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AGGIORNAMENTO AL 27.10.2009 |
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UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - VARI:
"Capire la Sicurezza": cento domande e
risposte sulla sicurezza sul lavoro dall’
Ispesl.
L'ISPESL di Potenza ha curato la
pubblicazione “Capire la Sicurezza”, cento
domande e cento risposte sulla sicurezza sul
lavoro (link a www.acca.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 43 del
26.10.2009, "Monitoraggio degli
interventi assentiti dai Comuni in
attuazione della l.r. 13/2009" (decreto
D.U.O. 14.10.2009 n. 10428 - link
a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 43 del
26.10.2009, "Determinazioni inerenti le
procedure per l'accettazione e la gestione
dei rottami metallici ferrosi e non ferrosi"
(deliberazione
G.R. 28.09.2009 n. 10222 - link a
www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n.
42 del 23.10.2009, "Indirizzi per la
programmazione regionale di risanamento
della qualità dell'aria (art. 2, comma 1,
l.r. n. 24/2006)"
(deliberazione
C.R. 06.10.2009 n. 891 - link a www.infopoint.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Bertuzzi,
RIFIUTI: IL F.I.R. SOSTITUISCE LA SCHEDA DI
TRASPORTO (link a
www.tuttoambiente.it). |
APPALTI:
S. Cresta,
Gare d’appalto: le novità in tema di
controllo e collegamento tra concorrenti
(link a www.altalex.com). |
URBANISTICA:
G. D'Oria,
SUI RECENTI APPRODI DELLA CASSAZIONE IN TEMA
DI "LOTTIZZAZIONE ABUSIVA"
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L. Fanizzi e S. Misceo,
Dispositivi on-line per la raccolta e la
separazione delle sabbie (applicazione nelle
reti fognarie separate dotate di impianti
per il trattamento delle acque di prima
pioggia) (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Pierobon,
I LAVORI IN CORSO IN MATERIA AMBIENTALE, IN
PARTICOLARE PER I RIFIUTI ...
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Montagna,
Scarichi industriali e superamento dei
limiti tabellari: quale la sanzione?
e L. prati,
Il legislatore fa chiarezza sul regime
sanzionatorio degli scarichi idrici
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
L. A. Pezone e F. Pezone,
LA DEPURAZIONE INTEGRATIVA, NELLE CASE,
NELLE FOGNE…. (link a
www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G. Gentilini,
Alcuni cenni sintetici sugli atti
verbalizzazioni degli organi collegiali
(collegi) (link a
www.diritto.it). |
APPALTI:
M. Sperduti,
Il requisito della moralità professionale di
cui all’art. 38, c. 1, lett. c), del D.lgs.
n. 163 del 2006 alla luce della recente
giurisprudenza amministrativa
(link a www.diritto.it). |
APPALTI:
G. Lucarini,
L’arbitrato in materia di lavori pubblici
tra schizofrenia legislativa e preesistenti
profili di incostituzionalità
(link a www.diritto.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Diritto d'accesso senza
limitazioni sugli atti di gara.
Il diritto di accesso deve essere esercitato
in maniera piena e illimitata. Sono
illegittimi provvedimenti che consentono di
prendere solo visione di documenti
amministrativi, ma non di estrarne copia.
L'importante principio è stato fissato dal
Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 19.10.2009 n. 6393,
molto rilevante sia perché riforma la
decisione di primo grado, sia perché è
riferita all'accesso agli atti delle
procedure di gara, regolata dall'articolo 13
del dlgs n. 163/2006. Inoltre, palazzo Spada
mostra di aver del tutto superato la tesi
della possibilità di consentire l'accesso
per sola visione, ritenuta possibile, per
esempio, nella sentenza della sezione VI,
07.06.2006, n. 3418.
Il citato articolo 13 del dlgs n. 163/2006,
mentre rinvia alla disciplina generale
dell'accesso fissata negli articolo 22 e
seguenti della legge n. 241/1990, al comma 5
esclude il diritto di accesso e ogni forma
di divulgazione in relazione «alle
informazioni fornite dagli offerenti
nell'ambito delle offerte ovvero a
giustificazione delle medesime, che
costituiscano, secondo motivata e comprovata
dichiarazione dell'offerente, segreti
tecnici o commerciali».
Si tratta di una disposizione piuttosto
controversa, la cui ratio consiste
nella volontà del legislatore di escludere
dal diritto di accesso la documentazione
prodotta dalle aziende nelle gare d'appalto,
dalla quale possa derivare una lesione al
proprio diritto alla riservatezza sui
sistemi di produzione, se suscettibile di
rivelare il proprio know-how industriale.
È, nella sostanza, la previsione espressa ad
un'eccezione al diritto di accesso,
considerato sempre preminente; tale
eccezione, comunque, può costituire ostacolo
all'esercizio del diritto di accesso a
condizione che l'impresa alla quale sono
riferiti i documenti comprovi all'ente
appaltante che essi contengono informazioni
integranti segreti tecnici o commerciali.
Infatti, In assenza di tale dichiarazione o
di carenza della motivazione, la causa di
esclusione dall'esercizio del diritto di
accesso non opera.
Il comma 6 dell'articolo 13 del dlgs n.
163/2006 aggiunge, per altro, che l'accesso
è in ogni caso consentito «al concorrente
che lo chieda in vista della difesa in
giudizio dei propri interessi in relazione
alla procedura di affidamento del contratto
nell'ambito della quale viene formulata la
richiesta di accesso». Il legislatore,
dunque, ha voluto affermare espressamente la
prevalenza generale dell'accesso difensivo,
strumentale, cioè, alla tutela di diritti in
giudizio da parte del richiedente, del resto
disposta dall'articolo 24, comma 7, della
legge n. 241/1990.
Molte amministrazioni, allo scopo di
contemperare esigenze di riservatezza (nel
caso di specie, di un'azienda che partecipa
ad una gara di appalto) e di garanzia
dell'esercizio del diritto di accesso, sono
solite consentire una forma attenuata di
accesso, limitata alla sola esibizione dei
documenti, senza la possibilità di estrarne
copia.
Osserva, però, il Consiglio di stato che né
l'articolo 13, comma 6, del codice dei
contratti né l'articolo 24 della legge n.
241/1990 prevedono che l'accesso «difensivo»,
in quanto tale prevalente sulle antagoniste
ragioni di riservatezza o di segretezza
tecnica o commerciale, possa e debba essere
esercitato nella forma della sola presa
visione, ad esclusione dell'estrazione di
copia.
Nel precedente regime normativo era
l'articolo 9, comma 5, lettera d), ultimo
periodo, del dpr n. 352/1992, che poteva
fondare la sola esibizione dei documenti,
poiché disponeva che, laddove vi fossero
ragioni di tutela della riservatezza di
terzi «deve comunque essere garantita ai
richiedenti la visione degli atti dei
procedimenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per
difendere i loro stessi interessi giuridici».
Ma, oggi, l'insieme delle disposizioni
vigenti rivela l'illegittimità di simile
modo di procedere. Infatti, l'articolo 25,
comma 1, della legge n. 241/1990 dispone che
l'accesso si esercita mediante esame e
contemporanea estrazione di copia dei
documenti; inoltre, il dpr n. 184/2006,
all'articolo 7, comma 5, nel disciplinare
l'accesso formale mediante esame dei
documenti, prevede che «l'interessato può
prendere appunti e trascrivere in tutto o in
parte i documenti presi in visione».
Conclude, dunque, inevitabilmente palazzo
Spada che è illegittimo il provvedimento con
cui si è limita il diritto di accesso
all'offerta tecnica presentata dalla ditta
aggiudicataria, consentendone la sola
visione e non anche l'estrazione di copia
(articolo ItaliaOggi del 24.10.2009, pag.
253). |
EDILIZIA PRIVATA: MUTAMENTO DI DESTINAZIONE D’USO.
Ristrutturazione –
Presupposti - Mutamento di destinazione
d'uso di un immobile - Deve essere
autorizzato mediante rilascio del permesso
di costruire - Fattispecie.
Gli interventi edilizi che alterino, anche
sotto il profilo della distribuzione
interna, l'originaria consistenza fisica di
un immobile e comportino l'inserimento di
nuovi impianti e la modifica e
ridistribuzione dei volumi, non si
configurano né come manutenzione
straordinaria, né come restauro o
risanamento conservativo, ma rientrano
nell'ambito della ristrutturazione edilizia
prevista dall'art. 31, lett. d), legge n.
457 del 1978, (Cons. St., sez. V,
17.12.1996, n. 1551) e, quindi, ove vi sia
sostanziale modifica della destinazione
preesistente, concretano il mutamento di
destinazione d’uso.
Da ciò consegue che il mutamento di
destinazione d'uso di un immobile deve
essere autorizzato mediante rilascio del
permesso di costruire, qualora sia
effettuato mediante opere, o qualora
comporti un mutamento tra categorie edilizie
funzionalmente autonome e non omogenee, in
tali casi integrando una modificazione
edilizia che incide sul carico urbanistico
(v. TAR Campania-NA - Sez. III, 18/09/2008
n. 10351; TAR Puglia-BA - Sez. I, 10/06/2008
n. 1415; TAR Sicilia-CT - Sez. I, 04/01/2008
n. 55, TAR Piemonte Sez. I, 28/03/2006 n.
1560).
Con riferimento al cambio di destinazione
d'uso, la giurisprudenza ha escluso la
necessità di permesso a costruire solo
allorquando un organismo edilizio assicura
la fisionomia e conservazione della
destinazione d'uso, della collocazione e
delle caratteristiche fisiche identificative
dell'originario manufatto (Cons. Stato, V,
08.08.2003 n. 4593).
Nel caso di specie gli interventi previsti
comportavano una trasformazione della realtà
strutturale, oltre che della fruibilità
edilizia dell’immobile, dato che da un unico
locale si ricava un piccolo appartamento
dotato di tutti i comforts, dando luogo ad
un organismo ben diverso da quello
preesistente
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 15.10.2009 n. 2302 - link a http://mondolegale.it). |
APPALTI: CONTESTAZIONE
DEL BANDO DI GARA SENZA DOMANDA DI
PARTECIPAZIONE: QUANDO E' CONSENTITA...
1. Bando - Impugnazione
- Da parte di impresa non partecipante alla
gara - Possibilità - Casi - Ragioni.
2. Criteri e principi - Aggiudicazione -
Impugnazione - Interesse ad agire - Soggetti
titolari - Disciplina - Ragioni.
3. Bando - Assenza di pubblicazione -
Legittimità - Condizioni e presupposti
necessari.
1.
In caso di impugnazione della lex
specialis di gara da parte di un'impresa
appartenente al settore coinvolto dalla
procedura, che già in base alle prescrizioni
del bando (ritenute illegittime) verrebbe
esclusa, non è richiesto che tale soggetto
sia poi tenuto a presentare domanda di
partecipazione alla gara al fine di potere
contestare le clausole del bando per lui
lesive.
Ciò in quanto ogni impresa operante in un
determinato settore ha un interesse tutelato
a contestare anche la scelta della P.A. di
non procedere all'indizione di una procedura
di gara pubblica a tutela del principio
della libera concorrenza e del criterio di
effettività del diritto alla tutela
giurisdizionale, atteso che la mancata
indizione di una procedura di evidenza
pubblica lede il suo interesse sostanziale a
competere, secondo pari opportunità, ai fini
dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi
secondo le prescritte procedure.
Inoltre, non è necessario che essa dimostri
di possedere tutti i requisiti tecnici e
finanziari occorrenti per partecipare alla
gara, risultando l'interesse fatto valere
indirizzato a censurare la soluzione
organizzativa adottata e non già a
riportarne l'aggiudicazione, atteso che con
l'accoglimento del ricorso viene soddisfatto
l'interesse strumentale tendente alla
rimessa in discussione del rapporto
controverso (Cons. Stato, sez. V, 16-06-2009
n. 3891).
2.
Tutte le imprese operanti nell'ambito dei
lavori o dei servizi da aggiudicare hanno un
interesse qualificato ad impugnare l'atto
con cui la P.A. decida di aggiudicare il
contratto a trattativa privata (Cons. Stato,
sez. V, 16-06-2009 n. 3903), poiché tutti
gli operatori economici del settore sono
titolari di un interesse strumentale alla
effettuazione della gara, in quanto
aspiranti partecipanti alla stessa.
Né a tal fine risulta necessario che
l'impresa del settore ricorrente dimostri di
possedere tutti i requisiti tecnici e
finanziari occorrenti per partecipare alla
gara, atteso che con l'accoglimento del
ricorso viene soddisfatto l'interesse
strumentale tendente alla rimessa in
discussione del rapporto controverso e alla
possibilità di partecipare alla gara per
l'affidamento dei lavori, servizio o
fornitura, nella cui futura ed eventuale
sede l'Amministrazione potrà verificare se
l'impresa possiede in concreto i requisiti
per prendervi parte (Cons. Stato, sez. V,
24-11-2008 n. 5693).
3.
Il ricorso alla procedura senza
pubblicazione del bando di cui all'art. 57
comma 2, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006
trova fondamento nella presenza di
circostanze eccezionali che non consentano
l'indugio degli incanti e della licitazione
privata, a condizione però che l'estrema
urgenza risulti da eventi imprevedibili per
la stazione appaltante e non dipenda invece
da un ritardo di attivazione dei
procedimenti ad essa imputabile e solo
quando l'estrema urgenza non sia compatibile
con i termini imposti dalle procedure
aperte, ristrette o negoziate previa
pubblicazione di un bando di gara (TAR Lazio
Roma, sez. I, 18-02-2009 n. 1656; TAR
Piemonte, sez. I, 24-11-2008 n. 2943)
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 14.10.2009 n. 589 - link a http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA: RECINZIONE
IN RETE E CANCELLO SCORREVOLE.
Recinzione in rete su
paletti di sostegno infissi in un cordolo di
cemento - Non comporta di norma
trasformazione urbanistica e edilizia del
territorio – Natura - Rientra tra le
manifestazioni del diritto di proprietà che
comprende lo “ius excludendi alios".
Non è necessaria la concessione edilizia,
con conseguente illegittimità della relativa
sanzione demolitoria prevista dalla l. n.
47/1985, per la realizzazione di una
recinzione in rete su paletti di sostegno
infissi in un cordolo di cemento (TAR.
Em-Rom., Pr, 19.02.2009, n. 44; TAR Em.
Rom., Bo, Sez.II, 16.02.2009, n. 136; TAR
Lazio, Sez. II, 03.07.2007, n. 5968).
Entro tali limiti, infatti, la recinzione
così eseguita rientra tra le manifestazioni
del diritto di proprietà, che comprende lo “ius
excludendi alios”, e non comporta di
norma trasformazione urbanistica e edilizia
del territorio, a differenza di altre e
diverse ipotesi in cui la recinzione stessa
non assume solo la funzione ora descritta ma
dà luogo ad una trasformazione ulteriore
mediante installazione di elementi non
strettamente necessari alla sua primaria
funzione, quali, ad esempio, un muretto di
sostegno in calcestruzzo lungo tutto il
perimetro (TAR Liguria, Sez. I, 11.09.2002,
n. 961).
Tale conclusione deve ritenersi applicabile
anche nel caso di un cancello scorrevole,
che ugualmente, se inserito nella recinzione
in semplice rete, non dà luogo a
trasformazione urbanistica tale da
richiedere la concessione edilizia (ora
permesso di costruire)
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 13.10.2009 n. 1532 - link a http://mondolegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Inerti da demolizioni o
scavi di manti stradali.
Gli inerti provenienti da demolizioni di
edifici o da scavi di manti stradali erano e
continuano ad essere considerati rifiuti
speciali anche in base al decreto
legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di
materiale espressamente qualificato come
rifiuto dalla legge, del quale il detentore
ha l’obbligo di disfarsi avviandolo o al
recupero o allo smaltimento (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.10.2009 n. 39728 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Rottami ferrosi.
Anche a seguito delle modifiche introdotte
dal d.Lgs. 16.01.2008 n. 4 al d.L.gs.
152/2006 è stato riaffermato che i rottami
ferrosi rientrano nel campo di applicazione
della disciplina dei rifiuti, salvo che gli
stessi provengano da un centro autorizzato
di gestione e trattamento di rifiuti e
presentino caratteristiche rispondenti a
quelle previste dai decreti ministeriali sul
recupero agevolato di rifiuti pericolosi e
non pericolosi e relativo regolamento,
assumendo in tal caso la qualificazione di
materia prima secondaria (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.10.2009 n. 39727 -
link a www.lexambiente.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Il consigliere comunale può
divulgare alla stampa documenti riservati.
Non esiste la
condanna per rivelazione del segreto
d’ufficio per colui che divulga notizie
concernenti la pubblica amministrazione.
Sono tutelate solamente le ipotesi
normativamente previste; circoscritti i
casi, quindi, in cui il diritto di accesso
può essere limitato, solamente la legge può
imporre la copertura degli atti.
Un simile reato può essere possibile,
quindi, solo nel caso in cui i documenti che
sono stati diffusi abbiano la qualifica di
atti segreti per espressa disposizione
legislativa
(Corte di Cassazione, Sez. VI penale,
sentenza 12.10.2009 n. 39706 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
PARCHI E RISERVE: NORMATIVA
APPLICABILE.
1.- Ambiente - Parchi -
D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 - Applicazione al
Parco naturale Adda Sud - Sussiste.
2.- Cave e miniere - Autorizzazione ed
irrogazione delle sanzioni di cui agli artt.
7 e 15, L. 29.06.1939 n. 1497 - Delega alle
provincie - Limitata - Alle attività
estrattive - Interventi di miglioramento
fondiario - Esclusione - Per attività
estrattiva limitata - Art. 36, co. 1, L.R.
n. 14/1998 - Applicazione - Sussiste.
3.- Autorizzazione - Paesistica - Art. 8,
L.R. n. 18/1997 - Rilascio - In via
preliminare all'avvio dei procedimenti
edilizi - Fattispecie.
1.-
La tutela di cui al D.Lgs. 29.10.1999 n. 490
(testo unico delle disposizioni legislative
in materia di beni culturali e ambientali)
comprende (art. 146, co. 1, lett. f) "i
parchi e le riserve nazionali o regionali,
nonché i territori di protezione esterna dei
parchi".
Il Parco naturale Adda Sud, istituito con
L.R. 16.09.1983 n. 81, è dunque soggetto
alle disposizioni del testo unico, tanto più
che, l'area in questione è qualificata come
di "rispetto paesistico".
2.-
La delega alle province riguardante
l'autorizzazione e l'irrogazione delle
sanzioni di cui, rispettivamente, agli artt.
7 e 15, L. 29.06.1939 n. 1497, riguarda le
sole attività estrattive previste dai piani
delle cave, e non gli interventi di
miglioramento fondiario, i quali per
definizione esulano, in linea di principio,
dall'ambito applicativo della legge
regionale sulle attività di cava (cfr. art.
36, co. 1, L.R. n. 14/1998), mentre quelli
che comportano (anche) una limitata attività
estrattiva restano soggetti alla (sola)
disciplina di cui al co. 2 dello stesso art.
36.
Per questa categoria di interventi torna
quindi applicabile, per il profilo
paesistico, l'art. 10 della L.R. n. 18/1997,
il quale stabilisce che "per i Comuni
ricadenti nei territori dei parchi,
limitatamente alle aree ivi comprese, a far
tempo dall'entrata in vigore dei rispettivi
piani territoriali di coordinamento con
contenuti paesistici l'autorizzazione di cui
all'art. 7, L. 29.06.1939 n. 1497, è
rilasciata dal Sindaco previa certificazione
dall'ente gestore del parco in ordine alla
conformità dell'intervento proposto con il
Piano territoriale di coordinamento".
3.-
Ai sensi dell'art. 8, L.R. n. 18/1997, quale
che sia l'ente delegato, il rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica "è, in
ogni caso preliminare all'avvio dei
procedimenti edilizi o, ove prevista, alla
denuncia di inizio lavori, nonché all'avvio
dei procedimenti di cui alla vigente
legislazione forestale e sull'attività
estrattiva di cava" (nel caso in esame
l'autorizzazione della Provincia ex art. 36,
L.R. n. 14/1998 doveva essere accompagnata,
o meglio preceduta, dall'autorizzazione
paesistica rilasciata dal Comune previo
parere di conformità del Parco)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.10.2009 n. 4779 - link a http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sequestro preventivo, misure
ripristinatorie ed acquirente dell’immobile.
Oggetto del sequestro preventivo di cui al
primo comma dell’art. 321 c.p.p. può essere
qualsiasi bene a chiunque appartenente e,
quindi, anche a persona estranea al reato
purché esso sia, anche indirettamente,
collegato al reato e, ove lasciato in libera
disponibilità, idoneo a costituire pericolo
di aggravamento o di protrazione delle
conseguenze del reato ovvero di agevolazione
della commissione di ulteriori fatti
penalmente rilevanti.
In relazione al reato di costruzione
abusiva, con riferimento alla posizione del
soggetto che acquisti la proprietà
dell’immobile successivamente al compimento
dell’abuso -ferme le ipotesi di nullità
dell’atto di vendita specificamente poste
dalla legge- la giurisprudenza è altresì
costantemente orientata nel senso che le
sanzioni ripristinatorie sono legittimamente
irrogate nei confronti degli attuali
proprietari dell’immobile, indipendentemente
dall’essere stati o meno questi ultimi gli
autori dell’abuso, salva la loro facoltà di
fare valere sul piano civile la
responsabilità, contrattuale o
extracontrattuale, del dante causa.
L’interesse dell’ordinamento è nel senso che
l’immobile abusivamente realizzato venga
abbattuto, con conseguente eliminazione
della lesione arrecata al bene protetto e,
se si accedesse alla tesi dell’impossibilità
di irrogare la sanzione ripristinatoria (e
di adottare il sequestro preventivo) nei
confronti del proprietario successivo non
responsabile dell’abuso, basterebbe una
semplice alienazione (reale o simulata) per
vanificare l’anzidetta fondamentale
funzione.
Quanto alla demolizione dell’opera abusiva
-che deve essere disposta dal giudice penale
con una sentenza di condanna o ad essa
equiparata, ex art. 31, ultimo comma, del
D.P.R. n. 380/2001- è dunque irrilevante la
circostanza che l’attuale proprietario del
bene sia persona diversa dall’autore
dell’illecito (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 09.10.2009 n. 39322 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Bonifiche.
1.
Gli atti del procedimento di bonifica dei
siti di interesse nazionale, compresi quelli
conclusivi, rientrano nella competenza
tecnico-gestionale degli organi esecutivi
(dirigenti) poiché non contengono elementi
di indirizzo politico-amministrativo che
possono attrarre detta competenza nella
sfera riservata agli organi di governo (i
quali ultimi definiscono solo gli obiettivi
e programmi da attuare, verificandone i
risultati, il cui raggiungimento è riservato
alla responsabilità dirigenziale). Ciò in
forza del generale principio di distinzione
tra attività di governo e attività di
gestione che presiede l’organizzazione e il
funzionamento delle amministrazioni
pubbliche.
L’applicazione di tale principio va del
resto coordinata con quanto dispone l’art.
4, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001, secondo
cui: “Le attribuzioni dei
dirigenti....possono essere derogate
soltanto espressamente e ad opera di
specifiche disposizioni legislative”.
Detta conclusione è valida sia con riguardo
allo schema procedimentale di cui all’art.
15 del DM 471/1999 (precedente al richiamato
D.Lgs. n. 165/2001 e non avente natura
legislativa), ancorché stabilisca che il
progetto definitivo della bonifica venga
approvato dal Ministro dell'Ambiente (di
concerto con i Ministri dell'Industria, del
Commercio e dell'Artigianato e della
Sanità), sia nello schema procedimentale di
cui all’art. 252 del D.Lgs. n. 152/2006, che
attribuisce genericamente la competenza per
la procedura di bonifica al Ministero
dell’Ambiente e della tutela del territorio
(sentito il Ministero delle Attività
produttive) (cfr. TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 319/2009).
Tale orientamento è stato confermato anche
da Tar Toscana, sez. II, 2287/2008, secondo
cui “la competenza ad adottare
l'ordinanza prevista dall'art. 8, co. 2 del
D.M. 28.10.1999 n. 471 spetta al dirigente
(o in sua assenza al responsabile del
servizio) e ciò sulla base del richiamo
all'art. 70, co. 6 del d.lgs. 31.03.2001 n.
165 che, nel reiterare l'art. 45, co. 1 del
d.lgs. n. 80 del 1998, abrogato dall'art.
72, co. 1, lett. b) del citato d.lgs. n. 165
del 2001, ha disposto che, a decorrere dal
23.04.1998, le disposizioni che conferiscono
agli organi di governo l'adozione di atti o
provvedimenti amministrativi si intendono
nel senso che la relativa competenza spetta
ai dirigenti”.
2.
Il provvedimento conclusivo della Conferenza
di servizi, quando non ribalti le decisioni
prese in sede di Conferenza, è atto
meramente confermativo e consequenziale
delle determinazioni assunte in sede di
Conferenza (e da questo principio la stessa
giurisprudenza fa derivare l’impugnabilità
autonoma del verbale conclusivo della
Conferenza di servizi) (v. sul punto, ad
esempio, la posizione di Tar Toscana, sez.
I. 978/2005: la determinazione conclusiva
della conferenza assunta sulla base della
maggioranza delle posizioni espresse in tale
sede è immediatamente esecutiva ed è
autonomamente ed immediatamente impugnabile
e ciò rende senz'altro superflua l'adozione
di un successivo provvedimento da parte
dell'Amministrazione procedente che dovendo
necessariamente uniformarsi alle decisioni
assunte dall'organo collegiale avrebbe un
carattere meramente dichiarativo degli esiti
della conferenza) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 09.10.2009 n. 1738
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URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva (oggetto e
buona fede dell’acquirente e subacquirente).
1.
L'eccezione secondo la quale alla stregua
della formulazione letterale dell’art. 30,
1° comma, del T.U. n. 380/2001 e tenuto
conto del principio di tassatività delle
previsioni penali il reato di lottizzazione
abusiva sarebbe configurabile esclusivamente
nei confronti del venditore e degli
acquirenti di "terreni illegittimamente
frazionati" e non invece di "edifici
già costruiti" può essere superata
allorquando si consideri che l’alienazione
frazionata dei singoli immobili deve
ritenersi, per il principio dell’accessione,
intimamente connessa al frazionamento in
lotti (o comunque allo scorporo sia pure
soltanto materiale) del terreno sui quali
quegli immobili sono stati edificati.
2.
La destinazione a zona agricola di un'area
costituisce espressione del potere
conformativo del diritto di proprietà e non
determina disparità di trattamento, in
quanto la valutazione sulla possibilità di
edificazione non si ricollega ad una
distinzione tra cittadini, ma solo alla
particolare destinazione dei beni
3.
L’acquirente non può sicuramente
considerarsi, solo per tale sua qualità,
terzo estraneo al resto di lottizzazione
abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché
compartecipe al medesimo accadimento
materiale, dimostrare di avere agito in
buona fede, senza rendersi conto cioè pur
avendo adoperato la necessaria diligenza
nell’adempimento dei doveri di informazione
e conoscenza di partecipare ad un’operazione
di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l’acquirente sia consapevole
dell’abusività dell’intervento -o avrebbe
potuto esserlo spiegando la normale
diligenza- la sua condotta si lega con
intimo nesso causale a quella del venditore
ed in tal modo le rispettive azioni,
apparentemente distinte, si collegano tra
loro e determinano la formazione di una
fattispecie unitaria ed indivisibile,
diretta in modo convergente al conseguimento
del risultato lottizzatorio.
4.
Neppure l’acquisto del sub-acquirente può
essere considerato legittimo con valutazione
aprioristica limitata alla sussistenza di
detta sola qualità, allorché si consideri
che l’utilizzazione delle modalità
dell’acquisto successivo ben potrebbe
costituire un sistema elusivo,
surrettiziamente finalizzato a vanificare le
disposizioni legislative in materia di
lottizzazione negoziale.
5.
Per disporre la confisca prevista dall’art.
44, II comma del T.U. 380/2001, il soggetto
proprietario della res non deve
essere necessariamente condannato, in quanto
detta sanzione ben può essere disposta
allorquando sia stata comunque accertata la
sussistenza del reato di lottizzazione
abusiva in tutti i suoi elementi (soggettivo
ed oggettivo) anche se per una causa
diversa, quale è, ad esempio, l’intervenuto
decorso della prescrizione, non si pervenga
alla condanna del suo autore ed alla
inflizione della pena.
Presupposto essenziale ed indefettibile, per
l’applicazione della confisca, è (secondo
l’interpretazione giurisprudenziale
costante) che sia stata accertata
l’effettiva esistenza di una lottizzazione
abusiva; ulteriore condizione, però, che si
riconnette alle recenti decisioni della
Corte di Strasburgo, investe l’elemento
soggettivo del reato ed è quella del
necessario riscontro quanto meno di profili
di colpa (anche sotto gli aspetti
dell’imprudenza, della negligenza e del
difetto di vigilanza) nella condotta dei
soggetti sul cui patrimonio la misura viene
ad incidere (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39078 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Stagionalità e precarietà
dell’opera.
In materia edilizia, ai fini della necessità
del preventivo rilascio della concessione
edilizia, (ora sostituita dal permesso di
costruire), non rileva il carattere
stagionale del manufatto realizzato, atteso
che il carattere stagionale non implica
precarietà dell’opera, potendo essere la
stessa destinata a soddisfare bisogni non
provvisori attraverso la perpetuità della
sua funzione (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39074 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze (piscina).
Una piscina posta al servizio esclusivo di
una residenza privata legittimamente
edificata non è di per sé estranea al
concetto di "pertinenza urbanistica" ma può
diventarlo quando abbia dimensioni non
trascurabili o si ponga in contrasto con le
prescrizioni di zona della pianificazione
ovvero, per le sue caratteristiche, potrebbe
comunque avere una destinazione autonoma
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39067 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze (locale serbatoi).
In tema di pertinenze, la relazione con la
costruzione preesistente deve essere, in
ogni caso, non di integrazione ma "di
servizio", allo scopo di renderne più
agevole e funzionale l’uso (carattere di
strumentalità funzionale), sicché non può
ricondursi alla nozione in esame la
realizzazione di un autonomo corpo di
fabbrica in ampliamento e adiacente a quello
principale, soggettivamente destinato a "locale
serbatoi" ma che, per le oggettive
caratteristiche costruttive e per la
ripartizione interna dei locali, è
utilizzabile economicamente con destinazione
residenziale (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39065 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Restauro e risanamento
conservativo.
L’art. 3, 1° comma, lett. c), del TU n.
380/2001 identifica gli interventi di
restauro e risanamento conservativo come
quelli "rivolti a conservare l‘organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità
mediante un insieme sistematico di opere che
nel rispetto degli elementi tipologici,
formali e strutturali dell‘organismo stesso
- ne consentano destinazioni d’uso con esso
compatibili".
Tali interventi, in particolare, possono
comprendere: il consolidamento, il
ripristino ed il rinnovo degli elementi
costitutivi dell’edificio; l’inserimento
degli elementi accessori e degli impianti
richiesti dalle esigenze dell’uso;
l’eliminazione di elementi estranei
all’organismo edilizio.
La finalità è quella di rinnovare
l’organismo edilizio in modo sistematico e
globale, ma essa deve essere attuata -poiché
si tratta pur sempre di conservazione- nel
rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici,
formali e strutturali".
Ne deriva che non possono essere mutati: la
"qualificazione tipologica" del
manufatto preesistente, cioè i caratteri
architettonici e funzionali di esso che ne
consentono la qualificazione in base alle
tipologie edilizie; gli "elementi formali"
(disposizione dei volumi, elementi
architettonici) che distinguono in modo
peculiare il manufatto, configurando
l’immagine caratteristica di esso; gli "elementi
strutturali", cioè quelli che
materialmente compongono la struttura
dell’organismo edilizio (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39062 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Zone umide
(elenco Ramsar).
Non costituiscono beni tutelati per legge le
sole zone umide, non comprese nell’elenco
Ramsar, allorché per le loro caratteristiche
non sono assimilabili né ai laghi né alle
acque demaniali marittime, perché se sono
assimilabili a tali tipi di acque sono
sottoposti alla relativa disciplina, a nulla
rilevando che non siano inserite nell’elenco
Ramsar, il quale,come sopra precisato, ha
unicamente lo scopo di individuare e
tutelare l’habitat di uccelli acquatici
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.10.2009 n. 38921 -
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VARI:
Divieto di fumo e responsabilità
dei gestori dei locali pubblici.
I titolari dei
locali pubblici non sono tenuti a vigilare
sulla osservanza e sul rispetto della
normativa in materia di divieto antifumo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.10.2009 n. 6167 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI:
Sull'obbligo ex art. 38 dlgs.
163/2006 dei partecipanti alle gare di
appalto di dichiarare, non già solamente
reati gravi, ma tutti quelli ascritti in via
definitiva ivi inclusi quelli per i quali
sia stato concesso il beneficio della non
menzione.
L'art. 38 dlgs. 163/2006 impone ai
partecipanti alle gare di appalto di
dichiarare, a pena di esclusione dalla gara,
non già solamente reati gravi, ma tutti
quelli ascritti in via definitiva ai
soggetti ivi contemplati, con la conseguenza
che "i partecipanti alle gare sono tenuti
a rendere dichiarazioni complete e veritiere
e, quindi, recanti l'esatta indicazione di
tutti i precedenti penali, ivi inclusi
quelli per i quali sia stato concesso il
beneficio della non menzione".
Né ha pregio alcuno la tesi per la quale,
decorso il periodo previsto dalla disciplina
penale senza ulteriori condanne, le condanne
riportate ex art. 444 cpp perderebbero
ipso facto rilevanza agli effetti della
ammissione alle pubbliche gare.
A prescindere dal dato che la giurisprudenza
ricollega l'effetto estintivo ad una formale
pronuncia in tal senso ad opera del Giudice
penale (della quale non vi è traccia nella
specie), è assorbente la considerazione che
le imprese in questione, nella specie, non
si sono attenute all'obbligo del clare
loqui avendo utilizzato l'espressione "nulla"
nella dichiarazione prevista dall'allegato 2
al disciplinare di gara (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 02.10.2009 n. 6006 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Condono
ambientale.
Il condono ambientale introdotto dall’art.
1, commi 37, 38 e 39 L. n. 308 del 2004
estingue esclusivamente il reato di cui
all’art. 181 D.Lgs. n. 42 del 2004 e gli
altri reati paesaggistici, ma non si estende
al reato edilizio attesa la mancanza di
norme di coordinamento, diversamente da
quanto disciplinato con la L. n. 326 del
2003 (cosiddetto condono edilizio), che
espressamente prevedeva che il rilascio del
titolo abilitativo edilizio estinguesse
anche il reato per la violazione del
vincolo (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 01.10.2009 n. 38369 -
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VARI:
Attraversamento sulle strisce e
responsabilità dell’automobilista.
Contrariamente agli
altri orientamenti giurisprudenziali, il
pedone ha certamente il diritto di
precedenza nell'attraversamento della strada
sulle strisce pedonali.
Tale orientamento smentisce che le c.d. "strisce
pedonali" non impongono al conducente
dell'auto l'obbligo di fermarsi in ogni
caso, come invece il segnale di "stop", ma
solo di moderare ulteriormente la velocità,
nell'approssimarsi alle stesse, di
accertarsi dell'esistenza nei pressi di un
pedone e di arrestarsi solo se è avvistato
un pedone che si accinge ad attraversarle
ovvero che le stia già attraversando.
In realtà, tenendo presente le motivazione
della sentenza di legittimità, l'obbligo di
arresto del veicolo, in prossimità degli
attraversamenti pedonali, è strettamente
connesso all'avvistamento di un pedone, che
tenga un comportamento che in qualche modo
lasci presumere che stia per avvalersi delle
strisce pedonali per l'attraversamento.
Qualora detto preventivo accertamento non
sia possibile, perché l'accesso alle strisce
pedonali è coperto da ostacoli (quali ad
esempio altre auto parcheggiate, cartelloni
pubblicitari o fermate di autobus), la
velocità, che già deve essere moderata per
il solo fatto della presenza della zona di
attraversamento pedonale, deve ulteriormente
essere ridotta, non essendo assolutamente
imprevedibile che, dietro quell'ostacolo
visivo, possa esservi un pedone, che si
accinga ad attraversare la strada.
La velocità deve essere commisurata alla
possibilità di arrestare l'auto, qualora si
verifichi detta ultima evenienza (Corte di
Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 30.09.2009 n. 20949 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Beni culturali. Valutazioni e
competenze.
Le valutazioni in ordine all'esistenza di un
interesse storico-artistico su un immobile,
tali da giustificare l'apposizione del
relativo vincolo, sono espressione di un
potere nel quale sono presenti sia momenti
di discrezionalità "tecnica", sia
momenti di propria discrezionalità
amministrativa.
Tale valutazione è prerogativa esclusiva
dell'Amministrazione e può essere sindacata
in sede giurisdizionale solo in presenza
profili di incongruità ed illogicità di
evidenza tale da far emergere
l'inattendibilità della valutazione
tecnica-discrezionale compiuta (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 29.09.2009 n. 5869 -
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COMPETENZE GESTIONALI:
Sulla spettanza al sindaco della
competenza alla nomina dei rappresentanti di
un comune nel consiglio d'amministrazione di
un'istituzione pubblica d'assistenza e
beneficenza.
Le I.P.A.B. svolgono attività connesse al
perseguimento dei fini propri degli enti
pubblici, nella specie dei comuni,
integrandosi con l'azione svolta da questi
ultimi per l'accrescimento del benessere
della collettività. L'azione di tali enti
non può essere, pertanto, indifferente per
la pubblica autorità competente alla nomina
dei consiglieri di amministrazione.
Ne deriva, ove lo statuto attribuisca al
sindaco il suddetto potere di nomina degli
amministratori, che lo stesso possa
esercitare il potere speculare di revoca,
pur in difetto di esplicita previsione
statutaria, laddove il soggetto designato
dall'amministrazione comunale operi
discostandosi o in contrasto con la linea di
azione che l'orientamento
politico-amministrativo dell'ente locale
intende perseguire attraverso la propria
rappresentanza nell'istituzione (TAR Veneto,
Sez. III,
sentenza 29.09.2009 n. 2455 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione
stazioni radiobase e turbativa pubblica.
“Turbativa pubblica” è locuzione che
deve essere intesa in senso oggettivo, ossìa
come situazione che turba la collettività
procurando alla stessa disturbi, danni, o
alterazioni di qualsiasi tipo ma comunque
oggettivamente riscontrabili, e non, invece,
come situazione che viene percepita dai
cittadini come possibile fonte di danni o
disturbi: il semplice patema d’animo
generato da una determinata situazione,
insomma, non é idoneo ad integrare una
situazione di “turbativa pubblica”
(fattispecie relativa a revoca di
autorizzazione alla installazione di
stazione radiobase (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 25.09.2009 n. 2124 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore. Inquinamento acustico e
ordine pubblico.
L’art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000 è stato
profondamente innovato dall’art. 6 del D.L.
23.05.2008, n. 92, convertito, con
importanti modificazioni, con la legge
24.07.2008, n. 125 ed ispirato all’esigenza
di predisporre uno schema normativo
particolarmente rigoroso in tema di ordine
pubblico: in base alla nuova lettura della
norma ai Sindaci è consentita l’emanazione
di provvedimenti, anche non contingibili e
urgenti, senza uno specifico limite
temporale, al fine di prevenire e di
eliminare gravi pericoli che minacciano
l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 24.09.2009 n. 682 - link
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URBANISTICA:
Scelte urbanistiche e sindacato
di legittimità.
Le scelte urbanistiche costituiscono
apprezzamenti di merito sottratti al
sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiati da errori di fatto o da
abnormi illogicità. In particolare, si
ritiene che le scelte discrezionali circa la
destinazione delle singole aree non
necessitano di apposita motivazione oltre a
quella che si può evincere dai criteri
generali seguiti nell’impostazione del
piano, risultanti dalla relazione
illustrativa fatti salvi i casi in cui si
reputa necessaria una puntuale motivazione,
come ad esempio quando la nuova destinazione
di piano incida su aspettative che derivino
da un atto formalmente assunto
dall’amministrazione, quale un piano di
lottizzazione debitamente approvato e
convenzionato (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.09.2009 n. 5043 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Localizzazione
impianti.
L’approvazione annuale di un piano con cui
il Comune, sulla base delle proposte dei
gestori, definisce complessivamente le
installazioni degli impianti di telefonia
mobile ammesse sul territorio comunale e a
queste previsioni subordina il rilascio
delle varie autorizzazioni legittimamente
contempera l’esigenza di copertura del
servizio sul territorio comunale con quella
pianificatoria di un corretto insediamento
degli impianti -per lo più di rilevante
impatto urbanistico-ambientale- oltre che
con l’esigenza di minimizzare l’esposizione
ai campi elettromagnetici, assicurando al
contempo ai gestori uniformità di
trattamento in sede di vaglio congiunto
delle relative richieste; che a tale
conclusione induce il riparto di competenze
desumibile dalla legge n. 36 del 2001 (“Legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici”), nel senso che allo
Stato è affidata la fissazione delle c.d.
«soglie di esposizione», mentre alle Regioni
e agli enti locali spetta la disciplina
dell’uso del territorio in funzione della
localizzazione degli impianti, cioè le
ulteriori misure e prescrizioni dirette a
ridurne il più possibile l’incidenza
negativa sul territorio, sempreché
naturalmente i criteri localizzativi e gli
standard urbanistici non siano tali da
impedire o ostacolare ingiustificatamente
l’insediamento degli impianti medesimi (TAR
Emilia Romagna-Parma,
sentenza 22.09.2009 n. 673 - link
a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
EQUIPOLLENZA TRA POSTA CELERE E
POSTA RACCOMANDATA.
Domanda di
partecipazione – Presentazione – Invio
mediante posta celere o posta raccomandata –
Equipollenza – Sussiste.
Sono da considerarsi equipollenti, al fine
della partecipazione ad una procedura
concorsuale, la posta celere ed la posta
raccomandata (cfr. C.d.S. V n. 6322 del
15/10/2003): invero al plico spedito per “pacco
celere” viene attribuito un numero che
consente di seguirne il percorso; esso,
infine, viene consegnato con modalità simili
a quelle della raccomandata per avviso di
ricevimento, di guisa che non solo rimane
una documentazione in ordine al giorno,
all’ora ed alla persona che materialmente
riceve il plico, ma é anche previsto che in
caso di assenza del destinatario l’agente
postale lasci un avviso sulla porta del
destinatario assente.
Trattasi di modalità assolutamente analoghe
a quelle che assistono l’invio tramite
raccomandata, di guisa che i due sistemi
possono considerarsi assolutamente
equivalenti.
Il partecipante alla gara deve quindi
ritenersi libero di servirsi della posta
celere indipendentemente dalla ricorrenza di
situazioni che rendano il servizio della
posta raccomandata oggettivamente
inutilizzabile (dimensioni o peso del plico,
orari di accettazione, e simili)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 2085 - link a http://mondolegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore. Accertamenti fonometrici
e avviso di procedimento.
L’art. 7 della L. n. 241 del 1990 -pur
dovendosi intendere l’obbligo di
comunicazione di avvio del procedimento
riferito al vero e proprio inizio del
procedimento– non esclude che l’adempimento
dell’obbligo possa, quando le circostanze
ciò impongano per garantire la genuinità
degli accertamenti della P.A., essere
preceduto da controlli, accertamenti,
ispezioni, svolti senza la partecipazione
del diretto interessato.
In tali casi, pertanto, quest’ultimo dovrà
essere edotto di queste precedenti attività
mediante la suddetta comunicazione, al fine
di metterlo in condizione di intervenire nel
procedimento ed eventualmente di contestare
gli accertamenti compiuti in sua assenza
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 1530 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono.
In tema di abbandono di rifiuti, la
giurisprudenza amministrativa, già con
riferimento alla misura prevista dall'art.
14 del D.Lgs. n. 22/1997, riteneva che il
proprietario dell'area fosse tenuto a
provvedere allo smaltimento, ma solo a
condizione che ne fosse dimostrata la
corresponsabilità almeno a titolo di colpa
con gli autori dell'illecito, ed aveva
conseguentemente escluso che la norma
configurasse un'ipotesi legale di
responsabilità oggettiva, affermando
l'illegittimità degli ordini di smaltimento
di rifiuti indiscriminatamente rivolti al
proprietario di un fondo in mancanza di
adeguata dimostrazione, da parte
dell'amministrazione procedente,
dell’imputabilità soggettiva della condotta,
sulla base di un'istruttoria completa e di
un'esauriente motivazione.
I medesimi principi si traggono oggi dalla
previsione di cui all'art. 192 del D.Lgs. n.
152/2006, che non soltanto riproduce il
tenore dell'art. 14 cit. circa la necessaria
imputabilità dell’abbandono a titolo di dolo
o colpa, ma integra il precedente precetto,
precisando che l'ordine di rimozione può
essere adottato esclusivamente “in base
agli accertamenti effettuati, in
contraddittorio con i soggetti interessati,
dai soggetti preposti al controllo” (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 1448 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo paesaggistico - Diniego
di sanatoria con motivazione succinta -
Legittimità - Fattispecie - Art. 9 Cost..
Non è illegittima una motivazione anche
succinta di un diniego di sanatoria di opere
in quanto nel sistema non è ravvisabile a
carico della p.a. l'obbligo di indicare, in
una logica comparativa degli interessi in
gioco, prescrizioni tese a rendere
l'intervento compatibile con la bellezza di
insieme tutelata, la cui protezione risponde
ad un interesse pubblico normalmente
prevalente su quello privato, anche per la
rilevanza costituzionale che il primo
presenta ex art. 9 Cost. (Cons. Stato, V,
19.10.1999 n.1587).
Nella specie, la motivazione resa dalla
commissione edilizia integrata in zona
vincolata è pertinente ed idonea a
giustificare il diniego tenuto conto della
tipologia costruttiva e dell’accostamento
dei materiali utilizzati per la
realizzazione dei manufatti (cemento a
vista, legno ed ondulato plastico),
incongrui rispetto a quelli tipici locali,
in una zona di particolare pregio
ambientale.
Vincolo paesaggistico -
Concessione edilizia in sanatoria -
Inedificabilità assoluta - Esclusione -
Parere negativo - Obbligo di motivazione -
Artt. 31 e seguenti L. 47/1985.
Il vincolo paesaggistico non comporta
normalmente la inedificabilità assoluta,
sicché non ogni opera edilizia in zona
vincolata deve ritenersi preclusa ma solo
quelle opere che, a seguito di accertamento,
risultino in contrasto con il valore
tutelato rappresentato dall’interesse
ambientale-paesaggistico, deve sottolinearsi
che nel sistema delineato dagli artt. 31 e
seguenti L. 47/1985 il parere negativo
formulato dalla autorità preposta alla
tutela del vincolo (nella specie
paesaggistico) ha valore vincolante nel
procedimento di condono edilizio, impedendo
definitivamente il rilascio della
concessione edilizia in sanatoria (Cons.
Stato, Sez. IV, 15.05.2008 n. 2233)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.09.2009 n. 5232 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Art.
50 d.lgs. n. 267/2000 - Ordinanze contingibili e urgenti - Presupposti -
Pericolo concreto e attuale di danno grave e
imminente per la salute pubblica - Attività
istruttoria.
Il potere di emanare ordinanze contingibili
ed urgenti, spettante al sindaco, in qualità
di ufficiale di governo, ai sensi dell'art.
50 comma 5, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, è
correlato all'urgente necessità di dare
risposta immediata a situazioni
assolutamente eccezionali e non prevedibili
e deve specificamente fondarsi, non già su
generiche esigenze di sicurezza o di igiene
o di tutela della salute pubblica, ma
sull'esistenza concreta di "gravi
pericoli" incombenti, di dimensioni tali
da costituire una concreta ed effettiva
minaccia per l'incolumità dei cittadini; le
ordinanze contingibili ed urgenti si
atteggiano, pertanto, come rimedi extra
ordinem, da utilizzare quando non si
possa ricorrere ai rimedi ordinari (TAR
Puglia, Lecce, sez. II, 08.05.2007, n. 1832;
cfr. anche TAR Puglia, Bari, sez. I,
13.03.2008, n. 593).
Se, dunque, per l'esercizio di tale potere
sindacale non si può prescindere dalla
ricorrenza di un pericolo concreto e attuale
di danno grave e imminente per la salute
pubblica, la conseguenza è che tali
provvedimenti devono normalmente essere
preceduti da un'adeguata attività
istruttoria finalizzata all'accertamento del
predetto requisito (TAR Campania, Napoli,
sez. VII, 05.02.2008, n. 555) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 02.09.2009 n. 4598 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Abbandono - Ordinanza
di smaltimento - Art. 50 d.lgs. n. 267/2000
- Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 - Poteri -
Esercizio congiunto - Illegittimità.
E’ illegittimo l’esercizio congiunto dei
poteri di cui all’art. 50 del d. lgs.
267/2000 e di quelli di cui all’art. 192 del
d. lgs. 152/2006, considerato che si tratta
di poteri distinti che hanno presupposti
diversi.
RIFIUTI - Obbligo di
rimozione dei rifiuti abbandonati - Art. 14
d.lgs. n. 22/97 - Art. 192 d.lgs. n.
152/2006 - Confronto.
L'art. 192, d.lgs. 03.04.2006 n. 192, non si
limita a riprodurre il tenore dell’abrogato
art. 14, d.lgs. 05.02.1997, n. 22 (cd.
decreto Ronchi) con riferimento alla
necessaria imputabilità a titolo di dolo o
di colpa, per l'obbligo di rimozione dei
rifiuti illecitamente abbandonati, ma
integra l'anzidetto precetto precisando che
tale ordine può essere adottato
esclusivamente in base agli accertamenti
effettuati, in contraddittorio con i
soggetti interessati, dai soggetti preposti
al controllo, con il palese intento di
rafforzare e promuovere le esigenze di
effettiva partecipazione dei potenziali
destinatari del provvedimento allo specifico
procedimento (Cons. Stato, sez. V,
25.08.2008, n. 4061).
RIFIUTI - Art. 192
d.lgs. n. 152/2006 - Ordinanza di rimozione
e smaltimento - Competenza - Sindaco.
Spetta al sindaco, ai sensi dell'art. 192,
comma 3, d. lgs. 03.04.2006 n. 152, norma
speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107,
comma 5, d. lgs. 18.08.2000, n. 267, la
competenza a disporre con ordinanza le
operazioni necessarie per la rimozione e lo
smaltimento dei rifiuti abbandonati (Cons.
Stato, sez. V, 25.08.2008, n. 4061).
RIFIUTI - Art. 192
d.lgs. n. 152/2006 - Ordine di smaltimento -
Mancata comunicazione di avvio del
procedimento - Illegittimità.
È illegittimo un ordine di smaltimento di
rifiuti emanato ai sensi dell'art. 192
d.lgs. 03.04.2006 n. 152, nei confronti del
proprietario dell'area, senza che a
quest'ultimo sia stata inviata da parte
dell'Amministrazione formale comunicazione
dell'avvio del procedimento, adempimento
obbligatorio dovendosi ritenere recessive,
nella specifica materia, le regole di cui
agli art. 7 e 21-octies L. 07.08.1990 n. 241
(Cons. Stato, sez. V, 25.08.2008, n. 4061).
RIFIUTI - Art. 192
d.lgs. n. 152/2006 - Responsabilità solidale
del proprietario dell’area interessata dai
rifiuti con l’autore materiale della
trasgressione - Limiti.
L’art. 192, comma 3, del d. lgs. 03.04.2006,
n. 152, sancisce la responsabilità solidale
del proprietario o del titolare di diritti
reali o personali di godimento sull'area
interessata dalla presenza di rifiuti
abbandonati, rispetto all'autore materiale
della trasgressione, nel solo caso in cui la
violazione possa essergli ascritta a titolo
di dolo o colpa.
Siffatto sistema sanzionatorio esclude la
configurabilità di ipotesi di responsabilità
oggettiva o di posizione, tale cioè da poter
chiamare il proprietario del sito che ospita
rifiuti abbandonati, per ciò solo, a
risponderne indipendentemente dalla concreta
verifica, da parte della Pubblica
amministrazione, di una condotta anche
semplicemente agevolatrice del fatto
illecito del terzo (TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV,
sentenza 02.09.2009 n. 4598 -
link a www.ambientediritto.it). |
AGGIORNAMENTO AL 21.10.2009 |
ã |
GURI - GUUE - BURL ( e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia. serie ordinaria n. 42 del
19.10.2009, "Trasmissione informatizzata
della notifica preliminare di avvio dei
lavori nei cantieri" (decreto
D.G. 14.09.2009 n. 9056 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia. serie ordinaria n. 42 del
19.10.2009, "Determinazioni in ordine
all'assegnazione di contributi per
interventi di eliminazione di barriere
architettoniche (legge n. 13/1989; l.r. n.
6/1989)" (deliberazione
G.R. 07.10.2009 n. 10280 - link a
www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia. serie ordinaria n. 42 del
19.10.2009, "Modifiche delle Previsioni
del Piano di Tutela e Uso delle Acque (PTUA)
presentate dall'Autorità d'Ambito Ottimale
di Bergamo (l.r. 26/2003)"
(deliberazione
G.R. 07.10.2009 n. 10269 - link a www.infopoint.it). |
QUESITI &
PARERI |
URBANISTICA: Quesito
10 -
In merito alle azioni che l'Ente comunale
deve intraprendere a fronte
dell'inadempimento della convenzione di
lottizzazione.
In merito alla emanazione di una
ordinanza sindacale contingibile ed urgente
per porre rimedio al pericolo per la salute
pubblica derivante dall'inadempimento della
convenzione di lottizzazione da parte del
lottizzante riguardo alla realizzazione
delle urbanizzazioni primarie.
In merito agli oneri di manutenzione
ordinaria e straordinaria delle opere di
urbanizzazione (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
9 -
In merito alla decorrenza del termine per
l'impugnazione del titolo edilizio nel caso
in cui venga in rilievo una violazione delle
distanze tra fabbricati (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
8 -
In merito al concetto di ultimazione delle
opere abusive ai fini dell'applicabilità
della normativa in materia di condono
edilizio, con specifico riguardo alla
fattispecie del mutamento di destinazione
d'uso (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
URBANISTICA: Quesito
7 -
In merito al fatto che la localizzazione di
edilizia residenziale pubblica di cui
all'art. 51 della Legge 22.10.1971, n. 865
non costituisce un mero surrogato della
formazione del piano di zona e,
pertanto, la sua legittimità non deve essere
verificata sulla scorta degli stessi
parametri (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
PUBBLICO IMPIEGO - URBANISTICA: Quesito
6 -
In merito alla sussistenza o meno di una
competenza in generale dei geometri a
predisporre progetti di variante
urbanistica.
In merito alla competenza dei
geometri dipendenti comunali a predisporre
progetti di variante urbanistica.
In merito all'efficacia imperativa diretta
propria dell'atto di adozione di una
variante urbanistica (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
5 -
In merito alla differenza tra la nozione di
veduta e quella di luce (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI: Quesito
4 -
Il mercato relativo all'uso degli impianti
pubblicitari privati in ambito cittadino è,
allo stato attuale, un mercato contingentato
e regolamentato.
In merito alla soluzione giuridica
appropriata al problema delle modalità di
affidamento ai soggetti privati degli spazi
pubblici ove allocare gli impianti
pubblicitari.
In merito alla scelta di molti comuni di
assegnare in concessione detti spazi di
territorio comunale a mezzo di gara.
In merito alla disciplina regolatoria della
pubblicità nei comuni con popolazione
residente superiore a 30.000 abitanti.
In merito agli impianti pubblicitari posti
fuori dai centri abitati.
In merito all'assoggettamento o meno del
canone, quale corrispettivo, e/o alla tassa
per l'occupazione di suolo pubblico, quale
prelievo tributario (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
3 -
In merito all'atto di acquisizione al
patrimonio comunale di un immobile abusivo (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
2 -
In merito al sistema previsto dall'art. 6
della Legge n. 447/1995 che presuppone il
preventivo azzonamento acustico del
territorio comunale (Geometra
Orobico n. 4/2009). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
1 -
In merito alla
nuova formulazione dell'art. 32, lett. g), e
dell'art. 122, comma 8, del D.Lgs. n. 163
del 2006 e sul divieto di affidamento
diretto al privato titolare del permesso di
costruire della realizzazione delle opere di
urbanizzazione a scomputo.
In merito all'impatto delle nuove
disposizioni riguardo ai piani attuativi già
approvati ed alle convenzioni urbanistiche
già stipulate.
In merito all'assenza di una disposizione
transitoria che consenta di esaurire i
procedimenti in corso mediante affidamento
diretto delle opere di urbanizzazione al
titolare del permesso di costruire
(Geometra
Orobico n. 4/2009). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Fiorona,
Piano Casa
regionale: brevi riflessioni a margine del
convegno dell'01.10.2009 per tecnici
comunali, geometri e geometri laureati della
provincia di Bergamo. |
URBANISTICA:
Lombardia, Corso di specializzazione
sull'applicazione della L.R. n. 12/2005:
2^
lezione - parte A (diritti edificatori)
(Geometra Orobico n. 4/2009). |
APPALTI:
I. Filippetti,
Prime note a margine della “norma
antiracket” contenuta nella lettera m-ter)
dell’articolo 38 del Codice dei contratti
pubblici (link a
www.amministrazioneincammino.luiss.it). |
APPALTI:
S. Cresta,
La nuova causa di esclusione dalle gare ex
art. 38 del Codice degli appalti introdotta
dal c.d. pacchetto sicurezza (L. 15.07.2009,
n. 94) (link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
F. Logiudice,
In house providing in pillole
(link a www.altalex.com). |
NEWS |
ENTI LOCALI:
Class action nella pubblica
amministrazione.
Il Consiglio dei ministri, nella riunione
del 15.10.2009, ha approvato uno schema di
decreto legislativo che, attuando una
specifica delega conferita al Governo,
introduce nel nostro ordinamento il nuovo
istituto del ricorso per l'efficienza delle
Amministrazioni e dei concessionari di
servizi pubblici e ne detta la disciplina
processuale.
La "class action" rientra nel sistema
di valutazione delle strutture e dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Il provvedimento, da una parte mira al
recupero di efficienza dell'apparato
pubblico e ad un forte recupero di
produttività, dall'altra garantisce la
tutela giurisdizionale degli interessati nei
confronti delle Amministrazioni e dei
concessionari di servizi pubblici che si
discostano dagli standard di riferimento. È
prevista una tipologia di ricorsi diversa
dall'azione collettiva introdotta dalla
legge finanziaria per il 2008.
L'introduzione della "class action"
ha il fine di: assicurare elevati standard
qualitativi ed economici dell'intero
procedimento di produzione del servizio reso
all'utenza, tramite la valorizzazione del
risultato ottenuto; nonché quello di
prevedere: mezzi di tutela giurisdizionale
degli interessati nei confronti delle
amministrazioni e dei concessionari di
servizi pubblici che si discostano dagli
standard qualitativi ed economici fissati o
che violano le norme preposte al loro
operato; l'obbligo per le amministrazioni, i
cui indicatori di efficienza o produttività
si discostino in misura significativa dai
valori medi dei medesimi indicatori rilevati
tra le amministrazioni omologhe, di fissare
ai propri dirigenti anche l'obiettivo di
allineamento ai parametri deliberati
dall'organismo centrale di valutazione;
l'attivazione di canali di comunicazione
utilizzabili dai cittadini per segnalare
qualsiasi disfunzioni nelle PA. (link a
www.governo.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Entra nel vivo la riforma della pa targata
Brunetta.
Il 09.10.2009 Consiglio dei Ministri ha
definitivamente approvato il decreto
legislativo di attuazione della legge di
riforma della pubblica amministrazione.
La riforma ha l'obiettivo di migliorare
l'organizzazione del lavoro pubblico e la
qualità delle prestazioni erogate, adeguare
i livelli di produttività e riconoscere i
meriti e i demeriti dei dipendenti e dei
dirigenti pubblici. Una riforma che
coinvolge tutto l'apparato pubblico e che
nei prossimi mesi sarà sperimentata nei
Comuni sulla base di una intesa che il
Ministro ha firmato con l'Anci. L'obiettivo
è aumentare la produttività del lavoro
pubblico dal 20 al 50 per cento.
"Una rivoluzione nel funzionamento della
pubblica amministrazione che è una grande
spinta per la modernità del Paese -ha
dichiarato il Premier- che ha voluto
ribadire i principi della riforma: maggiore
trasparenza, risposte più rapide, meno
assenteismo e più cortesia e qualità dei
servizi, una amministrazione realmente al
servizio dei cittadini".
Principio ispiratore della riforma: la
trasparenza come accessibilità totale a
tutte le informazioni concernenti
l'organizzazione, gli andamenti gestionali,
l'utilizzo delle risorse per il
perseguimento delle funzioni istituzionali e
dei risultati.
La novità del provvedimento è l'istituzione
dell'agenzia di valutazione -ha affermato
Brunetta- che ci porta a livello europeo per
standard, controlli e valutazioni.
(link a www.governo.it). |
VARI:
Incentivi per l'acquisto di moto e
ciclomotori.
Sono disponibili i fondi stanziati dal
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare per finanziare
l'acquisto di ciclomotori, motocicli,
tricicli e quadricicli, a basso impatto
ambientale.
Si tratta di oltre cinque milioni di euro da
destinare agli incentivi per l'acquisto di
nuovi veicoli e per la rottamazione di
vecchi ciclomotori. All'iniziativa sono
destinati 5,1 milioni di euro (su un totale
di 14,5 milioni di euro stanziati dal
Ministero dell'Ambiente).
L'accordo tra il Ministero e l'ANCMA
(Associazione Nazionale Ciclo Motociclo
Accessori) prevede diverse categorie
d'incentivo: motociclo elettrico;
quadriciclo elettrico; ciclomotore
elettrico; ciclomotore Euro 2 a quattro
tempi; ciclomotore Euro 2 a due tempi. Non
occorre rottamare un vecchio modello qualora
si decidesse di acquistare un motociclo
elettrico, un quadriciclo elettrico o un
ciclomotore elettrico. In tutti gli altri
casi di acquisto, l'agevolazione è legata
alla contestuale rottamazione di un vecchio
ciclomotore (Euro 0 o Euro 1).
Per la procedura di acquisto è sufficiente
recarsi in uno dei rivenditori aderenti,
scegliere il modello su cui ricade
l'incentivo e compilare il modulo di
richiesta del bonus fornito dal negoziante.
L'incentivo viene riconosciuto
automaticamente al cliente con uno sconto
sul prezzo finale. Il rivenditore
trasmetterà successivamente il modulo
compilato al Ministero dell'Ambiente,
registrando la prenotazione del cliente in
un sistema informatizzato. Mensilmente, il
ministero procederà ai rimborsi sulla base
delle registrazioni telematiche (link a
www.governo.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Gara d'appalto - Domanda di
partecipazione - Presentata sullo schema
predisposto dalla s.a. - Difformità' dalle
prescrizioni del bando di gara - Esclusione
- Inammissibilità.
Il Consiglio:
- Vista la relazione dell’Ufficio del
Precontenzioso che, avendo accertato la
sussistenza di un’effettiva difformità tra
le prescrizioni del bando di gara e il
modulo predisposto dalla Stazione Appaltante
del quale le imprese concorrenti potevano
avvalersi per presentare la domanda di
partecipazione, essendo lo stesso privo
della dichiarazione di cui al menzionato
punto 8, lettera c), sezione I, del Foglio
di Prescrizioni, ha pertanto ritenuto
riconducibile la questione rappresentata a
fattispecie di predisposizione, da parte
della Stazione Appaltante, di modelli
allegati al bando di gara ad esso non
conformi, già esaminate dall’Autorità nelle
seguenti pronunce: deliberazioni n. 68/2006,
n. 98/2006 e n. 166/2007; pareri n. 1/2007,
n. 52/2008, n. 164/2008, n. 229/2008, n.
235/2008, n. 257/2008 e n. 21/2009.
- Viste le deliberazioni n. 68/2006, n.
98/2006 e n. 166/2007, nonché i pareri n.
257/2008 e n. 21/2009 con i quali questa
Autorità ha sostenuto che la predisposizione
di uno schema di domanda di partecipazione
difforme dalle prescrizioni della lex
specialis di gara costituisce un
comportamento equivoco della Stazione
Appaltante, idoneo a generare convincimenti
non esatti e a dare indicazioni o avvertenze
fuorvianti, per cui l’Autorità medesima ha
considerato non legittima l’esclusione dalla
gara del concorrente in tal modo indotto in
errore ed ha ritenuto necessaria la
richiesta di un’integrazione documentale.
- Visti altresì i pareri n. 1/2007, n.
52/2008, n. 164/2008, n. 229/2008 e n.
235/2008, nonché il costante orientamento
giurisprudenziale (Consiglio di Stato, sez.
V, 17.10.2006 n. 6190 e 21.06.2007 n. 3384)
che cristallizzano il principio secondo cui
la tutela dell’affidamento e la correttezza
dell’azione amministrativa impediscono che
le conseguenze di una condotta colposa della
Stazione Appaltante possano essere traslate
a carico del soggetto partecipante con la
comminatoria dell’esclusione dalla gara,
ritiene nei limiti di cui
in motivazione, che il provvedimento di
esclusione disposto dalla Provincia di
Campobasso nei confronti della Società B & B
Consulting non è conforme ai principi in
materia di contratti pubblici e che la
Provincia di Campobasso è tenuta a
richiedere un’integrazione documentale della
domanda di partecipazione
(parere
10.09.2009 n. 93 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Gara d'appalto - Affidamento
servizio di tesoreria - Versamento
contributo all'autorità - Obbligo - Sussiste
- Indeterminabilità valore dell'appalto -
Irrilevanza - Pagamento nella misura
massima.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità
con la prospettazione dei fatti
rappresentati, attiene, da un lato,
all’obbligatorietà del versamento del
contributo all’Autorità ai fini della
partecipazione alle procedure di gara per
l’affidamento dei contratti pubblici
nell’ipotesi in cui tale obbligo non sia
previsto nella disciplina di gara e il
valore del contratto non sia determinato,
dall’altro, alla necessità di attivare la
procedura di attribuzione del Codice
Identificativo della Gara (CIG), mediante
accreditamento presso il Sistema Informativo
di Monitoraggio delle Gare (SIMOG).
Con specifico riferimento alla questione
concernente l’obbligatorietà del versamento
del contributo per la partecipazione alle
procedure di gara, occorre premettere che
l’Autorità si è più volte pronunciata
sull’argomento, sostenendo che il versamento
del menzionato contributo costituisce
condizione di ammissibilità dell’offerta
alla procedura di gara con l’effetto che la
mancata dimostrazione dell’avvenuto
pagamento comporta l’esclusione dell’impresa
concorrente, anche nell’ipotesi in cui la
lex specialis nulla preveda in tal senso
(cfr. da ultimo il parere n. 25 del
31.01.2008, parere n. 189 del 19.06.2008,
parere n. 69 dell’11.06.2009). E’ stato,
inoltre, precisato che l’onere contributivo
non sussiste, invece, nelle ipotesi in cui
l’importo a base d’asta sia inferiore a
150.000 euro.
In tal senso, dispongono proprio le
deliberazioni che l’Autorità ha emanato in
attuazione dell’articolo 1, commi 65 e 67
della Legge 23.12.2005 n. 266 (Deliberazioni
10.01.2007, 24.01.2008, 30.07.2008), alla
stregua delle quali gli operatori economici
che intendono partecipare a procedure di
scelta del contraente sono tenuti al
pagamento della contribuzione quale
condizione di ammissibilità alla procedura
di selezione, nonché devono dimostrare, al
momento della presentazione dell’offerta, di
avere versato la somma dovuta a titolo di
contribuzione, in quanto la mancata
dimostrazione dell’avvenuto versamento
costituisce causa di esclusione dalla
procedura di gara.
Né l’obbligo di contribuzione viene meno
nelle ipotesi in cui non vi sia alcuna
prescrizione in tal senso nella disciplina
di gara dal momento che, come più volte
affermato dall’Autorità in precedenti
pronunce (più recentemente, cfr. parere n.
25 del 31.01.2008, parere n. 189 del
19.06.2008, parere n. 69 dell’11.06.2009),
gli operatori economici, anche qualora la
lex specialis non contenga prescrizioni
in ordine all’obbligo contributivo, sono
ugualmente tenuti ad effettuare tale
versamento, stante il fatto che la
dimostrazione del pagamento del contributo
costituisce per essi condizione di
ammissione a presentare l’offerta.
Allo stesso modo, non può essere motivo di
esenzione dal versamento del contributo ai
fini della partecipazione alla gara il fatto
che il valore dell’appalto non sia
determinato dalla lex specialis, dal
momento che le Risposte ai quesiti sui
contributi in sede di gara (consultabili sul
sito internet dell’Autorità) disciplinano
espressamente tale fattispecie, disponendo
che qualora l’importo a base di gara non sia
previsto, la determinazione del contributo
da versare avviene considerando l’importo
massimo previsto dalla deliberazione del 24
gennaio 2008 (cfr. FAQ n. 29), stabilendo in
tal modo che nessun tipo di esenzione
contributiva sussista in casi simili in capo
alla Stazione Appaltante e all’operatore
economico.
Ne consegue che qualora una Stazione
Appaltante accerti, nel corso delle
operazioni di gara, che un concorrente non
abbia versato il contributo all’Autorità
deve procedere alla sua esclusione a
prescindere dal fatto che la lex
specialis nulla preveda in tal senso e
che il valore del contratto sia
indeterminato.
Alla luce di tali premesse e considerando i
fatti rappresentati nel caso di specie, il
Comune di Marsiconuovo, escludendo la Banca
Popolare di Bari per non aver provveduto al
versamento del contributo, ha agito
conformemente alle menzionate deliberazioni
dell’Autorità, che qualificano l’obbligo
contributivo quale condizione di
ammissibilità a presentare l’offerta.
Infatti, né la circostanza che la lex
specialis non riportasse espressamente
il menzionato obbligo quale condizione di
partecipazione, né l’indeterminatezza del
valore posto a base di gara costituiscono
fattispecie esimenti in capo alla Banca
Popolare di Bari, tenuta, in ogni caso, al
versamento del contributo ai fini della
partecipazione alla gara.
Con specifico riferimento all’altra
questione prospettata, relativa all’obbligo
sussistente in capo alla Stazione Appaltante
di procedere all’attivazione della procedura
di accreditamento presso il sistema SIMOG,
occorre premettere che nelle Istruzioni
relative alle contribuzioni dovute ai sensi
dell’articolo 1, comma 67, della legge
23.12.2005 n. 266 di soggetti pubblici e
privati, (consultabili sul sito internet
dell’Autorità)alla sezione Modalità e
termini di versamento della contribuzione è
previsto che le Stazioni Appaltanti che
intendono avviare una procedura finalizzata
alla realizzazione di lavori o opere
pubbliche, ovvero all’acquisizione di
servizi e forniture debbono individuare uno
o più dipendenti che procedano alla
richiesta di accreditamento presso il
Sistema Informativo di Monitoraggio delle
Gare (SIMOG), per ottenere il Codice
Identificativo della Gara (CIG) salvo nelle
ipotesi in cui si tratti di lotti di servizi
e forniture di importo inferiore a 20.000
euro o di lotti di lavori inferiore a 40.000
euro.
Non essendo prevista altra fattispecie
esclusa, l’esonero dall’obbligo di
attivazione della procedura di
accreditamento al Sistema SIMOG non può
ritenersi estendibile altresì alle ipotesi
in cui l’importo a base d’asta non sia
determinato.
Pertanto, qualora la Stazione Appaltante non
abbia provveduto ad effettuare la relativa
procedura di accreditamento, la stessa dovrà
ovviare all’omissione commessa secondo le
modalità indicate dall’Autorità: nel caso in
cui la Stazione Appaltante abbia omesso di
richiedere il CIG o di indicarlo sulla
documentazione di gara, la medesima deve
procedere a pubblicare un avviso di
rettifica (FAQ n. 6 delle Risposte ai
quesiti sui Contributi in sede di gara),
mentre qualora l’Ente Appaltante abbia
provveduto a perfezionare l’originaria
procedura di scelta del contraente senza
richiedere il Codice CIG e le circostanze
non consentano, in relazione allo stato di
avanzamento del procedimento, l‘assunzione
di specifici provvedimenti correttivi, deve
procedere ad acquisire il Codice CIG e
versare –pur se scaduti i termini
temporalmente previsti– la relativa quota di
contribuzione (FAQ n. 6 delle Risposte ai
quesiti sugli obblighi informativi verso
l’Autorità di cui all’articolo 7, comma 8
del D.Lgs. n. 163/2006).
Analizzando i fatti rappresentati nel caso
di specie alla luce delle menzionate
premesse, appare evidente come l’omissione
in cui è incorso il Comune di Marsiconuovo,
in ordine all’attivazione della procedura di
accreditamento della gara presso il Sistema
SIMOG al fine di ottenere il rilascio del
Codice CIG, non è confortata da specifiche
esenzioni in tal senso disposte
dall’Autorità per i casi in cui il valore
del contratto posto a base di gara non sia
determinato.
Ne consegue che il Comune di Marsiconuovo
avrebbe dovuto attivare la procedura di
accreditamento presso il Sistema SIMOG e
deve pertanto sanare l’omissione posta in
essere.
Tuttavia, non avendo proceduto in tal senso
al momento dell’indizione della gara ed
essendo oramai la procedura stessa giunta
alla fase di aggiudicazione provvisoria,
fase in cui non è più possibile ovviare
all’omissione mediante la pubblicazione di
un avviso di rettifica che comunichi ai
concorrenti il Codice CIG, il Comune di
Marsiconuovo, in ossequio alle prescrizioni
di cui alla FAQ 6 sugli obblighi informativi
verso l’Autorità di cui all’articolo 7,
comma 8 del D.Lgs. n. 163/2006, dovrà
provvedere ad acquisire il Codice CIG presso
il Sistema SIMOG e versare la relativa quota
di contribuzione, anche se sono ormai
scaduti i termini; inoltre, dovrà comunicare
il medesimo Codice CIG alla concorrente
aggiudicataria, al fine di consentirle di
integrare la documentazione prodotta in sede
di partecipazione a comprova dell’avvenuto
pagamento con un’apposita autodichiarazione
che, riportando i dati mancanti concernenti
la gara, certifichi che il versamento del
contributo all’Autorità prodotto in sede di
gara sia stato effettuato esclusivamente ai
fini della partecipazione alla procedura di
gara in questione (in tal senso, FAQ 27 sui
Contributi in sede di gara).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che il provvedimento di
esclusione adottato dal Comune di
Marsiconuovo nei confronti della Banca
Popolare di Bari è conforme alla normativa
di settore e che il Comune medesimo è in
ogni caso tenuto ad effettuare la procedura
di accreditamento presso il Sistema SIMOG al
fine di ottenere il Codice CIG ed a versare
la relativa quota di contribuzione e deve in
ogni caso consentire alla concorrente
(parere
10.09.2009 n. 92 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Gara d'appalto - Criterio offerta
economicamente più vantaggiosa - Formula
attribuzione punteggi offerta economica -
Deve essere utilizzato tutto il range
differenziale previsto per la voce -
Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
Con riferimento alla preliminare eccezione
di carenza di interesse dell’impresa INPA
S.p.A. in quanto non avrebbe partecipato
alla gara in questione, va osservato che
l’art. 2 del nuovo regolamento sul
procedimento per la soluzione delle
controversie ai sensi dell’articolo 6, comma
7, lettera n), del D.Lgs. 12.04.2006, n,
163, adottato dall’Autorità il 10.01.2008
(in G.U. 28.01.2008, n. 23) ha ampliato la
categoria dei soggetti legittimati a
richiedere il parere in questione rispetto
all’art. 2 del precedente regolamento del
10.10.2006 (in G.U. 24.10.2006, n.248),
aggiungendo alla “stazione appaltante”
e alla “parte interessata” (divenuta
“l’operatore economico”) anche i “soggetti
portatori di interessi pubblici o privati
nonché portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati”.
Ciò premesso, va tuttavia rilevato che,
nella prassi dell’Autorità, il requisito
della partecipazione alla procedura
concorsuale viene generalmente considerato
necessario per poter rivolgere l’istanza di
parere, anche alla luce della causa di
inammissibilità introdotta dall’art. 3 del
nuovo regolamento, attinente all’“assenza di
una controversia insorta fra le parti”.
Infatti, chi non abbia partecipato alla
procedura concorsuale, resta un soggetto
terzo rispetto alle eventuali controversie
che possano insorgere tra la stazione
appaltante e le altre parti interessate.
Ciò non toglie che, in casi eccezionali,
come nel caso di specie, quando la richiesta
di parere investa questioni di massima che
riguardino aspetti cruciali delle regole
della concorrenza, sulla corretta osservanza
delle quali l’Autorità è istituzionalmente
deputata a vigilare nel settore di propria
competenza, possa sussistere un interesse
strumentale di un soggetto non partecipante
alla gara all’enunciazione di principi che
possano orientare, anche in futuro, le
stazioni appaltanti nella stesura dei bandi
di gara nel pieno rispetto delle regole del
mercato.
Come già evidenziato nel parere del
20.03.2008 n. 95, l’Autorità è infatti
competente ad esaminare l’avvenuto rispetto
della concorrenza sotto il profilo della
garanzia di un’ampia apertura al mercato a
tutti gli operatori economici del settore ed
in particolare è chiamata a vigilare su
un’effettiva concorrenza che, come
recentemente statuito dalla Corte
costituzionale nella sentenza del
22.11.2007, n. 401, deve essere intesa come
concorrenza “per” il mercato, in cui il
contraente venga scelto mediante procedure
di garanzia che assicurino il rispetto dei
valori comunitari e costituzionali.
Premesso quanto sopra, deve ritenersi che la
formulazione del criterio di assegnazione
del punteggio all’offerta economica
contenuta nel bando sia tale da
compromettere i predetti valori.
Come è noto, la disciplina dell’offerta
economicamente più vantaggiosa di cui
all’art. 83 del Codice dei contratti è stata
recentemente modificata dal c.d. terzo
correttivo (D.Lgs. 11.09.2008, n. 152) che
ha reso più stretti gli ambiti di libertà
valutativa delle offerte, imponendo alle
stazioni appaltanti di stabilire, fin dalla
formulazione del bando, tutti i criteri di
valutazione dell’offerta, precisando, ove
necessario, anche i sub criteri e la
ponderazione e cioè il valore o la rilevanza
relativa attribuita a ciascuno di essi,
conformemente ai principi comunitari (pareri
dell’Autorità del 12.02.2009 n. 22 e
26.02.2009 n. 27).
In proposito, la Corte di giustizia delle
Comunità europee ha ricordato che i criteri
di aggiudicazione definiti da
un’amministrazione aggiudicatrice devono
essere collegati all’oggetto dell’appalto,
non devono conferire alla detta
amministrazione una libertà incondizionata
di scelta, devono essere espressamente
menzionati nel capitolato d’oneri o nel
bando di gara e devono rispettare i principi
fondamentali di parità di trattamento e
trasparenza (sentenza 17.09.2002, causa
C-13/99, Concordia Bus Finland, punto 64).
In particolare, la Corte di giustizia ha
precisato che il dovere di rispettare il
principio di parità di trattamento
corrisponde all’essenza stessa delle
direttive in materia di appalti pubblici e
che i concorrenti devono trovarsi su un
piano di parità sia nel momento in cui essi
preparano l’offerta, sia nel momento in cui
queste sono valutate (sentenza 18.10.2001,
causa C-19/00, SIAC Construction, punto 34).
Alla luce di tali principi, se è vero che
rientra nella discrezionalità amministrativa
l’individuazione dei criteri di valutazione
e la ponderazione relativa attribuita a
ciascuno di essi, nel rispetto della
proporzionalità e della ragionevolezza
(parere dell’Autorità del 20.04.2008 n. 93),
è anche vero che, una volta effettuata tale
scelta discrezionale, attribuendo un massimo
di 60 punti all’offerta tecnica ed un
massimo di 40 punti all’offerta economica,
la stazione appaltante non può adottare una
formula matematica che, nella sostanza
finisca, per rendere totalmente ininfluente
l’offerta economica, riducendo da 40 a 4
punti il possibile scarto tra il minimo
ribasso e il massimo ribasso.
Nella fattispecie, si pensi ad esempio alla
presentazione di cinque offerte in cui il
ribasso dell’aggio di riscossione,
costituente il corrispettivo del servizio,
sia pari, rispettivamente, al 29%, al 28%,
al 27%, al 26% e al 1%. L’aggio medio di
tutte le offerte sarebbe del 22,2% e il
punteggio attribuibile alle cinque offerte
sarebbe, rispettivamente:
38,70 = 40 – (29 : 22,2)
38,74 = 40 – (28 : 22,2)
38,79 = 40 – (27 : 22,2)
38,83 = 40 – (26 : 22,2)
39,96 = 40 – (1 : 22,2)
Quindi tra un’offerta economica di minimo
ribasso del 29% e un’offerta di massimo
ribasso del 1% vi sarebbe uno scarto di
punteggio assegnabile di soli 1,26 punti.
La decisione del Consiglio di Stato, sez. V,
28.09.2005, n. 5194, invocata dall’impresa
istante, è del tutto pertinente, essendosi
occupata di un caso simile in cui, a fronte
di un criterio di valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa che prevedeva
l’attribuzione di un punteggio fino a 60
punti per l’offerta tecnica e di un
punteggio fino a 40 punti per l’offerta
economica, la formula matematica adottata
conduceva a comprimere il range valutativo
dell’offerta economica da 40 punti a 10
punti. In tal modo, ha osservato il
Consiglio di Stato, il punteggio economico
massimo attribuibile, pari, in astratto, ai
4/10 del punteggio totale, si è ridotto, di
fatto –con la predetta sterilizzazione del
punteggio massimo assegnabile all’offerta
economica– ad un rapporto pari a circa 1/6.
Percentualmente, quindi, il valore
dell’offerta economica, nell’economia
generale dell’attribuzione dei punteggi è
disceso dal 40% ad un valore di poco
superiore al 15%. Una scelta siffatta è
stata ritenuta dal Consiglio di Stato
illogica e contraddittoria, “finendo per
svilire ingiustificatamente una delle voci
principali previste per l’assegnazione dei
punteggi e potendo produrre, inoltre, una
situazione per cui già all’esito delle
operazioni necessarie per l’assegnazione del
punteggio all’offerta tecnica la commissione
giudicatrice potrebbe essere in grado di
definire, sostanzialmente, l’esito della
gara”.
La giurisprudenza ha chiaramente affermato
che, nell’ambito di una gara d’appalto
svolta con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, può
ritenersi logico l’utilizzo, per la
valutazione economica delle offerte, di una
formula matematica tendente ad attribuire un
punteggio inversamente proporzionale al
ribasso effettuato dai concorrenti, poiché
costituisce lo strumento maggiormente idoneo
a contemperare da un lato, la par condicio
tra gli stessi e, dall’altro, l’interesse
della stazione appaltante alla scelta
dell’offerta migliore (TAR Lombardia Milano,
sez. I, 17.10.2007, n. 6102). E’ stato
altresì affermato che, in sede di
valutazione dell’offerta economica, i
criteri di attribuzione del punteggio
possono essere molteplici e variabili
purché, nell’assegnazione degli stessi,
venga utilizzato tutto il potenziale range
differenziale previsto per la voce in
considerazione, anche al fine di evitare un
ingiustificato svuotamento di efficacia
sostanziale della componente economica
dell’offerta (TAR Lazio, sezione III-quater,
13.11.2008, n. 10141). Tale pronuncia si è
occupata di una fattispecie del tutto
analoga a quella oggetto del presente parere
ed ha affermato che, a seguito
dell’utilizzazione del contestato criterio
valutativo, si è determinato un illogico
appiattimento del punteggio spettante per
l’offerta economica, con la conseguenza che
il suo valore nell’economia generale
dell’attribuzione dei punteggi si è ridotto
in maniera tale da privare ampiamente di
contenuto significativo la stessa offerta
economica e da assegnare preponderanza
decisiva a quella tecnica, al di là di
quello che era il rapporto potenziale
oggetto di autolimitazione da parte della
stessa amministrazione.
Tale sentenza è stata confermata dalla
recente decisione del Consiglio di Stato,
sez. VI, 03.06.2009, n. 3404, che, nel dare
atto della novità delle questioni trattate,
ha ribadito che la formula matematica
impiegata, ancorata alla media delle altre
offerte, si presta a facili distorsioni e
turbative, essendo sufficiente presentare
una offerta di disturbo con prezzi molto
elevati e che si scostano dalla media degli
altri (agevolmente prevedibile ex ante sulla
scorta della conoscenza dei prezzi di
mercato) per far salire verso l’alto il
prezzo medio ed appiattire dunque la
valutazione delle offerte economiche.
Il Consiglio di Stato ha altresì precisato
che, mentre la valutazione degli elementi
qualitativi dell’offerta consente margini di
apprezzamento rimessi alla stazione
appaltante, la valutazione del prezzo, sia
nel criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, sia nel criterio del prezzo più
basso, è ancorata a semplice proporzionalità
o progressività, sicché al prezzo
complessivamente più basso deve
corrispondere necessariamente un punteggio
complessivamente più alto, il che anche nel
caso all’esame del Consiglio di Stato non si
è verificato, avendo conseguito offerte
economiche diverse, punteggi sostanzialmente
uguali. “Tale elementare e chiaro
meccanismo imposto dal diritto comunitario”,
prosegue la citata decisione, “non può
essere inquinato con formule matematiche
ancorate a medie variamente calcolate che
introducono nella valutazione della singola
offerta economica elementi ad essa estranei,
tratti dalle altre offerte economiche”
con la conseguenza che la pur ampia
discrezionalità della stazione appaltante
nella fissazione dei criteri di valutazione
delle offerte incontra un limite
invalicabile “nel divieto di rendere
complicato un meccanismo legale
assolutamente semplice e univoco, attraverso
formule matematiche non solo inutili ma
addirittura dannose sia per la tutela della
par condicio dei concorrenti, sia per
l’efficienza ed economicità dell’azione
amministrativa” posto che alla maggiore
complessità delle operazioni di gara (per
applicare una formula matematica non
richiesta dalla legge) consegue il risultato
di penalizzare ingiustificatamente le
offerte più basse.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che il criterio di
attribuzione del punteggio dell’offerta
economica contenuto nel bando si pone in
contrasto con la normativa nazionale e
comunitaria di settore
(parere
10.09.2009 n. 88 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
Appalti di ll.pp. - Requisiti di
qualificazione - Previsione di requisiti
ulteriori all'attestazione SOA -
Inammissibilità - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
La questione prospettata sembrerebbe non
riguardare il motivo per cui, a cagione
della incompletezza della documentazione
presentata –“in quanto non è stata
prodotta la “domanda di partecipazione”–
sarebbe stata esclusa l’offerta dell’impresa
istante, quanto piuttosto la possibilità, da
parte della stazione appaltante, di
prevedere, nei bandi di gara per
l’affidamento di appalti di lavori pubblici
di importo superiore a 150.000 euro,
requisiti di partecipazione maggiori od
ulteriori in aggiunta all’attestazione SOA.
Nei suesposti termini, peraltro, la suddetta
questione avrebbe dovuto essere fatta
tempestivamente valere con specifico gravame
avverso il bando asseritamente limitativo
della partecipazione alla gara (cfr. ex
multis: Cons. St., Sez. V, 19.03.2009, n.
1624; 03.02.2009, n. 594; 28.10.2008, n.
5384; 30.07.2008, n. 3804; Sez. VI,
20.01.2009, n. 256).
Sicché, è dubitabile che la società istante
–in disparte la vexata quaestio della
pregiudizialità amministrativa– possa
ricavare una concreta utilità dal vaglio di
questa Autorità, avendo corrisposto
all’invito di partecipare alla gara, dalla
quale è stata (automaticamente) esclusa alla
stregua dei requisiti imposti dalla lex
specialis.
Non di meno, la valenza di ordine generale
del quesito posto merita che sia specificato
quanto segue.
Occorre, infatti, segnalare che sulla
richiamata questione prospettata
dall’impresa istante si è più volte
pronunciata questa Autorità (si vedano ex
multis: le deliberazioni n. 103/2007 e
112/2007 nonché i pareri n. 71 del
23.10.2007 e n. 264 del 17.12.2008) e che,
tenendo conto di tali precedenti, si deve
pervenire alla conclusione che, nella
fattispecie in esame, risulta essere stato
violato l’art. 1, commi 3 e 4 del DPR n.
34/2000, così come prospettato dall’impresa
PIPPONZI s.r.l.
La citata disposizione regolamentare,
infatti, come riportato in narrativa,
prevede, al comma 3, che “Fatto salvo
quanto stabilito all’articolo 3, commi 6 e
7, (e cioè per gli appalti di importo a base
di gara superiore a 20.658.276 euro e per le
imprese stabilite in altri Stati aderenti
all’Unione europea) l'attestazione di
qualificazione rilasciata a norma del
presente regolamento costituisce condizione
necessaria e sufficiente per la
dimostrazione dell'esistenza dei requisiti
di capacità tecnica e finanziaria ai fini
dell'affidamento di lavori pubblici” ed
al successivo comma 4, stabilisce, altresì,
che “le stazioni appaltanti non possono
richiedere ai concorrenti la dimostrazione
della qualificazione con modalità, procedure
e contenuti diversi da quelli previsti dal
presente titolo, nonché dai titoli III
[requisiti per la qualificazione] e IV
[norme transitorie] ”lavori pubblici”.
Da tale precetto normativo discende, quindi,
che i requisiti di ordine generale, tecnico
ed organizzativo che devono essere posseduti
dalle imprese per poter partecipare alle
gare di appalto di lavori pubblici,
dettagliatamene individuati dagli articoli
17 e s.s. del suddetto Regolamento, devono
intendersi come inderogabili da parte della
stazione appaltante, che non può prevedere
requisiti maggiori o ulteriori rispetto a
quelli fissati per legge.
Conseguentemente, è da ritenere che la
clausola di cui al punto 2bis del
disciplinare di gara per l’appalto dei
lavori in oggetto –con la quale si richiede
la “dichiarazione sostitutiva di avere
eseguito, negli ultimi 10 anni, almeno una
pista di atletica ad anello a 6 o 8 corsie
con indicato il committente, il luogo e la
data di esecuzione con allegata la fotocopia
del relativo certificato di omologazione o
dichiarazione di regolare esecuzione e
conformità al Regolamento Tecnico I.A.A.F.
rilasciati da F.I.D.A.L.”– costituisce
una ingiustificata restrizione dell’accesso
alla gara, in contrasto con il citato art.
1, commi 3 e 4 del DPR 34/2000, oltreché con
il favor partecipationis, cui devono
uniformarsi le procedure di affidamento dei
contratti pubblici.
Si rende, peraltro, opportuno evidenziare
che la stazione appaltante avrebbe potuto,
comunque, soddisfare il dichiarato obiettivo
di interesse pubblico sotteso alla clausola
di cui sopra -consistente nell’assicurare la
conformità della prestazione oggetto del
contratto di appalto alle specifiche
tecniche IAAF, ai fini dell’indispensabile
rilascio del collaudo sportivo- richiamando
tali specifiche tecniche nel Capitolato
Speciale d’Appalto e aggiungendo
l’espressione “o equivalente”. Nel caso di
specie, infatti, non essendo possibile
individuare diversamente con la necessaria
precisione l’oggetto della prestazione
contrattuale, può trovare legittima ragione
e giustificazione la deroga espressamente
prevista dal comma 13 dell’art. 68 che
recita: “A meno di non essere
giustificate dall’oggetto dell’appalto, le
specifiche tecniche non possono menzionare
una fabbricazione o provenienza determinata
o un procedimento particolare né fare
riferimento a un marchio, a un brevetto o a
un tipo, a un’origine o a una produzione
specifica che avrebbero come effetto di
favorire o eliminare talune imprese o taluni
prodotti. Tale menzione o riferimento sono
autorizzati, in via eccezionale, nel caso in
cui una descrizione sufficientemente precisa
e intelligibile dell’oggetto dell’appalto
non sia possibile applicando i commi 3 e 4,
a condizione che siano accompagnati
dall’espressione <<o equivalente>>”.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei sensi di
cui in motivazione, illegittima la prefata
clausola di cui al punto 2bis del
disciplinare di gara per l’appalto dei
lavori in oggetto
(parere
10.09.2009 n. 86 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: Perché
si possa parlare di ristrutturazione è
necessaria l'esistenza di un edificio che,
pur non abitato o abitabile, sia connotato
nei suoi elementi essenziali -dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura.
E’ opportuno riportare la motivazione sulla
cui base, previo rinvio al parere contrario
all’intervento espresso dalla commissione
edilizia integrata nella seduta del
31.03.2005, l’autorizzazione richiesta da
parte ricorrente è stata respinta:
“…preso atto che il recupero ambientale
ed il restauro edilizio per la realizzazione
del parco turistico viene attuato attraverso
un intervento di ristrutturazione edilizia
di 13 manufatti ricadenti in zona che il
P.R.G. designa verde vincolato, il P.T.P.
dei Campi Flegrei designa P.I. (protezione
integrale) ed il Parco dei Campi Flegrei la
delimita come “zona a riserva integrale”.
Esprime parere contrario al rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica per la
realizzazione dell’intervento per i seguenti
motivi:
"I 13 manufatti da recuperare attraverso
l’intervento di ristrutturazione allo stato
sono costituiti in prevalenza da minuscole
porzioni di murature, che delimitano il solo
perimetro di base senza consentire la
possibilità di individuare nei connotati
essenziali i manufatti e la loro funzione.
Non è possibile procedere, con sufficiente
grado di certezza, alla ricognizione degli
elementi essenziali del manufatto
preesistente (altezza – tipo di copertura –
volumetria). La ricostruzione dei manufatti,
nel rispetto della volumetria e sagoma
preesistenti non è possibile verificarla in
relazione alla porzioni di strutture
attualmente esistenti, quasi tutte prive di
copertura ed in massima parte coperte da
sabbia e vegetazione arbustiva spontanea.
L’intervento, a norma dell’art. 9 del P.T.P.
dei Campi Flegrei, è incompatibile con le
esigenze di tutela ambientale dal momento
che arreca danni alle essenze arboree ed
arbustive esistenti in zona (la cosiddetta
macchia mediterranea).
La realizzazione degli impianti sportivi
(campi di calcetto, di tennis, di pallavolo
e di bocce) e dei percorsi (viottoli e
viali) così come graficamente rappresentati
in progetto, comporta il taglio e l’espianto
di vegetazione arbustiva e della macchia
mediterranea spontanea, vietato dalla norma
del P.T.P. (art. 11, comma 5, delle norme di
attuazione).
L’intervento di ristrutturazione non si
limita al solo recupero edilizio delle
porzioni di manufatti preesistenti, ma
comporta un’urbanizzazione di un’area poco
frequentata dall’uomo, anche perché posta al
di là della linea ferroviaria (Circumflegrea)
non facilmente accessibile. Attualmente la
zona è priva di tutte le opere di
urbanizzazione (strada di accesso,
fognatura, illuminazione, rete idrica ecc)
ed, a norma dell’art. 11, comma 5, della
Norme di Attuazione del P.T.P. dei Campi
Flegrei, non è consentita un’urbanizzazione,
in quanto interventi da eseguirsi in tale
zona devono assicurare solamente la
conservazione e la tutela dell’area e
tendere al mantenimento dell’attuale
vegetazione tipica”.
Parte ricorrente, per contro, ha sostenuto
la riconducibilità dell’intervento ad una
ipotesi di ristrutturazione edilizia,
attuata mediante demolizione e ricostruzione
di fabbricati aventi le medesime
caratteristiche
L’attuale stato di degrado, peraltro, non
sarebbe ostativo alla qualificazione
proposta, atteso che lo stesso sarebbe, in
parte, addebitabile al lungo tempo trascorso
tra la presentazione la sua prima richiesta
di autorizzazione (risalente al 1997) e la
decisione dell’amministrazione (adottata nel
2005).
Sul punto occorre osservare che la stessa
parte ricorrente non afferma, né negli
scritti difensivi, né negli atti progettuali
allegati al ricorso, la esistenza, alla data
di presentazione delle varie richieste, di
fabbricati sufficientemente integri da
potersi predicare in relazione agli stessi
quel giudizio di identità tra organismo
edilizio preesistente e organismo edilizio
successivo, che, per concorde giurisprudenza
in materia, fa sì che l’intervento possa
essere qualificato come ristrutturazione e
non come nuova costruzione (cfr. sulla
necessità, perché possa parlarsi di
ristrutturazione, dell’esistenza di un
edificio che, pur non abitato o abitabile,
sia connotato nei suoi elementi essenziali
-dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura- in stato di
conservazione tale da consentire la sua
fedele ricostruzione e sulla estraneità alla
fattispecie di interventi da realizzare nei
confronti di ruderi o resti di edifici da
tempo diruti e, pertanto, privi di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e
le caratteristiche dell'edificio da
recuperare, cfr. da ultimo, TAR Trentino
Alto Adige Trento, 08.01.2009, n. 3, TAR
Veneto Venezia, sez. II, 05.06.2008, n.
1667)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 24.09.2009 n. 5073 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
La mamma si fa male sullo
scivolo... ed il comune paga.
Se la madre si
fa male mentre aiuta il figlio a scendere
dallo scivolo sussiste la responsabilità per
custodia ex articolo 2051 c.c. del comune;
tutto ciò anche se la stessa ha “fatto un
uso scorretto, salendo in senso inverso alla
struttura”.
Il comune ha l’obbligo di risarcire il
danno, in caso di infortunio avvenuto in un
parco giochi, a meno che non riesca a
dimostrare un utilizzo imprevedibile delle
attrezzature, sia quando l’infortunato è un
minore e sia quando a farsi male è un
genitore.
Per sollevarsi dalla responsabilità ex
articolo 2051 c.c., infatti, non è
sufficiente che il comune provi la buona
manutenzione delle strutture presenti nel
parco giochi e l’uso improprio delle stesse,
ma deve, altresì, dimostrare che tale
utilizzazione è stata assolutamente
inusuale, da parte sia dei minori che dei
genitori (o delle persone adulte con essi
presenti) e, di conseguenza, assolutamente
imprevedibile
(Corte di Cassazione, Sez. III civile,
sentenza 22.09.2009 n. 20415 -
link a www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Né la mancata indicazione
dell’Autorità giudiziaria cui indirizzare un
eventuale ricorso, né l’omessa precisazione
del relativo termine, costituiscono motivo
di illegittimità dell’atto amministrativo.
Né la mancata indicazione dell’Autorità
giudiziaria cui indirizzare un eventuale
ricorso, né l’omessa precisazione del
relativo termine, costituiscono, per
giurisprudenza consolidata, motivo di
illegittimità dell’atto amministrativo, ma,
al più, una mera irregolarità suscettibile,
nel concorso di ulteriori e significative
circostanze, di giustificare in favore del
destinatario la concessione del beneficio
della remissione in termini per errore
scusabile (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n°
5812 del 22.10.2002; TAR Basilicata n° 901
del 27.11.2008; TAR Sardegna n° 1649
dell’08.08.2008; TAR Campania-Napoli n° 5244
del 05.06.2008; TAR Calabria-Catanzaro n°
441 dell’08.05.2008; TAR Campania-Napoli n°
2207 del 16.04.2008; TAR Lazio-Roma n° 10462
del 18.10.2006)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 17.09.2009 n. 5001 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un modesto
ampliamento di un preesistente vano finestra
può essere ragionevolmente ricondotto allo
schema della manutenzione straordinaria.
L’intervento in
questione presenta una portata estremamente
limitata, trattandosi di un modesto
ampliamento di un preesistente vano
finestra, con il ché non appare essere stata
determinata alcuna reale ed effettiva
alterazione del prospetto e della
configurazione del fabbricato, così da
condurre alla realizzazione di un “organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente” e alla conseguente
classificazione dell’operato in termini di
ristrutturazione edilizia (come comunemente
opinato in caso di effettuazione di aperture
ex novo di varchi in funzione di
porte o finestre): invece, il caso di
specie, a giudizio del Collegio, l’accaduto
può essere ragionevolmente ricondotto allo
schema della manutenzione straordinaria
(cfr. Cass. Pen. sez. III, n° 10856 del
04.10.1995), essendosi in definitiva
soltanto –in sostanza- operato un rinnovo
dell’elemento finestra preesistente
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 17.09.2009 n. 5001 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla normativa in materia di
autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
Il
Collegio di condividere in toto quanto
affermato da Cons. di Stato sez. VI, n° 3483
del 22.06.2007, secondo cui <<va
osservato che il D.Lgs. n. 42/2004 nel
mentre ha introdotto nella disciplina a
regime una serie di innovazioni non solo di
ordine sostanziale, ma anche procedimentale
in tema di autorizzazione paesaggistica, e
tra l'altro il divieto di autorizzazione in
sanatoria (art. 146), ha però previsto
all'art. 159 un " procedimento di
autorizzazione in via transitoria", "fino
alla approvazione dei piani paesaggistici",
che, pur innovando per taluni aspetti la
previgente disciplina, non contiene anche il
divieto di autorizzazione in sanatoria.
Né vale obiettare che la disciplina
introdotta dall'art. 146 sarebbe entrata
immediatamente in vigore in mancanza di un
espresso differimento, giacché la previsione
di una normativa transitoria (per il tempo
necessario alla approvazione dei piani
paesaggistici) non può che determinare la
temporanea sospensione della disciplina a
regime.
Che in questi termini vada letto il
combinato disposto dagli artt. 146 e 159 del
D.Lgs. n. 42 è confermato del resto dalle
"disposizioni correttive e integrative"
apportate con il successivo D.Lgs.
24.03.2006, n. 157 il quale, mentre da un
lato ha temperato la rigidità del divieto di
autorizzazione in sanatoria introducendo una
serie di eccezioni (cfr. art. 167 D.Lgs. n.
42/2004 come riformulato dall'art. 27 D.Lgs.
n. 157/2006), dall'altro ha esteso anche
alla fase transitoria il divieto di
autorizzazione in sanatoria seppure con le
eccezioni anzidette (cfr. art. 159, 6°
comma, come riformulato dall'art. 26 D.Lgs.
n. 157).
È dunque solo con la novella del 2006 che è
stato esteso al procedimento di
autorizzazione della fase transitoria il
divieto di sanatoria nella nuova versione. E
la ragione di ciò si rinviene agevolmente
nel fatto che protraendosi nel tempo la fase
transitoria (per la mancata approvazione dei
piani paesaggistici) si è ritenuto di
raccordare -quanto alla disciplina
"sostanziale"- la autorizzazione della fase
transitoria con quella a regime, tanto più
che con i temperamenti introdotti il divieto
di sanatoria veniva ad essere limitato agli
interventi di maggiore impatto, e
segnatamente a quelli comportanti "creazione
di superfici utili o volumi, ovvero aumento
di quelli legittimamente realizzati".>>:
e alla stregua di tale modo di vedere, e
tenuto conto che il diniego del quale si
discute è datato 20.09.2005 (per cui è
anteriore all’entrata in vigore del Decr.
Leg.vo 157/2006, avvenuta il 12.05.2006),
deve concludersi che il rilascio di una
autorizzazione paesistica postuma era in
quel momento ben possibile giuridicamente
(e, nel senso qui propugnato, cfr. anche
Cons. Giust. Amm. Sicilia n° 295
dell’11.04.2008; TAR Campania-Napoli n° 1470
del 21.03.2008).
Per completezza, poi, non può non
sottolinearsi che, nell’attuale quadro
normativo di riferimento (connotato proprio
dalle disposizioni introdotte dall’art. 27
del ricordato Decr. Leg.vo 157/2006), in
base al disposto di cui al riformulato art.
167 Decr. Leg.vo 42/2004, l’intervento in
discussione ben sarebbe paesisticamente
autorizzabile in via postuma, non avendo “determinato
creazione di superfici utili o volumi ovvero
aumento di quelli legittimamente realizzati”
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 17.09.2009 n. 5001 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Concorso pubblico, posti vacanti
ed obbligo di scorrere la graduatoria.
In vigenza di
validità di una graduatoria di un concorso
pubblico, l’Amministrazione che vuole
procedere a nuove assunzioni per coprire
eventuali posti vacanti che si sono resi
disponibili, non lo può fare indicendo un
nuovo concorso, ma ha invece l’obbligo di
scorrere la stessa graduatoria, assumendo i
relativi idonei
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 15.09.2009 n. 8743 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia,
ricostruzione e nuova costruzione.
La Cassazione è
tornata a soffermarsi sulle diversità che
caratterizzano gli interventi di
ristrutturazione, ricostruzione e nuova
costruzione.
Si tratta degli interventi la cui
definizione legislativa è contenuta
nell’articolo 3 del D.P.R. 06.06.2001, n.
380, il quale dopo aver definito gli
interventi di manutenzione ordinaria,
straordinaria e gli interventi di restauro e
di risanamento conservativo, si sofferma
alla lettera d) sugli interventi di
ristrutturazione edilizia.
Sono quelli “rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente”.
Comprendono “il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
Aggiunge la stessa disposizione che “nell'ambito
degli interventi di ristrutturazione
edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica”.
Gli interventi di nuova costruzione
rappresentano una categoria residuale nella
quale sono stati inclusi “quelli di
trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio non rientranti nelle categorie
definite alle lettere precedenti”, salvo
poi l’indicazione (lettera e) di altri
particolari interventi da considerare
comunque tali.
Sulle definizioni di ristrutturazione
edilizia e ricostruzione (a seguito di
totale o parziale demolizione), invero, già
contenute dall’articolo 31, comma 1, lett.
d), della L. 05.08.1978, n. 457, esiste
copiosissima giurisprudenza del giudice
ordinario, dei Tribunali amministrativi e
del Consiglio di Stato, tendente soprattutto
a classificare l’intervento, anche ai fini
concessori (individuare il titolo edilizio
necessario).
La prima giurisprudenza degli anni ’80 e ’90
aveva già precisato che un intervento
costruttivo, che implichi la demolizione e
la ricostruzione del preesistente
fabbricato, può esser definito come
ristrutturazione a condizione che:
a) la nuova costruzione sia fedele;
b) vengano conservate le caratteristiche
fondamentali dell'edificio preesistente;
c) la successiva ricostruzione dell'edificio
riproduca almeno nelle linee fondamentali,
quanto a sagoma e volumi, quello
preesistente, con esclusione della
realizzazione di nuovi volumi.
Diversamente argomentando, basterebbe la
mera preesistenza di un precedente edificio
su cui si opera per definire ogni intervento
come ristrutturazione (Cons. Stato, Sez. V,
14-12-2006, n. 7445; Cons. Stato, Sez. V,
24-02-1999, n. 197).
In altre parole, la demolizione di un
fabbricato, con conseguente edificazione di
un'opera edilizia radicalmente diversa, è
del tutto estranea al concetto di
ristrutturazione (Cons. Stato, Sez. V,
05-07-1999, n. 789).
Ne deriva che in ipotesi di ricostruzione di
un edificio diverso da quello preesistente
occorre un titolo edilizio diretto non già
alla ristrutturazione, ma all’edificazione
del nuovo fabbricato “anche se detta
demolizione sia stata provocata dalla rovina
dell'edificio” (Cons. Stato, Sez. V,
04-08-1999, n. 938).
Tuttavia, gli interventi di ristrutturazione
comprendono la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio, la
eliminazione, la modifica e l'inserimento di
nuovi elementi e impianti e quindi
comportano la creazione di un edificio in
tutto o in parte nuovo rispetto al
precedente.
La conseguenza è che la trasformazione può
comportare un aumento di superficie utile,
ma non aggiunte di volumi in ampliamento o
sopraelevazione (Cons. di Stato, Sez. V,
26.02.1992, n. 143) e può anche comportare
un mutamento della destinazione d'uso
dell'immobile (Cass. pen., Sez. III,
17-10-2006, n. 39860).
Per completezza d’informazione, occorre
considerare che l'attività di
ristrutturazione presenta molte affinità con
le attività di manutenzione straordinaria,
restauro e risanamento conservativo, tanto è
vero che tale intervento (ristrutturazione)
può essere attuato con attività materiali
astrattamente riconducibili alle altre
categorie (manutenzione straordinaria,
restauro e risanamento conservativo).
Ciò che rileva ai fini della concreta
individuazione della tipologia
dell'intervento attuato è la finalità delle
opere eseguite che devono essere valutate
nel loro complesso al fine di stabilire se
vi è stata la realizzazione di un edificio
in tutto o in parte nuovo (TAR Marche,
10-02-1995, n. 71).
In altre parole, gli interventi di
ristrutturazione edilizia diversamente dagli
interventi di manutenzione straordinaria,
che tendono a conservare l'organismo
inalterato nei suoi elementi tipologici,
sono caratterizzati dalla loro idoneità ad
introdurre un qualcosa di nuovo rispetto al
precedente assetto dell'edificio,
realizzandosi una decisa trasformazione
dell'edificio precedente, sì da giungere ad
un'opera diversa per tipo, caratteristiche,
dimensioni e localizzazioni (Cons. di Stato,
Sez. V, 21.12.1994, n. 1559; da ultimo TAR
Campania Napoli Sez. IV Sent., 16-04-2009,
n. 1977).
Gli interventi di manutenzione straordinaria
non possono apportare trasformazioni tali da
portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente ma devono
tendere a “conservare l'organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità
mediante un insieme di opere che, in
conformità agli elementi tipologici, formali
e strutturali dell'edificio, ne consentano
destinazioni d'uso compatibili” (TAR
Campania Napoli Sez. IV Sent., 16-04-2009,
n. 1977).
La ristrutturazione edilizia, pertanto, non
è vincolata al rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali
dell'edificio esistente e differisce sia
dalla manutenzione straordinaria (che non
può comportare aumento della superficie
utile o del numero delle unità immobiliari o
mutamento della destinazione d'uso), sia dal
restauro e risanamento conservativo (che non
può modificare in modo sostanziale l'assetto
dell'edificio e consente soltanto variazioni
d'uso compatibili con l'edificio
conservato).
La recente decisione (19287/2009), riepiloga
e sintetizza le indicazioni della stessa
suprema Corte volte ad individuare le
differenze fra ristrutturazione,
ricostruzione e nuova costruzione.
La semplice ristrutturazione si verifica
quando: “gli interventi, comportando
modificazioni esclusivamente interne,
abbiano interessato un fabbricato le cui
componenti essenziali, quali muri
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura siano rimasti inalterati”.
La ricostruzione si ha quando “le
componenti dell'edificio, per evento
naturale o per fatto umano, siano venute
meno e l'intervento successivo non abbia
comportato alcuna variazione rispetto alle
originarie dimensioni dell'edificio, con
particolare riferimento alla volumetria,
alla superficie di ingombro occupata ed
all'altezza”.
Aggiunge che “nel caso di aumento di una
delle suddette componenti, si è presenza di
una nuova costruzione, da considerare tale
agli effetti del computo delle distanze
rispetto agli immobili contigui”.
In fatto di distanza dai confini, nel caso
venga a configurarsi una nuova costruzione,
“la distanza prevista dalle nuove
disposizioni va comunque riferita al nuovo
fabbricato nel suo complesso, ove lo
strumento urbanistico contenga una norma
espressa in tal senso, oppure, in mancanza,
alle sole parti eccedenti le dimensioni
dell'edificio originario”.
La Cassazione, nel caso di specie ha accolto
il ricorso, cassando la sentenza impugnata,
per la mancata verifica da parte dei giudici
di merito della conformità del nuovo
edificio nell'altezza e nella volumetria, a
quello preesistente: “quelli di secondo
grado, in particolare, avrebbero dovuto
fornire un’adeguata e convincente risposta
alle censure degli appellanti, che non è
dato, tuttavia, riscontrare nella
motivazione, al riguardo elusiva e poco
convincente, fornita dalla corte fiorentina”.
I giudici d’appello più precisamente non
hanno verificato se gli “eventuali
incrementi volumetrici” supposti dal
consulente tecnico d’ufficio, come privi di
aggravi per la proprietà limitrofa “avrebbero
dato luogo ad una nuova costruzione, come
tale assoggettabile alle maggiori distanze
imposte dalle norme vigenti all'epoca
dell'intervento”
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 07.09.2009 n. 19287 -
link a www.altalex.com). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Sulla definizione
giurisprudenziale del mobbing.
Il concetto
giuridico di "mobbing", da cui può
essere affetto un rapporto di lavoro
subordinato, presuppone nell'accezione che
va consolidandosi pur con varietà di
accentuazioni in dottrina e giurisprudenza,
una durevole serie di reiterati
comportamenti vessatori e persecutori
rivolti nei confronti del dipendente
all'interno dell'ambiente di lavoro in cui
egli opera, capaci di provocare in suo danno
una situazione di reale, serio ed effettivo
disagio, che si concreta dunque in un danno
ingiusto, incidente sulla persona del
lavoratore, ed in particolare sulla sua
sfera mentale, relazionale e psicosomatica.
L'illecito si può potenzialmente concretare
con una pluralità di comportamenti materiali
ovvero anche di provvedimenti, del tutto a
prescindere dall'inadempimento di specifici
obblighi previsti dalla normativa regolante
il rapporto (Trib. Milano, sez. lav.,
20.05.2000 e Trib. Milano, sez. lav.,
11.02.2002; Cass. civ., sez. lavoro,
06.03.2006 n. 4774).
La sussistenza di una simile situazione deve
essere desunta attraverso una complessiva
analisi del quadro in cui si esplica la
prestazione del lavoratore: gli elementi
identificativi sono stati di volta in volta
individuati nella reiterazione di richiami e
sanzioni disciplinari ingiustificati o nella
sottrazione di vantaggi precedentemente
attribuiti, che devono registrarsi con
carattere di ripetitività, sulla base di un
intento sistematicamente perseguito da parte
del datore di lavoro al fine di creare una
situazione di seria e non transeunte
sofferenza nel dipendente (T.A.R. Lazio III,
25.06.2004, n. 6254).
Analogamente a quanto ricorre per i reati
collegati fra di loro dalla continuazione il
mobbing si deve dunque esprimere, oltre che
nei singoli atti o comportamenti del datore
di lavoro individuabili in concreto, nel
nesso che li lega strettamente fra di loro:
essi, infatti, non pervengono alla soglia
del mobbing, pur restando se del caso atti
illegittimi o comportamenti ingiusti, se non
raggiungono la soglia della continuità e
della loro particolare finalizzazione,
requisiti che dimostrano la sussistenza di
un disegno unitario volto a vessare il
lavoratore ed a distruggerne la personalità
e la figura professionale (cfr. Cassazione,
Sez. lavoro 06.03.2006, n. 4774; TAR
Lombardia Milano, Sez. I, 21.07.2006, n.
1844; idem, n. 1861/2006).
La giurisprudenza soprattutto del Giudice
del Lavoro ha, poi, approfondito
ulteriormente la questione, distinguendo il
"mobbing" dal "bossing",
intendendosi nella prima accezione un
comportamento diffuso ed attuato da parte
dei colleghi dell'interessato (mobbing
orizzontale) o dei suoi superiori (mobbing
verticale), che si prefiggono entrambi lo
scopo di isolarlo ed a renderlo estraneo al
proprio ambiente lavorativo; nella seconda
in una precisa strategia aziendale
finalizzata all'estromissione del lavoratore
dallo stesso ambiente in cui opera a titolo
subordinato (cfr. Tribunale di Pinerolo -
Sez. lav., 02.04.2004).
Sulla base di quanto ora osservato deve
concludersi che il mobbing rappresenta un
vero e proprio concetto giuridico a
contenuto indeterminato, essendo del tutto
assente ogni indicazione sia da parte del
Legislatore sia da parte della
contrattazione collettiva in ordine ai
parametri alla stregua dei quali accertarne
o meno la concreta sussistenza e con essa
l'illegittimità dei provvedimenti e degli
atti ovvero anche l'ingiustizia dei
comportamenti tramite i quali si manifesta.
Tale ricognizione si esercita dunque non già
alla stregua del mero sindacato esterno di
quegli indici formali, ma nella ricerca
degli elementi capaci di farne emergere la
sussistenza e con essa gli estremi del danno
e della sua ingiustizia, avuto particolare
riguardo a tutte quelle condotte incidenti
sulla reputazione del lavoratore, sui suoi
rapporti umani con l'ambiente di lavoro, sul
contenuto stesso della prestazione
lavorativa.
In detta ricerca non potrà mancare una
necessaria linea di demarcazione tra
l'esigenza di tutelare i lavoratori che
rimangano vittime di iniziative persecutorie
e la necessità di evitare l'eccessiva e
patologica valutazione di ogni screzio in
ambito lavorativo, che non deve comportare
alcuna sanzione giuridica per qualsivoglia
scorrettezza o per qualunque evento negativo
occorso nel luogo di lavoro (cfr. Tribunale
Cassino, Sez. lavoro, 18.12.2002, secondo
cui il mobbing si differenzia dai normali
conflitti interpersonali sorti nell'ambiente
lavorativo, i quali non sono caratterizzati
da alcuna volontà di emarginare ed espellere
il collega o il subordinato dal contesto
lavorativo, ma sono legati a fenomeni di
antipatia personale o da rivalità o
ambizione).
E" comunque incontroverso nella ricordata
giurisprudenza che, per aversi mobbing, si
debba accertare una serie prolungata di atti
volti a soverchiare ovvero anche solo ad
accerchiare o ad isolare la vittima,
ponendola in una posizione di debolezza
sulla base di un intento persecutorio
sistematicamente perseguito; fenomeno questo
non tipico dell'impiego privato, essendone
stata riconosciuta la sussistenza anche con
riferimento al lavoro nelle pubbliche
Amministrazioni (Trib. Ravenna, 11.07.2002;
Trib. Tempio Pausania, 10.07.2003).
Concludendo l'analisi sul punto il mobbing
presuppone dunque i seguenti elementi:
a) la pluralità dei comportamenti e delle
azioni a carattere persecutorio (illecite o
anche lecite, se isolatamente considerate),
sistematicamente e durevolmente dirette
contro il dipendente;
b) l'evento dannoso;
c) il nesso di causalità tra la condotta e
il danno;
d) la prova dell'elemento soggettivo.
Al fine di accreditare un'ipotesi di mobbing
non è dunque sufficiente che l'interessato
sia stato oggetto di trasferimenti di sede,
di mutamenti delle mansioni assegnate, di
richiami, sanzioni disciplinari od altro
fatto soggettivamente avvertito come
ingiusto e dannoso, ma occorre che tali
vicende, oltre che essersi ripetute per un
apprezzabile lasso di tempo, siano anche
legate da un preciso intento del datore di
lavoro diretto a vessare e perseguitare il
dipendente con lo scopo di demolirne la
personalità e la professionalità, il che
deve essere poi dimostrato in giudizio
secondo l'ordinaria regola dell'onere della
prova che governa la richiesta di
accertamento dei diritti soggettivi, non
essendo sufficiente la mera, soggettiva
percezione da parte dell'interessato, che
abbia su tale scorta maturato un proprio
radicato convincimento personale quanto alla
"congiura" ordita dal datore di
lavoro ai suoi danni
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.06.2009 n. 3585 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Eliminare una parete esterna e
mettere una vetrina è ristrutturazione
edilizia.
Il richiamo che
un P.R.G.C. operi all’art. 31, lett. d),
legge n. 457 del 1978 non vale a restringere
l’applicabilità della norma (e quindi ad
escludere la legittimità di modifiche
edilizie sugli edifici realizzati prima del
1945) ai manufatti aventi destinazione
residenziale, avendo, invece, significato di
criterio di valutazione generale
dell’ammissibilità degli interventi su
immobili ricadenti in area dichiarata di
notevole interesse pubblico.
La eliminazione di una parte della parete
esterna di un locale e la realizzazione di
un’unica vetrina prospiciente la via
pubblica, concretizza un’ipotesi di “alterazione
estetica dell’aspetto esteriore”
dell’edificio riconducibile alla
ristrutturazione edilizia
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 17.02.2009 n. 879 - link
a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 19.10.2009 |
ã |
dossier BOX |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, la 1^ pronuncia
(chiara ed incontrovertibile) del TAR sulla
gratuita dei box dopo la L.R. n. 12/2005:
ora non ci sono più dubbi, i box sono sempre
e comunque gratuiti.
Sussiste il regime della gratuità
per tutti i parcheggi, indipendentemente dal
collegamento con un edificio e senza tenere
conto della distinzione tra parcheggi
obbligatori e facoltativi.
L’art. 69 della LR 12/2005 segna il
superamento delle incertezze del regime
anteriore, nell’ambito del quale la
giurisprudenza aveva assunto per gradi
posizioni sempre più favorevoli alla
gratuità dei parcheggi senza tuttavia
arrivare al riconoscimento degli stessi come
autonomo bene giuridico tutelato in quanto
tale dall’ordinamento (v. TAR Brescia
03.05.2006 n. 449; TAR Brescia 26.09.2007 n.
898).
Inizialmente la gratuità è stata infatti
intesa come incentivo a introdurre
volontariamente la dotazione minima di
parcheggi pertinenziali negli edifici
esistenti (quindi nelle nuove costruzioni
sono stati considerati onerosi anche i
parcheggi obbligatori ex art. 41-sexies
della legge 17.08.1942 n. 1150). In seguito
la gratuità è stata collegata alla funzione
pubblica della dotazione minima di parcheggi
pertinenziali, tanto negli edifici esistenti
quanto nelle nuove costruzioni (quindi sono
stati considerati onerosi solo i parcheggi
eccedenti la misura minima, a causa della
loro natura speculativa).
Con l’art. 69 della LR 12/2005
l’equiparazione dei parcheggi alle opere di
urbanizzazione ha raggiunto la sua
formulazione più coerente, in quanto
l’utilità pubblica dei parcheggi è stata
messa in relazione direttamente con gli
interessi della viabilità senza la
mediazione di uno specifico edificio (di qui
l’abbandono del requisito della
pertinenzialità) e senza la
predeterminazione di limiti quantitativi (di
qui il superamento della misura minima ex
lege). Tenuto conto della nuova
impostazione fatta propria dal legislatore
regionale non può essere seguita l’opzione
interpretativa del Comune, che tende a
riprodurre schemi appartenenti al precedente
assetto normativo.
A conferma si osserva che l’esistenza di un
vincolo di pertinenzialità è ora richiesta
soltanto per beneficiare della deroga agli
strumenti urbanistici ex art. 66 della LR
12/2005 e, quindi, si colloca su un piano
del tutto diverso rispetto a quello della
gratuità del titolo edilizio (v. TAR Brescia
15.04.2009 n. 858) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 29.09.2009 n. 1709 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’effetto di deroga previsto con
formulazione ampia dall’art. 9, comma 1,
della legge 122/1989 deve valere anche per
la quota di parcheggi eccedente la dotazione
obbligatoria.
In base all’art. 69, comma 1, della LR
12/2005 tutti i parcheggi, pertinenziali e
non pertinenziali, anche se eccedenti il
limite di 1mq/10mc stabilito dall’art.
41-sexies della legge 17.08.1942 n. 1150,
sono considerati opere di urbanizzazione e
beneficiano per questo del regime della
gratuità.
La deroga alle disposizioni urbanistiche è
però riservata a una categoria più ristretta
di parcheggi, perché in base agli art. 66-67
della LR 12/2005 deve sussistere un vincolo
di pertinenzialità trascritto nei registri
immobiliari. Non è invece necessario che
l’edificio principale abbia destinazione
residenziale, né che si tratti di edificio
già esistente (v. TAR Brescia 26.09.2007 n.
898).
Pur tenendo conto che la dotazione minima di
parcheggi è un obbligo ex lege che
integra le previsioni urbanistiche, e
costituisce inoltre un requisito preliminare
al rilascio del permesso di costruire
relativo all’edificio principale, l’effetto
di deroga previsto con formulazione ampia
dall’art. 9, comma 1, della legge 122/1989
deve valere anche per la quota di parcheggi
eccedente la dotazione obbligatoria.
In sostanza, indagando la finalità della
norma, si può ritenere che la deroga alla
disciplina urbanistica sia concessa non
tanto per permettere la realizzazione di
nuovi edifici (altrimenti impossibile in
mancanza di parcheggi sufficienti) ma
soprattutto per incentivare la realizzazione
di parcheggi pertinenziali, i quali pur
essendo beni privati hanno rilievo pubblico
per i vantaggi che assicurano alla viabilità
(decongestionamento del traffico, minori
oneri per la realizzazione di parcheggi
pubblici).
Tuttavia, sia in relazione ai parcheggi
obbligatori sia per quanto riguarda i
parcheggi facoltativi, non possono essere
messi in pericolo gli altri interessi
pubblici elencati nell’art. 67 della LR
12/2005, alcuni dei quali hanno valore
ambientale come nel caso della tutela dei
corpi idrici e della speciale destinazione
del sottosuolo (ad esempio il mantenimento
di una percentuale di verde profondo per il
drenaggio delle acque).
Oltre a questi, per espressa previsione
dell’art. 9, comma 1, della legge 122/1989,
hanno carattere prioritario i vincoli
paesistico-ambientali formalmente istituiti,
che pertanto rappresentano un ostacolo alla
realizzazione dei parcheggi, salvo il potere
di autorizzazione dell’autorità responsabile
della tutela del vincolo (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 15.04.2009 n. 858 - link
a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In ambito regionale la pertinenzialità
attualmente non è più un requisito
necessario per l’esenzione dagli oneri
concessori (art. 69 della LR 12/2005) mentre
è ancora richiesta per beneficiare della
deroga agli strumenti urbanistici (art. 66
della LR 12/2005).
Per quanto riguarda la classe dell’edificio
(ai fini della quantificazione del costo di
costruzione), in mancanza (all’epoca dei
fatti) di una norma espressa, appare
condivisibile la scelta di tenere conto
dell’intera SNR (comprese quindi le
autorimesse obbligatorie) in quanto le
caratteristiche specifiche prese in esame
dagli art. 5, 6, 7 del DM 10.05.1977
misurano qualità oggettive che si
trasmettono all’edificio nel suo complesso.
Per scegliere tra le ipotesi di calcolo
degli oneri concessori individuate dal
consulente tecnico è necessario stabilire se
i parcheggi privati ricadano nella
definizione di opere di urbanizzazione e
quindi siano sottoposti al regime di
gratuità previsto dagli art. 9 e 11 della
legge 122/1989 e dagli art. 1 e 2 della LR
22/1999.
In ambito regionale la questione è ora
positivamente risolta dall’art. 69, comma 1,
della LR 11.03.2005 n. 12, in base al quale
“i parcheggi, pertinenziali e non
pertinenziali, realizzati anche in eccedenza
rispetto alla quota minima richiesta per
legge, costituiscono opere di urbanizzazione
e il relativo titolo abilitativo è
gratuito”. Il comma 2 dell’art. 69 della
LR 12/2005 specifica che “ai fini del
calcolo del costo di costruzione, le
superfici destinate a parcheggi non
concorrono alla definizione della classe
dell'edificio”.
Prima dell’entrata in vigore della LR
12/2005, nel periodo in cui si colloca la
vicenda in esame, vi era una situazione di
incertezza, in quanto la giurisprudenza
interpretava l’art. 9 della legge 122/1999
in senso restrittivo riconoscendo la
gratuità del titolo edificatorio soltanto ai
parcheggi da adibire al servizio di edifici
già esistenti (v. CS Sez. V 24.10.2000 n.
5676) ma in ambito regionale la formulazione
ampia dell’art. 2, comma 2, della LR 22/1999
(che non distingue i parcheggi a seconda
dell’edificio a cui sono collegati) sembrava
autorizzare conclusioni diverse. Questa
seconda strada appare preferibile.
Pur senza attribuire alla sopravvenuta
disposizione dell’art. 69 della LR 12/2005
il valore di norma interpretativa, si può
mettere in relazione l’art. 2, comma 2,
della LR 22/1999 con l’art. 4, comma 4,
della LR 05.12.1977 n. 60, secondo il quale
per il calcolo degni oneri relativi agli
edifici residenziali “i volumi e gli
spazi destinati al ricovero di autovetture
non sono computati, salvo che per la quota
eccedente quella richiesta obbligatoriamente
per parcheggio”.
Quest’ultima norma (ora abrogata dalla più
ampia disciplina della LR 12/2005) era
riferibile in primo luogo ai nuovi edifici e
distingueva tra i parcheggi obbligatori e
quelli facoltativi attribuendo
implicitamente ai primi una funzione di
pubblico interesse e ai secondi una finalità
speculativa. Si può ritenere che inserendosi
in tale contesto l’art. 2, comma 2, della LR
22/1999 abbia mantenuto la distinzione
qualificando espressamente come opere di
urbanizzazione i parcheggi obbligatori
indipendentemente dal fatto che siano
collegati o meno a edifici già esistenti. A
conferma di questa conclusione si osserva
che l’utilità delle opere di urbanizzazione
ha carattere oggettivo e riguarda non solo
il singolo edificio ma il territorio nel suo
insieme, il che rende indifferente il
momento in cui i parcheggi sono realizzati.
Il Comune eccepisce che nel caso in esame
non è mai stato formalmente costituito e
trascritto un vincolo di pertinenzialità
(fatto non contestato) e dunque la
disciplina di favore non potrebbe trovare
applicazione. Questa tesi non è
condivisibile.
Come si è anticipato sopra, in ambito
regionale la pertinenzialità attualmente non
è più un requisito necessario per
l’esenzione dagli oneri concessori (art. 69
della LR 12/2005) mentre è ancora richiesta
per beneficiare della deroga agli strumenti
urbanistici (art. 66 della LR 12/2005).
Prima della LR 12/2005 la giurisprudenza
subordinava in effetti la gratuità alla
formazione di un vincolo di pertinenzialità
(v. CS Sez. V 22.12.2005 n. 7344). Occorre
peraltro osservare che il vincolo può essere
costituito anche in un momento successivo
rispetto al titolo edificatorio. Inoltre nel
caso dei parcheggi collegati a nuovi edifici
la pertinenzialità è presunta, nel senso che
l’art. 41-sexies, comma 1, della legge
1150/1942 subordina il rilascio del titolo
edificatorio alla presenza di una dotazione
minima di spazi aventi questa destinazione
(nel caso in esame la concessione edilizia
del 02.02.2001 richiama espressamente al
punto 7 l’obbligo di riservare a parcheggio
aree nella misura minima di legge).
Per i parcheggi obbligatori la costituzione
di un vincolo di pertinenza non è quindi
necessaria agli effetti urbanistici, in
quanto il collegamento con l’abitazione
principale emerge direttamente dal progetto
complessivo dell’intervento edilizio. Il
carattere automatico del vincolo può essere
osservato anche sul piano civilistico, dove
nel caso di riserva della proprietà degli
spazi obbligatori di parcheggio da parte del
costruttore-venditore sorge ex lege a
favore degli acquirenti un diritto reale
d'uso. All’epoca dei fatti questa era la
situazione consolidata. La formale
stipulazione di un vincolo ha assunto
rilevanza solo in conseguenza dell’art.
41-sexies, comma 2, della legge 1150/1942
(aggiunto dall’art. 12, comma 9, della legge
28.11.2005 n. 246), il quale per gli edifici
realizzati successivamente ha stabilito il
principio della libera commerciabilità dei
parcheggi pertinenziali (v. Cass. civ. Sez.
II 24.02.2006 n. 4264).
Sulla base delle considerazioni svolte sopra
appare corretta la soluzione descritta dal
consulente tecnico nell’ipotesi b). Il
calcolo degli oneri concessori deve quindi
essere svolto escludendo il volume e la
superficie delle sole autorimesse
obbligatorie.
Per quanto riguarda la classe dell’edificio,
in mancanza (all’epoca dei fatti) di una
norma espressa, appare condivisibile la
scelta di tenere conto dell’intera SNR
(comprese quindi le autorimesse
obbligatorie) in quanto le caratteristiche
specifiche prese in esame dagli art. 5, 6, 7
del DM 10.05.1977 misurano qualità oggettive
che si trasmettono all’edificio nel suo
complesso (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 26.09.2007 n. 898 - link
a
www.giustizia-amministrativa.it). |
GURI - GUUE - BURL ( e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
MONITORAGGIO DEGLI INTERVENTI ASSENTITI
DAI COMUNI IN ATTUAZIONE DELLA L.R. 13/2009
(decreto
D.U.O. 14.10.2009 n. 10428). |
EDILIZIA PRIVATA:
MODALITA' OPERATIVE PER INTERVENTI DI
SOSTITUZIONE EDILIZIA IN CENTRI STORICI E
NUCLEI DI ANTICA FORMAZIONE AI SENSI DEL
COMMA 4, ARTICOLO 3, L.R. 13/2009 (decreto
D.U.O. 14.10.2009 n. 10411). |
QUESITI & PARERI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Progressioni verticali.
Il Comune
di (omissis) pone quesito sull’applicabilità
della risposta resa da questo Servizio di
Consulenza su di un quesito formulato da un
altro Comune in materia di progressioni
verticali. In particolare citando la
sentenza del Consiglio di Stato n. 7304/2004
ed altre decisioni della giustizia
amministrativa esprime una sorta di
perplessità sul parere precedente e chiede
chiarimenti sulla possibilità di effettuare
progressioni verticali che possano risultare
in contrasto con le ormai consolidate
posizioni della giurisprudenza e della
dottrina (Regione Piemonte,
parere n.
100/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
APPALTI:
L. Bellagamba,
La leggerezza interpretativa del Consiglio
di Stato: sarebbe legittimo
prevedere l’«esperienza maturata» come
parametro di valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, in quanto da
essa possono trarsi «indici significativi
(…) dell’affidabilità dell’impresa»! (link a
www.linobellagamba.it). |
URBANISTICA:
D. Meneguzzo,
Regime giuridico della convenzione di
lottizzazione e conseguenze del suo
inadempimento (link a
http://venetoius.myblog.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
All’Amministrazione è precluso il
restringere il numero dei partecipanti alle
gare fino al punto da non assicurare una
reale concorrenza fra gli stessi. La
stazione appaltante può ovviamente elevare
la soglia dei requisiti idoneativi al fine
di assicurarsi un livello qualitativo
adeguato all’esecuzione delle prestazioni
oggetto dell’appalto ma deve tuttavia farlo
procedendo ad un equo bilanciamento dei
diversi interessi.
Deve aderirsi all’indirizzo
giurisprudenziale, anche di questo TAR (fra
le ultime, TAR Puglia Lecce, I, 01.07.2008,
n. 2017), il quale -sulla scia di importanti
pronunce della Corte di Giustizia CE: v. in
particolare sent. n. 299 del 14.10.2004; n.
210 del 14.12.2004; n. 463 del 13.05.2003-
ritiene all’Amministrazione precluso il
restringere il numero dei partecipanti alle
gare fino al punto da non assicurare una
reale concorrenza fra gli stessi. La
stazione appaltante, la quale può ovviamente
elevare la soglia dei requisiti idoneativi
al fine di assicurarsi un livello
qualitativo adeguato all’esecuzione delle
prestazioni oggetto dell’appalto, deve
tuttavia farlo procedendo ad un equo
bilanciamento dei diversi interessi, non
relegando ad un ruolo marginale la tutela
della concorrenza e il favor
partecipationis, e ciò anche in
relazione al disposto dell’art. 42, comma 3,
del d.lgs. 163/2006 (riproduttivo dell’art.
44, comma 3, Direttiva CE 31.03.2005
18/04/CE), secondo cui le informazioni sulla
capacità tecnica e professionale dei
fornitori e dei prestatori dei servizi non
possono eccedere l’oggetto dell’appalto.
Le amministrazioni, in definitiva, ben
possono richiedere alle imprese requisiti di
partecipazione ad una gara d’appalto più
rigorosi e restrittivi di quelli minimi
stabiliti dalla legge, purché però tali
ulteriori prescrizioni si rivelino
rispettose dei principi di proporzionalità e
adeguatezza e siano giustificate da
specifiche esigenze imposte dal peculiare
oggetto dell’appalto (cfr. TAR Lecce, III,
n. 590/2009): il requisito relativo alla
certificazione ISO 14001 previsto nel caso
in esame, dunque, risultava illegittimo
appunto perché non ragionevolmente calibrato
con riferimento alle caratteristiche di un
appalto rispetto al quale, come scritto, il
profilo della tutela ambientale non era
presente in modo particolarmente
significativo.
Questo è tanto più esatto ove si tenga conto
che l’art. 44 del d.lgs. n. 163 del 2006
prevede che le stazioni appaltanti possano
richiedere l’indicazione delle misure di
gestione ambientale che l’operatore potrà
applicare durante l’esecuzione del contratto
“unicamente nei casi appropriati” e
che tali casi devono essere previsti
mediante regolamento, ai sensi dell’art. 42,
primo comma, lett. f, del medesimo testo
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 06.10.2009 n. 2247 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
I vincoli espropriativi imposti
sulla proprietà privata decadono dopo cinque
anni se non interviene una dichiarazione di
pubblica utilità.
I vincoli espropriativi imposti su beni
determinati dallo strumento urbanistico
hanno per legge durata limitata: in linea
generale, cinque anni, alla scadenza dei
quali, se non è intervenuta dichiarazione di
pubblica utilità dell’opera prevista, il
vincolo preordinato all’esproprio decade
(art. 9 del T.U. delle norme in materia di
espropriazione per pubblica utilità,
approvato con D.P.R. 08.06.2001, n. 327).
Secondo un consolidato orientamento della
giurisprudenza anche di questo Tribunale
–dal quale non si ravvisano ragioni per
discostarsi- la decadenza dei vincoli
urbanistici espropriativi o che, comunque,
privano la proprietà del suo valore
economico, comporta l’obbligo per il Comune
di “reintegrare” la disciplina
urbanistica dell’area interessata dal
vincolo decaduto con una nuova
pianificazione. Ne consegue che il
proprietario dell’area interessata può
presentare un’istanza, volta a ottenere
l’attribuzione di una nuova destinazione
urbanistica -così come è avvenuto nel caso
in esame- e l’amministrazione è tenuta a
esaminarla, anche nel caso in cui la
richiesta medesima non sia suscettibile di
accoglimento, con l’obbligo di motivare
congruamente tale decisione (Consiglio di
Stato, sez. IV, 22.06.2004, n. 4426; TAR
Campania, Salerno, sez. I, 03.06.2009, n.
2825; TAR Sicilia, Palermo, sez. III,
25.06.2009, n. 1167; Catania, sez. I,
13.03.2008, n. 467; 18.07.2006, n. 1183;
21.06.2004, n. 1733); fermo restando,
naturalmente, il potere discrezionale
dell’Amministrazione comunale in ordine alla
verifica e alla scelta della destinazione,
in coerenza con la più generale disciplina
del territorio, meglio idonea e adeguata in
relazione all’interesse pubblico al corretto
e armonico suo utilizzo (Consiglio di Stato,
sez. IV, 08.06.2007, n. 3025).
In ordine ai termini di durata dei vincoli
espropriativi urbanistici, va, peraltro,
richiamato il parere del Consiglio di
Giustizia Amministrativa n. 461/2005
dell'01.09.2005 –dalla cui condivisibile
interpretazione non si ravvisano ragioni per
discostarsi– secondo cui deve ritenersi
applicabile nel territorio della Regione
Siciliana il termine di durata quinquennale
dei vincoli espropriativi urbanistici di cui
all’art. 9 del D.P.R. 327/2001, con
decorrenza dalla data di approvazione degli
strumenti urbanistici (cfr. sul punto, anche
TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 09.07.2008,
n. 905).
In ordine all’obbligo di provvedere, è stato
evidenziato che l’obbligo gravante sul
Comune in caso di decadenza di vincolo
preordinato all’esproprio, va assolto
mediante l’adozione di una variante
specifica o di variante generale, gli unici
strumenti che consentono alle
amministrazioni comunali di verificare la
persistente compatibilità delle destinazioni
già impresse ad aree situate nelle zone più
diverse del territorio comunale, rispetto ai
principi informatori della vigente
disciplina di piano regolatore e alle nuove
esigenze di pubblico interesse (in termini:
Consiglio di Stato, sez. IV, 31.05.2007, n.
2885). Il potere di conformazione
urbanistica, peraltro, è attribuito dalla
legge all’organo consiliare, di talché il
semplice avvio del procedimento di revisione
del piano regolatore generale comunale non
costituisce adempimento da parte del comune
dell’obbligo di attribuire la
riqualificazione urbanistica alla zona
rimasta priva di specifica disciplina a
seguito di decadenza del vincolo di
destinazione su di essa gravante (cfr.:
Consiglio di Stato, sez. IV, 05.12.2006, n.
7131; sez. V, 01.10.2003, n. 5675).
L’adempimento non elusivo di tale obbligo
può essere dato, infatti, soltanto dallo
specifico ed effettivo completamento del
Piano regolatore generale per quella zona,
mediante adozione di un provvedimento
espresso (e cioè di una variante) da parte
del competente Organo consiliare.
La decadenza dei vincoli urbanistici per
l'inutile decorso del termine quinquennale
dall'approvazione del piano regolatore
generale obbliga il comune a procedere alla
nuova qualificazione dell'area rimasta priva
di disciplina, per cui è illegittima
l'inerzia serbata al riguardo dalla p.a. ed
è possibile la formazione del silenzio
rifiuto a seguito dell'intimazione da parte
dei proprietari dell'area stessa. Laddove,
però, l'amministrazione, a giustificazione
del silenzio, pronunci asserzioni generiche
e non indichi con precisione i tempi
procedimentali necessari, il provvedimento
silenzioso va dichiarato illegittimo, con la
consequenziale declaratoria dell'obbligo di
provvedere in capo all'organo competente ad
effettuare discrezionalmente la scelta della
nuova destinazione da imprimere all'area,
mediante adeguata motivazione (TAR Puglia
Bari, sez. II, 22.11.2001, n. 5129; in senso
conforme: TAR Campania, Salerno, sez. II,
16.06.2008, n. 1944; TAR Lazio, Latina, sez.
I, 04.12.2007, n. 1485) (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. III,
sentenza 06.10.2009 n. 1565 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
Sulla possibilità di trasformare
il gettone di presenza in indennità di
funzione ai sensi dell'art. 82 del TUEL (d.lvo
n. 267/2000).
Ai sensi dell'art. 82 del d.l.vo n. 267/2000
(TUEL), gli statuti e i regolamenti degli
enti possono prevedere, a richiesta di
ciascun consigliere, la trasformazione del
gettone di presenza in una indennità di
funzione, sempre che tale regime comporti
per l'ente pari o minori oneri finanziari.
La circolare del Ministero degli Interni n.
8/2001 indica le cautele da adottare per
evitare che la trasformazione della
retribuzione con gettone di presenza in
indennità di funzione si possa tradurre per
l'ente in una spesa superiore. Sulla base di
tale indicazione l'ente deve effettuare una
oculata e realistica previsione,
individuando un concreto riferimento nel
numero di sedute svoltesi nel corso
dell'anno precedente, prevedendo un
conguaglio da operarsi alla fine di ciascun
anno in caso di spesa superiore.
Nel caso di specie, nonostante l'iter
procedimentale seguito dal consiglio
comunale non sia immune da censure non
sembra possano essere ritenuti sussistenti,
nemmeno all'esito di un eventuale giudizio,
gli elementi costitutivi delle fattispecie
di reato contestate (art. 323 co. 1 e 2 cp.
e art. 640 co. 1 e 2 n. 2 cp.). Non è
configurabile l'elemento psicologico del
reato di cui all'art. 323 cp., in quanto,
sia pure con un certo ritardo, il consiglio
comunale, nel confermare la misura
dell'indennità, ha espressamente previsto il
criterio del conguaglio in caso di aggravio
di spesa derivante dalla corresponsione
dell'indennità di funzione.
L'impossibilità di ravvisare, quanto meno
sul piano dell'elemento psicologico il reato
di abuso in atti di ufficio, determina
l'insussistenza del reato di truffa
aggravata rispetto al quale l'abuso è
strumentale, ed, inoltre, non è possibile
individuare, pur nell'iter alquanto
controverso seguito dal consiglio comunale,
elementi quali gli artifizi e i raggiri
indispensabili per la configurazione della
fattispecie delittuosa di cui all'art. 640
cp.. Le decisioni sono dunque scaturite da
una attività amministrativa non
correttamente esercitata, ma certamente
trasparente e orientata anche da un
dibattito nel quale non sono mancate
opinioni contrarie, anche se poi, una volta
approvate le delibere, tutti i consiglieri
comunali hanno esercitato l'opzione in
favore della indennità di funzione
(TRIBUNALE civile e penale di Salerno
(ufficio del GIP),
sentenza 06.10.2009 n. 556 - link
a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
disposizioni sulle distanze fra i fabbricati
dettate dall'art. 873 c.c., che hanno lo
scopo di evitare pericolose intercapedini
tra pareti che si fronteggiano, vincolano,
con carattere cogente in via generale ed
astratta, in considerazione delle esigenze
collettive connesse ai bisogni di igiene e
sicurezza, anche i Comuni in sede di
formazione e revisione degli strumenti
urbanistici.
La normativa sulle distanze deve essere
quindi rispettata quando attraverso la
ristrutturazione si modifica sostanzialmente
il manufatto esistente, realizzando un
organismo edilizio diverso dal precedente
per volume e sagoma, perché in tal caso si
integrano gli estremi di una vera e propria
nuova costruzione non riconducibile
concettualmente né tipologicamente alla
categoria giuridica della ristrutturazione
come disciplinata dall’art. 3 del d.P.R.
06.06.2001 n. 380, recante il Testo Unico
dell’Edilizia.
L’ordinamento giuridico prevede, in via
generale, limitazioni di varia natura al
diritto di costruire, a tutela dell’ordinato
sviluppo del territorio e dei diritti dei
terzi controinteressati.
Tali limiti possono essere di natura
civilistica e dipendere direttamente dalla
legge (come stabilito nel libro terzo, capo
secondo, del codice civile con le norme
sulle distanze, le luci, le vedute, etc.) o
dall’autonomia pattizia delle parti o essere
di natura pubblicistica, e dipendere dalle
scelte urbanistiche ed edilizie effettuate
dall’amministrazione.
I limiti legali, come quelli sulle distanze,
peraltro non sono diretti solo a tutelare la
proprietà privata ed i rapporti tra vicini
ma anche l’ordinato sviluppo urbanistico del
territorio, ed infatti molto spesso tali
limiti coincidono con i limiti che i vari
Comuni inseriscono nei piani regolatori o
sono da questi resi più rigorosi. Per tali
profili gli aspetti pubblicistici e gli
aspetti privatistici dell’attività
edificatoria si sovrappongono ed assumono
rilevanza qualificata nel procedimento di
rilascio di un permesso di costruire.
Per quanto riguarda in particolare le
distanze fra i fabbricati, i limiti
all’edificazione sono dettati, oltre che
dalle norme del codice civile, dall’art. 9
del D.M. 02.04.1968 n. 1444 (che, al di
fuori delle zone A dei Piani Regolatori,
prevede una distanza minima assoluta di 10
metri tra le pareti finestrate e le pareti
degli edifici antistanti) e dalla disciplina
di dettaglio contenuta nella strumentazione
urbanistica ed edilizia dei singoli Comuni.
In proposito si è affermato che le
disposizioni sulle distanze fra i fabbricati
dettate dall'art. 873 c.c., che hanno lo
scopo di evitare pericolose intercapedini
tra pareti che si fronteggiano (Consiglio di
Stato, sez. IV, 05.10.2005, n. 5348),
vincolano, con carattere cogente in via
generale ed astratta, in considerazione
delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e sicurezza, anche i
Comuni in sede di formazione e revisione
degli strumenti urbanistici (Consiglio di
Stato, sez. V, 26.10.2006, n. 6399).
In conseguenza gli organi comunali, a
seguito della richiesta di rilascio di un
permesso di costruire, sono tenuti a
verificare il rispetto delle norme previste
dagli strumenti urbanistici ed edilizi in
materia di distanza tra gli edifici, così
garantendo anche il rispetto delle norme
codicistiche sulle distanze (TAR Campania,
Napoli, Sez. II, n. 19795 del 2008).
le disposizioni sulle distanze dettate
dall'art. 9 del DM n. 1444 del 1968 (e dal
Regolamento Edilizio Comunale) si applichino
a tutti gli interventi edilizi che abbiano
il contenuto sostanziale di nuova
costruzione, e quindi anche alle
ristrutturazioni con ampliamento dei volumi
(Cassazione civile, Sez. II, 28 settembre
2007 n. 20574).
La normativa sulle distanze deve essere
quindi rispettata quando attraverso la
ristrutturazione si modifica sostanzialmente
il manufatto esistente, realizzando un
organismo edilizio diverso dal precedente
per volume e sagoma, perché in tal caso si
integrano gli estremi di una vera e propria
nuova costruzione non riconducibile
concettualmente né tipologicamente alla
categoria giuridica della ristrutturazione
come disciplinata dall’art. 3 del d.P.R.
06.06.2001 n. 380, recante il Testo Unico
dell’Edilizia.
Infatti il concetto di ristrutturazione
edilizia comprende anche la demolizione
seguita dalla ricostruzione del manufatto,
ma tanto può ritenersi consentito alla
precisa condizione che la riedificazione
assicuri la piena conformità di sagoma e
volume tra il vecchio e il nuovo manufatto.
È quindi possibile pervenire in tal modo ad
un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente, purché la diversità
sia dovuta ad interventi comprendenti il
ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento
di nuovi elementi ed impianti, e non già la
realizzazione di nuovi volumi o una diversa
ubicazione. Ciò in quanto, diversamente
opinando, sarebbe sufficiente la
preesistenza di un edificio per definire
ristrutturazione qualsiasi nuova
realizzazione eseguita in luogo o sul luogo
di quella preesistente (Consiglio di Stato,
sez. V, 04.03.2008, n. 918).
Le disposizioni sulle distanze devono essere
poi applicate anche nel caso di
sopraelevazione di un immobile esistente.
Infatti la circostanza che un edificio
preesista non dà diritto a mantenere
l'allineamento acquisito per una eventuale
sopraelevazione, fatti salvi casi
particolari, quando l'allineamento
corrisponda a un interesse pubblico autonomo
e attinente all'assetto urbanistico
complessivo di una zona urbanistica (Corte
Costituzionale 16.06.2005 n. 232)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 30.09.2009 n. 5110 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
DELIMITAZIONE DI UN'AREA (PER
COSI' DIRE) "PUBBLICA".
1.- Espropriazione ed occupazione
- Accordo amichevole sull'ammontare
dell'indennità di esproprio - Passaggio
proprietà dal privato alla p.A. - Non
sussiste - Caducazione in caso di mancata
conclusione della procedura - Ammissibilità.
2.- Espropriazione ed occupazione -
Indennità - Determinazione - Con accordo
bonario - Ammissibilità - Futura
contestazione sull'ammontare -
Inammissibilità.
3.- Espropriazione ed occupazione -
Procedimento - Decreto espropriazione -
Mancata adozione entro i termini -
Caducazione intera procedura - Ex tunc -
Ammissibilità.
1.-
In tema di espropriazione per pubblica
utilità l'accordo amichevole sull'ammontare
dell'indennità di esproprio non comporta la
cessione volontaria del bene, sicché è
sempre necessario il completamento del
procedimento al fine del passaggio della
proprietà del bene dall'espropriato
all'espropriante: pertanto, detto accordo
non ha valenza sostitutiva degli atti
conclusivi, ma viene invece a caducarsi ed a
perdere efficacia qualora il procedimento
non si concluda con il negozio di cessione o
con il decreto di esproprio.
2.-
L'unico effetto derivante dalla
sottoscrizione di un accordo bonario è
quello di precludere ogni futura
contestazione sull'importo dell'indennità di
espropriazione ove, ultimato il
procedimento, si addivenga al trasferimento
del bene all'espropriante.
3.-
La decorrenza dei termini prefissati senza
che sia stato emanato il decreto di
esproprio comporta l'inefficacia, ex art.
13, co. 3, L. n. 2359/1865, della
dichiarazione di pubblica utilità, con
conseguente venir meno, ex tunc,
dell'intero procedimento. Ciò si evince
dalla lettera e dalla ratio dello
stesso art. 13, co. 3, il quale dispone che
in questo caso l'amministrazione avrebbe
dovuto procedere all'adozione di una nuova
dichiarazione di pubblica utilità (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 30.09.2009 n. 2464 -
link a http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è illegittima una motivazione, anche
succinta, di un diniego che si fondi sul
parere contrario ai fini paesaggistici e che
l'onere motivazionale ben può essere assolto
mediante l'individuazione, nell'intervento
abusivo, di caratteristiche che
oggettivamente ne impediscono il corretto
inserimento nella zona che è oggetto di
specifica tutela.
Risulta dunque sufficientemente motivato il
parere negativo adottato dalla
Soprintendenza e fatto proprio dal Comune
che individua l’incompatibilità della natura
dell’opera (capanno per attrezzi agricoli)
con il paesaggio circostante, in un’area
sottoposta a vincolo ex lege.
Rileva il Collegio che, come già affermato
in generale dalla giurisprudenza in materia
di sanatoria edilizia, non è illegittima una
motivazione anche succinta di un diniego che
si fondi sul parere contrario ai fini
paesaggistici e che l'onere motivazionale
ben può essere assolto mediante
l'individuazione, nell'intervento abusivo,
di caratteristiche che oggettivamente ne
impediscono il corretto inserimento nella
zona che è oggetto di specifica tutela,
ancorché l'amministrazione utilizzi formule
di diniego analoghe nei confronti di altre
fattispecie, quando che le connotazioni
individuate rispetto al manufatto sono
comuni ad una vasta gamma di interventi
abusivi e quindi la motivazione adottata può
ben apparire stereotipa per un gran numero
di casi, purché siano esternate le ragioni
per le quali le caratteristiche costruttive
ed i materiali utilizzati arrechino
pregiudizio alla bellezza tutelata.
Nel caso in esame vi è lo specifico
riferimento alla natura dell’opera, un
capanno per attrezzi che, come osserva la
stessa relazione descrittiva presentata dal
ricorrente è realizzato “con struttura in
metallo, pannelli in legno ed onduline
plastificate”. La Soprintendenza ha
quindi ritenuto che tale manufatto,
costruito in assenza di autorizzazione
paesaggistica, sia incompatibile con i
valori tutelati dal vincolo (in materia Tar
Toscana 19.06.2007 n. 890).
Ancora, in un caso simile al presente,
sempre il Tar Toscana ha osservato come, in
sede di diniego di concessione edilizia in
sanatoria, il giudizio in ordine alla
compatibilità degli interventi, in quanto
espressione di un potere
tecnico-discrezionale, si rileva censurabile
in sede di legittimità solo per palesi
errori attinenti la valutazione degli
elementi di fatto o per illogicità (Tar
Toscana 27.11.2006 n. 6052). Nel caso in
esame tale illogicità non è presente, in
quanto vi è preciso riferimento alla natura
dell’opera e alla circostanza che la stessa
arrechi modificazioni allo stato dei luoghi.
Né sussiste un obbligo dell’ente preposto al
parere o alla decisione di ribattere punto
per punto a quanto affermato nell’istanza di
sanatoria, o tanto meno quello di indicare,
in una logica comparativa degli interessi in
gioco, prescrizioni tese a rendere
l’intervento compatibile con la bellezza di
insieme tutelata, la cui protezione risponde
ad un interesse pubblico normalmente
prevalente su quello privato, anche per la
rilevanza costituzionale che il primo
presenta (Cds Sez. VI 15.05.2008 n. 233).
Del resto il contenuto della relazione
descrittiva presentata dal ricorrente, in
atti, è comunque generico limitandosi ad
affermazioni apodittiche sulla compatibilità
paesaggistica del manufatto, tra cui quella
che il capanno è visibile solo dalla
proprietà del ricorrente.
Va altresì ricordato che il Consiglio di
Stato, in sede consultiva (Parere Sez. II
19.10.2005 n. 09029 - Ad. del 15.06.2005 n.
sez. 1956) ha osservato, con riguardo al
procedimento di cui all’art. 1 c. 38 del
D.lgs. 308/2004, come il Comune possa
discostarsi da parere della Soprintendenza
solo con adeguata motivazione, tenendo conto
della rilevanza degli interessi coinvolti,
dato che la tutela ambientale assume “valore
costituzionale primario”. Logico
corollario del valore del bene tutelato è
che vi è ampia discrezionalità degli enti
preposti nello stabilire la compatibilità
paesaggistica di opere costruite in assenza
di concessione edilizia e di autorizzazione
paesaggistica.
Alla luce delle considerazioni fin qui
svolte, risulta dunque sufficientemente
motivato il parere negativo adottato dalla
Soprintendenza e fatto proprio dal Comune
che individua l’incompatibilità della natura
dell’opera (capanno per attrezzi agricoli)
con il paesaggio circostante, in un’area
sottoposta a vincolo ex lege
(TAR Marche,
sentenza 30.09.2009 n. 932 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
possibilità di realizzare in zona A nuove
costruzioni a meno di 10 metri da pareti
finestrate si deve considerare subordinata
alla presenza di una specifica disciplina
comunale adottata in relazione al
particolare stato dei luoghi.
Con il primo motivo viene proposta
un’interpretazione dell’art. 9, comma 1, n.
1 e 2 del DM 1444/1968 in base alla quale in
zona A per gli interventi qualificabili come
nuova costruzione (ossia diversi dal
risanamento conservativo e dalla
ristrutturazione) dovrebbe comunque essere
applicata la distanza minima di 10 metri tra
pareti finestrate prevista per le nuove
costruzioni al di fuori della zona A.
La tesi contiene elementi di ragionevolezza,
in quanto la necessità di evitare
intercapedini malsane si fonda su esigenze
igienico-sanitarie che valgono l’intero
territorio comunale. La soluzione proposta
non può tuttavia essere condivisa. Gli
argomenti che impediscono l’accoglimento
della tesi dei ricorrenti sono
essenzialmente due, uno formale e uno
sostanziale.
Sul piano formale occorre prendere atto
della formulazione dell’art. 9 del DM
1444/1968, che non prevede per la zona A una
distanza minima tra pareti finestrate nel
caso di nuova costruzione. È vero che il
centro storico è per definizione edificato e
quindi normalmente non esiste il problema di
inserire nuovi edifici, ma questa evenienza
non può neppure essere del tutto esclusa.
Occorre poi considerare che nella
terminologia dell’art. 9 del DM 1444/1968
hanno valore di nuova costruzione tutti gli
interventi comportanti ulteriore volumetria,
come emerge dal fatto che gli edifici sono
presi in considerazione in quanto “volumi
edificati preesistenti”.
Aumenti di volumetria possono quindi
certamente riguardare anche il centro
storico, prevalentemente in occasione di
interventi di ristrutturazione o di recupero
del sottotetto. Accertata una lacuna
nell’art. 9, comma 1, n. 1 del DM 1444/1968
non sarebbe tuttavia corretto, per il
principio generale che vieta l’analogia
in malam partem, applicare le norme
limitative previste per le altre zone del
territorio. Il risultato logico è invece
l’estensione del potere di regolamentazione
dei comuni, ai quali è in definitiva rimessa
la scelta della distanza minima (v. Cass.
civ. Sez. II 03.02.1999 n. 879: “il punto
n. 1 dell'art. 9 di tale decreto, autorizza
i Comuni a prevedere in queste aree dei
distacchi diversi e minori da quelli che
devono essere rispettati nelle altre parti
del territorio”).
Sul piano sostanziale il riconoscimento di
un ampio potere regolatorio dei comuni
impone che sia raggiunto a livello locale un
equilibrio accettabile tra le esigenze
edificatorie dei privati e la tutela degli
interessi pubblici urbanistici e
igienico-sanitari. Di conseguenza, a parte i
casi in cui non vi sia in concreto il
rischio di intercapedini (v. TAR Brescia
03.07.2008 n. 788), la possibilità di
realizzare in zona A nuove costruzioni a
meno di 10 metri da pareti finestrate si
deve considerare subordinata alla presenza
di una specifica disciplina comunale
adottata in relazione al particolare stato
dei luoghi.
Sotto questo profilo può essere applicato il
comma 3 (secondo periodo) dell’art. 9 del DM
1444/1968, in quanto norma che precisa le
condizioni di esercizio del potere
regolatorio dei comuni. Indubbiamente questa
norma ha come oggetto primario
l’edificazione al di fuori del centro
storico (circostanza evidenziata dal
riferimento alle convenzioni di
lottizzazione con previsioni
planivolumetriche).
Potendo impostare ex novo
l’urbanizzazione di un’area vi è
l’opportunità di superare attraverso
apposite soluzioni costruttive i problemi
derivanti dalla vicinanza degli edifici. Non
si può tuttavia escludere che una
valutazione in questo senso sia possibile
anche in relazione al tessuto urbano già
edificato, e in effetti il riferimento della
norma ai piani particolareggiati
(utilizzabili per qualsiasi parte del
territorio, compreso il centro storico)
lascia aperta questa opzione interpretativa.
Nel caso in esame esiste un piano
particolareggiato del centro storico che per
l’edificio della controinteressata consente
espressamente la sopraelevazione ai fini del
recupero del sottotetto. L’intervento
edilizio in questione si colloca quindi
all’interno di una puntuale valutazione
urbanistica, il che equivale
all’autorizzazione a mantenere invariate le
distanze preesistenti rispetto alle pareti
finestrate dei fabbricati vicini.
È vero che il piano particolareggiato è
risalente nel tempo e ormai scaduto per
decorrenza del termine decennale (previsto
dall’art. 2 del piano stesso) ma gli effetti
conformativi sono per interpretazione
giurisprudenziale tendenzialmente permanenti
(v. CS Sez. IV 04.12.2007 n. 6170). Dunque
l’attività edificatoria consiste tuttora
nelle facoltà e nelle prescrizioni stabilite
dal piano
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.09.2009 n. 1712 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
recuperare i sottotetti esistenti ex lege
regionale n. 12/2005 l’altezza media
ponderale di 2,40 metri deve essere intesa
contemporaneamente come misura minima (ai
fini dell'abitabilità) e massima (con
riguardo alla sopraelevazione
dell’edificio).
L’art. 64, comma 1, della LR 12/2005
consente la modificazione delle altezze di
colmo e di gronda “unicamente al fine di
assicurare i parametri di cui all'articolo
63 comma 6” della medesima legge.
Pertanto l’altezza media ponderale di 2,40
metri deve essere intesa contemporaneamente
come misura minima (ai fini
dell'abitabilità) e massima (con riguardo
alla sopraelevazione dell’edificio). La
norma tende a evitare che il recupero del
sottotetto si trasformi in una generalizzata
facoltà di sopraelevazione e assuma in
questo modo connotati speculativi.
In relazione alle difficoltà tecniche della
sopraelevazione potrebbero essere
considerati ammissibili dei modesti
incrementi rispetto alla misura di 2,40
metri, ma nel caso in esame lo scostamento è
pari circa al 22% e quindi non può essere
qualificato come trascurabile. Se esaminato
esclusivamente in relazione alla disciplina
legislativa regionale l’intervento edilizio
sarebbe quindi illegittimo, e non potrebbe
essere sanato neppure attraverso
l’inserimento del solaio che a quota 2,70
metri separa il piano sottotetto dalla
copertura. Questo solaio crea in realtà un
secondo sottotetto, ossia un elemento del
tutto estraneo alla previsione normativa che
consente di sopraelevare l’edificio.
Tuttavia i comuni nell’esercizio del proprio
potere regolatorio possono disciplinare il
recupero dei sottotetti in maniera più ampia
di quanto stabilito dalla legge regionale.
Se la normativa comunale è anteriore alla
legge regionale (come succede nel caso in
esame, dove il piano particolareggiato
precede la prima regolamentazione regionale
di cui alla LR 15.07.1996 n. 15) le norme
più favorevoli mantengono efficacia, sia per
il principio di specialità sia perché il
recupero dei sottotetti corrisponde a un
interesse pubblico di cui la legge regionale
individua soltanto la misura minima
lasciando spazio per il resto alle scelte
urbanistiche dei comuni.
Come si è visto sopra, il piano
particolareggiato rinvia al regolamento
edilizio, il quale contiene due disposizioni
più favorevoli ai proprietari rispetto alla
LR 12/2005. Precisamente:
a) permette la sopraelevazione dell’edificio
nella misura necessaria a raggiungere
l’altezza media interna di 2,70 metri (con
un minimo di 2,10 metri) per gli spazi di
abitazione;
b) utilizza il parametro dell’altezza media
dei singoli locali anziché quello
dell'altezza media ponderale delle singole
unità immobiliari recuperate nel sottotetto.
La DIA presentata dalla controinteressata
segue questa impostazione, il che spiega e
giustifica la maggiore altezza interna e la
conseguente sopraelevazione dell’edificio.
Quanto al problema del secondo sottotetto
ricavato dal posizionamento di un solaio si
osserva che neppure la normativa comunale
consentirebbe di recuperare il sottotetto
creando due piani sovrapposti. Tuttavia in
questo caso il secondo sottotetto non appare
rilevante in quanto non raggiunge l’altezza
media necessaria per essere considerato
abitabile
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.09.2009 n. 1712 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
RICORSO PRESENTATO DOPO LA
RICHIESTA DI SANATORIA.
Giudizio amministrativo –
Procedura – Istanza di sanatoria presentata
in data precedente alla introduzione del
ricorso ma successivamente alla data del
provvedimento di ripristino –
Improcedibilità per sopravvenuta carenza di
interesse – Dovendosi l’amministrazione
comunque ripronunciare sull’istanza di
sanatoria in via del tutto autonoma rispetto
al provvedimento impugnato Viene meno
l’interesse del ricorrente.
Deve essere dichiarato improcedibile, per
sopravvenuta carenza di interesse, il
ricorso proposto avverso l'ordine di
ripristino, allorquando risulti presentata
una domanda di sanatoria (sia per
l'accertamento di conformità che per il
"condono") in data precedente alla
introduzione del ricorso stesso e
successivamente alla data del provvedimento
di ripristino.
Ciò in quanto l'esercizio della facoltà di
regolarizzare la propria posizione da parte
del privato impedisce l'esercizio del potere
repressivo dell'Amministrazione, almeno fino
a quando la stessa non si pronunci in senso
negativo sulla istanza medesima, ed,
inoltre, in quanto l'applicazione di detto
principio determina, sotto l'aspetto
processuale, la sopravvenuta carenza
d'interesse all'annullamento dell'atto
sanzionatorio in relazione al quale è stata
prodotta la suddetta domanda di sanatoria e
la traslazione e differimento dell'interesse
ad impugnare verso il futuro provvedimento
che, eventualmente, respinga la domanda
medesima, disponendo nuovamente la
demolizione dell'opera edilizia ritenuta
abusiva (Consiglio di Stato, sez. VI,
12.11.2008, n. 5646; negli stessi termini
TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 07.11.2008,
n. 1482; TAR Campania Napoli, sez. IV,
07.11.2008, n. 19352; TAR Sicilia Catania,
sez. I, 04.11.2008, n. 1911; TAR Lazio Roma,
sez. II, 15.09.2008 , n. 8306).
Di conseguenza il ricorrente non potrebbe
ottenere alcun risultato favorevole da tale
presente impugnazione, dovendosi
l’amministrazione comunque ripronunciare
sull’istanza di sanatoria in via del tutto
autonoma rispetto al provvedimento impugnato
in questa sede (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 25.09.2009 n. 2135 -
link a http://mondolegale.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Il lavoro extra non fa danno -
Corte conti: la mancata autorizzazione non
danneggia di per sé la p.a. - Responsabilità
solo se si prova lo scarso impegno.
Non sempre l'attività extraistituzionale
svolta da un dipendente pubblico senza la
prevista autorizzazione dell'amministrazione
di appartenenza configura un danno erariale.
Infatti, è necessario che si dimostri che il
dipendente pubblico, per svolgere la sua
seconda attività, renda meno sul posto di
lavoro. In mancanza di ciò, non è possibile
affermare che c'è un danno erariale quale
effetto automatico della violazione delle
norme sulla mancata autorizzazione di
attività extraistituzionali.
È quanto ha messo nero su bianco la Corte di
Conti, I Sez. centrale di appello, nel testo
della
sentenza 16.09.2009 n. 554, con
la quale ha mandato esente da responsabilità
amministrativa, un funzionario pubblico cui
era stato contestato lo svolgimento di
attività extralavorativa senza la necessaria
e preventiva autorizzazione
dell'amministrazione di appartenenza. Una
decisione che, nel merito, ha comunque
confermato quanto già statuito dal giudice
di primo grado.
Nei fatti oggetto del giudizio di appello,
ad un funzionario in servizio presso un
ufficio doganale, con rapporto di lavoro a
tempo pieno, veniva contestato lo
svolgimento di altra attività remunerata
senza la prescritta autorizzazione prevista
dalla lett. b), punto 5, della circolare n.
6/97 della funzione pubblica. Nello
specifico, al funzionario pubblico si
contestava di aver svolto, dal marzo 1997 al
luglio del 2003, l'attività di
amministratore di condomini, con la
percezione di compensi per un ammontare
complessivo di oltre 95 mila euro.
Il collegio giudicante di primo grado aveva
assolto il funzionario in quanto «è mancata
la prova necessaria che da tale attività sia
derivato un danno all'Erario». In breve, la
lamentata «sottrazione di energie lavorative
ed intellettuali alla pubblica
amministrazione a fini privati» non è stata
dimostrata, né tale danno può desumersi dal
mancato versamento all'Erario dei compensi
percepiti, accertato e perseguito in sede
disciplinare, in quanto tale obbligo,
secondo i primi giudici, «discende
direttamente dalla legge e prescinde
comunque dalla produzione di un danno
all'amministrazione connesso ad un
comportamento gravemente colposo». Principio
che, come osservato, è stato confermato
anche dal collegio di appello della
magistratura contabile.
Dagli atti del giudizio, infatti, è
risultato che il funzionario non ha mai
nascosto alla propria amministrazione di
appartenenza lo svolgimento dell'attività di
amministratore condominiale e, soprattutto,
«che tale situazione non ha mai in alcun
modo limitato o condizionato i propri
compiti istituzionali, l'espletamento del
lavoro d'ufficio ed il rispetto rigoroso
dell'orario di lavoro».
In poche parole, il collegio ha precisato
che il danno erariale, ritenuto conseguenza
automatica dell'esercizio di attività
extraistituzionale e che si è sostanziato
nell'illecita sottrazione di energie
lavorative ed intellettuali alla p.a., deve
essere comunque dimostrato attraverso la
prova di una (riscontrata) minore resa del
servizio, con abbassamento, anche
qualitativo, delle prestazioni lavorative.
Sarebbe stato diverso se nel caso in esame
ci si fosse imbattuti in un'attestazione in
cui si accerti una situazione di disordine
amministrativo o contabile che fosse
riconducibile esclusivamente al funzionario.
Ma nella vicenda di cui ci stiamo occupando
tale evenienza non è stata riscontrata. Il
datore di lavoro pubblico, infatti, non ha
mai imputato al funzionario convenuto alcun
disservizio o disordine amministrativo che
abbia generato effetti negativi nella
gestione del servizio pubblico. Né eventuali
ripercussioni negative sul lavoro, per
effetto dello svolgimento dell'attività di
amministratore di condominio, risultano
essere emerse con il procedimento
disciplinare (articolo ItaliaOggi del
17.10.2009, pag. 30). |
APPALTI:
ONERI FORMALI PREVISTI DA UN
BANDO DI APPALTO DI LAVORI.
Appalto di lavori – Bando –
Stazione appaltante - Requisiti richiesti –
Oneri formali e sostanziali.
Nel caso in cui il bando di gara di un
appalto di lavori impone ai partecipanti, a
pena di esclusione, determinati oneri
formali deve ritenersi che la stessa
stazione appaltante ha inteso dare
prevalenza al principio di formalità
collegato alla garanzia della par condicio,
che per l'effetto non può essere superato
dall'opposto principio del favor
partecipationis, fondato su
considerazioni di carattere sostanziale
(cfr. per l’enunciazione dello stesso
principio Consiglio di Stato sent.
3690/2009, 1822/2009, 567/2008),sempre che
il possesso dei requisiti richiesti non
risulti dal complesso della documentazione
presentata dal concorrente ai fini della
partecipazione alla gara TAR Puglia-Legge,
Sez. III,
sentenza 10.09.2009 n. 2108 -
(link a http://mondolegale.it). |
AGGIORNAMENTO AL 12.10.2009 |
ã |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
APPALTI:
L. Bellagamba,
La questione del ricalcolo della soglia di
anomalia, per difetto di requisiti morali
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
L. Bellagamba,
Il difficile problema dell’avvalimento della
certificazione di qualità - Quando il bando
di gara non è lo schema acquistato al
supermercato o scopiazzato da internet …
(link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI:
Nelle gare conta il “curriculum”
(link a
www.mediagraphic.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
La valutazione d’incidenza ex art. 5 del
D.P.R. 357/1997 come parere obbligatorio,
preventivo e vincolante (link a
www.lexambiente.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Piano Casa Lombardia,
è attivo il servizio web per i comuni
relativo agli adempimenti l.r. 13/2009 "Azioni
straordinarie per lo sviluppo e la
qualificazione del patrimonio edilizio e
urbanistico della Lombardia".
Con la finalità di monitorare l'attuazione
della legge, è richiesta ai Comuni (art. 6,
comma 2) la segnalazione a Regione Lombardia
dei provvedimenti assunti entro il
15.10.2009 ai sensi dell' art. 5, commi 4 e
6.
Per semplificare tale incombenza è stato
realizzato un servizio WEB dedicato, analogo
a quello già attivo per il Sistema
Informativo Lombardo della VAS.
Gli utenti già registrati a questo servizio
possono utilizzare la stessa password. |
EDILIZIA PRIVATA:
CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Disco
verde a uno schema di decreto che attua il
Codice - Paesaggio, autorizzazioni snelle -
Per interventi di lieve entità il via libera
entro 60 giorni.
Semplificate le
autorizzazioni paesaggistiche per interventi
di lieve entità; l’autorizzazione sarà
rilasciata al massimo entro 60 giorni invece
che in 105 giorni; necessaria la relazione
di un professionista; interessati anche gli
incrementi di volume fino a un massimo del
10% della costruzione originaria e comunque
non oltre i 100 metri cubi.
È quanto prevede, fra le altre cose
lo schema di
regolamento varato ieri dal consiglio dei
ministri che attua l’articolo 146,
comma 9, del codice dei beni culturali e del
paesaggio, il codice Urbani (dlgs n.
42/2004), norma che entrerà in vigore il 1°
gennaio 2010 ai sensi dell’articolo 159 del
codice, definendo le procedure semplificate
per il rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica per gli interventi di minimo
impatto paesaggistico.
Scopo principale dell’intervento
regolamentare, che comunque non prevede il
silenzio assenso, è quello di snellire e
concentrare i procedimenti concernenti
interventi definiti di «lieve entità» per i
quali , stando a quanto dichiarato dal
ministero, vengono presentate ogni anno
centinaia di autorizzazioni paesaggistiche,
con un effetto di rilevante congestione
degli uffici comunali.
Il testo, composto da sette articoli e da un
allegato, prevede tredici semplificazioni su
quarantadue tipologie di interventi
(indicati in un allegato al regolamento che
potrà essere successivamente variato e/o
integrato), tutti di limitata entità, «da
realizzarsi su aree o immobili dichiarati di
interesse paesaggistico» che «comportino
un’alterazione dei luoghi o dell’aspetto
esteriore degli edifici». Fra gli interventi
che ricadono nel regolamento ci sono gli
incrementi di volume fino a un massimo del
10% della costruzione originaria
e comunque non oltre i 100 metri cubi; gli
interventi di demolizione e ricostruzione
con il rispetto di volumetrie e sagome
preesistenti; gli interventi sulle coperture
degli edifici (rifacimenti tetti, lastricati
solari, inserimenti di canne fumarie),
interventi su porte e finestre dei prospetti
degli edifici esistenti; la realizzazione o
le modifiche di autorimesse pertinenziali;
la realizzazione di tettoie, porticati e
gazebo; l’eliminazione di barriere
architettoniche.
Saranno soggetti al regolamento anche gli
interventi su parabole televisive
condominiali, pannelli solari e
fotovoltaici, ma anche quelli di adeguamento
alle normative antisismiche. Secondo quanto
afferma il ministero si dovrebbe trattare di
quasi il 75% degli interventi che incidono
sul paesaggio.
Il regolamento stabilisce che la domanda per
ottenere il rilascio dell’autorizzazione
semplificata sia corredata soltanto da una
«relazione paesaggistica semplificata» da
redigere sulla base di una scheda tipo
allegata al codice Urbani; con ciò si rende
inapplicabile la procedura ordinaria
prevista dal dpcm del 12.12.2005. La
relazione dovrà essere predisposta da un
professionista abilitato all’esercizio della
professione che dovrà attestare la
conformità dell’intervento alla disciplina
del paesaggio ed alla vigente disciplina
urbanistica. La presentazione dell’istanza,
ove possibile, dovrà avvenire, per via
telematica e, qualora essa riguardi attività
industriali o artigianali, tramite lo
sportello unico, se istituito. Non viene in
alcun modo previsto il silenzio-assenso. Il
provvedimento stabilisce l’obbligo di
concludere il procedimento autorizzatorio
nel termine di 60 giorni dal ricevimento
dell’istanza, con una riduzione del 40% dei
termini ordinariamente previsti
dall’articolo 146 per la conclusione del
procedimento.
Si passa, in sostanza, da 105 giorni (di cui
40 presso il comune, 45 per il parere
vincolante del soprintendente e 20 per il
provvedimento definitivo) ai 60 giorni
totali di cui all’articolo 3, comma 1 del
regolamento. Se poi l’amministrazione
conclude anticipatamente e negativamente
l’istruttoria, il termine si riduce a 30
giorni.
Il regolamento delinea con precisione gli
adempimenti amministrativi. I funzionari
dovranno effettuare una verifica immediata
delle richieste di autorizzazione pervenute,
in modo da comunicare al richiedente se
l’intervento è soggetto ad autorizzazione
ordinaria o, invece, semplificata in quanto
rientrante tra quelli di «lieve entità»,
oppure se è esonerato ai sensi dell’art. 149
del codice dall’autorizzazione.
Si prevede che sia effettuata anche una
verifica preliminare della conformità
dell’intervento progettato rispetto alla
disciplina urbanistica ed edilizia, dal
momento che potrebbe essere inutile avviare
l’istruttoria a fini paesaggistici se
comunque l’intervento non è conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia.
Il parere del soprintendente non è
vincolante, ma solo obbligatorio, alla sola
condizione che l’area interessata sia
assoggettata ad un vincolo o ad un piano
paesaggistico che contengano specifiche
prescrizioni d’uso del paesaggio; non è
obbligatorio, vista la lievità degli
interventi, il parere delle Commissioni
locali per il paesaggio Una volta
rilasciata, l’autorizzazione paesaggistica
sarà immediatamente efficace, non
applicandosi la moratoria di trenta giorni
prevista per gli interventi «maggiori».
Dal punto di vista organizzativo il
regolamento stabilisce che presso ciascuna
soprintendenza siano individuati uno o più
funzionari responsabili dei procedimenti di
autorizzazione paesaggistica semplificata;
sarà invece compito delle regioni promuovere
la costituzione, presso le amministrazioni
locali competenti al rilascio
dell’autorizzazione, di unità operative o
uffici, anche sovracomunali, specificamente
dedicati alla predetta tipologia di
procedimenti (articolo ItaliaOggi del
10.10.2009, pag. 33). |
PUBBLICO IMPIEGO:
CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Ok alla
riforma Brunetta. Contrattazione collettiva
ristretta - Lavoro pubblico, bastone e
carota - Premi alla produttività. Falsa
malattia: è truffa aggravata.
Lavoro pubblico, si cambia. Entra in scena
la riforma del lavoro pubblico, per effetto
dell'approvazione da parte del Consiglio dei
ministri, ieri, del
testo del decreto legislativo che attua la
delega contenuta nella legge 15/2009, la
cosiddetta «riforma Brunetta».
Non si tratta di una modifica completa del
dlgs 165/2001 conosciuto impropriamente come
testo unico sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Lo scopo della riforma, che attende ora solo
la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è
incidere in particolare su alcune
«disfunzioni» del sistema previgente
correggendo alcuni fallimenti delle
precedenti riforme, puntando
sull'ottimizzazione della produttività del
lavoro pubblico e sull'efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni,
come rivela il titolo del decreto
legislativo.
Produttività e merito.
La prima parte del decreto legislativo, che
va dagli articoli 4 a 31 è specificamente
dedicata al tema centrale della riforma, il
rilancio di sistemi di valorizzazione della
produttività e del merito.
Le norme prevedono la fissazione di un
preciso ciclo della gestione delle
performance delle strutture e dei singoli
dipendenti, che assicuri la capacità di
programmare gli obiettivi da conseguire,
fissi i sistemi per misurare la quantità e
qualità del lavoro prevista, controlli
l'andamento delle attività in corso di
svolgimento, rendiconti, alla fine, come e
in che misura sono stati conseguiti i
risultati. In modo che possa risultare
evidente chi è risultato produttivo e chi
no. La selettività delle valutazioni,
infatti, viene considerata come fondamentale
strumento per la meritocrazia.
Una Commissione nazionale fisserà criteri
generali cui attenersi per gestire il ciclo
della performance, nonché modelli di sistemi
di valutazione e indicatori, fornendo
supporto alle amministrazioni.
Per lo stato e gli enti nazionali, inoltre,
scatta l'obbligo di differenziare le
valutazioni dei dipendenti in tre distinte
fasce; a quella più alta spetterà il
cinquanta per cento delle risorse destinate
al trattamento accessorio collegato alla
performance individuale; a quella intermedia
il restante 50%; per l'ultima fascia non
residueranno risorse.
Regioni, enti locali ed enti del sistema
sanitario nazionale potranno da subito,
invece, prevedere anche più di tre fasce ed
un diverso sistema di distribuzione
percentuale delle risorse, purché si
garantisca che quelle prevalenti siano
destinate al finanziamento dei dipendenti
più meritevoli.
Si cancellano le progressioni verticali,
sostituite da concorsi pubblici con riserva
di posti non superiore al 50%, disciplinati
direttamente dalla legge, che disapplica,
dunque, le norme della contrattazione
collettiva sin qui vigenti in materia.
Inoltre, le amministrazioni dovranno rendere
visibili e accessibili tutte le informazioni
sulla contrattazione e gli investimenti in
programmi di incentivazione della
produttività dei dipendenti, esponendo
l'imputazione del costo del personale a
quello dei servizi ed i benefici che
ricavano i cittadini dai progetti di
miglioramento.
Dirigenza e poteri
datoriali.
La seconda parte, che comprende gli articoli
da 32 a 47, contiene alcune modifiche alle
norme del dlgs 165/2001, in merito ai poteri
datoriali dei dirigenti ed agli incarichi.
La riforma insiste molto sull'esercizio del
potere di conformazione del rapporto di
lavoro, gli ordini di servizio, dei
dirigenti, che costituiscono una vera e
propria fonte, come la legge ed i contratti
di lavoro, del rapporto di lavoro pubblico.
I dirigenti sono chiamati ad organizzare e
gestire al meglio le risorse. A questo
scopo, hanno l'onere di definire i profili
professionali, specificare la qualità e
quantità dei dipendenti necessari allo
svolgimento delle attività di competenza
delle strutture loro affidate.
Per questo, i dirigenti risponderanno del
mancato esercizio dei poteri datoriali, se
l'omissione di tali poteri comporti lo
scarso rendimento dei propri dipendenti.
Accanto all'evidenziazione del ruolo e delle
responsabilità del privato datore di lavoro,
la dirigenza avrà il compito di valutare
direttamente i dipendenti, allo scopo di
assegnare gli incentivi. E non potrà
sottrarsi al dovere di attivare i
procedimenti disciplinari.
La riforma, inoltre, tenta di apportare un
correttivo allo spoil system ed agli
incarichi solo fiduciari, attuando le
indicazioni contenute nelle sentenze
103/2007, 104/2007 e 161/2008, della Corte
costituzionale. Occorrerà rispettare una
precisa procedura per assegnare gli
incarichi, ad evidenza pubblica. Le revoche
scatteranno solo a condizione di aver
evidenziato valutazioni negative dei
dirigenti.
Contrattazione.
La terza parte, dall'articolo 48
all'articolo 66, modifica in modo rilevante
le relazioni sindacali. La contrattazione
collettiva perde notevolmente di importanza:
la fonte principale della disciplina del
lavoro pubblico torna ad essere la legge. Le
modifiche al dlgs 165/2001 restringono
moltissimo le materie di competenza della
contrattazione, sostanzialmente ridotte alla
sola disciplina del rapporto di lavoro e
alle regole generali sulla valutazione della
produttività. Strettissimi saranno i vincoli
ai contratti decentrati, le cui clausole, se
in violazione di tali limiti, oltre ad
essere nulle ed inapplicabili, saranno
automaticamente sostituite con quelle delle
norme di legge violate.
In sede di contrattazione decentrata,
inoltre, anche in caso di mancato accordo
con i sindacati, gli enti potranno
egualmente, nelle more della stipulazione
dei contratti, dare corso unilateralmente ai
rinnovi.
Sanzioni disciplinari.
Gli ultimi articoli sottraggono quasi
interamente alla contrattazione la materia
delle sanzioni. Si introduce una particolare
fattispecie di truffa aggravata per
l'utilizzo di certificati di falsa malattia,
che può dare corso al licenziamento del
dipendente infedele, come anche del medico
se dipendente pubblico. Si specificano in
modo più chiaro i casi di licenziamento
disciplinare, che vanno dallo scarso
rendimento, all'assenza ingiustificata,
all'alterazione dei cartellini presenza
(articolo ItaliaOggi del 10.10.2009, pag.
32). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Il decorso del termine ingiunto
per la demolizione del manufatto abusivo
rende improcedibile la domanda di sanatoria
per effetto della acquisizione del bene alla
mano pubblica.
Il ricorrente
non ha ottemperato all’ingiunzione di
demolizione contenuta nell’ordinanza
51a/2008 del 22.10.2008, notificata dal
Comune di Como il 30.10.2008. Il decorso del
termine di novanta giorni dalla notifica
dell’ingiunzione di demolizione ha
determinato, ai sensi dell’art. 31, c. 3,
d.P.R. n. 380/2001, il trasferimento ipso
iure dell’opera abusiva al patrimonio
comunale; l’accertamento dell’inottemperanza
all’ordine di demolizione costituisce,
difatti, un semplice atto dichiarativo
dell’intervenuto passaggio automatico della
proprietà del bene (cfr. Cons. Stato, sez.
V, 12.12.2008, n. 6174).
L’istanza di accertamento di conformità
paesaggistica della “serra bioclimatica”
è stata presentata allorché l’opera era già
trasferita ope legis al patrimonio
comunale: alcuna utilità potrebbe, quindi,
derivare al ricorrente dall’annullamento dei
provvedimenti con cui il Parco Regionale
Spina verde ha negato l’autorizzazione
paesaggistica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.10.2009 n. 4767 -
link a
www.cameramministrativacomo.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche un vano interrato necessita
del permesso di costruire.
La circostanza che la costruzione, adibita a
cantina sia interrata non può portare ad
affermarne l’irrilevanza sotto il profilo
urbanistico: con l’art. 3, d.P.R. n.
380/2001, il legislatore ha, difatti,
ricompreso i manufatti edilizi interrati tra
le nuove costruzioni, facendo propria la
soluzione già seguita dalla giurisprudenza
secondo cui i lavori di costruzione edilizia
subordinati a concessione non sono solo
quelli per i quali il manufatto si eleva al
di sopra del suolo ma anche quelli in tutto
o in parte interrati perché trasformano
durevolmente l'area impegnata (Cass. pen.,
sez. III, 25.03.1994; Cons. Stato, sez. V,
10.04.1991, n. 486)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.10.2009 n. 4764 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità della disdetta
da parte di un sindaco di un rapporto
concessorio con la società che gestiva il
servizio di illuminazione votiva nel
cimitero comunale.
E' legittimo l'atto con cui un sindaco ha
comunicato la volontà dell'ente di
interrompere il rapporto in corso con la
società che gestiva il servizio di
illuminazione votiva nel cimitero comunale,
nonostante fosse previsto in una clausola
del capitolato che la concessione avesse
durata di 25 anni e che la stessa
fosse tacitamente rinnovabile di anno in
anno, salvo regolare disdetta da inviare
almeno 6 mesi prima.
La suddetta clausola stipulata prima della
legge n. 537 del 1993, pur valida al momento
della sua adozione, deve ritenersi
inefficace in ragione del chiaro divieto
normativo vigente al momento dell'asserita
verificazione della rinnovazione tacita. In
altri termini, l'incidenza su un rapporto di
durata di un divieto normativo intervenuto
successivamente alla stipulazione della
concessione determina la privazione di
efficacia del rapporto stesso.
Si puntualizza che non è corretto
qualificare il precetto contenuto nella
concessione come nullo, atteso che la
nullità attiene ad un vizio strutturale
della fattispecie non essendo configurabile
una nullità sopravvenuta (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 06.10.2009 n. 1023 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
BANDO DI GARA: PRESENTAZIONE DEL
PLICO.
Bando - Lex specialis -
Richiesta determinati requisiti -
Fattispecie.
La norma del bando di gara, peculiare "lex
specialis", che preveda particolari
prescrizioni in ordine alle modalità di
presentazione dell'offerta (contenuta in un
plico debitamente sigillato e controfirmato
sui lembi di chiusura), non può non essere
interpretata nel senso che tutti i lembi
delle buste vanno necessariamente sigillati
e controfirmati dai concorrenti, quale
garanzia certa e incontrovertibile
dell'inalterabilità dell'offerta, uscita
dalla loro disponibilità (nel caso concreto,
la controinteressata ha adoperato proprio
una busta con tre lembi preincollati su
quattro, del tipo appena descritto, ma si è
limitata, a differenza di quanto ha fatto la
ricorrente, a sigillarne con nastro adesivo
firmato il solo lembo non preincollato e
chiuso al momento dell'utilizzo. Non
rispettando la previsione letterale e la
ratio del bando, si sarebbe quindi dovuta
escludere) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.10.2009 n. 1722 -
link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Dichiarazione inizio attività -
Installazione e di produzione di elettricità
da fonte eolica - Valgono gli stessi
principi elaborati in tema di denuncia
edilizia – Requisiti.
Con riferimento alla denuncia d’inizio
attività d’installazione e di produzione di
elettricità da fonte eolica (TAR
Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 22.07.2009 n.
1939) valgono gli stessi principi elaborati
in tema di denuncia edilizia e precisamente:
“la denuncia di inizio attività dev’essere
prodotta, ai sensi dell’articolo 23, primo
comma, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 dal
soggetto legittimato, ovvero da “Il
proprietario dell'immobile o chi abbia
titolo proprietario dell'immobile o chi
abbia titolo per presentare la denuncia di
inizio attività”. La formulazione
richiama quella dell'articolo 11 del D.P.R.
(secondo il quale “il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo") a sua volta ispirata
dall'art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario
che il soggetto istante sia o il titolare
del diritto di proprietà sul fondo o chi,
pur essendo titolare di altro diritto, reale
o di obbligazione, abbia, per effetto di
questo, obbligo o facoltà di eseguire i
lavori per cui chiede il permesso; quindi
anche il locatario se il contratto di
locazione reca l'esplicita o implicita, ma
inequivocabile, autorizzazione
all'esecuzione di dati interventi di
trasformazione edilizia del bene in funzione
dell'uso per il quale lo stesso è stato
concesso ad altri (Cass. civ., III sez.,
15.03.2007 n. 6005; Cons. Stato, Sez. V,
28.05.2001 n. 2882; 04.02.2004 n. 368; TAR
Veneto, Sez. II, 23.07.2001 n. 2211; TAR
Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 01.07.2008 n.
338).
D’altra parte, certamente spetta al Comune
la verifica del possesso del titolo, la cui
mancanza impedisce all'amministrazione di
procedere oltre nell'esame del progetto
(Cons. Stato, Sez. IV, 22.06.2000 n. 3525;
Sez. V, 12.05.2003, n. 2506; Sez. IV,
08.06.2007 n. 3027; TAR Emilia Romagna,
Parma, 21.02.2007 n. 53; TAR Campania,
Napoli, sez. VII, 12.12.2007 n. 16213; TAR
Basilicata, 19.01.2008 n. 15 (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 01.10.2009 n. 2226 -
link a
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EDILIZIA PRIVATA:
MOTIVAZIONE SUCCINTA DI UN
DINIEGO DI SANATORIA.
1- Abusi – Sanatoria –
Diniego – Succinta motivazione di diniego
fondata sul parere contrario ai fini
paesaggistici - Ratio - Fattispecie.
2- Beni culturali ed ambientali – Vincolo –
Parere della Soprintendenza –
Discrezionalità del Comune nel disattenderlo
– E’ necessaria una adeguata motivazione.
1-
In materia di sanatoria edilizia, non è
illegittima una motivazione anche succinta
di un diniego che si fondi sul parere
contrario ai fini paesaggistici e che
l'onere motivazionale ben può essere assolto
mediante l'individuazione, nell'intervento
abusivo, di caratteristiche che
oggettivamente ne impediscono il corretto
inserimento nella zona che è oggetto di
specifica tutela, ancorché l'amministrazione
utilizzi formule di diniego analoghe nei
confronti di altre fattispecie, quando che
le connotazioni individuate rispetto al
manufatto sono comuni ad una vasta gamma di
interventi abusivi e quindi la motivazione
adottata può ben apparire stereotipa per un
gran numero di casi, purché siano esternate
le ragioni per le quali le caratteristiche
costruttive ed i materiali utilizzati
arrechino pregiudizio alla bellezza
tutelata.
Nel caso in esame vi è lo specifico
riferimento alla natura dell’opera, un
capanno per attrezzi che, come osserva la
stessa relazione descrittiva presentata dal
ricorrente è realizzato “con struttura in
metallo, pannelli in legno ed onduline
plastificate”. La Soprintendenza ha
quindi ritenuto che tale manufatto,
costruito in assenza di autorizzazione
paesaggistica, sia incompatibile con i
valori tutelati dal vincolo (Tar Toscana
19.06.2007 n. 890).
Ancora, in un caso simile al presente,
sempre il Tar Toscana ha osservato come, in
sede di diniego di concessione edilizia in
sanatoria, il giudizio in ordine alla
compatibilità degli interventi, in quanto
espressione di un potere
tecnico-discrezionale, si rileva censurabile
in sede di legittimità solo per palesi
errori attinenti la valutazione degli
elementi di fatto o per illogicità (Tar
Toscana 27.11.2006 n. 6052).
2-
Il Comune, con riguardo al procedimento di
cui all’art. 1 c. 38 del D.lgs. 308/2004,
può discostarsi dal parere della
Sorprintendenza solo con adeguata
motivazione, tenendo conto della rilevanza
degli interessi coinvolti, dato che la
tutela ambientale assume “valore
costituzionale primario”.
Logico corollario del valore del bene
tutelato è che vi è ampia discrezionalità
degli enti preposti nello stabilire la
compatibilità paesaggistica di opere
costruite in assenza di concessione edilizia
e di autorizzazione paesaggistica (Consiglio
di Stato, Sede consultiva, Parere Sez. II
19.10.2005 n. 9029; Ad. del 15.06.2005 n.
sez. 1956) (TAR Marche,
sentenza 30.09.2009 n. 932 - link
a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
EDIFICABILITA' NELLE AREE
AGRICOLE.
1.- Attività edilizia -
Limitata - Per le zone agricole "E" -
Normativa applicabile - Art. 2, L.R.
Lombardia n. 93/1980 - In via sussidiaria
alla pianificazione urbanistica comunale.
2.- Autorizzazione - Alla escavazione di un
pozzo - Tutela affidamento privato alla
successiva realizzazione di un edificio -
Non sussiste.
3.- Zone agricole "E" - Poteri comunali -
Sussistenza - Delimitazione - In relazione
alla L.R. Lombardia n. 12/2005.
4.- Edificabilità su aree agricole - Art. 59, co. 3, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Limiti
massimi - Potere comunale - Esercitabile -
Entro i limiti.
5.- Edificabilità in aree agricole - Art.
59, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Criteri di
riferimento per individuare i soggetti
legittimati a costruire.
1.-
L'articolo 2 della L.R. n. 93/1980, nel
prevedere la normativa applicabile nei
territori dei Comuni per le zone agricole
"E", non ha precluso all'autorità
urbanistica l'esercizio del più pieno potere
di pianificazione del territorio, anche in
funzione di salvaguardia dei valori
ambientali e paesaggistici.
Le disposizioni dell'art. 2 della legge regionale si applicano in via
sussidiaria, solo ove manchino specifiche
prescrizioni dello strumento urbanistico, e
non rendono illegittime le scelte inerenti
alla assoluta inedificabilità e
immodificabilità delle aree agricole, ovvero
quelle che subordinano l'identificazione
delle possibili modifiche all'adozione di un
piano attuativo, volto alla razionale
gestione del territorio.
2.-
Nessuna tutela dell'affidamento può derivare
da atti diretti a scopi diversi ed aventi ad
oggetto beni diversi da quelli che il
privato si aspetta di acquisire
dall'amministrazione. Non è possibile
ritenere che l'autorizzazione
all'escavazione di un pozzo possa costituire
implicita manifestazione di assenso alla
realizzazione di edifici in zona agricola in
quanto si tratta di atto relativo
semplicemente alla conduzione agricola del
fondo indipendentemente dalle sue modalità.
3.-
La L.R. n. 12/2005 (che ha sostanzialmente
riprodotto le disposizioni della L.R. 07.06.1980 n. 93 - Norme in materia di
edificazione nelle zone agricole) demanda
alla strumentazione urbanistica comunale
(oggi Piano delle regole) oltre
all'individuazione delle aree destinate
all'agricoltura, la definizione della
relativa "disciplina d'uso, di
valorizzazione e di salvaguardia" (art.
10, co. 4, lett. a, punto 1), in conformità
con quanto previsto dagli artt. 59 ss. della
stessa legge regionale.
4.-
Con riferimento, alle costruzioni con
finalità (anche) residenziale, occorre
evidenziare che l'art. 59, co. 3, L.R. n.
12/2005 stabilisce indici edificatori che
costituiscono per il pianificatore comunale
solo un limite massimo.
Tale inciso, letto in correlazione con i
nuovi poteri pianificatori comunali di cui
all'art. 10, co. 4, lett. a) punto 1 e con il
principio di sussidiarietà verticale di cui
all'art. 118, co. 1, Cost., porta alla
conclusione che se il Comune non può
prevedere limiti superiori a quelli
contenuti nell'art. 59 (in forza della norma
di prevalenza ex art. 61) non per questo
allo stesso è sottratto il potere di
stabilire limiti inferiori od altri tipi di
limiti, nel rispetto delle altre fonti
normative e dei principi generali
dell'azione amministrativa.
In sostanza la previsione di uno "statuto"
della disciplina edificatoria nelle aree
agricole, determinato direttamente con
legge, mediante una disciplina edificatoria
inderogabile e direttamente applicabile
sull'intero territorio regionale, pare volto
a dettare una disciplina uniforme nei limiti
massimi, diretta a tutelare, piuttosto che
le esigenze edificatorie dell'agricoltura
intesa come produzione, la funzione generale
di contenimento dell'attività edilizia in
zona agricola anche prevalendo su norme più
permissive introdotte a livello locale.
Ne consegue che tale disciplina non
impedisce al Comune di individuare altri
interessi di valore preminente che,
riguardando anche le zone agricole,
comportino l'adozione di una disciplina più
restrittiva dell'edificabilità agricola.
5.-
L'articolo 59 della L.R. n. 12/2005 prevede
che l'azienda costituisca il criterio di
riferimento per individuare i soggetti
legittimati a costruire in zona agricola
(l'imprenditore agricolo ed i dipendenti
dell'azienda) e correla i limiti volumetrici
per le attrezzature e le infrastrutture
produttive alla superficie aziendale.
Il riferimento contenuto nell'art. 12.4
delle n.t.a. al complesso aziendale per
disciplinare l'edificabilità costituisce
quindi un criterio che trova fondamento
nello statuto delle aree agricole stabilito
dalla legge regionale (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 29.09.2009 n. 4749 -
link a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Potere di ordinanza e deroghe
allo strumento urbanistico.
L’art. 5 L. 225/1952 attribuisce al
Presidente del Consiglio o ai soggetti da
questi delegati un potere di ordinanza per
l’esecuzione degli interventi di emergenza.
Tali ordinanze (definite anche di necessità)
costituiscono fonti normative primarie e
possono essere emesse anche in deroga alla
disciplina vigente ed esplicarsi quindi
contra legem in via temporanea fino a
quando non cessi lo stato di necessità ed
urgenza.
La salvaguardia delle attribuzioni degli
enti locali è garantita dal fatto che il
potere di ordinanza in questione deve essere
definito nel contenuto, nei tempi e nelle
modalità di esercizio (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 28.09.2009 n. 38089 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazioni edilizie.
Il T.U. n. 380/2001 ha introdotto uno
sdoppiamento della categoria delle
ristrutturazioni edilizie, riconducendo ad
essa anche interventi che ammettono
integrazioni funzionali e strutturali
dell’edificio esistente, pure con incrementi
limitati di superficie e di volume.
Deve, però, ritenersi che le "modifiche
del volume", previste dall’art. 10
possono consistere in diminuzioni o
trasformazioni dei volumi preesistenti ed in
incrementi volumetrici modesti, poiché,
qualora si ammettesse la possibilità di un
sostanziale ampliamento dell’edificio,
verrebbe ovviamente meno la linea di
demarcazione tra "ristrutturazione
edilizia" e "nuova opera" (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.09.2009 n. 38088 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' illegittimo l'affidamento
diretto del servizio di gestione degli
impianti termici ad una società mista il cui
socio originario, benché sia stato scelto a
seguito di una gara pubblica, abbia
unilateralmente alienato le proprie azioni.
L'affidamento diretto di un servizio
pubblico, al di fuori del sistema della
gara, ad una società esterna (ossia
soggettivamente autonoma) è consentito solo
quando il rapporto esistente con tale
società presenti caratteristiche tali che
questa possa essere ritenuta come una "derivazione"
o una "longa manus" dell'ente stesso.
La società esterna, inoltre, può essere
considerata tale solo se l'ente esercita su
di essa un "controllo analogo" a
quello esercitato sui propri servizi e
richiede la necessaria partecipazione
pubblica totalitaria, "giacché una
partecipazione minoritaria già preclude la
possibilità di effettuare il predetto
controllo".
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo
l'affidamento diretto ad una società mista
pubblico-privata del servizio manutenzione
degli impianti termici di competenza della
provincia sebbene sia stata effettuata la
selezione del partner privato della società
mista a seguito di una procedura di evidenza
pubblica, in quanto la provincia, pur avendo
una partecipazione maggioritaria nella
predetta società mista, non esercita tale
forma di controllo essendo lo stesso socio
originario stato sostituito da due diverse
società private nel corso del rapporto per
unilaterale determinazione del socio privato
originario, che ha liberamente alienato le
proprie azioni, non essendovi preclusioni al
riguardo nello statuto societario. Non si
può, quindi, affermare che il partner
privato, nella specie, sia stato scelto
dalla provincia a seguito di una gara
pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.09.2009 n. 5814 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' legittima la scelta di un
comune di gestire il servizio pubblico
locale di igiene urbana attraverso
l'adesione ad una società a capitale
interamente pubblico, piuttosto che
esternalizzare il servizio affidandolo a
trattativa privata.
E' legittima la scelta di un comune di
gestire il servizio pubblico locale di
igiene urbana attraverso l'adesione ad una
società a capitale interamente pubblico,
piuttosto che esternalizzare il servizio
affidandolo a trattativa privata, essendo
andata deserta la gara ad evidenza pubblica.
Il ricorso alla trattativa privata è,
infatti, frutto di una scelta discrezionale,
pertanto, non può ragionevolmente negarsi
alla stessa amministrazione il potere di
valutare la sussistenza di altri strumenti,
anche diversi dall'affidamento in appalto,
per la gestione del servizio di raccolta
rifiuti e di igiene urbana e dunque, anche
il potere di modificare l'originaria scelta
di fondo, passando cioè
dall'esternalizzazione del servizio
all'affidamento in house, atteso che,
al contrario, la nuova determinazione
amministrativa, è motivata, inspirandosi,
nel rispetto dei principi fondamentali
sanciti dall'art. 97 della Costituzione, ad
un conseguimento dell'interesse pubblico
inteso non già in una visione meramente
statica (limitata cioè esclusivamente al
buon funzionamento del servizio di igiene
urbana cittadina), ma dinamica in cui il
nuovo approccio alla realizzazione
dell'interesse pubblico attraverso l'internalizzazione
e l'affidamento del servizio ad una società
di capitali interamente pubblico possa
costituire il momento iniziale e dialogo di
confronto con gli altri enti, partecipanti
alla società pubblica, per l'individuazione
di nuove prospettive di tutela e di
conseguimento dell'interesse pubblico.
E' legittima la scelta di un comune di
gestire il servizio pubblico locale di
igiene urbana attraverso l'adesione ad una
società a capitale interamente pubblico,
nonostante la minima partecipazione (quasi
simbolica, pari allo 0,26% del capitale
societario), in quanto nello statuto sono
stati previsti accorgimenti tesi a chiarire
e precisare le modalità per la sussistenza
del requisito del controllo analogo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.09.2009 n. 5808 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Violazione
paesaggistica (natura del reato).
Il reato di cui all'art. 181 d.lgs. 2004 n.
42 ha natura di reato di pericolo e si
consuma con la sola realizzazione dei
lavori, attività o interventi in zone
vincolate senza la prescritta autorizzazione
paesaggistica e prescinde da ogni
accertamento in ordine alla avvenuta
alterazione, danneggiamento o deturpamento
del paesaggio, in quanto, per la sua
configurabilità è sufficiente che l’agente
faccia del bene protetto dal vincolo un uso
diverso da quello cui è destinato, essendo
-il vincolo posto- prodromico al governo del
territorio stesso.
Pertanto, non ha alcun rilievo l’eventuale
mancanza di danno ambientale, ancorché
attestata dall’Ufficio Tutela del
Territorio, con la sola eccezione di
interventi di entità talmente minima da non
essere in grado, neppure astrattamente, di
pregiudicare il bene paesaggistico
ambientale (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 25.09.2009 n. 37610 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sequestro e sgombero
dell’immobile sequestrato.
Il provvedimento di sgombero emesso dal P.M.
è suscettibile solo di controllo, attraverso
il rimedio dell’incidente di esecuzione, in
relazione alla sua indispensabilità ai fini
dell’attuazione della misura cautelare.
E il giudice deve limitarsi ad accertare se
le finalità cautelari del provvedimento di
sequestro possano essere attuate con
modalità diverse e tale accertamento, se
motivato congruamente ed esente da vizi
logici, non è censurabile in sede di
legittimità (conformi e di identico
contenuto le sent. 37593/2009, 37594/2009 e
37595/2009) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 24.09.2009 n. 37592 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione solaio.
La costruzione di un solaio in cemento
armato, che per di più insiste su edificio
abusivamente realizzato, ha evidenti
finalità statiche e riverbera effetti
decisivi sulla staticità dell’intero stabile
indipendentemente dalla natura dei materiali
ulteriori utilizzati per la sopraelevazione
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.09.2009 n. 37576 -
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EDILIZIA PRIVATA:
REPRESSIONE DELL'ABUSIVISMO
EDILIZIO.
1. Abusi - Demolizione -
In pendenza di domanda di sanatoria -
Impossibile - Ragioni.
2. Abusi - Demolizione - Ingiunzione -
Presupposti - Motivazione - Profili.
1.
Ai sensi degli artt. 38 e 44, L. n. 47/1985,
contenuti nel capo IV della legge medesima,
in pendenza della domanda di sanatoria, è
preclusa l'adozione di provvedimenti
repressivi dell'abuso edilizio, atteso che
nell'ipotesi di diniego della domanda di
sanatoria, l'Amministrazione dovrà adottare
nuova ingiunzione di demolizione, con
fissazione di nuovi termini per la spontanea
esecuzione (TAR Campania Napoli, sez. VII,
21-03-2008 n. 1472).
2.
In materia urbanistica, il presupposto per
l'adozione dell'ingiunzione di demolizione
delle opere edilizie abusive è soltanto la
constatata esecuzione dell'opera in totale
difformità della concessione o in assenza
della medesima, con la conseguenza che tale
provvedimento, ove ricorrano i predetti
requisiti, è atto dovuto ed è
sufficientemente motivato con l'affermazione
dell'accertata abusività dell'opera, essendo
in re ipsa l'interesse pubblico alla sua
rimozione (TAR Campania-Napoli, sez. VI,
25-02-2009 n. 1100) (TAR Campania-Napoli,
Sez. VI,
sentenza 24.09.2009 n. 5072 -
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APPALTI:
GARA D'APPALTO - OFFERTE ANOMALE
- GIUSTIFICAZIONI PREVENTIVE A CORREDO
DELL'OFFERTA - INCOMPLETEZZA - ESCLUSIONE
DALLA GARA - ILLEGITTIMITA' -
CONTRADDITTORIO SUCCESSIVO - NECESSITA'.
In tema di offerte anomale, il
contraddittorio successivo deve consentire
alle imprese partecipanti, le cui offerte
siano sospettate di anomalia, la piena
facoltà di far valere le proprie ragioni e
di esporre i chiarimenti necessari, posto
che funzione dei giustificativi richiesti in
sede preliminare è solo quella di far avere
alla stazione appaltante una prima
indicazione relativamente alla congruità del
prezzo offerto. Ne consegue che le clausole
del bando di gara, che contemplino la
presentazione di giustificazioni a corredo
dell’offerta, costituiscono strumenti di
celerità e semplificazione del procedimento;
pertanto l’eventuale incompletezza dei
giustificativi richiesti preliminarmente non
esonera l’Amministrazione dall’espletamento
della successiva fase in contraddittorio. La
richiesta dei giustificativi,anche se
formulata dalle regole della gara ai fini
della partecipazione alla stessa,non
costituisce un elemento dell’offerta
richiesto ai fini dell’ammissione, ma un
corredo dell’offerta funzionale alla
verifica di anomalia.
La prescrizione del bando che impone la
presentazione delle giustificazioni
unitamente all’offerta al fine di accelerare
l’iter del procedimento va correlata alle
esigenze essenziali dello stesso, quali
chiarite dall’interpretazione del giudice
comunitario. L’assenza o l’incompletezza
delle giustificazioni presentate ex ante non
influisce sulla regolarità della gara perché
non altera la par condicio,né si può
ritenere che rientri nei poteri della
stazione appaltante di richiedere il
relativo adempimento a pena di esclusione.
La necessità,più volte ribadita dal giudice
comunitario,che la valutazione di anomalia
avvenga in base ad un completo
contraddittorio con l’impresa
interessata,porterebbe infatti alla
disapplicazione della prescrizione, perché
contrastante con la disciplina comunitaria.
L’Amministrazione avrebbe dunque dovuto,
considerando i giustificativi insufficienti,
procedere al riesame degli stessi in
contraddittorio con l’impresa interessata,
essendo impedito alla Amministrazione di
procedere ex abrupto all’esclusione
del concorrente per incompletezza dei
giustificativi.
In altri termini, la Commissione di gara,
prima di formulare qualsivoglia definitivo
giudizio di anomalia dell’offerta, doveva
richiedere le giustificazioni ulteriori
prescritte dai successivi art. 87 e 88 del
citato D.lgs. 163/2006 in contraddittorio
(art. 87, “quando un’offerta appaia
anormalmente bassa, la stazione appaltante
richiede all’offerente le giustificazioni,
eventualmente necessarie in aggiunta a
quelle già presentate a corredo
dell’offerta, ritenute pertinenti in merito
agli elementi costitutivi dell’offerta
medesima”) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 24.09.2009 n. 2186 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Destinazione d’uso.
Lo strumento urbanistico rappresenta l'atto
di destinazione generica ed esso trova
attuazione nelle prescrizioni imposte dal
titolo che abilita a costruire, quale atto
di destinazione specifica che vincola il
titolare ed i suoi aventi causa.
Possono, pertanto, distinguersi: una
destinazione d’uso urbanistico, riferita
alle categorie specificate dalla legge, ed
una destinazione d’uso edilizio, che attiene
al singolo edificio ed alle sue capacità
funzionali.
Il mutamento di destinazione d’uso
giuridicamente rilevante è solo quello tra
categorie funzionalmente autonome dal punto
di vista urbanistico, tenuto conto che
nell’ambito delle stesse categorie possono
aversi mutamenti di fatto, ma non diversi
regimi urbanistico-contributivi stanti le
sostanziali equivalenze dei carichi
urbanistici nell’ambito della medesima
categoria (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 23.09.2009 n. 37077 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
ABBANDONO DI RIFIUTI E CULPA IN
VIGILANDO DEL PROPRIETARIO DEL TERRENO.
Comune e Provincia –
Organi – Sindaco – Ordine di smaltimento di
rifiuti rivolto al proprietario di un fondo
- “Culpa in vigilando” del proprietario –
Presupposti – Fase istruttoria completa –
Necessarietà – Sussiste - Presunzione di
colpevolezza – Vanno provati gli elementi
soggettivi quale colpa o dolo.
E’ illegittimo l’ordine di smaltimento di
rifiuti indiscriminatamente rivolto al
proprietario di un fondo in ragione soltanto
di tale sua qualità ma in assenza di
adeguata dimostrazione da parte
dell’Amministrazione procedente, sulla base
di una istruttoria completa e di una
esauriente motivazione, ancorché fondata su
ragionevoli presunzioni o su condivisibili
massime d’esperienza, dell’imputabilità
soggettiva della condotta (Cons. Stato, Sez.
V, 19.03.2009, n. 1612 e n. 935/2005). Ciò
perché l’art. 192 d.lgs. n. 152/2006,
riportando sostanzialmente il regime di cui
al precedente art. 14 d.lgs. n. 22/1997, ha
richiamato la necessaria sussistenza
dell’elemento psicologico nel prevedere la (cor)responsabilità
del proprietario facendo riferimento al
titolo di dolo o colpa, senza strutturarla
invece in termini meramente oggettivi così
da ritenere l’obbligazione di ripristino a
carico del proprietario del bene quale “obbligazione
propter rem”.
La circostanza per la quale, dalla lettura
della norma, si evince che il legislatore ha
strutturato la fattispecie in termini
indiscutibilmente soggettivi, radicando solo
sulla riscontrata presenza di colpevolezza
del proprietario la sua concorrente
responsabilità, impedisce di ritenere anche
che la responsabilità del proprietario o del
titolare di diritti reali o personali di
godimento sia inquadrabile come generica “culpa
in vigilando”, richiamando la norma una
condotta attiva legata alla situazione di
abbandono né potendo altrimenti obbligare il
proprietario medesimo alla recinzione o alla
sorveglianza continua dell’area perché
altrimenti sarebbe conformato il suo diritto
dominicale e incise le modalità di godimento
dello stesso (Cons. Stato, Sez. V n. 935/2005
nonché TAR Toscana, Sez. II, 17.04.2009, n.
665 e 03.03.2004, n. 662; TAR Campania, Na,
Sez. V, 16.04.2007, n. 3727) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 23.09.2009 n. 1478 -
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ESPROPRIAZIONE:
PRESUPPOSTI PER OTTENERE LA
RETROCESSIONE PARZIALE DEL BENE.
1- Procedimento –
Retrocessione – Diritto alla retrocessione
parziale - Presupposti.
2- Pubblica utilità – Atto dichiarativo –
Inefficacia per scadenza del termine per il
compimento dei lavori – Comporta la facoltà
del proprietario di ottenere la
retrocessione – Presupposti - Termine finale
per l’espropriazione e termine finale per
l’esecuzione dei lavori – Distinzione -
Finalità.
1-
Il diritto alla retrocessione parziale nasce
solo se ed in quanto l’amministrazione, con
valutazione discrezionale (al cospetto della
quale la posizione del privato è di
interesse legittimo) abbia emesso un
provvedimento dichiarativo della
inservibilità del bene espropriato di cui si
chiede la restituzione. E tale dichiarazione
di inservibilità presuppone, da un lato,
che, stante la non completa utilizzazione
dell’area espropriata per la realizzazione
dell’opera pubblica, il terreno o la
porzione di esso del quale si chiede la
retrocessione non sia mai stato destinato
all’opera pubblica cui era preordinata
l’espropriazione, e, dall’altro, che non
serva più all’opera in questione (cfr., TAR
Toscana, sez. I, 13.05.2008 n. 1414).
2-
L’inefficacia della dichiarazione di
pubblica utilità, che consegue all’inutile
scadenza del termine per il compimento dei
lavori, non risolve la precedente
espropriazione, ma può comportare, semmai,
solo la facoltà del proprietario, nel
ricorso dei presupposti di legge, di
promuovere azione, dinanzi al giudice
competente, per ottenere la retrocessione
dei beni espropriati (cfr., Cons. Stato,
sez. VI, 25.03.1993 n. 261 cit.; Cass. Civ.
Sez. I, 06.03.1992 n. 2715; 21.08.1998 n.
8301; 11.11.2003 n. 16904; TAR Friuli
Venezia Giulia, Trieste, 03.06.2005 n. 550).
Ciò in quanto il termine finale per
l’espropriazione e il termine finale per
l’esecuzione dei lavori rispondono a due
diverse finalità:
1) il termine del compimento delle procedure
espropriative, in attuazione dell’art. 42,
comma 3, della Costituzione, ha lo scopo di
evitare che i beni di proprietà privata
rimangano soggetti alla possibilità di
essere espropriati per un tempo
indeterminato;
2) il termine per il compimento dei lavori
ha la funzione di tutelare l’interesse
pubblico alla concreta realizzazione
dell’opera pubblica, cioè a dimostrare
l’effettiva serietà dell’azione
amministrativa.
Perciò, solo il termine finale per il
completamento del procedimento espropriativo
deve ritenersi di natura perentoria, in
quanto la fattispecie della mancata
ultimazione dell’opera pubblica entro il
termine prestabilito, dopo che il decreto di
espropriazione è già stato emanato, risulta
appositamente disciplinata dall’ordinamento
giuridico, in quanto consente al soggetto
espropriato di chiedere una pronuncia
costitutiva della retrocessione del bene
(TAR Basilicata, 14.02.2006 n. 83; Cons.
Stato, sez. II, 01.12.1993 n. 177).
Pertanto, la mancata osservanza del termine
per la fine dei lavori produce l’unico
effetto di consentire agli ex proprietari di
esercitare un’azione per la retrocessione
parziale del bene; retrocessione che
tuttavia presuppone, come si è detto, la
previa adozione, da parte
dell’amministrazione, di un provvedimento
dichiarativo della inservibilità del bene
espropriato di cui si chiede la
restituzione, espressione di un potere
discrezionale dell’amministrazione
tutelabile davanti al giudice amministrativo
(Cons. Stato, sez. IV, 04.07.2008 n. 3342)
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 23.09.2009 n. 1471 -
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EDILIZIA PRIVATA: La
salvaguardia dell'area di rispetto
cimiteriale di 200 metri prevista dall'art.
338 t.u. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla
stregua di un vincolo assoluto di
inedificabilità che non consente in alcun
modo l'allocazione sia di edifici sia di
opere incompatibili col vincolo medesimo, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che tale fascia di rispetto intende
tutelare e che la deroga all’estensione del
limite è consentita ai soli fini della
realizzazione di "opere pubbliche e di
interesse pubblico".
L’individuazione di fasce di rispetto
cimiteriali risale al r.d. 1265/1934 (TU
leggi sanitarie) che nella sua formulazione
originaria stabiliva, al primo comma, che i
cimiteri devono essere collocati alla
distanza di almeno duecento metri dai centri
abitati, e poneva, nello stesso, tempo, il
divieto di costruire intorno agli stessi
nuovi edifici e di ampliare quelli esistenti
"entro il raggio di 200 metri".
Al Prefetto era attribuito il potere di
consentire la costruzione e l'ampliamento
dei cimiteri a distanza inferiore ai
duecento metri dai centri abitati quando, a
causa di speciali condizioni, non era
consentito provvedere altrimenti. Inoltre,
su motivata richiesta del Consiglio
comunale, non ostandovi ragioni igieniche,
lo stesso Prefetto poteva ridurre l'ampiezza
della zona di rispetto, delimitandone il
perimetro in relazione alla situazione dei
luoghi, entro il limite di 100 metri per i
Comuni con popolazione superiore ai 20.000
abitanti, e di 50 metri per gli altri
Comuni.
A sua volta il D.P.R. 10.09.1990, n. 285
(regolamento di polizia mortuaria), nel
disciplinare i piani regolatori cimiteriali,
all'art. 57 ribadisce che i cimiteri devono
essere isolati dall'abitato mediante la
fascia di rispetto prevista dall'art. 338
del r.d. n. 1265/1934. Su questo impianto è
intervenuta la legge n. 166/2002 che con la
modifica dei commi quarto, quinto, sesto e
settimo del citato art. 338 ha disposto che
"il Consiglio comunale può approvare,
previo parere favorevole della competente
azienda sanitaria locale, la costruzione di
nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già
esistenti a una distanza inferiore a 200
metri dal centro abitato, purché non oltre
il limite di 50 metri, quando ricorrano,
anche alternativamente, le seguenti
condizioni: a) risulti accertato dal
medesimo consiglio comunale che, per
particolari condizioni locali, non sia
possibile prevedere altrimenti; b)
l'impianto cimiteriale sia separato dal
centro urbano da strade pubbliche almeno di
livello comunale, sulla base della
classificazione prevista ai sensi della
legislazione vigente, o da fiumi, laghi o
dislivelli naturali rilevanti, ovvero da
ponti o da impianti ferroviari".
Inoltre, "per dare esecuzione ad un'opera
pubblica o all'attuazione di un intervento
urbanistico, purché non vi ostino ragioni
igienico-sanitarie, il consiglio comunale
può consentire, previo parere favorevole
della competente azienda sanitaria locale,
la riduzione della zona di rispetto tenendo
conto degli elementi ambientali e di pregio
dell'area, autorizzando l'ampliamento di
edifici preesistenti o la costruzione di
nuovi edifici. La riduzione di cui al
periodo precedente si applica con identica
procedura anche per la realizzazione di
parchi, giardini e annessi, parcheggi
pubblici e privati, attrezzature sportive,
locali tecnici e serre...All'interno della
zona di rispetto per gli edifici esistenti
sono consentiti interventi di recupero
ovvero interventi funzionali all'utilizzo
dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento
nella percentuale massima del 10 per cento e
i cambi di destinazione d'uso, oltre a
quelli previsti dalle lettere a), b), c) e
d) del primo comma dell'articolo 31 della
legge 05.08.1978, n. 457".
Tale essendo il quadro normativo di
riferimento, deve, quindi, osservarsi che la
normativa statale in materia si articola
attraverso disposizioni aventi duplice
valenza, in primo luogo nel porre limiti
all'attività edificatoria dei privati nelle
aree circostanti il perimetro dei cimiteri
ed inoltre nel garantire l’osservanza, da
parte delle amministrazioni preposte, di
determinate distanze dai centri abitati atte
a delineare una fascia di rispetto nella
costruzione di nuovi cimiteri e/o
nell'ampliamento di quelli esistenti e per
altri interventi di pubblico interesse. Si
tratta quindi di una facoltà rimessa alla
valutazione dell’ente locale, in funzione
dell'ampliamento dei cimiteri esistenti e/o
della costruzione di nuovi cimiteri, oppure,
in presenza di determinate circostanze di
rilievo pubblicistico, dettagliatamente
definite dalla norma con esclusione,
pertanto, di interventi di edilizia per fini
privati.
Sulla questione, la giurisprudenza
amministrativa ha costantemente affermato
che la salvaguardia dell'area di rispetto
cimiteriale di 200 metri prevista dall'art.
338 t.u. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla
stregua di un vincolo assoluto di
inedificabilità che non consente in alcun
modo l'allocazione sia di edifici sia di
opere incompatibili col vincolo medesimo, in
considerazione dei molteplici interessi
pubblici che tale fascia di rispetto intende
tutelare e che la deroga all’estensione del
limite è consentita ai soli fini della
realizzazione di "opere pubbliche e di
interesse pubblico" (Cons. St., V,
29.03.2006, n. 1593. TAR Veneto, II,
07.02.2008, n. 325; TAR Sicilia-Catania, I,
15/07/2003, n. 1141).
Si tratta, in definitiva, di una limitazione
legale della proprietà a carattere assoluto,
che preclude il rilascio della concessione
per opere incompatibili col vincolo medesimo
(giurisprudenza pacifica: cfr. Cons. Stato,
V, 03/05/2007). Del resto, la natura
assoluta del vincolo non si pone in
contraddizione con la possibilità che nella
medesima area insistano delle preesistenze,
e/o che ad esse vengano assegnate
destinazioni compatibili con l'esistenza del
vincolo (Cass. Civ., sez. I, n. 6510/1997),
ma mira essenzialmente ad impedire
l'ulteriore addensamento edilizio dell'area
giudicato ex lege, incompatibile con
le prioritarie esigenze pubblicistiche
sottese alla imposizione del vincolo. (cfr.
TAR Abruzzo, L’Aquila, I, 14.10.2008, n.
1141)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 22.09.2009 n. 1571 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
ADEMPIMENTI PER LA PARTECIPAZIONE
ALLA GARA.
1.- Bando - Legge di
gara - Eterointegrazione con le norme di
legge - Mancata produzione di un documento -
Esclusione dalla gara - Non sussiste
2.- Codice dei contratti pubblici - Limiti
alle cause di esclusione dei partecipanti -
Sussistono.
1.-
Nonostante nel nostro ordinamento viga il
principio della eterointegrazione della
legge di gara -(che nel caso di specie non
prevedeva nulla in ordine al deposito del
crono-programma delle lavorazioni unitamente
all'offerta)- ad opera delle prescrizioni
normative che impongono un determinato
adempimento (artt. 42 co. 2, D.P.R. n.
554/1999 e 73 D.P.R. n. 170/2005 secondo cui
"nei casi di appalto-concorso e di
appalto di progettazione esecutiva ed
esecuzione, il crono-programma è presentato
dall'appaltatore unitamente all'offerta"),
tale assunto, non può tuttavia essere spinto
sino al punto da teorizzare l'esclusione
dalla gara quale conseguenza del mancato
adempimento della prescrizione, per la
ragione che vige in materia, in omaggio al
canone generale del favor partecipationis,
il principio della necessaria tipicità delle
cause di esclusione e che non ogni
inadempimento alle prescrizioni di gara
comporta, per ciò stesso, tale esito
definitivo.
2.-
Il Codice dei contratti contiene
prescrizioni e modalità procedimentali la
cui violazione non sempre comporta, quale
conseguenza, l'esclusione dalla gara. Se da
un lato, quindi, la violazione degli
adempimenti di cui all'art. 38 comporta,
nella generalità dei casi, l'esclusione
dalla gara, vi sono alcuni casi nei quali,
la violazione dell'obbligo di legge non
implica una sanzione così severa, come
avviene ad esempio laddove sia violato
l'obbligo di produzione delle
giustificazioni preventive relative alle
voci di prezzo, a corredo dell'offerta
economica, prescritto dagli artt. 86 co. 5 e
87 co. 2. (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.09.2009 n. 4688 -
link a
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APPALTI:
1. GARA D'APPALTO - CRITERIO
OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU' VANTAGGIOSA -
FORMULA MATEMATICA ATTRIBUZIONE PUNTEGGIO
VOCI PREZZO - OFFERTA PARI A ZERO PER UNA
VOCE DI PREZZO - APPLICAZIONE FORMULA - VA
DISPOSTA CON ADATTAMENTI IDONEI A
CONSENTIRNE OPERATIVITA' - FATTISPECIE.
2. GARA D'APPALTO - OBBLIGO DI
RIDETERMINAZIONE PUNTEGGIO OFFERTA ECONOMICA
DOPO AGGIUDICAZIONE PROVVISORIA - NON
SUSSISTE - INEFFICACIA AGGIUDICAZIONE
PROVVISORIA - AGGIUDICAZIONE AL SECONDO
CLASSIFICATO - VA DISPOSTA - RAGIONI.
1.
La formula matematica prevista dal bando per
l’assegnazione del punteggio relativo alle
varie voci di prezzo va applicata, quando si
pongano delle difficoltà pratiche, secondo
un criterio di ragionevolezza volto a
salvaguardare l’interesse della p.a. senza
comportare illegittime esclusioni dalla gara
non previste dal bando; ciò in applicazione
del principio secondo cui le clausole del
bando ambigue vanno applicate in modo da
conseguire un risultato utile; in mancanza
di un’esplicita previsione del disciplinare
che sanzionasse a pena di inammissibilità la
presentazione di un’offerta pari a zero per
una delle voci, la stazione appaltante non
avrebbe potuto disporre l’esclusione
dell’offerta ovvero omettere di applicare la
formula matematica prescritta; era quindi
ragionevole, a fronte di voci di prezzo pari
a zero, applicare comunque la formula
matematica, sostituendo il prezzo zero con
un prezzo infinitesimale che consentiva
l’operatività della formula, senza snaturare
l’offerta più vantaggiosa.
2.
Nessuna norma impone di rifare il conteggio
dei punti dell’offerta economica quando la
procedura è ormai conclusa con
l’aggiudicazione provvisoria della gara;
anzi è previsto che la valutazione
dell’efficacia di quella aggiudicazione sia
subordinata a determinati accertamenti; in
caso di esito negativo, la stazione
appaltante è tenuta ad aggiudicare alla
seconda classificata e ciò per un principio
di economia degli atti e delle procedure, di
concentrazione delle operazioni di gara,
nonché per l’interesse pubblico alla
sollecita conclusione delle procedure
selettive. Soltanto ove sia il primo che il
secondo classificato risultino carenti dei
requisiti prescritti, da accertarsi nel
momento conclusivo della gara, la stazione
appaltante è tenuta a formare una nuova
graduatoria con l’esclusione dei primi due
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 17.09.2009 n. 5583
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EDILIZIA PRIVATA:
Divieto di apposizione di
cartellonistica in ambiti tutelati.
La disposizione contenuta nell'articolo 153
del d.lgs. 22.01.2004 n. 42, in tema di
collocazione di cartelli o mezzi
pubblicitari in prossimità dei beni
paesaggistici indicati nell'articolo 134,
stabilisce un divieto generalizzato,
derogabile solo su parere favorevole
dell’autorità competente.
Ne consegue che, mentre una motivazione
specifica deve sorreggere il parere
favorevole, volto ad escludere quella
incompatibilità che di norma sussiste,
viceversa non occorre una motivazione
particolare laddove l’autorità riconosca,
nell’esercizio della propria discrezionalità
tecnica, l’impatto paesistico che l’impianto
esercita nel contesto prescelto (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 4666 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono
(responsabilità e ordine di smaltimento).
In conformità con gli orientamenti maturati
in seno alla giurisprudenza circa
l’interpretazione dell’art. 14 D.Lgs. n.
22/1997, sostanzialmente riprodotto
nell’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 – l’ordine
di smaltimento presuppone l’accertamento di
una responsabilità a titolo quantomeno di
colpa in capo all’autore dell’abbandono dei
rifiuti, e lo stesso vale per il
proprietario o titolare di altro diritto
reale o personale sull’area interessata, che
venga chiamato a rispondere in solido
dell’illecito (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 1447 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione e
sanatoria.
La validità ovvero l’efficacia dell’ordine
di demolizione non risultano pregiudicate,
con la pretesa automaticità, dalla
successiva presentazione di un’istanza ex
art. 36 del d.p.r. 380/2001.
Sul punto, mette conto evidenziare che nel
sistema non è rinvenibile una previsione
dalla quale possa desumersi un tale effetto,
sicché, se, da un lato, la presentazione
dell’istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001
determina inevitabilmente un arresto
dell’efficacia dell’ordine di demolizione,
all’evidente fine di evitare, in caso di
accoglimento dell’istanza, la demolizione di
un’opera che, pur realizzata in assenza o
difformità dal permesso di costruire, è
conforme alla strumentazione urbanistica
vigente, dall’altro, occorre ritenere che
l’efficacia dell’atto sanzionatorio sia
soltanto sospesa, cioè che l’atto sia posto
in uno stato di temporanea quiescenza.
All’esito del procedimento di sanatoria, in
caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine
di demolizione rimarrà privo di effetti in
ragione dell’accertata conformità
dell’intervento alla disciplina urbanistica
ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso sia al momento
della presentazione della domanda, con
conseguente venir meno dell’originario
carattere abusivo dell’opera realizzata.
Di contro, in caso di rigetto dell’istanza,
l’ordine di demolizione a suo tempo adottato
riacquista la sua efficacia, che non era
definitivamente cessata, bensì era rimasta
solo sospesa in attesa della conclusione del
nuovo iter procedimentale, con la sola
precisazione che il termine concesso per
l’esecuzione spontanea della demolizione
deve decorrere dal momento in cui il diniego
di sanatoria perviene a conoscenza
dell’interessato, che non può rimanere
pregiudicato dall’avere esercitato una
facoltà di legge, quale quella di chiedere
l’accertamento di conformità urbanistica, e
deve pertanto poter fruire dell’intero
termine a lui assegnato per adeguarsi
all’ordine, evitando così le conseguenze
negative connesse alla mancata esecuzione
dello stesso (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 14.09.2009 n. 4961 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
STIPULA DEL CONTRATTO D'APPALTO
DALL'A.T.I. COSTITUENDA.
1. Associazione
temporanea - Mandato - Con rappresentanza
-Dalle associande alla mandataria -
Necessarietà - Finalità - Stipula del
contratto post-aggiudicazione.
2. Associazione temporanea - Mancata
sottoscrizione del contratto dopo
l'aggiudicazione - Per fatto
dell'affidatario - Conseguenze.
3. Criteri e principi - Principio della
concorrenza - Rilevanza rispetto al
tradizionale interesse pubblico di carattere
economico-finanziario - Limiti.
1.
In presenza di una A.T.I. non ancora
costituita, grava su tutte le imprese
associande l'obbligo di conferire, alla
capogruppo, dopo l'intervenuta
aggiudicazione, il mandato collettivo
speciale con rappresentanza che consentirà
alla mandataria di stipulare il contratto
con la stazione appaltante, poiché
dall'adempimento, o meno, di tale obbligo da
parte delle imprese della costituenda
A.T.I., dipende la stipula del contratto.
Tale circostanza giustifica l'estensione
alle stesse della copertura del relativo
rischio (Cons. Stato, Ad. Plen., 04-10-2005
n. 8).
2.
L'articolo 75 co. 6 del Codice dei contratti
pubblici di cui al D.Lgs. 12.04.2006 n. 163,
enuncia un criterio di responsabilità per
cui, la mancata sottoscrizione del contratto
deve essersi verificata per fatto
dell'affidatario; poiché, nel caso di
aggiudicazione a favore di A.T.I.
costituenda, affidatarie sono tutte le
imprese componenti il raggruppamento, ne
deriva che la garanzia provvisoria deve
operare con riguardo ai comportamenti lesivi
posti in essere da ciascuna di esse, e non
solo a quelli della (futura) capogruppo.
3.
Il principio di concorrenza illumina oggi
l'intera materia degli appalti pubblici,
nell'ambito della quale tendenzialmente
perde rilievo anche il tradizionale
interesse pubblico di carattere
economico-finanziario, vale a dire
l'interesse ad individuare l'offerta
migliore per la p.A. sotto il profilo della
convenienza economica. La più ampia
concorrenzialità nella fase della scelta del
contraente può avere come effetto la
riduzione dei costi del contratto da
affidare ma questo non è un risultato che
necessariamente consegue all'affermazione di
quel principio; il quale pertanto, nella
contrapposizione con l'interesse
patrimoniale, finisce col prevalere.
L'art. 2 del codice dei contratti pubblici (D.Lgs.
12.04.2006 n. 163) ha positivamente previsto
che l'affidamento dei contratti pubblici
debba avvenire nel rispetto del principio
della libera concorrenza. Tuttavia non si
può prescindere dal presupposto che nella
indicazione delle esigenze, cui far fronte
con il contratto oggetto della gara,
l'amministrazione è titolare di ampi margini
di discrezionalità. Si tratta di potere
discrezionale in senso proprio, di cui
l'amministrazione fa uso nel momento in cui
individua, e fissa nel regolamento
contrattuale oggetto della procedura di
affidamento, le prestazioni corrispondenti
ai bisogni e agli interessi curati
dall'amministrazione stessa.
Ed è appena il caso di sottolineare come,
nell'esercizio di tale potere,
l'amministrazione debba necessariamente
muovere da una situazione data, sul piano di
fatto. Di conseguenza non si può pretendere
-in nome della tutela della concorrenza- di
prescindere dalla regola fondamentale
secondo cui l'oggetto del contratto si
modula sulla scorta delle concrete esigenze
dell'amministrazione, perché ciò, oltre che
manifestamente irragionevole, sarebbe anche
contrario al principio costituzionale di
buon andamento (argomentando anche dall'art.
1, co. 1, L. n. 241/1990, che richiama il
principio dell'economicità dell'azione
amministrativa) (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 08.09.2009 n. 1471 -
link a
http://mondolegale.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Acque. Responsabilità per
mancanza di autorizzazione.
In tema di responsabilità di dirigente del
servizio tecnico e segretario comunale per
danno alle casse dell'Ente derivante dal
riconoscimento di un debito fuori bilancio
pagato, a titolo di sanzione amministrativa,
alla Provincia e conseguente la mancata
autorizzazione definitiva dei lavori per
l'adeguamento alla normativa in materia di
scarico dei reflui (Corte dei Conti, Sez.
giurisdiz. Lombardia,
sentenza 07.09.2009 n. 593 - link
a www.lexambiente.it). |
AGGIORNAMENTO ALL'08.10.2009 |
ã |
dossier LEGGE CASA LOMBARDIA |
EDILIZIA PRIVATA:
Un utile contributo esplicativo, dell'Avv.
Mario Viviani di Milano (che ringraziano),
sulla l.r. n. 13/2009 (distribuito
nell'ambito del
convegno tenutosi a Bergamo il 05.10.2009)
con relativo fac-simile di deliberazione da
sottoporre al vaglio del Consiglio Comunale
entro il 15.10.2009. |
NEWS |
VARI:
Per gli inadempienti in catasto, nuovi
importi con istruttoria fissa.
Pubblicati in Gazzetta Ufficiale gli oneri
rideterminati per la redazione a cura
dell’ufficio degli atti di aggiornamento.
L’agenzia del Territorio ha provveduto a
rimodulare gli importi dovuti dai possessori
di immobili che non effettuano
spontaneamente l’aggiornamento catastale,
per cui lo stesso deve essere eseguito
d’ufficio (link a www.nuovofiscooggi.it). |
VARI:
Vaccino per l'influenza A/h1n1: misure del
Ministero della salute.
L'Ordinanza dell'11.09.2009 del Ministero
della salute in materia di profilassi
vaccinale dell'influenza pandemica A(H1N1),
dispone che la vaccinazione, dal momento
della effettiva disponibilità del vaccino, è
offerta alle seguenti categorie di persone,
elencate in ordine di priorità:
a) persone ritenute essenziali per il
mantenimento della continuità assistenziale
e lavorativa: - personale sanitario e
socio-sanitario; - personale delle forze di
pubblica sicurezza e della protezione
civile; - personale che assicura i servizi
pubblici essenziali; - donatori di sangue
periodici;
b) donne al secondo o al terzo trimestre di
gravidanza;
c) persone a rischio, di età compresa tra 6
mesi e 65 anni; si intende per rischio
almeno una delle seguenti condizioni:
malattie croniche a carico dell'apparato
respiratorio, inclusa asma, displasia
broncopolmonare, fibrosi cistica e BPCO;
gravi malattie dell'apparato
cardiocircolatorio, comprese le cardiopatie
congenite ed acquisite; diabete mellito e
altre malattie metaboliche; gravi epatopatie
e cirrosi epatica; malattie renali con
insufficienza renale; malattie degli organi
emopoietici ed emoglobinopatie; neoplasie;
malattie congenite ed acquisite che
comportino carente produzione di anticorpi;
immunosoppressione indotta da farmaci o da
HIV; malattie infiammatorie croniche e
sindromi da malassorbimento intestinale;
malattie neuromuscolari; obesità e gravi
patologie concomitanti; condizione di
familiare o di contatto stretto di soggetti
ad alto rischio che, per controindicazioni
temporanee o permanenti, non possono essere
vaccinati (link a www.governo.it). |
CORTE DEI CONTI |
EDILIZIA PRIVATA:
Comune di Trichiana -
Parere in materia di scomputo degli oneri di
urbanizzazione, ribassi d'asta delle
relative opere, convenzioni urbanistiche.
1. Realizzazione opere
di urbanizzazione a scomputo oneri
concessori - Gara aggiudicata dal privato
titolare del permesso di costruire - Ribassi
d'asta - Spettanza del comune - Ragioni.
2. Realizzazione opere di urbanizzazione a
scomputo oneri concessori - Gara aggiudicata
dal privato titolare del permesso di
costruire - Ribassi d'asta - Spettanza -
Definizione in sede di convenzione
urbanistica - Inammissibilità -
Indisponibilità entrate ente locale.
Passando al merito, va anzitutto richiamato
il quadro normativo.
In proposito, l’art. 32, comma 1, lett. g,
in materia di “Amministrazioni
aggiudicatrici e altri soggetti
aggiudicatori”, dispone che “1. Salvo
quanto dispongono il comma 2[1] e il comma
3, le norme del presente titolo[2], nonché
quelle della parte I, IV e V[3], si
applicano in relazione ai seguenti
contratti, di importo pari o superiore alle
soglie di cui all’articolo 28[4]: […] g)
lavori pubblici da realizzarsi da parte dei
soggetti privati, titolari di permesso di
costruire, che assumono in via diretta
l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a
scomputo totale o parziale del contributo
previsto per il rilascio del permesso, ai
sensi dell'articolo 16, comma 2, del decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380, e dell'articolo 28, comma 5,
della legge 17 agosto 1942, n. 1150.
L'amministrazione che rilascia il permesso
di costruire può prevedere che, in relazione
alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione, l'avente diritto a
richiedere il permesso di costruire presenti
all'amministrazione stessa, in sede di
richiesta del permesso di costruire, un
progetto preliminare delle opere da
eseguire, con l'indicazione del tempo
massimo in cui devono essere completate,
allegando lo schema del relativo contratto
di appalto. L'amministrazione, sulla base
del progetto preliminare, indice una gara
con le modalità previste dall'articolo
55[5]. Oggetto del contratto, previa
acquisizione del progetto definitivo in sede
di offerta, sono la progettazione esecutiva
e le esecuzioni di lavori. L'offerta
relativa al prezzo indica distintamente il
corrispettivo richiesto per la progettazione
definitiva ed esecutiva, per l'esecuzione
dei lavori e per gli oneri di sicurezza”.
L’art. 122 del Codice dei contratti
(Disciplina specifica per i contratti di
lavori pubblici sotto soglia), al comma 8,
stabilisce che “Per l'affidamento dei
lavori pubblici di cui all'articolo 32,
comma 1, lettera g), si applica la procedura
prevista dall'articolo 57, comma 6[6];
l'invito è rivolto ad almeno cinque soggetti
se sussistono in tale numero aspiranti
idonei”.
L’art. 16 d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico
delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia”), nel
disciplinare il “Contributo per il rilascio
del permesso di costruire”, prevede che “1.
Salvo quanto disposto dall'articolo 17,
comma 3, il rilascio del permesso di
costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate
nel presente articolo.
2. La quota di contributo relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
comune all'atto del rilascio del permesso di
costruire e, su richiesta dell'interessato,
può essere rateizzata. A scomputo totale o
parziale della quota dovuta, il titolare del
permesso può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione, nel
rispetto dell'articolo 2, comma 5, della
legge 11.02.1994, n. 109[7], e successive
modificazioni, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, con conseguente
acquisizione delle opere realizzate al
patrimonio indisponibile del comune”
[…].
L'incidenza degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria è stabilita con
deliberazione del consiglio comunale in base
alle tabelle parametriche che la regione
definisce per classi di comuni […]”[8].
Ai sensi dell’art. 28 (Lottizzazione di
aree) della l. 17.08.1942, n. 1150 (Legge
urbanistica), “5. L'autorizzazione
comunale (alla lottizzazione di terreno a
scopo edilizio ai sensi dei commi
precedenti) è subordinata alla stipula di
una convenzione, da trascriversi a cura del
proprietario, che preveda:
1) la cessione gratuita entro termini
prestabiliti delle aree necessarie per le
opere di urbanizzazione primaria, precisate
dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n.
847, nonché la cessione gratuita delle aree
necessarie per le opere di urbanizzazione
secondaria nei limiti di cui al successivo
n. 2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario,
degli oneri relativi alle opere di
urbanizzazione primaria e di una quota parte
delle opere di urbanizzazione secondaria
relative alla lottizzazione o di quelle
opere che siano necessarie per allacciare la
zona ai pubblici servizi; la quota è
determinata in proporzione all'entità e alle
caratteristiche degli insediamenti delle
lottizzazioni; […]
6. La convenzione deve essere approvata con
deliberazione consiliare nei modi e forme di
legge […]”.
I richiamati art. 32, comma 1, lett. g) e
122, comma 8, del Codice dei contratti, come
riformulati a seguito delle modifiche
apportate dall’art. 2, comma 1, d.lg.
31.07.2007, n. 113 e dall’art. 1, comma 1,
d.lg. 11.09.2008, n. 152[9], assoggettano
dunque a procedure di evidenza pubblica
(procedure aperte e ristrette ex art. 55 nel
caso di contratti “soprasoglia”;
procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di gara ex art.
57, comma 6, nel caso di contratti “sottosoglia”)
l’affidamento delle opere di urbanizzazione,
anche ove assunte da soggetti privati
titolari del permesso di costruire,
annoverando in tal modo le opere di
urbanizzazione tra i lavori pubblici
soggetti alla disciplina concorrenziale, a
prescindere dalla natura pubblica o privata
del soggetto che se ne fa carico.
L’introduzione dei richiamati obblighi di
evidenza pubblica si è resa necessaria per
conformare il nostro ordinamento alla
disciplina concorrenziale comunitaria.
Infatti, la Corte di Giustizia delle
Comunità europee, sez. VI, con la sentenza
del 12.07.2001 in causa C-399/98, richiamata
dalla Consulta nella sent. n. 129/2006, ha
chiarito che qualora il privato titolare del
permesso di costruire realizzi direttamente
le opere di urbanizzazione primaria e
secondaria a scomputo totale o parziale
degli oneri da corrispondere alla pubblica
amministrazione, a titolo di contributo alle
spese sostenute dalla collettività per la
trasformazione del territorio, egli diviene
a tutti gli effetti organo indiretto della
P.A. e pertanto deve uniformarsi alle norme
in tema di appalti di opere pubbliche in
ossequio ai principi dell’evidenza pubblica.
In altri termini, anche in
caso di assunzione diretta delle opere di
urbanizzazione da parte di soggetti privati,
i relativi oneri economici ricadono, sia pur
in modo indiretto, sull’Amministrazione
pubblica, con conseguente riconoscibilità di
una stazione appaltante pubblica agli
effetti della normativa e
dell’interpretazione comunitaria in materia
di contratti pubblici.
Tale fenomeno è legato all’istituto dello “scomputo”
degli oneri di urbanizzazione riconducibili
alle opere assunte dal privato dal
contributo previsto per il rilascio del
permesso di costruire. L’art. 16 del d.P.R.
n. 380/2001 commisura, infatti, il
contributo per permesso di costruire, tra
l’altro, “all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione” (comma 1), come “stabilita
con deliberazione del consiglio comunale in
base alle tabelle parametriche che la
regione definisce per classi di comuni”
in relazione a una serie di parametri
normativamente determinati (comma 4) e come
aggiornata con cadenza quinquennale “in
conformità alle relative disposizioni
regionali, in relazione ai riscontri e
prevedibili costi delle opere di
urbanizzazione primaria, secondaria e
generale […]” (comma 6).
A seguito dello scomputo, pertanto,
l’assunzione delle opere di urbanizzazione
da parte del privato titolare del permesso
di costruire, in luogo dell’Amministrazione
che sarebbe altrimenti tenuta alla
realizzazione di tali opere, si traduce in
una corrispondente decurtazione del relativo
contributo dovuto dal privato nei confronti
dell’Amministrazione medesima e, per tale
via, fa sì che la realizzazione delle opere
di urbanizzazione, anche quando assunte dal
privato, avvenga sempre a carico anche delle
finanze pubbliche, sia pur in quel modo
indiretto risultante dallo scomputo degli
oneri di urbanizzazione sostenuti dal
privato dal contributo per permesso di
costruire dovuto nei confronti
dell’Amministrazione.
In considerazione di tale meccanismo,
l’assunzione delle opere di urbanizzazione
da parte di privati a scomputo del
contributo da essi dovuto per il permesso di
costruire è stata annoverata, prima
nell’interpretazione comunitaria e poi nella
legislazione nazionale (per l’appunto con i
richiamati art. 32, comma 1 lett. g), e 122,
comma 8, Codice dei contratti), tra i lavori
pubblici, come tali soggetti agli obblighi
di evidenza pubblica.
Quanto premesso conduce alla risposta al
quesito principale posto dal Comune circa la
spettanza, propria o del privato titolare
del permesso di costruire, degli eventuali
ribassi d’asta che dovessero essere
conseguiti nelle procedure di evidenza
pubblica.
In proposito, va anzitutto considerato che,
alla luce della disciplina richiamata,
il contributo per il permesso di
costruire costituisce un entrata di
integrale spettanza dell’Ente e che lo
stesso è commisurato,
tra l’altro e come detto,
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione,
la cui esecuzione spetta, in primis, al
Comune.
Peraltro, l’art. 32, comma 1, lett. g)
Codice dei contratti pubblici (richiamato
dall’art. 122, comma 8, con riferimento ai
contratti “sottosoglia”) consente al
privato titolare del permesso di costruire
di assumere in via diretta l’esecuzione
delle opere di urbanizzazione, nel rispetto
della disciplina dettata e sempre “con
conseguente acquisizione delle opere
realizzate al patrimonio indisponibile del
comune” (art. 16, comma 2, d.P.R. n.
380/2001). L’esercizio di
tale opzione derogatoria da parte del
privato ha dunque l’effetto di sollevare il
Comune, in misura corrispondente alle opere
assunte dal privato, dalla corresponsione
immediata dei relativi oneri di
urbanizzazione, ciò nonostante assumendo
comunque la proprietà delle opere realizzate.
Ciò posto, l’istituto dello
scomputo ha dunque la funzione di
riequilibrare l’entità del contributo per
permesso di costruire
-commisurato, tra l’altro e come detto,
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione
che sono di regola a carico del Comune-
al passaggio di tali oneri
dal Comune al soggetto privato.
L’istituto consente,
dunque, di evitare un
indebito arricchimento del Comune ai danni
del privato, che altrimenti verrebbe a
determinarsi ove la commisurazione
dell’entità del contributo per permesso di
costruire non tenesse conto della misura in
cui gli oneri di urbanizzazione ai quali
quel contributo va commisurato sono stati
effettivamente sostenuti dal Comune,
scomputandovi conseguentemente gli oneri in
realtà sostenuti dal privato.
In assenza di scomputo, si creerebbe, in
altri termini, una situazione disparitaria
tra l’ipotesi in cui il Comune acquista la
proprietà delle opere di urbanizzazione
avendone sostenuto i relativi oneri e quella
in cui il Comune acquista la proprietà
medesima, ma senza averne sostenuto i
relativi oneri, ipotesi quest’ultima che
viene riequilibrata, per l’appunto, mediante
lo scomputo degli oneri di urbanizzazione
sostenuti in realtà dal privato dal
contributo che egli deve corrispondere al
Comune.
L’esigenza di aderenza della misura del
contributo per permesso di costruire ai
costi effettivi dell’urbanizzazione è, del
resto, resa evidente anche dall’art. 16,
comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, che
menziona espressamente quale criterio sulla
base del quale procedere alla revisione
periodica dell’incidenza degli oneri di
urbanizzazione cui è commisurato il
contributo per permesso di costruire quello
della considerazione dei “riscontri e
prevedibili costi delle opere di
urbanizzazione” (comma 6).
Conseguenzialmente a quanto premesso,
non può che concludersi per
la spettanza al Comune dei ribassi d’asta
eventualmente conseguiti in sede di gara
rispetto al corrispettivo astrattamente e
aprioristicamente posto a base d’asta.
Invero, il ribasso d’asta si traduce in una
minore entità del corrispettivo che sarà in
concreto corrisposto dal privato per la
realizzazione delle opere rispetto a quello
teorico ipotizzato prima della gara, al
quale è stato commisurato lo scomputo
iniziale. E’ dunque evidente che,
ove la differenza determinata dal
ribasso d’asta non fosse riversata al
Comune, la misura dello scomputo sarebbe
maggiore rispetto a quella degli oneri di
urbanizzazione in concreto sostenuti dal
privato, determinandosi per tale parte
un’ingiustificata decurtazione del
contributo per permesso di costruire
spettante al Comune.
Del resto, ove si seguisse
la procedura normale, sarebbe l’Ente a
sopportare direttamente gli oneri relativi
alle opere di urbanizzazione, beneficiando
al tempo stesso e altrettanto direttamente
degli eventuali ribassi d’asta.
Al riguardo, non si può ritenere che con
l’istituto dello scomputo il legislatore
abbia inteso derogare a tali meccanismi
attribuendo al privato possibili guadagni
derivanti dai ribassi d’asta.
Ai richiamati art. 32, comma 1, lett. g), e
122, comma 8, Codice dei contratti pubblici
va, infatti, riconosciuta una ratio
ambivalente, sia di tutela della
concorrenza, sia di tutela delle finanze
dell’ente locale e della qualità delle
prestazioni da esso conseguite, quale
effetto consequenziale della corretta
esplicazione dei meccanismi concorrenziali.
In proposito, può condividersi il valore
sintomatico in tal senso attribuito dal
Comune all’evoluzione normativa che si è
registrata con riferimento ai contratti
sottosoglia, in relazione ai quali, essendo
in precedenza consentito l’affidamento
fiduciario delle opere di urbanizzazione
assunte dal privato titolare del permesso di
costruire, il Legislatore aveva introdotto a
presidio dell’Ente -con la lettera cc) del
comma 1 dell’art. 2, d.lg. 31.07.2007, n.
113, modificativa dell’art. 122 del Codice
dei contratti- l’obbligo per le
Amministrazioni, prima dell'avvio
dell'esecuzione delle opere, di trasmettere
alle competenti Procure regionali della
Corte dei conti gli atti adottati e la
documentazione relativi agli interventi
edilizi da realizzare a scomputo degli oneri
di urbanizzazione. Tale obbligo di
trasmissione degli atti all’organo
requirente della Magistratura tutrice
istituzionale delle finanze pubbliche, che
nella prospettiva del Legislatore avrebbe
dovuto compensare i maggiori rischi
conseguenti all’assenza di gara, è stato poi
abrogato dal n. 1) della lettera bb) del
comma 1 dell’art. 1 d.lg. 11.09.2008, n.
152, in concomitanza con l’introduzione, a
presidio delle finanze pubbliche, degli
obblighi di evidenza pubblica anche
nell’ipotesi di assunzione della
realizzazione di opere di urbanizzazione
“sottosoglia” da parte del soggetto privato.
L’evoluzione normativa di cui sopra, che ha
determinato il passaggio dal presidio
offerto dallo specifico coinvolgimento della
Corte dei conti, tendenzialmente
compensativo dei maggiori rischi connessi
all’affidamento fiduciario, al presidio
offerto dall’introduzione degli obblighi di
evidenza pubblica, contribuisce a mostrare
quanto il Legislatore si sia dato cura della
tutela delle finanze dell’ente locale, oltre
che della concorrenza, anche nella specifica
ipotesi di realizzazione delle opere di
urbanizzazione a carico di soggetti privati.
Ciò anche, come detto, in ragione
dell’incidenza indiretta sulle finanze
dell’Ente locale degli oneri sostenuti in
prima battuta dal privato proprio in virtù
del meccanismo dello scomputo, che fa sì che
gli oneri di urbanizzazione sostenuti dal
privato si traducano in una corrispondente
decurtazione di un’entrata dell’ente locale
(quella appunto derivante dal contributo per
permesso di costruire) e alla quale si
collega, pertanto, l’esigenza di assicurare
che gli oneri che si vanno a scomputare
dall’entrata del Comune (e dunque dalle
finanze pubbliche) corrispondano al “giusto
prezzo” per le opere realizzate. I
neo-introdotti obblighi di evidenza pubblica
costituiscono quindi un presidio, oltre che
della concorrenza, anche delle finanze
dell’ente locale, volto ad assicurare per
tale profilo che la loro eventuale
decurtazione in virtù dello scomputo
avvenga, per l’appunto, al “giusto prezzo”,
garantito dalla sua formazione attraverso
meccanismi concorrenziali.
Alla luce della descritta ratio
normativa, nell’applicazione dell’istituto
dello scomputo va tenuta presente la
richiamata esigenza di aderenza dello
scomputo (con conseguente decurtazione delle
entrate comunali) al “giusto prezzo”
formatosi a seguito della gara. E’ evidente
come tale ratio verrebbe in concreto
vanificata ove lo scomputo fosse commisurato
al prezzo teorico posto a base della gara e
non al prezzo effettivo, formatosi in sede
di concreto svolgimento della gara,
comprensivo quindi anche dei ribassi d’asta.
E’ soltanto tale ultimo prezzo quello da
intendersi come “giusto prezzo”, al quale va
quindi commisurato lo scomputo, proprio in
quanto prezzo formatosi a seguito
dell’operare concreto (e non meramente
teorico) dei meccanismi concorrenziali posti
dal Legislatore a presidio, tra l’altro e
come detto, delle finanze pubbliche.
Passando al quesito concernente l’occorrenza
di disciplinare la spettanza dei ribassi
d’asta nella convenzione urbanistica, va
anche qui ricostruito il quadro normativo.
In proposito, si è già visto come l’art. 16
d.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare il “Contributo
per il rilascio del permesso di costruire”,
preveda che “2. […]. A scomputo totale o
parziale della quota dovuta, il titolare del
permesso può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione […]
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune” […].
Tali “modalità e garanzie” sono
stabilite nella convenzione urbanistica di
cui all’art. 28 della l. 17.08.1942, n. 1150
(Legge urbanistica), da approvarsi “con
deliberazione consiliare nei modi e forme di
legge […]” (comma 6). Ai sensi del comma
5 di tale art. 28, “L'autorizzazione
comunale (alla lottizzazione di terreno a
scopo edilizio) è subordinata alla stipula
di una convenzione, da trascriversi a cura
del proprietario, che preveda:
1) la cessione gratuita entro termini
prestabiliti delle aree necessarie per le
opere di urbanizzazione primaria […] nonché
la cessione gratuita delle aree necessarie
per le opere di urbanizzazione secondaria
nei limiti di cui al successivo n. 2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario,
degli oneri relativi alle opere di
urbanizzazione primaria e di una quota parte
delle opere di urbanizzazione secondaria
relative alla lottizzazione o di quelle
opere che siano necessarie per allacciare la
zona ai pubblici servizi; la quota è
determinata in proporzione all'entità e alle
caratteristiche degli insediamenti delle
lottizzazioni;
3) i termini non superiori ai dieci anni
entro i quali deve essere ultimata la
esecuzione delle opere di cui al precedente
paragrafo;
4) congrue garanzie finanziarie per
l'adempimento degli obblighi derivanti dalla
convenzione”.
Come è evidente, la questione della
spettanza dei ribassi d’asta non è
menzionata quale contenuto obbligatorio
della convenzione di lottizzazione secondo
la legislazione nazionale. Anche nella legge
regionale Veneto 23.04.2004, n. 11 (Norme
per il governo del territorio) la questione
suddetta non è menzionata quale contenuto
obbligatorio della convenzione urbanistica.
Del resto, trattandosi di un aspetto che
andrebbe a incidere sulla misura del
contributo per permesso di costruire, la
sede convenzionale non appare in linea con
il carattere non disponibile che è proprio
di tale entrata dell’Ente locale.
Si è, infatti, sopra visto come l’art. 16
del d.P.R. n. 380/2001 disciplini il
contributo per permesso di costruire,
ancorandone la misura a parametri oggettivi
(“incidenza degli oneri di urbanizzazione”,
“costo di costruzione”) da
predeterminarsi con delibera consiliare
secondo criteri normativamente definiti[10].
Tale contributo costituisce un’entrata non
disponibile da parte del Comune, in
relazione alla quale sono legislativamente
fissati i criteri di determinazione, nonché
quelli di “riduzione o esonero”,
connessi a situazioni normativamente
individuate e ritenute meritevoli di
speciale tutela (art. 17 d.P.R. n.
380/2001[11]), o ancora quelli di “scomputo”
(art. 16, comma 6, d.P.R. n. 380/2001),
legato come già visto a finalità
riequilibrative del contributo rispetto agli
oneri sostenuti dal privato.
Le ipotesi legislativamente
determinate di esonero, riduzione o scomputo
costituiscono dunque i casi eccezionali ed
esclusivi in cui sono consentite
decurtazioni del contributo per permesso di
costruire. Al di fuori di tali casi ex
lege individuati, il contributo è sempre
dovuto e costituisce un’entrata
indisponibile, non suscettibile di
abdicazione volontaristica da parte del
Comune.
Ne consegue che, non trattandosi di materia
disponibile né quanto alla debenza né quanto
alla misura, in sede convenzionale non è
consentito apportare deroghe alla disciplina
legislativa che, si ribadisce, con specifico
riguardo alla questione della spettanza dei
ribassi d’asta, implica che gli stessi
spettino al Comune.
L’unico contenuto possibile di una
convenzione nella materia de qua non
potrebbe che essere dunque riproduttivo ed
esplicativo della disciplina di legge. Una
convenzione di tal contenuto può avere una
sua utilità con particolare riguardo agli
aspetti che necessitino di interpretazione e
che non risultino immediatamente evidenti
dal dettato legislativo, caratteristiche che
potrebbero riconoscersi alla questione della
spettanza dei ribassi d’asta, la quale si è
visto non essere oggetto di una esplicita
disciplina di legge, pur essendo risolvibile
in via interpretativa.
Quanto al quesito concernente il
comportamento da tenere nel caso in cui
nulla sia stato previsto nella convenzione
in merito alla spettanza dei ribassi d’asta,
si ribadisce, alla luce di quanto appena
detto, che la disciplina di tale aspetto in
sede convenzionale, pur non obbligatoria, è
da ritenersi non vietata nella misura in cui
abbia carattere meramente esplicativo
rispetto alla disciplina sopra illustrata.
In merito, infine, al quesito riguardante il
comportamento da tenere nel caso in cui lo
schema di convenzione sia stato già
approvato dal Consiglio comunale, ma non si
sia ancora proceduto alla relativa stipula,
qui basti richiamare i
principi generali in base ai quali la
convenzione non può ritenersi conclusa, e
dunque vincolante per le parti, prima di
essere stata approvata da entrambe le parti
stesse. Pertanto, prima di tale momento, il
relativo schema approvato dal Consiglio
comunale resta ancora un atto esclusivamente
del Comune, non convenzionale, come tale,
suscettibile di modifica o revoca ad opera
di una nuova delibera consiliare
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere
07.08.2009 n. 148- link a www.corteconti.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Rizzo,
La denuncia di inizio attività in materia
edilizia: i mezzi di tutela del terzo tra
contrasti ed incertezze (commento a TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II. sentenza
27.05.2009 e Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.02.2009) (link a
www.lexitalia.it). |
APPALTI SERVIZI:
F. De Santis,
Limiti operativi della società mista
affidataria di appalto o servizio pubblico
(nota a Cons. Stato, Sez. V, 13.02.2009)
(link a www.lexitalia.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
1. Gara d'appalto - Requisiti
generali - Verifica mediante applicazione
art. 48 d.lgs. 163/2006 - Inammissibilità -
Ragioni.
2. Gara d'appalto - Requisiti generali -
Verifica mediante applicazione art. 48
d.lgs. 163/2006 - Rideterminazione soglia di
anomalia a seguito mancata dimostrazione
requisiti generali aggiudicatario
provvisorio - Illegittimità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta a questa Autorità
con la prospettazione dei fatti
rappresentati, attiene alla correttezza
dell’operato di una Stazione Appaltante che
abbia proceduto ad effettuare il controllo
dei requisiti generali solo successivamente
all’apertura delle offerte economiche e
all’individuazione dell’aggiudicatario
provvisorio, procedendo a realizzare tale
verifica oltre che nei confronti
dell’aggiudicatario provvisorio e del
secondo classificato anche relativamente ai
soggetti risultanti dal sorteggio del dieci
per cento delle offerte ammesse.
Al riguardo, occorre, in via generale,
premettere che il Legislatore del Codice dei
Contratti Pubblici ha chiaramente inteso
distinguere la verifica sul possesso dei
requisiti di carattere generale di cui
all’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006 dal
controllo sul possesso dei requisiti di
capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, previsto all’articolo
48 del D.Lgs. n. 163/2006.
Mentre per quanto riguarda i requisiti
generali l’articolo 38, terzo comma,
stabilisce che “sono esclusi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi, né possono stipulare i
relativi contratti i soggetti” che si
trovano nelle condizioni di indicate alle
successive lettere da a) a m-bis) e prevede
che “ai fini degli accertamenti relativi
alle cause di esclusione di cui al presente
articolo, si applica l’articolo 43 del
Decreto del Presidente della Repubblica
28.12.2000 n. 445”; in relazione ai
requisiti speciali l’articolo 48, primo
comma, dispone che “le stazioni
appaltanti, prima di procedere all’apertura
delle buste delle offerte presentate,
richiedono ad un numero di offerenti non
inferiore al dieci per cento delle offerte
presentate, arrotondato all’unità superiore,
scelti con sorteggio pubblico, di
comprovare, entro dieci giorni dalla data
della richiesta medesima, il possesso dei
requisiti di capacità economico-finanziaria
e tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la
documentazione indicata in detto bando o
nella lettera di invito. Quando tale prova
non sia fornita, ovvero non confermi le
dichiarazioni contenute nella domanda di
partecipazione o nell’offerta, le stazioni
appaltanti procedono all’esclusione del
concorrente dalla gara, all’escussione della
relativa cauzione provvisoria e alla
segnalazione del fatto all’Autorità per i
provvedimenti di cui all’articolo 6, comma
11.”
Inoltre, il comma successivo sancisce che “la
richiesta di cui al comma 1 è, altresì,
inoltrata entro dieci giorni dalla
conclusione delle operazioni di gara, anche
all’aggiudicatario e al concorrente che
segue in graduatoria, qualora gli stessi non
siano compresi fra i concorrenti
sorteggiati, nel caso in cui non forniscano
la prova o non confermino le loro
dichiarazioni si applicano le suddette
sanzioni e si procede alla determinazione
della nuova soglia di anomalia dell’offerta
e alla conseguente eventuale nuova
aggiudicazione.”
La disposizione di cui all’articolo 38 mira,
pertanto, ad escludere dalla partecipazione
alla gara tutti i soggetti privi dei
requisiti di carattere generale previsti
dall’ordinamento, al fine di evitare che
soggetti non in grado di garantire
l’affidabilità morale e professionale
possano entrare in rapporto con la Stazione
Appaltante e aggiudicarsi un contratto
pubblico.
Diversamente, l’articolo 48 consente
l’accesso alle successive fasi di gara ai
soli concorrenti in grado di dimostrare il
possesso dei requisiti speciali prescritti
dal bando.
Entrambe le disposizioni intendono tanto
scongiurare il rischio che la Stazione
Appaltante possa stipulare il contratto con
soggetti non affidabili e inidonei a
garantire una corretta esecuzione della
prestazione, quanto evitare che siano
ammesse, alla fase di apertura delle buste
economiche e dunque di aggiudicazione,
offerte inappropriate che incidano sulla
determinazione della soglia di anomalia.
In tale ottica, un’interpretazione
sistematica delle predette disposizioni
consente di riconoscere che entrambe
attribuiscono una specifica funzione al
controllo operato dalla Stazione Appaltante
e hanno un preciso ambito di applicazione e
permette altresì di conferire al controllo
sul possesso dei requisiti di carattere
generale un ruolo di attività
necessariamente prodromica alle successive
fasi, finalizzate all’apertura delle buste
contenenti le offerte tecnico-economiche e
all’individuazione dell’aggiudicatario
provvisorio. Ciò comporta che l’attività di
controllo di cui all’articolo 48 si colloca
tra la verifica del possesso dei requisiti
di carattere generale e l’apertura delle
buste contenenti le offerte
tecnico-economiche, anche in ossequio al
disposto della norma stessa che prevede che
le Stazioni Appaltanti provvedano al
controllo dei requisiti speciali “prima
dell’apertura delle offerte presentate.”
Tanto premesso in via generale, procedendo
all’analisi della questione specifica
verificatasi nel caso in esame, rileva
evidenziare che il disciplinare di gara, al
punto II).
Procedura di aggiudicazione, stabilisce che
il Presidente di gara, il giorno fissato per
l’apertura delle offerte, in seduta
pubblica, sulla base della documentazione
contenuta nelle offerte presentate, procede
a: “a) verificare la correttezza formale
delle offerte e della documentazione ed in
caso negativo ad escludere dalla gara i
concorrenti cui esse si riferiscono; [b)…];
c) verificare immediatamente il possesso dei
requisiti generali dei concorrenti al fine
della loro ammissione alla gara, sulla base
delle dichiarazioni da essi presentate,
delle certificazioni dagli stessi prodotte e
dai riscontri rilevabili dai dati risultanti
dal casellario delle imprese qualificate
istituito presso l’Autorità per la Vigilanza
sui Contratti Pubblici ed in caso negativo
ad escluderli dalla gara; [d)…]; e)
sorteggiare un numero di concorrenti pari al
10 per cento del numero dei concorrenti
ammessi arrotondato all’unità superiore, ai
fini dei controlli a campione; f) aprire le
buste “A – offerta economica” presentate dai
concorrenti non esclusi dalla gara ed
aggiudicare provvisoriamente l’appalto ai
sensi dell’articolo 82, comma 3, del D.Lgs.
n. 163/2006 e s.m.i. e dell’articolo 43,
comma 3, della L.R. n. 3/2007 e s.m.i. con
applicazione dell’articolo 86, comma 1, e
articolo 122, comma 9, del D.Lgs. n.
163/2006 e s.m.i., dell’articolo 46, commi
1, 2, 4 e 5 della L.R. n. 3/2007 e della
determinazione assunta dall’Autorità per la
vigilanza sui lavori pubblici in materia di
offerte di ribasso anormalmente basse
pubblicata nella G.U.R.I. n. 24 del
31.01.2000. Le medie sono calcolate fino
alla terza cifra decimale arrotondate
all’unità superiore qualora la quarta cifra
decimale sia pari o superiore a cinque.”
Inoltre, la lex specialis prevede che
la Stazione Appaltante proceda, ai sensi del
D.P.R. n. 445/2000 con riferimento ai
concorrenti individuati con sorteggio,
nonché all’aggiudicatario provvisorio al
secondo in graduatoria, qualora non compresi
tra i concorrenti sorteggiati, al controllo
della veridicità delle dichiarazioni,
contenute nella busta B attestanti il
possesso dei requisiti generali, senza che
ne derivi un aggravio probatorio per i
concorrenti, prevedendo altresì che gli
stessi presentino la documentazione ivi
elencata.
E’, altresì, ulteriormente precisato che,
acquisiti i documenti richiesti, la Stazione
Appaltante procede:
a) ad approvare in via definitiva la
graduatoria di gara, nel caso in cui tutti i
concorrenti (sorteggiati, aggiudicatario
provvisorio e secondo in graduatoria)
abbiano confermato il possesso dei requisiti
generali; ovvero, in caso contrario,
b) ad escludere dalla gara i concorrenti per
i quali non risulti confermato il possesso
dei requisiti di carattere generale e a
comunicare il fatto al responsabile del
procedimento per gli adempimenti di
competenza;
c) a determinare, nel caso in cui anche per
uno solo dei concorrenti indicati
[sorteggiati, aggiudicatario provvisorio e
secondo in graduatoria] non sia confermato
il possesso dei requisiti generali, una
nuova media e alla nuova aggiudicazione
provvisoria.
La Commissione di gara ha dato puntuale
applicazione a tali disposizioni, come già
ricostruito in narrativa alla luce dei
verbali di gara presenti in atti e,
pertanto, stante le considerazioni
giuridiche svolte, così operando, ha agito
contravvenendo alla specifica finalità
perseguita dal Legislatore nel disporre con
l’articolo 38 una preventiva verifica dei
requisiti generali e con l’articolo 48 un
successivo controllo a campione sui
requisiti speciali (quest’ultimo da ripetere
in capo all’aggiudicatario provvisorio e al
secondo in graduatoria, se non
precedentemente sorteggiati) volti ad
ammettere alla fase di apertura delle
offerte esclusivamente i soggetti con i
requisiti prescritti.
L’utilizzo del procedimento ex articolo 48
per il controllo dei requisiti generali
viola infatti il disposto normativo che
specificamente indica il proprio campo di
azione limitandolo ai soli requisiti
speciali.
In tal senso depone anche la determinazione
dell’Autorità n. 1 del 10.01.2008 che nel
descrivere il contenuto dell’articolo 48 e
nel precisare che la sua ratio è
quella di incentivare la speditezza del
procedimento consentendo alle Stazioni
Appaltanti l’immediata esclusione dalle gare
di appalto dei partecipanti che non siano in
possesso dei requisiti di ordine speciale
oltre che di evitare che offerte
inappropriate possano influenzare la
successiva fase di determinazione della
soglia di anomalia, ha espressamente
precisato l’obbligatorietà dell’attivazione
del procedimento di verifica ai soli
requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi.
Lo stesso orientamento è statuito nelle
recenti “Linee guida per l’applicazione
dell’articolo 48 del D.Lgs. n. 163/2006”
adottate dall’Autorità (determinazione n. 5
del 21.05.2009) che, nel definire l’ambito
di applicazione dell’articolo 48 precisano
espressamente la non estendibilità dello
stesso ai requisiti generali, proprio in
ragione del fatto che l’esplicito
riferimento ai requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi
porta ad escludere, trattandosi di norma
sanzionatoria e quindi di stretta
interpretazione, che gli effetti correlati
al mancato adempimento possano estendersi
anche al controllo disposto dalle Stazioni
Appaltanti sulle dichiarazioni sostitutive
prodotte a comprova dei requisiti generali.
Inoltre, la scelta adottata dalla
Commissione di gara, in attuazione della
specifica disposizione della lex
specialis, di procedere alla
rideterminazione della soglia di anomalia
per il solo fatto che alcuni concorrenti
sorteggiati non avevano dimostrato di
possedere i requisiti generali richiesti si
pone ulteriormente in contrasto con il
disposto dell’articolo 48, che prevede
l’obbligo in capo alla Stazione Appaltante
di rideterminare la soglia di anomalia solo
quando, a seguito della verifica dei
requisiti speciali posseduti
dall’aggiudicatario provvisorio e
dall’impresa seconda qualificatasi, entrambi
i concorrenti siano risultati sprovvisti di
tali requisiti; mentre qualora la carenza
emersa sia limitata all’impresa
aggiudicataria, il contratto spetta al
concorrente che segue in graduatoria. Solo
nell’ipotesi in cui anche costui non dovesse
comprovare il possesso dei requisiti
dichiarati in gara si procede alla
rideterminazione della soglia di anomalia e
alla conseguente nuova aggiudicazione (in
tal senso, Consiglio di Stato, sez. IV,
sentenza n. 4840 del 17.09.2007; TAR
Piemonte, Torino, sez. II, sentenza
16.01.2008 n. 44; Determinazione AVCP n. 5
del 21.05.2009).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che la formulazione
della lex specialis posta in essere
dal Comune di Pontecagnano Faiano e la
conseguente applicazione operata dalla
Commissione di gara non è conforme alla
normativa di settore
(parere
30.07.2009 n. 82 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
APPALTI:
1. Gara d'appalto - Offerte -
Sottoscrizione in copia anziché in originale
- Inammissibilità - Ragioni.
2. Gara d'appalto - Verifica requisiti
speciali in capo all'aggiudicatario
provvisorio - Termine 10 giorni ex art. 48,
c. 2 d.lgs. 163/2006 - Natura non perentoria
- Integrazione documentazione incompleta -
Va ammessa - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Le problematiche sottoposte a questa
Autorità con la prospettazione dei fatti
rappresentati, attengono a due aspetti: da
un lato, si pone la questione della
ammissibilità di un’offerta sottoscritta in
copia anziché in originale, dall’altro, si
rimette la valutazione concernente la natura
ordinatoria ovvero perentoria del termine
indicato all’articolo 48, comma 2, del
D.Lgs. n. 163/2006, da cui dipende la
legittimità o meno di una documentazione a
comprova dei requisiti speciali dichiarati
in sede di gara, prodotta oltre il termine
previsto.
Quanto alla prima questione, concernente
l’ammissibilità di un’offerta sottoscritta
in copia anziché in originale, si evidenzia
che è orientamento costante quello che
riconosce alla sottoscrizione di un
documento la funzione di strumento mediante
il quale l’autore fa propria la
dichiarazione contenuta nel documento stesso
che consente, pertanto, di risalire alla
paternità dell’atto e renderlo vincolante
verso i terzi, destinatari della
manifestazione di volontà (in tal senso, da
ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza
n. 5547 del 07.11.2008).
In tale ottica e considerato che l’offerta è
qualificabile come la dichiarazione di
volontà del privato volta alla costituzione
di un rapporto giuridico con
l’Amministrazione, la sua sottoscrizione
assolve alla funzione di assicurare la
provenienza, la serietà, l’affidabilità e
l’insostituibilità dell’offerta stessa.
Proprio la specifica funzione attribuita
alla sottoscrizione giustifica, da un lato,
che essa sia una condizione essenziale per
la sua ammissibilità, tanto sotto il profilo
formale, quanto sotto il profilo sostanziale
e, dall’altro, l’esigenza che, ai fini
dell’ammissibilità dell’offerta, la
sottoscrizione non solo non possa mancare,
ma debba anche essere apposta in originale,
onde scongiurare il rischio di eventuali
manomissioni che pregiudicherebbero
l’attendibilità dell’offerta e la sua
insostituibilità.
Per tali ragioni, fermo restando che è
compito della Stazione Appaltante accertare
che la sottoscrizione apposta in calce
all’offerta sia in copia e non in originale,
si evidenzia che, qualora tale accertamento
dovesse confermare l’ipotesi sottoposta alla
valutazione di questa Autorità, la Stazione
Appaltante sarebbe tenuta ad escludere il
concorrente dalla gara.
Per quanto riguarda il secondo profilo,
concernente il mancato rispetto del termine
previsto per la dimostrazione dei requisiti
speciali dichiarati in sede di gara, occorre
considerare che l’articolo 48 del D.Lgs. n.
163/2006 sancisce un apposito procedimento
per il controllo dei requisiti di carattere
speciale stabilendo, al primo comma, un
controllo a campione dei requisiti
dichiarati in sede di gara con la produzione
della documentazione entro dieci giorni da
parte dei concorrenti, nonché prevedendo, al
secondo comma, che la Stazione Appaltante
provveda, entro dieci giorni dalla
conclusione delle operazioni di gara, ad un
controllo sui requisiti dell’aggiudicatario
e del concorrente che segue in graduatoria,
qualora non compresi tra i concorrenti
sorteggiati.
In relazione alla natura del termine entro
cui produrre i documenti, mentre è
unanimemente riconosciuto carattere
perentorio ed inderogabile al termine
relativo al controllo a campione (primo
comma), per quanto concerne invece il
termine per il controllo dei requisiti
dell’aggiudicatario (secondo comma), gli
orientamenti giurisprudenziali e dottrinali
oscillano tra il riconoscere ad esso natura
ordinatoria ovvero perentoria.
Tuttavia, al riguardo, il recente atto di
regolazione adottato dall’Autorità, con
determinazione n. 5 del 21.05.2009 ha
specificato che la formulazione della norma,
nel prevedere che “la richiesta di cui al
comma 1 è, altresì, inoltrata, entro dieci
giorni dalla conclusione delle operazioni di
gara, anche all’aggiudicatario e al
concorrente che segue in graduatoria” fa
specifico riferimento al termine di dieci
giorni entro cui la Stazione Appaltante deve
inoltrare la richiesta ai soggetti indicati;
trattandosi, pertanto, di un termine
relativo allo svolgimento di un pubblico
potere, non può che avere natura
sollecitatoria.
Si è, conseguentemente, ritenuto che
l’Amministrazione possa legittimamente
fissare nella richiesta inoltrata ai due
concorrenti un temine per l’adempimento, ma
poiché i termini stabiliti all’interno del
procedimento hanno natura ordinatoria, se la
legge diversamente non statuisce o se dalla
loro osservanza non discende decadenza,
appare non giustificato un atteggiamento
intransigente della Stazione Appaltante e,
per contro, legittima la possibilità di
un’integrazione documentale, non essendovi
più esigenze di par condicio tra i
concorrenti, purché tale integrazione
avvenga in termini brevissimi.
Ciò anche tenuto conto che l’Amministrazione
può valutare, in considerazione
dell’interesse pubblico all’affidamento del
contratto al concorrente che ha prodotto
l’offerta più conveniente, di addivenire
ugualmente alla stipulazione del contratto
con il primo o, in subordine, con il secondo
graduato, consentendo correzioni o
integrazioni documentali, nonché la comprova
relativa al possesso dei requisiti in esame
in ritardo.
Alla luce delle menzionate argomentazioni,
fermo restando che è compito della Stazione
Appaltante accertare l’esaustività dei
documenti prodotti dall’aggiudicatario
provvisorio ai fini dell’aggiudicazione
definitiva, si rappresenta che, qualora gli
stessi fossero ritenuti insufficienti,
l’Amministrazione può legittimamente
ammettere l’integrazione documentale
necessaria.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che il Comune di Cusano
Mutri:
- nell’accertare che la sottoscrizione
apposta in calce all’offerta sia in copia e
non in originale, deve provvedere ad
escludere il concorrente dalla gara;
- nel verificare l’eventuale non esaustività
della prescritta documentazione idonea a
comprovare il possesso dei requisiti
dichiarati in sede di gara da parte
dell’aggiudicataria ATI FRA.MAR. S.r.l. –
Titerno Costruzini S.r.l., deve consentire
l’integrazione documentale
(parere
30.07.2009 n. 78 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
L'esenzione dal pagamento dei
contributi di costruzione, prevista
dall'art. 9 comma 1, lett. f), l. 28.01.1977
n. 10, spetta solo con riferimento alle
opere realizzate per il raggiungimento delle
finalità istituzionali di una pubblica
amministrazione e che pertanto, anche se
eseguite da un soggetto privato in regime di
concessione o altro istituto analogo, sono
destinate a pervenire nel patrimonio
dell'amministrazione stessa.
Come ha ben chiarito la giurisprudenza, ai
fini dell'esenzione dal pagamento del
contributo di costruzione occorre il
concorso di due presupposti, e cioè l'ascrivibilità
del manufatto oggetto di concessione
edilizia alla categoria delle opere
pubbliche o di interesse generale (nel senso
che deve trattarsi di impianti o
attrezzature che, quantunque non destinati
direttamente a scopi dell'amministrazione,
siano idonei a soddisfare bisogni della
collettività anche se realizzati e gestiti
da privati) e l'esecuzione delle opere da
parte di enti istituzionalmente competenti,
vale a dire da parte di soggetti cui sia
demandata in via istituzionale la
realizzazione di opere di interesse generale
(TAR Toscana, III, 19.02.1999 n. 17; TAR
Lombardia, Brescia, 18.03.1999 n. 217).
Il beneficio della gratuità della
concessione edilizia può essere concesso
anche ad un soggetto non pubblico, ma per
conto di un ente pubblico, come nella figura
della concessione di opera pubblica o in
altre analoghe figure organizzatorie (TAR
Piemonte, I, 17.12.1998 n. 746; Cons. St.,
V, 07.09.1995 n. 1280), ovvero nel caso di
un ente istituzionalmente competente, cioè
destinato, finalizzato e creato per il
perseguimento di interessi generali,
ricollegati a determinati bisogni della
collettività o di determinati gruppi sociali
(TAR Toscana, III, n. 17/1999, citata).
L'esenzione dai contributi presuppone che
l'opera sia di pubblico interesse e sia
realizzata da un ente pubblico, mentre non
compete alle opere eseguite da soggetti
privati, quale che sia la rilevanza sociale
dell'attività da essi esercitata nella (o
con la) opera edilizia alla quale la
concessione edilizia si riferisce (TAR
Toscana, citata); così, ad esempio, é stato
escluso che la realizzazione di un edificio
scolastico da parte di un privato possa
fruire dell'esenzione dal contributo
urbanistico (TAR Lombardia, Brescia,
20.06.2000 n. 554).
La corretta interpretazione dell’ambito di
applicazione della norma è proprio stata
data in una recente decisione dei Giudici di
palazzo Spada, in cui si afferma che “L'esenzione
dal pagamento dei contributi di costruzione,
prevista dall'art. 9 comma 1, lett. f), l.
28.01.1977 n. 10, spetta solo con
riferimento alle opere realizzate per il
raggiungimento delle finalità istituzionali
di una pubblica amministrazione e che
pertanto, anche se eseguite da un soggetto
privato in regime di concessione o altro
istituto analogo, sono destinate a pervenire
nel patrimonio dell'amministrazione stessa;
di conseguenza, se invece una società, anche
se costituita da un ente pubblico per il
conseguimento di sue finalità, realizza una
struttura al fine di utilizzarla nell'ambito
della sua attività d'impresa, viene a
mancare la stessa ratio della concessone
dell'esenzione, che è quella di evitare una
contribuzione a carico di un'opera destinata
a soddisfare esclusivamente interessi
generali” (Consiglio Stato , sez. V,
02.10.2008 , n. 4761).
La giurisprudenza ha ritenuto applicabile la
riduzione del contributo nel caso di
concessioni relative a strutture sanitarie,
(TAR Abruzzo L'Aquila, 24.05.2006, n. 383) ,
precisando che l'attività imprenditoriale
diretta alla prestazione di servizi sanitari
è a pieno titolo un'attività industriale,
giusta la definizione di "attività
industriale" che si ricava dall'art. 2195
c.c. (Consiglio Stato, sez. V, 16.01.1992,
n. 46).
Anche nel caso in esame quindi si deve
riconoscere il diritto alla riduzione del
contributo per le opere realizzate dalla
casa di cura ricorrente, indipendentemente
dalla questione dell’accreditamento, ma in
base alla tipologia di attività svolta, cioè
industriale finalizzata alla erogazione di
servizi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 4672 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Servitù e vincoli militari devono
essere proporzionati e motivati.
Le servitù
militari integrano una pervasiva e
consistente limitazione del diritto di
proprietà, costituzionalmente garantito,
richiedendo pertanto una adeguata e congrua
motivazione che dia sufficientemente conto
delle ragioni di tutela e salvaguardia
dell’interesse alla difesa nazionale.
L’art. 1 della L. n. 898/1976, che contiene
la nuova regolamentazione delle servitù
militari, disponendo che le limitazioni al
diritto di proprietà devono essere imposte
nella misura direttamente e strettamente
necessaria per il tipo di opere o di
installazioni di difesa, scolpisce una
lapalissiana manifestazione del principio di
proporzionalità, di derivazione comunitaria,
che ha trovato ingresso nel procedimento
amministrativo con l’art. 1, comma 1–bis
della L. n. 241/1990 nella modifica di cui
alla L. n. 15/2005.
Le servitù e i vincoli militari possono
dunque affliggere la proprietà privata solo
nella misura direttamente e strettamente
necessaria al perseguimento, in concreto,
dell’interesse alla difesa nazionale
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.07.2009 n. 2072 -
link a www.altalex.com). |
URBANISTICA:
Edilizia ed obbligo di astensione
dell’amministratore locale.
Ai fini della
sussistenza del requisito della correlazione
immediata e diretta, cui fa espressamente
riferimento l’art. 78 del T.U.E.L., è da
ritenere sufficiente che l’amministratore, o
un suo parente o affine fino al quarto
grado, sia proprietario di aree oggetto
della disciplina urbanistica deliberata.
L'art. 78 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (a
sensi del quale "gli amministratori di
cui all'art. 77, comma 2, devono astenersi
dal prendere parte alla discussione ed alla
votazione di delibere riguardanti interessi
propri o di loro parenti o affini sino al
quarto grado. L'obbligo di astensione non si
applica ai provvedimenti normativi o di
carattere generale, quali i piani
urbanistici, se non nei casi in cui sussista
una correlazione immediata e diretta fra il
contenuto della deliberazione e specifici
interessi dell'amministratore o di parenti o
affini fino al quarto grado"), impone
l’obbligo di astensione in tutti i casi in
cui i soggetti tenuti alla sua osservanza
siano portatori di interessi personali, che
possano trovarsi in posizione di
conflittualità o anche solo di divergenza
rispetto a quello, generale, affidato alle
cure dell'organo di cui fanno parte
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 17.07.2009 n. 1884 -
link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 05.10.2009 |
ã |
NOVITA' SUL SITO |
E' stato inserito il nuovo
bottone
dossier D.I.A.P.. |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Testo Unico della Sicurezza: disponibile la
tabella di sintesi degli adempimenti per i
cantieri e il testo vigente completo degli
allegati (link a
www.acca.it). |
dossier LEGGE CASA LOMBARDIA |
EDILIZIA PRIVATA: P.
Mantegazza,
APPUNTI sulla Legge Regionale 16.07.2009 n.
13 “Azioni straordinarie per lo sviluppo e
la qualificazione del patrimonio edilizio ed
urbanistico della Lombardia”
(link a www.cameramministrativacomo.it). |
EDILIZIA PRIVATA: W.
Fumagalli,
Il piano
casa lombardo
(AL n. 08-09/2009). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legge casa Lombardia, Attivo il servizio web
per i comuni.
Con la finalità di monitorare l'attuazione
della legge, è richiesta ai Comuni (art. 6,
comma 2) la segnalazione a Regione Lombardia
dei provvedimenti assunti entro il
15.10.2009 ai sensi dell' art. 5, commi 4 e
6. Per semplificare tale incombenza è stato
realizzato un servizio WEB dedicato, analogo
a quello già attivo per il Sistema
Informativo Lombardo della VAS. Gli utenti
già registrati a questo servizio possono
utilizzare la stessa password (link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
GURI - GUEE - BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 39 del
28.09.2009, "Determinazioni in merito
alle modalità per il sostegno finanziario
degli Enti locali e degli Enti gestori delle
aree regionali protette per l'esercizio
delle funzioni paesaggistiche loro
attribuite - Integrazioni alla d.g.r. n.
9964/2009 (art. 79, l.r. n. 12/2005)" (deliberazione
G.R. 16.09.2009 n. 10173 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 39 del
28.09.2009, "Determinazioni in merito
alle procedure per la realizzazione e la
valorizzazione delle opere d'arte negli
edifici pubblici - Schemi-tipo dei bandi di
concorso e delle convenzioni con i
proprietari delle opere d'arte (legge n.
717/1949; d.g.r. n. 8852/2008)"
(deliberazione
G.R. 16.09.2009 n. 10167 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
L. Oliveri,
Progressioni verticali, addio da subito
anche negli enti locali (link a
www.lexitalia.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Nicoletti,
La riforma dei servizi pubblici locali;
prime valutazioni sul D.L. 25.09.2009 n. 135
(link a www.dirittodeiservizipubbli.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
R. Chieppa,
Il regime dell'invalidità del provvedimento
amministrativo (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CORTE DEI CONTI |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire
intoccabile. Il comune non può esentare i
cittadini dal pagare gli oneri.
Parere della Corte dei conti per il Piemonte
fa chiarezza sulle disponibilità degli enti
locali.
Un comune non può esentare i cittadini dal
pagamento degli oneri correlati al permesso
di costruire, nemmeno se la possibile
esenzione è finalizzata alla promozione del
territorio locale. Infatti, dalle
disposizioni contenute nel testo unico in
materia edilizia (il dpr n. 380/2001), si
evince chiaramente che l'onerosità delle
trasformazioni urbanistico-edilizie
costituisce la regola e non un'eccezione. Il
principio-cardine secondo il quale non può
procedersi ad un'esenzione dei citati oneri,
infatti, sta nell'evidenza che il peso
economico-finanziario di un'operazione di
trasformazione edilizia non può essere a
carico della collettività (vale a dire le
minori entrate che da tale operazione si
riflettono sul bilancio comunale), ma deve
ricadere sul soggetto che la richiede,
perché è da questa operazione che egli ne
trae benefici.
È quanto ha ammesso a chiare lettere la
sezione regionale di controllo della Corte
dei Conti per il Piemonte, nel testo del
parere 15.09.2009 n. 40, con il quale ha fatto chiarezza
sulla eventuale disponibilità dell'ente
locale sulle entrate derivanti dal rilascio
del permesso di costruire, ai sensi
dell'articolo 16 del citato Testo unico
sull'edilizia. Disponibilità che, nel caso
di specie, si tradurrebbe in una sorta di
«condono» sul permesso di costruire per quei
soggetti che trasformano fabbricati per
avviarne una struttura turistico-ricettiva.
IL PARERE
Nei fatti oggetto della pronuncia della
magistratura contabile piemontese in
osservazione, il comune di Moriondo Torinese
ha formulato una richiesta di parere
riguardante un'iniziativa di promozione del
territorio. Nell'istanza, l'amministrazione
comunale intendeva prevedere l'esenzione dal
pagamento degli oneri per le
ristrutturazioni ed altri interventi di
recupero su fabbricati da destinare a «bed &
breakfast». Un beneficio, quello nelle
intenzioni del comune, che sarebbe stato
subordinato all'effettiva apertura della
struttura entro un congruo termine dalla
conclusione dei lavori ed al mantenimento di
tale destinazione per un lasso di tempo
determinato, pena la decadenza dal
beneficio. Stante così il quadro
dell'operazione che il comune intendeva
avviare, il vertice dello stesso richiedeva
alla Corte dei conti di volersi pronunciare
in merito alla «liceità contabile»
dell'iniziativa».
LA RISPOSTA DELLA CORTE
Nessuna esenzione è possibile, ha risposto
la Corte dei conti. Con riguardo, infatti,
al testo unico in materia edilizia,
all'articolo 16 si stabilisce che “il
rilascio del permesso di costruire comporta
la corresponsione di un contributo
commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione», secondo modalità che la stessa
norma di legge definisce chiaramente.
Il semplice richiamo a questa norma, si
legge nel testo del parere in esame, mette
in evidenza un particolare fondamentale.
Vale a dire che l'onerosità delle
trasformazioni urbanistico-edilizie
costituisce la regola e non certo
un'eccezione. Una regola, si ammette, che ha
la sua ratio nel principio secondo il quale
il peso economico-finanziario derivante da
una trasformazione urbanistico-edilizia non
deve gravare interamente sulla comunità
locale, che dovrà farsi carico delle
relative minori entrate nei capitoli del
bilancio comunale, bensì sul soggetto che
effettua la trasformazione, dalla quale egli
non può che trarne benefici (articolo
ItaliaOggi 02.10.2009, pag. 14). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA: VOTAZIONE
FRAZIONATA DI UNA VARIANTE AL PRG.
1.- P.R.G. - Variante -
Votazione frazionata su singole parti di
piano - Ammissibilità.
2.- P.R.G. - Variante - Adozione in
votazioni frazionate - Esclusione - Casi -
Fattispecie.
3.- Procedimento amministrativo -
Impugnazione atti - Carattere costitutivo
degli effetti - Atto complesso -
Annullamento atto di adozione P.R.G. -
Efficacia su successivo atto di approvazione
- Caducante.
4.- P.R.G. - Mancata impugnazione di atti
successivi applicativi delle previsioni di
piano - Sopravvenuta carenza di interesse a
ricorrere contro gli atti di pianificazione
- Non sussiste.
1.-
Il procedimento di votazione frazionata deve
ritenersi legittimo. Ciò nella
considerazione che non è rinvenibile
nell'ordinamento una disposizione che vieti
siffatta modalità di votazione. Di contro
tale soluzione appare ragionevole e
realistica, se si tiene presente la
situazione dei piccoli comuni ed in
particolare di quello di specie, in cui gran
parte dei consiglieri e loro parenti e
affini sono proprietari di terreni incisi
dalle previsioni urbanistiche, posto che,
ove non si consentisse detta votazione
frazionata, sarebbe sostanzialmente
impossibile per detti comuni procedere
all'adozione di strumenti urbanistici
generali. Ne conseguirebbe altresì una
violazione del principio di democraticità,
in quanto la formazione degli strumenti
urbanistici, nei predetti comuni, non
sarebbe quasi mai riconducibile alla scelta
della collettività locale, ma a quella di un
organo esterno -il commissario ad acta- che
necessariamente dovrebbe intervenire in via
sostitutiva.
2.-
L'adozione della variante in votazioni
frazionate e separate di singoli segmenti
della nuova disciplina urbanistica non
risulta corretta qualora, non sia
accompagnata da un'analisi complessiva del
suo contenuto globale. (Nella fattispecie in
esame, l'analisi complessiva del contenuto
globale della nuova disciplina urbanistica
appare individuabile proprio all'interno
delle due deliberazioni impugnate).
3.-
Il piano regolatore, una volta adottato,
nella misura in cui è suscettibile di
applicazione, è atto immediatamente lesivo e
direttamente impugnabile, ancorché la sua
impugnazione costituisca una facoltà e non
un onere, allo stesso modo e alle stesse
condizioni in cui ciò avverrebbe in caso di
un piano approvato. Agli effetti, infatti,
della configurabilità di un atto come
provvedimento impugnabile, ciò che rileva
non è la sua collocazione al termine del
procedimento, bensì il carattere costitutivo
degli effetti, che all'atto stesso si
ricollegano. Con la precisazione che
l'eventuale annullamento dell'atto di
adozione, comportando il venir meno di uno
degli elementi necessari di un atto
complesso il cui procedimento si conclude
solo con l'approvazione, esplica effetti
automaticamente caducanti e non meramente
vizianti sul successivo provvedimento di
approvazione, nella parte in cui lo stesso
si limita a confermare le previsioni già
contenute nel piano adottato e fatto oggetto
di impugnativa.
4.-
Si deve escludere che la mancata
impugnazione di atti successivi applicativi
delle previsioni di piano lesive ed
impugnate tempestivamente possa condurre a
ritenere venuto meno l'interesse a ricorrere
contro gli atti di pianificazione in quanto
l'effetto di annullamento del piano permette
al ricorrente di ripresentare una domanda di
rilascio del titolo edilizio (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.09.2009 n. 4744 -
link a
http://mondolegale.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sui presupposti necessari per il
riconoscimento della legittimazione ad agire
in giudizio a favore di una associazione non
riconosciuta di protezione ambientale.
Le associazioni ambientali riconosciute sono
legittimate ad agire solo nell'articolazione
nazionale ma non in quelle regionali. Un
gruppo di cittadini che documenti il danno
al patrimonio dalla realizzazione di un
impianto produttore di energia è legittimato
a ricorrere.
Mentre è pacifica, perché positivizzata in
norma, la legittimazione a ricorrere delle
associazioni ambientalistiche riconosciute,
in forza del combinato disposto dell'art. 13
e dell'art. 18, c. 5, della l. 18.07.1986 n.
349 istitutiva del Ministero dell'Ambiente,
il titolo processuale legittimante delle
associazioni non riconosciute va ricercato:
nel carattere non occasionale o strumentale
alla proposizione di una determinata
impugnativa; nello stabile collegamento col
territorio, consolidatosi nel tempo, che
deve presuntivamente escludersi in caso di
associazioni costituite pochi giorni prima
della proposizione del ricorso; nella
rappresentatività della collettività locale
di riferimento, requisito quest'ultimo, che
non può prescindere dalla considerazione,
quanto meno indiziaria, del numero delle
persone fisiche costituenti l'associazione.
Pertanto, le associazioni di protezione
ambientale sono legittimate ad agire in
giudizio solo se documentano
rappresentatività e stabile collegamento e
tale non è, nel caso di specie,
un'associazione formata da 9 persone e
costituita 18 giorni prima del ricorso.
Le associazioni ambientali riconosciute sono
legittimate ad agire solo nell'articolazione
nazionale ma non in quelle regionali. La
speciale legittimazione ad agire delle
associazioni di protezione e tutela
ambientale nei giudizi impugnatori diretti
contro provvedimenti in materia di ambiente
concerne le "associazioni di protezione
ambientale nazionali, formalmente
riconosciute e non le loro strutture o
articolazioni territoriali, che non
rispondono ai requisiti posti dagli artt. 13
e 18, comma 5, della legge 1986 n. 349
La legittimazione di una persona fisica ad
impugnare atti di localizzazione di
discariche e di impianti di trattamento e
smaltimento di rifiuti solidi urbani non
discende dalla mera vicinanza
dell'abitazione ad una discarica, ma è
subordinata alla prova del danno che il
ricorrente riceve nella sua sfera giuridica
o per il fatto che la localizzazione
dell'impianto riduce il valore economico del
fondo situato nelle sue vicinanze, o perché
le prescrizioni dettate dall'autorità
competente in ordine alle modalità di
gestione dell'impianto sono inidonee a
salvaguardare la salute di chi vive nelle
sue vicinanze.
Il procedimento definito dall'art. 12 del
d.lgs. n. 387/2003, dominato dalla
conferenza di servizi e inteso al rilascio
dell'autorizzazione unica alla realizzazione
di impianti produttori di energia dallo
sfruttamento di FER (fonti energetiche
rinnovabili: biomasse, impianti eolici e
quant'altro) ha carattere omnicomprensivo ed
assorbe ogni altro procedimento previsto
dalle leggi regionali e volto alla verifica
o alla valutazione dell'impatto ambientale,
poiché la conferenza di servizi è la sede
nella quale le varie amministrazioni
preposte alla tutela dei beni ambientali,
paesaggistici e storico-artistici debbono
esternare le loro valutazioni tecniche, non
consentendo il generico richiamo di cui
all'art. 12 citato al rispetto delle
normative vigenti in tema di tutela
dell'ambiente, del paesaggio e del
patrimonio storico artistico, di essere
inteso come salvezza anche dei moduli
procedimentali di settore che secondo la
previgente legislazione erano intesi alla
salvaguardia di quei valori. Si è
incisivamente anche puntualizzato che "ai
sensi dell'art. 12, d.lgs. 29.12.2003 n.
387, il legislatore ha inteso favorire le
iniziative volte alla realizzazione degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili,
semplificando il relativo procedimento
autorizzativo e concentrando l'apporto
valutativo di tutte le Amministrazioni
interessate nella conferenza di servizi ai
fini del rilascio di un'autorizzazione
unica. La valutazione di impatto ambientale
non è affatto esclusa dalla novella di cui
all'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, ma va
effettuata in seno alla conferenza di
servizi, pena la vanificazione del termine
di 180 giorni entro il quale la stessa deve
concludersi.
E' principio generale del diritto
amministrativo quello secondo il quale il
contenuto determinativo di un provvedimento
è costituito non solo dalla parte
dispositiva ma anche dalla parte
prescrittiva, rappresentata dall'insieme
delle prescrizioni che circondano il
rilascio di un titolo autorizzatorio ed
entrano a far parte del dispositivo
dell'atto, il quale va giudicato, in
rapporto al parametro normativo di
riferimento, nella sua integralità
determinativa, costituita anche dalle
prescrizioni imposte al soggetto
beneficiario del provvedimento ampliativo,
conseguendone la legittimità di
un'autorizzazione alla realizzazione di un
impianto alimentato da FER qualora la stessa
rechi la tassativa e vincolante prescrizione
che per l'alimentazione e il funzionamento
della centrale debbano essere impiegate solo
biomasse vegetali trattate meccanicamente,
con esclusione di prodotti qualificabili
come rifiuto. Poco importa poi se in fase di
attuazione del provvedimento autorizzatorio
il beneficiario non ottemperi alla riferita
prescrizione: il comportamento divergente ed
inadempiente del destinatario non si
riverbera ex post sulla legittimità del
provvedimento amministrativo autorizzatorio,
che riamane invulnerata, potendo e dovendo
l'inottemperanza de qua rilevare in
occasione e sede di controlli che
l'Amministrazione potrà effettuare, il cui
negativo esito potrà condurre anche alla
revoca sanzionatoria dell'autorizzazione
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 25.09.2009 n. 2292 -
link a www.dirittodeiservizipubbli.it). |
URBANISTICA: Le
scelte urbanistiche che l'Amministrazione
compie per la disciplina del territorio
comunale non comportano di regola la
necessità di una specifica motivazione che
tenga conto delle aspirazioni dei privati.
Il Collegio osserva che le scelte
urbanistiche costituiscono apprezzamento di
merito sottratto al sindacato di
legittimità, salvo che non siano inficiate
da errori di fatto, da travisamento o da
abnormi illogicità e contraddittorietà (Cfr.
tra le tante, Cons. St., Ad. plen.,
22.12.1999, n. 24; IV, 25.07.2001, n. 4077;
22.05.2000, n. 2934; 09.01.2000, n. 245
cit.; 08.02.1999, n. 121; TAR Lombardia,
Brescia, 28.06.1990, n. 770, TAR Toscana, I
Sez., 27.01.1994, n. 39; TAR Friuli-Venezia
Giulia, 24.09.1994, n. 349; TAR Abruzzo,
Pescara, 11.07.1998, n. 496); in
particolare, è stato deciso che la
destinazione data con lo strumento
urbanistico ad un’area o ad una zona del
territorio comunale e le connesse
valutazioni dell'Amministrazione non
necessitano di apposita motivazione, oltre a
quella che si può evincere dai criteri
generali di ordine tecnico-discrezionale
seguiti nell’impostazione del piano stesso:
criteri che possono essere desunti anche
dagli elaborati tecnici che lo accompagnano,
richiamati dal provvedimento conclusivo
(Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 22.12.1999, n.
24 ,cit.; IV, 25.07.2001, n. 4077, cit.;
09.01.2000, n. 245 cit.; 08.02.1999, n. 121,
cit.; IV, 12.06.1995, n. 439; 04.03.1993, n.
240; IV Sez., 11.12.1979, n. 1141).
Detto questo, ritiene il Collegio di dovere,
altresì, richiamare il consolidato -e
risalente- orientamento giurisprudenziale,
secondo il quale le scelte urbanistiche che
l'Amministrazione compie per la disciplina
del territorio comunale non comportano di
regola la necessità di una specifica
motivazione che tenga conto delle
aspirazioni dei privati (Cfr. per tutte,
Cons. St., Ap., 21.10.1980, n. 37; IV Sez.,
11.01.1985, n. 2; IV Sez., 02.07.1983, n.
488).
Tale principio (che comunque non preclude al
giudice amministrativo di verificare se le
scelte operate siano irrazionali o
manifestamente illogiche e contraddittorie)
è operante anche quando l'Autorità
urbanistica adotti una variante, anche
generale, al piano vigente (Cfr. Cons. St.,
IV Sez., 30.06.1993, n. 642; IV Sez.,
02.07.1983, n. 488), sulla base di una
diversa valutazione delle esigenze pubbliche
(Cfr., Cons. St., IV Sez., 20.03.1985, n.
96), essendo sufficiente l'espresso
riferimento alla relazione d'accompagnamento
al progetto di modificazione (Cfr. Cons.
St., IV Sez., 04.03.1993, n. 240; IV Sez.,
11.12.1979, n. 1141), pur quando essa
disponga vincoli sulla proprietà privata,
prevedendone l'espropriazione o la
inedificabilità assoluta.
I suesposti principi in tema di motivazione
degli strumenti urbanistici, ribaditi
dall'art. 3, secondo comma, della legge
07.08.1990, n. 241 (in base al quale: ”…….La
motivazione non è richiesta per gli atti
normativi e per quelli a contenuto
generale”…), subiscono, però, un
correttivo –così è stato stabilito da una
giurisprudenza lontana nel tempo, ma che
ancora oggi incontra un significativo
seguito- quando particolari situazioni
abbiano creato aspettative qualificate o
concreti affidamenti (Cfr. Cons. St., IV
Sez., 04.09.1985, n. 328; IV Sez.,
13.04.1984, n. 243) in favore di soggetti,
le cui posizioni appaiono meritevoli di
speciale considerazione (Cfr., Cons. St., IV
Sez., 13.05.1992, n. 511; IV Sez.,
27.04.1989, n. 267; TAR Friuli Venezia
Giulia, 20.12.2003, n. 892).
La giurisprudenza ha da tempo avvertito che
l'Autorità urbanistica può esercitare i
propri poteri di modifica di un piano
urbanistico, solo se sussistono adeguate
ragioni di pubblico interesse, da esternare
in una specifica motivazione:
- quando le scelte urbanistiche incidano su
di un’area considerata edificabile in un
precedente strumento urbanistico (Cfr. Cons.
St., Ad. plen., 21.10.1980, n. 37 e II Sez.,
25.10.1989, n. 864; TAR Friuli Venezia
Giulia, 20.12.2003, n. 892, cit.; TAR
Campania, 02.11.1999, n. 2811; TAR
Emilia-Romagna, 22.04.1999, n. 148);
- allorché l'Amministrazione non ritenga di
poter più mantenere fede agli impegni
assunti con la stipula di una convenzione di
lottizzazione (Cfr., Cons. Stato, IV Sez.,
22.05.2000, n. 2934; 26.05.1998, n. 886;
13.07.1993, n. 711; id. IV Sez., 14.05.1993,
n. 531; id. IV Sez., 01.07.1992, n. 653);
- in presenza di una sentenza dichiarativa
dell'obbligo per la stessa Amministrazione
di provvedere alla stipula della convenzione
dopo che questa sia stata approvata (Cfr.,
Cons. Stato, V Sez., 08.09.1992, n. 776); i
- n presenza di un giudicato di annullamento
di un diniego di rilascio di concessione di
costruzione (Cfr., Cons. Stato, Ad. plen.,
08.01.1986, n. 1; IV Sez., 22.05.2000, n.
2934 cit.);
- in caso di superamento degli standard
minimi di cui al D.M. 02.04.1968 (Cfr.,
Cons. St., Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24; IV
Sez., 22.05.2000, n. 2934 cit.) (TAR Friuli
Venezia Giulia,
sentenza 24.09.2009 n. 669 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva e terzi
acquirenti.
La confisca prevista per il reato di
lottizzazione abusiva costituisce una
sanzione amministrativa e non una misura di
sicurezza penale di natura patrimoniale. La
natura amministrativa di detta confisca non
ne esclude, però, il carattere sanzionatorio
con la conseguente necessità di tener conto
dei principi generali che regolano
l‘applicazione anche delle sanzioni
amministrative.
Orbene, è indubbio che anche con riferimento
alle sanzioni amministrative esulano dalla
materia criteri di responsabilità oggettiva,
essendo richiesta, quale requisito
essenziale di legalità per la loro
applicazione, l’esistenza di una condotta
che risponda ai necessari requisiti
soggettivi della coscienza e volontà
dell’agente e sia caratterizzata quanto meno
dall’elemento psicologico della colpa. Né la
confisca di cui si tratta può essere
ricondotta ad alcuna delle ipotesi di
responsabilità solidale.
L’acquirente, dunque, non può sicuramente
considerarsi, solo per tale sua qualità,
terzo estraneo al reato di lottizzazione
abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché
compartecipe al medesimo accadimento
materiale, dimostrare di avere agito in
buona fede, senza rendersi conto, cioè -pur
avendo adoperato la necessaria diligenza
nell’adempimento dei doveri di informazione
e conoscenza- di partecipare ad
un’operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l’acquirente sia consapevole
del carattere abusivo dell’intervento -o
avrebbe potuto esserlo spiegando la normale
diligenza- la sua condotta si lega con
intimo nesso causale a quella del venditore
ed in tal modo le rispettive azioni,
apparentemente distinte, si collegano tra
loro e determinano la formazione di una
fattispecie unitaria ed indivisibile,
diretta in modo convergente al conseguimento
del risultato lottizzatorio (di analogo
contenuto Sez. III n. 36844 del 22.09.2009,
Contò) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 22.09.2009 n. 36845 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Responsabilità
proprietario dell’area.
Nell'ipotesi in cui il terreno viene
concesso in uso per l’esercizio di
un’attività soggetta ad autorizzazione e la
cui disciplina configura come fattispecie
penali la violazione delle relative
prescrizioni, incombe sul proprietario
l’obbligo, anche al fine di assicurare la
funzione sociale riconosciuta dall’art. 42
della Costituzione al diritto di proprietà,
di verificare che l’utilizzazione
dell’immobile avvenga nel rispetto della
legalità, e, quindi, che il terzo, cui ha
concesso in uso il terreno, sia in possesso
dell’autorizzazione necessaria per
l’attività di gestione di rifiuti che su
detto terreno viene effettuata e rispetti le
prescrizioni in essa contenute. In tale
caso, invero, il proprietario non solo è a
conoscenza, ma ha contribuito attivamente
alla verificazione della fattispecie penale,
concedendo l’uso dell’immobile a tale scopo.
Pertanto, anche escludendosi il concorso
dell’imputato con il titolare dell’azienda
avicola, giudicato separatamente,
nell’attività di smaltimento dei rifiuti,
correttamente ne è stata egualmente
affermata la responsabilità, per quanto
rilevato in ordine all’obbligo da parte del
locatore di impedire l’uso illecito della
cosa locata, allorché ne sia consapevole o
possa esserne consapevole mediante
l’ordinaria diligenza, in applicazione del
disposto di cui all’art. 40, comma secondo,
c.p. (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.09.2009 n. 36836 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Sanatoria e requisito della
doppia conformità.
Secondo il dato testuale di cui all’art. 36,
primo comma, del DPR n. 380/2001, ai fini
del rilascio del permesso di costruire in
sanatoria, é necessario che l’opera eseguita
abusivamente risponda al requisito della
cosiddetta doppia conformità e, cioè, che la
stessa sia conforme agli strumenti
urbanistici vigenti sia al momento della sua
realizzazione che a quello della emissione
del provvedimento.
In mancanza di tale duplice requisito deve
escludersi che il provvedimento di sanatoria
possa esplicare l’effetto estintivo del
reato previsto dall’art. 45, comma terzo,
del DPR n. 380/2001 (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 21.09.2009 n. 36350 -
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APPALTI: ANNOTAZIONI
PRESSO L'OSSERVATORIO DEI CONTRATTI PUBBLICI
RELATIVI A LAVORI, SERVIZI E FORNITURE.
1.- Partecipazione e
qualificazione - Requisiti generali -
Mancanza - Esclusione - Comunicazione
all'Osservatorio dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture.
2.- Partecipazione e qualificazione -
Requisiti generali - Mancanza -
Comunicazione all'Osservatorio dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture - Funzione - Discrezionalità - Non
sussiste.
3.- Partecipazione e qualificazione -
Requisiti generali - Mancanza - Impugnazione
atto esclusione dalla gara - Interesse -
Sussiste.
4.- Partecipazione e qualificazione -
Requisiti generali - Mancanza - Atto di
esclusione dalla gara - Presupposto
all'iscrizione nel Casellario informatico -
Onere di impugnazione - Sussiste -
Fattispecie.
1.-
L'esclusione da una pubblica gara per
l'affidamento di appalto per dichiarazione
mendace nel corso della stessa, oltre a
determinare l'estromissione dalla gara, fa
sorgere, altresì, l'obbligo per le stazioni
appaltanti di comunicazione all'Osservatorio
dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture di cui all'art. 7,
codice degli appalti, che riceve tutte le
notizie che riguardino le imprese
qualificate e le gare cui esse partecipino,
il che è condizione sufficiente per
l'attivazione del procedimento che si
conclude con l'annotazione nel Casellario
informatico dei contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture istituito presso
l'Osservatorio ai sensi del citato art. 7 co.
10; per tale ultimo aspetto, se da un lato
assume importanza fondamentale per l'impresa
conoscere le ragioni in forza delle quali è
stata disposta l'esclusione, dall'altro è
indubitabile come la stessa, avuta contezza
di ciò, se ritiene priva di fondamento
giuridico, oltre che fattuale, la rilevata
violazione, non possa fare altro che
attivare i rimedi previsti dall'ordinamento
per la rimozione degli effetti di tale
esclusione, in quanto gli stessi non sono
circoscrivibili alla sola espulsione dalla
procedura concorsuale, ma estensibili anche
agli ulteriori effetti che l'ordinamento
stesso ha previsto.
2.-
La natura dell'attività posta in essere
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture in
sede di inserimento dei dati nel casellario
informatico sulla base delle segnalazioni
pervenute, è da considerarsi meramente
esecutiva, con la conseguenza che, nella
struttura della norma dell'art. 27, D.P.R.
25.01.2000 n. 34, non compete all'Autorità
una verifica preliminare dei contenuti
sostanziali delle segnalazioni, ad eccezione
della verifica di riconducibilità delle
stesse alle ipotesi tipiche elencate dalla
norma medesima ; peraltro, mancando ogni
discrezionalità in capo all'Autorità, è
escluso, altresì, l'obbligo di motivazione e
l'applicazione di istituti partecipativi
(comunicazione di avvio, contraddittorio).
3.-
Il concorrente in una gara d'appalto è
titolare di un vero e proprio interesse
sostanziale a non subire i pregiudizi
derivanti dalla segnalazione all'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture ed alla
successiva annotazione nel casellario
informatico della sua esclusione, sempre che
abbia assolto l'onere di impugnare il
provvedimento di esclusione da cui sia
evincibile la ragione a supporto della
relativa adozione.
4.-
Rispetto all'accertamento ed ai contenuti
propri dell'atto di revoca, i successivi
provvedimenti dell'amministrazione
costituiscono espressione di attività
vincolata, con la conseguenza che non è
possibile indirizzare verso gli stessi
censure che logicamente andavano rivolte
verso l'atto presupposto, con conseguente
declaratoria di inammissibilità del gravame
non proposto anche avverso l'atto lesivo (la
società ricorrente, pertanto, non poteva
considerarsi esonerata dall'onere di
impugnazione dell'atto lesivo, anche al fine
di evitare l'ulteriore effetto della
annotazione nel Casellario informatico, in
base al solo fatto che la Stazione
appaltante ha ritenuto per ragioni di
opportunità, e comunque del tutto estranee
alla odierna ricorrente, di annullare la
gara, dovendo considerarsi perdurante
l'interesse ad impugnare l'esclusione,
proprio al fine di far valere le ragioni che
oggi, invece, adduce avverso i soli atti
consequenziali alla determinazione
espulsiva) (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 21.09.2009 n. 9039 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Violazioni norme
di tutela del paesaggio e buona fede.
Nelle fattispecie contravvenzionali la buona
fede può acquistare giuridica rilevanza solo
a condizione che si traduca in mancanza di
coscienza dell'illiceità del fatto
(commissivo od omissivo) e derivi da un
elemento positivo, estraneo all’agente,
consistente in una circostanza che induca
alla convinzione della liceità del
comportamento tenuto.
La prova della sussistenza di un elemento
positivo di tal genere, però, deve essere
data dall’imputato, il quale ha anche
l’onere di dimostrare di avere compiuto
tutto quanto poteva per osservare la norma
violata (fattispecie in tema di violazione
di norme di tutela paesaggistica) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.09.2009 n. 36218 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Confisca.
La confisca prevista in tema di rifiuti dal
D.Lv. 152/2006 può essere applicata solo con
la sentenza di condanna o con quella di
patteggiamento e non pure con il decreto
penale di condanna (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 17.09.2009 n. 36063 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Dichiarazione dello stato di
emergenza e disciplina urbanistica.
La dichiarazione dello stato di emergenza
non comporta una "sospensione" dell’intero
ordinamento giuridico che regola le attività
amministrative delle zone colpite, ma solo
la sospensione di alcune situazioni
giuridiche strettamente connesse alla
calamità naturale e desumibili dai
presupposti e dalle finalità che
caratterizzano la legge 225 del 1992 (e l’O.P.C.M.
del Luglio 2006).
In tale contesto l’impatto sulle regole
urbanistiche e edilizie non discende da
interventi diretti sui PRG, ma dalle
modifiche alla normativa di salvaguardia,
che ha valenza sovraordinata rispetto alla
disciplina urbanistica (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 17.09.2009 n. 36050 -
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URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva e modifica
della destinazione d’uso.
Può configurare il reato di lottizzazione
abusiva la modifica di destinazione d’uso di
un complesso alberghiero, realizzata
attraverso la vendita di singole unità
immobiliari a privati, allorché
(indipendentemente dal regime proprietario
della struttura) non sussiste una
organizzazione imprenditoriale preposta alla
gestione dei servizi comuni ed alla
concessione in locazione dei singoli
appartamenti compravenduti secondo le regole
comuni del contratto di albergo, atteso che
in tale ipotesi le singole uniti perdono la
loro originaria destinazione d’uso
alberghiera per assumere quella residenziale
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.09.2009 n. 35708 -
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EDILIZIA PRIVATA: La
semplice difficoltà tecnico/economica non
giustifica la richiesta di proroga del
termine triennale entro cui terminare i
lavori della concessione edilizia.
Per accordare al concessionario una proroga
del termine triennale di ultimazione dei
lavori, il Collegio richiama la consolidata
giurisprudenza che individua come ragione
giustificativa del mancato rispetto del
termine esclusivamente fatti estranei alla
sfera personale del concessionario (cfr.
Cons. Stato, IV, 1738/2005), quali il
factum principis o la forza maggiore
(Tar Genova, 1200/2007), con la conseguenza
che –in mancanza di tali eventi– la
pronuncia di decadenza si atteggia ad atto
vincolato basato su un mero accertamento
oggettivo (Tar Lazio Roma, 13996/2004).
Fatta questa premessa, non può assurgere al
rango di “fatto sopravvenuto estraneo
alla volontà del concessionario” la
semplice difficoltà tecnico/economica
adombrata da parte ricorrente nell’istanza
di proroga, laddove si fa riferimento alla
avvenuta “liquidazione” (per non
meglio chiarite ragioni) di una società
affiliata al Consorzio incaricata della
coesecuzione dei lavori.
Infatti, la richiamata “liquidazione”
–pur se sopravvenuta– non rientra nel novero
dei fatti estranei alla “sfera di governo”
della ricorrente, che ben avrebbe potuto
invece adoperarsi per assumere in toto la
gestione del cantiere o per trovare un
impresa sostitutiva.
In proposito, si richiama una decisione di
questo Tar (n. 1494/2003) con la quale è
stato espressamente escluso che il
fallimento della società concessionaria
(evento, per certi versi simile a quello
dedotto dall’odierna ricorrente) possa
costituire evento valutabile ai fini della
proroga del termini ex art. 36, co. 12, L.R.
71/1978
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 15.09.2009 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di ristrutturazione si distingue da
quella di nuova costruzione per la necessità
che la ricostruzione sia identica per
sagoma, volumetria e superficie al
fabbricato demolito.
La nozione di ristrutturazione, sebbene
ulteriormente estesa per effetto delle
disposizioni contenute nell'art. 3 d.P.R.
06.06.2001 n. 380, si distingue ora pur
sempre da quella di nuova costruzione per la
necessità che la ricostruzione sia identica
per sagoma, volumetria e superficie al
fabbricato demolito (TAR Marche, 07.04.2006,
n. 139; Consiglio Stato, sez. V, 01.04.2006,
n. 2085)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 11.09.2009 n. 4949 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
lavori di rifacimento di ruderi, di un
edificio già da tempo demolito o diruto sono
qualificabili come nuova costruzione.
Per giurisprudenza pacifica, anche di questo
Collegio, i lavori di rifacimento di ruderi,
di un edificio già da tempo demolito o
diruto sono qualificabili come nuova
costruzione, con necessità di un'apposita
concessione edilizia o titolo
corrispondente, secondo la vigente
normativa.
E nel concetto giuridico di rudere rientra,
senza dubbio, il caso di specie relativo al
rifacimento di un organismo edilizio dotato
di sole mura perimetrali, e privo di
copertura, con conseguente non invocabilità
nel caso in esame della disposizione
urbanistica che consente il mantenimento dei
volumi preesistenti, e quindi la mera
ristrutturazione e non la nuova costruzione
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 11.09.2009 n. 4949 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: RICHIESTA
DI RISARCIMENTO A SEGUITO DELLA CONDOTTA
DELL’AMMINISTRAZIONE.
1- Giurisdizione
amministrativa – Esclusiva – Risarcimento
dei danni – Criteri – Accertata
illegittimità dei provvedimenti
amministrativi – Condotta colposa
dell’Amministrazione – Obbligo risarcitorio
– Non è consequenziale – Ratio - Va
dimostrato che l'apparato amministrativo ha
posto in essere una condotta non diligente.
2- Atto amministrativo – Attività di
controllo – Annullamento per difetto di
motivazione – Presupposto dell’azione
risarcitoria – Occorre una nuova
rideterminazione dell’Amministrazione.
1-
L'accertata illegittimità del provvedimento
amministrativo non integra di per sé gli
estremi della condotta colposa, cui
ricollegare automaticamente l'obbligo
risarcitorio, dovendosi prendere in
considerazione, a tal fine, il comportamento
complessivo degli organi che sono
intervenuti nel procedimento, il quadro
delle norme rilevanti ai fini dell'adozione
della statuizione finale, la presenza di
possibili incertezze interpretative in
relazione al contenuto prescrittivo delle
disposizioni medesime (Consiglio di Stato,
sez. IV, 30.01.2009, n. 515 e 24.12.2008, n.
6538).
In applicazione di tali principi di
carattere generale, i più recenti arresti
della giurisprudenza amministrativa hanno,
più nello specifico, statuito che:
a) a sostegno della propria domanda
risarcitoria, il privato non può limitarsi
ad invocare la sola illegittimità del
provvedimento amministrativo configurandosi,
in tal caso, una inammissibile presunzione
di colpa in capo alla P.A. (Consiglio di
Stato Adunanza Plenaria 03.12.2008, n. 13);
b) affinché si configuri una responsabilità
dell'apparato amministrativo procedente,
l'accertamento dell'illegittimità del
provvedimento costituisce presupposto
necessario, ma non sufficiente; a tal fine,
l'imputazione dell'elemento dannoso a titolo
di dolo o colpa della stessa P.A. è da
ritenersi sussistente, altresì, nell'ipotesi
in cui l'azione dell'Amministrazione sia
caratterizzata da negligenza
nell'interpretare ed applicare la vigente
normativa (TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
03.02.2009, n. 256; TAR Campania-Napoli,
Sez. III, 03.02.2009, n. 572; Consiglio di
Stato, Sezione Sesta, 18.03.2008 n. 1113);
c) in tema di accertamento della
responsabilità della Pubblica
amministrazione, spetta al Giudice valutare
la configurabilità concreta della colpa in
relazione ad ogni singola fattispecie e,
inoltre, in presenza di ampi poteri
discrezionali della P.A. e in assenza di
specifici elementi presuntivi, è necessario
uno sforzo probatorio ulteriore, gravante
sul danneggiato (TAR Lazio, Sez. III-quater,
22.12.2008, n. 12198).
In sintesi, si può concludere che, quanto
all’elemento psicologico, va comunque
dimostrato che l'apparato amministrativo ha
posto in essere non solo una condotta
illegittima, ma una condotta non diligente,
ossia una condotta che, secondo l'esigibile
grado di competenza e professionalità della
organizzazione degli uffici, poteva essere
evitata, in funzione, invece, della condotta
dovuta.
2-
Nel caso in cui sia stato annullato un
provvedimento amministrativo per vizi
formali o, comunque, per difetto di
motivazione, la domanda di risarcimento del
danno non può essere valutata che all'esito
della nuova manifestazione di detto potere,
poiché la facoltà di rideterminazione che
residua in capo al soggetto pubblico esclude
il carattere di definitività del rapporto,
quale necessario presupposto dell'azione
risarcitoria (TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. II, 27.04.2005, n. 668) (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 11.09.2009 n. 1388 -
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PUBBLICO IMPIEGO:
Concorsi: illegittima la
valutazione dei titoli in forma numerica, se
i criteri di massima sono generici.
In materia di concorsi pubblici, è
illegittima, perché inidonea ad esternare le
ragioni che ne stanno alla base, la
valutazione dei titoli del candidato
espressa esclusivamente in forma numerica,
ove l'amministrazione abbia stabilito
criteri di massima estremamente generici,
nei quali non siano individuabili precisi
parametri di riferimento cui raccordare il
punteggio assegnato (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 10.09.2009 n. 5447 -
link a www.eius.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore. Strumenti di tutela.
La disposizione posta dall’art. 9 della
legge 447/1995 si riferisce ad eccezionali
ed urgenti necessità di tutela della salute
pubblica, non fronteggiabili nell’ambito
delle ordinarie funzioni di controllo
sull’osservanza della normativa vigente
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 10.09.2009 n. 5420 -
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ESPROPRIAZIONE: LE
RAGIONI "IMPLICITE" DELL'ESPROPRIAZIONE.
Espropriazione ed
occupazione - Procedimento - Avvio
espropriazione - Comunicazione
dell'approvazione del progetto di opera
pubblica - Necessarietà - Ragioni.
L'approvazione del progetto di opera
pubblica che valga come dichiarazione
implicita di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza, a mente
dell'art. 1, L. n. 1/1978, deve essere
preceduta dalla comunicazione dell'avvio del
procedimento (Cons. Stato, sez. IV,
22-03-2005 n. 1236; Cons. Stato, sez. VI,
11-05-2005 n. 2381; TAR Basilicata
02-02-2007 n. 3).
Il progetto dell'opera pubblica infatti non
scaturisce automaticamente dalle previsioni
degli strumenti urbanistici generali (o
attuativi), ma dipende da scelte progettuali
discrezionali rispetto alle quali non può
concepirsi che il proprietario espropriando
rimanga totalmente estraneo (TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 09.09.2009 n. 550 - link
a
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EDILIZIA PRIVATA:
Danno ambientale. Legittimazione
associazioni ambientaliste.
L’omessa allegazione di un danno diretto
all’ambiente non consente, in ultima
analisi, di ritenere sussistente la speciale
legittimazione di Legambiente, né a diverse
conclusioni può pervenirsi in forza della
previsione contenuta nel già citato art. 310
del codice dell’ambiente che, nel
configurare una generale legittimazione
delle associazioni di tutela ambientale,
limita oggettivamente detta legittimazione
all’impugnazione degli atti e dei
provvedimenti adottati in violazione delle
disposizioni di cui alla parte sesta del
codice medesimo, mentre le censure dedotte
nella fattispecie afferiscono alle norme che
regolano il servizio di gestione dei rifiuti
e alla ripartizione dei relativi costi (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.09.2009 n. 2258 -
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Ordinanza di rimozione.
L'art. 192, d.lgs. 03.04.2006 n. 192, non si
limita a riprodurre il tenore dell’abrogato
art. 14, d. lgs. 05.02.1997, n. 22 (cd.
decreto Ronchi) con riferimento alla
necessaria imputabilità a titolo di dolo o
di colpa, per l'obbligo di rimozione dei
rifiuti illecitamente abbandonati, ma
integra l'anzidetto precetto precisando che
tale ordine può essere adottato
esclusivamente in base agli accertamenti
effettuati, in contraddittorio con i
soggetti interessati, dai soggetti preposti
al controllo, con il palese intento di
rafforzare e promuovere le esigenze di
effettiva partecipazione dei potenziali
destinatari del provvedimento allo specifico
procedimento.
In merito alla titolarità del potere va
precisato che spetta al sindaco, ai sensi
dell'art. 192, comma 3, d.lgs. 03.04.2006 n.
152, norma speciale sopravvenuta rispetto
all'art. 107, comma 5, d.lgs. 18.08.2000, n.
267, la competenza a disporre con ordinanza
le operazioni necessarie per la rimozione e
lo smaltimento dei rifiuti abbandonati (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 02.09.2009 n. 4598 -
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RISARCIBILITA' DANNI: RESPONSABILITA'
AQUILIANA DEI COMUNI.
Responsabilità - Civile
- Responsabilità aquiliana - Comune -
Sussistenza - Presupposti necessari -
Conseguenze.
In materia di responsabilità
extracontrattuale ex art. 2043, Cod. Civ.,
l'obbligo del risarcimento a carico del
Comune può ammettersi solo in presenza di un
suo comportamento quanto meno colposo, a sua
volta non ravvisabile a seguito di qualsiasi
illegittimità che ha giustificato
l'annullamento dell'atto, ma quando la
violazione risulta grave e commessa in un
contesto di circostanze di fatto ed in un
quadro di riferimenti normativi e giuridici
tale da palesare la negligenza e l'imperizia
dell'organo nell'assunzione del
provvedimento viziato e, viceversa,
negandola quando l'indagine presupposta
conduce al riconoscimento di un errore
scusabile (come, ad esempio, in presenza di
contrasti giurisprudenziali o di incertezza
del quadro normativo di riferimento o di
complessità della situazione di fatto)
(Cons. Stato, sez. IV, 06-07-2004 n. 5012)
(TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 01.09.2009 n. 551 - link
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EDILIZIA PRIVATA: Sull'annullamento
del nulla-osta paesaggistico.
L’obbligo di comunicare l’avvio del
procedimento, previsto in relazione alla
generalità degli atti amministrativi
dall’art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 ed
espressamente ribadito per i procedimenti di
annullamento ministeriale dei nulla osta
paesaggistici rilasciati dai soggetti
delegati (o subdelegati) dall’art. 4, comma
1, del d.m. 13.06.1994 n. 495, è stato
eliminato dal successivo d.m. 19.06.2002 n.
165, ma è stato poi ripristinato dal decreto
legislativo 22.01.2004 n. 42, recante il
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio,
agli artt. 146 e 159, anche se attraverso la
speciale forma della comunicazione agli
interessati della trasmissione
dell’autorizzazione rilasciata da parte
dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo con l’avviso dell’avvio della fase
del controllo ministeriale (TAR Campania-Napoli, sez. IV, 17.02.2009, n.
832).
L’annullamento
da parte della Soprintendenza del nulla-osta
paesaggistico non può essere considerato
come la conclusione negativa di un complesso
iter procedimentale nel quale dovrebbero
trovare applicazione le disposizioni
procedurali di cui all’art. 10-bis l. n. 241
del 1990, quanto piuttosto alla stregua di
una fase ulteriore (ovvero di secondo grado,
secondo la terminologia utilizzata al
riguardo dalla Corte Costituzionale -
sentenza 05.11.1996 n. 383) la quale,
determinando la caducazione del precedente
nulla osta comunale, non potrebbe essere in
alcun modo assimilata alla reiezione di
un’istanza di parte la quale costituisce,
invece, l’oggetto della disciplina di cui
all’art. 10-bis citato (TAR Lazio Roma, sez.
II, 23.04.2008, n. 3505).
Il termine perentorio di 60 giorni entro il
quale la Soprintendenza deve esercitare il
potere di annullamento del nulla–osta
rilasciato dall’Amministrazione comunale è
legittimamente interrotto in caso di
richiesta di integrazione istruttoria
(Consiglio Stato, sez. VI, 20.12.2004, n.
8142), si deve ritenere che sia sufficiente
la sola emanazione della richiesta, da parte
dell’Autorità Statale, per interrompere il
decorso del termine de quo, restando
irrilevante la data, in cui la stessa
richiesta pervenga al destinatario.
Depone, in tal senso, anzitutto, il dato
letterale (si parla infatti, nel 2° comma
dell’art. 159 cit., di “richiesta di
integrazione documentale”, come
dell’atto, in grado d’interrompere il
decorso del termine in questione, laddove,
nel 3° comma della stessa disposizione di
legge, è espressamente prevista, al
contrario, la necessità della “ricezione
della relativa, completa documentazione”,
da parte della Soprintendenza); inoltre,
milita nel senso, patrocinato dal Collegio,
anche l’interpretazione pacificamente
adottata, in giurisprudenza, con riferimento
al decorso del termine di giorni 60, per
l’adozione del provvedimento di annullamento
da parte dell’organo ministeriale,
interpretazione orientata nel senso della
natura non ricettizia del medesimo
provvedimento e compendiata nella seguente
massima: “Il provvedimento di
annullamento del nulla–osta paesistico non
ha natura di atto recettizio, con la
conseguenza che il termine –perentorio– di
60 giorni previsto per la sua adozione
attiene al solo esercizio del potere di
annullamento da parte dell’Amministrazione
statale e non anche alla comunicazione o
notificazione ai destinatari del
provvedimento stesso” (Consiglio Stato,
sez. VI, 16.03.2009, n. 1531)
(TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 25.06.2009 n. 3316 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L’omessa comunicazione di avvio
del procedimento non è sempre un vizio.
La
comunicazione dell'avvio del procedimento
prevista dall'art. 7, l. 07.08.1990, n. 241,
non integra un obbligo di natura formale,
essendo preordinato, oltre che al detto
ruolo difensivo, anche alla formazione di
una più razionale volontà
dell'Amministrazione; sicché non può
ritenersi sussistere la violazione dell'art.
7 citato, quando l'istante non abbia
dimostrato che sarebbe stato in grado di
fornire elementi di conoscenza e giudizio
tali, secondo un giudizio a posteriori, da
conformare diversamente le scelte
dell'Amministrazione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 08.04.2009 n. 1864 -
link a www.altalex.com). |
URBANISTICA:
Sulla variante al P.R.G.
finalizzata al recupero urbanistico degli
insediamenti abusivi.
L'art. 29, L. 47/1985 prevede effettivamente
una potestà pianificatoria, tramite varianti
agli strumenti urbanistici generali,
finalizzati al recupero urbanistico degli
insediamenti abusivi, ma tale potestà non
solo compete alle Regioni, quanto
soprattutto prevede l'obbligo di "rispettare
gli interessi di carattere storico,
artistico, archeologico, paesistico,
ambientale, idrogeologico". La norma
quindi è nel senso che se recupero debba
esservi attraverso la pianificazione non può
certo realizzarsi conculcando valori
fondamentali, quali quello afferente al
patrimonio archeologico, costituente
elemento della "memoria della comunità
nazionale".
Il decreto di vincolo indiretto non è atto
regolamentare, ma immediatamente
prescrittivo e conformativo
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 08.04.2009 n. 1864 -
link a www.altalex.com). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Inquinamento da traffico e
omissione di atti d'ufficio.
Inquinamento dell’aria. Inquinamento da
traffico veicolare. Omissione di atti
d’ufficio. Getto pericoloso di cose. Artt.
110 e 328 c.p., 110, 40 comma 2, 81 e 674
c.p. Responsabilità Giuridica degli Enti
Territoriali. Poteri del Sindaco.
I poteri attribuiti dall’ordinamento
generale al sindaco in materia di traffico
veicolare e di inquinamento dell'aria,
consentono di affermare che la mancanza o la
inadeguatezza delle deliberazioni atte alla
prevenzione ed alla eliminazione di gravi
livelli di inquinamento dell'aria, e lesivi
pertanto del diritto alla salute umana, sono
suscettibili in determinati casi di
configurare i reati di cui agli artt. 328 e
674 c.p., di omissione di atti di ufficio e
di emissioni atte ad offendere la salute di
una pluralità di persone.
La responsabilità giuridica di intervenire
adeguatamente deve essere riconosciuta,
oltre che al sindaco, agli assessori ed in
generale a tutti gli organi che sono in
concreto dotati di poteri deliberativi,
nell'ambito di organismi amministrativi di
enti territoriali, essendo tutti questi
soggetti preposti a rilevanti settori del
governo del territorio urbano e circostante.
[...] (TRIBUNALE di Palermo, Uff. GUP,
sentenza 10.03.2009 - link a
www.lexambiente.it). |
APPALTI:
La mancanza di una dichiarazione
prevista ex lege comporta esclusione.
La mancata
dichiarazione -indipendentemente dalla
circostanza che il bando o lo schema della
domanda di partecipazione predisposti
dall’Amministrazione lo prevedessero
esplicitamente- avrebbe dovuto condurre
all’esclusione dell’impresa inottemperante
al predetto obbligo.
L’art. 17 della legge n. 68 del 1999 è una
disposizione con un chiaro contenuto di
ordine pubblico e la sua applicazione non
viene fatta dipendere dall’inserimento o
meno dell’obbligo ivi previsto fra le
specifiche clausole di concorso delle
singole gare; logica conseguenza è che il
bando che non contenga alcun riferimento
agli obblighi derivanti dalla norma
legislativa anzidetta, deve intendersi dalla
stessa comunque integrato
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.03.2009 n. 457 - link
a www.altalex.com). |
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