edilizio, che attiene al singolo edificio ed alle sue capacità funzionali.
Il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, tenuto conto che nell’ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.09.2009 n. 37077 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ABBANDONO DI RIFIUTI E CULPA IN VIGILANDO DEL PROPRIETARIO DEL TERRENO.
Comune e Provincia – Organi – Sindaco – Ordine di smaltimento di rifiuti rivolto al proprietario di un fondo - “Culpa in vigilando” del proprietario – Presupposti – Fase istruttoria completa – Necessarietà – Sussiste - Presunzione di colpevolezza – Vanno provati gli elementi soggettivi quale colpa o dolo.
E’ illegittimo l’ordine di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolto al proprietario di un fondo in ragione soltanto di tale sua qualità ma in assenza di adeguata dimostrazione da parte dell’Amministrazione procedente, sulla base di una istruttoria completa e di una esauriente motivazione, ancorché fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d’esperienza, dell’imputabilità soggettiva della condotta (Cons. Stato, Sez. V, 19.03.2009, n. 1612 e n. 935/2005). Ciò perché l’art. 192 d.lgs. n. 152/2006, riportando sostanzialmente il regime di cui al precedente art. 14 d.lgs. n. 22/1997, ha richiamato la necessaria sussistenza dell’elemento psicologico nel prevedere la (cor)responsabilità del proprietario facendo riferimento al titolo di dolo o colpa, senza strutturarla invece in termini meramente oggettivi così da ritenere l’obbligazione di ripristino a carico del proprietario del bene quale “obbligazione propter rem”.
La circostanza per la quale, dalla lettura della norma, si evince che il legislatore ha strutturato la fattispecie in termini indiscutibilmente soggettivi, radicando solo sulla riscontrata presenza di colpevolezza del proprietario la sua concorrente responsabilità, impedisce di ritenere anche che la responsabilità del proprietario o del titolare di diritti reali o personali di godimento sia inquadrabile come generica “culpa in vigilando”, richiamando la norma una condotta attiva legata alla situazione di abbandono né potendo altrimenti obbligare il proprietario medesimo alla recinzione o alla sorveglianza continua dell’area perché altrimenti sarebbe conformato il suo diritto dominicale e incise le modalità di godimento dello stesso (Cons. Stato, Sez. V n. 935/2005 nonché TAR Toscana, Sez. II, 17.04.2009, n. 665 e 03.03.2004, n. 662; TAR Campania, Na, Sez. V, 16.04.2007, n. 3727) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.09.2009 n. 1478 - link a
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ESPROPRIAZIONE: PRESUPPOSTI PER OTTENERE LA RETROCESSIONE PARZIALE DEL BENE.
1- Procedimento – Retrocessione – Diritto alla retrocessione parziale - Presupposti.
2- Pubblica utilità – Atto dichiarativo – Inefficacia per scadenza del termine per il compimento dei lavori – Comporta la facoltà del proprietario di ottenere la retrocessione – Presupposti - Termine finale per l’espropriazione e termine finale per l’esecuzione dei lavori – Distinzione - Finalità.
1-
Il diritto alla retrocessione parziale nasce solo se ed in quanto l’amministrazione, con valutazione discrezionale (al cospetto della quale la posizione del privato è di interesse legittimo) abbia emesso un provvedimento dichiarativo della inservibilità del bene espropriato di cui si chiede la restituzione. E tale dichiarazione di inservibilità presuppone, da un lato, che, stante la non completa utilizzazione dell’area espropriata per la realizzazione dell’opera pubblica, il terreno o la porzione di esso del quale si chiede la retrocessione non sia mai stato destinato all’opera pubblica cui era preordinata l’espropriazione, e, dall’altro, che non serva più all’opera in questione (cfr., TAR Toscana, sez. I, 13.05.2008 n. 1414).
2- L’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, che consegue all’inutile scadenza del termine per il compimento dei lavori, non risolve la precedente espropriazione, ma può comportare, semmai, solo la facoltà del proprietario, nel ricorso dei presupposti di legge, di promuovere azione, dinanzi al giudice competente, per ottenere la retrocessione dei beni espropriati (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 25.03.1993 n. 261 cit.; Cass. Civ. Sez. I, 06.03.1992 n. 2715; 21.08.1998 n. 8301; 11.11.2003 n. 16904; TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, 03.06.2005 n. 550).
Ciò in quanto il termine finale per l’espropriazione e il termine finale per l’esecuzione dei lavori rispondono a due diverse finalità:
1) il termine del compimento delle procedure espropriative, in attuazione dell’art. 42, comma 3, della Costituzione, ha lo scopo di evitare che i beni di proprietà privata rimangano soggetti alla possibilità di essere espropriati per un tempo indeterminato;
2) il termine per il compimento dei lavori ha la funzione di tutelare l’interesse pubblico alla concreta realizzazione dell’opera pubblica, cioè a dimostrare l’effettiva serietà dell’azione amministrativa.
Perciò, solo il termine finale per il completamento del procedimento espropriativo deve ritenersi di natura perentoria, in quanto la fattispecie della mancata ultimazione dell’opera pubblica entro il termine prestabilito, dopo che il decreto di espropriazione è già stato emanato, risulta appositamente disciplinata dall’ordinamento giuridico, in quanto consente al soggetto espropriato di chiedere una pronuncia costitutiva della retrocessione del bene (TAR Basilicata, 14.02.2006 n. 83; Cons. Stato, sez. II, 01.12.1993 n. 177).
Pertanto, la mancata osservanza del termine per la fine dei lavori produce l’unico effetto di consentire agli ex proprietari di esercitare un’azione per la retrocessione parziale del bene; retrocessione che tuttavia presuppone, come si è detto, la previa adozione, da parte dell’amministrazione, di un provvedimento dichiarativo della inservibilità del bene espropriato di cui si chiede la restituzione, espressione di un potere discrezionale dell’amministrazione tutelabile davanti al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 04.07.2008 n. 3342) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 23.09.2009 n. 1471 - link a
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EDILIZIA PRIVATALa salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 t.u. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici sia di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che la deroga all’estensione del limite è consentita ai soli fini della realizzazione di "opere pubbliche e di interesse pubblico".
L’individuazione di fasce di rispetto cimiteriali risale al r.d. 1265/1934 (TU leggi sanitarie) che nella sua formulazione originaria stabiliva, al primo comma, che i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno duecento metri dai centri abitati, e poneva, nello stesso, tempo, il divieto di costruire intorno agli stessi nuovi edifici e di ampliare quelli esistenti "entro il raggio di 200 metri".
Al Prefetto era attribuito il potere di consentire la costruzione e l'ampliamento dei cimiteri a distanza inferiore ai duecento metri dai centri abitati quando, a causa di speciali condizioni, non era consentito provvedere altrimenti. Inoltre, su motivata richiesta del Consiglio comunale, non ostandovi ragioni igieniche, lo stesso Prefetto poteva ridurre l'ampiezza della zona di rispetto, delimitandone il perimetro in relazione alla situazione dei luoghi, entro il limite di 100 metri per i Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, e di 50 metri per gli altri Comuni.
A sua volta il D.P.R. 10.09.1990, n. 285 (regolamento di polizia mortuaria), nel disciplinare i piani regolatori cimiteriali, all'art. 57 ribadisce che i cimiteri devono essere isolati dall'abitato mediante la fascia di rispetto prevista dall'art. 338 del r.d. n. 1265/1934. Su questo impianto è intervenuta la legge n. 166/2002 che con la modifica dei commi quarto, quinto, sesto e settimo del citato art. 338 ha disposto che "il Consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già esistenti a una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni: a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile prevedere altrimenti; b) l'impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari".
Inoltre, "per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali e di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre...All'interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all'utilizzo dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d'uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'articolo 31 della legge 05.08.1978, n. 457".
Tale essendo il quadro normativo di riferimento, deve, quindi, osservarsi che la normativa statale in materia si articola attraverso disposizioni aventi duplice valenza, in primo luogo nel porre limiti all'attività edificatoria dei privati nelle aree circostanti il perimetro dei cimiteri ed inoltre nel garantire l’osservanza, da parte delle amministrazioni preposte, di determinate distanze dai centri abitati atte a delineare una fascia di rispetto nella costruzione di nuovi cimiteri e/o nell'ampliamento di quelli esistenti e per altri interventi di pubblico interesse. Si tratta quindi di una facoltà rimessa alla valutazione dell’ente locale, in funzione dell'ampliamento dei cimiteri esistenti e/o della costruzione di nuovi cimiteri, oppure, in presenza di determinate circostanze di rilievo pubblicistico, dettagliatamente definite dalla norma con esclusione, pertanto, di interventi di edilizia per fini privati.
Sulla questione, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che la salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 t.u. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici sia di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che la deroga all’estensione del limite è consentita ai soli fini della realizzazione di "opere pubbliche e di interesse pubblico" (Cons. St., V, 29.03.2006, n. 1593. TAR Veneto, II, 07.02.2008, n. 325; TAR Sicilia-Catania, I, 15/07/2003, n. 1141).
Si tratta, in definitiva, di una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, che preclude il rilascio della concessione per opere incompatibili col vincolo medesimo (giurisprudenza pacifica: cfr. Cons. Stato, V, 03/05/2007). Del resto, la natura assoluta del vincolo non si pone in contraddizione con la possibilità che nella medesima area insistano delle preesistenze, e/o che ad esse vengano assegnate destinazioni compatibili con l'esistenza del vincolo (Cass. Civ., sez. I, n. 6510/1997), ma mira essenzialmente ad impedire l'ulteriore addensamento edilizio dell'area giudicato ex lege, incompatibile con le prioritarie esigenze pubblicistiche sottese alla imposizione del vincolo. (cfr. TAR Abruzzo, L’Aquila, I, 14.10.2008, n. 1141) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 22.09.2009 n. 1571 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: ADEMPIMENTI PER LA PARTECIPAZIONE ALLA GARA.
1.- Bando - Legge di gara - Eterointegrazione con le norme di legge - Mancata produzione di un documento - Esclusione dalla gara - Non sussiste
2.- Codice dei contratti pubblici - Limiti alle cause di esclusione dei partecipanti - Sussistono.

1.- Nonostante nel nostro ordinamento viga il principio della eterointegrazione della legge di gara -(che nel caso di specie non prevedeva nulla in ordine al deposito del crono-programma delle lavorazioni unitamente all'offerta)- ad opera delle prescrizioni normative che impongono un determinato adempimento (artt. 42 co. 2, D.P.R. n. 554/1999 e 73 D.P.R. n. 170/2005 secondo cui "nei casi di appalto-concorso e di appalto di progettazione esecutiva ed esecuzione, il crono-programma è presentato dall'appaltatore unitamente all'offerta"), tale assunto, non può tuttavia essere spinto sino al punto da teorizzare l'esclusione dalla gara quale conseguenza del mancato adempimento della prescrizione, per la ragione che vige in materia, in omaggio al canone generale del favor partecipationis, il principio della necessaria tipicità delle cause di esclusione e che non ogni inadempimento alle prescrizioni di gara comporta, per ciò stesso, tale esito definitivo.
2.- Il Codice dei contratti contiene prescrizioni e modalità procedimentali la cui violazione non sempre comporta, quale conseguenza, l'esclusione dalla gara. Se da un lato, quindi, la violazione degli adempimenti di cui all'art. 38 comporta, nella generalità dei casi, l'esclusione dalla gara, vi sono alcuni casi nei quali, la violazione dell'obbligo di legge non implica una sanzione così severa, come avviene ad esempio laddove sia violato l'obbligo di produzione delle giustificazioni preventive relative alle voci di prezzo, a corredo dell'offerta economica, prescritto dagli artt. 86 co. 5 e 87 co. 2. (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.09.2009 n. 4688 - link a
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APPALTI: 1. GARA D'APPALTO - CRITERIO OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU' VANTAGGIOSA - FORMULA MATEMATICA ATTRIBUZIONE PUNTEGGIO VOCI PREZZO - OFFERTA PARI A ZERO PER UNA VOCE DI PREZZO - APPLICAZIONE FORMULA - VA DISPOSTA CON ADATTAMENTI IDONEI A CONSENTIRNE OPERATIVITA' - FATTISPECIE.
2. GARA D'APPALTO - OBBLIGO DI RIDETERMINAZIONE PUNTEGGIO OFFERTA ECONOMICA DOPO AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA - NON SUSSISTE - INEFFICACIA AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA - AGGIUDICAZIONE AL SECONDO CLASSIFICATO - VA DISPOSTA - RAGIONI.

1. La formula matematica prevista dal bando per l’assegnazione del punteggio relativo alle varie voci di prezzo va applicata, quando si pongano delle difficoltà pratiche, secondo un criterio di ragionevolezza volto a salvaguardare l’interesse della p.a. senza comportare illegittime esclusioni dalla gara non previste dal bando; ciò in applicazione del principio secondo cui le clausole del bando ambigue vanno applicate in modo da conseguire un risultato utile; in mancanza di un’esplicita previsione del disciplinare che sanzionasse a pena di inammissibilità la presentazione di un’offerta pari a zero per una delle voci, la stazione appaltante non avrebbe potuto disporre l’esclusione dell’offerta ovvero omettere di applicare la formula matematica prescritta; era quindi ragionevole, a fronte di voci di prezzo pari a zero, applicare comunque la formula matematica, sostituendo il prezzo zero con un prezzo infinitesimale che consentiva l’operatività della formula, senza snaturare l’offerta più vantaggiosa.
2. Nessuna norma impone di rifare il conteggio dei punti dell’offerta economica quando la procedura è ormai conclusa con l’aggiudicazione provvisoria della gara; anzi è previsto che la valutazione dell’efficacia di quella aggiudicazione sia subordinata a determinati accertamenti; in caso di esito negativo, la stazione appaltante è tenuta ad aggiudicare alla seconda classificata e ciò per un principio di economia degli atti e delle procedure, di concentrazione delle operazioni di gara, nonché per l’interesse pubblico alla sollecita conclusione delle procedure selettive. Soltanto ove sia il primo che il secondo classificato risultino carenti dei requisiti prescritti, da accertarsi nel momento conclusivo della gara, la stazione appaltante è tenuta a formare una nuova graduatoria con l’esclusione dei primi due (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza  17.09.2009 n. 5583 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Divieto di apposizione di cartellonistica in ambiti tutelati.
La disposizione contenuta nell'articolo 153 del d.lgs. 22.01.2004 n. 42, in tema di collocazione di cartelli o mezzi pubblicitari in prossimità dei beni paesaggistici indicati nell'articolo 134, stabilisce un divieto generalizzato, derogabile solo su parere favorevole dell’autorità competente.
Ne consegue che, mentre una motivazione specifica deve sorreggere il parere favorevole, volto ad escludere quella incompatibilità che di norma sussiste, viceversa non occorre una motivazione particolare laddove l’autorità riconosca, nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica, l’impatto paesistico che l’impianto esercita nel contesto prescelto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 4666 - link a
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AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono (responsabilità e ordine di smaltimento).
In conformità con gli orientamenti maturati in seno alla giurisprudenza circa l’interpretazione dell’art. 14 D.Lgs. n. 22/1997, sostanzialmente riprodotto nell’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 – l’ordine di smaltimento presuppone l’accertamento di una responsabilità a titolo quantomeno di colpa in capo all’autore dell’abbandono dei rifiuti, e lo stesso vale per il proprietario o titolare di altro diritto reale o personale sull’area interessata, che venga chiamato a rispondere in solido dell’illecito (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 1447 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione e sanatoria.
La validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano pregiudicate, con la pretesa automaticità, dalla successiva presentazione di un’istanza ex art. 36 del d.p.r. 380/2001.
Sul punto, mette conto evidenziare che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicché, se, da un lato, la presentazione dell’istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001 determina inevitabilmente un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall’altro, occorre ritenere che l’efficacia dell’atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l’atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza.
All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata.
Di contro, in caso di rigetto dell’istanza, l’ordine di demolizione a suo tempo adottato riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, bensì era rimasta solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale, con la sola precisazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l’accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 14.09.2009 n. 4961 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: STIPULA DEL CONTRATTO D'APPALTO DALL'A.T.I. COSTITUENDA.
1. Associazione temporanea - Mandato - Con rappresentanza -Dalle associande alla mandataria - Necessarietà - Finalità - Stipula del contratto post-aggiudicazione.
2. Associazione temporanea - Mancata sottoscrizione del contratto dopo l'aggiudicazione - Per fatto dell'affidatario - Conseguenze.
3. Criteri e principi - Principio della concorrenza - Rilevanza rispetto al tradizionale interesse pubblico di carattere economico-finanziario - Limiti.

1. In presenza di una A.T.I. non ancora costituita, grava su tutte le imprese associande l'obbligo di conferire, alla capogruppo, dopo l'intervenuta aggiudicazione, il mandato collettivo speciale con rappresentanza che consentirà alla mandataria di stipulare il contratto con la stazione appaltante, poiché dall'adempimento, o meno, di tale obbligo da parte delle imprese della costituenda A.T.I., dipende la stipula del contratto. Tale circostanza giustifica l'estensione alle stesse della copertura del relativo rischio (Cons. Stato, Ad. Plen., 04-10-2005 n. 8).
2. L'articolo 75 co. 6 del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, enuncia un criterio di responsabilità per cui, la mancata sottoscrizione del contratto deve essersi verificata per fatto dell'affidatario; poiché, nel caso di aggiudicazione a favore di A.T.I. costituenda, affidatarie sono tutte le imprese componenti il raggruppamento, ne deriva che la garanzia provvisoria deve operare con riguardo ai comportamenti lesivi posti in essere da ciascuna di esse, e non solo a quelli della (futura) capogruppo.
3. Il principio di concorrenza illumina oggi l'intera materia degli appalti pubblici, nell'ambito della quale tendenzialmente perde rilievo anche il tradizionale interesse pubblico di carattere economico-finanziario, vale a dire l'interesse ad individuare l'offerta migliore per la p.A. sotto il profilo della convenienza economica. La più ampia concorrenzialità nella fase della scelta del contraente può avere come effetto la riduzione dei costi del contratto da affidare ma questo non è un risultato che necessariamente consegue all'affermazione di quel principio; il quale pertanto, nella contrapposizione con l'interesse patrimoniale, finisce col prevalere.
L'art. 2 del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 12.04.2006 n. 163) ha positivamente previsto che l'affidamento dei contratti pubblici debba avvenire nel rispetto del principio della libera concorrenza. Tuttavia non si può prescindere dal presupposto che nella indicazione delle esigenze, cui far fronte con il contratto oggetto della gara, l'amministrazione è titolare di ampi margini di discrezionalità. Si tratta di potere discrezionale in senso proprio, di cui l'amministrazione fa uso nel momento in cui individua, e fissa nel regolamento contrattuale oggetto della procedura di affidamento, le prestazioni corrispondenti ai bisogni e agli interessi curati dall'amministrazione stessa.
Ed è appena il caso di sottolineare come, nell'esercizio di tale potere, l'amministrazione debba necessariamente muovere da una situazione data, sul piano di fatto. Di conseguenza non si può pretendere -in nome della tutela della concorrenza- di prescindere dalla regola fondamentale secondo cui l'oggetto del contratto si modula sulla scorta delle concrete esigenze dell'amministrazione, perché ciò, oltre che manifestamente irragionevole, sarebbe anche contrario al principio costituzionale di buon andamento (argomentando anche dall'art. 1, co. 1, L. n. 241/1990, che richiama il principio dell'economicità dell'azione amministrativa) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 08.09.2009 n. 1471 - link a
http://mondolegale.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Acque. Responsabilità per mancanza di autorizzazione.
In tema di responsabilità di dirigente del servizio tecnico e segretario comunale per danno alle casse dell'Ente derivante dal riconoscimento di un debito fuori bilancio pagato, a titolo di sanzione amministrativa, alla Provincia e conseguente la mancata autorizzazione definitiva dei lavori per l'adeguamento alla normativa in materia di scarico dei reflui (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, sentenza 07.09.2009 n. 593 - link a www.lexambiente.it).

AGGIORNAMENTO ALL'08.10.2009

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dossier LEGGE CASA LOMBARDIA

EDILIZIA PRIVATA: Un utile contributo esplicativo, dell'Avv. Mario Viviani di Milano (che ringraziano), sulla l.r. n. 13/2009 (distribuito nell'ambito del convegno tenutosi a Bergamo il 05.10.2009) con relativo fac-simile di deliberazione da sottoporre al vaglio del Consiglio Comunale entro il 15.10.2009.

NEWS

VARI: Per gli inadempienti in catasto, nuovi importi con istruttoria fissa.
Pubblicati in Gazzetta Ufficiale gli oneri rideterminati per la redazione a cura dell’ufficio degli atti di aggiornamento.
L’agenzia del Territorio ha provveduto a rimodulare gli importi dovuti dai possessori di immobili che non effettuano spontaneamente l’aggiornamento catastale, per cui lo stesso deve essere eseguito d’ufficio (link a www.nuovofiscooggi.it).

VARI: Vaccino per l'influenza A/h1n1: misure del Ministero della salute.
L'Ordinanza dell'11.09.2009 del Ministero della salute in materia di profilassi vaccinale dell'influenza pandemica A(H1N1), dispone che la vaccinazione, dal momento della effettiva disponibilità del vaccino, è offerta alle seguenti categorie di persone, elencate in ordine di priorità:
a) persone ritenute essenziali per il mantenimento della continuità assistenziale e lavorativa: - personale sanitario e socio-sanitario; - personale delle forze di pubblica sicurezza e della protezione civile; - personale che assicura i servizi pubblici essenziali; - donatori di sangue periodici;
b) donne al secondo o al terzo trimestre di gravidanza;
c) persone a rischio, di età compresa tra 6 mesi e 65 anni; si intende per rischio almeno una delle seguenti condizioni: malattie croniche a carico dell'apparato respiratorio, inclusa asma, displasia broncopolmonare, fibrosi cistica e BPCO; gravi malattie dell'apparato cardiocircolatorio, comprese le cardiopatie congenite ed acquisite; diabete mellito e altre malattie metaboliche; gravi epatopatie e cirrosi epatica; malattie renali con insufficienza renale; malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie; neoplasie; malattie congenite ed acquisite che comportino carente produzione di anticorpi; immunosoppressione indotta da farmaci o da HIV; malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinale; malattie neuromuscolari; obesità e gravi patologie concomitanti; condizione di familiare o di contatto stretto di soggetti ad alto rischio che, per controindicazioni temporanee o permanenti, non possono essere vaccinati (link a www.governo.it).

CORTE DEI CONTI

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Trichiana - Parere in materia di scomputo degli oneri di urbanizzazione, ribassi d'asta delle relative opere, convenzioni urbanistiche.
1. Realizzazione opere di urbanizzazione a scomputo oneri concessori - Gara aggiudicata dal privato titolare del permesso di costruire - Ribassi d'asta - Spettanza del comune - Ragioni.
2. Realizzazione opere di urbanizzazione a scomputo oneri concessori - Gara aggiudicata dal privato titolare del permesso di costruire - Ribassi d'asta - Spettanza - Definizione in sede di convenzione urbanistica - Inammissibilità - Indisponibilità entrate ente locale.

Passando al merito, va anzitutto richiamato il quadro normativo.
In proposito, l’art. 32, comma 1, lett. g, in materia di “Amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori”, dispone che “1. Salvo quanto dispongono il comma 2[1] e il comma 3, le norme del presente titolo[2], nonché quelle della parte I, IV e V[3], si applicano in relazione ai seguenti contratti, di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 28[4]: […] g) lavori pubblici da realizzarsi da parte dei soggetti privati, titolari di permesso di costruire, che assumono in via diretta l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dell'articolo 28, comma 5, della legge 17 agosto 1942, n. 1150. L'amministrazione che rilascia il permesso di costruire può prevedere che, in relazione alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, l'avente diritto a richiedere il permesso di costruire presenti all'amministrazione stessa, in sede di richiesta del permesso di costruire, un progetto preliminare delle opere da eseguire, con l'indicazione del tempo massimo in cui devono essere completate, allegando lo schema del relativo contratto di appalto. L'amministrazione, sulla base del progetto preliminare, indice una gara con le modalità previste dall'articolo 55[5]. Oggetto del contratto, previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta, sono la progettazione esecutiva e le esecuzioni di lavori. L'offerta relativa al prezzo indica distintamente il corrispettivo richiesto per la progettazione definitiva ed esecutiva, per l'esecuzione dei lavori e per gli oneri di sicurezza”.
L’art. 122 del Codice dei contratti (Disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia), al comma 8, stabilisce che “Per l'affidamento dei lavori pubblici di cui all'articolo 32, comma 1, lettera g), si applica la procedura prevista dall'articolo 57, comma 6[6]; l'invito è rivolto ad almeno cinque soggetti se sussistono in tale numero aspiranti idonei”.
L’art. 16 d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”), nel disciplinare il “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”, prevede che “1. Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo.
2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109[7], e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune
” […].
L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni […]”[8].
Ai sensi dell’art. 28 (Lottizzazione di aree) della l. 17.08.1942, n. 1150 (Legge urbanistica), “5. L'autorizzazione comunale (alla lottizzazione di terreno a scopo edilizio ai sensi dei commi precedenti) è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda:
1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni; […]
6. La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge […]
”.
I richiamati art. 32, comma 1, lett. g) e 122, comma 8, del Codice dei contratti, come riformulati a seguito delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, d.lg. 31.07.2007, n. 113 e dall’art. 1, comma 1, d.lg. 11.09.2008, n. 152[9], assoggettano dunque a procedure di evidenza pubblica (procedure aperte e ristrette ex art. 55 nel caso di contratti “soprasoglia”; procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ex art. 57, comma 6, nel caso di contratti “sottosoglia”) l’affidamento delle opere di urbanizzazione, anche ove assunte da soggetti privati titolari del permesso di costruire, annoverando in tal modo le opere di urbanizzazione tra i lavori pubblici soggetti alla disciplina concorrenziale, a prescindere dalla natura pubblica o privata del soggetto che se ne fa carico.
L’introduzione dei richiamati obblighi di evidenza pubblica si è resa necessaria per conformare il nostro ordinamento alla disciplina concorrenziale comunitaria. Infatti, la Corte di Giustizia delle Comunità europee, sez. VI, con la sentenza del 12.07.2001 in causa C-399/98, richiamata dalla Consulta nella sent. n. 129/2006, ha chiarito che qualora il privato titolare del permesso di costruire realizzi direttamente le opere di urbanizzazione primaria e secondaria a scomputo totale o parziale degli oneri da corrispondere alla pubblica amministrazione, a titolo di contributo alle spese sostenute dalla collettività per la trasformazione del territorio, egli diviene a tutti gli effetti organo indiretto della P.A. e pertanto deve uniformarsi alle norme in tema di appalti di opere pubbliche in ossequio ai principi dell’evidenza pubblica.
In altri termini,
anche in caso di assunzione diretta delle opere di urbanizzazione da parte di soggetti privati, i relativi oneri economici ricadono, sia pur in modo indiretto, sull’Amministrazione pubblica, con conseguente riconoscibilità di una stazione appaltante pubblica agli effetti della normativa e dell’interpretazione comunitaria in materia di contratti pubblici. Tale fenomeno è legato all’istituto dello “scomputo” degli oneri di urbanizzazione riconducibili alle opere assunte dal privato dal contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire. L’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 commisura, infatti, il contributo per permesso di costruire, tra l’altro, “all’incidenza degli oneri di urbanizzazione” (comma 1), come “stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni” in relazione a una serie di parametri normativamente determinati (comma 4) e come aggiornata con cadenza quinquennale “in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale […]” (comma 6). A seguito dello scomputo, pertanto, l’assunzione delle opere di urbanizzazione da parte del privato titolare del permesso di costruire, in luogo dell’Amministrazione che sarebbe altrimenti tenuta alla realizzazione di tali opere, si traduce in una corrispondente decurtazione del relativo contributo dovuto dal privato nei confronti dell’Amministrazione medesima e, per tale via, fa sì che la realizzazione delle opere di urbanizzazione, anche quando assunte dal privato, avvenga sempre a carico anche delle finanze pubbliche, sia pur in quel modo indiretto risultante dallo scomputo degli oneri di urbanizzazione sostenuti dal privato dal contributo per permesso di costruire dovuto nei confronti dell’Amministrazione. In considerazione di tale meccanismo, l’assunzione delle opere di urbanizzazione da parte di privati a scomputo del contributo da essi dovuto per il permesso di costruire è stata annoverata, prima nell’interpretazione comunitaria e poi nella legislazione nazionale (per l’appunto con i richiamati art. 32, comma 1 lett. g), e 122, comma 8, Codice dei contratti), tra i lavori pubblici, come tali soggetti agli obblighi di evidenza pubblica.
Quanto premesso conduce alla risposta al quesito principale posto dal Comune circa la spettanza, propria o del privato titolare del permesso di costruire, degli eventuali ribassi d’asta che dovessero essere conseguiti nelle procedure di evidenza pubblica.
In proposito, va anzitutto considerato che, alla luce della disciplina richiamata,
il contributo per il permesso di costruire costituisce un entrata di integrale spettanza dell’Ente e che lo stesso è commisurato, tra l’altro e come detto, all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, la cui esecuzione spetta, in primis, al Comune.
Peraltro, l’art. 32, comma 1, lett. g) Codice dei contratti pubblici (richiamato dall’art. 122, comma 8, con riferimento ai contratti “sottosoglia”) consente al privato titolare del permesso di costruire di assumere in via diretta l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, nel rispetto della disciplina dettata e sempre “con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune” (art. 16, comma 2, d.P.R. n. 380/2001).
L’esercizio di tale opzione derogatoria da parte del privato ha dunque l’effetto di sollevare il Comune, in misura corrispondente alle opere assunte dal privato, dalla corresponsione immediata dei relativi oneri di urbanizzazione, ciò nonostante assumendo comunque la proprietà delle opere realizzate.
Ciò posto,
l’istituto dello scomputo ha dunque la funzione di riequilibrare l’entità del contributo per permesso di costruire -commisurato, tra l’altro e come detto, all’incidenza degli oneri di urbanizzazione che sono di regola a carico del Comune- al passaggio di tali oneri dal Comune al soggetto privato. L’istituto consente, dunque, di evitare un indebito arricchimento del Comune ai danni del privato, che altrimenti verrebbe a determinarsi ove la commisurazione dell’entità del contributo per permesso di costruire non tenesse conto della misura in cui gli oneri di urbanizzazione ai quali quel contributo va commisurato sono stati effettivamente sostenuti dal Comune, scomputandovi conseguentemente gli oneri in realtà sostenuti dal privato. In assenza di scomputo, si creerebbe, in altri termini, una situazione disparitaria tra l’ipotesi in cui il Comune acquista la proprietà delle opere di urbanizzazione avendone sostenuto i relativi oneri e quella in cui il Comune acquista la proprietà medesima, ma senza averne sostenuto i relativi oneri, ipotesi quest’ultima che viene riequilibrata, per l’appunto, mediante lo scomputo degli oneri di urbanizzazione sostenuti in realtà dal privato dal contributo che egli deve corrispondere al Comune.
L’esigenza di aderenza della misura del contributo per permesso di costruire ai costi effettivi dell’urbanizzazione è, del resto, resa evidente anche dall’art. 16, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, che menziona espressamente quale criterio sulla base del quale procedere alla revisione periodica dell’incidenza degli oneri di urbanizzazione cui è commisurato il contributo per permesso di costruire quello della considerazione dei “riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione” (comma 6).
Conseguenzialmente a quanto premesso,
non può che concludersi per la spettanza al Comune dei ribassi d’asta eventualmente conseguiti in sede di gara rispetto al corrispettivo astrattamente e aprioristicamente posto a base d’asta. Invero, il ribasso d’asta si traduce in una minore entità del corrispettivo che sarà in concreto corrisposto dal privato per la realizzazione delle opere rispetto a quello teorico ipotizzato prima della gara, al quale è stato commisurato lo scomputo iniziale. E’ dunque evidente che, ove la differenza determinata dal ribasso d’asta non fosse riversata al Comune, la misura dello scomputo sarebbe maggiore rispetto a quella degli oneri di urbanizzazione in concreto sostenuti dal privato, determinandosi per tale parte un’ingiustificata decurtazione del contributo per permesso di costruire spettante al Comune.
Del resto,
ove si seguisse la procedura normale, sarebbe l’Ente a sopportare direttamente gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione, beneficiando al tempo stesso e altrettanto direttamente degli eventuali ribassi d’asta. Al riguardo, non si può ritenere che con l’istituto dello scomputo il legislatore abbia inteso derogare a tali meccanismi attribuendo al privato possibili guadagni derivanti dai ribassi d’asta.
Ai richiamati art. 32, comma 1, lett. g), e 122, comma 8, Codice dei contratti pubblici va, infatti, riconosciuta una ratio ambivalente, sia di tutela della concorrenza, sia di tutela delle finanze dell’ente locale e della qualità delle prestazioni da esso conseguite, quale effetto consequenziale della corretta esplicazione dei meccanismi concorrenziali.
In proposito, può condividersi il valore sintomatico in tal senso attribuito dal Comune all’evoluzione normativa che si è registrata con riferimento ai contratti sottosoglia, in relazione ai quali, essendo in precedenza consentito l’affidamento fiduciario delle opere di urbanizzazione assunte dal privato titolare del permesso di costruire, il Legislatore aveva introdotto a presidio dell’Ente -con la lettera cc) del comma 1 dell’art. 2, d.lg. 31.07.2007, n. 113, modificativa dell’art. 122 del Codice dei contratti- l’obbligo per le Amministrazioni, prima dell'avvio dell'esecuzione delle opere, di trasmettere alle competenti Procure regionali della Corte dei conti gli atti adottati e la documentazione relativi agli interventi edilizi da realizzare a scomputo degli oneri di urbanizzazione. Tale obbligo di trasmissione degli atti all’organo requirente della Magistratura tutrice istituzionale delle finanze pubbliche, che nella prospettiva del Legislatore avrebbe dovuto compensare i maggiori rischi conseguenti all’assenza di gara, è stato poi abrogato dal n. 1) della lettera bb) del comma 1 dell’art. 1 d.lg. 11.09.2008, n. 152, in concomitanza con l’introduzione, a presidio delle finanze pubbliche, degli obblighi di evidenza pubblica anche nell’ipotesi di assunzione della realizzazione di opere di urbanizzazione “sottosoglia” da parte del soggetto privato.
L’evoluzione normativa di cui sopra, che ha determinato il passaggio dal presidio offerto dallo specifico coinvolgimento della Corte dei conti, tendenzialmente compensativo dei maggiori rischi connessi all’affidamento fiduciario, al presidio offerto dall’introduzione degli obblighi di evidenza pubblica, contribuisce a mostrare quanto il Legislatore si sia dato cura della tutela delle finanze dell’ente locale, oltre che della concorrenza, anche nella specifica ipotesi di realizzazione delle opere di urbanizzazione a carico di soggetti privati. Ciò anche, come detto, in ragione dell’incidenza indiretta sulle finanze dell’Ente locale degli oneri sostenuti in prima battuta dal privato proprio in virtù del meccanismo dello scomputo, che fa sì che gli oneri di urbanizzazione sostenuti dal privato si traducano in una corrispondente decurtazione di un’entrata dell’ente locale (quella appunto derivante dal contributo per permesso di costruire) e alla quale si collega, pertanto, l’esigenza di assicurare che gli oneri che si vanno a scomputare dall’entrata del Comune (e dunque dalle finanze pubbliche) corrispondano al “giusto prezzo” per le opere realizzate. I neo-introdotti obblighi di evidenza pubblica costituiscono quindi un presidio, oltre che della concorrenza, anche delle finanze dell’ente locale, volto ad assicurare per tale profilo che la loro eventuale decurtazione in virtù dello scomputo avvenga, per l’appunto, al “giusto prezzo”, garantito dalla sua formazione attraverso meccanismi concorrenziali.
Alla luce della descritta ratio normativa, nell’applicazione dell’istituto dello scomputo va tenuta presente la richiamata esigenza di aderenza dello scomputo (con conseguente decurtazione delle entrate comunali) al “giusto prezzo” formatosi a seguito della gara. E’ evidente come tale ratio verrebbe in concreto vanificata ove lo scomputo fosse commisurato al prezzo teorico posto a base della gara e non al prezzo effettivo, formatosi in sede di concreto svolgimento della gara, comprensivo quindi anche dei ribassi d’asta. E’ soltanto tale ultimo prezzo quello da intendersi come “giusto prezzo”, al quale va quindi commisurato lo scomputo, proprio in quanto prezzo formatosi a seguito dell’operare concreto (e non meramente teorico) dei meccanismi concorrenziali posti dal Legislatore a presidio, tra l’altro e come detto, delle finanze pubbliche.
Passando al quesito concernente l’occorrenza di disciplinare la spettanza dei ribassi d’asta nella convenzione urbanistica, va anche qui ricostruito il quadro normativo.
In proposito, si è già visto come l’art. 16 d.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare il “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”, preveda che “2. […]. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione […] con le modalità e le garanzie stabilite dal comune” […].
Tali “modalità e garanzie” sono stabilite nella convenzione urbanistica di cui all’art. 28 della l. 17.08.1942, n. 1150 (Legge urbanistica), da approvarsi “con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge […]” (comma 6). Ai sensi del comma 5 di tale art. 28, “L'autorizzazione comunale (alla lottizzazione di terreno a scopo edilizio) è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda:
1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria […] nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni;
3) i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;
4) congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione
”.
Come è evidente, la questione della spettanza dei ribassi d’asta non è menzionata quale contenuto obbligatorio della convenzione di lottizzazione secondo la legislazione nazionale. Anche nella legge regionale Veneto 23.04.2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio) la questione suddetta non è menzionata quale contenuto obbligatorio della convenzione urbanistica.
Del resto, trattandosi di un aspetto che andrebbe a incidere sulla misura del contributo per permesso di costruire, la sede convenzionale non appare in linea con il carattere non disponibile che è proprio di tale entrata dell’Ente locale.
Si è, infatti, sopra visto come l’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 disciplini il contributo per permesso di costruire, ancorandone la misura a parametri oggettivi (“incidenza degli oneri di urbanizzazione”, “costo di costruzione”) da predeterminarsi con delibera consiliare secondo criteri normativamente definiti[10]. Tale contributo costituisce un’entrata non disponibile da parte del Comune, in relazione alla quale sono legislativamente fissati i criteri di determinazione, nonché quelli di “riduzione o esonero”, connessi a situazioni normativamente individuate e ritenute meritevoli di speciale tutela (art. 17 d.P.R. n. 380/2001[11]), o ancora quelli di “scomputo” (art. 16, comma 6, d.P.R. n. 380/2001), legato come già visto a finalità riequilibrative del contributo rispetto agli oneri sostenuti dal privato.
Le ipotesi legislativamente determinate di esonero, riduzione o scomputo costituiscono dunque i casi eccezionali ed esclusivi in cui sono consentite decurtazioni del contributo per permesso di costruire. Al di fuori di tali casi ex lege individuati, il contributo è sempre dovuto e costituisce un’entrata indisponibile, non suscettibile di abdicazione volontaristica da parte del Comune.
Ne consegue che, non trattandosi di materia disponibile né quanto alla debenza né quanto alla misura, in sede convenzionale non è consentito apportare deroghe alla disciplina legislativa che, si ribadisce, con specifico riguardo alla questione della spettanza dei ribassi d’asta, implica che gli stessi spettino al Comune.
L’unico contenuto possibile di una convenzione nella materia de qua non potrebbe che essere dunque riproduttivo ed esplicativo della disciplina di legge. Una convenzione di tal contenuto può avere una sua utilità con particolare riguardo agli aspetti che necessitino di interpretazione e che non risultino immediatamente evidenti dal dettato legislativo, caratteristiche che potrebbero riconoscersi alla questione della spettanza dei ribassi d’asta, la quale si è visto non essere oggetto di una esplicita disciplina di legge, pur essendo risolvibile in via interpretativa.
Quanto al quesito concernente il comportamento da tenere nel caso in cui nulla sia stato previsto nella convenzione in merito alla spettanza dei ribassi d’asta, si ribadisce, alla luce di quanto appena detto, che la disciplina di tale aspetto in sede convenzionale, pur non obbligatoria, è da ritenersi non vietata nella misura in cui abbia carattere meramente esplicativo rispetto alla disciplina sopra illustrata.
In merito, infine, al quesito riguardante il comportamento da tenere nel caso in cui lo schema di convenzione sia stato già approvato dal Consiglio comunale, ma non si sia ancora proceduto alla relativa stipula, qui basti
richiamare i principi generali in base ai quali la convenzione non può ritenersi conclusa, e dunque vincolante per le parti, prima di essere stata approvata da entrambe le parti stesse. Pertanto, prima di tale momento, il relativo schema approvato dal Consiglio comunale resta ancora un atto esclusivamente del Comune, non convenzionale, come tale, suscettibile di modifica o revoca ad opera di una nuova delibera consiliare (
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 07.08.2009 n. 148- link a www.corteconti.it).

DOTTRINA  E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: A. Rizzo, La denuncia di inizio attività in materia edilizia: i mezzi di tutela del terzo tra contrasti ed incertezze (commento a TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II. sentenza 27.05.2009 e Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2009) (link a www.lexitalia.it).

APPALTI SERVIZI: F. De Santis, Limiti operativi della società mista affidataria di appalto o servizio pubblico (nota a Cons. Stato, Sez. V, 13.02.2009) (link a www.lexitalia.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: 1. Gara d'appalto - Requisiti generali - Verifica mediante applicazione art. 48 d.lgs. 163/2006 - Inammissibilità - Ragioni.
2. Gara d'appalto - Requisiti generali - Verifica mediante applicazione art. 48 d.lgs. 163/2006 - Rideterminazione soglia di anomalia a seguito mancata dimostrazione requisiti generali aggiudicatario provvisorio - Illegittimità - Ragioni.

Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attiene alla correttezza dell’operato di una Stazione Appaltante che abbia proceduto ad effettuare il controllo dei requisiti generali solo successivamente all’apertura delle offerte economiche e all’individuazione dell’aggiudicatario provvisorio, procedendo a realizzare tale verifica oltre che nei confronti dell’aggiudicatario provvisorio e del secondo classificato anche relativamente ai soggetti risultanti dal sorteggio del dieci per cento delle offerte ammesse.
Al riguardo, occorre, in via generale, premettere che il Legislatore del Codice dei Contratti Pubblici ha chiaramente inteso distinguere la verifica sul possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006 dal controllo sul possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, previsto all’articolo 48 del D.Lgs. n. 163/2006.
Mentre per quanto riguarda i requisiti generali l’articolo 38, terzo comma, stabilisce che “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono stipulare i relativi contratti i soggetti” che si trovano nelle condizioni di indicate alle successive lettere da a) a m-bis) e prevede che “ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione di cui al presente articolo, si applica l’articolo 43 del Decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000 n. 445”; in relazione ai requisiti speciali l’articolo 48, primo comma, dispone che “le stazioni appaltanti, prima di procedere all’apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al dieci per cento delle offerte presentate, arrotondato all’unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità per i provvedimenti di cui all’articolo 6, comma 11.”
Inoltre, il comma successivo sancisce che “la richiesta di cui al comma 1 è, altresì, inoltrata entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all’aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, nel caso in cui non forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni si applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della nuova soglia di anomalia dell’offerta e alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione.”
La disposizione di cui all’articolo 38 mira, pertanto, ad escludere dalla partecipazione alla gara tutti i soggetti privi dei requisiti di carattere generale previsti dall’ordinamento, al fine di evitare che soggetti non in grado di garantire l’affidabilità morale e professionale possano entrare in rapporto con la Stazione Appaltante e aggiudicarsi un contratto pubblico.
Diversamente, l’articolo 48 consente l’accesso alle successive fasi di gara ai soli concorrenti in grado di dimostrare il possesso dei requisiti speciali prescritti dal bando.
Entrambe le disposizioni intendono tanto scongiurare il rischio che la Stazione Appaltante possa stipulare il contratto con soggetti non affidabili e inidonei a garantire una corretta esecuzione della prestazione, quanto evitare che siano ammesse, alla fase di apertura delle buste economiche e dunque di aggiudicazione, offerte inappropriate che incidano sulla determinazione della soglia di anomalia.
In tale ottica, un’interpretazione sistematica delle predette disposizioni consente di riconoscere che entrambe attribuiscono una specifica funzione al controllo operato dalla Stazione Appaltante e hanno un preciso ambito di applicazione e permette altresì di conferire al controllo sul possesso dei requisiti di carattere generale un ruolo di attività necessariamente prodromica alle successive fasi, finalizzate all’apertura delle buste contenenti le offerte tecnico-economiche e all’individuazione dell’aggiudicatario provvisorio. Ciò comporta che l’attività di controllo di cui all’articolo 48 si colloca tra la verifica del possesso dei requisiti di carattere generale e l’apertura delle buste contenenti le offerte tecnico-economiche, anche in ossequio al disposto della norma stessa che prevede che le Stazioni Appaltanti provvedano al controllo dei requisiti speciali “prima dell’apertura delle offerte presentate.”
Tanto premesso in via generale, procedendo all’analisi della questione specifica verificatasi nel caso in esame, rileva evidenziare che il disciplinare di gara, al punto II).
Procedura di aggiudicazione, stabilisce che il Presidente di gara, il giorno fissato per l’apertura delle offerte, in seduta pubblica, sulla base della documentazione contenuta nelle offerte presentate, procede a: “a) verificare la correttezza formale delle offerte e della documentazione ed in caso negativo ad escludere dalla gara i concorrenti cui esse si riferiscono; [b)…]; c) verificare immediatamente il possesso dei requisiti generali dei concorrenti al fine della loro ammissione alla gara, sulla base delle dichiarazioni da essi presentate, delle certificazioni dagli stessi prodotte e dai riscontri rilevabili dai dati risultanti dal casellario delle imprese qualificate istituito presso l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici ed in caso negativo ad escluderli dalla gara; [d)…]; e) sorteggiare un numero di concorrenti pari al 10 per cento del numero dei concorrenti ammessi arrotondato all’unità superiore, ai fini dei controlli a campione; f) aprire le buste “A – offerta economica” presentate dai concorrenti non esclusi dalla gara ed aggiudicare provvisoriamente l’appalto ai sensi dell’articolo 82, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. e dell’articolo 43, comma 3, della L.R. n. 3/2007 e s.m.i. con applicazione dell’articolo 86, comma 1, e articolo 122, comma 9, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i., dell’articolo 46, commi 1, 2, 4 e 5 della L.R. n. 3/2007 e della determinazione assunta dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici in materia di offerte di ribasso anormalmente basse pubblicata nella G.U.R.I. n. 24 del 31.01.2000. Le medie sono calcolate fino alla terza cifra decimale arrotondate all’unità superiore qualora la quarta cifra decimale sia pari o superiore a cinque.”
Inoltre, la lex specialis prevede che la Stazione Appaltante proceda, ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 con riferimento ai concorrenti individuati con sorteggio, nonché all’aggiudicatario provvisorio al secondo in graduatoria, qualora non compresi tra i concorrenti sorteggiati, al controllo della veridicità delle dichiarazioni, contenute nella busta B attestanti il possesso dei requisiti generali, senza che ne derivi un aggravio probatorio per i concorrenti, prevedendo altresì che gli stessi presentino la documentazione ivi elencata.
E’, altresì, ulteriormente precisato che, acquisiti i documenti richiesti, la Stazione Appaltante procede:
a) ad approvare in via definitiva la graduatoria di gara, nel caso in cui tutti i concorrenti (sorteggiati, aggiudicatario provvisorio e secondo in graduatoria) abbiano confermato il possesso dei requisiti generali; ovvero, in caso contrario,
b) ad escludere dalla gara i concorrenti per i quali non risulti confermato il possesso dei requisiti di carattere generale e a comunicare il fatto al responsabile del procedimento per gli adempimenti di competenza;
c) a determinare, nel caso in cui anche per uno solo dei concorrenti indicati [sorteggiati, aggiudicatario provvisorio e secondo in graduatoria] non sia confermato il possesso dei requisiti generali, una nuova media e alla nuova aggiudicazione provvisoria.
La Commissione di gara ha dato puntuale applicazione a tali disposizioni, come già ricostruito in narrativa alla luce dei verbali di gara presenti in atti e, pertanto, stante le considerazioni giuridiche svolte, così operando, ha agito contravvenendo alla specifica finalità perseguita dal Legislatore nel disporre con l’articolo 38 una preventiva verifica dei requisiti generali e con l’articolo 48 un successivo controllo a campione sui requisiti speciali (quest’ultimo da ripetere in capo all’aggiudicatario provvisorio e al secondo in graduatoria, se non precedentemente sorteggiati) volti ad ammettere alla fase di apertura delle offerte esclusivamente i soggetti con i requisiti prescritti.
L’utilizzo del procedimento ex articolo 48 per il controllo dei requisiti generali viola infatti il disposto normativo che specificamente indica il proprio campo di azione limitandolo ai soli requisiti speciali.
In tal senso depone anche la determinazione dell’Autorità n. 1 del 10.01.2008 che nel descrivere il contenuto dell’articolo 48 e nel precisare che la sua ratio è quella di incentivare la speditezza del procedimento consentendo alle Stazioni Appaltanti l’immediata esclusione dalle gare di appalto dei partecipanti che non siano in possesso dei requisiti di ordine speciale oltre che di evitare che offerte inappropriate possano influenzare la successiva fase di determinazione della soglia di anomalia, ha espressamente precisato l’obbligatorietà dell’attivazione del procedimento di verifica ai soli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi.
Lo stesso orientamento è statuito nelle recenti “Linee guida per l’applicazione dell’articolo 48 del D.Lgs. n. 163/2006” adottate dall’Autorità (determinazione n. 5 del 21.05.2009) che, nel definire l’ambito di applicazione dell’articolo 48 precisano espressamente la non estendibilità dello stesso ai requisiti generali, proprio in ragione del fatto che l’esplicito riferimento ai requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi porta ad escludere, trattandosi di norma sanzionatoria e quindi di stretta interpretazione, che gli effetti correlati al mancato adempimento possano estendersi anche al controllo disposto dalle Stazioni Appaltanti sulle dichiarazioni sostitutive prodotte a comprova dei requisiti generali.
Inoltre, la scelta adottata dalla Commissione di gara, in attuazione della specifica disposizione della lex specialis, di procedere alla rideterminazione della soglia di anomalia per il solo fatto che alcuni concorrenti sorteggiati non avevano dimostrato di possedere i requisiti generali richiesti si pone ulteriormente in contrasto con il disposto dell’articolo 48, che prevede l’obbligo in capo alla Stazione Appaltante di rideterminare la soglia di anomalia solo quando, a seguito della verifica dei requisiti speciali posseduti dall’aggiudicatario provvisorio e dall’impresa seconda qualificatasi, entrambi i concorrenti siano risultati sprovvisti di tali requisiti; mentre qualora la carenza emersa sia limitata all’impresa aggiudicataria, il contratto spetta al concorrente che segue in graduatoria. Solo nell’ipotesi in cui anche costui non dovesse comprovare il possesso dei requisiti dichiarati in gara si procede alla rideterminazione della soglia di anomalia e alla conseguente nuova aggiudicazione (in tal senso, Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 4840 del 17.09.2007; TAR Piemonte, Torino, sez. II, sentenza 16.01.2008 n. 44; Determinazione AVCP n. 5 del 21.05.2009).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la formulazione della lex specialis posta in essere dal Comune di Pontecagnano Faiano e la conseguente applicazione operata dalla Commissione di gara non è conforme alla normativa di settore (parere 30.07.2009 n. 82 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

APPALTI: 1. Gara d'appalto - Offerte - Sottoscrizione in copia anziché in originale - Inammissibilità - Ragioni.
2. Gara d'appalto - Verifica requisiti speciali in capo all'aggiudicatario provvisorio - Termine 10 giorni ex art. 48, c. 2 d.lgs. 163/2006 - Natura non perentoria - Integrazione documentazione incompleta - Va ammessa - Ragioni.

Ritenuto in diritto:
Le problematiche sottoposte a questa Autorità con la prospettazione dei fatti rappresentati, attengono a due aspetti: da un lato, si pone la questione della ammissibilità di un’offerta sottoscritta in copia anziché in originale, dall’altro, si rimette la valutazione concernente la natura ordinatoria ovvero perentoria del termine indicato all’articolo 48, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006, da cui dipende la legittimità o meno di una documentazione a comprova dei requisiti speciali dichiarati in sede di gara, prodotta oltre il termine previsto.
Quanto alla prima questione, concernente l’ammissibilità di un’offerta sottoscritta in copia anziché in originale, si evidenzia che è orientamento costante quello che riconosce alla sottoscrizione di un documento la funzione di strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento stesso che consente, pertanto, di risalire alla paternità dell’atto e renderlo vincolante verso i terzi, destinatari della manifestazione di volontà (in tal senso, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5547 del 07.11.2008).
In tale ottica e considerato che l’offerta è qualificabile come la dichiarazione di volontà del privato volta alla costituzione di un rapporto giuridico con l’Amministrazione, la sua sottoscrizione assolve alla funzione di assicurare la provenienza, la serietà, l’affidabilità e l’insostituibilità dell’offerta stessa.
Proprio la specifica funzione attribuita alla sottoscrizione giustifica, da un lato, che essa sia una condizione essenziale per la sua ammissibilità, tanto sotto il profilo formale, quanto sotto il profilo sostanziale e, dall’altro, l’esigenza che, ai fini dell’ammissibilità dell’offerta, la sottoscrizione non solo non possa mancare, ma debba anche essere apposta in originale, onde scongiurare il rischio di eventuali manomissioni che pregiudicherebbero l’attendibilità dell’offerta e la sua insostituibilità.
Per tali ragioni, fermo restando che è compito della Stazione Appaltante accertare che la sottoscrizione apposta in calce all’offerta sia in copia e non in originale, si evidenzia che, qualora tale accertamento dovesse confermare l’ipotesi sottoposta alla valutazione di questa Autorità, la Stazione Appaltante sarebbe tenuta ad escludere il concorrente dalla gara.
Per quanto riguarda il secondo profilo, concernente il mancato rispetto del termine previsto per la dimostrazione dei requisiti speciali dichiarati in sede di gara, occorre considerare che l’articolo 48 del D.Lgs. n. 163/2006 sancisce un apposito procedimento per il controllo dei requisiti di carattere speciale stabilendo, al primo comma, un controllo a campione dei requisiti dichiarati in sede di gara con la produzione della documentazione entro dieci giorni da parte dei concorrenti, nonché prevedendo, al secondo comma, che la Stazione Appaltante provveda, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, ad un controllo sui requisiti dell’aggiudicatario e del concorrente che segue in graduatoria, qualora non compresi tra i concorrenti sorteggiati.
In relazione alla natura del termine entro cui produrre i documenti, mentre è unanimemente riconosciuto carattere perentorio ed inderogabile al termine relativo al controllo a campione (primo comma), per quanto concerne invece il termine per il controllo dei requisiti dell’aggiudicatario (secondo comma), gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali oscillano tra il riconoscere ad esso natura ordinatoria ovvero perentoria.
Tuttavia, al riguardo, il recente atto di regolazione adottato dall’Autorità, con determinazione n. 5 del 21.05.2009 ha specificato che la formulazione della norma, nel prevedere che “la richiesta di cui al comma 1 è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all’aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria” fa specifico riferimento al termine di dieci giorni entro cui la Stazione Appaltante deve inoltrare la richiesta ai soggetti indicati; trattandosi, pertanto, di un termine relativo allo svolgimento di un pubblico potere, non può che avere natura sollecitatoria.
Si è, conseguentemente, ritenuto che l’Amministrazione possa legittimamente fissare nella richiesta inoltrata ai due concorrenti un temine per l’adempimento, ma poiché i termini stabiliti all’interno del procedimento hanno natura ordinatoria, se la legge diversamente non statuisce o se dalla loro osservanza non discende decadenza, appare non giustificato un atteggiamento intransigente della Stazione Appaltante e, per contro, legittima la possibilità di un’integrazione documentale, non essendovi più esigenze di par condicio tra i concorrenti, purché tale integrazione avvenga in termini brevissimi.
Ciò anche tenuto conto che l’Amministrazione può valutare, in considerazione dell’interesse pubblico all’affidamento del contratto al concorrente che ha prodotto l’offerta più conveniente, di addivenire ugualmente alla stipulazione del contratto con il primo o, in subordine, con il secondo graduato, consentendo correzioni o integrazioni documentali, nonché la comprova relativa al possesso dei requisiti in esame in ritardo.
Alla luce delle menzionate argomentazioni, fermo restando che è compito della Stazione Appaltante accertare l’esaustività dei documenti prodotti dall’aggiudicatario provvisorio ai fini dell’aggiudicazione definitiva, si rappresenta che, qualora gli stessi fossero ritenuti insufficienti, l’Amministrazione può legittimamente ammettere l’integrazione documentale necessaria.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il Comune di Cusano Mutri:
- nell’accertare che la sottoscrizione apposta in calce all’offerta sia in copia e non in originale, deve provvedere ad escludere il concorrente dalla gara;
- nel verificare l’eventuale non esaustività della prescritta documentazione idonea a comprovare il possesso dei requisiti dichiarati in sede di gara da parte dell’aggiudicataria ATI FRA.MAR. S.r.l. – Titerno Costruzini S.r.l., deve consentire l’integrazione documentale
(parere 30.07.2009 n. 78 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: L'esenzione dal pagamento dei contributi di costruzione, prevista dall'art. 9 comma 1, lett. f), l. 28.01.1977 n. 10, spetta solo con riferimento alle opere realizzate per il raggiungimento delle finalità istituzionali di una pubblica amministrazione e che pertanto, anche se eseguite da un soggetto privato in regime di concessione o altro istituto analogo, sono destinate a pervenire nel patrimonio dell'amministrazione stessa.
Come ha ben chiarito la giurisprudenza, ai fini dell'esenzione dal pagamento del contributo di costruzione occorre il concorso di due presupposti, e cioè l'ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale (nel senso che deve trattarsi di impianti o attrezzature che, quantunque non destinati direttamente a scopi dell'amministrazione, siano idonei a soddisfare bisogni della collettività anche se realizzati e gestiti da privati) e l'esecuzione delle opere da parte di enti istituzionalmente competenti, vale a dire da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale (TAR Toscana, III, 19.02.1999 n. 17; TAR Lombardia, Brescia, 18.03.1999 n. 217).
Il beneficio della gratuità della concessione edilizia può essere concesso anche ad un soggetto non pubblico, ma per conto di un ente pubblico, come nella figura della concessione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie (TAR Piemonte, I, 17.12.1998 n. 746; Cons. St., V, 07.09.1995 n. 1280), ovvero nel caso di un ente istituzionalmente competente, cioè destinato, finalizzato e creato per il perseguimento di interessi generali, ricollegati a determinati bisogni della collettività o di determinati gruppi sociali (TAR Toscana, III, n. 17/1999, citata).
L'esenzione dai contributi presuppone che l'opera sia di pubblico interesse e sia realizzata da un ente pubblico, mentre non compete alle opere eseguite da soggetti privati, quale che sia la rilevanza sociale dell'attività da essi esercitata nella (o con la) opera edilizia alla quale la concessione edilizia si riferisce (TAR Toscana, citata); così, ad esempio, é stato escluso che la realizzazione di un edificio scolastico da parte di un privato possa fruire dell'esenzione dal contributo urbanistico (TAR Lombardia, Brescia, 20.06.2000 n. 554).
La corretta interpretazione dell’ambito di applicazione della norma è proprio stata data in una recente decisione dei Giudici di palazzo Spada, in cui si afferma che “L'esenzione dal pagamento dei contributi di costruzione, prevista dall'art. 9 comma 1, lett. f), l. 28.01.1977 n. 10, spetta solo con riferimento alle opere realizzate per il raggiungimento delle finalità istituzionali di una pubblica amministrazione e che pertanto, anche se eseguite da un soggetto privato in regime di concessione o altro istituto analogo, sono destinate a pervenire nel patrimonio dell'amministrazione stessa; di conseguenza, se invece una società, anche se costituita da un ente pubblico per il conseguimento di sue finalità, realizza una struttura al fine di utilizzarla nell'ambito della sua attività d'impresa, viene a mancare la stessa ratio della concessone dell'esenzione, che è quella di evitare una contribuzione a carico di un'opera destinata a soddisfare esclusivamente interessi generali” (Consiglio Stato , sez. V, 02.10.2008 , n. 4761).
La giurisprudenza ha ritenuto applicabile la riduzione del contributo nel caso di concessioni relative a strutture sanitarie, (TAR Abruzzo L'Aquila, 24.05.2006, n. 383) , precisando che l'attività imprenditoriale diretta alla prestazione di servizi sanitari è a pieno titolo un'attività industriale, giusta la definizione di "attività industriale" che si ricava dall'art. 2195 c.c. (Consiglio Stato, sez. V, 16.01.1992, n. 46).
Anche nel caso in esame quindi si deve riconoscere il diritto alla riduzione del contributo per le opere realizzate dalla casa di cura ricorrente, indipendentemente dalla questione dell’accreditamento, ma in base alla tipologia di attività svolta, cioè industriale finalizzata alla erogazione di servizi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 4672 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Servitù e vincoli militari devono essere proporzionati e motivati.
Le servitù militari integrano una pervasiva e consistente limitazione del diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, richiedendo pertanto una adeguata e congrua motivazione che dia sufficientemente conto delle ragioni di tutela e salvaguardia dell’interesse alla difesa nazionale.
L’art. 1 della L. n. 898/1976, che contiene la nuova regolamentazione delle servitù militari, disponendo che le limitazioni al diritto di proprietà devono essere imposte nella misura direttamente e strettamente necessaria per il tipo di opere o di installazioni di difesa, scolpisce una lapalissiana manifestazione del principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria, che ha trovato ingresso nel procedimento amministrativo con l’art. 1, comma 1–bis della L. n. 241/1990 nella modifica di cui alla L. n. 15/2005.
Le servitù e i vincoli militari possono dunque affliggere la proprietà privata solo nella misura direttamente e strettamente necessaria al perseguimento, in concreto, dell’interesse alla difesa nazionale
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.07.2009 n. 2072 - link a www.altalex.com).

URBANISTICA: Edilizia ed obbligo di astensione dell’amministratore locale.
Ai fini della sussistenza del requisito della correlazione immediata e diretta, cui fa espressamente riferimento l’art. 78 del T.U.E.L., è da ritenere sufficiente che l’amministratore, o un suo parente o affine fino al quarto grado, sia proprietario di aree oggetto della disciplina urbanistica deliberata.
L'art. 78 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (a sensi del quale "gli amministratori di cui all'art. 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado"), impone l’obbligo di astensione in tutti i casi in cui i soggetti tenuti alla sua osservanza siano portatori di interessi personali, che possano trovarsi in posizione di conflittualità o anche solo di divergenza rispetto a quello, generale, affidato alle cure dell'organo di cui fanno parte
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 17.07.2009 n. 1884 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 05.10.2009

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NOVITA' SUL SITO

E' stato inserito il nuovo bottone dossier D.I.A.P..

UTILITA'

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Testo Unico della Sicurezza: disponibile la tabella di sintesi degli adempimenti per i cantieri e il testo vigente completo degli allegati  (link a www.acca.it).

dossier LEGGE CASA LOMBARDIA

EDILIZIA PRIVATA: P. Mantegazza, APPUNTI sulla Legge Regionale 16.07.2009 n. 13 “Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio ed urbanistico della Lombardia” (link a www.cameramministrativacomo.it).

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, Il piano casa lombardo (AL n. 08-09/2009).

EDILIZIA PRIVATA: Legge casa Lombardia, Attivo il servizio web per i comuni.
Con la finalità di monitorare l'attuazione della legge, è richiesta ai Comuni (art. 6, comma 2) la segnalazione a Regione Lombardia dei provvedimenti assunti entro il 15.10.2009 ai sensi dell' art. 5, commi 4 e 6. Per semplificare tale incombenza è stato realizzato un servizio WEB dedicato, analogo a quello già attivo per il Sistema Informativo Lombardo della VAS. Gli utenti già registrati a questo servizio possono utilizzare la stessa password (link a www.territorio.regione.lombardia.it).

GURI - GUEE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 39 del 28.09.2009, "Determinazioni in merito alle modalità per il sostegno finanziario degli Enti locali e degli Enti gestori delle aree regionali protette per l'esercizio delle funzioni paesaggistiche loro attribuite - Integrazioni alla d.g.r. n. 9964/2009 (art. 79, l.r. n. 12/2005)" (deliberazione G.R. 16.09.2009 n. 10173 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 39 del 28.09.2009, "Determinazioni in merito alle procedure per la realizzazione e la valorizzazione delle opere d'arte negli edifici pubblici - Schemi-tipo dei bandi di concorso e delle convenzioni con i proprietari delle opere d'arte (legge n. 717/1949; d.g.r. n. 8852/2008)" (deliberazione G.R. 16.09.2009 n. 10167 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

PUBBLICO IMPIEGO: L. Oliveri, Progressioni verticali, addio da subito anche negli enti locali (link a www.lexitalia.it).

APPALTI SERVIZI: G. Nicoletti, La riforma dei servizi pubblici locali; prime valutazioni sul D.L. 25.09.2009 n. 135 (link a www.dirittodeiservizipubbli.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: R. Chieppa, Il regime dell'invalidità del provvedimento amministrativo (link a www.giustizia-amministrativa.it).

CORTE DEI CONTI

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire intoccabile. Il comune non può esentare i cittadini dal pagare gli oneri.
Parere della Corte dei conti per il Piemonte fa chiarezza sulle disponibilità degli enti locali.

Un comune non può esentare i cittadini dal pagamento degli oneri correlati al permesso di costruire, nemmeno se la possibile esenzione è finalizzata alla promozione del territorio locale. Infatti, dalle disposizioni contenute nel testo unico in materia edilizia (il dpr n. 380/2001), si evince chiaramente che l'onerosità delle trasformazioni urbanistico-edilizie costituisce la regola e non un'eccezione. Il principio-cardine secondo il quale non può procedersi ad un'esenzione dei citati oneri, infatti, sta nell'evidenza che il peso economico-finanziario di un'operazione di trasformazione edilizia non può essere a carico della collettività (vale a dire le minori entrate che da tale operazione si riflettono sul bilancio comunale), ma deve ricadere sul soggetto che la richiede, perché è da questa operazione che egli ne trae benefici.
È quanto ha ammesso a chiare lettere la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per il Piemonte, nel testo del parere 15.09.2009 n. 40, con il quale ha fatto chiarezza sulla eventuale disponibilità dell'ente locale sulle entrate derivanti dal rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 16 del citato Testo unico sull'edilizia. Disponibilità che, nel caso di specie, si tradurrebbe in una sorta di «condono» sul permesso di costruire per quei soggetti che trasformano fabbricati per avviarne una struttura turistico-ricettiva.
IL PARERE
Nei fatti oggetto della pronuncia della magistratura contabile piemontese in osservazione, il comune di Moriondo Torinese ha formulato una richiesta di parere riguardante un'iniziativa di promozione del territorio. Nell'istanza, l'amministrazione comunale intendeva prevedere l'esenzione dal pagamento degli oneri per le ristrutturazioni ed altri interventi di recupero su fabbricati da destinare a «bed & breakfast». Un beneficio, quello nelle intenzioni del comune, che sarebbe stato subordinato all'effettiva apertura della struttura entro un congruo termine dalla conclusione dei lavori ed al mantenimento di tale destinazione per un lasso di tempo determinato, pena la decadenza dal beneficio. Stante così il quadro dell'operazione che il comune intendeva avviare, il vertice dello stesso richiedeva alla Corte dei conti di volersi pronunciare in merito alla «liceità contabile» dell'iniziativa».
LA RISPOSTA DELLA CORTE
Nessuna esenzione è possibile, ha risposto la Corte dei conti. Con riguardo, infatti, al testo unico in materia edilizia, all'articolo 16 si stabilisce che “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione», secondo modalità che la stessa norma di legge definisce chiaramente.
Il semplice richiamo a questa norma, si legge nel testo del parere in esame, mette in evidenza un particolare fondamentale. Vale a dire che l'onerosità delle trasformazioni urbanistico-edilizie costituisce la regola e non certo un'eccezione. Una regola, si ammette, che ha la sua ratio nel principio secondo il quale il peso economico-finanziario derivante da una trasformazione urbanistico-edilizia non deve gravare interamente sulla comunità locale, che dovrà farsi carico delle relative minori entrate nei capitoli del bilancio comunale, bensì sul soggetto che effettua la trasformazione, dalla quale egli non può che trarne benefici (articolo ItaliaOggi 02.10.2009, pag. 14).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICAVOTAZIONE FRAZIONATA DI UNA VARIANTE AL PRG.
1.- P.R.G. - Variante - Votazione frazionata su singole parti di piano - Ammissibilità.
2.- P.R.G. - Variante - Adozione in votazioni frazionate - Esclusione - Casi - Fattispecie.
3.- Procedimento amministrativo - Impugnazione atti - Carattere costitutivo degli effetti - Atto complesso - Annullamento atto di adozione P.R.G. - Efficacia su successivo atto di approvazione - Caducante.
4.- P.R.G. - Mancata impugnazione di atti successivi applicativi delle previsioni di piano - Sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere contro gli atti di pianificazione - Non sussiste.

1.- Il procedimento di votazione frazionata deve ritenersi legittimo. Ciò nella considerazione che non è rinvenibile nell'ordinamento una disposizione che vieti siffatta modalità di votazione. Di contro tale soluzione appare ragionevole e realistica, se si tiene presente la situazione dei piccoli comuni ed in particolare di quello di specie, in cui gran parte dei consiglieri e loro parenti e affini sono proprietari di terreni incisi dalle previsioni urbanistiche, posto che, ove non si consentisse detta votazione frazionata, sarebbe sostanzialmente impossibile per detti comuni procedere all'adozione di strumenti urbanistici generali. Ne conseguirebbe altresì una violazione del principio di democraticità, in quanto la formazione degli strumenti urbanistici, nei predetti comuni, non sarebbe quasi mai riconducibile alla scelta della collettività locale, ma a quella di un organo esterno -il commissario ad acta- che necessariamente dovrebbe intervenire in via sostitutiva.
2.- L'adozione della variante in votazioni frazionate e separate di singoli segmenti della nuova disciplina urbanistica non risulta corretta qualora, non sia accompagnata da un'analisi complessiva del suo contenuto globale. (Nella fattispecie in esame, l'analisi complessiva del contenuto globale della nuova disciplina urbanistica appare individuabile proprio all'interno delle due deliberazioni impugnate).
3.- Il piano regolatore, una volta adottato, nella misura in cui è suscettibile di applicazione, è atto immediatamente lesivo e direttamente impugnabile, ancorché la sua impugnazione costituisca una facoltà e non un onere, allo stesso modo e alle stesse condizioni in cui ciò avverrebbe in caso di un piano approvato. Agli effetti, infatti, della configurabilità di un atto come provvedimento impugnabile, ciò che rileva non è la sua collocazione al termine del procedimento, bensì il carattere costitutivo degli effetti, che all'atto stesso si ricollegano. Con la precisazione che l'eventuale annullamento dell'atto di adozione, comportando il venir meno di uno degli elementi necessari di un atto complesso il cui procedimento si conclude solo con l'approvazione, esplica effetti automaticamente caducanti e non meramente vizianti sul successivo provvedimento di approvazione, nella parte in cui lo stesso si limita a confermare le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa.
4.- Si deve escludere che la mancata impugnazione di atti successivi applicativi delle previsioni di piano lesive ed impugnate tempestivamente possa condurre a ritenere venuto meno l'interesse a ricorrere contro gli atti di pianificazione in quanto l'effetto di annullamento del piano permette al ricorrente di ripresentare una domanda di rilascio del titolo edilizio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.09.2009 n. 4744 - link a
http://mondolegale.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sui presupposti necessari per il riconoscimento della legittimazione ad agire in giudizio a favore di una associazione non riconosciuta di protezione ambientale.
Le associazioni ambientali riconosciute sono legittimate ad agire solo nell'articolazione nazionale ma non in quelle regionali. Un gruppo di cittadini che documenti il danno al patrimonio dalla realizzazione di un impianto produttore di energia è legittimato a ricorrere.

Mentre è pacifica, perché positivizzata in norma, la legittimazione a ricorrere delle associazioni ambientalistiche riconosciute, in forza del combinato disposto dell'art. 13 e dell'art. 18, c. 5, della l. 18.07.1986 n. 349 istitutiva del Ministero dell'Ambiente, il titolo processuale legittimante delle associazioni non riconosciute va ricercato: nel carattere non occasionale o strumentale alla proposizione di una determinata impugnativa; nello stabile collegamento col territorio, consolidatosi nel tempo, che deve presuntivamente escludersi in caso di associazioni costituite pochi giorni prima della proposizione del ricorso; nella rappresentatività della collettività locale di riferimento, requisito quest'ultimo, che non può prescindere dalla considerazione, quanto meno indiziaria, del numero delle persone fisiche costituenti l'associazione. Pertanto, le associazioni di protezione ambientale sono legittimate ad agire in giudizio solo se documentano rappresentatività e stabile collegamento e tale non è, nel caso di specie, un'associazione formata da 9 persone e costituita 18 giorni prima del ricorso.
Le associazioni ambientali riconosciute sono legittimate ad agire solo nell'articolazione nazionale ma non in quelle regionali. La speciale legittimazione ad agire delle associazioni di protezione e tutela ambientale nei giudizi impugnatori diretti contro provvedimenti in materia di ambiente concerne le "associazioni di protezione ambientale nazionali, formalmente riconosciute e non le loro strutture o articolazioni territoriali, che non rispondono ai requisiti posti dagli artt. 13 e 18, comma 5, della legge 1986 n. 349
La legittimazione di una persona fisica ad impugnare atti di localizzazione di discariche e di impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani non discende dalla mera vicinanza dell'abitazione ad una discarica, ma è subordinata alla prova del danno che il ricorrente riceve nella sua sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell'impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle sue vicinanze, o perché le prescrizioni dettate dall'autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell'impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze.
Il procedimento definito dall'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, dominato dalla conferenza di servizi e inteso al rilascio dell'autorizzazione unica alla realizzazione di impianti produttori di energia dallo sfruttamento di FER (fonti energetiche rinnovabili: biomasse, impianti eolici e quant'altro) ha carattere omnicomprensivo ed assorbe ogni altro procedimento previsto dalle leggi regionali e volto alla verifica o alla valutazione dell'impatto ambientale, poiché la conferenza di servizi è la sede nella quale le varie amministrazioni preposte alla tutela dei beni ambientali, paesaggistici e storico-artistici debbono esternare le loro valutazioni tecniche, non consentendo il generico richiamo di cui all'art. 12 citato al rispetto delle normative vigenti in tema di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico artistico, di essere inteso come salvezza anche dei moduli procedimentali di settore che secondo la previgente legislazione erano intesi alla salvaguardia di quei valori. Si è incisivamente anche puntualizzato che "ai sensi dell'art. 12, d.lgs. 29.12.2003 n. 387, il legislatore ha inteso favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella conferenza di servizi ai fini del rilascio di un'autorizzazione unica. La valutazione di impatto ambientale non è affatto esclusa dalla novella di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, ma va effettuata in seno alla conferenza di servizi, pena la vanificazione del termine di 180 giorni entro il quale la stessa deve concludersi.
E' principio generale del diritto amministrativo quello secondo il quale il contenuto determinativo di un provvedimento è costituito non solo dalla parte dispositiva ma anche dalla parte prescrittiva, rappresentata dall'insieme delle prescrizioni che circondano il rilascio di un titolo autorizzatorio ed entrano a far parte del dispositivo dell'atto, il quale va giudicato, in rapporto al parametro normativo di riferimento, nella sua integralità determinativa, costituita anche dalle prescrizioni imposte al soggetto beneficiario del provvedimento ampliativo, conseguendone la legittimità di un'autorizzazione alla realizzazione di un impianto alimentato da FER qualora la stessa rechi la tassativa e vincolante prescrizione che per l'alimentazione e il funzionamento della centrale debbano essere impiegate solo biomasse vegetali trattate meccanicamente, con esclusione di prodotti qualificabili come rifiuto. Poco importa poi se in fase di attuazione del provvedimento autorizzatorio il beneficiario non ottemperi alla riferita prescrizione: il comportamento divergente ed inadempiente del destinatario non si riverbera ex post sulla legittimità del provvedimento amministrativo autorizzatorio, che riamane invulnerata, potendo e dovendo l'inottemperanza de qua rilevare in occasione e sede di controlli che l'Amministrazione potrà effettuare, il cui negativo esito potrà condurre anche alla revoca sanzionatoria dell'autorizzazione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 25.09.2009 n. 2292 - link a www.dirittodeiservizipubbli.it).

URBANISTICALe scelte urbanistiche che l'Amministrazione compie per la disciplina del territorio comunale non comportano di regola la necessità di una specifica motivazione che tenga conto delle aspirazioni dei privati.
Il Collegio osserva che le scelte urbanistiche costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto, da travisamento o da abnormi illogicità e contraddittorietà (Cfr. tra le tante, Cons. St., Ad. plen., 22.12.1999, n. 24; IV, 25.07.2001, n. 4077; 22.05.2000, n. 2934; 09.01.2000, n. 245 cit.; 08.02.1999, n. 121; TAR Lombardia, Brescia, 28.06.1990, n. 770, TAR Toscana, I Sez., 27.01.1994, n. 39; TAR Friuli-Venezia Giulia, 24.09.1994, n. 349; TAR Abruzzo, Pescara, 11.07.1998, n. 496); in particolare, è stato deciso che la destinazione data con lo strumento urbanistico ad un’area o ad una zona del territorio comunale e le connesse valutazioni dell'Amministrazione non necessitano di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano stesso: criteri che possono essere desunti anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, richiamati dal provvedimento conclusivo (Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 22.12.1999, n. 24 ,cit.; IV, 25.07.2001, n. 4077, cit.; 09.01.2000, n. 245 cit.; 08.02.1999, n. 121, cit.; IV, 12.06.1995, n. 439; 04.03.1993, n. 240; IV Sez., 11.12.1979, n. 1141).
Detto questo, ritiene il Collegio di dovere, altresì, richiamare il consolidato -e risalente- orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le scelte urbanistiche che l'Amministrazione compie per la disciplina del territorio comunale non comportano di regola la necessità di una specifica motivazione che tenga conto delle aspirazioni dei privati (Cfr. per tutte, Cons. St., Ap., 21.10.1980, n. 37; IV Sez., 11.01.1985, n. 2; IV Sez., 02.07.1983, n. 488).
Tale principio (che comunque non preclude al giudice amministrativo di verificare se le scelte operate siano irrazionali o manifestamente illogiche e contraddittorie) è operante anche quando l'Autorità urbanistica adotti una variante, anche generale, al piano vigente (Cfr. Cons. St., IV Sez., 30.06.1993, n. 642; IV Sez., 02.07.1983, n. 488), sulla base di una diversa valutazione delle esigenze pubbliche (Cfr., Cons. St., IV Sez., 20.03.1985, n. 96), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione d'accompagnamento al progetto di modificazione (Cfr. Cons. St., IV Sez., 04.03.1993, n. 240; IV Sez., 11.12.1979, n. 1141), pur quando essa disponga vincoli sulla proprietà privata, prevedendone l'espropriazione o la inedificabilità assoluta.
I suesposti principi in tema di motivazione degli strumenti urbanistici, ribaditi dall'art. 3, secondo comma, della legge 07.08.1990, n. 241 (in base al quale: ”…….La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale”…), subiscono, però, un correttivo –così è stato stabilito da una giurisprudenza lontana nel tempo, ma che ancora oggi incontra un significativo seguito- quando particolari situazioni abbiano creato aspettative qualificate o concreti affidamenti (Cfr. Cons. St., IV Sez., 04.09.1985, n. 328; IV Sez., 13.04.1984, n. 243) in favore di soggetti, le cui posizioni appaiono meritevoli di speciale considerazione (Cfr., Cons. St., IV Sez., 13.05.1992, n. 511; IV Sez., 27.04.1989, n. 267; TAR Friuli Venezia Giulia, 20.12.2003, n. 892).
La giurisprudenza ha da tempo avvertito che l'Autorità urbanistica può esercitare i propri poteri di modifica di un piano urbanistico, solo se sussistono adeguate ragioni di pubblico interesse, da esternare in una specifica motivazione:
- quando le scelte urbanistiche incidano su di un’area considerata edificabile in un precedente strumento urbanistico (Cfr. Cons. St., Ad. plen., 21.10.1980, n. 37 e II Sez., 25.10.1989, n. 864; TAR Friuli Venezia Giulia, 20.12.2003, n. 892, cit.; TAR Campania, 02.11.1999, n. 2811; TAR Emilia-Romagna, 22.04.1999, n. 148);
- allorché l'Amministrazione non ritenga di poter più mantenere fede agli impegni assunti con la stipula di una convenzione di lottizzazione (Cfr., Cons. Stato, IV Sez., 22.05.2000, n. 2934; 26.05.1998, n. 886; 13.07.1993, n. 711; id. IV Sez., 14.05.1993, n. 531; id. IV Sez., 01.07.1992, n. 653);
- in presenza di una sentenza dichiarativa dell'obbligo per la stessa Amministrazione di provvedere alla stipula della convenzione dopo che questa sia stata approvata (Cfr., Cons. Stato, V Sez., 08.09.1992, n. 776); i
- n presenza di un giudicato di annullamento di un diniego di rilascio di concessione di costruzione (Cfr., Cons. Stato, Ad. plen., 08.01.1986, n. 1; IV Sez., 22.05.2000, n. 2934 cit.);
- in caso di superamento degli standard minimi di cui al D.M. 02.04.1968 (Cfr., Cons. St., Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24; IV Sez., 22.05.2000, n. 2934 cit.) (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 24.09.2009 n. 669 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva e terzi acquirenti.
La confisca prevista per il reato di lottizzazione abusiva costituisce una sanzione amministrativa e non una misura di sicurezza penale di natura patrimoniale. La natura amministrativa di detta confisca non ne esclude, però, il carattere sanzionatorio con la conseguente necessità di tener conto dei principi generali che regolano l‘applicazione anche delle sanzioni amministrative.
Orbene, è indubbio che anche con riferimento alle sanzioni amministrative esulano dalla materia criteri di responsabilità oggettiva, essendo richiesta, quale requisito essenziale di legalità per la loro applicazione, l’esistenza di una condotta che risponda ai necessari requisiti soggettivi della coscienza e volontà dell’agente e sia caratterizzata quanto meno dall’elemento psicologico della colpa. Né la confisca di cui si tratta può essere ricondotta ad alcuna delle ipotesi di responsabilità solidale.
L’acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, terzo estraneo al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto, cioè -pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento dei doveri di informazione e conoscenza- di partecipare ad un’operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l’acquirente sia consapevole del carattere abusivo dell’intervento -o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza- la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio (di analogo contenuto Sez. III n. 36844 del 22.09.2009, Contò) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.09.2009 n. 36845 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Responsabilità proprietario dell’area.
Nell'ipotesi in cui il terreno viene concesso in uso per l’esercizio di un’attività soggetta ad autorizzazione e la cui disciplina configura come fattispecie penali la violazione delle relative prescrizioni, incombe sul proprietario l’obbligo, anche al fine di assicurare la funzione sociale riconosciuta dall’art. 42 della Costituzione al diritto di proprietà, di verificare che l’utilizzazione dell’immobile avvenga nel rispetto della legalità, e, quindi, che il terzo, cui ha concesso in uso il terreno, sia in possesso dell’autorizzazione necessaria per l’attività di gestione di rifiuti che su detto terreno viene effettuata e rispetti le prescrizioni in essa contenute. In tale caso, invero, il proprietario non solo è a conoscenza, ma ha contribuito attivamente alla verificazione della fattispecie penale, concedendo l’uso dell’immobile a tale scopo.
Pertanto, anche escludendosi il concorso dell’imputato con il titolare dell’azienda avicola, giudicato separatamente, nell’attività di smaltimento dei rifiuti, correttamente ne è stata egualmente affermata la responsabilità, per quanto rilevato in ordine all’obbligo da parte del locatore di impedire l’uso illecito della cosa locata, allorché ne sia consapevole o possa esserne consapevole mediante l’ordinaria diligenza, in applicazione del disposto di cui all’art. 40, comma secondo, c.p. (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.09.2009 n. 36836 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria e requisito della doppia conformità.
Secondo il dato testuale di cui all’art. 36, primo comma, del DPR n. 380/2001, ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, é necessario che l’opera eseguita abusivamente risponda al requisito della cosiddetta doppia conformità e, cioè, che la stessa sia conforme agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della sua realizzazione che a quello della emissione del provvedimento.
In mancanza di tale duplice requisito deve escludersi che il provvedimento di sanatoria possa esplicare l’effetto estintivo del reato previsto dall’art. 45, comma terzo, del DPR n. 380/2001 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.09.2009 n. 36350 - link a www.lexambiente.it).

APPALTIANNOTAZIONI PRESSO L'OSSERVATORIO DEI CONTRATTI PUBBLICI RELATIVI A LAVORI, SERVIZI E FORNITURE.
1.- Partecipazione e qualificazione - Requisiti generali - Mancanza - Esclusione - Comunicazione all'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
2.- Partecipazione e qualificazione - Requisiti generali - Mancanza - Comunicazione all'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture - Funzione - Discrezionalità - Non sussiste.
3.- Partecipazione e qualificazione - Requisiti generali - Mancanza - Impugnazione atto esclusione dalla gara - Interesse - Sussiste.
4.- Partecipazione e qualificazione - Requisiti generali - Mancanza - Atto di esclusione dalla gara - Presupposto all'iscrizione nel Casellario informatico - Onere di impugnazione - Sussiste - Fattispecie.

1.- L'esclusione da una pubblica gara per l'affidamento di appalto per dichiarazione mendace nel corso della stessa, oltre a determinare l'estromissione dalla gara, fa sorgere, altresì, l'obbligo per le stazioni appaltanti di comunicazione all'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui all'art. 7, codice degli appalti, che riceve tutte le notizie che riguardino le imprese qualificate e le gare cui esse partecipino, il che è condizione sufficiente per l'attivazione del procedimento che si conclude con l'annotazione nel Casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture istituito presso l'Osservatorio ai sensi del citato art. 7 co. 10; per tale ultimo aspetto, se da un lato assume importanza fondamentale per l'impresa conoscere le ragioni in forza delle quali è stata disposta l'esclusione, dall'altro è indubitabile come la stessa, avuta contezza di ciò, se ritiene priva di fondamento giuridico, oltre che fattuale, la rilevata violazione, non possa fare altro che attivare i rimedi previsti dall'ordinamento per la rimozione degli effetti di tale esclusione, in quanto gli stessi non sono circoscrivibili alla sola espulsione dalla procedura concorsuale, ma estensibili anche agli ulteriori effetti che l'ordinamento stesso ha previsto.
2.- La natura dell'attività posta in essere dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in sede di inserimento dei dati nel casellario informatico sulla base delle segnalazioni pervenute, è da considerarsi meramente esecutiva, con la conseguenza che, nella struttura della norma dell'art. 27, D.P.R. 25.01.2000 n. 34, non compete all'Autorità una verifica preliminare dei contenuti sostanziali delle segnalazioni, ad eccezione della verifica di riconducibilità delle stesse alle ipotesi tipiche elencate dalla norma medesima ; peraltro, mancando ogni discrezionalità in capo all'Autorità, è escluso, altresì, l'obbligo di motivazione e l'applicazione di istituti partecipativi (comunicazione di avvio, contraddittorio).
3.- Il concorrente in una gara d'appalto è titolare di un vero e proprio interesse sostanziale a non subire i pregiudizi derivanti dalla segnalazione all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ed alla successiva annotazione nel casellario informatico della sua esclusione, sempre che abbia assolto l'onere di impugnare il provvedimento di esclusione da cui sia evincibile la ragione a supporto della relativa adozione.
4.- Rispetto all'accertamento ed ai contenuti propri dell'atto di revoca, i successivi provvedimenti dell'amministrazione costituiscono espressione di attività vincolata, con la conseguenza che non è possibile indirizzare verso gli stessi censure che logicamente andavano rivolte verso l'atto presupposto, con conseguente declaratoria di inammissibilità del gravame non proposto anche avverso l'atto lesivo (la società ricorrente, pertanto, non poteva considerarsi esonerata dall'onere di impugnazione dell'atto lesivo, anche al fine di evitare l'ulteriore effetto della annotazione nel Casellario informatico, in base al solo fatto che la Stazione appaltante ha ritenuto per ragioni di opportunità, e comunque del tutto estranee alla odierna ricorrente, di annullare la gara, dovendo considerarsi perdurante l'interesse ad impugnare l'esclusione, proprio al fine di far valere le ragioni che oggi, invece, adduce avverso i soli atti consequenziali alla determinazione espulsiva) (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 21.09.2009 n. 9039 - link a
http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Violazioni norme di tutela del paesaggio e buona fede.
Nelle fattispecie contravvenzionali la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell'illiceità del fatto (commissivo od omissivo) e derivi da un elemento positivo, estraneo all’agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto.
La prova della sussistenza di un elemento positivo di tal genere, però, deve essere data dall’imputato, il quale ha anche l’onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata (fattispecie in tema di violazione di norme di tutela paesaggistica) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.09.2009 n. 36218 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Confisca.
La confisca prevista in tema di rifiuti dal D.Lv. 152/2006 può essere applicata solo con la sentenza di condanna o con quella di patteggiamento e non pure con il decreto penale di condanna (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.09.2009 n. 36063 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dichiarazione dello stato di emergenza e disciplina urbanistica.
La dichiarazione dello stato di emergenza non comporta una "sospensione" dell’intero ordinamento giuridico che regola le attività amministrative delle zone colpite, ma solo la sospensione di alcune situazioni giuridiche strettamente connesse alla calamità naturale e desumibili dai presupposti e dalle finalità che caratterizzano la legge 225 del 1992 (e l’O.P.C.M. del Luglio 2006).
In tale contesto l’impatto sulle regole urbanistiche e edilizie non discende da interventi diretti sui PRG, ma dalle modifiche alla normativa di salvaguardia, che ha valenza sovraordinata rispetto alla disciplina urbanistica (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.09.2009 n. 36050 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva e modifica della destinazione d’uso.
Può configurare il reato di lottizzazione abusiva la modifica di destinazione d’uso di un complesso alberghiero, realizzata attraverso la vendita di singole unità immobiliari a privati, allorché (indipendentemente dal regime proprietario della struttura) non sussiste una organizzazione imprenditoriale preposta alla gestione dei servizi comuni ed alla concessione in locazione dei singoli appartamenti compravenduti secondo le regole comuni del contratto di albergo, atteso che in tale ipotesi le singole uniti perdono la loro originaria destinazione d’uso alberghiera per assumere quella residenziale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.09.2009 n. 35708 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa semplice difficoltà tecnico/economica non giustifica la richiesta di proroga del termine triennale entro cui terminare i lavori della concessione edilizia.
Per accordare al concessionario una proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori, il Collegio richiama la consolidata giurisprudenza che individua come ragione giustificativa del mancato rispetto del termine esclusivamente fatti estranei alla sfera personale del concessionario (cfr. Cons. Stato, IV, 1738/2005), quali il factum principis o la forza maggiore (Tar Genova, 1200/2007), con la conseguenza che –in mancanza di tali eventi– la pronuncia di decadenza si atteggia ad atto vincolato basato su un mero accertamento oggettivo (Tar Lazio Roma, 13996/2004).
Fatta questa premessa, non può assurgere al rango di “fatto sopravvenuto estraneo alla volontà del concessionario” la semplice difficoltà tecnico/economica adombrata da parte ricorrente nell’istanza di proroga, laddove si fa riferimento alla avvenuta “liquidazione” (per non meglio chiarite ragioni) di una società affiliata al Consorzio incaricata della coesecuzione dei lavori.
Infatti, la richiamata “liquidazione” –pur se sopravvenuta– non rientra nel novero dei fatti estranei alla “sfera di governo” della ricorrente, che ben avrebbe potuto invece adoperarsi per assumere in toto la gestione del cantiere o per trovare un impresa sostitutiva.
In proposito, si richiama una decisione di questo Tar (n. 1494/2003) con la quale è stato espressamente escluso che il fallimento della società concessionaria (evento, per certi versi simile a quello dedotto dall’odierna ricorrente) possa costituire evento valutabile ai fini della proroga del termini ex art. 36, co. 12, L.R. 71/1978 (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 15.09.2009 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa nozione di ristrutturazione si distingue da quella di nuova costruzione per la necessità che la ricostruzione sia identica per sagoma, volumetria e superficie al fabbricato demolito.
La nozione di ristrutturazione, sebbene ulteriormente estesa per effetto delle disposizioni contenute nell'art. 3 d.P.R. 06.06.2001 n. 380, si distingue ora pur sempre da quella di nuova costruzione per la necessità che la ricostruzione sia identica per sagoma, volumetria e superficie al fabbricato demolito (TAR Marche, 07.04.2006, n. 139; Consiglio Stato, sez. V, 01.04.2006, n. 2085) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 11.09.2009 n. 4949 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI lavori di rifacimento di ruderi, di un edificio già da tempo demolito o diruto sono qualificabili come nuova costruzione.
Per giurisprudenza pacifica, anche di questo Collegio, i lavori di rifacimento di ruderi, di un edificio già da tempo demolito o diruto sono qualificabili come nuova costruzione, con necessità di un'apposita concessione edilizia o titolo corrispondente, secondo la vigente normativa.
E nel concetto giuridico di rudere rientra, senza dubbio, il caso di specie relativo al rifacimento di un organismo edilizio dotato di sole mura perimetrali, e privo di copertura, con conseguente non invocabilità nel caso in esame della disposizione urbanistica che consente il mantenimento dei volumi preesistenti, e quindi la mera ristrutturazione e non la nuova costruzione (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 11.09.2009 n. 4949 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIRICHIESTA DI RISARCIMENTO A SEGUITO DELLA CONDOTTA DELL’AMMINISTRAZIONE.
1- Giurisdizione amministrativa – Esclusiva – Risarcimento dei danni – Criteri – Accertata illegittimità dei provvedimenti amministrativi – Condotta colposa dell’Amministrazione – Obbligo risarcitorio – Non è consequenziale – Ratio - Va dimostrato che l'apparato amministrativo ha posto in essere una condotta non diligente.
2- Atto amministrativo – Attività di controllo – Annullamento per difetto di motivazione – Presupposto dell’azione risarcitoria – Occorre una nuova rideterminazione dell’Amministrazione.
1-
L'accertata illegittimità del provvedimento amministrativo non integra di per sé gli estremi della condotta colposa, cui ricollegare automaticamente l'obbligo risarcitorio, dovendosi prendere in considerazione, a tal fine, il comportamento complessivo degli organi che sono intervenuti nel procedimento, il quadro delle norme rilevanti ai fini dell'adozione della statuizione finale, la presenza di possibili incertezze interpretative in relazione al contenuto prescrittivo delle disposizioni medesime (Consiglio di Stato, sez. IV, 30.01.2009, n. 515 e 24.12.2008, n. 6538).
In applicazione di tali principi di carattere generale, i più recenti arresti della giurisprudenza amministrativa hanno, più nello specifico, statuito che:
a) a sostegno della propria domanda risarcitoria, il privato non può limitarsi ad invocare la sola illegittimità del provvedimento amministrativo configurandosi, in tal caso, una inammissibile presunzione di colpa in capo alla P.A. (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 03.12.2008, n. 13);
b) affinché si configuri una responsabilità dell'apparato amministrativo procedente, l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente; a tal fine, l'imputazione dell'elemento dannoso a titolo di dolo o colpa della stessa P.A. è da ritenersi sussistente, altresì, nell'ipotesi in cui l'azione dell'Amministrazione sia caratterizzata da negligenza nell'interpretare ed applicare la vigente normativa (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, 03.02.2009, n. 256; TAR Campania-Napoli, Sez. III, 03.02.2009, n. 572; Consiglio di Stato, Sezione Sesta, 18.03.2008 n. 1113);
c) in tema di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione, spetta al Giudice valutare la configurabilità concreta della colpa in relazione ad ogni singola fattispecie e, inoltre, in presenza di ampi poteri discrezionali della P.A. e in assenza di specifici elementi presuntivi, è necessario uno sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato (TAR Lazio, Sez. III-quater, 22.12.2008, n. 12198).
In sintesi, si può concludere che, quanto all’elemento psicologico, va comunque dimostrato che l'apparato amministrativo ha posto in essere non solo una condotta illegittima, ma una condotta non diligente, ossia una condotta che, secondo l'esigibile grado di competenza e professionalità della organizzazione degli uffici, poteva essere evitata, in funzione, invece, della condotta dovuta.
2- Nel caso in cui sia stato annullato un provvedimento amministrativo per vizi formali o, comunque, per difetto di motivazione, la domanda di risarcimento del danno non può essere valutata che all'esito della nuova manifestazione di detto potere, poiché la facoltà di rideterminazione che residua in capo al soggetto pubblico esclude il carattere di definitività del rapporto, quale necessario presupposto dell'azione risarcitoria (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, 27.04.2005, n. 668) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 11.09.2009 n. 1388 - link a
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PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi: illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica, se i criteri di massima sono generici.
In materia di concorsi pubblici, è illegittima, perché inidonea ad esternare le ragioni che ne stanno alla base, la valutazione dei titoli del candidato espressa esclusivamente in forma numerica, ove l'amministrazione abbia stabilito criteri di massima estremamente generici, nei quali non siano individuabili precisi parametri di riferimento cui raccordare il punteggio assegnato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.09.2009 n. 5447 - link a www.eius.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Strumenti di tutela.
La disposizione posta dall’art. 9 della legge 447/1995 si riferisce ad eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica, non fronteggiabili nell’ambito delle ordinarie funzioni di controllo sull’osservanza della normativa vigente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 10.09.2009 n. 5420 - link a www.lexambiente.it).

ESPROPRIAZIONELE RAGIONI "IMPLICITE" DELL'ESPROPRIAZIONE.
Espropriazione ed occupazione - Procedimento - Avvio espropriazione - Comunicazione dell'approvazione del progetto di opera pubblica - Necessarietà - Ragioni.
L'approvazione del progetto di opera pubblica che valga come dichiarazione implicita di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, a mente dell'art. 1, L. n. 1/1978, deve essere preceduta dalla comunicazione dell'avvio del procedimento (Cons. Stato, sez. IV, 22-03-2005 n. 1236; Cons. Stato, sez. VI, 11-05-2005 n. 2381; TAR Basilicata 02-02-2007 n. 3).
Il progetto dell'opera pubblica infatti non scaturisce automaticamente dalle previsioni degli strumenti urbanistici generali (o attuativi), ma dipende da scelte progettuali discrezionali rispetto alle quali non può concepirsi che il proprietario espropriando rimanga totalmente estraneo (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 09.09.2009 n. 550 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Danno ambientale. Legittimazione associazioni ambientaliste.
L’omessa allegazione di un danno diretto all’ambiente non consente, in ultima analisi, di ritenere sussistente la speciale legittimazione di Legambiente, né a diverse conclusioni può pervenirsi in forza della previsione contenuta nel già citato art. 310 del codice dell’ambiente che, nel configurare una generale legittimazione delle associazioni di tutela ambientale, limita oggettivamente detta legittimazione all’impugnazione degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui alla parte sesta del codice medesimo, mentre le censure dedotte nella fattispecie afferiscono alle norme che regolano il servizio di gestione dei rifiuti e alla ripartizione dei relativi costi (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 04.09.2009 n. 2258 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Ordinanza di rimozione.
L'art. 192, d.lgs. 03.04.2006 n. 192, non si limita a riprodurre il tenore dell’abrogato art. 14, d. lgs. 05.02.1997, n. 22 (cd. decreto Ronchi) con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o di colpa, per l'obbligo di rimozione dei rifiuti illecitamente abbandonati, ma integra l'anzidetto precetto precisando che tale ordine può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo, con il palese intento di rafforzare e promuovere le esigenze di effettiva partecipazione dei potenziali destinatari del provvedimento allo specifico procedimento.
In merito alla titolarità del potere va precisato che spetta al sindaco, ai sensi dell'art. 192, comma 3, d.lgs. 03.04.2006 n. 152, norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 02.09.2009 n. 4598 - link a www.lexambiente.it).

RISARCIBILITA' DANNIRESPONSABILITA' AQUILIANA DEI COMUNI.
Responsabilità - Civile - Responsabilità aquiliana - Comune - Sussistenza - Presupposti necessari - Conseguenze.
In materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043, Cod. Civ., l'obbligo del risarcimento a carico del Comune può ammettersi solo in presenza di un suo comportamento quanto meno colposo, a sua volta non ravvisabile a seguito di qualsiasi illegittimità che ha giustificato l'annullamento dell'atto, ma quando la violazione risulta grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e, viceversa, negandola quando l'indagine presupposta conduce al riconoscimento di un errore scusabile (come, ad esempio, in presenza di contrasti giurisprudenziali o di incertezza del quadro normativo di riferimento o di complessità della situazione di fatto) (Cons. Stato, sez. IV, 06-07-2004 n. 5012) (TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 01.09.2009 n. 551 - link a
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EDILIZIA PRIVATASull'annullamento del nulla-osta paesaggistico.
L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, previsto in relazione alla generalità degli atti amministrativi dall’art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 ed espressamente ribadito per i procedimenti di annullamento ministeriale dei nulla osta paesaggistici rilasciati dai soggetti delegati (o subdelegati) dall’art. 4, comma 1, del d.m. 13.06.1994 n. 495, è stato eliminato dal successivo d.m. 19.06.2002 n. 165, ma è stato poi ripristinato dal decreto legislativo 22.01.2004 n. 42, recante il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, agli artt. 146 e 159, anche se attraverso la speciale forma della comunicazione agli interessati della trasmissione dell’autorizzazione rilasciata da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo con l’avviso dell’avvio della fase del controllo ministeriale (TAR Campania-Napoli, sez. IV, 17.02.2009, n. 832).
L’annullamento da parte della Soprintendenza del nulla-osta paesaggistico non può essere considerato come la conclusione negativa di un complesso iter procedimentale nel quale dovrebbero trovare applicazione le disposizioni procedurali di cui all’art. 10-bis l. n. 241 del 1990, quanto piuttosto alla stregua di una fase ulteriore (ovvero di secondo grado, secondo la terminologia utilizzata al riguardo dalla Corte Costituzionale - sentenza 05.11.1996 n. 383) la quale, determinando la caducazione del precedente nulla osta comunale, non potrebbe essere in alcun modo assimilata alla reiezione di un’istanza di parte la quale costituisce, invece, l’oggetto della disciplina di cui all’art. 10-bis citato (TAR Lazio Roma, sez. II, 23.04.2008, n. 3505).
Il termine perentorio di 60 giorni entro il quale la Soprintendenza deve esercitare il potere di annullamento del nulla–osta rilasciato dall’Amministrazione comunale è legittimamente interrotto in caso di richiesta di integrazione istruttoria (Consiglio Stato, sez. VI, 20.12.2004, n. 8142), si deve ritenere che sia sufficiente la sola emanazione della richiesta, da parte dell’Autorità Statale, per interrompere il decorso del termine de quo, restando irrilevante la data, in cui la stessa richiesta pervenga al destinatario.
Depone, in tal senso, anzitutto, il dato letterale (si parla infatti, nel 2° comma dell’art. 159 cit., di “richiesta di integrazione documentale”, come dell’atto, in grado d’interrompere il decorso del termine in questione, laddove, nel 3° comma della stessa disposizione di legge, è espressamente prevista, al contrario, la necessità della “ricezione della relativa, completa documentazione”, da parte della Soprintendenza); inoltre, milita nel senso, patrocinato dal Collegio, anche l’interpretazione pacificamente adottata, in giurisprudenza, con riferimento al decorso del termine di giorni 60, per l’adozione del provvedimento di annullamento da parte dell’organo ministeriale, interpretazione orientata nel senso della natura non ricettizia del medesimo provvedimento e compendiata nella seguente massima: “Il provvedimento di annullamento del nulla–osta paesistico non ha natura di atto recettizio, con la conseguenza che il termine –perentorio– di 60 giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell’Amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso” (Consiglio Stato, sez. VI, 16.03.2009, n. 1531)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 25.06.2009 n. 3316 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’omessa comunicazione di avvio del procedimento non è sempre un vizio.
La comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7, l. 07.08.1990, n. 241, non integra un obbligo di natura formale, essendo preordinato, oltre che al detto ruolo difensivo, anche alla formazione di una più razionale volontà dell'Amministrazione; sicché non può ritenersi sussistere la violazione dell'art. 7 citato, quando l'istante non abbia dimostrato che sarebbe stato in grado di fornire elementi di conoscenza e giudizio tali, secondo un giudizio a posteriori, da conformare diversamente le scelte dell'Amministrazione (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 08.04.2009 n. 1864 - link a www.altalex.com).

URBANISTICA: Sulla variante al P.R.G. finalizzata al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi.
L'art. 29, L. 47/1985 prevede effettivamente una potestà pianificatoria, tramite varianti agli strumenti urbanistici generali, finalizzati al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi, ma tale potestà non solo compete alle Regioni, quanto soprattutto prevede l'obbligo di "rispettare gli interessi di carattere storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, idrogeologico". La norma quindi è nel senso che se recupero debba esservi attraverso la pianificazione non può certo realizzarsi conculcando valori fondamentali, quali quello afferente al patrimonio archeologico, costituente elemento della "memoria della comunità nazionale".
Il decreto di vincolo indiretto non è atto regolamentare, ma immediatamente prescrittivo e conformativo
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 08.04.2009 n. 1864 - link a www.altalex.com).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria. Inquinamento da traffico e omissione di atti d'ufficio.
Inquinamento dell’aria. Inquinamento da traffico veicolare. Omissione di atti d’ufficio. Getto pericoloso di cose. Artt. 110 e 328 c.p., 110, 40 comma 2, 81 e 674 c.p. Responsabilità Giuridica degli Enti Territoriali. Poteri del Sindaco.

I poteri attribuiti dall’ordinamento generale al sindaco in materia di traffico veicolare e di inquinamento dell'aria, consentono di affermare che la mancanza o la inadeguatezza delle deliberazioni atte alla prevenzione ed alla eliminazione di gravi livelli di inquinamento dell'aria, e lesivi pertanto del diritto alla salute umana, sono suscettibili in determinati casi di configurare i reati di cui agli artt. 328 e 674 c.p., di omissione di atti di ufficio e di emissioni atte ad offendere la salute di una pluralità di persone.
La responsabilità giuridica di intervenire adeguatamente deve essere riconosciuta, oltre che al sindaco, agli assessori ed in generale a tutti gli organi che sono in concreto dotati di poteri deliberativi, nell'ambito di organismi amministrativi di enti territoriali, essendo tutti questi soggetti preposti a rilevanti settori del governo del territorio urbano e circostante. [...] (TRIBUNALE di Palermo, Uff. GUP, sentenza 10.03.2009 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI: La mancanza di una dichiarazione prevista ex lege comporta esclusione.
La mancata dichiarazione -indipendentemente dalla circostanza che il bando o lo schema della domanda di partecipazione predisposti dall’Amministrazione lo prevedessero esplicitamente- avrebbe dovuto condurre all’esclusione dell’impresa inottemperante al predetto obbligo.
L’art. 17 della legge n. 68 del 1999 è una disposizione con un chiaro contenuto di ordine pubblico e la sua applicazione non viene fatta dipendere dall’inserimento o meno dell’obbligo ivi previsto fra le specifiche clausole di concorso delle singole gare; logica conseguenza è che il bando che non contenga alcun riferimento agli obblighi derivanti dalla norma legislativa anzidetta, deve intendersi dalla stessa comunque integrato
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 04.03.2009 n. 457 - link a www.altalex.com).

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