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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di APRILE 2009

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aggiornamento al 27.04.2009

aggiornamento al 20.04.2009

aggiornamento al 14.04.2009

aggiornamento al 06.04.2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 27.04.2009

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QUESITI

PUBBLICO IMPIEGOParere applicazione art. 92, comma 5 del D.Lgs. n. 163/2006 (incentivo alla progettazione interna).
Il sindaco del Comune (omissis), richiede parere in ordine all’applicazione dell’art. 92, comma 5, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), avente per oggetto: Corrispettivi, incentivi per la progettazione e fondi a disposizione delle stazioni appaltanti.
In particolare il sindaco sollecita l’avviso del servizio di consulenza regionale, sulla retroattività della norma, così come modificata, senza omettere che sull’argomento già sono stati espressi pareri discordanti da parte dell’ANCI, della Ragioneria generale dello Stato e di legali a vario titolo coinvolti (Regione Piemonte, parere 31/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATADisciplina edilizia concernente fasce di rispetto stradale.
E’ chiesto parere in merito alla disciplina edilizia concernente le fasce di rispetto stradali.
Il Comune richiedente, partendo dal presupposto che “il Codice Stradale equipara le strade vicinali alle strade comunali”, chiede di sapere, nel caso in cui “il P.R.G. preveda distanze diverse (20 mt. per le comunali e 10 mt. per le vicinali) e in sede di approvazione del P.R.G. la Regione abbia prescritto “fatto salvo il codice della strada”, quale distanza deve essere rispettata in caso di realizzazione di un edificio limitrofo ad una strada vicinale” e se sia possibile “realizzare costruzioni interrate nelle fasce di rispetto stradali” (Regione Piemonte, parere 22/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATASanatoria opere edilizie abusive.
Viene posto il problema di un’opera edilizia abusiva realizzata nel 1971 (anteriormente, dunque, alla cosiddetta “legge Galasso”) a distanza inferiore a 150 metri da un corso d’acqua, in assenza di titolo abilitativo edilizio; per tale opera viene ora richiesto il titolo edilizio predetto in sanatoria, sussistendo la conformità dell’opera alla “disciplina urbanistica ed edilizia vigente” (art. 36 T.U. ed.), in presenza del fatto che non è peraltro praticabile nel caso una “sanatoria paesaggistica”, in virtù dei disposti del “codice dei beni culturali” (Regione Piemonte, parere 18/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 24.04.2009, suppl. ord. n. 61:
- Secondo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 30.03.2009);
- Secondo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 30.03.2009);
- Secondo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 30.03.2009).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 16 del 23.04.2009, "Determinazioni relative alle misure di conservazione per la tutela delle ZPS lombarde in attuazione della Direttiva 92/43/CEE e del d.P.R. 357/1997 ed ai sensi degli articoli 3, 4, 5, 6 del d.m. 17.10.2007 n. 184 - Modificazioni alla d.G.R. 7884/2008" (deliberazione G.R. 08.04.2009 n. 9275 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 16 del 21.04.2009, "D.Lgs. 194/2005 e l.r. 13/2001 - Mappa acustica strategica degli agglomerati: specifiche tecniche per la fornitura dei dati a Regione Lombardia" (decreto D.S. 03.04.2009 n. 3302 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 16 del 20.04.2009, "Approvazione del nuovo modello di targa energetica per gli edifici, in riferimento alla d.g.r. 5018/2007" (decreto D.U.O. 18.03.2009 n. 2598 - link a www.infopoint.it).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 16 del 20.04.2009, "Determinazione in merito ai criteri di concessione dei contributi a Comuni e Province per studi e approfondimenti geologici e idrogeologici ai sensi della l.r. 12/2005 - Modifica d.g.r. n. 876/2005" (deliberazione G.R. 08.04.2009 n. 9284 - link a www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

URBANISTICA:  L. Spallino, Modifiche alla legge regione Lombardia n. 12/2005 (L.R. 5/2009): P.I.I. in variante e termine per l'avvio del procedimento di approvazione dei p.g.t. (link a www.studiospallino.it).

APPALTI SERVIZI: G. Nicoletti, Gestioni “in house”: difficili o impossibili? il caso di Zola Predosa (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Albanese, L’attivazione dell’impianto radioelettrico ex art. 87 del D.Lgs 259/2003, un’invenzione giurisprudenziale discutibile (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Amendola, ART. 674 C.P., EMISSIONI MOLESTE E INQUINAMENTI. LA CASSAZIONE CI RIPENSA? (link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI: F. Bonfatti, D.lgs. n. 81/2008: le funzioni del medico competente (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Muratori, Se il legislatore (ambientale) è ... di memoria corta: le discipline «mutilate» per omessa emanazione delle norme esecutive (parte prima) (link a www.lexambiente.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTIModalità operative concernenti la liquidazione dei compensi e delle spese dei procedimenti arbitrali e relative modalità di pagamento delle somme dovute alla Camera arbitrale (Presidente della Camera Arbitrale, comunicato 10.04.209 n. 29 - link a massimario.avlp.it).

dossier D.U.R.C.

APPALTI: Il DURC è un documento unitario che accerta la posizione contributiva dell'azienda richiedente sulla base della sua posizione contributiva complessiva indipendentemente dall'ufficio periferico dell'INPS al quale la richiesta viene presentata.
Il DURC è un documento unitario che accerta la posizione contributiva dell'azienda richiedente sulla base della sua posizione contributiva complessiva secondo un riscontro di natura telematica a livello nazionale, indipendentemente dall'ufficio periferico dell'INPS al quale la richiesta viene presentata e specialmente considerando che la richiesta del DURC può essere inoltrata in via telematica, come nel caso di specie è avvenuto. Pertanto, è sufficiente la produzione di un DURC rilasciato dall'ufficio INPS di un comune nel caso di ditta iscritta anche presso l'ufficio INPS di altro ente locale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.04.2009 n. 2401 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

dossier OPERE PRECARIE

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Abuso in atti d’ufficio e installazione impianti a titolo precario.
Un’autorizzazione a costruire di tipo precario -come quella con la quale si autorizza l'installazione di una stazione radiobase costituita da un traliccio di 24 metri, un gruppo elettrogeno con supporto in calcestruzzo armato e relativa cisterna- oltre ad essere extra legem, in quanto non prevista da alcuna disposizione legislativa, è anche illegittima e contra legem perché non potrebbe avere altra funzione che quella di tollerare una situazione di evidente abuso (nella fattispecie la malafede del pubblico amministratore si è desunta proprio dal fatto che aveva rilasciato un autorizzazione precaria non prevista da alcuna norma. Il pubblico amministratore, non potendo rilasciare la concessione edilizia per la vicinanza della stazione al centro abitato, tanto è vero che neppure successivamente è stata rilasciata , ha emesso un titolo provvisorio).
Detta autorizzazione, a prescindere pure dalla sua illegittimità, non può comunque essere equiparata a quella di cui all’articolo 87 del decreto legislativo n. 259 del 2003, perché questa presuppone il previo accertamento, da parte dell’organismo preposto ad effettuare i controlli, previsto dall’articolo 14 della legge 22.02.2001 n. 36 in ordine alla compatibilità del progetto con i limiti di esposizione ecc. (comma 1) e fa salve le disposizioni a tutela dei beni ambientali (art. 86, comma 4) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.04.2009 n. 15921 - link a www.lexambiente.it).

dossier PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenza e ampliamento.
Nella materia edilizia per pertinenza deve intendersi un’opera che non sia parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, così che deve escludersi tale qualifica all’ampliamento di un edificio anche se finalizzato al completamento o miglioramento dei bisogni cui l’immobile principale è destinato. Il concetto di pertinenza non va confuso con quello di parte dell’edificio.
In materia di reati edilizi, l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma diventa parte dell'edificio perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all’edificio medesimo. Invece la pertinenza, ancorché posta a servizio dell’edificio principale, deve avere una propria autonomia strutturale.
D’altra parte, non ogni intervento pertinenziale è esonerato dal permesso di costruire, ma esclusivamente quelli di scarsa rilevanza, non solo sotto il profilo quantitativo (ossia, quelli con volumetria non superiore al quinto di quella dell’edificio principale), ma anche sotto quello qualitativo (e, cioè, sempre che le norme tecniche degli strumenti urbanistici non li considerino comunque "interventi di nuova costruzione", tenuto conto della zonizzazione e del loro impatto ambientale e paesaggistico), come risulta dalla previsione dell’art. 3, comma primo, lett. e.) del testo unico sull’edilizia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.04.2009 n. 15260 - link a www.lexambiente.it).

dossier SIC-ZPS - VAS - VIA

EDILIZIA PRIVATA: Valutazione impatto ambientale.
Fin dal loro ingresso nel loro ordinamento, le procedure di V.I.A. e di screening, pur inserendosi sempre all’interno del più ampio procedimento di realizzazione di un opera o di un intervento, sono state considerate da dottrina e giurisprudenza prevalenti come dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell’ambiente), e ad esprimere al riguardo, specie in ipotesi di esito negativo, una valutazione definitiva, già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali; di conseguenza, gli atti conclusivi di dette procedure sono stati ritenuti immediatamente impugnabili dai soggetti interessati alla protezione di quei valori (siano essi associazioni di tutela ambientale ovvero, come nel caso che occupa, cittadini residenti in loco).
Tali conclusioni appaiono oggi confortate dalla disciplina generale di cui all’art. 20 del decreto legislativo 03.04.2006 n. 152 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.03.2009 n.  1213 - link a www.lexambiente.it).

dossier TELEFONIA MOBILE

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Impianti telefonia mobile e titolo abilitativo.
Deve ritenersi che gli impianti di telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non sia soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti, le quali si riferiscono a tipologie di opere diverse e sono state elaborate con riferimento a possibilità di diverso utilizzo del territorio, nell'inconsapevolezza del fenomeno della telefonia mobile e, più in generale, dell'inquinamento elettromagnetico in generale.
Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico di telefonia (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 09.03.2009 n. 499 - link a www.lexambiente.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATA: Pertinenze in zona vincolata.
Le opere edilizie abusive, realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, anche se costituenti pertinenze, non sono suscettibili di autorizzazione in luogo della concessione perché nelle aree vincolate sono consentiti esclusivamente piccoli interventi di restauro i conservativo su edilizia esistente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.04.2009 n. 15227 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Impianti eolici.
Alla concezione totalizzante dell’interesse paesaggistico, oggetto di recente e condivisibile revisione critica, non può sostituirsi una nuova concezione totalizzante dell’interesse ambientale che ne postuli la tutela “ad ogni costo” anche mediante lo sviluppo di fonti di energia alternativa idonee ad operare una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra ma di grave ed irreversibile impatto paesaggistico, perché se la riduzione delle emissioni attraverso la ricerca, promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili e di tecnologie avanzate e compatibili con l'ambiente, tra le quali rientrano gli impianti eolici, costituisce un impegno internazionale assunto dallo Stato italiano e recepito nell'ordinamento statale dalla l. 01.06.2002 n. 120 (concernente "Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici", fatto a Kyoto l'11.12.1997), come non mancata di ricordare un significativo indirizzo giurisprudenziale, è parimenti vero che anche la salvaguardia del Paesaggio costituisce oggetto di impegni assunti dall’Italia in sede internazionale (cfr. Convenzione Europea del Paesaggio promossa dal Consiglio d’Europa e firmata a Firenze il 20.10.2000 ratificata con legge 09.01.2006, n. 14) sicché il conflitto tra tutela paesaggio e tutela dell’ambiente (e indirettamente della salute) non può essere risolto in forza di una nuova aprioristica gerarchia che inverte la scala di valori (non configurabile neppure invocando la rafforzata cogenza degli obblighi assunti in forza di convenzioni internazionali di cui si giovano come detto sia i valori paesaggistici che quelli ambientali), ma deve essere necessariamente operato in concreto, attraverso una ponderazione comparativa di tutti gli interessi coinvolti, non potendosi configurare alcuna preminenza valoriale né in un senso (a favore del paesaggio) né nell’altro (a favore dell’ambiente e del diritto alla salute o del diritto di intrapresa economica) (TAR Molise, Sez. I, sentenza 08.04.2009 n. 115 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Vincolo e controllo autorità statale.
Il controllo che compete all’autorità statale ad estrema difesa del vincolo paesaggistico investe la legittimità del procedimento autorizzatorio, e si concentra principalmente sull’esaustività della documentazione allegata alla pratica già esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi emesso il provvedimento favorevole (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 12.03.2009 n. 623 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Vincoli paesaggistici e urbanistici.
I vincoli paesaggistici ed ambientali, in senso proprio, non divengono vincoli (meramente) urbanistici per il solo fatto di essere recepiti nel P.R.G. ma mantengono la loro natura di vincoli dichiarativi ad effetto costitutivo non sottoposto a termine, in quanto discendenti non da una scelta discrezionale dell’amministrazione, bensì da qualità intrinseche del bene tutelato, che il provvedimento di vincolo deve soltanto riconoscere e dichiarare; ciò che, li distingue nettamente dai vincoli urbanistici in senso proprio, i quali -ancorché possano essere ispirati da analoghe finalità di salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente- non si sottraggono, qualora siano preordinati all’espropriazione o comunque rivestano carattere sostanzialmente espropriativo, all’alternativa tra temporaneità ed indennizzabilità (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 04.03.2009 n. 71 - link a www.lexambiente.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: L'istituto dell'avvalimento è utilizzabile anche in assenza di una specifica previsione del bando di gara.
La giurisprudenza, pacifica sul punto, afferma che, nelle gare indette per l'aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione l'istituto dell'avvalimento ha portata generale ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione, ed è quindi utilizzabile anche in assenza di una specifica previsione del bando, restando peraltro ferma la necessità, in ogni caso, di un vincolo giuridico, preesistente all'aggiudicazione della gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.04.2009 n. 2401 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La mancata dichiarazione di una condanna penale, in sede di dimostrazione del requisito della moralità professionale dell'impresa, non determina ex se esclusione dalla gara ove manchi una valutazione della P.A..
La mancata dichiarazione da parte del rappresentante legale di una ditta concorrente circa un precedente penale che non abbia alcun riflesso negativo sul requisito della "moralità professionale", non può determinare -ex se ed in assenza di invito, da parte della stazione appaltante, alla integrazione documentale ovvero a fornire chiarimenti- l'esclusione della concorrente dalla selezione ovvero (come è avvenuto nel caso di specie) la non aggiudicazione definitiva in suo favore (per quell'unica ragione).
L'indagine a cura della stazione appaltante avente ad oggetto il rilievo del precedente penale ascritto al rappresentante legale della ditta concorrente sulla "moralità professionale" deve essere motivata e, siccome la motivazione, ai sensi dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990, è fondata sulle risultanze dell'istruttoria, cioè su un accertamento di fatto concreto, dette valutazioni non andranno espresse su categorie astratte di reati, ma tenendo conto delle circostanze in cui un reato è stato commesso, per dedurne un giudizio di affidabilità o inaffidabilità (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 20.04.2009 n. 3984 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: Attività di cava.
L’attività estrattiva, comportando un mutamento dell’assetto territoriale, non è avulsa dalla normativa urbanistica, che è strettamente correlata agli insediamenti sul territorio, sicché la stessa deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, la violazione dell’art. 20, lett. a), della legge n. 47/1985 [ora art. 44 lettera a)] dpr 380/2001.
Quando l'immutazione dell'assetto territoriale deriva dall'esercizio di una cava, la disciplina urbanistica deve trovare applicazione insieme con la normativa di settore che regola -ad altri fini- quest’attività economica (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.04.2009 n. 16291 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria. Emissioni in atmosfera e violazione dell’articolo 674 c.p..
1. Nel linguaggio corrente s’intende per "polvere" un "insieme incoerente di particelle molto minute e leggere di terra arida, detriti, sabbia ecc., che, sollevate e trasportate dal vento, si depositano ovunque". S’intende invece per "fumo" il "residuo gassoso della combustione che trascina in sospensione particelle solide in forma di nuvola grigiastra o bianca". Ne deriva che, pur trattandosi sempre di minuscole particelle, il fumo si distingue dalla polvere perché è sempre un prodotto della combustione, sicché la polvere, essendo prodotto di frantumazione, ma non di combustione, non può essere ricompresa nella nozione di fumo. In conclusione, quindi, la diffusione di polveri nell’atmosfera va contestata come versamento di cose ai sensi della prima ipotesi dell’art. 674 c.p. e non come emissione di fumo.
2. Si deve negare che le due ipotesi contravvenzionali previste nell’art. 674 c.p. configurino necessariamente reati di condotta attiva. A ben vedere esse si atteggiano come reati di evento pericoloso, dove l’evento può essere cagionato da una condotta attiva od omissiva, dolosa o colposa: nel caso della contravvenzione codicistica si tratta di un evento di pericolo concreto, consistente nell’attitudine delle cose o delle emissioni a imbrattare, offendere o molestare le persone, che deve essere concretamente accertata dal giudice. Si deve pertanto concludere che il reato de quo nei congrui casi può anche atteggiarsi come reato commissivo mediante omissione (cd. reato omissivo improprio) ogni qual volta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi (anche) dalla omissione (dolosa o colposa) del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo.
3. La clausola "nei casi non consentiti dalla legge" esclude il reato non per tutte le emissioni provocate dalla attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo per quelle emissioni che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative. Solo queste ultime emissioni si presumono legittime. Non possono presumersi come legittime, invece, le altre emissioni, connesse più o meno direttamente all’attività produttiva regolamentata, che il legislatore non disciplina specificamente o che addirittura considera pericolose perché superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di prevenzione e di cautela imposte all’imprenditore (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.04.209 n. 16286 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sui presupposti per il risarcimento del danno nei confronti della PA per il ritardo nel rilascio di una concessione edilizia.
Nel nostro diritto positivo non è previsto, allo stato attuale della legislazione, un meccanismo riparatore dei danni causati dal ritardo procedimentale in sé e per sé considerato. A questo proposito, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che in presenza del mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo dell’Autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative, si è al cospetto di interessi legittimi pretensivi del privato, la cui tutela ricade, per loro intrinseca natura, nella giurisdizione del giudice amministrativo (e, trattandosi della materia urbanistica-edilizia, nella sua giurisdizione esclusiva); come tali esulano dai meri “comportamenti” della P.A. invasivi dei diritti soggettivi del privato ed espunti dalla giurisdizione amministrativa in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 (cfr. Cons. Stato, Ad. Plenaria, n. 7 del 15.09.2005; Tar Lazio, Roma, sez. III-quater, 31.03.2008, n. 2704; Tar Piemonte, sez. I, 20.11.2008, n. 2901).
Il danno da ritardo, secondo l’orientamento giurisprudenziale, non ha un’autonomia strutturale rispetto alla fattispecie procedimentale da cui scaturisce ed è legato inscindibilmente alla positiva finalizzazione di quest’ultima (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.03.2009, n. 1162); infatti, secondo la richiamata decisione dell’Ad. Plen. n. 7/2005, non è risarcibile il danno da ritardo “puro” quando è disancorato dalla dimostrazione giudiziale della meritevolezza di tutela dell’interesse pretensivo fatto valere (e quando l’Amministrazione abbia adottato con notevole ritardo, un provvedimento negativo rimasto inoppugnato).
A queste premesse, va aggiunto che l’azione di risarcimento da ritardo della P.A., pur ammessa in astratto e rientrante nell’alveo del danno da lesione di interessi legittimi, in applicazione del principio dell’atipicità dell’illecito civile, deve essere ricondotta nell’ambito dell’art. 2043 cod. civ., per l’identificazione degli elementi costitutivi dell’illecito, e a quello del successivo art. 2236 cod.civ., per delineare i confini della responsabilità.
E quindi, detta azione di risarcibilità del danno, inquadrandosi nella sua natura “extracontrattuale”, comporta che il bene della vita conseguito in modo differito sia avvenuto per il fatto altrui, quanto meno colpevole. E’ pacifico, per giurisprudenza ormai costante, che non è sufficiente la illegittimità (del provvedimento o) dell’inerzia amministrativa per ritenere integrata una fattispecie di responsabilità aquiliana della P.A., essendo essenziale ad integrare la fattispecie il giudizio di imputabilità soggettiva, quantomeno a titolo di colpa dell’apparato amministrativo procedente (cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 08.09.2008, n. 4242; idem, 02.03.2009, n. 1162).
Ne deriva che, per riconoscere la fondatezza della domanda così avanzata è necessario che il difettoso funzionamento dell’apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento negligente o ad una volontà di nuocere o si ponga in contrasto con le prescrizioni di legalità, imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Cost., non essendo riconducibile il superamento dei termini di conclusione del procedimento in violazione dell’art. 4 della Legge n. 493 del 1993, attesa la natura acceleratoria degli stessi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30.12.2005, n. 7623; Tar Lombardia, Milano, sez. III, 17.01.2007, n. 71; Tar Lazio, Roma, sez. III-quater, 31.03.2008, n. 2704; Tar Piemonte, sez. I, cit. n. 2901/2008).
Tale azione di risarcimento del danno, inquadrandosi nella sua natura extracontrattuale, richiede la prova della quantificazione dello stesso con riferimento sia al danno emergente che al lucro cessante, in quanto elementi costitutivi della relativa domanda, ai sensi dell’art. 2697 (cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I, 26.06.2008, n. 1555; Tar Lazio, Roma, cit. n. 2704/2008).
Per di più, non va sottaciuto che nel caso specifico di domanda di risarcimento dei danni per il ritardo nel rilascio della concessione edilizia, il danno è da farsi conseguire, comunque, alla concreta esecuzione dell’opera, non essendo di per sé sufficiente il riconoscimento tardivo del titolo di legittimazione edificatoria, (cfr. Tar Sicilia, Catania, sez. I, 03.07.2007, n. 1158) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 17.04.2009 n. 2694 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Individuazione committente lavori abusivi.
In tema di reati edilizi, l’individuazione del committente dei lavori, quale soggetto responsabile dell’abuso edilizio, può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria, come ad esempio: dalla qualità di proprietario o comproprietario, posto che solo il proprietario o altro titolare del diritto reale sul suolo o sul fabbricato su cui vengono eseguiti i lavori può assumere la veste di committente; dalla presenza sul luogo dei lavori al momento del sopralluogo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.04.2009 n. 15926 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria. Violazione articolo 674 c.p..
Il reato di cui all'art. 674 c.p. si configura in presenza di un evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori non solo nei casi di emissioni inquinanti in violazione dei limiti di legge, ma anche quando sia superato il limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ. (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.04.2009 n. 15734 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione villette residenziali in zona industriale.
La realizzazione di villette residenziali in zona industriale determina un mutamento radicale della destinazione d’uso dell’intera area e un indiscutibile aggravio del carico urbanistico (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.04.2009 n. 15721 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Zone destinate ad insediamenti produttivi.
In una zona destinata dal PRG ad insediamenti produttivi la realizzazione di spazi destinati a servizi, uffici amministrativi e commerciali oppure ad alloggi di custodia o di servizio deve essere del tutto residuale e limitata, altrimenti verrebbe sconvolta la destinazione medesima (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.04.2009 n. 15721 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Elettrosmog. Emissione campi elettromagnetici e violazione dell'articolo 674 c.p..
1. L’emissione di onde elettromagnetiche può rientrare nell’ambito dell’art. 674 cod. pen., ma il reato è configurabile soltanto allorché sia stato, in modo certo ed oggettivo, provato il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata una effettiva e concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone esposte, ravvisabile non in astratto, per il solo superamento dei limiti, ma soltanto a seguito di un accertamento da compiersi in concreto di un effettivo pericolo oggettivo, e non meramente soggettivo.
2. Emerge dalla normativa speciale che la creazione, da parte di emittenti che rispettino singolarmente i limiti loro imposti, di campi che nel loro complesso superino i limiti di cautela, determina l’avvio dei piani di risanamento, l’inosservanza delle cui prescrizioni è (pesantemente) sanzionata in via amministrativa.
3. Anche in assenza di un piano regionale di risanamento o delocalizzazione, l’autorità amministrativa ha tutti i poteri e le possibilità per coordinare e regolare le modalità di trasmissione di tutti gli impianti televisivi e radiofonici che operano in una determinata località, in quanto le singole emittenti debbono essere munite dei decreti di concessione del ministero delle comunicazioni (ora ministero dello sviluppo economico), i quali devono contenere l’analitica esposizione di tutti i parametri tecnico operativi.
4. In ogni caso la responsabilità dei singoli soggetti esercenti l'impianto non può prescindere da un accertamento in concreto se i valori totali di campo siano generati o meno da impianti tutti legittimamente operanti e tutti operanti con potenza conforme a quella prevista dai rispettivi titoli abilitativi. Ed infatti, se i valori generali di campo fossero eventualmente generati da impianti operanti illegittimamente o con potenza superiore a quella assentita, occorrerebbe comunque che l’eventuale riduzione a conformità venisse disposta senza tener conto degli impianti operanti illegittimamente (che dovrebbero essere disattivati) e senza tener conto delle maggiori potenze irradiate rispetto a quelle consentite (che dovrebbero essere ridotte). In ogni caso, la singola emittente non potrebbe essere ritenuta responsabile penalmente di campi generati da impianti illegittimi o di potenza superiore a quella assentita, a meno che non sussista la prova di una volontà consapevole del soggetto di concorrere con gli impianti illegali nella creazione di un campo complessivo che ecceda i limiti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.04.2009 n. 15707 - link a www.lexambiente.it).

ENTI LOCALI: Sulla competenza del consiglio comunale in materia di servizi pubblici esclusivamente in ordine all'organizzazione dei servizi stessi ed agli atti espressione della funzione di governo con esclusione di quelli gestionali.
Il consiglio comunale è competente in materia di servizi pubblici esclusivamente in ordine all'organizzazione dei servizi stessi ed agli atti espressione della funzione di governo con esclusione di quelli gestionali. Nel caso di specie, con delibera il consiglio comunale ha espresso la volontà di affidare all'esterno, fra gli altri, il servizio di trasporto scolastico e pertanto legittimamente la giunta comunale, con la delibera, ha dato attuazione agli indirizzi espressi dal consiglio comunale, autorizzando poi il dirigente ad adottare gli atti di gestione ad essa consequenziali (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 15.04.2009 n. 724 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: La p.a. è legittimata ad introdurre, nella lex specialis della gara d'appalto che intende indire, disposizioni atte a limitare la platea dei concorrenti onde consentire la partecipazione alla gara stessa di soggetti particolarmente qualificati.
Costituisce ius receputm il principio secondo il quale l'amministrazione è legittimata ad introdurre, nella lex specialis della gara d'appalto che intende indire, disposizioni atte a limitare la platea dei concorrenti onde consentire la partecipazione alla gara stessa di soggetti particolarmente qualificati, specie per ciò che attiene al possesso di requisiti di capacità tecnica e finanziaria, tutte le volte in cui tale scelta non sia eccessivamente quanto irragionevolmente limitativa della concorrenza, specie se destinata a predeterminare, in linea di fatto, il ventaglio dei possibili partecipanti. Nel caso di specie, avendo la P.A. comunale richiesto per tutti i partecipanti la dimostrazione del previo esercizio dell'attività di trasporto scolastico deve riconoscersi, più che la ragionevolezza dei requisiti richiesti, la necessità che gli stessi siano posseduti dalle imprese partecipanti alla gara, non potendosi ammettere che l'amministrazione pubblica affidi un servizio a soggetti privi di qualsiasi esperienza nello svolgimento dello stesso in quanto non operanti nello specifico settore (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 15.04.2009 n. 724 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva e irrilevanza di preesistenti edifici.
La lottizzazione non è esclusa per il semplice fatto che in una zona agricola vi siano altri edifici (nella fattispecie, una base militare NATO) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.04.2009 n. 15259 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Violazione di sigilli fabbricato abusivo.
Con l’apposizione dei sigilli, si attua una custodia meramente simbolica mediante la quale si manifesta la volontà dello Stato di assicurare cose, mobili o immobili, contro ogni atto di disposizione di persone non autorizzate. Pertanto, il fatto costitutivo del reato di cui all’art. 349 cod. pen. consiste in qualsiasi atto che renda vana la predetta volontà. Ne consegue che, qualora sia riscontrata la violazione di sigilli, senza che il custode abbia avvertito dell’accaduto l’autorità, è lecito ritenere che detta violazione sia opera dello stesso custode, da solo o in concorso con altri, tranne che lo stesso dimostri di essere stato in grado di avere conoscenza del fatto per caso fortuito o per forza maggiore (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.04.2009 n. 15246 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muro di sostegno e distanze.
La circostanza che una concessione limiti l’altezza di un muro a tre metri non elide affatto la sua natura di costruzione ed impone in ogni caso il rispetto dei cinque metri dal confine (TAR Abruzzo-Aquila, sez. I, sentenza 10.03.2009 n. 140 - link a www.lexambiente.it).

AGGIORNAMENTO AL 20.04.2009

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dossier BOX

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di autorimesse e parcheggi, se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale, è soggetta alla disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra essendo preclusa la possibilità di invocare la l. n. 122/1989.
La realizzazione di autorimesse e parcheggi, se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale (interrati secondo il citato art. 26 N.T.A), è soggetta alla disciplina urbanistica dettata per le ordinarie nuove costruzioni fuori terra (Con. St., IV, 11.11.2006, n. 6065; V, 29.03.2004, n. 1662).
Stabilisce, infatti, l'art. 9 della legge 24.03.1989,n. 122 che "i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti".
La norma continua disponendo che tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell'uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela delle risorse idriche.
In base alla norma ora riportata, i predetti parcheggi devono essere realizzati, se non vengono a ciò adibiti i locali del piano terra di un fabbricato, o nel sottosuolo dello stesso fabbricato ovvero nel sottosuolo di un'area pertinenziale esterna (V, n. 1662/2004 citata).
Le autorimesse in questione, pertanto, non rientrando nell’ambito di operatività dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989 ora riportato, in base alla quale, se si tratta di costruzioni nel sottosuolo, è possibile la loro realizzazione anche in contrasto con le norme urbanistiche relative alla zona (non con quelle paesaggistiche), sono soggette alla disciplina urbanistica generale come ordinarie nuove costruzioni (cfr. in argomento Cons. St., IV, 26.09.2008 n. 4645).
A tale scopo, le disposizioni richiamate dal Comune di Mezzomerico, se abilitano certo a non considerare i volumi relativi ad autorimesse collocate fuori terra, tuttavia non consentono di andare in eccesso al limite di altezza stabilito dalle norme tecniche di attuazione in 2 piani f.t., abitabili o meno che siano.
Deve dunque concludersi per la computabilità del piano autorimessa, nella specie, pacificamente non interrato e realizzato completamente fuori terra (Cons. St., IV, 29.01.2008, n. 271)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.02.2009 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe autorimesse se non rientrano nell’ambito di operatività dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989, in base alla quale -se si tratta di costruzioni nel sottosuolo- è possibile la loro realizzazione anche in contrasto con le norme urbanistiche relative alla zona (non con quelle paesaggistiche), soggiaciono al computo del relativo volume.
La realizzazione di autorimesse e parcheggi, se non effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale (interrati secondo il citato art. 26 N.T.A), sono soggetti alla disciplina urbanistica come ordinarie nuove costruzioni fuori terra (Con.St., IV, 11.11.2006, n. 6065; V, 29.03.2004, n. 1662).
Stabilisce, infatti, l'art. 9 della legge 24.03.1989,n. 122 che "i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti".
La norma continua disponendo che tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell'uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela delle risorse idriche.
In base alla norma ora riportata, i predetti parcheggi devono essere realizzati, se non vengono a ciò adibiti i locali del piano terra di un fabbricato, o nel sottosuolo dello stesso fabbricato ovvero nel sottosuolo di un'area pertinenziale esterna (V, n. 1662/2004 citata).
Le autorimesse in questione, pertanto, non rientrando nell’ambito di operatività dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989 ora riportato, in base alla quale, se si tratta di costruzioni nel sottosuolo, è possibile la loro realizzazione anche in contrasto con le norme urbanistiche relative alla zona (non con quelle paesaggistiche), sono soggette alla disciplina urbanistica generale come ordinarie nuove costruzioni e, a tale scopo, la disposizione non abilita certo a recuperare i volumi interrati preesistenti da collocare fuori terra come autorimesse e, per di più, che è l’argomento centrale, in eccesso al limite di altezza consentito per il fabbricato ricostruito.
Deve dunque concludersi per la computabilità dei relativi volumi, nella specie, pacificamente non interrati e realizzati completamente fuori terra (Cons. St., IV, 29.01.2008, n. 271)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.09.2008 n. 4645 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di autorimesse e parcheggi destinati al servizio di fabbricati esistenti è soggetta ad autorizzazione gratuita esclusivamente se effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale.
Le autorimesse edificate fuori terra non rientrano nell’ambito di operatività dell’art. 9 l. 24.03.1989 n. 122, sicché sono soggette alla disciplina urbanistica come ordinarie nuove costruzioni.

Per quanto riguarda l’autorimessa, in sede progettuale risulta dichiarato che la stessa era costruita ai sensi della legge Tognoli n. 122 del 1989: è quindi presumibile che sulla relativa volumetria non siano stati corrisposti gli oneri concessori, in quanto i parcheggi pertinenziali sono assimilati ad opere di urbanizzazione assentibili gratuitamente (cfr. art. 11 L. n. 122 del 1989 in relazione all’art. 9, lettera f), L. n. 10 del 1977).
Indipendentemente da tale questione, il locale di cui si tratta –risultando non interrato- non rientra nella previsione legale di gratuità della concessione e va quindi computato ai fini della stima dell’incremento.
In tal senso, la Suprema Corte ha osservato che la realizzazione di autorimesse e parcheggi destinati al servizio di fabbricati esistenti è soggetta ad autorizzazione gratuita esclusivamente se effettuata totalmente al di sotto del piano di campagna naturale (Cass. Sez. III n. 26825 del 2003).
Aderisce a tale orientamento la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, rilevando che le autorimesse edificate fuori terra non rientrano nell’ambito di operatività dell’art. 9 l. 24.03.1989 n. 122, sicché sono soggette alla disciplina urbanistica come ordinarie nuove costruzioni (cfr. V Sez. n. 1662 del 2004).
Nel caso in esame, l’esame delle risultanze progettuali e fotografiche induce il Collegio ad escludere che il locale in questione –sostanzialmente scoperto per tre lati– possa qualificarsi come interrato, il che del resto nemmeno gli appellanti pervengono mai a sostenere.
Se a ciò si aggiunge che –come decisivamente rilevato dal comune– il vincolo pertinenziale non risulta mai apposto al manufatto, deve concludersi per la computabilità del relativo volume
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.10.2006 n. 6065 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE

EDILIZIA PRIVATA: La liquidazione degli oneri di urbanizzazione non necessita di alcuna specifica motivazione, poiché essa consiste nell'applicazione rigida di parametri determinati da norme legislative o regolamentari.
L’obbligo di pagamento delle sanzioni per il ritardato versamento del contributo discende direttamente dall’art. 3 della legge n. 47/1985, e non necessita di alcuna iniziativa dell’amministrazione comunale, cui la norma demanda unicamente l’onere di provvedere alla riscossione coattiva del credito complessivo, costituito dal contributo aumentato della sanzione.

Per giurisprudenza oramai assolutamente costante il contributo relativo agli oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. Esso ha carattere generale e prescinde totalmente dall'esistenza, o meno, delle singole opere di urbanizzazione, nel senso che viene determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.12.2005, n. 7140).
La liquidazione degli oneri di urbanizzazione non necessita di alcuna specifica motivazione, poiché essa consiste nell'applicazione rigida di parametri determinati da norme legislative o regolamentari, quantomeno conoscibili all'onerato (giurisprudenza pacifica, cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.02.2001, n. 584).
In via generale, l’obbligo di pagamento delle sanzioni per il ritardato versamento del contributo discende direttamente dall’art. 3 della legge n. 47/1985, e non necessita di alcuna iniziativa dell’amministrazione comunale, cui la norma demanda unicamente l’onere di provvedere alla riscossione coattiva del credito complessivo, costituito dal contributo aumentato della sanzione (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 03.04.2009 n. 562 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Pertanto, è illegittima la richiesta di integrazione versamento oneri successivamente al rilascio della concessione edilizia.

Va detto del consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questo TAR (per tutte e solo per citare le più recenti CGA, sez. giur., 14.01.2009 n. 7 e 02.03.2007 n. 64; TAR Sicilia-Palermo, I, 07.03.2007 n. 726, 21.08.2006 n. 1832, 02.01.2004 n. 1, 03.04.2002 n. 879), secondo il quale la regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della necessità di garantire la correttezza del rapporto intercorrente tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, soprattutto allorquando la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, le scelte dell’operatore economico (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 01.04.2009 n. 600 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa scelta tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nel quantificare gli oneri di urbanizzazione da versare deve precedere e non seguire il rilascio del provvedimento autorizzatorio, essendo di ordine generale che siano ben noti al richiedente gli effetti e gli oneri derivanti dal provvedimento, senza che possano ammettersi ripensamenti successivi, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica.
La possibilità di correggere il tiro degli oneri connessi al provvedimento adottato é limitato all’emendamento di errori riconoscibili sulla base di parametri certi e predefiniti.

In tema di monetizzazione degli oneri di costruzione, regola fondamentale è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione preceda e non segua il rilascio del provvedimento autorizzatorio, essendo di ordine generale che siano ben noti al richiedente gli effetti e gli oneri derivanti dal provvedimento, senza che possano ammettersi ripensamenti successivi, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della esigenza del corretto rapporto privato/Autorità, ogni qual volta la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso piuttosto che in un altro le scelte dell’operatore economico.
La possibilità di correggere il tiro degli oneri connessi al provvedimento adottato é limitato all’emendamento di errori riconoscibili, sulla base di parametri certi e predefiniti, senza potersi estendere a facoltà discrezionali esclusivamente rimesse alle scelte dell’Amministrazione ed a cui, eventualmente, l’adozione del provvedimento favorevole al privato deve essere condizionata, prima ancora che, in forza del provvedimento favorevole, ovvero l’oggetto su cui originariamente ricadeva l’interesse pretensivo, abbia subito la sua naturale trasformazione in bene della vita, acquisito (per effetto di tale provvedimento) alla sfera soggettiva del richiedente.
Pur essendo corretta, peraltro, in linea di principio la tesi espressa nell’appello principale, secondo cui la presentazione di un progetto di variante e di completamento delle opere già previste nella concessione in precedenza accordata e scaduta, è sufficiente a legittimare il ripensamento dell’Amministrazione, ed una differente considerazione del carico urbanistico -trattandosi di concessione che rimette in gioco, interamente, le precedenti scelte- l’equivoco in cui è incorso il Comune consiste nel trarre, dal precedente giurisprudenziale dallo stesso citato, il convincimento che il carico urbanistico possa essere legittimamente valutato in relazione all’intera opera (ivi compresa quella già quasi interamente realizzata sulla base del progetto originario) dovendosi, al contrario, accertare, l’entità dell’aggravio, in rapporto all’opera “nuova” costituita dalla variante e dal completamento successivo alla scadenza della concessione originaria (escluso quanto, dell’oggetto in precedenza assentito, sia stato, pressoché, interamente realizzato) (CGARS, sentenza 14.01.2009 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione differiscono solamente per le modalità di adempimento, mentre invece coincidono quanto al momento che determina la nascita della obbligazione, ancorata, in ambedue i casi, alla data del rilascio della concessione edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che possano essere applicate tabelle parametriche diverse da quelle vigenti a quel momento, ma esclude altresì la possibilità per la Amministrazione che abbia erroneamente determinato l’ammontare del contributo di richiedere al privato successivamente un importo a titolo di conguaglio.

Costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza la affermazione che il contributo di urbanizzazione ex art. 11, secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10 deve essere determinato al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione della entità del contributo facendo perciò applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio (Sez. V 25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850, 06.12.1999 n. 2058, Sez. IV 19.07.2004 n. 5197).
Da tale affermazione di principio è stato tratto il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e/o modalità di calcolo per gli oneri di urbanizzazione ribadendosi l’integrale applicazione del principio tempus regit actum e quindi la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute (anche se di poco) rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia (C.G.A.R.S. 07.08.2003 n. 289).
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Invero è pacifico tra le parti che l’importo è stato determinato dal Comune all’atto del rilascio della concessione senza alcuna riserva di successivo conguaglio e che tale importo è stato integralmente corrisposto.
In proposito va osservato che l’articolo 11 della L. 10/1977 recepito dall’art. 1 della legge regionale 71/1978 (applicabile ratione temporis) stabilisce al primo e secondo comma che il contributo di urbanizzazione è corrisposto all’atto del rilascio della concessione salvo scomputo secondo modalità da concordare, mentre il contributo concernente il costo di costruzione, determinato con riferimento alla data del rilascio, può essere corrisposto in corso d’opera secondo determinate modalità e garanzie.
Risulta quindi testualmente stabilito che le due tipologie di contributi possono differire solo per le modalità di adempimento, mentre invece coincidono quanto al momento che determina la nascita della obbligazione, ancorata, in ambedue i casi, alla data del rilascio della concessione edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che possano essere applicate tabelle parametriche diverse da quelle vigenti a quel momento, ma esclude altresì la possibilità per la Amministrazione che abbia erroneamente determinato l’ammontare del contributo di richiedere al privato successivamente un importo a titolo di conguaglio.
In effetti, richiamando il carattere delle controversie de quibus di cui è pacificamente riconosciuta la natura paritetica, appare difficilmente sostenibile che la Amministrazione, in sede di autotutela, possa richiedere a conguaglio somme da essa erroneamente non pretese nel momento in cui l’Amministrazione stessa procedeva a determinare il quantum della obbligazione a carico del privato.
In linea più generale va infatti riconosciuto che l’esercizio dell’autotutela in vicende aventi ad oggetto non tanto la legittimità degli atti, quanto il rapporto di credito e debito derivante dalla applicazione di una determinata normativa, non può non risultare condizionato dalle disposizioni di carattere civilistico che disciplinano il sorgere modificarsi ed estinguersi dei reciproci diritti ed obblighi.
Se infatti è esatto che in tali vicende l’Amministrazione, pur rimanendo depositaria di pubblici interessi, interviene tuttavia senza esercitare poteri autoritativi, ma alla stessa stregua di un soggetto privato, ne consegue che anche la classica autotutela amministrativa può trovare cittadinanza solo compatibilmente con il regime paritetico nel quale l’Amministrazione stessa opera.
Tale principio risulta già sostanzialmente riconoscibile nella giurisprudenza attuale in materia di ripetizione di somme corrisposte erroneamente a pubblici dipendenti. La affermazione che in tal caso l’interesse pubblico è in re ipsa e che non occorre alcuna specifica motivazione corrisponde in realtà al principio civilistico che, all’art. 2033 c.c., disciplina l’indebito oggettivo (cfr., in questo senso, C.d.S.,VI, 10.02.1999, n. 120; C.d.S., VI, 20.02.2002, n. 1045; C.d.S., V, 14.05.2003, n. 2560; C.d.S., V, 23.03.2004, n. 1535; C.d.S., 23.11.2004, n. 7680).
Nel caso di specie la situazione appare rovesciata in quanto l’Amministrazione non ha erroneamente corrisposto una somma superiore rispetto a quanto era tenuta a versare, bensì ha richiesto una somma inferiore rispetto a quanto aveva il potere di esigere.
Applicando a questa fattispecie i canoni civilistici si premette innanzitutto che ai sensi del citato articolo 11 della legge 10/1977 la determinazione dell’obbligazione pecuniaria era a carico esclusivamente dell’Amministrazione creditrice.
Si premette altresì che l’Amministrazione, ancorché erroneamente, ha tuttavia unilateralmente determinato l’importo che poi è stato richiesto al privato e da questi integralmente soddisfatto.
Sul piano strettamente civilistico il pagamento rappresenta peraltro la modalità principale di estinzione delle obbligazioni, salva la possibile rilevanza ostativa di una causa di violenza, dolo o errore. Escluse le prime due categorie, l’unica che, in ipotesi, potrebbe venire in considerazione è l’errore, la cui disciplina, peraltro, così come enucleabile dagli artt. 1427 e segg. del codice civile, non sembrerebbe attagliarsi alla posizione dell’Amministrazione in veste di creditore.
L’errore infatti per acquisire rilevanza in tema di adempimento delle obbligazioni dovrebbe rivestire i caratteri della essenzialità e della riconoscibilità.
Quanto alla riconoscibilità (art. 1431 c.c.), è lecito dubitare della ricorrenza di tale carattere considerando che la determinazione del contenuto dell’obbligazione incombe all’Amministrazione ed in particolare all’ente locale territoriale che istituzionalmente provvede alla disciplina dei criteri generali ed all’applicazione concreta dei medesimi alle singole fattispecie.
In tale situazione, salvo casi macroscopici di evidenza ictu oculi, non ricorrenti nella fattispecie in esame, è difficile ipotizzare che l’eventuale errore dell’Amministrazione sia riconoscibile dal privato il quale, del tutto naturalmente, viene indotto a prestare affidamento alla correttezza dell’autoliquidazione del proprio credito da parte della stessa Amministrazione creditrice.
Infine, non va dimenticato che la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, sottolinea come in generale la riconoscibilità dell’errore deve essere oggettiva e quindi percepibile da qualsiasi terzo, il che si verifica quando l’errore cada sulla esistenza di un fatto.
La riconoscibilità non potrebbe invece avere carattere soggettivo e riferirsi ad errori di valutazione o di apprezzamento (sia di fatti che della portata di norme giuridiche) perché ciò implicherebbe valutazioni soggettive non obiettivamente percepibili da terzi (v. Cass. Sez. Un. 08.01.1981 n. 180, Cass. 01.03.1995 n. 2340, 29.08.1996 n. 7626, C.d.S. Sez. VI 21.05.2001 n. 2807).
Non sembra dubbio che nel caso di specie l’errore consista, se mai, nel valutare in un certo modo la applicabilità temporale di determinate disposizioni.
D’altra parte, va altresì considerato che nella specie l’errore in cui è incorsa l’Amministrazione non è un errore di fatto o un errore di calcolo ex art. 1430 c.c., bensì un tipico errore di diritto consistente nell’applicazione (per gli oneri di urbanizzazione) di tariffe relative ad un periodo antecedente rispetto a quelle applicabili, ovvero nel riconoscimento (per il costo di costruzione) di un abbattimento percentuale delle medesime, abbattimento non più applicabile ratione temporis.
Orbene, com’è noto, la disciplina dell’errore di diritto è valutata con minore favore dal legislatore civilistico poiché tale errore rileva, ex art. 1429 n. 4 c.c., solo allorché sia stato la ragione unica o principale del contratto.
Nella specie ciò non appare predicabile, essendo evidente che la ragione determinante dell’obbligazione risiede da un lato nell’interesse pubblico generale ad una corretta urbanizzazione del territorio e, dall’altro, all’interesse privato particolare della realizzazione dello sfruttamento edilizio della proprietà fondiaria.
Esclusa quindi la rilevanza dell’errore, sia perché non riconoscibile sia perché comunque non essenziale, e sottolineato ancora una volta che la determinazione dell’ammontare dell’obbligazione è posta dalla legge a carico dell’Amministrazione creditrice, ne discende che la medesima rimane vincolata al contenuto della propria manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l’affidamento incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato.
Con l’ulteriore conseguenza che se l’obbligato adempie in buona fede (rectius: senza poter ragionevolmente riconoscere l’errore in cui eventualmente sia incorsa l’Amministrazione che ha operato la liquidazione del quantum debeatur) l’obbligazione richiestagli, l’esatto adempimento, alla stregua dei principi generali, estingue defi-nitivamente l’obbligazione.
L’appellante, peraltro, a sostegno della propria tesi richiama due precedenti della Sez. V 25.04.1966 n. 426 e 06.05.1997 n. 458.
Nel primo di questi il potere di revisione nella materia de qua viene apoditticamente ricondotto al generale potere di autotutela e ciò indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi o dalla insorgenza di nuovi fatti.
Nella specie la Amministrazione aveva erroneamente sottovalutato la capacità inquinante di un impianto industriale.
Nella seconda decisione il tema è stato invece affrontato con maggiore approfondimento sistematico.
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Dopo aver richiamato il precedente della Sezione dianzi citato, la decisione 458/1997 afferma che, in base alla lettera ed alla ratio dell’art. 11 L. 10/1977 “il momento in cui viene rilasciata al concessione individua il termine ultimo di pagamento del contributo, ma non già il tempo oltre il quale resterebbe preclusa all’Amministrazione comunale la facoltà di stabilire o rideterminare la misura del credito”.
Ciò premesso, la decisione prosegue negando che nella materia de qua sia possibile applicare in via analogica principi dettati in materia pensionistica.
Assume poi che nel settore fiscale non sarebbero ricavabili principi ostativi al potere di revisione del contributo in autotutela, come sarebbe dimostrato dai poteri di accertamento e rettifica attribuiti alla Amministrazione e la cui limitazione, con termini di decadenza più o meno brevi, sarebbe bilanciato anche da brevi termini di decadenza a carico del contribuente per le corrispondenti impugnative.
La decisione, quindi, rilevato che la giurisprudenza qualifica come paritetico l’atto con cui viene richiesto il contributo ed ammette l’interessato a contestarne l’importo nel termine ordinario di prescrizione afferma che, coerentemente, analogo potere dovrebbe essere riconosciuto all’Amministrazione. Se poi si volesse individuare un termine decadenziale a carico dell’Amministrazione lo stesso dovrebbe, se mai, essere ricercato per analogia e potrebbe essere ricavato dal limite prescrizionale di 36 mesi posto dall’art. 35 della L. 47/1985 al potere dell’Amministrazione di chiedere il conguaglio in relazione alle domande di concessione in sanatoria.
Le tesi esposte nella anzidetta decisione, benché acutamente sostenute, non appaiono peraltro al Collegio completamente soddisfacenti.
Innanzitutto la vicenda va precisata nei suoi termini concreti.
I contributi di cui all’articolo 11 della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a differenza di altre fattispecie normative, non vengono determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento della domanda dell’interessato e quindi non sono necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria (art. 35 L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è stato infatti collocato temporalmente dal legislatore al termine di un lungo e complesso procedimento che prende le mosse da una dettagliata e circostanziata domanda del privato, cui fa seguito una complessa istruttoria da parte dell’Amministrazione, nel corso della quale l’Amministrazione stessa può chiedere all’interessato tutti i chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione non è quindi equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda di concessione in sanatoria. In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte ad una attività già posta in essere dal richiedente e ad una richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la domanda.
Del tutto diversa è la situazione della concessione in via ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo della legittimità della richiesta del privato.
Così inquadrata la fattispecie sembra più agevole dedurne le conseguenze ai fini che qui interessano.
Innanzitutto il collegamento normativo tra momento del rilascio della concessione e determinazione dei contributi evidenzia il parallelismo tra la attività di controllo e verifica operata dalla Amministrazione innanzitutto sulla domanda concessoria del privato, e, in concomitanza, sul corrispondente ammontare dei contributi che di conseguenza il richiedente è tenuto a corrispondere all’atto del rilascio del titolo abilitativo.
Se ciò è esatto, sembrerebbe che il legislatore, quanto meno a regime, abbia riconosciuto all’Amministrazione il potere ed il corrispondente dovere di effettuare il controllo e la verifica e di stabilire il quantum dovuto preventivamente al rilascio della concessione.
Pertanto non sembra del tutto convincente la affermazione contenuta nella citata decisione della Sez. V n. 458/1997 secondo cui l’art. 11 disciplinerebbe soltanto il momento del pagamento del contributo al fine di consentire al Comune la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In proposito il Collegio osserva innanzitutto che il pagamento del contributo al Comune presuppone necessariamente la predeterminazione del quantum e non può ovviamente essere effettuato se non a seguito della anzidetta previa determinazione.
Tale determinazione, d’altro canto, non può essere effettuata altro che dal Comune medesimo.
Il secondo comma dell’art. 11 relativo al contributo stabilisce infatti che “la quota … è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta nel corso d’opera”.
Per il contributo relativo ad oneri di urbanizzazione il primo comma dell’art. 11 si limita invece a stabilire che “la quota … è corrisposta al Comune all’atto del rilascio della concessione”.
Dalla differente dizione letterale non sembra peraltro condurre a ritenere un regime differenziato tra il contributo per costo di costruzione e quello per oneri di urbanizzazione.
In ambedue i casi l’importo dovuto dal privato deve essere predeterminato dall’Amministrazione.
Ciò risulta in modo inequivocabile dal rinvio operato nel primo e secondo comma dell’art. 11 rispettivamente ai precedenti articoli 5 e 6 rubricati “Determinazione degli oneri di concessione” e “Determinazione del costo di costruzione”.
Pertanto il Collegio ritiene che da una esegesi sistematica del primo e secondo comma dell’art. 11, in relazione anche ai precedenti articoli 5 e 6, risulti che il legislatore abbia voluto disporre che la Amministrazione, prima di rilasciare la concessione, determini gli oneri da porre a carico al privato e ne richieda il pagamento integrale al momento del rilascio del titolo abilitativo, salve le ipotesi di rateizzazione o scomputo espressamente previste dal primo e secondo comma del medesimo articolo 11 L. 10/1977 (v. C.d.S. Sez. VI 18.03.2004 n. 1435, C.d.S. Sez. V 13.03.2003 n. 3332), ovvero salvo espressa riserva di conguaglio (C.G.A. parere SS.RR. 392/1995 e Sez. Giur. 131/1996) riserva nella specie peraltro inesistente.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto nella decisione invocata dall’appellante, in questo caso la verifica, l’accertamento e la determinazione del debito a carico del privato non è posposta dalla legge al pagamento di un importo provvisorio, ma, al contrario, è testualmente collocata in un momento anteriore e cioè in concomitanza, come già osservato, con il controllo e la verifica della domanda di concessione edilizia rispetto alla quale costituisce un corollario consequenziale e ne presuppone, di regola, la determinazione del quantum in via definitiva
(CGARS, sentenza 18.05.2007 n. 365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa concessione edilizia deve precisare l’importo degli eventuali oneri di urbanizzazione e costo di costruzione da versare per consentire all’interessato una consapevole valutazione dell’onere finanziario che va ad affrontare.
Il C.G.A.R.S., con sentenza n. 235 del 05.07.1996, ha avuto modo di affermare che “il provvedimento amministrativo che facoltizza il privato all’esercizio di una attività economica subordinatamente all’effettuazione di una controprestazione pecuniaria deve precisare l’importo di tale controprestazione, per consentire all’interessato una consapevole valutazione dell’onere finanziario che va ad affrontare...” ed ha ritenuto legittima la rideterminazione retroattiva degli oneri di urbanizzazione applicabili alle concessioni recanti la clausola “salvo conguaglio” ed invece illegittima la rideterminazione retroattiva del costo di costruzione non preventivamente accettata dall’interessato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 07.03.2007 n. 726 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAVa esclusa la possibilità di applicare tabelle parametriche diverse da quelle vigenti al momento di rilascio della concessione edilizia, ma va esclusa altresì la possibilità per la Amministrazione -che abbia erroneamente determinato l’ammontare del contributo- di richiedere al privato, successivamente, un importo a titolo di conguaglio.
Costituisce inoltre orientamento consolidato della giurisprudenza la affermazione che il contributo di urbanizzazione ex art. 11, secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10 deve essere determinato al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione della entità del contributo facendo perciò applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio (sez. V 25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850, 06.12.1999 n. 2058, sez. IV 19.07.2004 n. 5197).
Da tale affermazione di principio è stato tratto il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e nuove tariffe e/o modalità di calcolo per gli oneri di urbanizzazione ribadendosi l’integrale applicazione del principio tempus regit actum e quindi la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute (anche se di poco) rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia (C.G.A. 07.08.2003 n. 289).
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E' pacifico tra le parti che l’importo è stato determinato dal Comune all’atto del rilascio della concessione senza alcuna riserva di successivo conguaglio e che tale importo è stato integralmente corrisposto.
In proposito va osservato che l’articolo 11 della L. 10/1977 recepito dall’art. 1 della legge regionale 71/1978 (applicabile ratione temporis) stabilisce al primo e secondo comma che il contributo di urbanizzazione è corrisposto all’atto del rilascio della concessione salvo scomputo secondo modalità da concordare, mentre il contributo concernente il costo di costruzione, determinato con riferimento alla data del rilascio, può essere corrisposto in corso d’opera secondo determinate modalità e garanzie.
Risulta quindi testualmente stabilito che le due tipologie di contributi possono differire solo per le modalità di adempimento, mentre invece coincidono quanto al momento che determina la nascita della obbligazione, ancorata, in ambedue i casi, alla data del rilascio della concessione edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che possano essere applicate tabelle parametriche diverse da quelle vigenti a quel momento, ma esclude altresì la possibilità per la Amministrazione che abbia erroneamente determinato l’ammontare del contributo di richiedere al privato successivamente un importo a titolo di conguaglio.
In effetti, richiamando il carattere delle controversie de quibus di cui è pacificamente riconosciuta la natura paritetica, appare difficilmente sostenibile che la Amministrazione, in sede di autotutela, possa richiedere a conguaglio somme da essa erroneamente non pretese nel momento in cui l’Amministrazione stessa procedeva a determinare il quantum della obbligazione a carico del privato.
In linea più generale va infatti riconosciuto che l’esercizio dell’autotutela in vicende aventi ad oggetto non tanto la legittimità degli atti, quanto il rapporto di credito e debito derivante dalla applicazione di una determinata normativa, non può non risultare condizionato dalle disposizioni di carattere civilistico che disciplinano il sorgere modificarsi ed estinguersi dei reciproci diritti ed obblighi.
Se infatti è esatto che in tali vicende l’Amministrazione, pur rimanendo depositaria di pubblici interessi, interviene tuttavia senza esercitare poteri autoritativi, ma alla stessa stregua di un soggetto privato, ne consegue che anche la classica autotutela amministrativa può trovare cittadinanza solo compatibilmente con il regime paritetico nel quale l’Amministrazione stessa opera.
Tale principio risulta già sostanzialmente riconoscibile nella giurisprudenza attuale in materia di ripetizione di somme corrisposte erroneamente a pubblici dipendenti. La affermazione che in tal caso l’interesse pubblico è in re ipsa e che non occorre alcuna specifica motivazione corrisponde in realtà al principio civilistico che, all’art. 2033 c.c., disciplina l’indebito oggettivo (cfr., in questo senso, C.d.S., VI, 10.02.1999, n. 120; C.d.S., VI, 20.02.2002, n. 1045; C.d:S., V, 14.05.2003, n. 2560; C.d.S., V, 23.03.2004, n. 1535; C.d.S., 23.11.2004, n. 7680).
Nel caso di specie la situazione appare rovesciata in quanto l’Amministrazione non ha erroneamente corrisposto una somma superiore rispetto a quanto era tenuta a versare, bensì ha richiesto una somma inferiore rispetto a quanto aveva il potere di esigere.
Applicando a questa fattispecie i canoni civilistici si premette innanzitutto che ai sensi del citato articolo 11 della legge 10/1977 la determinazione dell’obbligazione pecuniaria era a carico esclusivamente dell’Amministrazione creditrice.
Si premette altresì che l’Amministrazione, ancorché erroneamente, ha tuttavia unilateralmente determinato l’importo che poi è stato richiesto al privato e da questi integralmente soddisfatto.
Sul piano strettamente civilistico il pagamento rappresenta peraltro la modalità principale di estinzione delle obbligazioni, salva la possibile rilevanza ostativa di una causa di violenza, dolo o errore. Escluse le prime due categorie, l’unica che, in ipotesi, potrebbe venire in considerazione è l’errore, la cui disciplina, peraltro, così come enu-cleabile dagli artt. 1427 e segg. del codice civile, non sembrerebbe attagliarsi alla posizione dell’Amministrazione in veste di creditore.
L’errore infatti per acquisire rilevanza in tema di adempimento delle obbligazioni dovrebbe rivestire i caratteri della essenzialità e della riconoscibilità.
Quanto alla riconoscibilità (art. 1431 c.c.), è lecito dubitare della ricorrenza di tale carattere considerando che la determinazione del contenuto dell’obbligazione incombe all’Amministrazione ed in particolare all’ente locale territoriale che istituzionalmente provvede alla disciplina dei criteri generali ed all’applicazione concreta dei medesimi alle singole fattispecie.
In tale situazione, salvo casi macroscopici di evidenza ictu oculi, non ricorrenti nella fattispecie in esame, è difficile ipotizzare che l’eventuale errore dell’Amministrazione sia riconoscibile dal privato il quale, del tutto naturalmente, viene indotto a prestare affidamento alla correttezza dell’autoliquidazione del proprio credito da parte della stessa dell’Amministrazione creditrice.
Infine, non va dimenticato che la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, sottolinea come in generale la riconoscibilità dell’errore deve essere oggettiva e quindi percepibile da qualsiasi terzo, il che si verifica quando l’errore cada sulla esistenza di un fatto.
La riconoscibilità non potrebbe invece avere carattere soggettivo e riferirsi ad errori di valutazione o di apprezzamento (sia di fatti che della portata di norme giuridiche) perché ciò implicherebbe valutazioni soggettive non obiettivamente percepibili da terzi (v. Cass. Sez. Un. 08.01.1981 n. 180, Cass. 01.03.1995 n. 2340, 29.08.1996 n. 7626, C.d.S. sez. VI 21.05.2001 n. 2807).
Non sembra dubbio che nel caso di specie l’errore consista, se mai, nel valutare in un certo modo la applicabilità temporale di determinate disposizioni.
D’altra parte, va altresì considerato che nella specie l’errore in cui è incorsa l’Amministrazione non è un errore di fatto o un errore di calcolo ex art. 1430 c.c., bensì un tipico errore di diritto consistente nell’applicazione (per gli oneri di urbanizzazione) di tariffe relative ad un periodo antecedente rispetto a quelle applicabili, ovvero nel riconoscimento (per il costo di costruzione) di un abbattimento percentuale delle medesime, abbattimento non più applicabile ratione temporis.
Orbene, com’è noto, la disciplina dell’errore di diritto è valutata con minore favore dal legislatore civilistico poiché tale errore rileva, ex art. 1429 n. 4 c.c., solo allorché sia stato la ragione unica o principale del contratto.
Nella specie ciò non appare predicabile, essendo evidente che la ragione determinante dell’obbligazione risiede da un lato nell’interesse pubblico generale ad una corretta urbanizzazione del territorio e, dall’altro, all’interesse privato particolare della realizzazione dello sfruttamento edilizio della proprietà fondiaria.
Esclusa quindi la rilevanza dell’errore, sia perché non riconoscibile sia perché comunque non essenziale, e sottolineato ancora una volta che la determinazione dell’ammontare dell’obbligazione è posta dalla legge a carico dell’Amministrazione creditrice, ne discende che la medesima rimane vincolata al contenuto della propria manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l’affidamento incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato.
Con l’ulteriore conseguenza che se l’obbligato adempie in buona fede (rectius: senza poter ragionevolmente riconoscere l’errore in cui eventualmente sia incorsa l’Amministrazione che ha operato la liquidazione del quantum debeatur) l’obbligazione richiestagli, l’esatto adempimento, alla stregua dei principi generali, estingue definitivamente l’obbligazione.
L’appellante, peraltro, a sostegno della propria tesi richiama due precedenti della sez. V, 25.04.1966 n. 426 e 06.05.1997 n. 458.
Nel primo di questi il potere di revisione nella materia de qua viene apoditticamente ricondotto al generale potere di autotutela e ciò indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi o dalla insorgenza di nuovi fatti.
Nella specie la Amministrazione aveva erroneamente sottovalutato la capacità inquinante di un impianto industriale.
Nella seconda decisione il tema è stato invece affrontato con maggiore approfondimento sistematico.
Dopo aver richiamato il precedente della Sezione dianzi citato, la decisione 458/1997 afferma che, in base alla lettera ed alla ratio dell’art. 11 L. 10/1977 “il momento in cui viene rilasciata al concessione individua il termine ultimo di pagamento del contributo, ma non già il tempo oltre il quale resterebbe preclusa all’Amministrazione comunale la facoltà di stabilire o rideterminare la misura del credito”.
Ciò premesso, la decisione prosegue negando che nella materia de qua sia possibile applicare in via analogica principi dettati in materia pensionistica.
Assume poi che nel settore fiscale non sarebbero ricavabili principi ostativi al potere di revisione del contributo in autotutela, come sarebbe dimostrato dai poteri di accertamento e rettifica attribuiti alla Amministrazione e la cui limitazione, con termini di decadenza più o meno brevi, sarebbe bilanciato anche da brevi termini di decadenza a carico del contribuente per le corrispondenti impugnative.
La decisione, quindi, rilevato che la giurisprudenza qualifica come paritetico l’atto con cui viene richiesto il contributo ed ammette l’interessato a contestarne l’importo nel termine ordinario di prescrizione afferma che, coerentemente, analogo potere dovrebbe essere riconosciuto all’Amministrazione. Se poi si volesse individuare un termine decadenziale a carico dell’Amministrazione lo stesso dovrebbe, se mai, essere ricercato per analogia e potrebbe essere ricavato dal limite prescrizionale di 36 mesi posto dall’art. 35 della L. 47/1985 al potere dell’Amministrazione di chiedere il conguaglio in relazione alle domande di concessione in sanatoria.
Le tesi esposte nella anzidetta decisione, benché acutamente sostenute, non appaiono peraltro al Collegio completamente soddisfacenti.
Innanzitutto la vicenda va precisata nei suoi termini concreti.
I contributi di cui all’articolo 11 della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a differenza di altre fattispecie normative, non ven-gono determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento della domanda dell’interessato e quindi non sono necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria (art. 35 L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è stato infatti collocato temporalmente dal legislatore al termine di un lungo e complesso procedimento che prende le mosse da una dettagliata e circostanziata domanda del privato, cui fa seguito una complessa istruttoria da parte dell’Amministrazione, nel corso della quale l’Amministrazione stessa può chiedere interessato tutti i chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione non è quindi equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda di concessione in sanatoria. In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte ad una attività già posta in essere dal richiedente e ad una richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la domanda.
Del tutto diversa è la situazione della concessione in via ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo della legittimità della richiesta del privato.
Così inquadrata la fattispecie sembra più agevole dedurne le conseguenze ai fini che qui interessano.
Innanzitutto il collegamento normativo tra momento del rilascio della concessione e determinazione dei contributi evidenzia il parallelismo tra la attività di controllo e verifica operata dalla Amministrazione innanzitutto sulla domanda concessoria del privato, e, in concomitanza, sul corrispondente ammontare dei contributi che di conseguenza il richiedente è tenuto a corrispondere all’atto del rilascio del titolo abilitativo.
Se ciò è esatto, sembrerebbe che il legislatore, quanto meno a regime, abbia riconosciuto all’Amministrazione il potere ed il corrispondente dovere di effettuare il controllo e la verifica e di stabilire il quantum dovuto preventivamente al rilascio della concessione.
Pertanto non sembra del tutto convincente la affermazione contenuta nella citata decisione della sez. V n. 458/1997 secondo cui l’art. 11 disciplinerebbe soltanto il momento del pagamento del contributo al fine di consentire al Comune la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In proposito il Collegio osserva innanzitutto che il pagamento del contributo al Comune presuppone necessariamente la predeterminazione del quantum e non può ovviamente essere effettuato se non a seguito della anzidetta previa determinazione.
Tale determinazione, d’altro canto, non può essere effettuata altro che dal Comune medesimo.
Il secondo comma dell’art. 11 relativo al contributo stabilisce infatti che “la quota … è determinata all’atto del rilascio della con-cessione ed è corrisposta nel corso d’opera”.
Per il contributo relativo ad oneri di urbanizzazione il primo comma dell’art. 11 si limita invece a stabilire che “la quota … è corrisposta al Comune all’atto del rilascio della concessione”.
Dalla differente dizione letterale non sembra peraltro condurre a ritenere un regime differenziato tra il contributo per costo di costruzione e quello per oneri di urbanizzazione.
In ambedue i casi l’importo dovuto dal privato deve essere predeterminato dall’Amministrazione.
Ciò risulta in modo inequivocabile del rinvio operato nel primo e secondo comma dell’art. 11 rispettivamente ai precedenti articoli 5 e 6 rubricati “Determinazione degli oneri di concessione” e “Determinazione del costo di costruzione”.
Pertanto il Collegio ritiene che da una esegesi sistematica del primo e secondo comma dell’art. 11, in relazione anche ai precedenti articoli 5 e 6, risulti che il legislatore abbia voluto disporre che la Amministrazione, prima di rilasciare la concessione, determini gli oneri da porre a carico al privato e ne richieda il pagamento integrale al momento del rilascio del titolo abilitativo, salve le ipotesi di rateiz-zazione o scomputo espressamente previste dal primo e secondo comma del medesimo articolo 11 L. 10/1977 (v. C.d.S. sez. VI, 18.03.2004 n. 1435, C.d.S. sez. V, 13.03.2003 n. 3332), ovvero salvo espressa riserva di conguaglio (C.G.A. parere SS.RR. 392/1995 e Sez. Giur. 131/1996) riserva nella specie peraltro inesistente.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto nella decisione invocata dall’appellante, in questo caso la verifica, l’accertamento e la determinazione del debito a carico del privato non è posposta dalla legge al pagamento di un importo provvisorio, ma, al contrario, è testualmente collocata in un momento anteriore e cioè in concomitanza, come già osservato, con il controllo e la verifica della domanda di con-cessione edilizia rispetto alla quale costituisce un corollario conse-quenziale e ne presuppone, di regola, la determinazione del quantum in via definitiva
(CGARS, sentenza 02.03.2007 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier VINCOLO CIMITERIALE

URBANISTICALa salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo.
Occorre premettere, quanto al vincolo cimiteriale, che la salvaguardia dell'area di rispetto cimiteriale di 200 metri prevista dall'art. 338 T.U. 27.07.1934 n. 1265 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale (giurisprudenza pacifica: cfr., da ultimo, CdS, V, 03.05.2007 n. 1933; IV, 12.03.2007 n. 1185).
Si consideri ancora che il vincolo di rispetto cimiteriale, riguarda non solo i centri abitati, ma anche i fabbricati sparsi (cfr. TAR Milano, II, 06.10.1993 n. 551).
Infine, che lo stesso vincolo preclude il rilascio della concessione, anche in sanatoria (ai sensi dell'art. 33 L. 28.02.1985 n. 47), senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell'opera con i valori tutelati dal vincolo (cfr. Cons. Stato, V, 03.05.2007 n. 1934) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 07.02.2008 n. 325 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il divieto di costruire nuovi edifici nella fascia di rispetto cimiteriale integra un vincolo di inedificabilità assoluta.
Le finalità perseguite dalla normativa (cfr. attualmente art. 28 l. 01.08.2002 n. 166) in tema di vincolo cimiteriale sono di superiore rilievo pubblicistico e rivolte essenzialmente a garantire la futura espansione del cimitero, a garantire il decoro di un luogo di culto nonché, non da ultimo, assicurare una cintura sanitaria attorno a luoghi per loro natura insalubri.

Circa l'indubbia natura “assoluta” del vincolo di inedificabilità cimiteriale, il Collegio non condivide l’orientamento di una parte della giurisprudenza secondo cui la fascia di rispetto cimiteriale: “non comporta ex se un'inedificabilità assoluta ma è l'Autorità preposta alla tutela del vincolo che, in sede di formulazione del parere, deve specificare i motivi ostativi alla realizzazione del singolo manufatto e ciò in quanto la presenza di alcuni edifici all'interno della zona di rispetto cimiteriale non concreta di per sé una violazione della distanza minima, posto che questa è fissata dall'art. 338 del T.U. 27.07.1934 n. 1265, in relazione ai centri abitati, e non ai fabbricati sparsi che non possono ricondursi ai primi.” (così: TAR Trentino Alto Adige-Trento, sent. n. 64 del 02.04.1997; in termini: CdS, sez. IV sent. n. 775 del 16.09.1993; TAR Trentino Alto Adige-Trento, sent. n. 336 del 01.08.1994. Nel senso che la distanza minima, oltre la quale deve essere collocato il cimitero, fissata dall'art. 338 della legge citata, si riferisce ai centri abitati e che, pertanto, la presenza di alcuni edifici all'interno della zona di rispetto non concreta di per sé una violazione di tale distanza, cfr. C.d.S. n. 775/1993; Tar Emilia  Romagna-Bologna, I sez. 27.09.1997, n. 622; Tar Marche 12.08.1997, n. 677; Tar Campania-Napoli, 09.06.1997, n. 1503).
Il Collegio condivide l’orientamento della giurisprudenza secondo cui il divieto di costruire nuovi edifici, di cui alla normativa sopra citata, integri un vincolo di inedificabilità assoluta (così: C.d.S. sez. IV 12.03.2007 n. 1185, C.d.S., sez. V, 12.11.1999, n. 1871; CdS, sez. II, parere 28.02.1996, n. 3031/1995; Tar Lombardia-Milano, 11.07.1997 n. 1253; Tar Toscana, I sezione, 29.09.1994, n. 471). Ciò in quanto le finalità perseguite dalla normativa (cfr. attualmente art. 28 l. 01.08.2002 n. 166) in tema di vincolo cimiteriale sono di superiore rilievo pubblicistico e rivolte essenzialmente a garantire la futura espansione del cimitero, a garantire il decoro di un luogo di culto nonché, non da ultimo, assicurare una cintura sanitaria attorno a luoghi per loro natura insalubri. Trattasi, quindi, di una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul bene e non suscettibile di deroghe di fatto, siccome riconducibile a previsione generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di beni che si trovino in una determinata situazione, e perciò individuabili a priori (cfr Cass. Civ. sez. I, 29.11.2006 n. 25364). La natura assoluta del vincolo non si pone in contraddizione logica con la possibilità che nell’area indicata insistano delle preesistenze, e/o che ad esse vengano assegnate destinazioni compatibili con la esistenza del vincolo (Cass. Civ. sez. I, 16.07.1997, n. 6510), ma essa mira essenzialmente ad impedire l’ulteriore addensamento edilizio dell’area giudicato ex lege incompatibile con le prioritarie esigenze di tutela igienico-sanitaria, e di tutela del culto sottese alla imposizione del vincolo
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 29.11.2007 n. 15615 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIl vincolo cimiteriale è perpetuo e la sua reiterazione nel P.R.G., peraltro meramente ricognitiva, non dà luogo ad indennizzo alcuno.
Il vincolo cimiteriale è perpetuo, ex art. 338 del R.D. 27.07.1934, n. 1265 (da ultimo cfr. in proposito C.d.S., IV, 11.10.2006, n. 6064); né –afferendo a una specifica qualità del bene su cui incide– la sua reiterazione nel P.R.G., peraltro meramente ricognitiva, dà luogo ad indennizzo in base a Corte cost. 20.05.1999, n. 179 (C.G.A.R.S., sentenza 08.10.2007 n. 929 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATA1. L’articolo 9, comma 3, della legge n. 47/1985 (oggi art. 33 DPR 380/2001), relativo alle ristrutturazioni edilizie abusive di immobili soggetti a vincolo storico-artistico o ambientale e non suscettibili di sanatoria, va interpretato nel senso che la sanzione ripristinatoria deve essere applicata congiuntamente a quella pecuniaria solo se il ripristino sia ancora possibile; laddove invece il ripristino non sia possibile, deve trovare applicazione la sola sanzione pecuniaria.
2. L’accertamento della compatibilità paesaggistica ex art. 167, comma 5, del D.Lgs. n. 42/2004, oltre ad avere presupposti completamente diversi rispetto all’istituto dell’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, può operare anche prima che venga ordinata la demolizione ai sensi dell’art. 167, comma 1, ed impedisce la demolizione perché, attraverso il rilascio ex post del titolo abilitativo, fa venir meno il carattere abusivo dell’intervento.

1. Poste tali premesse il Collegio osserva innanzi tutto che i suddetti problemi ermeneutici si sono posti in passato anche in relazione all’articolo 9 della legge n. 47/1985, oggi sostituito dell’articolo 33 del D.P.R. n. 380/2001, e sono stati diffusamente affrontati dalla giurisprudenza. In particolare,
Secondo il Consiglio di Stato (Sez. VI, 30.08.2002, n. 4374), l’articolo 9 della legge n. 47/1985 (oggi art. 33 DPR 380/2001) «nel mentre consente, per le ristrutturazioni edilizie abusive relative a immobili non vincolati, la possibilità di irrogare la sola sanzione pecuniaria, ove la riduzione in pristino non sia possibile, per le ristrutturazioni abusive relative a immobili vincolati sembra, sulla scorta del dato testuale, imporre in ogni caso l’applicazione congiunta della sanzione ripristinatoria e di quella pecuniaria. Ma siffatta interpretazione non appare conforme a argomenti di carattere logico e sistematico, e anche ad argomenti di ordine testuale. Emergono anzitutto due argomenti di ordine testuale. Il comma 3 dell’art. 9 in commento fa salva l’applicazione di sanzioni previste dalle norme vigenti in materia di immobili vincolati. Non si può, pertanto, non tenere conto dell’art. 59, L. n. 1089 del 1939, che per gli immobili soggetti a vincolo storico-artistico prevede la sanzione pecuniaria quando non sia possibile la riduzione in pristino. Il successivo comma 4 dell’art. 9, L. n. 47 del 1985, poi, dispone che “Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche non vincolati, compresi nelle zone indicate nella lettera A dell’articolo 2 del decreto ministeriale 02.04.1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16.04.1968, il sindaco richiede all’amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro centoventi giorni dalla richiesta il sindaco provvede autonomamente”. Il comma 4 si riferisce sia agli immobili vincolati che a quelli non vincolati che ricadano in zona A (centro storico), e stabilisce che in tale ipotesi l’autorità comunale chiede parere all’autorità preposta alla tutela del vincolo, circa la riduzione in pristino o la irrogazione di sanzione pecuniaria. Si dà dunque per scontato che le ristrutturazioni edilizie abusive nei centri storici, anche ove riguardino immobili vincolati, sono passibili di sola sanzione pecuniaria, in luogo della riduzione in pristino».
A fronte di tale quadro normativo, che i giudici di Palazzo Spada definiscono «non del tutto perspicuo se ancorato ad una interpretazione strettamente letterale», gli stessi giudici sulla base di una interpretazione logica, teleologica e sistematica pervengono ad affermare quanto segue: «Dal quadro normativo si evince dunque che in ben tre norme si prevede la sanzione pecuniaria in luogo della riduzione in pristino non più possibile: nell’art. 9, comma 2, L. n. 47 del 1985, per gli immobili non vincolati; nell’art. 9, comma 4, L. n. 47 del 1985, per gli immobili siti nel centro storico, siano essi o meno vincolati; nell’art. 59, L. n. 1089 del 1939, per gli immobili vincolati, quale che sia la zona del territorio comunale in cui si trovano. In tale quadro, perfettamente coerente e rispondente ad un canone logico di comune buonsenso, secondo cui non si ordina la riduzione in pristino se la stessa è ormai impossibile o troppo dannosa, appare una nota stonata l’interpretazione puramente testuale dell’art. 9, comma 3, che sembrerebbe imporre in ogni caso la riduzione in pristino in aggiunta alla sanzione pecuniaria, per le ristrutturazioni edilizie su immobili vincolati. Siffatta interpretazione non è coerente con argomenti di carattere logico; non è coerente con una interpretazione sistematica, specie se il comma 3 viene letto congiuntamente al comma 4 dell’art. 9: non si comprenderebbe perché per gli immobili vincolati è possibile la sola sanzione pecuniaria per le ristrutturazioni edilizie abusive nei centri storici e non anche per le ristrutturazioni edilizie fuori dai centri storici; non è coerente con la stessa lettera della legge, che al comma 3 dell’art. 9 fa salve le sanzioni previste da altre norme vigenti, e, segnatamente, le previsioni di cui all’art. 59, L. n. 1089 del 1939. Il significato pratico e autonomo del comma 3 dell’art. 9 L. n. 47 del 1985 non è dunque nella previsione delle sanzioni congiunte, bensì nell’aver affidato la competenza sanzionatoria all’autorità preposta alla tutela del vincolo anziché all’autorità comunale, e nell’aver previsto la sanzione pecuniaria e ripristinatoria in via cumulativa, sempre che quella ripristinatoria sia possibile. Ove, invece, il ripristino non sia possibile senza nocumento per le ragioni stesse del vincolo, deve trovare applicazione la sola sanzione pecuniaria. La concreta misura della sanzione pecuniaria rientra nell’apprezzamento di discrezionalità tecnica dell’amministrazione che la irroga. È ragionevole ritenere che ove la sanzione pecuniaria venga applicata congiuntamente a quella ripristinatoria, potrà essere irrogata nella misura minima; ove venga irrogata in sostituzione di quella ripristinatoria, potrà essere irrogata in misura più elevata, in proporzione alla gravità dell’abuso, e, se del caso, nel massimo edittale. Va aggiunto che l’applicazione di entrambe le sanzioni vale per tutti gli immobili vincolati, ivi compresi quelli collocati nel centro storico, per i quali vi sono norme ulteriori di dettaglio nel comma 4 del medesimo art. 9 in commento».
Volendo sintetizzare le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di Palazzo Spada nella predetta sentenza si può quindi affermare che l’articolo 9, comma 3, della legge n. 47/1985, relativo alle ristrutturazioni edilizie abusive di immobili soggetti a vincolo storico-artistico o ambientale e non suscettibili di sanatoria, va interpretato nel senso che la sanzione ripristinatoria deve essere applicata congiuntamente a quella pecuniaria solo se il ripristino sia ancora possibile; laddove invece il ripristino non sia possibile, deve trovare applicazione la sola sanzione pecuniaria.
Le predette conclusioni, secondo il Collegio, mantengono inalterata la propria validità anche nel vigore dell’articolo 33 del D.P.R. n. 380/2001, posto che sussiste una sostanziale continuità normativa tra la disciplina ivi prevista e quella in precedenza posta dall’articolo 9 della legge n. 47/1985.
2. Analoghe considerazioni valgono per l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria (rectius accertamento della compatibilità paesaggistica), oggi disciplinata dal combinato disposto degli articoli 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004 e 167, commi 4 e 5, del medesimo decreto legislativo.
Infatti -a fronte dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi previsto dell’art. 167, comma 1, del decreto legislativo n. 42/2004 nei confronti di chi abbia eseguito l’intervento edilizio in assenza della autorizzazione paesaggistica- l’articolo 146, comma 4, nel prevedere il divieto di rilasciare l’autorizzazione in sanatoria, fa salve le ipotesi disciplinate previste dall’articolo 167, comma 4, per le quali è possibile richiedere l’accertamento della compatibilità paesaggistica attraverso l’apposito procedimento disciplinato dall’art. 167, comma 5.
Risulta quindi evidente che anche tale meccanismo di sanatoria, oltre ad avere presupposti completamente diversi rispetto all’istituto dell’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, può operare anche prima che venga ordinata la demolizione ai sensi dell’art. 167, comma 1, ed impedisce la demolizione perché, attraverso il rilascio ex post del titolo abilitativo, fa venir meno il carattere abusivo dell’intervento (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 03.04.2009 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sono suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica (ex art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004) anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia urbanistica (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 29.05.2006, n. 3227; Sez. V, 31.01.2006, n. 354), i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale e, come tali, sono ininfluenti ai fini del calcolo degli indici di edificabilità. Ne consegue che, come evidenziato dalla ricorrente, la stessa ratio che in materia urbanistica induce ad escludere i volumi tecnici del calcolo della volumetria edificabile dovrebbe valere anche in materia paesistica per escludere tali volumi dal divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria.
Tuttavia a tale argomento ermeneutico potrebbe replicarsi, sempre dal punto di vista sistematico, facendo leva sull’autonomia della normativa in materia paesistica rispetto a quella in materia urbanistica ed edilizia, autonomia sulla quale anche questa Sezione ha recentemente avuto occasione di soffermarsi (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 21.03.2008, n. 1470). Si deve infatti qui rammentare che l’art. 146, comma 10, del decreto legislativo n. 42/2004 nella sua versione originaria (ossia anteriore alle modifiche introdotte dall’articolo 16 del decreto legislativo n. 157/2006) prevedeva un divieto assoluto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria e che, a fronte dei problemi applicativi derivanti da tale disposizione, è intervenuto l’Ufficio legislativo del Ministero per i beni e le attività culturali (con il parere di cui alla nota n. 11758 in data 22.06.2004) precisando che tale divieto assoluto “mira a negare in radice la possibilità, implicitamente ammessa dalla giurisprudenza, di un trapianto nell’ambito della materia della tutela del paesaggio della norma sull’accertamento di conformità propria della materia edilizia” e che la ratio di tale divieto si fonda sia “sul diverso grado di protezione accordata al paesaggio dall’articolo 9 della Costituzione”, sia “sul rilievo della natura sostanzialmente discrezionale (o tecnico-discrezionale) dell’autorizzazione paesaggistica, che la differenzia radicalmente, dal punto di vista della stessa configurazione del potere esercitato … rispetto alla sanatoria urbanistica, che è, invece, di regola interamente vincolata alla verifica di conformità del progetto rispetto al piano regolatore”.
Rilievo decisivo assume quindi -a giudizio del Collegio- l’interpretazione teleologica della disposizione in esame. Si deve infatti osservare innanzi tutto che la Soprintendenza, attenendosi rigorosamente alla prospettata interpretazione letterale, coerentemente perviene a negare la possibilità di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria anche per i volumi interrati, conclusione questa che si pone tuttavia in stridente contrasto con la evidenziata ratio del divieto posto dall’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004, perché i volumi interrati sono palesemente privi di ogni incidenza sul paesaggio.
Analoghe considerazioni valgono per l’ulteriore argomento letterale addotto dalla Soprintendenza, che fa leva sul riferimento testuale alle “superfici utili”, dal quale la stessa Soprintendenza coerentemente desume che le superfici non residenziali sarebbero suscettibili di sanatoria. Infatti è evidente che la realizzazione di un soppalco all’interno di un preesistente volume è anch’essa priva di ogni incidenza sul paesaggio, a prescindere dal fatto che il soppalco determini o meno un aumento delle superfici residenziali.
Pertanto, l’interpretazione teleologica induce inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati. In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 03.04.2009 n. 1748 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo indiretto ex articolo 21 della legge 01.06.1939 n. 1089 (oggi articolo 45, del D.Lgs 22.01.2004 n. 42) vanno stabiliti con riguardo alla globale consistenza della cosiddetta cornice ambientale, la quale, pertanto, “si estende fino a comprendere ogni immobile, purché in prossimità del bene monumentale, che sia con questo in tale relazione che la sua manomissione sia idonea ad alterare il complesso di condizioni e caratteristiche fisiche e culturali che connotano lo spazio ad esso circostante”.
Come la giurisprudenza ha ripetutamente avuto modo di osservare, il vincolo indiretto ex articolo 21 della legge 01.06.1939 n. 1089 (oggi articolo 45, del D.Lgs 22.01.2004 n. 42), e le relative prescrizioni a salvaguardia delle condizioni di ambiente e decoro delle cose immobili tutelate dalla stessa legge, vanno stabiliti con riguardo alla globale consistenza della cosiddetta cornice ambientale, la quale, pertanto, “si estende fino a comprendere ogni immobile, purché in prossimità del bene monumentale, che sia con questo in tale relazione che la sua manomissione sia idonea ad alterare il complesso di condizioni e caratteristiche fisiche e culturali che connotano lo spazio ad esso circostante” (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, VI, 19.10.2007 n. 5436; TAR Sicilia, Palermo, I, 22.07.2008 n. 990) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 02.04.2009 n. 376 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier VOLUMI TECNICI

EDILIZIA PRIVATA: Rientrano nella nozione di "volume tecnico" solo le opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis TAR Campania-Napoli, Sez. IV, 13.05.2008, n. 4258; TAR Lombardia Milano, Sez. II, 25.03.2008, n. 582), per l’identificazione della nozione di volume tecnico rilevano tre parametri:
- il primo, positivo e di tipo funzionale, costituito dall’esistenza di un rapporto di strumentalità necessaria tra i manufatto e l’utilizzo della costruzione a cui accede;
- il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno della parte abitativa, e dall’altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Pertanto, rientrano in tale nozione solo le opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 03.04.2009 n. 1748 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Attuazione dell’art. 1, commi 65 e 67, della legge 23.12.2005, n. 266 per l’anno 2009 (deliberazione 01.03.2009 - link a massimario.avlp.it).
Soggetti, pubblici e privati, tenuti a versare un contributo a favore dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nell’entità e con le modalità previste dal provvedimento medesimo.

UTILITA'

LAVORI PUBBLICI: U.T.F.P.: 100 DOMANDE E RISPOSTE - Edizione aggiornata alle modifiche di cui al d.lgs. 11.09.2008 n. 152 (edizione febbraio 2009 - link a www.utfp.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Piano casa, "Schema di decreto legge recante “Misure urgenti in materia di edilizia, urbanistica ed opere pubbliche” (versione al 16.04.2009).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 15 del 14.04.2009, "Approvazione delle «Modalità per la segnalazione a regione Lombardia delle modifiche da apportare allo strato informativo aree agricole nello stato di fatto ex art. 43 della l.r. 12/2005 e ss.mm.ii." (decreto D.U.O. 18.03.2009 n. 2609 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 15 del 14.04.2009, "Determinazioni in merito alla definizione dei canoni in regime «moderato» - Schema di convenzione tipo per la gestione delle unità abitative (art. 8, l.r. 27/2007)" (deliberazione G.R. 30.03.2009 n. 9202 - link a www.infopoint.it).

APPALTI: G.U. 06.04.2009 n. 80 "Regolamento in materia di attività di vigilanza e accertamenti ispettivi di competenza dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all’articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 163/2006" (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, provvedimento 15.01.2009).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: P. Fimiani, Le principali decisioni della cassazione sull’inquinamento idrico dopo il T.U. del 2006 (link a www.lexambiente.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Sulla decadenza di una società dalla procedura di aggiudicazione per non aver costituito il deposito cauzionale.
E' legittimo il provvedimento dell'ufficio Territoriale del Governo (U.T.G.) che ha dichiarato la società aggiudicataria di un immobile comunale appartenente al Fondo Edifici di Culto, decaduta dalla procedura di aggiudicazione sul rilievo che, in base al principio "quod sine die debetur statim debetur" la società predetta era tenuta a costituire il deposito cauzionale senza ritardo, fin dal momento della ricezione della richiesta formulata con lettera raccomandata, e ciò indipendentemente da ogni ulteriore atto di diffida dell'Amministrazione. In presenza dell'inerzia nell'assolvimento anche di detto adempimento, protrattasi per circa tre mesi, la determinazione dell'Amministrazione confermativa della decadenza dall'aggiudicazione si sottrae alle censure di eccesso di potere nei profili del difetto di motivazione e dello sviamento, trovando giustificazione nell'esigenza già posta in rilievo nel primo atto di decadenza di prevenire ogni danno patrimoniale per il mancato versamento dei canoni di locazione e configurandosi, inoltre, rivolta alla cura dell' interesse pubblico di utilizzo del bene appartenente al patrimonio dell'ente secondo criteri di economicità ed in condizioni vantaggiose per l'erario (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.04.2009 n. 2197 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIÈ principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica, e conseguentemente è illegittima l'apertura in segreto di plichi.
La "ratio" ispiratrice del principio di pubblicità delle sedute di gara è comune ai vari metodi di aggiudicazione ed è rivolta a tutelare le esigenze di trasparenza e imparzialità che devono guidare l'attività amministrativa in tale materia.
Il principio di pubblicità delle sedute di gara si applica a prescindere da un'espressa previsione al riguardo da parte delle prescrizioni di gara, anche in difformità di diversa disposizione regolamentare dell’Amministrazione, che andrebbe disapplicata.
Il mancato rispetto del principio di pubblicità delle sedute della commissione, con riguardo alla fase dell'apertura dei plichi contenenti le offerte e delle buste contenenti le offerte economiche dei partecipanti, integra un vizio del procedimento e comporta l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara.

Come ha già statuito questa Sezione, il principio di pubblicità e trasparenza nelle operazioni di svolgimento di pubbliche gare trova applicazione nella fase della verifica della documentazione presentata dai concorrenti e della conseguente ammissione degli stessi all'esame della documentazione tecnica per l'attribuzione dei punteggi, mentre il suddetto principio non è violato soltanto se la commissione riservi alla seduta segreta la valutazione delle offerte stesse previo controllo dell'anonimato degli elaborati previsti dal capitolato di gara, controllo da effettuarsi necessariamente in sede di specifica valutazione delle offerte già ammesse, al fine di eliminare qualsiasi possibilità di riferire l'offerta al concorrente che ne è autore (cfr. TAR Piemonte, sez. I, 13.12.2006, n. 4627).
È principio inderogabile in qualunque tipo di gara, infatti, quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell'integrità dei plichi contenenti l'offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l'offerta tecnica ovvero l'offerta economica, e conseguentemente è illegittima l'apertura in segreto di plichi. Il predetto principio di pubblicità delle gare pubbliche impone che il materiale documentario trovi correttamente ingresso con le garanzie della seduta pubblica; ciò anche in applicazione del più generale principio di imparzialità dell'azione amministrativa, che ha ricevuto esplicito riconoscimento sin dall'art. 89, r.d. 23.05.1924 n. 827, rappresentando uno strumento di garanzia a tutela dei singoli partecipanti, affinché sia assicurato a tutti i concorrenti di assistere direttamente alla verifica di integrità dei documenti e all'identificazione del loro contenuto (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 22.04.2008, n. 1856, Consiglio di Stato, sez. VI, 18.12.2006, n. 7578, Consiglio di Stato, sez. IV, 11.10.2007, n. 5354).
Per l'applicazione del principio di pubblicità delle sedute occorre distinguere tra procedure di aggiudicazione automatica e quelle che richiedono una valutazione tecnico-discrezionale per la scelta dell'offerta più vantaggiosa per l'Amministrazione sulla base di una pluralità di elementi tecnici ed economici.
Per le prime, la pubblicità delle sedute è generalmente totale al fine di consentire il controllo delle varie fasi di svolgimento della gara da parte dei concorrenti, non sussistendo alcuna valutazione tecnico-discrezionale da effettuare.
Per le seconde, occorre tenere presente che, a seguito delle fasi preliminari pubbliche di verifica e riscontro dei plichi presentati e dei documenti in essi contenuti, interviene la valutazione tecnico-qualititativa dell'offerta, la quale va effettuata in seduta riservata al fine di evitare influenze esterne sui giudizi dei membri della commissione giudicatrice (Consiglio di Stato, sez. V, 11.05.2007, n. 2355, 19.04.2007, n. 1790, 10.01.2007, n. 45 e 07.11.2006, n. 6529; Consiglio di Stato, sez. VI, 11.04.2006, n. 2012; Consiglio di Stato, sez. V, 20.03.2006, n. 1445, 16.06.2005, n. 3166 e 18.03.2004, n. 1427; Consiglio di Stato, sez. IV, 06.10.2003, n. 5823; Consiglio di Stato, sez. V, 09.10.2002, n. 5421; Consiglio di Stato, sez. VI, 14.02.2002, n. 846; Consiglio di Stato, sez. V, 14.04.2000, n. 2235);
La "ratio" ispiratrice del principio di pubblicità delle sedute di gara è comune ai vari metodi di aggiudicazione ed è rivolta a tutelare le esigenze di trasparenza e imparzialità che devono guidare l'attività amministrativa in tale materia (Consiglio di Stato, sez. V, 07.11.2006, n. 6529); infatti, i principi di pubblicità e di trasparenza dell'azione amministrativa costituiscono principi cardine del diritto comunitario degli appalti (Consiglio di Stato, sez. V, 16.06.2005, n. 3166) e il principio della pubblicità delle sedute di gara per la scelta del contraente è conforme alla normativa comunitaria in materia, la quale è orientata a privilegiare i principi di concorrenza, pubblicità e trasparenza nella scelta del contraente delle pubbliche amministrazioni (Consiglio di Stato, sez. V, 18.03.2004, n. 1427), come anche dei soggetti alla stessa equiparati (si veda pure l'art. 2, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 163/2006, il quale, ai sensi del successivo art. 206, comma 1, si applica ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori speciali di rilevanza comunitaria).
I principi del Trattato dell'Unione europea (U.E.), tra cui vi sono quelli di trasparenza e adeguata pubblicità, i quali hanno trovato anche recepimento espresso nel diritto interno (artt. 27, comma 1, 30, comma 3, e 91, comma 2, del d.lgs. n. 163/2006), si elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici e sono direttamente applicabili, a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne e in modo prevalente su eventuali disposizioni interne di segno contrario (da ultimo, Consiglio di Stato, Ad. Plen., 03.03.2008, n. 1).
Infatti, la regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell'apertura delle buste, non è nemmeno derogata dalla prevalente legislazione speciale operante nei settori ex esclusi (oggi speciali) ai sensi del d.lgs. 17.03.1995, n. 158 per le procedure negoziate ex art. 12 del d.lgs. n. 158/1995; procedura, solo questa, la quale conservava margini di snellezza e di elasticità che avrebbero potuto giustificare la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo" (in tal senso si era espressa la citata decisione del Consiglio di Stato n. 6004/2002).
La circostanza per cui, nei settori speciali, l'art. 226 del d.lgs. n. 163/2006, il quale stabilisce i contenuti dell'invito a presentare offerte o a negoziare, non prevede alcuna forma di pubblicità delle sedute, non esclude il rispetto del principio di pubblicità, atteso che la ratio ispiratrice della pubblicità delle sedute di gara è comune in ogni procedura concorsuale di scelta del contraente relativa a qualsiasi contratto pubblico di lavori, servizi e forniture, ed è rivolta a tutelare le esigenze di trasparenza e imparzialità che devono guidare l'attività amministrativa e che caratterizzano tutta la disciplina dell'evidenza pubblica (art. 97, comma 1, della cost. e art. 1, commi 1 e 1-ter, della l. 07.08.1990, n. 241).
Infatti, ai sensi dell'art. 1, comma 1-ter, della l. n. 241/1990, i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi di cui al comma 1, il quale prevede, tra i criteri che reggono l'attività amministrativa, quelli di pubblicità e di trasparenza e, ai sensi dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006, tra i principi che devono essere rispettati (nell'affidamento di opere e lavori pubblici, servizi e forniture) vi sono quelli di trasparenza e di pubblicità.
Quanto disposto dall'art. 91, comma 3, del d.p.r. 21.12.1999, n. 554 (in tema di pubblicità delle sedute nei settori ordinari) è, peraltro, espressione del principio di cui si è detto in tutta la materia degli appalti pubblici, qualsiasi forma procedurale sia prescelta per la selezione del contraente, comprese le procedure in economia, come nella specie.
Né può sostenersi che la mancata pubblicità delle sedute di gara non rileverebbe di per sé come vizio della procedura occorrendo un'effettiva lesione della trasparenza della gara e della par condicio tra i concorrenti, trattandosi di adempimento posto a tutela non solo della parità di trattamento dei partecipanti alla gara, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza e all'imparzialità dell'azione amministrativa; le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post, una volta rotti i sigilli e aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato (Consiglio di Stato, sez. V, 07.11.2006, n. 6529, 20.03.2006, n. 1445 e 18.03.2004, n. 1427); infatti, non è necessaria la prova di un'effettiva manipolazione della documentazione prodotta, poiché si risolverebbe in una manifesta petizione di principio accollare, al soggetto deducente la violazione in questione, l'onere dell'impossibile dimostrazione di un fatto (ossia l'alterazione dei plichi) unicamente verificabile attraverso il rispetto della formalità sostanziale (ossia, l'apertura pubblica delle buste) in concreto omessa (Consiglio di Stato, sez. V, 11.01.2006, n. 28).
Neppure è applicabile l'art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della l. n. 241/1990, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, anche perché non si è in presenza di attività vincolata dell'amministrazione.
Il principio di pubblicità delle sedute di gara si applica a prescindere da un'espressa previsione al riguardo da parte delle prescrizioni di gara, anche in difformità di diversa disposizione regolamentare dell’Amministrazione, che andrebbe disapplicata (e, in ogni caso, è stato impugnata).
Pertanto, il mancato rispetto del principio di pubblicità delle sedute della commissione, con riguardo alla fase dell'apertura dei plichi contenenti le offerte e delle buste contenenti le offerte economiche dei partecipanti, integra un vizio del procedimento e comporta l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 09.04.2009 n. 986 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla necessaria motivazione in ordine all'emanazione dell'ordine di demolizione di opera abusiva qualora sia trascorso un lungo lasso di tempo.
E' necessaria una motivazione anche per provvedimenti pacificamente dovuti in quanto sanzionatori là dove il lungo lasso di tempo trascorso per l’inerzia dell’amministrazione giustifichi il formarsi di un affidamento in capo ai destinatari (C.d.S. Sez. IV, 03.02.1996, n. 95) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 09.04.2009 n. 956 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzare opere edilizie per adibire un piazzale in modo duraturo a destinazione deposito costituisce opera urbanisticamente rilevante che modifica l’assetto del territorio.
E’ stato affermato in giurisprudenza (cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. II, 28.04.2008, n. 1271), che realizzare opere edilizie per adibire un piazzale in modo duraturo a destinazione deposito costituisce opera urbanisticamente rilevante che modifica l’assetto del territorio.
Ed è stato aggiunto che ciò discende dall’applicazione del principio secondo cui hanno rilievo urbanistico tutte le attività che modificano l’assetto del territorio (ex plurimis Tar Campania, Napoli, I, 19.04.2001, n. 1793; nel senso in esame si è espresso anche questo Tribunale nella pronuncia Tar Lombardia, Brescia, 02.05.2006, n. 438)
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 08.04.2009 n. 803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANella fase della contestazione di un abusivo intervento di ristrutturazione edilizia l’Amministrazione comunale non può far altro che ordinare la demolizione dell’abuso. Invece l’applicazione della sanzione pecuniaria (in alternativa alla demolizione) costituisce una misura eccezionale destinata ad operare in un momento successivo all’adozione dell’ordine di demolizione.
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis TAR Lazio, Roma, Sez. I, 17.04.2007, n. 3327; TAR Lombardia, Brescia, 09.12.2002, n. 2213), da una corretta interpretazione dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001 si desume che nella fase della contestazione di un abusivo intervento di ristrutturazione edilizia subordinato al rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lettera c), del D.P.R. n. 380/2001 l’Amministrazione comunale non può far altro che ordinare la demolizione dell’abuso. Invece l’applicazione della sanzione pecuniaria (in alternativa alla demolizione) costituisce una misura eccezionale destinata ad operare in un momento successivo all’adozione dell’ordine di demolizione, nel caso in cui risulti, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, che non è possibile ottemperare all’ordine di demolizione.
Risulta quindi evidente che l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria è un istituto autonomo e distinto rispetto ai meccanismi di sanatoria degli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza del prescritto permesso costruire, costituiti dall’accertamento della conformità urbanistica, disciplinato dall’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, e dal condono edilizio. Infatti tali istituti, oltre ad avere presupposti completamente diversi rispetto a quello in esame, possono operare anche prima che venga adottato l’ordine di demolizione ed impediscono la demolizione perché (attraverso il pagamento di un’oblazione e il rilascio ex post del titolo abilitativo) fanno venir meno il carattere abusivo dell’intervento (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 03.04.2009 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costituisce variante essenziale la modifica della localizzazione dell'edificio tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un'area pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista.
Secondo il consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale:
a) sono variazioni essenziali l'elevazione della quota di copertura del fabbricato e la realizzazione di un terrazzo (cfr. Consiglio Stato, V, 07.04.2006 n. 1900);
b) costituisce variante essenziale la modifica della localizzazione dell'edificio tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un'area pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista, trattandosi di modifica che comporta una nuova valutazione del progetto da parte dell'Amministrazione concedente, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici e con le connotazioni dell'area (cfr. di recente Consiglio Stato, IV, 20.11.2008 n. 5743) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 02.04.2009 n. 376 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli immobili abusivi e della relativa area di sedime costituisce effetto automatico della mancata ottemperanza all’ordinanza di ingiunzione della demolizione.
Vale qui ricordare l’orientamento giurisprudenziale, condiviso pienamente dal Collegio, secondo cui l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli immobili abusivi e della relativa area di sedime costituisce effetto automatico della mancata ottemperanza all’ordinanza di ingiunzione della demolizione, sicché il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza, costituente titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, può essere adottato anche senza la specifica indicazione delle aree oggetto di acquisizione (come invece è in concreto avvenuto nella fattispecie), potendosi a tale individuazione procedere anche con successivo, separato atto (cfr. Cons Stato Sez. VI 08/04/2004 n. 1998; TAR Lazio Sez II 12/04/2002 n. 3160; Tar Calabria Sez. II 08/03/2007 n. 161) (TAR Emilia-Romagna, sentenza 01.04.2009 n. 93 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIQualora la documentazione prodotta da un concorrente ad una pubblica gara sia presente ma carente di taluni elementi formali l’Amministrazione non può pronunciare l’esclusione dalla procedura ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare o chiarire il contenuto di un documento già presente, costituendo siffatta attività acquisitiva un ordinario modus procedendi, ispirato all’esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma.
Qualora la documentazione prodotta da un concorrente ad una pubblica gara sia presente ma carente di taluni elementi formali, di guisa che sussista un indizio del possesso del requisito richiesto, l’Amministrazione non può pronunciare l’esclusione dalla procedura ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare o chiarire il contenuto di un documento già presente, costituendo siffatta attività acquisitiva un ordinario modus procedendi, ispirato all’esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma.
Segnala il Collegio che la V Sezione del Consiglio ha infatti di recente statuito che “la facoltà di integrazione dell'offerta e della documentazione allegata è consentita solo nelle ipotesi in cui occorra chiarire il contenuto di una domanda presentata ritualmente e tempestivamente.” (Consiglio Stato, Sez. V, 25.08.2008, n. 4047). Già in precedenza, nel vigore del più generico regime antecedente il varo del Codice dei contratti, la medesima V Sezione aveva chiarito che “l'art. 16, d.lg. 17.03.1995 n. 157, nel disporre che le amministrazioni invitano, se necessario, le ditte partecipanti a gare per l'aggiudicazione di appalto di servizi a fornire chiarimenti e ad integrare la carente documentazione presentata, non ha inteso assegnare alle stesse una mera facoltà o un potere eventuale, ma piuttosto codificare un ordinario modo di procedere, volto a far valere, entro certi limiti e nel rispetto della par condicio dei concorrenti, la sostanza sulla forma, orientando l'azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e della capacità tecnica ed economica, coerentemente con la disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 6, l. 07.08.1990 n. 241” (Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2007, n. 3656).
Nello stesso periodo il TAR centrale aveva con completezza ben definito condizioni, ratio e presupposti del potere–dovere di integrazione documentale nelle gare d’appalto, puntualizzando che “l'integrazione dei documenti e dei certificati prodotti dal partecipante ad una gara costituisce, nella fase di valutazione dei requisiti di partecipazione, un ordinario modus procedendi al quale le Amministrazioni devono attenersi, tendente a far prevalere la sostanza sulla forma, e la cui applicazione è da escludere solo ove si possa tramutare in una lesione del principio di parità di trattamento dei concorrenti. Tale principio va coniugato con la precisazione che, nel caso in esame, la regolarizzazione che avrebbe potuto (rectius: dovuto) essere richiesta dalla stazione appaltante non si sarebbe sostanziata nella (inammissibile) produzione di un documento mancante, quanto, piuttosto, nella semplice integrazione di un documento già presente agli atti di gara, attraverso l'inserimento dell'autenticazione di una sottoscrizione (già peraltro presente) volta a conferire certezza alla soggettiva promanazione della polizza fideiussoria di che trattasi” (TAR Lazio Roma, Sez. I, 09.07.2008, n. 6518).
Non sfugge certo alla Sezione il travaglio che ha attraversato la giurisprudenza negli ultimi anni in punto di limiti e precauzioni all’affermazione del principio dell’integrazione documentale in materia di pubbliche gare, dovendosi il descritto canone ermeneutico coniugare e misurare anche con la valenza dei altri pregnanti principi di pari se non superiore livello, promananti dal diritto comunitario, quali il principio della par condicio competitorum e dell’auto responsabilizzazione dei concorrenti, atteso che la dilatazione del potere–dovere di integrazione documentale può collidere talora con la salvaguardia dei predetti concorrenti principi.
Ma ritiene pure la Sezione che il caso all’esame rientra nei più sicuri confini disegnati dalla giurisprudenza e dallo stesso art. 46 del d.lgs. n. 163/2006 all’integrazione documentale, posto che nella specie trattavasi unicamente di invitare la Cabinet a chiarire il contenuto (rectius, il significato linguistico) di certificazioni e attestazioni già tempestivamente prodotte in gara.
L’integrazione documentale, riferita alla spiegazione lessicale del contenuto di una certificazione di requisiti tecnico –economici prodotta in lingua diversa dall’italiano, rientra pleno iure a parere del Tribunale, nel chiaro disposto dell’art. 46 del Codice dei contratti, a mente del quale “le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati” e si impone anche in virtù degli obblighi di istruttoria procedimentale gravanti sul responsabile del procedimento in forza dell’art. 6 della L. 07.08.1990, n. 241.
E’ appena il caso di precisare che ad avviso della Sezione l’inciso “se necessario” di cui alla riportata norma del Codice, non introduce alcuna deroga alla valenza e alla cogenza del principio di integrazione documentale, dovendosi annettere alla locuzione il significato di “se necessario in dipendenza della situazione di fatto”, ovverosia che il dovere di integrazione va esercitato solo se la fattispecie concreta ne renda necessario l’esercizio, evidenziando la carenza di taluni elementi formali nella documentazione presentata dai o da taluno dei concorrenti (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.03.2009 n. 837 - sentenza link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa mancata vidimazione dei moduli predisposti dall’amministrazione appaltante non costituisce un vizio procedurale di cui può dolersi altra impresa concorrente, trattandosi di prescrizione formale posta a favore della sola amministrazione e non si traduce in alcuna compromissione dei principi della par condicio e della segretezza.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che le norme che prescrivono oneri di mera forma afferenti alla sottoscrizione e convalida da parte dei concorrenti dei moduli di offerta predisposti dall’amministrazione non radicano alcun interesse differenziato e qualificato in capo agli altri concorrenti a dolersi della loro inosservanza, non essendo poste nell’interesse dei partecipanti ma dell’Amministrazione appaltante, in quanto intese ad assicurare la provenienza delle relative dichiarazioni dagli offerenti. E’ stato infatti condivisibilmente precisato che “la mancata vidimazione dei moduli predisposti dall’amministrazione appaltante non costituisce un vizio procedurale di cui può dolersi altra impresa concorrente, trattandosi di prescrizione formale posta a favore della sola amministrazione e non si traduce in alcuna compromissione dei principi della par condicio e della segretezza” (TAR Toscana, Sez. II, 17.09.1997, n. 596) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.03.2009 n. 837 - sentenza link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa mancata sottoscrizione di ogni pagina di ciascun documento, in presenza, peraltro della firma regolarmente apposta in calce allo stesso, non toglie efficacia al documento medesimo nella sua interezza e non è atta a generare dubbi sulla provenienza di esso; pertanto, ingiustificato si presenta il comportamento della commissione di gara che con l'interpretazione restrittiva delle disposizioni del bando di gara ha violato i principi di buon andamento e di ragionevolezza dell'azione amministrativa e di massima partecipazione alle gare d'appalto nell'interesse della p.a. a che l'aggiudicazione dell'appalto avvenga a favore della impresa che ha fornito la migliore offerta.
Si è efficacemente precisato in caso di documento composto da più pagine, come l’offerta tecnica qui in contestazione, che “la mancata sottoscrizione di ogni pagina di ciascun documento, in presenza, peraltro della firma regolarmente apposta in calce allo stesso, non toglie efficacia al documento medesimo nella sua interezza e non è atta a generare dubbi sulla provenienza di esso; pertanto, ingiustificato si presenta il comportamento della commissione di gara che con l'interpretazione restrittiva delle disposizioni del bando di gara ha violato i principi di buon andamento e di ragionevolezza dell'azione amministrativa, costituzionalmente garantiti, e di massima partecipazione alle gare d'appalto nell'interesse della p.a. a che l'aggiudicazione dell'appalto avvenga a favore della impresa che ha fornito la migliore offerta, anche in considerazione del fatto che, in presenza di dubbi o incertezze, avrebbe potuto farsi ricorso alla richiesta di integrazione documentale e non certo alla esclusione dei concorrenti” (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, 19.05.2003, n. 815).
Sempre in tema di mancata sottoscrizione di tutte le pagine di un’offerta tecnica voluminosa, quale quella oggi all’attenzione del Collegio, più di recente lo stesso TAR centrale si è posto sulle riferite linee ermeneutiche, avendo chiarito che “La mancata sottoscrizione di alcune pagine di una voluminosa offerta tecnica da parte del legale rappresentante di una società concorrente in una gara d'appalto sotto forma di Ati non incrina la certezza della provenienza della documentazione e non lede gli interessi dell'amministrazione; cosicché appare legittima la mancata esclusione del predetto raggruppamento non già facendo ricorso ad un'interpretazione funzionale del bando, quanto piuttosto invocando il generale principio di ragionevolezza dell'azione amministrativa, che si traduce nell'adeguatezza e proporzionalità dell'azione amministrativa rispetto allo scopo perseguito” (TAR Lazio-Roma, Sez. III, 19.01.2005, n. 390).
Va pertanto predicata a parere della Sezione, l’impossibilità di escludere da una pubblica gara un’ATI qualora la stessa non abbia sottoscritto l’indicazione delle parti di servizio che saranno eseguite dalla singole sue componenti ai sensi dell’art. 37, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006 ma tale indicazione sussista comunque nell’offerta tecnica, firmata sul solo frontespizio, atteso che essendo detta prescrizione intesa a rendere edotta l’Amministrazione della provenienza dell’indicazione de qua dall’ATI concorrente, la firma del frontespizio dell’offerta tecnica consente di ricondurre anche l’indicazione delle parti di servizio eseguende dalle singole imprese, all’ATI che nel complesso ha sottoscritto il frontespizio dell’offerta tecnica. Ciò anche in considerazione del fatto che “la mancata sottoscrizione di una dichiarazione prescritta dal bando, inclusa nel plico contenente l'offerta, non può costituire causa di esclusione dalla gara dato che, trovandosi il documento non sottoscritto nel plico controfirmato dall'interessato sui lembi di chiusura, non possono sussistere dubbi sulla provenienza della dichiarazione stessa” (TAR Campania-Napoli, sez. I, 04.05.2007, n. 4729)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.03.2009 n. 837 - sentenza link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIL'avvalimento non fa sconti - Dichiarazione di avvalimento necessaria anche per le società infragruppo - L'appartenenza a uno stesso gruppo non comporta automatismi per i requisiti richiesti dagli appalti pubblici.
Conviene ricostruire, con l’ausilio della più significativa giurisprudenza, i tratti fondanti sul piano sostanziale la nozione di avvalimento, per poi procedere anche all’illustrazione delle condizioni formali, richieste dall’art. 49 del d.lgs. 16.04.2006, n. 163 onde configurare legittimamente la facoltà di ricorso all’avvalimento dei requisiti soggettivi di qualificazione.
Rimarca al riguardo fin da subito la Sezione che lo “zoccolo duro” dell’istituto dell’avvalimento –da non confondersi con il fenomeno istituzionale contermine, denominato “avvalersi”, noto alla legislazione sulla contabilità dello Stato, operante solo tra figure soggettive pubbliche, in base al quale un organo si avvale per l’esercizio di talune sue funzioni istituzionali afferenti al settore dei lavori pubblici, degli uffici di un altro ente: solitamente lo Stato che si serviva in passato di alcuni uffici di amministrazioni locali – è stato sin dall’origine e dalla sua genesi pretoria, additato nella effettiva disponibilità di risorse, mezzi e requisiti di altri operatori economici, i quali rendevano disponibili quelle risorse ad un’impresa partecipante a una gara pubblica.
Correlativamente, l’ordinamento comunitario che ha generato la pratica dell’avvalimento, ha sin dall’inizio dichiarato la sua sostanziale indifferenza verso la natura e la forma dei legami giuridici in virtù dei quali si produceva l’indicato fenomeno della messa a disposizione effettiva delle risorse a favore del concorrente.
Ha peraltro subito fatto da contraltare e contrappeso alla cennata indifferenza e da presupposto del suindicato ineludibile zoccolo duro della effettiva disponibilità, l’affermazione, poi stratificatasi nella giurisprudenza, della necessità di un rigoroso accertamento di queste condizioni da parte del Giudice, da svolgersi previa la parimenti necessaria dimostrazione delle stesse, il cui onus probandi incumbit in capo all’impresa concorrente.
Rammenta in proposito la Sezione che già la prima storica decisione della Corte del Lussemburgo, resa in materia di appalti pubblici di servizi, che ha elaborato la teorica dell’avvalimento, rimarcava le due suindicate condizioni sostanziali e il correlativo loro snodo processuale.
Invero “La direttiva del Consiglio 18.06.1992 n. 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, va interpretata nel senso che consente ad un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto (…). Spetta al giudice nazionale, dinanzi al quale è sollevata la questione relativa all'ammissibilità dell'offerta alla gara per l'aggiudicazione dell'appalto pubblico, valutare se il concorrente abbia fornito la prova della disponibilità effettiva dei mezzi che ne attestano la capacità a concorrere, pur se appartenenti a soggetti distinti da esso” (Corte Giustizia CE, Sez. V, 02.12.1999, n. 176).
Appartiene poi al Giudice amministrativo nazionale la notazione secondo la quale “considerato che la facoltà di avvalimento costituisce una rilevante eccezione al principio generale che impone che i concorrenti ad una gara pubblica possiedano in proprio i requisiti di qualificazione (cfr. gli art. da 12 a 17 d.lg. n. 157 del 1995), la prova circa l'effettiva disponibilità dei mezzi dell'impresa avvalsa deve essere fornita in modo rigoroso, mediante la presentazione di un apposito impegno da parte di quest'ultima, riferito allo specifico appalto e valido per tutta la durata della prestazione dedotta in gara, e che non sia sufficiente -a tal fine- la mera allegazione dei legami societari che avvincono i due soggetti, non fosse altro che per l'autonomia contrattuale di cui godono le singole società del gruppo” (TAR Liguria, Sez. II, 20.06.2007, n. 1125).
Secondo altra puntuale affermazione “il principio dell'"avvalimento", enucleato dalla sentenza Corte giustizia Ce, sez. V, 02.12.1999 in causa n. 176/1998, non può essere applicato in modo meccanico ed automatico ma presuppone che l'impresa la quale intende farne applicazione indichi in maniera specifica e concreta, in un arco temporale necessariamente anteriore a quello di presentazione dell'offerta, i soggetti esterni che effettueranno la prestazione in oggetto, i quali sono altresì tenuti a rendere dichiarazione in ordine alla propria disponibilità, a garanzia della serietà della stessa offerta nonché del principio di "par condicio" fra i concorrenti” (TAR Puglia-Bari, sez. I, 06.06.2007, n. 1464).
In termini generali il Collegio è dell’avviso che l’avvalimento sia ormai divenuto un istituto ad automatica applicazione nel settore delle pubbliche gare e che, come la Sezione ha già chiarito sia pure in sede cautelare, conducendo anche all’autoannullamento del bando impugnato da parte dell’Amministrazione resistente prima della pubblica Udienza, “l’istituto dell’avvalimento –ontologicamente, formalmente ed operativamente nettamente diverso da quello del raggruppamento temporaneo di concorrenti– è il precipitato normativo di principi comunitari aventi matrice nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, apparendo dunque illegittima una previsione di gara che lo vieti (Autorità di Vigilanza dei LL. PP, Parere del 28.11.2007, n. 135, reso in sede di c.d. precontenzioso) e potendo al più la stazione appaltante, solo limitarne l’estensione, nei casi tassativi contemplati dall’art. 49” (TAR Piemonte, Sez. I, 19.07.2008, n. 936, Ord.). Nello stesso senso si è posto del resto anche il Giudice d’appello (Consiglio Stato, Sez. VI, 11.07.2008, n. 3499).
Deve tuttavia la Sezione aggiornare la riferita predetta precisazione circa la possibilità di deroga –mediante limitazione– alla generalità dell’istituto in esame, in quanto il comma 7 dell’art. 49 del Codice, che consentiva all’Amministrazione di circoscrivere nel bando di gara l’avvalimento in relazione alla natura e all’importo dell’appalto, è stato abrogato dall'articolo 1, comma 1, lettera n), numero 2), del D.Lgs. 11.09.2008 , n. 152, entrato in vigore il 17.10.2008.
Nel ribadire l’assunto riportato, deve, peraltro, precisare la Sezione, condividendo le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza appena richiamata in punto di dimostrazione della effettiva disponibilità delle risorse e dei mezzi delle imprese ausiliarie da parte dell’impresa avvalsa, che il Giudice deve sempre procedere ad un rigoroso accertamento della cennata effettiva disponibilità, posto che l’istituto dell’avvalimento sostanzia una significativa deroga al principio di personalità dei requisiti di qualificazione.
La giurisprudenza, anche di recente ha infatti opportunamente e condivisibilmente posto in luce, al riguardo, che “la facoltà di avvalimento, nei pubblici appalti, costituisce un'eccezione al principio generale che impone che i concorrenti ad una gara pubblica possiedano in proprio i requisiti di qualificazione” (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, 07.05.2008, n. 1353; in terminis, TAR Liguria, Sez. II, 20.06.2007, n. 1125).
Va in proposito anche precisato che l’accertamento demandato al Giudice deve in particolare dirigersi verso il possesso da parte dell’impresa avvalsa, dell’effettiva disponibilità delle risorse di altri soggetti avvalenti o ausiliari.
Ricorda sul punto la Sezione che la giurisprudenza del Tribunale ha già significativamente di recente sottolineato la divisata esigenza di indagine, evidenziando che “l'utilizzazione dell'istituto dell'avvalimento -che consente ad un'impresa di ricorrere alle referenze tecniche, economiche e finanziarie di un'altra impresa c.d. ausiliaria, al fine di dimostrare il possesso dei requisiti di capacità economica, finanziaria, tecnica, organizzativa necessari per partecipare ad una gara- è subordinata alla dimostrazione dell'effettiva possibilità giuridica da parte del prestatore di servizi di utilizzare detta capacità mediante la presentazione dell'impegno a tal fine di detto soggetto” (TAR Piemonte, Sez. II, 17.03.2008, n. 430).
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E’ incontestabile che la prova della possibilità giuridica di poter utilizzare risorse, mezzi e qualificazioni di imprese avvalenti o ausiliarie, che per la giurisprudenza sopra ricordata deve essere fornita dall’impresa concorrente avvalsa all’Amministrazione appaltante nella sede ad al momento della verifica del possesso dei requisiti autodichiarati, essendo l’Amministrazione il primo giudice della qualificazione delle imprese partecipanti a gare d’appalto. L’accertamento che poi, in sede di giudizio su ricorso è chiamato ad effettuare il Giudice dell’Amministrazione, al quale già la Corte del Lussemburgo nel fondamentale leading case di cui a Corte di Giustizia CE, Sez. V, 02.12.1999, n. 176 poi seguita dalla giurisprudenza nazionale, demanda il compito di acclarare la disponibilità delle risorse delle ausiliarie da parte dell’impresa concorrente, non può che avere ad oggetto il quadro documentale e fattuale già prodotto all’Amministrazione nei tempi stabiliti dalla lex specialis in armonia con le disposizioni del d.lgs. n. 63/2006.
Invero, un’eventuale dimostrazione della delineata disponibilità giuridica, fornita con documentazione postuma rispetto alla tempistica di gara non può validamente assolvere all’onere probatorio gravante sui concorrenti, ostandovi i principi generali in materia di procedure concorsuali e in particolare quello della par condicio e del divieto di integrazione postuma del materiale documentario di gara, derogabile solo ai fini della prova della natura non anomala di un’offerta. La data della verifica dei requisiti ex art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 cristallizza e delimita temporalmente anche l’accertamento dell’effettiva disponibilità demandato al Giudice.
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Il presupposto principe dell’avvalimento, collocabile ad un livello formale ma con indubbie ricadute sostanziali e non a caso enunciato alla lettera a) dell’art. 49, comma 2 del Codice, è la dichiarazione verificabile ai sensi dell’art. 48, attestante l’avvalimento dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara, con specifica indicazione dei requisiti stessi e dell’impresa ausiliaria.
Questa dichiarazione, che come si desume con evidenza dalla notazione contenuta nella norma, per la quale essa è oggetto di successiva verifica ex art. 48, si situa nella fase dell’ammissione alla gara e al livello delle altre autocertificazioni, si profila di fondamentale rilievo nell’economia delle attestazioni e delle altre autocertificazioni inerenti al possesso dei requisiti di qualificazione.
La centralità della dichiarazione di avvalimento discende dal rilievo che, come più volte precisato dalla recente giurisprudenza, l’avvalimento integra una rilevante eccezione ed una deroga a quello che più sopra il Collegio ha definito principio di personalità dei requisiti di qualificazione.
In siffatta ottica si apprezza l’importanza formale e documentale della principe dichiarazione di avvalimento, non a caso enumerata alla lettera a) dall’art. 49 comma 2, che è atta a rappresentare alla stazione appaltante la peculiarità dello scenario documentale concernente la capacità economico–finanziaria che viene prospettato all’Amministrazione e agli organi di gara qualora l’impresa concorrente intenda presentarsi alla selezione non uti singula ma ricorrendo alle risorse di operatori economici ausiliari. La dichiarazione di avvalimento di cui alla lettera a) dà dunque la stura al composito insieme documentario mediante il quale si formalizza lo strumento comunitario dell’avvalimento.
In difetto di detta fondamentale dichiarazione, ad avviso della Sezione l’Amministrazione non può presumere alcuna deroga al principio di personalità dei requisiti di qualificazione, deroga alla quale è nella facoltà dell’impresa concorrente appellarsi e ricorrere, ma che è anche suo onere annunciare ed allegare in sede di partecipazione alla gara. Altrimenti viene anche, del resto, ostacolato e reso ingiustamente gravoso l’obbligo della stazione appaltante e per essa degli organi di gara, di accertare il possesso dei requisiti soggettivi di partecipazione.
Ne consegue che in mancanza della dichiarazione de qua, l’impresa concorrente non può pretendere che la Commissione di gara, attraverso un’iniziativa accertativa officiosa dai contorni e limiti non ben definiti, giunga ad acclarare requisiti di capacità tecnico–economica di altre imprese, magari genericamente solo indicate dal partecipante e poi ad imputare ed attribuire quei requisiti al patrimonio di qualificazione dell’impresa concorrente.
Ecco perché la norma di cui alla lettera a) dell’art. 49, comma 2, del Codice impone anche che nella dichiarazione di voler ricorrere all’avvalimento il concorrente indichi anche specificamente:
1) i requisiti che intende fare oggetto di avvalimento;
2) l’impresa ausiliaria delle cui risorse intende avvalersi.
Ritiene la Sezione che la ratio della specifica indicazione dei requisiti di avvalimento e dell’impresa ausiliaria risponda sia all’esigenza di agevolare e delimitare l’oggetto dell’accertamento della stazione appaltante, sia all’istanza di auotoresponsabilizzaione dell’impresa partecipante alla gara: quest’ultima, infatti, indicando requisiti e impresa ausiliaria compie un gesto significativo e importante nei confronti dell’Amministrazione, dichiarando che per specifici requisiti utilizzerà la capacità di un altro soggetto, capacità della quale in ultima analisi si assume la responsabilità contrattuale nei confronti dell’ente pubblico committente, ad ogni effetto.
Invero, le conseguenze dell’eventuale incapacità esecutiva dell’impresa ausiliaria ricadono sì su quest’ultima in prima persona, ma in pari grado anche sull’impresa concorrente, che risponde in solido con l’ausiliaria nei confronti della stazione appaltante ai sensi dell’art. 49, coma 4 del d.lgs. n. 163/2206.
Ragion per cui in ultima analisi, come avvertito, l’impresa partecipante si assume nei riguardi dell’ente committente la responsabilità della condotta contrattuale non solo propria, ma anche dell’impresa ausiliaria, benché in concorso solidale con quest’ultima, potendo conseguentemente l’Amministrazione rivalersi contro ciascuna delle due imprese, a sua scelta, dell’inadempimento o inesatto adempimento della prestazione contrattuale posto in essere sia dall’impresa avvalsa che dall’avvalente o ausiliaria.
Tracciate le illustrate coordinate ermeneutiche, precisa peraltro la Sezione che è d’uopo rifuggire da rigidi e sterili formalismi, specie al cospetto dell’attuale realtà della moderna impresa, sempre più tecnicizzata e globalizzata, ciò che impone anche un’attenuazione del rigore formale affinché non scada nel formalismo giuridico.
E pertanto ritiene il Collegio che la formale dichiarazione di avvalimento, là dove alla gara partecipi un soggetto con plurime gemmazioni imprenditoriali sub specie di gruppo di imprese, possa legittimamente essere surrogata da una dichiarazione di partecipazione alla gara come gruppo, purché detta dichiarazione contenga le specificazioni menzionate dalla lettera a) dell’art. 49, ossia i requisiti oggetto di avvalimento e l’impresa ausiliaria.
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Conviene premettere in puncto iuris che già la sentenza della Corte di Giustizia n. 176/1999 ebbe a sancire un regime di sostanziale indifferenza per i vincoli giuridici che sottendono la disponibilità delle risorse altrui in capo al concorrente, a condizione che l’impresa partecipante “sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto”.
La cennata indifferenza per il regime formale dei vincoli e dei titoli giuridici da cui scaturisca la facoltà di avvalersi dei mezzi di altre imprese è stato poi affermata più volte dal giudice amministrativo per essere stata recentissimamente ribadita dalla V Sezione del Consiglio di Stato, che ha avuto cura di ricordare che “nell’avvalimento sono irrilevanti per la stazione appaltante i rapporti sottostanti esistenti tra il concorrente e il soggetto avvalso, essendo indispensabile unicamente che il primo dimostri di poter disporre dei mezzi del secondo, in adesione all’attuale normativa comunitaria” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17.03.2009, n. 1589). Si era infatti già affermato dal giudice di prime cure che l’istituto de quo “non incontra limiti applicativi di sorta se non di natura probatoria” (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, 24.01.2008, n. 168).
La Sezione, che condivide tale assunto, si era già motu proprio attestata sulla medesima rammentata ermeneusi, ravvisando solo l’esigenza di accertare se la controinteressata avesse dimostrato documentalmente alla Stazione appaltante in sede di verifica del possesso dei requisiti autodichiarati ai sensi dell’art. 48 del Codice, di potere fruire di una giuridica disponibilità, concetto già enunciato, come ricordato, dal Tribunale (TAR Piemonte, Sez. II, 17.03.2008, n. 430) dei mezzi, delle risorse e della qualificazione delle altre imprese componenti il gruppo di cui essa è parte.
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E’ stata in proposito da poco confermata dal Consiglio di Stato la necessità che l’impresa dimostri in modo rigoroso l’effettiva disponibilità di risorse, mezzi e qualificazione dei soggetti avvalenti in forza di un “vincolo giuridico, che obblighi il soggetto terzo a fornire al concorrente i requisiti, di cui non dispone direttamente e la cui titolarità, in forza di detto vincolo, viene ad essere riferita al soggetto che partecipa alla gara. Il vincolo stesso deve inoltre preesistere alla data di aggiudicazione della gara, in funzione della necessità di garantire oltre che la par condicio tra i concorrenti, il corretto esercizio delle potestà di controllo spettanti all’Amministrazione in ordine alla sussistenza in capo all’aggiudicataria, dei requisiti soggettivi abilitanti” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20.11.2008, n. 5742).
La necessaria preesistenza del vincolo e l’impossibilità che lo stesso venga a formarsi dopo la fase della partecipazione alla gara, condizioni considerate dalla Sezione già in sede di redazione dell’Ordinanza di verificazione n. 64/2008, sono state efficacemente enunciate dalla predetta decisione del Consiglio, che ne ha anche enucleato la ratio: “né la effettiva possibilità giuridica di avvalimento può essere legittimamente posposta ad un momento successivo, posto che una siffatta eventualità rimetterebbe alla fase dell’adempimento del contratto la necessaria presenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti ai partecipanti alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, riservata dal sistema al momento competitivo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5742/2008, cit.).
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La necessità della dimostrazione della effettiva e giuridica disponibilità da parte dell’impresa avvalsa, delle risorse e dei requisiti di qualificazione tecnico–economica dell’impresa ausiliaria, non può subire un’attenuazione nemmeno nell’ipotesi in cui l’impresa partecipante alla gara sia parte di un gruppo societario.
Invero, come pure la Sezione aveva già presupposto, in tali casi il Consiglio di Stato con la decisione appena citata ha statuito che non è “sufficiente la mera allegazione dei legami societari che avvincono i due soggetti, non fosse altro che per l’autonomia contrattuale di cui godono le singole società del gruppo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20.11.2008, n. 5742).
Rammenta del resto la Sezione che già nel vigore della pregressa disciplina sugli appalti pubblici di servizi di cui alla Direttiva n. 92/50 CEE, la quale tratteggiava in termini sostanzialmente non difformi dalle attuali Direttive del 2004 recepite nel Codice De Lise, i termini di fondo dell’istituto dell’avvalimento, il Consiglio di Stato aveva evidenziato l’insufficienza dei meri legami di gruppo ai fini della prova del requisito della effettiva disponibilità delle altrui risorse.
Si era infatti statuito che “la direttiva del Consiglio 18.06.1992 n. 92/50/Cee, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, va interpretata nel senso che consente ad un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto, il che esclude che la sola situazione di controllo ravvisabile fra la capogruppo e le sue controllate possa "ex se" provare specificamente l'effettiva disponibilità delle capacità tecniche altrui, non fosse altro che per l'evidente autonomia contrattuale di cui godono le società controllate, che ben potrebbero assumere impegni negoziali in radicale contrasto con le determinazioni della capogruppo (fattispecie anteriore all'entrata in vigore della direttiva del 31.03.2004 n. 18/2004/Ce)” (Consiglio Stato, Sez. IV, 14.02.2005, n. 435; in terminis, Tar Lazio, Roma, sez. II, 25.02.2004 n. 1768)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 30.03.2009 n. 837 - sentenza link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La regolarità contributiva e fiscale delle imprese partecipanti alla gara per l'aggiudicazione di appalti con la p.a. deve essere presente al momento della offerta e deve essere assicurata pure in momenti successivi alla presentazione della domanda.
In materia di gare per l'aggiudicazione di lavori pubblici, la regolarità contributiva e fiscale delle imprese partecipanti alla gara per l'aggiudicazione di appalti con la p.a. deve essere presente al momento della offerta e deve essere assicurata pure in momenti successivi alla presentazione della domanda e dell'offerta e quindi certamente fino al momento della aggiudicazione, essendo palese la esigenza per la stazione appaltante di verificare l'affidabilità del soggetto partecipante alla gara fino alla conclusione della stessa. Ne consegue che l'eventuale accertamento di una pendenza di carattere previdenziale o assistenziale in capo all'impresa pur dichiarata aggiudicataria dell'appalto prodottasi anche in epoca successiva alla scadenza del termine per partecipare al procedimento di scelta del contraente implica, a seconda dei casi, la impossibilità per l'amministrazione appaltante di stipulare il contratto con l'impresa medesima, ovvero la risoluzione dello stesso; sempre in forza di ciò, è del tutto irrilevante un eventuale adempimento tardivo della obbligazione contributiva quand'anche ricondotto retroattivamente, quanto ad efficacia, al momento della scadenza del termine di pagamento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2009 n. 1458 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

COMPETENZE GESTIONALIL’art. 53, comma 23, della legge n. 388 del 23.12.2000 ha previsto che gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti possano adottare disposizioni regolamentari organizzative attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale, le cui disposizioni regolamentari organizzative cui fa riferimento la norma non necessariamente indicano l’approvazione di un regolamento.
Con un primo profilo viene reiterata la censura con cui si sostiene l’incompetenza del Sindaco di Mezzomerico ad adottare (ovvero ritirare in autotutela) provvedimenti in materia edilizio-urbanistico, atti di gestione a competenza dei dirigenti.
Questo motivo è infondato, alla stregua di specifico precedente di questo Consiglio (V, 06.03.2007, n. 1052), dal quale non vi è ragione per discostarsi ed al quale si rinvia, ai sensi dell’art. 9 della legge 21.07.2000, n. 205.
Infatti, come correttamente ritenuto dai primi giudici, l’articolo 53, comma 23, della legge n. 388 del 23.12.2000 ha previsto che gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possano adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e successive modificazioni, e all’articolo 107 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale: il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio.
Nella specie, non è in contestazione che il Comune di Mezzomerico ha una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e che, con delibera n. 24 di Giunta del 10.04.2007, ha provveduto ad attribuire all’organo esecutivo le competenze previste dal T.U.E.L. per i dirigenti.
Afferma ancora la società appellante che tale delibera sarebbe illegittima in quanto la norma della legge 388 richiederebbe un apposito regolamento.
Tali profili di censura giustamente non sono stati ritenuti suscettibili di accoglimento dal giudice di prime cure.
Le disposizioni regolamentari organizzative cui fa riferimento la norma non necessariamente indicano l’approvazione di un regolamento, e, in ogni caso, ai sensi dell’art 48 del T.U.E.L. è altresì di competenza della Giunta l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi: nella specie, la Giunta di Mezzomerico ha fatto corretta applicazione dell’art. 12 del Regolamento organico, il quale le attribuisce il potere di individuare i Responsabili comunali delle aree funzionali che il Sindaco poi nomina.
Il rispetto di questi criteri generali stabiliti per l’organizzazione degli uffici comunali la cui violazione peraltro non è stata oggetto di specifiche censure, e la deroga di attribuzione in capo ad amministratori comunali prevista espressamente dalla legge, senza ulteriore discrezionalità se non sull’an, portano dunque ad escludere la necessità di ulteriori criteri generali (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.02.2009 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa pubblicazione all'albo pretorio comunale dell’atto amministrativo, quando è prescritta, non costituisce requisito di validità ma solo di efficacia del provvedimento, la quale attiene al diverso fenomeno della produzione degli effetti che si realizza quando si è perfezionato l’iter procedimentale (estrinseco) previsto per la formazione dell’atto.
La pubblicazione delle deliberazioni comunali all’albo pretorio ha solo funzione strumentale di conoscenza legale dell’atto, tale da rendere possibile la presentazione di eventuali reclami ed opposizioni o ricorsi all’organo di controllo, all’Amministrazione stessa e all’Autorità Giudiziaria.

Propugna ancora la società appellante l’illegittimità del citato provvedimento (GM. N. 24 del 10.04.2007) di preposizione del Sindaco al Servizio tecnico-urbanistico comunale, in quanto –pur se dichiarato immediatamente esecutivo– non poteva trovare applicazione prima della sua affissione all’Albo Pretorio comunale (avvenuta il 20.04.2007).
Tale profilo di censura è stato ritenuto dal TAR non suscettibile di accoglimento in relazione al mero valore di pubblicità – notizia rappresentato dall’affissione.
Tale statuizione va ritenuta esente dai rilievi mossi.
Infatti –come è noto– la pubblicazione dell’atto amministrativo quando è prescritta, non costituisce requisito di validità ma solo di efficacia del provvedimento, la quale attiene al diverso fenomeno della produzione degli effetti che si realizza quando si è perfezionato l’iter procedimentale (estrinseco) previsto per la formazione dell’atto.
Nella specie –tuttavia– come consentito dall’Ordinamento – la Giunta Comunale ha dichiarato la sua deliberazione n. 24/2007 immediatamente esecutiva, con ciò rimuovendo ogni impedimento estrinseco alla produzione degli effetti di detto atto (ovvero della sua temporanea inefficacia o –meglio– inoperatività in pendenza dell’affissione).
Peraltro, la pubblicazione delle deliberazioni comunali all’Albo Pretorio ha solo funzione strumentale di conoscenza legale dell’atto, tale da rendere possibile la presentazione di eventuali reclami ed opposizioni o ricorsi all’organo di controllo, all’Amministrazione stessa e all’Autorità Giudiziaria.
Indipendentemente, dunque, da ogni altra considerazione, merita qui richiamare la regola generale in forza della quale, in assenza di comunicazione/notificazione all’amministrato (nel concreto, però effettuata dal Comune), deve annettersi valore alla piena conoscenza che, in via oppositiva (circa la tempestività del gravame), va provata da chi eccepisce l’irricevibilità (anche, eventualmente sulla base di fatti concludenti): ciò nel senso che il vizio denunziato (postuma affissione rispetto all’immediata esecuzione) comunque non si può tradurre in invalidità dell’atto censurato, non è refluito sull’efficacia dell’atto stesso perché la pubblicazione è avvenuta il successivo 20 aprile, non è stato di ostacolo alla ditta ricorrente per far valere le proprie ragioni sostanziali nella sede giudiziaria (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.02.2009 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sul procedimento relativo ad un'istanza tesa ad ottenere il riconoscimento della salvaguardia della gestione del servizio idrico ex art. 113 c. 15-bis tuel.
E' illegittimo il provvedimento con cui l'amministrazione provinciale ha negato l'efficacia delle convenzioni concernenti l'affidamento del servizio idrico, sulla scorta della disciplina sopravvenuta di cui all'art. 113 c. 15-bis tueell, respingendo la domanda del gestore tesa ad ottenere la salvaguardia della gestione.
A fronte di un'istanza tesa ad ottenere il riconoscimento della salvaguardia della gestione del servizio idrico, nell'esercizio di un potere evidentemente connotato da discrezionalità in ordine alla verifica della sussistenza dei relativi presupposti, il relativo procedimento, infatti, avrebbe dovuto svolgersi nel pieno rispetto degli obblighi fondamentali dettati dalla legge generale del procedimento a garanzia della completezza dell'istruttoria e del contraddittorio, non solo formale ma anche sostanziale sulle ragioni sottese alla determinazione conclusiva; quest'ultima poi avrebbe dovuto fare capo all'organo competente ad esprimere la determinazione finale. Pertanto, l'A.T.O. ha violato l'art. 10-bis della L. n. 241/1990 per non avere previamente comunicato alla società ricorrente i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di salvaguardia delle proprie gestioni; invero, il carattere discrezionale della valutazione rimessa all'amministrazione e la rilevanza delle questioni svolte fa apparire indispensabile in via anche sostanziale quel supplemento istruttorio imposto in via formale dalla legge a garanzia delle posizioni coinvolte.
La decisione circa la salvaguardia delle gestioni esistenti spetta allo stesso organo che ha deliberato la forma di gestione del servizio, id est la conferenza dei rappresentanti degli enti locali dell'A.T.O. (cfr. gli artt. 4, 9 e 10 della convenzione di cooperazione stipulata il 21.6.2002 tra la provincia e gli enti locali ricadenti nell'AT.O.), le cui decisioni, ex art. 10 della convenzione, debbono essere sottoposte all'approvazione degli enti locali convenzionati (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 19.02.2009 n. 254 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTINelle trattative private non c'è l'obbligo di aprire in seduta pubblica le buste contenenti le offerte economiche.
Sulla violazione dei principi di pubblicità e trasparenza delle sedute di gara si osserva che:
a) come affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 04.11.2002, n. 6004), il principio di pubblicità della gara può essere derogato, in relazione alla apertura dei plichi contenenti la documentazione di gara e le offerte, nell’ambito delle procedure regolate dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, stante la necessità per la commissione giudicatrice di procedere ad una specifica valutazione tecnica delle offerte (Cons. Stato, sez. V, 14.04.2000, n. 2235; sez. V, 23.08.2000, n. 4577; CGARS, 28.01.2002, n. 58);
b) in ogni caso, la procedura negoziata, pur divergendo in modo sensibile dal modello della tradizionale trattativa privata integralmente deproceduralizzata, conserva margini di snellezza e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo (Cons. Stato, sez. VI, 04.11.2002, n. 6004);
c) in questa direzione, anche a voler ritenere applicabili alla specie i principi –pure tutelati a livello comunitario– di pubblicità e trasparenza, il riferimento a tali concetti assume un significato ben preciso e circoscritto, non coincidente con quello elaborato nel diritto interno. Esso non indica, infatti, l’obbligo della stazione appaltante di consentire la fisica presenza alle operazioni di gara dei rappresentanti di tutti i concorrenti, ma prescrive a ciascuna amministrazione, da un lato, di rendere previamente nota la propria intenzione di contrarre e di definire, sempre ex ante, le modalità di valutazione delle offerte; dall’altro lato, di garantire ex post la leggibilità delle decisioni assunte dalla medesima stazione appaltante (Cons. Stato, sez. V, 19.09.2008, n. 4520). Requisiti che nella specie senz’altro ricorrono dal momento che è stata assicurata: la massima pubblicità alla procedura, anche attraverso l’elaborazione di un bando; la segretezza delle offerte (non altrimenti contestata, in concreto, dalla parte ricorrente); la tempestiva informazione dello stato del procedimento e l’integrale accesso a tutti gli atti di gara;
d) non esistono regole od affermazioni giurisdizionali secondo cui la pubblicità delle operazioni di apertura della offerta economica, ossia la verificabilità immediata delle operazioni compiute dall’amministrazione, costituisca un obbligo incondizionato per le stazioni appaltanti. Del resto, la normativa di contabilità generale del 1924 prescrive tale forma per le aste pubbliche e le licitazioni private, non anche per le trattative private (Cons. Stato, sez. V, 19.09.2008, n. 4520);
e) per la stessa giurisprudenza, non è da trascurare la circostanza secondo cui anche il valore della trasparenza amministrativa debba comunque essere adeguatamente coordinato con l’esigenza di evitare inopportuni aggravamenti del procedimento, in dispregio del principio consacrato nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 (Cons. Stato, sez. V, 19.09.2008, n. 4520) (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 29.01.2009 n. 128 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  Un seminterrato è tale se in ogni sua parte rimane al di sotto del piano di campagna o del livello zero di sbancamento, essendo compatibile con tale situazione che parte della struttura sopravanzi il piano di campagna o la quota zero, per quanto strettamente necessario per assicurare una sufficiente areazione e luminosità, ovvero che rimanga scoperta in larghezza per realizzare un accesso dall’esterno.
Seguendo un orientamento risalente ma confermato in seguito, dal quale la Sezione non ritiene di discostarsi “ai fini del computo della volumetria del fabbricato è computabile il volume che superi il piano di campagna o quello che sopravanza lo sbancamento del livello zero, non già la cubatura sottostante, come deve essere considerato il piano seminterrato” (Cfr. Cons. Stato, V Sez., 04.08.1986 n. 390)
Un seminterrato, in particolare, è tale, quindi, se in ogni sua parte rimane al di sotto del piano di campagna o del livello zero di sbancamento, essendo compatibile con tale situazione, nei limiti ritenuti dalle norme comunali, che parte della struttura sopravanzi il piano di campagna o la quota zero, per quanto strettamente necessario per assicurare una sufficiente areazione e luminosità, ovvero, che rimanga scoperta in larghezza per realizzare un accesso dall’esterno.
Consegue, in virtù delle su descritte necessarie caratteristiche, funzionali all’isolamento della struttura, della residenza soprattutto, dal terreno circostante in cui è immersa, che non è consentito utilizzare il seminterrato per usi residenziali, dovendo altrimenti considerarsene la volumetria nel calcolo della cubatura massima consentita, mentre possono essere in esso consentiti soltanto usi al servizio o per la migliore utilizzazione di quest’ultimi.
Le ricadute di quanto sopra chiarito, comportano che il primo livello dell’abitazione assentita con l’impugnata concessione edilizia, al cui interno sono stati collocati spazi destinati ad “atrio” dell’abitazione medesima e “garage”, poiché presenta, indiscutibilmente, una intera parete esterna completamente fuori terra, non può qualificarsi come seminterrato, ancorché degli altri tre lati di essa, due siano completamente interrati, e l’altro sia chiuso da un muro di altra proprietà posto al di sotto del piano di campagna (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.01.2008 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIl termine per l'impugnazione del Piano Regolatore Generale decorre dalla scadenza del termine di pubblicazione dell'avviso di deposito degli atti presso gli uffici comunali.
N
ella formazione dello strumento urbanistico generale l'amministrazione ha un'ampia potestà discrezionale per quanto concerne la programmazione degli assetti del territorio, senza necessità di motivazione specifica sulle scelte adottate in ordine alla destinazione delle singole aree.
Sono pacifici in giurisprudenza i principi secondo cui “il termine per l'impugnazione del Piano Regolatore Generale decorre dalla scadenza del termine di pubblicazione dell'avviso di deposito degli atti presso gli uffici comunali, giacché l'ordinamento non prevede che l'atto di approvazione del Piano debba essere notificato ai proprietari delle aree incluse nel territorio interessato, ma stabilisce che sia og-getto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale … e che gli atti debba-no essere depositati presso il Comune "a libera visione del pubblico"” (così C.d.S., IV, 12.11.2002, n. 6278; v. anche C.d.S., IV, 18.01.1996, n. 45), e per cui “è onere dell'eccipiente la tardività dell'impugnazione fornire rigorosa prova del momento in cui contro-parte abbia avuto piena conoscenza dell'atto lesivo” (per tutti, cfr. C.d.S., IV, 21.02.2005, n. 550).
Non v’è dubbio che, per costante orientamento giurisprudenziale, “nella formazione dello strumento urbanistico generale l'amministrazione ha un'ampia potestà discrezionale per quanto concerne la programmazione degli assetti del territorio, senza necessità di motivazione specifica sulle scelte adottate in ordine alla destinazione delle singole aree. Né l'obbligo di motivazione viene rafforzato, imposto o mutato in base alla sola presentazione delle osservazioni al piano regolatore generale da parte dei privati. Queste, infatti, sono semplici apporti collaborativi dati dai cittadini alla formazione dello strumento urbanistico ed il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della forma-zione del piano” (C.d.S., IV, 30.06.2004, n. 4804) (C.G.A.R.S., sentenza 08.10.2007 n. 929 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 14.04.2009

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dossier OPERE PRECARIE

EDILIZIA PRIVATAUna serra, quando consiste in un manufatto infisso al suolo, benché abbia carattere di relativa mobilità, rientra nel concetto di opera di fabbricazione, avendo attitudine a permanere nel tempo ed a influire sulla razionale sistemazione del territorio, così che essa necessita della preventiva concessione edilizia.
Secondo la giurisprudenza, la costruzione di una serra che, pur costituita da strutture agevolmente rimovibili, sia destinata a far fronte ad esigenze continuative connesse a coltivazioni ortofrutticole, in quanto destinata ad alterare in modo duraturo l’effetto urbanistico–territoriale, è soggetta al previo rilascio della concessione edilizia (C.d.S., sez. V, 08.06.2000, n. 3247); è stato, d’altra parte, chiarito che una serra, quando consiste in un manufatto infisso al suolo, benché abbia carattere di relativa mobilità, rientra nel concetto di opera di fabbricazione, avendo attitudine a permanere nel tempo ed a influire sulla razionale sistemazione del territorio, così che essa necessita della preventiva concessione edilizia (C.d.S., sez. V, 25.11.1988, n. 760), laddove è stata esclusa la necessità del predetto titolo abilitativo solo per l’ipotesi di una serra costruita su un fondo destinato ad uso agricolo, per finalità inerenti esclusivamente alla coltivazione del terreno, fuori dal centro abitato, formata di materiali facilmente amovibili, non infissa stabilmente al suolo o eseguita con opere murarie né collegata con altre opere costruttive edilizie o che abbia dimensioni tali da non incidere negativamente sull’ambiente circostante (C.d.S., sez. V, 14.03.1980, n. 284).
E' del tutto irrilevante (oltre che generico) il fatto che, come si legge nella richiesta di rilascio della concessione edilizia in data 31.07.1984, le predette serre dovessero utilizzate per soli fini agricoli e per la coltivazione di pianti e fiori: infatti, come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza (Cass. Pen., sez. III, 12.05.1981) la serricultura costituisce un sistema protettivo delle piantagioni in grado di creare condizioni agronomiche ottimali per lo sviluppo dei prodotti orto–floricoli, ma l’impianto serra deve essere valutato non già in ragione della sua destinazione e funzione (che, risolvendosi in una mera attività di gestione agricola del suolo, non interessa la disciplina urbanistica), bensì in relazione alla sua struttura e alla sua attitudine a protrarsi nel tempo e a incidere sul territorio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.03.2006 n. 1119 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla precarietà o meno di una serra e conseguente necessità o meno della preventiva concessione edilizia.
La realizzazione di serre può essere sottratta all’ordinario regime edilizio, con la necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire, solo nel caso in cui il sistema adottato per la protezione delle colture sia precario e non preveda metodi stabili di ancoraggio al suolo; diversamente, la realizzazione di serre destinate a far fronte ad esigenze continuative, stabilmente fissate al suolo, e che comunque alterano in modo duraturo l’assetto urbanistico, configura il reato di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.11.2005 n. 46767).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di impianti destinati a serre, sono applicabili i criteri che individuano nella materiale fissazione al suolo il discrimine in ordine alla necessità o meno della concessione edilizia.
Quest’ultima si rende quindi necessaria per le serre stabilmente ancorate al terreno, mediante basamenti in metallo od altro materiale stabile, ma non per quelle la cui struttura ha carattere precario.

La giurisprudenza distingue la natura concretamente asportabile o meno di un manufatto, facendo particolare affidamento sulla sua destinazione abitativa. Così si sono posti i casi delle roulotte o degli alloggiamenti per chi lavora in un cantiere, e tali fattispecie sono state risolte nel senso indicato dalla motivazione del provvedimento impugnato, richiamando la nozione di concreta attuabilità della rimozione del bene.
Tale parametro di giudizio non è però adottabile in tutti i casi in cui si tratta di un manufatto non adibito all’uso abitativo.
Il carico urbanistico che può derivare da un impianto come è quello di cui si tratta non è comparabile con quanto risulta dalla stabile destinazione di un fondo all’abitazione, al commercio od all’industria. Nella specie ci si deve rifare ai criteri stabiliti dalla leggi statali e da quella regionale, che individuano nella materiale fissazione al suolo il discrimine tra il manufatto che necessita della concessione e quello realizzabile con altri titoli.
Il giudice ben conosce la propria giurisprudenza, che in altre occasioni aveva utilizzato la nozione di rimuovibilità del manufatto, argomentando dalla concreta utilizzazione del bene, e non già dalla sua consistenza fisica. Tuttavia va notato che le serre che l’interessato ha impiantato nel terreno posto in fregio alla cinta cimiteriale di Avigliana sono del tipo infisso al suolo, ma solo a mezzo di un corpo metallico curvato ed infisso nel terreno: gli atti di causa non hanno evidenziato alcuna traccia di basamenti di cemento od altro materiale stabile.
Non v’è peraltro alcuna prova della stabilità dell’impianto disposto dall’interessato, a proposito del quale deve osservarsi che il presente giudizio riguardo solo la compatibilità delle serre con le norme urbanistiche, senza che possa venire in considerazioni l’aspetto commerciale; un’eventuale iniziativa della p.a. in tal senso potrà essere assunta nei modi più idonei, che non sono quelli adottati in questa sede.
Ne consegue la fondatezza della prospettazione del motivo in rassegna, secondo cui l’amministrazione non ha fatto corretta applicazione dei principi denunciati, che richiedono la concessione solo per le serre che sono stabilmente ancorate al terreno, ovvero allorché ci sia la prova che il precario manufatto ha avuto una destinazione stabile ad opera del proprietario (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.02.2003 n. 194 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla precarietà o meno di una serra e conseguente necessità o meno della preventiva concessione edilizia.
La realizzazione di un impianto di serre per floricoltura stabilmente ancorate al suolo costituisce modificazione apprezzabile del territorio, tale da richiedere il preventivo rilascio della concessione edilizia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.05.2002 n. 33158).

EDILIZIA PRIVATAE’ soggetta al previo rilascio della concessione edilizia l’installazione di una serra che, pur costituita da strutture agevolmente rimuovibili, è destinata a far fronte ad esigenze continuative connesse a coltivazioni ortofrutticole, essendo ciò destinato ad alterare in modo duraturo l’effetto urbanistico-territoriale.
Il giudice di primo grado ha rettamente osservato che dagli atti (e dalla documentazione fotografica) acquista al giudizio risulta che le serre in questione, costituite da tubi ed intelaiature metalliche su cui vengono stesi teloni di plastica, formano, ciascune, strutture larghe metri 7 ed alte metri 4,30 sviluppantesi in lunghezza per parecchie decine di metri, a forma di tunnel.
Dette intelaiature sono interrate e tenute saldamente insieme con sbarre trasversali e danno luogo e strutture, che, sebbene agevolmente rimmovibili, sono destinate a far fronte ad esigenze continuative connesse a coltivazioni ortofrutticole, come è dimostrato dal posto che l’intero complesso metallico portante resta fisso, venendo nella stagione estiva solo sostituita le coperture in plastica con reti a velo (per la protezione da insetti e uccelli).
Le serre in questione costituiscono dunque strutture di rilevante consistenza destinate ad alterare in modo duraturo l’assetto urbanistico-ambientale.
Tanto basta per ritenere tale struttura comportano una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, che, in quanto tale, necessita della concessione edilizia ai sensi dell’art. 1 della legge 28.01.1977 n. 10 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.06.2000 n. 3247 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla precarietà o meno di una serra e conseguente necessità o meno della preventiva concessione edilizia.
Le serre, allorquando in tutto o in parte siano strutturalmente e stabilmente inserite al suolo, apportando modificazioni all’assetto del territorio, sono soggette a controllo urbanistico nella forma della concessione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.01.2000 n. 22).

QUESITI

APPALTI: La Direzione Regionale del Veneto dei lavori pubblici, per il tramite dell’Osservatorio Regionale degli Appalti, ha raccolto i quesiti attinenti all’entrata in vigore della nuova legge quadro in materia di lavori pubblici.
Di questi quesiti si è creato un massimario indicizzato che consente a tutti gli operatori del settore lavori pubblici di poter accedere in modo sistematico alle risposte formulate dagli esperti della Direzione Regionale lavori pubblici (link a www.regione.veneto.it).

ENTI LOCALIFigura del segretario della Comunità montana.
Il sindaco del Comune (omissis), chiede se la Comunità montana è da considerarsi Unione di Comuni ed in caso affermativo se sia possibile individuare nel segretario della Comunità montana la figura alla quale assegnare la segreteria del suo Comune, al fine di garantire un miglior coordinamento dell’azione amministrativa, ma soprattutto per “liberare ingenti risorse economiche” (Regione Piemonte, parere 34/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

APPALTI SERVIZIAffidamento servizio (negoziato o ad evidenza pubblica).
Il sindaco del Comune (omissis) segnala che il suo ente, dopo aver affidato a terzi, per 10 anni, il servizio di pubblicità ed affissioni ha ritenuto, a scadenza contratto, economicamente più vantaggioso gestire il servizio in forma diretta.
Tale decisione era, però, subordinata ad un periodo di sperimentazione della durata di un anno, considerato necessario e per la carenza di personale nell’ufficio tributi dell’ente e per svolgere un censimento della pubblicità permanente presente sul territorio.
Per il predetto periodo transitorio l’amministrazione ha deciso di avvalersi di una società che la supportasse nella gestione del tributo, affidando alla stessa anche l’individuazione di un soggetto che materialmente procedesse all’affissione dei manifesti.
L’attività di supporto è stata affidata ad una società che collabora da parecchi anni con il Comune per l’accertamento di tributi comunali e per la gestione del contenzioso.
In ordine al compenso, non avendo altri parametri, l’ente ha deciso di corrispondere per l’attività di supporto una percentuale sugli incassi.
In conclusione il sindaco chiede se la procedura seguita sia legittima e se, in futuro, l’affidatario possa essere individuato con procedura negoziata, ovvero se sussista la necessità della procedura ad evidenza pubblica (Regione Piemonte, parere 30/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALIUtilizzazione personale dipendente di altro Comune (art. 1, comma 557, L. 311/2004).
Il Comune (omissis) ha intenzione di utilizzare un istruttore dipendente di ruolo a tempo pieno di altro Comune, ai sensi dell'art.1, comma 557 L. 311/2004.
Il servizio sarà prestato al di fuori dell'orario normale di lavoro e comunque con una prestazione settimanale non superiore a 12 ore settimanali e nel rispetto delle prescrizioni stabilite a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore; sarà inquadrato come rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato ed a part-time.
L'incarico per il quale il dipendente verrà assunto consiste nella sistemazione della banca dati I.C.I. a seguito di ripetute variazioni di classamento e di identificativi catastali, nella logica più globale della gestione diretta di tutti i tributi comunali a livello di unione di Comuni (di cui entrambi gli enti -amministrazione di provenienza e di destinazione del lavoratore- fanno parte). L'ufficio tributi del Comune (omissis) è comunque già presieduto da dipendente comunale Responsabile di Servizio di cat. D.
Chiede se la procedura sia corretta in base alla normativa vigente e se l'assunzione t.d. non debba invece avvenire tramite procedura concorsuale.
Chiede, inoltre, se tale incarico non debba invece rientrare fra gli incarichi di cui all'art. 55 L. 244/2007
(Regione Piemonte, parere 27/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Disciplina edilizia applicabile alle serre destinate ad orticoltura.
E’ chiesto parere in merito alla disciplina edilizia applicabile alle serre destinate ad orticoltura (Regione Piemonte, parere 21/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, 3^ RACCOLTA RAGIONATA DEI PARERI GIURIDICI IN MATERIA URBANISTICA E DI TUTELA DEI BENI AMBIENTALI Orientamenti e interpretazioni della Direzione Generale Territorio e Urbanistica - Aggiornamento 1999-2000 (B.U.R.L. n. 21/2001, edizione speciale del 21.05.2001).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, 2^ RACCOLTA RAGIONATA DEI PARERI GIURIDICI IN MATERIA DI TUTELA DEI BENI AMBIENTALI - Orientamenti e interpretazioni della Direzione Generale Urbanistica - Aggiornamento 1997/1998 (B.U.R.L. n. 9/1999, edizione speciale del 05.03.1999).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, RACCOLTA RAGIONATA DEI PARERI GIURIDICI IN MATERIA DI TUTELA DEI BENI AMBIENTALI - Orientamenti e interpretazioni dell’Assessorato regionale all’Urbanistica e al Territorio (B.U.R.L. n. 48/1997, edizione speciale del 28.11.1997).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

LAVORI PUBBLICI: G.U. 10.04.2009 n. 84 "Criteri per la comunicazione di informazioni relative al partenariato pubblico-privato ai sensi dell’articolo 44, comma 1-bis del decreto-legge 31.12.2007, n. 248 convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1 della legge 28.02.2008, n. 31" (Presidenza Consiglio dei Ministri, circolare 27.03.2009).

CORTE DEI CONTI

PUBBLICO IMPIEGO: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Pianico (BG) in merito alle modalità con cui attribuire, ad una dipendente del Comune attualmente inquadrata nella cat. B4, la progressione verticale alla cat. C1 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 30.03.2009 n. 64 - link a www.corteconti.it).
Questa Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi in materia di progressioni verticali (deliberaz. n. 90/pareri/2008), mettendo in luce l’ormai consolidato principio giurisprudenziale secondo cui la progressione verticale costituisce una novazione del rapporto di lavoro, che, come tale, rientra nel concetto di “assunzione” ed è sottoposta alla regola generale del pubblico concorso e ai vincoli normativi in materia di spesa per il personale.
Com’è noto, infatti, l’art. 97 Cost. espressamente sancisce che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
L’art. 35 del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) dà attuazione al precetto costituzionale stabilendo che l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene tramite procedure selettive che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno. Prevede, altresì, che le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano, tra gli altri, ai seguenti principi: adeguata pubblicità della selezione, modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire.
La giurisprudenza è intervenuta più volte con riferimento all’istituto delle progressioni verticali, facendo applicazione dei suesposti principi.
In particolare, in materia di giurisdizione sul pubblico impiego, la Corte Costituzionale, seguita dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato, ha più volte ribadito il principio secondo cui il passaggio ad una fascia funzionale superiore costituisce l’accesso ad un nuovo posto di lavoro ed è, pertanto, soggetto alla regola del pubblico concorso (ex multis: Corte cost. 24.07.2003, n. 274; Cass. SS.UU. Civ. 15.10.2003, n. 15403; Cons. di Stato, Sez. IV, 07.06.2005, n. 2988).
Il Consiglio di Stato, adito in sede consultiva con riferimento all’applicabilità alle progressioni verticali della disciplina recante il cosiddetto “blocco delle assunzioni” di cui alla Legge 30.12.2004, n. 311, ha avuto modo di affermare che il termine “assunzione” deve essere riferito non solo all’ingresso iniziale nella pianta organica del personale, ma anche alla progressione verticale da un’area all’altra, poiché anche in tal caso si verifica una novazione del rapporto di lavoro (Cons. di Stato, Sez. III, parere n. 3556 del 09.11.2005).
Infine, con riferimento alla legittimità costituzionale di norme disciplinanti i sistemi concorsuali e di progressione in carriera dei pubblici dipendenti, la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare che la regola del pubblico concorso, da applicarsi anche alle progressioni verticali, può dirsi pienamente rispettata qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi; forme che possono considerarsi ragionevoli solo in presenza di particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell'amministrazione (Corte Cost. 16.05.2002, n. 194).
In particolare, con riferimento all’individuazione di quote di posti riservati, il principio della necessità del pubblico concorso è stato ritenuto violato nel caso di riserva di tutti i posti disponibili di una data qualifica ai dipendenti in servizio ad una certa data (Corte cost. 04.01.1999, n. 1); mentre la riserva limitata al 50% dei posti messi a concorso, in favore del personale della qualifica immediatamente inferiore con almeno cinque anni di servizio, è stata ritenuta non irragionevole e non lesiva del ricordato precetto costituzionale (Corte Cost. 10.06.1994, n. 234).
Pertanto, con riferimento alla richiesta del Comune di Pianico, si ritiene che la progressione verticale sia effettuabile in conformità ai principi sopra illustrati, con la precisazione che, trattandosi di un solo posto da mettere a concorso, non potrà effettivamente essere prevista alcuna riserva a favore di soggetti già dipendenti dell’ente e pertanto la procedura concorsuale dovrà essere interamente aperta anche ai soggetti esterni.
Inoltre, per quanto riguarda gli aspetti finanziario-contabili è opportuno rimarcare la necessità dell’osservanza dei vincoli alla spesa per il personale posti dalle più recenti disposizioni normative, che qui brevemente si richiamano:
- l’art. 1, co. 562, della Legge n. 296/2006, recante l’obbligo, per gli enti non sottoposti al Patto di stabilità, di contenere le spese per il personale, al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione e dell’IRAP e con esclusione degli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali, nei limiti di quanto impegnato nell’anno 2004, nonchè il divieto di procedere a nuove assunzioni di personale, se non nei limiti delle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato avvenute nell’anno precedente;
- l’art. 3, co. 121, della Legge n. 244/2007, che ha modificato il co. 562 dell’art. 1 della Legge n. 296/2006 ed ha affermato che eventuali deroghe al limite costituito dalla spesa impegnata nell’anno 2004, sono subordinate alla sussistenza delle seguenti condizioni: il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non deve essere superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell’accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario; il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non deve superare quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto, ridotto del 20 per cento;
- l’art. 76 del D.L n. 112/2008 conv. nella Legge n. 133/2008, che ha previsto, tra l’altro, la sospensione delle deroghe previste dall'art. 3, co. 121, della Legge n. 244/2007 ad eccezione dei Comuni con un numero massimo di dipendenti a tempo pieno non superiore a dieci; ha sancito il divieto di procedere a nuove assunzioni per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50% delle spese correnti ed ha ampliato il novero delle spese di personale, includendovi anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale di cui all'art. 110 del TUEL, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all'ente.
Inoltre, si ritiene opportuno mettere in luce che ogni modifica della pianta organica dell’ente deve essere sostenuta da una motivazione rapportata ad esigenze organizzative generali del Comune e non a circostanze fattuali inerenti, ad esempio, all’esigenza di valorizzazione della professionalità di singoli dipendenti.
Peraltro, con riferimento a quest’ultimo aspetto, si osserva incidenter che, secondo giurisprudenza consolidata, lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego non può condurre al riconoscimento dell’inquadramento lavorativo superiore corrispondente, ma semmai solo alle differenze retributive (ex multis: TAR Marche Ancona, Sez. I, 10.10.2008, n. 1548; Cons. di Stato, Sez. V, 18.09.2008, n. 4466; TAR Puglia Lecce, Sez. II, 29.08.2008, n. 2422; Cass., SS.UU. Civ., 11.12.2007, n. 25837; TAR Lazio Roma, Sez. III, 01.10.2007, n. 9480).
Conclusivamente, con riferimento al quesito posto dal Comune di Pianico, si ritiene che la progressione verticale sia effettuabile, nel rispetto dei principi sopra illustrati, con una procedura concorsuale interamente aperta anche a candidati esterni.
La disciplina in materia -che si è indicata- ha carattere generale e non è derogabile neppure dai Comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti.

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Terranova Sappo Minulio (RC) sulla obbligatorietà di dare corso alle istanze di "rimborso delle somme pagate per la tariffa relativa alla depurazione delle acque reflue, in assenza o per temporanea inattività del depuratore" e in particolare sulle procedure da adottare al riguardo (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Calabria, parere 12.02.2009 n. 57 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Serrata (CS) sulla obbligatorietà per l'Ente di dare corso alle istanze di "rimborso delle somme dovute per la tariffa relativa alla depurazione delle acque reflue, in assenza o per temporanea inattività del depuratore". In particolare chiede di conoscere "quale comportamento deve assumere in merito al pagamento delle fatture in fase di riscossione e alla predisposizione della tariffa del servizio idrico per l'anno 2009" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Calabria, parere 12.02.2009 n. 56 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Pietrafitta (CS) sulla obbligatorietà di dare corso alle istanze di "rimborso delle somme pagate per la tariffa relativa alla depurazione delle acque reflue, in assenza o per temporanea inattività del depuratore" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Calabria, parere 12.02.2009 n. 53 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Camini (RC) sulla obbligatorietà dell'ente a dare corso alle istanze di "rimborso delle somme pagate per la tariffa relativa alla depurazione delle acque reflue, in assenza o per temporanea inattività del depuratore". Inoltre l'ente chiede di conoscere la decorrenza del rimborso e se sono dovuti, oltre la sorte capitale, anche interessi e rivalutazione monetaria (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Calabria, parere 12.02.2009 n. 49 - link a www.corteconti.it).
a) l’utente, che ha corrisposto al Comune l’importo dell’intera tariffa, ha diritto ad ottenere il rimborso, tempo per tempo, della quota riferita al servizio di depurazione, sempre che quest’ultimo non sia stato fornito in quanto mancavano o manchino impianti di depurazione o questi erano o siano temporaneamente inattivi, previa domanda di rimborso opportunamente documentata;
b) l’Amministrazione comunale effettuerà il rimborso, dopo aver verificato, tempo per tempo, la legittimità della richiesta, accertando anche la corrispondenza tra “ricevuta di versamento” esibita dall’utente e l’avvenuta corrispondente riscossione da parte dell’Ente;
c) le liste di carico inerenti ai canoni in discussione, qualora approvate dall’Amministrazione comunale e non ancora poste in riscossione, vanno depurate delle quote di tariffa eventualmente non dovute dall’utente e, nel caso di utente moroso, la richiesta bonaria o forzosa deve essere anche essa depurata delle quote di tariffa eventualmente non dovute dall’utente medesimo;
d) il soggetto a carico del quale dovrà essere posto il relativo onere finanziario coincide con l’Ente che ha riscosso e utilizzato le somme che ora vengono dichiarate, dalla citata sentenza della Corte Costituzionale, non dovute dall’utente, in quanto corrispettivo di un servizio non ricevuto dall’utente medesimo. Ovviamente l’Ente locale interessato, nel rispetto dei principi del bilancio, provvederà ad istituire nel bilancio di previsione un apposito capitolo di spesa il cui stanziamento sarà definito sulla base delle domande di rimborso di volta in volta pervenute e utilmente verificate da parte delle competenti strutture amministrative.
Quanto, infine, alla decorrenza di eventuali interessi e rivalutazione monetaria, la Corte ritiene, come già chiarito in altri casi, non potersi pronunciare, per evitare possibili sovrapposizioni con altri Organi.

DOTTRINA E CONTRIBUTI

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Maglia e M. Gianni, Il modello di dichiarazione ambientale per il 2009 alla luce del D.P.C.M. 02.12.2008 (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: R. Nitti, Note in tema di tecniche investigative e di protocolli di indagine in materia ambientale (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Forte, L’accertamento dei crimini ambientali: dall’intervento della Polizia Giudiziaria alla definitività dell’accertamento (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Ardituro, LE TECNICHE INVESTIGATIVE ED I PROTOCOLLI DI INDAGINE IN MATERIA AMBIENTALE ED I RAPPORTI CON LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L. A. Pezone, Undici ragioni per rivalutare le fosse Imhoff (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: P. Scognamiglio, Abusi edilizi e legge penale. La disciplina dei condoni (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: V. Paone Inquinamento idrico: qual'è il confine tra le immissioni occasionali e lo scarico? (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: P. Fimiani, La normativa sui rifiuti (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. De Falco, Discarica abusiva: realizzazione, gestione e posizione del proprietario del fondo. La cassazione interviene ancora (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Amendola, La normativa sull’inquinamento idrico e atmosferico (link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: G. Petronella, “L’ACCESSO AGLI ATTI DELL’ISPEZIONE IN MATERIA DI LAVORO: IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA RESISTE DI FRONTE AL DIRITTO DI DIFESA” (nota a sentenza TAR Piemonte, Sez. II, 16.07.2008 n. 1628) - link a www.diritto.it).

ENTI LOCALI: M. Greco, Il reclutamento delle risorse umane nelle società pubbliche (link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: P. Romanucci, Diniego di permesso di costruire e divieto di motivazione postuma: brevi note sulla tutela degli interessi pretensivi tra il non fare del cittadino e il non dire della P.A. (link a www.diritto.it).

LAVORI PUBBLICI: A. Matranga, Se il Comune non fornisce la prova della mancanza di colpa o di concorso di colpa da parte del danneggiato, il cittadino vittima di un danno da insidia stradale va risarcito anche del danno morale sofferto (link a www.diritto.it).

APPALTI: L. Risolo, Contratto di appalto e Documento Unico di Regolarità Contributiva nei Lavori Pubblici (link a www.diritto.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Regolamento in materia di attività di vigilanza e accertamenti ispettivi (Segretariato Generale, comunicato 06.04.2009 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Servizi - Convenzioni con cooperative sociali "b" ex art. 5 l. 381/1991 - Divieto di avvalimento requisiti tecnico-organizzativi - Ammissibilità - Ragioni - Fattispecie.
 Ritenuto in diritto:
Ai fini del corretto inquadramento giuridico della questione sottoposta a questa Autorità occorre, preliminarmente, evidenziare che la Legge 08.11.1991, n. 381 e s.m., contenente la disciplina nazionale delle cooperative sociali, all’art. 5, comma 1, detta specifiche disposizioni in tema di “Convenzioni”.
La citata disposizione consente agli enti pubblici, compresi quelli economici, nonché alle società di capitali a partecipazione pubblica, di stipulare, con le cooperative che svolgono le attività di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), (c.d. cooperative sociali di tipo B), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli Stati membri della Comunità europea, convenzioni per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato sia inferiore alla soglia comunitaria, “anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione”, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate, indicate nell’art. 4 della legge medesima.
A sua volta, la Legge n. 21 del 01.09.1993, emanata dalla Regione Puglia, nel dettare disposizioni a livello regionale sulle cooperative sociali, al comma 1 dell’art. 6, in tema di “Convenzioni”, riproduce pedissequamente la richiamata disposizione legislativa nazionale, ribadendo la deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, mentre al comma 2 precisa che, se sono presenti nel territorio di competenza del committente ente pubblico più cooperative sociali iscritte all’Albo regionale, che provvedono alla fornitura dei beni e servizi richiesti, “per l’individuazione del contraente viene fatto ricorso alla gara d’appalto”.
Tuttavia, la citata disposizione regionale, di cui al comma 2 dell’art. 6, nel prevedere una procedura selettiva in caso di pluralità di cooperative sociali iscritte all’Albo regionale, non contiene alcun rinvio alla disciplina generale in materia di contratti pubblici, che anzi continua ad essere oggetto di deroga, come espressamente stabilito -in conformità alla legge nazionale n. 381/1991- dal precedente comma 1 del medesimo art. 6, in considerazione della specialità della disciplina dettata per l’affidamento delle convenzioni alle cooperative sociali.
Peraltro, lo stesso art. 52 del D.Lgs. n. 163/2006, nel dettare la disciplina dei c.d. “Appalti riservati”, preliminarmente puntualizza che sono “Fatte salve le norme vigenti sulle cooperative sociali e sulle imprese sociali”.
Ne discende che il Comune di San Donaci, nel predisporre la lettera di invito per l’affidamento del servizio di cui trattasi in applicazione dell’art. 6, comma 2, della L.R. n. 21/1993 sulle cooperative sociali, ha legittimamente derogato alla disciplina generale in materia di contratti pubblici, in particolare all’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006, introducendo nel punto 5 delle DISPOSIZIONI DI CARATTERE GENERALE, la prescrizione secondo cui “Non è consentito l’avvalimento dei requisiti tecnico-organizzativi (servizi analoghi già svolti)”.
Tale deroga, inoltre, appare legittima, non solo per le sopra esposte considerazioni di ordine sistematico, ma anche tenuto conto della ratio della deroga stessa che, secondo un pacifico orientamento, va individuata nella immediata finalizzazione delle convenzioni stipulate ai sensi della normativa nazionale e regionale sulle cooperative sociali a creare opportunità di lavoro per persone socialmente svantaggiate e, dunque, nella finalità di interesse generale di favorire l’inserimento nel mercato del lavoro di soggetti a rischio di esclusione sociale.
In questa ottica diviene, pertanto, coessenziale alla legittima applicazione della suddetta normativa speciale l’effettivo utilizzo di persone socialmente svantaggiate delle stesse cooperative convenzionate nella realizzazione dei servizi affidati dalle amministrazioni pubbliche, nel rispetto di un progetto di inserimento negoziato con le amministrazioni stesse.
Conseguentemente, se, come nel caso di specie, l’affidamento del servizio avviene in applicazione della richiamata disciplina derogatoria sulle cooperative sociali, l’avvalimento dei requisiti tecnico-organizzativi -in particolare dei servizi analoghi già svolti- di un altro soggetto imprenditoriale, anche se solo parziale, trattandosi di requisiti maturati con l’impiego di dipendenti dell’impresa ausiliaria che non hanno le caratteristiche delle persone svantaggiate individuate dalla normativa di settore, falserebbe la selezione comparativa, frustrando la finalità solidaristica sottesa alla disciplina in esame, su cui si fonda la deroga alla disciplina ordinaria degli appalti di servizi.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la clausola inserita dal Comune di San Donaci nella lettera di invito è conforme alla normativa di settore (parere 18.03.2009 n. 38 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Art. 11, c. 1 d.p.r. n. 380/2001 - Proprietario dell’immobile o titolare di altro diritto legittimante il rilascio del permesso di costruire - Comune - Verifica - Limite della ragionevolezza e della comune esperienza.
Ex art. 11, I comma, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, sicché l’interessato è tenuto a fornire al Comune prova del suo diritto, ma quest’ultimo non può e non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, tanto più che, come lo stesso art. 11 specifica, il permesso di costruire “non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio” (II comma) e “non comporta limitazione dei diritti dei terzi” (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 04.04.2009 n. 1198 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Fase istruttoria - Provvedimento di rigetto - Atto di preavviso del rigetto - Art. 10-bis L. n. 241/1990.
L’art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al d.l.vo 01.08.2003, n. 259, prevede, al suo comma 5, una possibile fase istruttoria pur nell’ambito del procedimento speciale da esso normato. E ciò, in un contesto in cui l'intera disciplina del Codice è orientata verso forme di semplificazione amministrativa, in ossequio al divieto di aggravare il procedimento amministrativo ex art. 1, comma 2, legge n. 241/1990. Ne deriva che l’amministrazione non può emanare un provvedimento di rigetto senza far luogo alla fase istruttoria o, il che poi si risolve nella medesima cosa quanto agli aspetti sostanziali (salvo cioè il rito ed i termini diversi), senza adottare prima l’atto di preavviso del rigetto, di cui all’art. 10-bis della l. 241 del 1990 (cfr. Tar Campania, Sez VII, 03.08.2006, n. 7822).
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Oneri procedurali - Art. 87 d.lgs. n. 259/03 - Esigenze di semplificazione - Adempimenti imponibili - Esempi - DURC - Parere ARPAC - Dimostrazione di disponibilità dell’area.
Se è vero che oneri procedurali ulteriori rispetto a quelli previsti dal d.l.vo 259/2003 contrastano con le esigenze di semplificazione del procedimento amministrativo connesse alla riconosciuta natura di opere di urbanizzazione delle stazioni radio base ed alla natura di interesse pubblico del servizio attraverso di esse garantito, ciò non esclude ogni e qualsiasi, pur minimo, adempimento che non sia indicato espressamente dall’art. 87 del Codice: a meno che esso non si traduca in un indebito aggravamento del procedimento, in una situazione che vede il legislatore speciale favorire una celere realizzazione della rete (cfr. Tar Campania, sezione settima, sentenza n. 3421 del 12.04.2007, che richiama Corte Costituzionale, 27.07.2005, n. 336).
Fra i possibili ulteriori adempimenti imponibili non vi è spazio per richieste di documentazione che afferiscano direttamente a previsioni regolamentari dettate per le vicende puramente edilizie: ovvero, per ottenere il rilascio del permesso di costruire o per accompagnare la denuncia di inizio attività sempre in campo edilizio, né per imporre oneri esclusi dall’art. 93 del Codice ripetuto.
Quanto al DURC, l’Amministrazione non può dunque impedire la formazione del titolo abilitativo, o annullarlo o rimuoverlo, contestando la mancanza del DURC. Tuttavia, al fine dell’esecuzione materiale dei lavori, la certificazione di regolarità contributiva è necessaria ex art. 3, comma 8, lett. b)-ter, del d.l.gs. 494/1996.
Nello stesso modo, per quanto attiene all’imposizione della previa acquisizione del parere dell’ARPAC, questo non è necessario ai fini del rilascio dell’autorizzazione, ma solo a quelli della concreta attivazione dell’impianto (cfr., Tar Campania, sentt. n. 1888 del 12.03.2008, n. 4797 del 20.05.2008 e n. 1796 del 12.03.2007 cit.).
Quanto, infine, alla relazione fra soggetto richiedente e immobile sul quale l’impianto ha ad essere realizzato, è sufficiente, e quindi possibile richiedere, la dimostrazione della disponibilità dell’area, senza necessità di produrre l’assenso specifico del proprietario della stessa (Cons. Stato, sez. VI, 3534/2006; Tar Campania, sent. n. 14454/2007); il che non esclude, evidentemente, che in presenza di peculiari circostanze siano richieste all’amministrazione più puntuali approfondimenti e conseguenti decisioni, nell’ovvio previo rispetto degli obblighi procedurali che si impongono a seconda delle situazioni in concreto date (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 03.04.2009 n. 1722 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Stazioni radio base - Divieto di installazione su tutto il centro abitato - Illegittimità.
Il divieto di istallazione delle stazioni radio base in tutto il centro abitato -in quanto criterio generico ed eterogeneo (cfr. Consiglio di Stato, VI, n. 3452/2006)- è illegittimo (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 03.04.2009 n. 1721 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Programmi complessi e Piano di recupero. Poteri del giudice penale.
1. I "programmi complessi" come i programmi integrali di intervento di cui all’art. 16 della legge 17.02.1992, n. 179 ed i programmi di riqualificazione urbana di cui all'art. 2 della legge 17.02.1992, n. 179, sono pur sempre strumenti attuativi del PRG, sia pure con caratteristiche peculiari e privilegiate, che possono porsi in variante al PRG vigente al momento della loro approvazione ma non sono idonei, qualora redatti antecedentemente, a vincolare un successivo piano regolatore generale.
2. Il piano di recupero è uno strumento urbanistico, che ha natura di piano-programma con contenuto complesso, equivalente, sotto il profilo dell‘efficacia giuridica, al piano particolareggiato, dal quale si differenzia perché finalizzato, piuttosto che alla complessiva trasformazione del territorio, al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente con interventi rivolti alla conservazione, risanamento, ricostruzione ed alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso.
3. Il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale di un titolo abilitativo edilizio, procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna disapplicazione riconducibile all'art. 5 della legge 20.03.1865, n. 2248, allegato E), né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice. La non-conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto medesimo sia illecito, cioè frutto di attività criminosa, ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell’amministrazione. Il sindacato del giudice penale, al contrario, è possibile tanto nelle ipotesi in cui l’emanazione dell’atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge quanto in quelle di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere. Spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.04.2009 n. 14504 - link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Risposte dalla p.a. entro 30 giorni, anche se negativa. La Cassazione ha condannato al carcere un tecnico comunale.
I dipendenti pubblici non possono prendersela comoda sulle richieste di rilascio dei documenti presentate dai cittadini. Hanno, al massimo, 30 giorni di tempo anche se la risposta è negativa, dopodiché rischiano una condanna per omissione d’atti d’ufficio e, quindi, il carcere (Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 02.04.2009 n. 14466).

URBANISTICALa reiterazione del vincolo espropriativo dev'essere puntualmente motivata.
In materia di reiterazione di vincoli espropriativi la giurisprudenza è rigorosa nel richiedere una motivazione stringente e puntuale in ordine alle ragioni che militano per la reintroduzione della disciplina vincolistica (da ultimo, Cons. Giust. Amm., n. 1113 del 19.12.2008); nella esternazione di dette ragioni il Collegio è persuaso che non possa l’Amministrazione prescindere dall’indicare precisamente per qual motivo la scelta vincolistica è nuovamente caduta su un terreno già gravato in passato da analoga disciplina restrittiva, ed in tal senso non potrebbe essere omessa una valutazione comparativa del terreno nuovamente gravato rispetto ai terreni viciniori, ove mai capaci di soddisfare analoghe localizzazioni pubblicistiche.
Non solo, ma nei casi come quello in esame, in cui il privato ha dimostrato –a mezzo di espressa istanza– di aver specifico interesse alla utilizzazione edificatoria del terreno, un nuovo regime urbanistico inibitorio non può che tener dietro ad una approfondita istruttoria, che dia conto del nuovo sacrificio all’interesse privato in rapporto all’imprescindibile perseguimento dell’interesse pubblico sotteso alla realizzazione immediata dell’opera pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.03.2009 n. 1818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, la verifica dell'incidenza dei reati sulla moralità professionale della stazione appaltante attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A.. E deve essere operata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato.
E' pacifico orientamento giurisprudenziale che, eccettuati i reati indicati testualmente [decreto penale di condanna divenuto irrevocabile per il delitto, ritenuto incidente sulla moralità professionale, di cui all’art. 590, co. 3, c.p. a carico dell’amministratore delegato con delega alla sicurezza –e direttore tecnico- della società, avendo il medesimo, in qualità di datore di lavoro, cagionato per colpa lesioni personali gravi riportate dalla persona offesa in un incidente occorsole in cantiere. Tale decreto penale di condanna era stato menzionato ed allegato dalla concorrente in sede di dichiarazione resa ai fini della partecipazione alle gare, con l’indicazione “relativo a fattispecie ritenuta non grave”], circa i restanti, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, la verifica della loro incidenza sulla moralità professionale attiene all’esercizio del potere discrezionale della p.a. e deve essere operata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato (cfr., tra le più recenti, Cons. St., sez. V, 12.04.2007 n. 1723).
Ricordato che il ripetuto art. 38, co. 1, lett. c), annovera espressamente il decreto penale di condanna divenuto irrevocabile tra i provvedimenti pronunziati a carico del soggetto che, se concernenti i detti reati gravi incidenti sulla moralità professionale, comportano l’esclusione dal partecipare a gare pubbliche e dal contrarre, va ribadito che, nella specie, l’Amministrazione ha valutato tutti gli elementi inerenti in concreto il reato commesso dal signor Cerutti, quali la tipologia dell’appalto, il bene leso con il comportamento delittuoso, la specificità, l’epoca e le circostanze del fatto, così correttamente concludendo per la gravità e l’incidenza della condanna sull’affidabilità contrattuale in relazione ai lavori da affidare, quindi per l’insussistenza del requisito in argomento.
In particolare, la commissione aggiudicatrice ha considerato che il decreto penale, divenuto esecutivo il 01.10.2005, riguarda il reato di lesioni personali colpose commesso in data 16.07.2003, che si tratta di un incidente occorso in cantiere, dal quale è derivata una malattia del corpo, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre 40 giorni, e che la colpa consiste in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme per la prevenzione, non avendo l’amministratore delegato, con delega alla sicurezza, e datore di lavoro adottato nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica del lavoratore, precisando altresì che tale condotta è violativa di norme imperative e specifiche del settore.
Dunque, ha dato conto puntualmente dell’esistenza di un reato specifico connesso al tipo di attività che il soggetto sarebbe chiamato a svolgere, non risalente nel tempo, la cui gravità viene correlata non solo e non tanto alla gravità delle lesioni procurate alla persona offesa, quanto anche alla circostanza che l’accertata condotta consiste nell’inosservanza di norme basilari ed inderogabili in materia antinfortunistica (la cui violazione nel reato in parola comporta, significativamente ai fini in questione, un aggravamento della pena rispetto a quella comminata in assenza di ciò: cfr. cit. art. 590, co. 3, c.p.); inosservanza proprio da parte del soggetto su cui, all’epoca dei fatti, incombeva l’obbligo giuridico di assicurare la sicurezza nel cantiere
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.03.2009 n. 1736 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il potere in capo al Consiglio Comunale  di ridurre la fascia di rispetto cimiteriale non deve intendersi nel senso di riconoscere a quest’ultimo una mera facoltà di pronunciamento, dovendosi piuttosto ritenere che, fermo restando l’obbligo di adottare un tempestivo provvedimento in risposta alle istanze all’uopo presentate, il Consiglio comunale disponga di un ampio potere discrezionale, da esercitarsi attraverso l’esplicazione in motivazione delle ragioni delle determinazioni assunte, circa l’autorizzabilità di interventi edificatori in deroga rispetto alla fascia di rispetto sanitario
L'art. 338 del R.D. 27.07.1934 n. 1265, come modificato dall’art. 28 della legge 01.08.2002 n. 166, attribuisce al consiglio comunale il potere di consentire, se non vi ostino ragioni igienico-sanitarie accertate dalla competente Azienda USL, la riduzione della zona di rispetto cimiteriale, tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area.
Resta dunque evidente che l’anzidetta attribuzione del potere decisorio all’organo consiliare non deve intendersi, come ritenuto dalla difesa comunale, nel senso di riconoscere a quest’ultimo una mera facoltà di pronunciamento, dovendosi piuttosto ritenere che, fermo restando l’obbligo di adottare un tempestivo provvedimento in risposta alle istanze all’uopo presentate, il Consiglio comunale disponga di un ampio potere discrezionale, da esercitarsi attraverso l’esplicazione in motivazione delle ragioni delle determinazioni assunte, circa l’autorizzabilità di interventi edificatori in deroga rispetto alla fascia di rispetto sanitario.
Nel caso di specie, non risulta che il consiglio comunale si sia pronunciato sulla richiesta presentata in data 12.11.2007 dalla ricorrente.
Né risulta che, in adesione alla disponibilità manifestata dalla stessa ricorrente al fine di evitare il presente giudizio, siano stati indicati tempi certi per la definizione del procedimento per cui è causa.
Di qui, accertato l’illegittimo inadempimento del Consiglio comunale al suo obbligo di provvedere, l’accoglimento del ricorso, con condanna dello stesso organo consiliare all’adozione del provvedimento richiesto entro il termine di 60 (sessanta) giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, avvertendo che, per il caso di ulteriore inadempimento, si procederà senza indugio alla nomina di un commissario ad acta per gli adempimenti in via sostitutiva, con addebito delle spese (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 20.03.2009 n. 322 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Acque. Distribuzione acqua potabile e rifiuto di atti d'ufficio.
Integra il reato di rifiuto di atti d’ufficio di cui all’art. 328, comma primo, cod. pen., e non l’illecito amministrativo previsto dall’art. 19, comma quarto, del D.Lgs. 02.02.2001, n. 31, che disciplina la materia della distribuzione di acqua potabile in attuazione della direttiva CEE 98/83 sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, la condotta inerte del sindaco di un comune il quale, a fronte di una situazione potenzialmente pregiudizievole per la salute pubblica in relazione all’assenza dei requisiti previsti per la potabilità dell’acqua erogata per il consumo, ometta di adottare, nonostante le ripetute segnalazioni pervenutegli dalle competenti autorità sanitarie, i necessari provvedimenti contingibili ed urgenti volti ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia (Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 19.03.2009 n. 12147 - link a www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI:  La comunicazione di avvio del procedimento riveste evidente natura prodromica ed endoprocedimentale e di conseguenza non è direttamente lesiva della sfera giuridica del destinatario e, quindi, non è autonomamente ed immediatamente impugnabile.
La comunicazione di avvio del procedimento riveste evidente natura prodromica ed endoprocedimentale –promuovendo l’instaurazione di un contraddittorio a carattere necessario– e di conseguenza non è direttamente lesiva della sfera giuridica del destinatario e, quindi, non è autonomamente ed immediatamente impugnabile (TAR Piemonte, sez. I – 25/09/2008 n. 2053; TAR Campania Napoli, sez. V – 24/01/2008 n. 384).
La notizia di avvio del procedimento avvia l’esperimento della fase istruttoria e non incide in via definitiva sulla posizione del privato, anche se prefigura l’adozione di una determinazione sfavorevole: essa assume la funzione di sollecitare il privato ad una proficua collaborazione, mediante l’esposizione di osservazioni e la produzione di documenti suscettibili di orientare il convincimento dell’amministrazione procedente, la quale si esprimerà in via definitiva soltanto con il provvedimento finale. In definitiva eventuali vizi potranno essere fatti valere impugnando l’atto conclusivo, dotato di carattere autoritativo e perciò capace di procurare un concreto pregiudizio (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 12.03.2009 n. 623 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L’illeggibilità della firma apposta in calce ad un provvedimento amministrativo non ne comporta ex se l’invalidità per impossibilità di individuare l’autore, quando dall’atto stesso risultino altri elementi sufficienti per tale individuazione.
Sostiene l’Ente locale che il provvedimento di annullamento risulta sottoscritto da soggetto sconosciuto con l’apposizione di una firma illeggibile accanto al nome e al cognome dattiloscritto del Soprintendente (preceduto da un segno X), senza richiamare alcun conferimento di potere da parte di quest’ultimo, unico titolare delle funzioni istituzionali: si configura dunque una carenza di potere e la nullità assoluta dell’atto, poiché la delega successivamente prodotta ha un contenuto assolutamente generico, riferendosi agli affari correnti e non ad un singolo ed individuato procedimento.
In disparte i dubbi di ammissibilità del gravame proposto da un soggetto (Comune) chiamato insieme all’autorità statale a svolgere una funzione di amministrazione attiva –espressione di un’attività di “cogestione” a salvaguardia dell’interesse pubblico paesaggistico di rilievo costituzionale– esso è comunque infondato nel merito.
L’art. 17, comma 1-bis, del D. Lgs 165/2001, introdotto con la L. 145/2002, abilita i dirigenti a delegare “alcune competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1” ai dipendenti con posizione funzionale più elevata nell’ambito degli uffici ad essi affidati.
Il Soprintendente ha sottoscritto la nota datata 05/06/2008, con la quale ha delegato l’Arch. Daniele Rancilio a sostituirlo dal 9 al 13 giugno “per il disbrigo degli affari correnti”.
Non può essere pertanto condivisa la censura così come avanzata dal Comune, in quanto il contenuto dell’atto di delega è chiaro nell’investire il destinatario del compito di adottare, in assenza del dirigente titolare, gli atti di ordinaria amministrazione. La norma sopra richiamata, di rango legislativo, non introduce particolari vincoli all’ampiezza della delega, salva la necessità di specificare la tipologia di attribuzioni demandate al delegato: così oltre al singolo procedimento o al singolo affare può essere affidata al sottoposto l’attività di normale gestione dell’ufficio, che contempla l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi (art. 17, comma 1, lett. b), con implicita esclusione della gestione cd. straordinaria, ossia della possibilità di assumere decisioni tecniche, organizzative e strategiche di rilevante spessore e di rilevanza generale.
Peraltro tale interpretazione risponde anche a canoni di logicità e buon andamento, dato che l’assenza per pochi giorni del titolare di un ufficio per i più svariati motivi (formazione, incontri di vertice, ferie, etc.) non può comportare la paralisi o il rallentamento dell’attività ordinaria.
D’altro canto non coglie neppure nel segno il rilievo per il quale il provvedimento di annullamento sarebbe illegittimo per l’omesso richiamo dell’atto di delega e per l’illeggibilità della firma, posto che la circostanza rilevante è la possibilità di procedere comunque alla ricostruzione dell’identità dell’autore della sottoscrizione e della fonte dei suoi poteri, circostanza appunto acclarata dalla stessa amministrazione comunale. Del resto l’illeggibilità della firma apposta in calce ad un provvedimento amministrativo non ne comporta ex se l’invalidità per impossibilità di individuare l’autore, quando dall’atto stesso risultino altri elementi sufficienti per tale individuazione: in particolare è stato ritenuto sufficiente poter risalire all’organo che ha emesso l’atto, e dunque per relationem –ove sia necessario– alla persona fisica che ricopre la carica pro tempore e che ha reso la sottoscrizione (Consiglio di Stato, sez. VI – 21/08/2002 n. 4246). Nella specie la persona fisica incardinata temporaneamente nell’ufficio è stata appunto individuata con l’atto di delega prodotto in atti
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 12.03.2009 n. 623 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Il controllo che compete all’autorità statale ad estrema difesa del vincolo paesaggistico investe la legittimità del procedimento autorizzatorio, e si concentra principalmente sull’esaustività della documentazione allegata alla pratica già esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi emesso il provvedimento favorevole.
2. L’autorità che esamina una domanda di autorizzazione paesistica deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere nonché della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale, e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto.

1. Come la Sezione ha già rilevato (cfr. sentenza 04/08/2008 n. 847), il controllo che compete all’autorità statale ad estrema difesa del vincolo paesaggistico investe la legittimità del procedimento autorizzatorio, e si concentra principalmente sull’esaustività della documentazione allegata alla pratica già esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi emesso il provvedimento favorevole. Le integrazioni afferiscono dunque ad eventuali carenze od omissioni riscontrate in sede di trasmissione delle planimetrie e degli elaborati alla Soprintendenza, mentre non possono riguardare documenti che il Comune non ha mai provveduto ad acquisire.
Del tutto legittimamente dunque è stato comunicato l’avvio del procedimento di annullamento sollecitando la spedizione dell’eventuale documentazione mancante per errori commessi durante la formazione del plico ovvero per disguidi postali; i documenti comunque dovevano “già essere stati presentati all’amministrazione comunale a corredo della domanda di autorizzazione” (cfr. pag. 1 notizia avvio procedimento).
In definitiva non può essere valorizzata la prospettata esigenza di interruzione del termine per permettere un’integrazione documentale che non gioverebbe né al privato né al Comune, poiché la potestà della Soprintendenza investe i profili di correttezza del giudizio di compatibilità paesaggistica emesso dall’amministrazione locale in una determinata data, dopo l’esame di un progetto e dei relativi specifici allegati (relazioni, planimetrie, tavole, etc.).
Sotto altro profilo è evidente che l’art. 7 della L. 241/1990 impone di garantire l’effettività del momento partecipativo assicurando un contraddittorio reale e non meramente apparente (cfr. TAR Sardegna, sez. II – 27/05/2005 n. 1272): l’obbligo di comunicare agli interessati l’avvio del procedimento non può quindi ritenersi assolto qualora l’amministrazione abbia concesso un termine eccessivamente breve, così da impedire un loro serio e concreto coinvolgimento nella fase istruttoria.
2. Il Collegio ha recentemente evidenziato che, sotto un profilo d’ordine generale (cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 14/12/2001 n. 9), l’autorità che esamina una domanda di autorizzazione paesistica deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere nonché della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale, e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto; in secondo luogo deve verificare se la realizzazione del progetto comporti una compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi (cfr. sentenze Sezione 25/02/2008 n. 153; 06/05/2008 n. 483; 04/08/2008 n. 847).
In relazione ai poteri al riguardo spettanti al Ministero, le pronunce richiamate hanno sottolineato che il potere esercitato dall’amministrazione statale sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità regionale (o dalle autorità subdelegate) va definito in termini di “cogestione dei valori paesistici”, espressione di amministrazione attiva, nell’ambito di un unitario procedimento complesso all’interno del quale l’autorità statale può annullare l’autorizzazione paesistica (oltre che per il vizio di violazione di legge in senso stretto e per quello di incompetenza) anche quando risulti un profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta); la medesima autorità non può, viceversa, annullare l’autorizzazione paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall’Ente subdelegato (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 12.03.2009 n. 623 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore. Ordinanza e procedimento amministrativo.
La legge n. 241/1990 sancisce a livello di diritto positivo l’istituto della partecipazione al procedimento amministrativo, manifestazione di quel più generale principio del “giusto procedimento” in forza del quale l’azione della P.A. si svolge nel contraddittorio dei suoi destinatari, ed il procedimento costituisce il luogo virtuale di composizione preventiva dei conflitti fra soggetti pubblici e privati portatori di interessi contrapposti.
La partecipazione degli interessati al procedimento si attiva in prima battuta attraverso la obbligatoria comunicazione di avvio disciplinata dagli artt. 7 e 8 della legge n. 241 cit., che, per espressa previsione normativa, può peraltro venire omessa ove sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità; fermo restando che, in termini generali, l’amministrazione è sempre tenuta a rendere conto della sussistenza di tali ragioni di urgenza qualificata (fattispecie relativa ad ordinanza contingibile ed urgente di sospensione di emissioni acustiche) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 04.03.2009 n. 399 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO ACUSTICO - Istruttoria - Accertamenti fonometrici - Partecipazione dell’interessato.
Il soggetto cui si riferisce l’attività di accertamento fonometrico deve essere posto in grado di partecipare all’attività stessa, al fine di presentare le proprie osservazioni anche in ordine alla correttezza delle metodologie di rilevazione usate ed all’attendibilità dei valori rilevati (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 04.03.2009 n. 242 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Vincoli paesaggistici e urbanistici.
I vincoli paesaggistici ed ambientali in senso proprio, non divengono vincoli (meramente) urbanistici per il solo fatto di essere recepiti nel P.R.G., ma mantengono la loro natura -di vincoli dichiarativi ad effetto costitutivo non sottoposto a termine, in quanto discendenti non da una scelta discrezionale dell’amministrazione, bensì da qualità intrinseche del bene tutelato, che il provvedimento di vincolo deve soltanto riconoscere e dichiarare; ciò che, li distingue nettamente dai vincoli urbanistici in senso proprio, i quali -ancorché possano essere ispirati da analoghe finalità di salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente- non si sottraggono, qualora siano preordinati all’espropriazione o comunque rivestano carattere sostanzialmente espropriativo, all’alternativa tra temporaneità ed indennizzabilità (TAR Umbria Sez. I, sentenza 04.03.2009 n. 71 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lottizzazione materiale.
La condotta lottizzatoria c.d. materiale può essere integrata da opere edilizie o da opere di urbanizzazione che conferiscano alla zona una articolazione apprezzabile in termini di trasformazione edilizia e che conferiscano ai terreni l'attitudine ad accogliere insediamenti non consentiti o non programmati. Pertanto, qualunque intervento o costruzione, ivi comprese le recinzioni o i picchettamenti purché non precari, possono presentare siffatta idoneità a stravolgere l'assetto del territorio rendendone impraticabile la programmazione, anche quando non siano stati completati o si trovino in una fase iniziale. Sicché anche la sola realizzazione di una strada, comportando un mutamento del precedente assetto del territorio, costituisce opera di trasformazione urbanistica soggetta ad autorizzazione comunale, tanto più qualora essa mal si concili con la destinazione dei terreni e sia finalizzata a fornire un accesso a singoli lotti costituenti lottizzazione abusiva (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 27.02.2009 n. 1169 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Installazione impianti telefonia.
In tema di installazione di impianto di telefonia cellulare il Comune è titolare di una potestà regolamentare del tutto sussidiaria, che concerne esclusivamente i profili urbanistici e territoriali, ma con esclusione del potere di individuazione dei siti, che spetta alla regione (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 26.02.2009 n. 156 - link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Videosorveglianza: no al controllo dei lavoratori.
 Non è lecito installare telecamere che possano controllare i lavoratori, anche in aree e locali dove si trovino saltuariamente (Garante per la protezione dei dati personali, decisione 26.02.2009 - link a www.altalex.com).

ATTI AMMINISTRATIVIDiritto d'accesso moltiplicato.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi può essere esercitato più volte per i medesimi documenti. Sempre che gli accessi siano stati chiesti, di volta in volta, per motivi diversi.
Il principio vale anche se i documenti riguardano una questione pendente davanti ad altro giudice (Consiglio di Stato, Sez. v, sentenza 10.02.2009 n. 741 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTILa motivazione viene richiesta rigorosa ed analitica nel caso di giudizio negativo sull’anomalia; in caso, invece, di giudizio positivo, ovvero di valutazione di congruità dell’offerta anomala, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti.
La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nel ritenere che il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme ed esso costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell'amministrazione, di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto (Sez. IV, n. 435 del 14.02.2005 e n. 3097 dell’08.06.2007; sez. V, n. 4856 del 20.09.2005; sez. VI, n. 5191 del 07.09.2006).
Inoltre, per quanto riguarda la sufficienza o meno della motivazione sul giudizio di anomalia dell’offerta, il Collegio condivide l’orientamento secondo cui la motivazione viene richiesta rigorosa ed analitica nel caso di giudizio negativo sull’anomalia; in caso, invece, di giudizio positivo, ovvero di valutazione di congruità dell’offerta anomala, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute accettabili o espressiva di ulteriori apprezzamenti. Pertanto, il giudizio favorevole di non anomalia dell' offerta in una gara d'appalto non richiede una motivazione puntuale ed analitica, essendo sufficiente anche una motivazione espressa "per relationem" alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste siano a loro volta congrue ed adeguate (sez. IV n. 1658 dell’11.04.2007; sez. V, n. 5314 del 05.10 2005 e n. 4949 del 23.08.2006; sez. VI n. 5191 del 07.09.2006) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.05.2008 n. 2348 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Nei procedimenti sanzionatori è escluso il diritto di accesso per i soggetti terzi.
Nei procedimenti sanzionatori attivati sulla base della l. n. 24.11.1981, n. 689 –la quale disciplina i procedimenti amministrativi finalizzati all’irrogazione di sanzioni e prevede specifiche modalità di accesso ai documenti, che riserva però ai soli destinatari dei provvedimenti sanzionatori– non trova applicazione la disciplina generale dettata dalla L. n. 241 del 1990, per cui l’accesso agli atti è riservato ai soli destinatari dei provvedimenti sanzionatori (trasgressore e soggetto solidalmente obbligato) con esclusione dei soggetti terzi (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 21.04.2008 n. 3327 - link a www.altalex.com).

URBANISTICAIn occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell'Amministrazione -riguardo alla destinazione di singole aree- non necessitano di apposita motivazione, oltre quelle che si possono evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nella impostazione del piano.
Secondo il costante e consolidato indirizzo giurisprudenziale le scelte effettuate dall'amministrazione, all'atto dell'adozione del piano regolatore generale o di variante al piano medesimo, costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (ex multis, C.d.S., sez. IV, 13.04.2005, n. 1743; 31.01.2005, n. 259; 06.10.2003, n. 5869; 16.03.2001, n. 1567; 22.05.2000, n. 2934; 08.05.2000, n. 2639; Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24); d’altra parte non può non rilevarsi che, in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell'Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quelle che si possono evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nella impostazione del piano (C.d.S., Ad. Plen. n. 24/1999 cit.; sez. IV, 19.01.2000, n. 245; 24.12.1999, n. 1943; 02.11.1995, n. 887; 25.02.1988, n. 99), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni, di cui non vi è traccia nel caso di specie, non abbiano creato aspettative o ingenerato affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.03.2006 n. 1119 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 06.04.2009

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NOVITA' NEL SITO

E' stato integrato l'archivio dei DOSSIER con quest'altro:
- DOSSIER sic-zps - vas - via.

QUESITI

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, l'interpretazione autentica della l.r. n. 12/2005 circa l'intervento di ristrutturazione edilizia -inteso come demolizione/ricostruzione- se debba rispettare o meno il volume esistente (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, nota 01.04.2009 n. 6466 di prot.).

PUBBLICO IMPIEGOGruppo di lavoro per redazione Piano di lavoro quinquennale. Incentivo contrattuale.
Il presidente della Comunità montana (omissis) riferisce che nell’esercizio 2003 è stato affidato ad un gruppo di lavoro l’incarico di redigere il Piano quinquennale delle sistemazioni idrogeologiche ed idraulico-forestali.
Il gruppo incaricato era composto da personale assunto a tempo indeterminato, nonché da altre figure professionali assunte con contratto a tempo determinato, con contratto di staff e da un tirocinante.
Il gruppo di lavoro ha provveduto alla redazione del Piano quinquennale, che è documento in parte propedeutico al successivo Piano delle manutenzioni ordinarie del territorio.
Il suddetto Piano trova successivo sviluppo con la progettazione degli interventi, attività per la quale viene riconosciuto l’incentivo previsto dall’art. 92 del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. (nel prosieguo Codice dei contratti pubblici).
Il presidente chiede:
- l’incentivo di pianificazione va riconosciuto in base alla tipologia contrattuale di
assunzione del dipendente?
- è lecito riconoscere ad alcuni componenti del gruppo di lavoro l’incentivo per l’elaborazione di un documento per il quale sono stati specificatamente assunti dall’Ente e per il quale già percepiscono gli incentivi all’atto della progettazione definitiva dei singoli interventi che compongono il Piano?
 (Regione Piemonte, parere n. 9/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

PUBBLICO IMPIEGOMobilità tra Enti locali.
Il Comune (omissis) di 2.800 abitanti, intenderebbe:
- attivare una mobilità dall'Unione dei Comuni cui partecipa per conseguire il trasferimento di un messo cat. B3;
- istituire un nuovo posto di agente di polizia municipale, attivare una progressione verticale per la cat. C1 così da trasformare l'attività del messo in quella di agente P.M..
Precisa che dal 2004/2006 non ha avuto cessazioni di personale ma soltanto personale trasferito in altri Comuni per mobilità volontaria, chiede se la procedura indicata potrebbe essere attuata e se esistono, delle deroghe percorribili per l'assunzione di agenti di P.M. (Regione Piemonte, parere n. 11/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALIAssunzione personale ed eventuale richiesta deroga.
Il Comune istante, con cinque dipendenti in servizio e n° 541 abitanti, pertanto non soggetto al patto di stabilità, attualmente convenzionato con altri Enti per il servizio tecnico (Urbanistica – Edilizia – LL.PP.), considerato che:
- il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non è superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell’accertamento della condizione di Ente
strutturalmente deficitario;
- il rapporto medio tra dipendente in servizio e popolazione residente supera quello determinato per gli Enti in condizioni di dissesto;
- la Giunta comunale intende approvare il programma triennale del fabbisogno del personale e prevedere la figura del tecnico comunale part-time;
chiede se può procedere all’assunzione del suddetto personale nell’anno 2009 o dovrà ricorrere ad una deroga
(Regione Piemonte, parere n. 17/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALIValidità graduatoria per assunzione presso altro Comune.
Il Comune (omissis) intenderebbe assumere un istruttore direttivo (D1), attingendo dalla graduatoria in corso di validità di altro Comune limitrofo che ha indetto e svolto nel dicembre 2007 concorso pubblico per l’assunzione di una unità di uguale qualifica.
Al riguardo intenderebbe applicare la legge 250/2003, articolo 3, comma 61, a tal fine chiede di conoscere se:
1) si ritiene applicabile la suddetta norma, tenendo conto che l’altro Comune non ha previsto nel bando di gara tale eventualità, che nel vigente regolamento dei concorsi di questo Comune non è prevista tale possibilità e che non è stato stipulato preventivamente alcun accordo in tal senso fra i due Comuni.
2) Nell’ipotesi in cui si ritiene applicabile la norma, si chiede di conoscere in quali termini possa esplicitarsi l’accordo tra i due Comuni (scambio di corrispondenza, deliberazioni di Giunta, convenzione da approvare in Consiglio comunale ecc…)
(Regione Piemonte, parere n. 25/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAScarico fognario coattivo.
Il Comune istante espone la seguente problematica:
Alcuni proprietari di immobili che costituiscono un piccolo nucleo abitato, decidono, nel 2005, di allacciare i propri scarichi alla rete fognaria comunale distante circa 180 metri dall'abitazione più lontana, andando a realizzare un collettore di proprietà privata.
All'interno di questo nucleo abitato, un paio di abitazioni non vengono allacciate, la fognatura viene realizzata con l'impegno economico di 5 soggetti anziché 7. Nel 2007 gli immobili non allacciati vengono venduti ed i nuovi proprietari chiedono la disponibilità di allacciare, pagando la loro quota dovuta, i propri scarichi.
La risposta è negativa e pertanto gli stessi si adeguano alla normativa di legge (L.R. n. 13/1990) realizzando all'interno delle proprie aree di pertinenza (giardini e orti) i classici sistemi di sub-irrigazione. Dopo un paio di anni questi sistemi incominciano a dare problemi igienico-sanitari in quanto non riescono ad assorbire i reflui (a causa del terreno argilloso, delle limitate dimensioni del lotto, etc....) con conseguente sversamento di liquami sul terreno stesso.
Stante quanto sopra, attesa la non disponibilità di uno dei soggetti proprietari della condotta a tale allacciamento e dovendo in qualche maniera risolvere il problema, può il sindaco avvalersi delle facoltà espresse dal D.Lgs. n. 267/2000 ed ordinare, per motivi igienicosanitari, l'allacciamento alla rete fognaria privata dei due scarichi non correttamente funzionanti? Vi sono altrimenti altre scelte legalmente perseguibili? (Regione Piemonte, parere n. 14/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

URBANISTICATrasformazione area da PEEP a PEC.
Il caso sottoposto all’attenzione del Servizio richiede di valutare se e con quali strumenti sia legittimo -con una modifica od una variante al PRGC- trasformare la modalità di intervento nell’area NI2 da PEEP a PEC recante la previsione di edilizia convenzionata ai sensi dell’art. 17 comma 1 del D.P.R. 380/2001 (già art. 7 e 8 l. 10/1977) (Regione Piemonte, parere n. 16/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAMutamento destinazione d’uso (da agricola ad artigianale).
E’ chiesto parere in merito alla legittimità dell’accoglimento dell’istanza di permesso di costruire, presentata da un ex imprenditore agricolo a titolo principale ormai in pensione, volta ad ottenere il mutamento della destinazione d’uso –da agricola ad artigianale– ex art. 25, comma 10, L.R. n. 56/1977, di un preesistente magazzino agricolo di proprietà (Regione Piemonte, parere n. 12/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATACostruzione terrapieno artificiale in ambito di P.E.C..
E’ chiesto parere in merito alla natura –o meno– di “costruzione”, in senso tecnicogiuridico, di un terrapieno artificiale -ai fini del rispetto delle distanze legali- terrapieno la cui realizzazione risulta prevista nell’ambito di un Piano Esecutivo Convenzionato di iniziativa privata, già approvato dal Comune (Regione Piemonte, parere n. 10/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

ENTI LOCALIAtti urgenti e improrogabili (art. 38, comma 5, T.U. 267/2000) in prossimità delle elezioni amministrative..
Il Comune di (omissis) interessato al rinnovo degli organi comunali ha in corso di realizzazione una variante parziale al piano che potrebbe rendere, eventualmente, necessaria la convocazione del Consiglio comunale anche dopo la pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi.
Poiché l'art. 38, comma 5 del D.Lgs n. 267 del 18/08/2000 prevede che :"I Consigli durano in carica sino all'elezione dei nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare gli atti urgenti e improrogabili", chiede di sapere se possa rientrare tra gli atti "urgenti ed improrogabili" l'adozione definitiva di una variante parziale al piano regolatore vigente ai sensi dell'art. 17, comma 7 della L.R. del Piemonte n. 56 del 05/12/1977 (Regione Piemonte, parere n. 8/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATARealizzazione box in deroga agli strumenti urbanistici ed acquisizione al patrimonio comunale di immobili distrutti o danneggiati da eventi alluvionali.
Sono stati posti al Servizio regionale di Consulenza agli Enti locali due quesiti:
- il primo concerne l’art. 9 della L. 122/1989 (legge Tognoli), che consente la realizzazione di parcheggi pertinenziali anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti;
- il secondo riguarda l’applicazione dell’art. 1, c. 1-bis, D.L. 19.12.1994, n. 691, convertito dalla L. 16.02.1995, n. 35, che prevede l’acquisizione al patrimonio indisponibile dei Comuni dei relitti di immobili distrutti o danneggiati dagli eventi
alluvionali del 1994 (Regione Piemonte, parere n. 7/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATACertificato di agibilità, ex art. 24 D.P.R. 380/2001.
Si chiede parere in merito al rilascio del certificato di agibilità, ex art. 24 del D.P.R. n. 380/2001 -a seguito di rilascio di permesso di costruire in condono– relativamente ad un immobile privo del requisito dell’altezza minima interna di mt. 2,70, previsto dal D.M. 05.07.1975 (Regione Piemonte, parere n. 4/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAInsediamento produttivo.
Il Comune interessato deve affrontare il problema della compatibilità di un insediamento produttivo con il tessuto edilizio di antica formazione nel quale esso è localizzato, alla luce delle disposizioni del piano regolatore generale che ammettono la permanenza degli insediamenti di tale tipo solo in presenza di determinate condizioni (Regione Piemonte, parere n. 1/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 04.04.2009 n. 79 "Attuazione della direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento" (D.Lgs. 16.03.2009 n. 30).

APPALTI: G.U. 03.04.2009 n. 78 "Regolamento recante disposizioni in materia di intermediari finanziari di cui agli articoli 106, 107, 113 e 155, commi 4 e 5 del decreto legislativo 01.09.1993, n. 385" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, decreto 17.02.2009 n. 29).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 13 del 31.03.2009, "Testo coordinato della l.r. 11.03.2005, n. 12 «Legge per il governo del territorio», entrata in vigore il 31.03.2005" (testo coordinato L.R. 11.03.2005 n. 12 - link a www.infopoint.it).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 13 del 30.03.2009, "Approvazione del bando per la concessione di contributi per attività di diagnosi e progettazione di interventi di riqualificazione energetica relative ad edifici di proprietà pubblica individuati dalla Giunta Regionale, in attuazione della d.g.r. n. 8294/2008" (decreto D.G. 23.03.2009 n. 2790 - link a www.infopoint.it).

APPALTI SERVIZI: G.U. 27.03.2009 n. 72, suppl. ord. n. 38, "Determinazione del costo medio orario del lavoro dei dipendenti da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi" (D.M. 25.02.2009).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Ecco il testo dell’accordo 01.04.2009 tra Governo e Regioni sul piano casa e lo schema di decreto legge.
L’intesa prevede l’impegno da parte delle Regioni, entro e non oltre 90 giorni, ad approvare proprie leggi ispirate ai seguenti obiettivi:
a) regolamentare interventi –che possono realizzarsi attraverso piani/programmi definiti tra Regioni e Comuni– al fine di migliorare anche la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente di edifici residenziali uni-bifamiliari o comunque di volumetria non superiore ai 1000 metri cubi, per un incremento complessivo massimo di 200 metri cubi e fatte salve diverse determinazioni regionali che possono promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica;
b) disciplinare interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e secondo criteri di sostenibilità ambientale, ferma restando l’autonomia legislativa regionale in riferimento ad altre tipologie di intervento;
c) introdurre forme semplificate e celeri per l’attuazione dei suddetti interventi in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale.
In caso di inadempienza da parte delle Regioni è previsto il potere sostitutivo del Governo in base a quanto previsto dall’articolo 8, comma 1 della legge n. 131/2003.
Per quel che riguarda le misure di semplificazione amministrativa dell’attività edilizia, di più stretta competenza dei Comuni, il tutto è rinviato dall’intesa ad un decreto legge che il Governo, in accordo con comuni, province e Regioni predisporrà entro 10 giorni (tratto da www.ancilombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Salute e sicurezza nel lavoro: controlli mirati e sanzioni più efficaci.
Approvato dal Consiglio dei ministri del 27..03.2009 uno schema di decreto legislativo, presentato dai Ministri del Lavoro, salute e politiche sociali, Maurizio Sacconi, delle Infrastrutture, Altero Matteoli, e dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che modifica e integra la vigente normativa in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro.
Il provvedimento apporta alcune significative modifiche che recepiscono le criticità emerse nei primi mesi di applicazione del Testo unico e migliora le regole sulla sicurezza in un'ottica che tende a favorire la chiarezza del dato normativo quale presupposto per favorirne l'applicazione corretta ed efficace.
Le principali novità introdotte consistono, oltre che nella semplificazione formale di alcuni documenti fondamentali (per es., la valutazione dei rischi), in una generalizzata razionalizzazione delle sanzioni penali ed amministrative conseguenti alle violazioni degli obblighi da parte di datori di lavoro, dirigenti e personale preposto; nella migliore definizione del ruolo degli organismi paritetici e nel potenziamento del ruolo degli enti bilaterali che, in quanto espressione di competenze tecniche adeguate, certificano i modelli di organizzazione della sicurezza in azienda, al fine di incentivare la diffusione di tali strumenti di tutela della salute e della sicurezza.
Il testo, che sarà sottoposto alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, riceverà quindi il parere della Conferenza Stato-Regioni e delle Commissioni parlamentari (link a www.governo.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: R. Marletta, La normativa regionale sui centri commerciali (AL n. 3/2009).

LAVORI PUBBLICI: Procedura negoziata nei ll.pp. sino a 500.000 €: come scegliere le ditte da invitare (link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATA: Guida alle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie - Le modalità operative e la proroga fino al 2011 (ANCE, dossier fiscale marzo 2009 - link a www.ediliziaprofessionale.com).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Linee guida SGSL per una impresa di costruzioni - Istruzioni operative per l'istituzione e l'attuazione di un sistema di di gestione della sicurezza sul lavoro e suggerimenti per la certificazione del SGSL realizzato (ANCE - link a www.ediliziaprofessionale.com).

EDILIZIA PRIVATA: Guida alle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie - Le modalità operative per il periodo 2008-2010 (ANCE, dossier fiscale maggio 2008 - link a www.ediliziaprofessionale.com).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Codice dell'Ambiente: come cambiano le procedure di VAS e VIA (ANCE, circolare 21.02.2008 n. 6 - link a www.ediliziaprofessionale.com).

URBANISTICA:  P. Urbani, Urbanistica consensuale, “pregiudizio” del giudice penale e trasparenza dell’azione amministrativa (link a www.pausania.it).
Dopo i recenti casi che hanno coinvolto molti amministratori locali in vicende giudiziarie a seguito di accordi con i privati sulle trasformazioni urbane un intervento per riportare chiarezza nei processi di urbanistica consensuale.

APPALTI: L. Bellagamba, Il problema della mancata presentazione delle giustificazioni preventive di anomalia: una recentissima pronuncia del Consiglio di Stato in apparente controtendenza rispetto alla giurisprudenza dominante (link a www.linobellagamba.it).

PUBBLICO IMPIEGO: L. M. Delfino, Il mobbing nell’esperienza del giudice amministrativo. Il danno da mobbing come riflesso di diminuzione patrimoniale per le risorse finanziarie della p.a. (link a www.altalex.com).

CORTE DEI CONTI

APPALTI SERVIZI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Agerola (Na) sulla possibilità di conoscere se qualora all'atto dell'instaurazione di un contratto di servizi non sia stato possibile determinare preventivamente l'ammontare della spesa e l'Ente abbia provveduto ad assumere un impegno rivelatosi insufficiente a coprire il costo finale dell'intera prestazione l'Amministrazione possa assumere un impegno suppletivo per il pagamento della differenza dovuta, oppure si renda necessaria la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio.
La regola generale fissata dall’art. 191 del TUEL n. 267/2000 è che gli enti locali possono effettuare spese solo quando sussista la regolare assunzione dell’impegno contabile, registrato sul competente intervento di bilancio e sia stata emessa la prescritta attestazione di copertura della spesa da parte del Dirigente del Servizio finanziario. L’inosservanza di questo fondamentale precetto determina, come conseguenza, l’insorgenza dei debiti fuori bilancio, dei quali, com’è noto, soltanto alcuni, contemplati dall’art. 194 del TUEL, sono riconoscibili.
Occorre distinguere, in astratto, tre possibili fattispecie.
La prima concerne l’ipotesi in cui l’impegno suppletivo debba essere assunto nel medesimo esercizio cui l’impegno contrattuale si riferisce. In tal caso nulla osterebbe all’assunzione di un impegno suppletivo sullo stanziamento di bilancio del medesimo esercizio.
La seconda ipotesi è che si tratti di spese previste nel bilancio pluriennale. Anche in tal caso possono essere assunti impegni suppletivi, sempre che gli stessi siano compresi nel bilancio pluriennale e nel limite delle previsioni in esso contenute (altrimenti il debito residuo costituirebbe un debito fuori bilancio).
L’ultima ipotesi -nella quale rientra la fattispecie ipotizzata nella richiesta di parere- riguarda il caso in cui la somma necessaria al pagamento del saldo riguardi importi non impegnati entro l’esercizio in cui si è perfezionato il contratto. Diversamente da quanto accade per le due ipotesi precedenti, in questa ipotesi non è possibile far luogo ad impegni suppletivi in quanto detti provvedimenti devono essere adottati entro il termine dell’esercizio finanziario cui l’impegno si riferisce ed oltre tale termine anche le eventuali prenotazioni perdono qualsiasi efficacia, con la conseguenza che le relative somme vanno in economia. In tal caso, avendo il Comune impegnato e coperto finanziariamente solo una parte della spesa e non tutta quella dell’importo contrattuale, risulterebbe violato il procedimento prescritto dagli articoli 183 e 191, primo comma, del TUEL n. 267/2000; conseguentemente, la spesa eccedente l’impegno assunto verrebbe a configurare un debito fuori bilancio, per il cui riconoscimento va adottata la procedura prevista dall’art. 194, lett. e) del TUEL citato (cfr. ex plurimis, Sezioni riunite per la Regione siciliana in sede consultiva Del.ni n. 9/2005 e n. 2/2007)
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 26.02.2009 n. 9 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Calitri (Av) sulla possibilità di conoscere se -per la liquidazione delle parcelle professionali relative agli incarichi conferiti- occorra attivare il procedimento del debito, ai sensi dell'art. 194, co. 1, del TUEL n. 267/2000 o se sia sufficiente procedere ad un impegno integrativo su apposito capitolo di bilancio corrente con capienza finanziaria, provvedendo, quindi, alla relativa liquidazione.
Pur in presenza di difficoltà nella individuazione della somma esatta relativa alla parcelle del professionista, l’Ente è tenuto al rispetto dei canoni di buona amministrazione (fra gli altri a quello del prudente apprezzamento), delle regole giuscontabili in materia di spesa e dei principi che caratterizzano la corretta gestione dei pubblici bilanci.
Prima della determinazione dell’impegno di spesa va acquisita dall’avvocato, al quale è stata affidata la rappresentanza in giudizio del Comune, un preventivo di massima relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese che presuntivamente deriveranno dall’espletamento dell’incarico stesso ai fini di predisporre un adeguata copertura finanziaria.
Nel caso in cui non venga seguita la descritta procedura, si verifica una fattispecie tipica di debito fuori bilancio, in quanto l’Ente ha impegnato e coperto finanziariamente solo la spesa necessaria per corrispondere l’acconto al professionista. Si determina, di conseguenza, la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 191 del d. lgs. 267/2000 che disciplinano le modalità attraverso le quali le spese degli enti locali devono essere assunte prevedendo dei procedimenti di natura tecnico-contabile per evitare il formarsi dei debiti fuori bilancio e per garantire l’equilibrio tra entrate e spese.
Nella fattispecie si da luogo a spese al di fuori dell’impegno costituito ed in assenza di una specifica previsione nel bilancio dell’esercizio in cui si manifestano.
In conclusione per la differenza tra la somma destinata al pagamento degli acconti e quella scaturente dalla liquidazione della parcella definitiva si dovrà procedere al loro riconoscimento ai sensi dell’art. 194 del T.U.E.L. n. 267/2000 e secondo le procedure ivi previste (cfr. in termini l’indirizzo delle Sezioni Riunite per la Regione Sicilia in sede consultiva, da ultimo deliberazione n. 2/2007)
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 04.02.2009 n. 8 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Marano di Napoli (Na) sulla giusta determinazione dell'ammontare del gettone di presenza spettante ai consiglieri comunali (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 04.02.2009 n. 6 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Savignano Irpino (Av) sulla possibilità di erogare all'ex Sindaco ed agli amministratori comunali, in carica dal 1999 al 2004, le indennità di funzione di cui all'art. 82 del D.lgs n.267/2000, per le quali risultano stanziate le somme necessarie nei rispettivi bilanci di previsione, ma non assunti gli atti d'impegno (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Campania, parere 04.02.2009 n. 5 - link a www.corteconti.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI SERVIZIServizi assistenza tecnica e scientifica - Soggetti cui possono essere affidati i contratti pubblici - Soggetti compresi nell'elenco di cui all'art. 34 d.lgs. 163/2006 - Raggruppamento tra professionisti - Legittimazione a partecipare alle gare - Sussiste.
Ritenuto in diritto:
La questione oggetto del presente procedimento è stata già esaminata dall’Autorità in precedenti occasioni (si vedano la deliberazione n. 119 del 18.04.2007 e il parere n. 127 del 23.04.2008), nelle quali è stato posto in evidenza qual è l’ambito applicativo dell’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006.
L’articolo 34, comma 1, lettere a), b), c), d) e) ed f), del D. Lgs. n. 163/2006 individua i soggetti cui possono essere affidati i contratti pubblici: tali soggetti rivestono la qualifica di “operatore economico”, termine con il quale si intende l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o un consorzio di essi. Ai sensi dell’articolo 3, comma 19, del D.Lgs. n. 163/2006, nel novero di detti soggetti sono da ricomprendersi le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti senza personalità giuridica, che offrono sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi. La caratteristica che accomuna le figure sopra individuate è l’esercizio professionale di una attività economica.
Nel caso di specie, nei verbali di gara della Commissione, presentati in istruttoria, non risulta essere giustificato il motivo per cui il raggruppamento temporaneo istante è stato considerato non rientrante tra i soggetti di cui all’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006. In via generale, infatti, alla luce di quanto sopra specificato, persone fisiche, nella fattispecie architetti, che si riuniscono al fine di offrire sul mercato congiuntamente la prestazione di un servizio, rientrano, senza dubbi, nell’alveo di applicazione dell’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’arch. Andrea Nobili, capogruppo del raggruppamento temporaneo con l’arch. Federica Di Pietrantonio, Simona Innocenzi e Maria Concetta Tripodi, rientra tra gli operatori economici definiti dall’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006 (parere 11.03.2009 n. 37 - link a massimario.avlp.it).

APPALTISpecifiche tecniche - Divieto di introduzione marchi determinati in assenza della previsione "o equivalenti" - Fattispecie relativa a realizzazione campo calcio in erba sintetica.
Ritenuto in diritto:
L’articolo 68, comma 13, del d. Lgs. n. 163/2006 stabilisce, in via generale, il divieto di introdurre nella documentazione di gara specifiche tecniche che facciano menzione espressa di un marchio, un brevetto, un’origine o una produzione specifica che, di fatto, impongono l’impiego di materiali o prodotti acquistabili da produttori determinati.
Pertanto, le caratteristiche tecniche operative della documentazione di gara che contengano l’indicazione di marchi specifici e non riportino la espressione “o equivalente”, sono da ritenersi in violazione dell’art. 68 del D.Lgs. 163/2006. La ratio legis sottesa alla disposizione in commento, come questa Autorità ha già avuto modo di osservare (si vedano i pareri n. 51 del 10.10.2007; n. 97 del 09.04.2008 e n. 202 del 31.07.2008), consiste nell’evitare che la previsione di brevetti, ovvero la definizione di specifiche tecniche che menzionino una fabbricazione o provenienza determinata, determinino un ostacolo alla libera circolazione delle merci, mediante l’imposizione di particolari caratteristiche dei prodotti o dei servizi che implicano un determinato processo produttivo ovvero una determinata provenienza.
Nel caso di specie la procedura di gara ha ad oggetto la realizzazione di un campo da calcio regolamentare in erba sintetica con le relative opere complementari, omologazione della F.I.G.C. Lega Nazionale Dilettanti, la quale ha predisposto un “Regolamento per la realizzazione di un campo da calcio in erba artificiale di ultima generazione”, che prevede tutti i requisiti regolamentari e tecnici che devono necessariamente essere rispettati nella realizzazione di un campo da calcio in erba artificiale. Detto Regolamento, dopo aver precisato, nella premessa, che lo stesso non si applica ai campi già in possesso di regolare omologazione rilasciata in forza di disposizioni regolamentari antecedenti il 30 gennaio 2008, descrive gli elementi base per la preparazione del programma di campi da calcio in erba artificiale. Tali elementi, essendo stati previsti in via generale per tutti i campi da calcio da eseguire ex novo, presentano caratteristiche che non si riferiscono a specifici brevetti.
Il campo da calcio che il Comune di Lavagna deve realizzare sembra essere, dalla documentazione presentata, un campo di calcio nuovo e pertanto ricadente nell’ambito di applicazione del Regolamento succitato. La previsione del bando di gara contenuta nel Nota Bene contestata dall’istante, fa riferimento ad un parere preventivo formulato dalla L.N.D.–F.I.G.C che non è stato, tuttavia, prodotto agli atti ed il cui contenuto è, pertanto, da questa Autorità ignorato. Anche per quanto riguarda la seconda censura mossa dalla società ASFALT C.C. S.p.A., in ordine alle varianti migliorative contenute al punto 2B del disciplinare di gara, che farebbero riferimento ad un brevetto industriale, deve osservarsi come dal testo del disciplinare e del capitolato non risultano esservi rinvii al brevetto.
Stante la sopradescritta carenza documentale, e mancanza di tutti i dati, questa Autorità, circoscrivendo l’esame ai documenti in proprio possesso trasmessi nel corso dell’istruttoria, non ravvisa la presenza di brevetti che si porrebbero in violazione dell’art. 68 del D.Lgs. n. 163/2006.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che i documenti di gara sottoposti all’esame risultano essere conformi alla normativa vigente di settore (parere 11.03.2009 n. 36 - link a massimario.avlp.it).

APPALTIGara d'appalto - Requisiti generali - Soggetti tenuti alle dichiarazioni ex art. 38 d.lgs. 163/2006 - Soggetti muniti di poteri di rappresentanza - Conferimento rappresentanza al solo amministratore delegato - Sufficienza dichiarazione prodotta dall'a.d.
Gara d'appalto - Bando di gara - Obbligo di allegazione certificato di avvenuto sopralluogo - Legittimità - Ragioni.

Ritenuto in diritto:
In relazione alla prima questione controversa sottoposta a questa Autorità, concernente la legittimità delle dichiarazioni rese, ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettere b) e c), dall’Amministratore Delegato, nonché rappresentante legale, e dal procuratore speciale firmatario dell’offerta della SODEXO S.p.A., si rappresenta quanto di seguito esposto, con la precisazione che, non essendo possibile evincere dalla documentazione prodotta nel presente procedimento la presentazione in sede di gara anche della necessaria dichiarazione del direttore tecnico, l’Autorità non può pronunciarsi su tale profilo.
Premesso quanto sopra, si evidenzia che l’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006 prevede, al comma 1, lettera b), che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti “nei cui confronti è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27.12.1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall’articolo 10 della legge 31.05.1965, n. 575”, precisando che l’esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda “il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, se si tratta di altro tipo di società”.
La successiva lettera c) prevede che sono altresì esclusi dalle suddette procedure e dalla stipula dei relativi contratti i soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale…”, precisando che l’esclusione e il divieto operano se le suddette sentenze o il decreto penale di condanna sono stati emessi “nei confronti del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio”. E’ inoltre previsto che l’esclusione e il divieto operino anche ”nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”.
La ratio della norma in questione, come peraltro già chiarito dall’Autorità nei pareri n. 164 del 21.05.2008, n. 193 del 10.07.2008 e n. 5 del 15.01.2009, consiste nella volontà che le dichiarazioni siano rese dagli stessi interessati, dal momento che il genere di dichiarazioni richieste costituisce frutto di informazioni su qualità personali e sulle relative vicende professionali e/o individuali dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza o dei direttori tecnici che, non necessariamente, possono essere a conoscenza del rappresentante legale dell’impresa, trattandosi di eventi (specie quelli connessi a procedimenti penali) che esulano da fattori rientranti nella organizzazione aziendale, quindi non può costituirsi un onere di conoscenza in capo al legale rappresentante della stessa.
La disposizione di cui all’articolo 38 indica, dunque, in modo preciso i soggetti chiamati a dimostrare la sussistenza dei requisiti morali richiesti, stabilendo, per la fattispecie rilevante ai fini del presente parere e suscettibile di valutazione in relazione alla documentazione presentata dal Comune istante, che siano gli amministratori muniti del potere di rappresentanza ad effettuare tale dichiarazione, essendo la SODEXO una società per azioni.
In ogni caso, il tenore letterale della citata disposizione di cui all’articolo 38 non lascia alcun dubbio interpretativo in relazione alla sussistenza del medesimo obbligo di produzione della dichiarazione anche in capo al direttore tecnico della società.
La giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5913 del 28.11.2008 e sentenza n. 4856 del 20.09.2005) ha indicato il criterio interpretativo da seguire per individuare la persona fisica rispetto alla quale, nell’ambito del rapporto societario, assume rilievo la causa di esclusione e, dunque, il soggetto tenuto alla dichiarazione sostitutiva richiesta, individuando tale criterio nella necessità di ricercare nello statuto della persona giuridica quali siano i soggetti dotati di potere di rappresentanza.
Nel caso di specie, l’articolo 33 dello Statuto della SODEXO S.p.A. dispone che “la rappresentanza della società è stabilita dalla deliberazione di nomina e spetta all’amministratore Unico o al Presidente del Consiglio di Amministrazione o al Vice Presidente o a ciascuno dei Vice Presidenti, o all’amministratore Delegato o a ciascuno degli Amministratori Delegati, o al Direttore Generale o a ciascuno dei Direttori Generali, in via tra di loro congiunta o disgiunta secondo quanto stabilito dalla deliberazione di nomina stessa; in caso di mancata specificazione nell’atto di nomina il potere di rappresentanza di intende disgiunto”.
Ebbene, dalla lettura del certificato della CCIAA prodotto dalla SODEXO S.p.A. si evince che solo all’Amministratore Delegato è stata espressamente conferita, con deliberazione del C.d.A. del 01.12.2006, “la rappresentanza della società ai sensi dell’art. 33 del vigente Statuto sociale”. Conseguentemente, la dichiarazione ai sensi dell’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006, presentata a firma del medesimo Amministratore Delegato, è sufficiente a soddisfare la richiesta di cui all’articolo 38 stesso, per i profili concernenti gli amministratori dotati del potere di rappresentanza, ferma restando, come sopra precisato, la necessità di analoga dichiarazione anche da parte del direttore tecnico.
In relazione al secondo quesito posto dal Comune di Montalto di Castro, concernente la legittimità dell’esclusione disposta nei confronti della concorrente Opera Romana Servizi S.r.l., per non aver prodotto, tra la documentazione prevista a pena di esclusione, la certificazione di avvenuto sopralluogo rilasciata dal Comune medesimo, si rappresenta quanto segue.
Come l’Autorità ha già avuto modo di affermare in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, quando il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando (pareri n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008).
Ne consegue che, nel caso di specie, la stazione appaltante è tenuta ad escludere l’impresa Opera Romana Servizi S.r.l., incorsa in siffatta violazione della lex specialis, non avendo corredato la propria offerta, oltre che della dichiarazione di avvenuto sopralluogo, anche del certificato di avvenuto sopralluogo, richiesto a pena di esclusione dal Capitolato speciale d’appalto, il quale al punto “17. Modalità di presentazione delle offerte” stabilisce che nella “busta A-Documentazione” siano contenuti a pena di esclusione i seguenti documenti: “6 Dichiarazioni sostitutive: […] XI – dichiarazione di aver preso esatta conoscenza dello stato di fatto dei locali e visione del capitolato di gara, nonché di tutte le circostanze generali e particolari che possano influire sullo svolgimento del servizio di ristorazione e di aver ritenuto le condizioni tali da consentire l’offerta con allegata, a pena di esclusione, certificazione di avvenuto sopralluogo, rilasciata dall’Ufficio Cultura–Pubblica Istruzione”. Diversamente opinando, si incorrerebbe, peraltro, nella violazione del principio di par condicio, oltre che del principio dell’autovincolo.
Si evidenzia, infine, che sia l’Autorità nei suoi precedenti (parere n. 2 del 16.01.2008, deliberazione n. 206 del 21.06.2007) sia la giurisprudenza amministrativa (ex multis, TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, sentenza n. 11075 del 08.11.2007 e Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 3729 del 07.07.2005) hanno più volte ribadito la particolare importanza del momento del sopralluogo in relazione alla formulazione dell’offerta, in quanto esso mira a rafforzare il coinvolgimento del futuro appaltatore nella valutazione della prestazione richiesta e della situazione dei luoghi, al fine di prevenire eccezioni e riserve o eventuali ostacoli incontrati nella attività di esecuzione del contratto.
Se, dunque, il sopralluogo garantisce la serietà dell’offerta, la richiesta della stazione appaltante nel Capitolato speciale d’appalto di corredare l’offerta, pena l’esclusione dalla gara, della certificazione di avvenuto sopralluogo non può ritenersi viziata da formalismo, come sostenuto dall’impresa esclusa, in quanto tale richiesta risponde, invece, ad un superiore e specifico interesse pubblico.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che:
- la dichiarazione ai sensi dell’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006, prodotta a firma dell’Amministratore Delegato della SODEXO S.p.A., è sufficiente a soddisfare la richiesta di cui all’articolo 38 stesso, per i profili concernenti gli amministratori dotati del potere di rappresentanza, ferma restando la necessità di analoga dichiarazione anche da parte del direttore tecnico;
- l’esclusione dalla gara dell’impresa Opera Romana Servizi S.r.l. è conforme alla normativa di settore
(parere 11.03.2009 n. 35 - link a massimario.avlp.it).

APPALTIGara d'appalto - Avvalimento requisiti - Avvalimento interno al raggruppamento - Specifica prova disponibilità mezzi/risorse di cui e' carente il concorrente - Mandato collettivo - Insufficienza.
Ritenuto in diritto:
Ai fini della definizione della questione oggetto della controversia in esame, occorre, preliminarmente, rilevare che il bando di gara al punto VI. 3) - Informazioni complementari, prevedeva che “In attuazione dei disposti dell’art. 49 del D.Lgs. 163/2006 e ss.m.i., il concorrente –singolo o consorziato o raggruppato– può dimostrare il possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e organizzativo, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto”, e precisa, altresì, che “in caso di ricorso all’avvalimento dovranno essere eseguite scrupolosamente le disposizioni di cui all’art. 49 del D.Lgs. 163/2006 e ss.m.i”
Inoltre, il capitolato speciale d’appalto, a pagina 16, sotto il titolo AVVALIMENTO specifica che, ai fini di quanto sopra, “dovrà essere fornita tutta la documentazione prevista al comma 2) del suddetto articolo. Il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascun requisito. Il concorrente e l’impresa ausiliaria sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto. Non è consentito, a pena di esclusione, che della stessa impresa ausiliaria si avvalga più di un concorrente, e che partecipino alla gara sia l’impresa ausiliaria che quella che si avvale dei requisiti”.
Tali prescrizioni della lex specialis di gara riproducono pedissequamente le principali disposizioni di cui all’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006, che devono necessariamente essere interpretate ed applicate in senso conforme alla corrispondente e sovraordinata normativa comunitaria, costituita dagli artt. 47 e 48 della Direttiva 2004/18/CE.
In particolare, l’art. 47, relativo alla “Capacità economica e finanziaria”, ai commi 2 e 3 stabilisce che “2. Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con quest’ultimi. In tal caso deve dimostrare alla amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti. 3. Alle stesse condizioni un raggruppamento di operatori economici di cui all’articolo 4 può fare affidamento sulle capacità dei partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti”.
Analogamente, l’art. 48, concernente le “Capacità tecniche e professionali”, ai commi 3 e 4 dispone che “3. Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con quest’ultimi. Deve, in tal caso provare alla amministrazione aggiudicatrice che per l’esecuzione dell’appalto disporrà delle risorse necessarie, ad esempio presentando l’impegno di tale soggetto di mettere a disposizione dell’operatore economico le risorse necessarie. 4. Alle stesse condizioni un raggruppamento di operatori economici di cui all’articolo 4 può fare assegnamento sulle capacità dei partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti”.
Considerato il tenore della citata normativa comunitaria e tenuto conto, altresì, dell’assenza, nel caso di specie, di espresse e specifiche limitazioni poste dalla lex specialis di gara al ricorso all’istituto dell’avvalimento da parte dei concorrenti, si ritiene che, all’interpretazione più restrittiva della disciplina nazionale in materia, sostenuta dall’impresa istante, sia preferibile, in quanto orientata in senso conforme al diritto comunitario, la tesi che, in ossequio al principio della massima accessibilità al mercato delle commesse pubbliche, ammette la possibilità di avvalimento anche per i soggetti partecipanti ad un raggruppamento non costituito, e lo consente non solo nei confronti dei soggetti esterni, ma anche degli stessi partecipanti al raggruppamento, proprio in virtù del richiamato disposto degli artt. 47 e 48 della Direttiva 2004/18/CE, per cui un concorrente, singolo o raggruppato, può fare affidamento sui requisiti di altri soggetti “a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi” (cfr.: Cons. Stato, Sez. V, 05.07.2007, n. 3814 e TAR Lazio, Roma, Sez. II, 22.05.2008, n. 4820).
In questa prospettiva, la pretesa preclusione, riferita dall’impresa istante, che deriverebbe dall’art. 49, comma 8, del D.Lgs. n. 163/2006, nella parte in cui stabilisce che “in relazione a ciascuna gara non è consentito, a pena di esclusione, … che partecipino sia l’impresa ausiliaria che quella che si avvale dei requisiti” non può essere condivisa, ritenendosi più corretto che il suddetto divieto venga inteso nel senso che è vietata la partecipazione dell’impresa avvalente e di quella avvalsa alla medesima gara quando tali imprese siano in concorrenza l’una con l’altra, e quindi siano entrambe presentatrici di autonome e contrapposte offerte, ma non quando avvalente ed avvalsa facciano parte di uno stesso raggruppamento, e quindi presentino un’unica offerta facendo capo ad un medesimo centro di interessi (in tal senso anche Tar Lazio, Roma, Sez. II cit.).
Poiché questa Autorità non dispone di ulteriori elementi conoscitivi in ordine al requisito oggetto di avvalimento, né in merito alle concrete modalità con cui la Gico Systems S.r.l. intende avvalersi, ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006, di detto requisito, posseduto dalla sua mandante Manutencoop F.M., si ritiene opportuno evidenziare la necessità che sia verificata l’effettiva idoneità di quest’ultima -raggruppata all’avvalente, ma, comunque, soggetta al processo di verifica dei requisiti, in quanto concorrente alla gara attraverso il modulo del RTI- ad assumere, anche in ragione della natura del requisito, sia il ruolo di concorrente sia quello di impresa avvalsa.
In altri termini occorre verificare, innanzitutto, che il requisito oggetto di avvalimento risulti giuridicamente e materialmente frazionabile, senza svilirne la tipicità e la connotazione. Quindi, si rende necessario accertare che il requisito medesimo sia posseduto dall’impresa avvalsa in misura sufficiente, rispetto alle specifiche prescrizioni del bando, a consentire sia la sua partecipazione alla gara come concorrente in RTI, sia la partecipazione alla stessa gara dell’impresa avvalente nell’ambito del medesimo RTI. Altrimenti vi sarebbe un uso artificiale e fittizio di un unico requisito.
Si ricorda infine che, ai sensi dei richiamati artt. 47 e 48 della Direttiva 2004/18/CE, anche nel caso di avvalimento nel contesto di un raggruppamento deve essere data in via specifica la prova dell’effettiva disponibilità, da parte di un’impresa del raggruppamento medesimo, dei mezzi/risorse necessari di cui è carente. A tal scopo non può ritenersi sufficiente il mero e ordinario mandato collettivo, che è alla base della costituzione di un RTI, tanto più che, nel caso di specie, si tratta di RTI costituendo e non costituito. Si ritiene pertanto necessario, ai fini del rispetto delle disposizioni nazionali in materia di avvalimento di cui all’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006, che tra la documentazione di cui al comma 2 del citato articolo, espressamente richiamato dalla lex specialis di gara, vi sia anche un atto giuridico costitutivo di un rapporto di provvista idoneo ad evidenziare specificamente l’effettiva disponibilità dei mezzi/risorse di cui trattasi.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti e alle condizioni di cui in motivazione, che l’ammissione in gara del costituendo RTI tra la Ditta Gico Systems S.r.l. (mandataria) e la Ditta Manutencoop F.M. (mandante) è conforme alla normativa nazionale e comunitaria di settore nonché alla lex specialis della gara (parere 11.03.2009 n. 34 - link a massimario.avlp.it).

APPALTIGara d'appalto - Obbligo di sopralluogo - Clausola del bando che consente di effettuare la presa visione dei luoghi solo ad alcune figure di vertice dell'impresa - Violazione favor partecipationis e principio concorrenza - Estensione a soggetti riconducibili alla struttura organizzativa della società - Legittimità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Occorre, preliminarmente, rilevare che il bando di gara in esame, alla lett. B) del Titolo IV - Esame progetto, nel descrivere le modalità di effettuazione del sopralluogo, richiesto a pena di esclusione dalla procedura di gara, ha previsto che lo stesso dovesse essere “effettuato unicamente dal Titolare o Legale Rappresentante o Institore, o da soci amministratori o dal Direttore Tecnico o da un Dipendente dell’Impresa (non sono ammessi i procuratori)”.
Questa Autorità ha già avuto modo di esprimersi su una questione analoga (si veda la Deliberazione n. 206 del 21.06.2007), affermando che appare indubbiamente restrittiva e rigida quella prescrizione del bando di gara che consente di effettuare la presa visione dei luoghi solo ad alcune figure di vertice dell’impresa, ossia esclusivamente al titolare, legale rappresentante o direttore tecnico dell’impresa partecipante.
Al riguardo è stato rilevato come sia insito nel favor partecipationis che una stessa impresa possa partecipare contemporaneamente ad una pluralità di gare e che a tale potenzialità non possono essere frapposte limitazioni che non discendano da un superiore e specifico interesse pubblico. Inoltre, è stato evidenziato che una simile clausola in qualche modo incide sulla stessa libertà dell’impresa di organizzare i mezzi necessari, che ha un rilievo nella stessa fase precontrattuale della preparazione dell’offerta.
Nel caso di specie, tuttavia, la Provincia di Brescia ha consentito che la presa visione dei luoghi potesse essere eseguita non solo dalle figure di vertice delle imprese concorrenti, ma anche da dipendenti delle imprese medesime.
Peraltro, prescrivendo che la visita dei luoghi potesse essere effettuata da soggetti comunque riconducibili alla struttura organizzativa dei partecipanti alla procedura di gara, la S.A. ha altresì salvaguardato l’esigenza, richiamata dall’Autorità nella citata deliberazione, che il sopralluogo non sia svilito e ridotto a mero adempimento burocratico, circostanza, quest’ultima, più facilmente verificabile se si ammettessero al sopralluogo anche i soggetti muniti di procura, in quanto uno stesso procuratore potrebbe svolgere la presa visione dei luoghi per conto di più imprese, con la conseguenza di depotenziare il coinvolgimento di ciascun concorrente nella valutazione della prestazione richiesta e della situazione dei luoghi, che costituisce l’aspetto sostanziale del delicato momento del sopralluogo.
Ne discende, pertanto, che la clausola in esame, pur non consentendo che il sopralluogo possa essere eseguito da un procuratore munito di procura notarile, non appare affatto restrittiva e rigida, né di per sé lesiva dei principi della concorrenza e del favor partecipationis.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la clausola del bando di gara in esame pubblicato dalla Provincia di Brescia è conforme alla normativa di settore (parere 11.03.2009 n. 33 - link a massimario.avlp.it).

APPALTIGara d'appalto - Lex specialis - Clausole a pena di esclusione - Carattere vincolante - Applicazione formale - Violazione prescrizioni del bando - Correzione a mano apposta sulla cauzione - Omessa apposizione della controfirma da parte del soggetto garante prevista a pena di esclusione dal bando - Esclusione - Va disposta.
Ritenuto in diritto:
Ai fini della risoluzione della questione oggetto della controversia, dirimente è il rilievo che il paragrafo 5.1 del disciplinare di gara, nel richiedere, tra la documentazione a corredo dell’offerta, la cauzione provvisoria ai sensi dell’art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006, prescrive in modo chiaro e non equivoco che “qualsiasi correzione sostanziale apportata agli elementi rilevanti della polizza fideiussoria e dello schema tipo (contraente, beneficiario, oggetto dei lavori, data presentazione offerta, decorrenza e durata polizza, ecc….) dovrà, pena l’esclusione, essere controfirmata dal soggetto che rilascia la fideiussione o lo schema tipo”.
Infatti, poiché, nel caso di specie, la cauzione prodotta dalla SO.GE.MA S.r.l. presenta una correzione a mano nella data di presentazione dell’offerta senza che tale correzione sia stata controfirmata dal soggetto garante, è conseguente che la stessa risulti in contrasto con la richiamata prescrizione della lex specialis di gara.
Al riguardo l’Autorità ha già avuto modo di affermare -in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale- che, qualora il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando (pareri n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008).
Pertanto, alla luce di tale principio il provvedimento di esclusione adottato dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta risulta conforme alle prescrizioni della lex specialis di gara.
Fermo restando quanto sopra, da ritenersi a tutti gli effetti assorbente, si può peraltro rilevare che, contrariamente a quanto dedotto dalla società istante, la durata della cauzione prodotta in sede di gara, in ogni caso, non copre l’intero periodo di validità prescritto nel disciplinare.
Infatti, anche a voler considerare, come sostenuto dall’istante, quale dies a quo di validità della cauzione provvisoria quello del 02.04.2008, indicato nella parte specifica relativa alla “durata del contratto”, e non la data di scadenza del termine di presentazione delle offerte (03.04.2008), la polizza non avrebbe comunque la richiesta durata non inferiore a 240 giorni, in quanto la decorrenza dal 02.04.2008 comporterebbe la mancata copertura del giorno 28.11.2008, che il disciplinare di gara prescrive quale data di scadenza della polizza.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la cauzione provvisoria prodotta dalla SO.GE.MA S.r.l. non è conforme alle prescrizioni della lex specialis di gara (parere 11.03.2009 n. 32 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Gara d'appalto - Regolarità contributiva - D.u.r.c. - Validità - Durata - Individuazione.
Ritenuto in diritto:
La questione della validità temporale del D.U.R.C. negli appalti pubblici, posta all’attenzione di questa Autorità, impone una preliminare ricostruzione sistematica delle molteplici indicazioni fornite sul tema da un complesso di disposizioni, spesso di differente natura e di diverso ambito applicativo.
Occorre innanzitutto precisare che la norma primaria di cui all’art. 39-septies del D.L. 30.12.2005, n. 273, convertito con modificazioni in legge 23.02.2006, n. 51, secondo la quale “il documento unico di regolarità contributiva di cui all’articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14.08.1996, n. 494, ha validità di tre mesi” fa espresso riferimento al solo settore dei lavori nei cantieri edili e non opera alcuna distinzione tra appalti privati ed appalti pubblici.
Successivamente, in applicazione di un’altra norma primaria contenuta nell’art. 1, comma 1176 della legge 27.12.2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), il Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 24.10.2007 ha esteso il campo di applicazione del D.U.R.C. a tutti i settori di attività produttiva, richiedendolo, tra l’altro, “…nell’ambito delle procedure di appalto di opere, servizi e forniture pubblici e nei lavori privati dell’edilizia” ed ha, altresì, precisato nell’art. 7, riguardo alla validità di detto certificato, che “1. Ai fini della fruizione delle agevolazioni normative e contributive di cui all’art. 1 il DURC ha validità mensile. 2. Nel solo settore degli appalti privati di cui all’art. 3, comma 8, del decreto legislativo 14.08.1996, n. 494, e successive modifiche, il DURC ha validità trimestrale, ai sensi dell’art. 39-septies del decreto legge 30.12.2005, n. 273, convertito dalla legge 23.02.2006, n. 51”.
Con specifico riferimento a tale disposizione, la successiva Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 30.01.2008, n. 5 ha chiarito che “Il DURC utilizzato nell’ambito degli appalti pubblici ed ai fini della erogazione di benefici ha una validità mensile, mentre ai fini degli appalti privati in edilizia ha una validità trimestrale, come previsto dall’art. 39-septies del D.L. n. 273/2005 (conv. da L. n. 51/2006).
Quanto alla successiva Circolare I.N.A.I.L. del 05.02.2008 n. 7, la stessa precisa che “per i lavori privati in edilizia, il certificato ha validità trimestrale; per le agevolazioni normative e contributive in materia di lavoro e legislazione sociale e per i finanziamenti e le sovvenzioni previste dalla normativa comunitaria, il certificato ha validità mensile. Negli altri casi, la validità del DURC è correlata alla specifica normativa di riferimento e quindi: per tutti gli appalti pubblici, è legata allo specifico appalto ed è limitata alla fase per la quale il certificato è stato richiesto (es. stipula contratto, pagamento SAL, ecc.)…”.
Tale disposizione di dettaglio, interpretata in coerenza con la normativa primaria e secondaria sopra richiamata, induce ad includere l’utilizzo del DURC negli appalti pubblici tra le ipotesi di validità mensile, con l’ulteriore precisazione che tale certificazione di validità mensile è comunque legata allo specifico appalto ed è limitata alla fase per la quale il certificato è stato richiesto, per cui lo stesso non è spendibile in altri appalti o per altre fasi dello stesso appalto pubblico.
Diversamente opinando la durata di validità del DURC, se meramente legata alla fase dell’appalto in cui il documento viene utilizzato, sarebbe sostanzialmente indeterminata e tale esito non appare condivisibile, essendo essenzialmente connessa al concetto di certificazione la necessità di una predeterminazione della validità legale della medesima.
Alla luce del richiamato quadro normativo e della soluzione interpretativa proposta, si può, pertanto, concludere nel senso che, nel caso in esame, trattandosi di un appalto pubblico, nella specie di forniture, il DURC ha validità mensile. Tale validità, inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza (TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 22.01.2008, n. 141; TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 05.04.2007, n. 1092) decorre dalla data di rilascio del suddetto certificato e non da quella in cui è stata accertata la regolarità dei versamenti.
Conseguentemente, non appare corretta l’esclusione dalla gara, indetta il 22.04.2008, di imprese concorrenti, come la COMIS S.r.l., in possesso di un certificato DURC rilasciato in data 01.04.2008 e presentato alla S.A. il 21.04.2008, dunque ampiamente prima che decorressero i trenta giorni di validità dello stesso, con la motivazione che debba intendersi D.U.R.C. in corso di validità solo quello rilasciato per lo specifico appalto e per la specifica fase di gara, secondo quanto previsto dalla Circolare I.N.A.I.L. n. 7 del 05.02.2008.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dalla gara della COMIS S.r.l. non è conforme alla normativa di settore (parere 11.03.2009 n. 31 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Sulla illegittimità della clausola di un bando di un appalto di servizi che prevede un diritto di prelazione in favore del precedente concessionario del servizio.
Viola i principi generali della tutela dell'affidamento e di parità di trattamento, promananti entrambi del "secondo considerando" della direttiva 2004/18/CE, nonché dall'obbligo dell'imparzialità dell'azione amministrativa, una clausola della lex specialis di una gara bandita da un comune e avente per oggetto l'aggiudicazione del servizio dello sport per il periodo di tre anni che stabilisce che"l'aggiudicazione definitiva è condizionata all'eventuale diritto di prelazione esercitato dall'attuale concessionario a parità di condizioni" (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 31.03.2009 n. 1030 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Non è sufficiente per escludere il carattere imprenditoriale di una ONLUS nell'ambito dell'attività di prestazione di servizi l'assenza dell'iscrizione al registro delle imprese, del possesso di partita IVA e di posizioni INPS e INAIL attive.
L'assenza dell'iscrizione al registro delle imprese, del possesso di partita IVA e di posizioni INPS e INAIL attive non è sufficiente per escludere il carattere imprenditoriale di una ONLUS nell'ambito dell'attività di prestazione di servizi.
A tal proposito, la giurisprudenza comunitaria ha affermato che in ambito europeo la nozione di impresa "comprende qualsiasi entità che esercita un'attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento", mentre l'attività economica consiste nell'offerta di beni o servizi su un determinato mercato contro retribuzione e con assunzione dei rischi finanziari connessi, anche se non viene perseguito uno scopo di lucro.
La nozione di impresa fornita a livello comunitario ha, pertanto, parametri molto ampi, che prescindono da una particolare fattispecie organizzativa, essendo sufficiente l'esercizio di un'attività economica che sia ricollegabile al dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro (che riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività): il carattere imprenditoriale dell'attività va, invece, escluso nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, atteso che non può essere considerata imprenditoriale l'erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti.
Il Consiglio di Stato, dal canto suo, ha affermato la sussistenza di una nozione di "impresa" più ampia di quella sottesa all'art. 2082 c.c.: nozione che, "alla luce del principio comunitario dell'effetto utile, non può che sussumere nell'ambito delle attività di impresa, ai fini dell'applicazione della disciplina della concorrenza, a prescindere dalla qualifica formale del soggetto che la svolge, qualsiasi attività di natura economica tale da poter ridurre, anche solamente in potenza, la concorrenza nel mercato. Ai predetti fini possono essere considerate imprese tutti i soggetti, comunque strutturati ed organizzati, che compiano atti a contenuto economico idonei a restringere la concorrenza" (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 26.03.2009 n. 881 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L'affidamento in house a società totalmente partecipate da soggetti pubblici costituisce la negazione del mercato.
E' possibile l'affidamento diretto ad una società mista che sia costituita appositamente per l'erogazione di uno o più servizi determinati da rendere almeno in via prevalente a favore dell'autorità pubblica che procede alla costituzione, attraverso una gara che miri non soltanto alla scelta del socio privato ma anche allo stesso affidamento dell'attività da svolgere e che limiti, nel tempo, il rapporto di partenariato, prevedendo allo scadere una nuova gara.
Le condizioni che consentirebbero il ricorso a tale forma organizzativa, lo si ricorda, sono così enucleabili:
1) che esista una norma di legge che autorizzi l’amministrazione ad avvalersi di tale “strumento”;
2) che il partner privato sia scelto con gara;
3) che l’attività della costituenda società mista sia resa, almeno in via prevalente, in favore dell’autorità pubblica che ha proceduto alla costituzione della medesima;
4) che la gara (unica) per la scelta del partner e l’affidamento dei servizi definisca esattamente l’oggetto dei servizi medesimi (deve trattarsi di servizi “determinati”);
5) che la selezione della offerta migliore sia rapportata non alla solidità finanziaria dell’offerente, ma alla capacità di svolgere le prestazioni specifiche oggetto del contratto;
6) che il rapporto instaurando abbia durata predeterminata
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.03.2009 n. 1555 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Criterio del prezzo più basso - Calcolo della soglia di anomalia - Art. 86 d.lgs. n. 163/2006 - Stazione appaltante - Det. 26.10.1999 dell’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici - Sequenza di calcolo.
Quando il criterio di aggiudicazione dell’appalto è quello del prezzo più basso, il calcolo della soglia di anomalia è dato dal “ribasso pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del dieci per cento, arrotondato all’unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta media” (art. 86 del DLgs n. 163/2006).
Sul punto, con determinazione 26.10.1999 l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha precisato analiticamente la sequenza da rispettare a cura della stazione appaltante:
1) si forma l’elenco delle offerte ammesse disponendole in ordine crescente di ribasso;
2) si calcola il 10% del numero delle offerte ammesse e lo si arrotonda all’unità superiore;
3) si escludono fittiziamente dall’elenco un numero di offerte di minor ribasso pari al numero di cui al punto 2), nonché un numero di offerte di maggior ribasso di cui al punto 2) (c.d. taglio delle ali);
4) si calcola la media aritmetica dei ribassi delle offerte che restano dopo l’operazione di esclusione fittizia di cui al punto 3);
5) si calcola -sempre con riguardo alle offerte che rimangono dopo l’operazione di esclusione fittizia di cui al punto 3)- lo scarto dei ribassi superiori alla media di cui al punto 4), e, cioè, la differenza tra tali ribassi (superiori alla media) e la suddetta media;
6) si calcola la media aritmetica degli scarti e cioè la media delle differenze;
7) si somma la media di cui sub 4) con la media di cui sub 6): tale somma costituisce la soglia di anomalia (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 13.03.2009 n. 602 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Silenzio assenso - Potere di annullamento - Art. 20 L. n. 241/1990 - Art. 21-nonies L. n. 241/1990.
Il nuovo testo dell’art. 20 della L. n. 241/1990, al comma 3, esplicitamente accoglie il principio che il silenzio assenso, formatosi per decorso del tempo prescritto dall'inoltro dell'istanza, non può essere considerato dall'Amministrazione tamquam non esset, ma può formare oggetto di provvedimenti caducatori nella via dell'autotutela (cfr. Cons. Stato n. 1339/2007).
Pertanto, in una fase successiva alla formazione del silenzio-assenso, l’amministrazione resistente può intervenire soltanto attraverso l’esercizio di un potere di annullamento (o di revoca, art. 21-quinquies, della legge n. 241/1990), così come previsto dall’art. 20, con l’avvertenza che tale forma di potere, in sede di autotutela decisoria, deve essere esercitata secondo il dettato del nuovo art. 21-nonies (richiamato dal 3° comma dell’art. 20), entro un ragionevole lasso di tempo, tenendo altresì conto di uno specifico interesse pubblico alla rimozione della situazione delineatasi con il silenzio-assenso, nonché degli interessi dei destinatari e dei controinteressati (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 13.03.2009 n. 596 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAPresentando una D.I.A., il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione può formare oggetto di interventi di annullamento d'ufficio o revoca; anche dopo il decorso del termine previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella revoca.
Nel caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività l'inutile decorso del termine assegnato prima dall’art. 2. comma 60, della legge n. 662/1996 e oggi dall'art. 23, t.u. 06.06.2001 n. 380 all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. Di qui una serie di conseguenze quali: il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione può formare oggetto di interventi di annullamento d'ufficio o revoca; anche dopo il decorso del termine previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella revoca, seppure con il rispetto del principio di reciproca lealtà e certezza dei rapporti giuridici (Consiglio Stato, sez. IV, 25.11.2008, n. 5811).
Nei rapporti tra denunciante e amministrazione, la denuncia di inizio attività si pone come atto di parte, che, pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dell'attività, consente al privato di intraprendere un'attività in correlazione all'inutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere dell'amministrazione, correttamente definito inibitorio dell'attività. Una volta decorso il termine senza l'esercizio del potere inibitorio, il privato può sì dar corso all’intervento dichiarato, ma l’attività legittimamente (sul piano formale) intrapresa non fa venir meno la persistenza del generale potere repressivo degli abusi edilizi, eventualmente sollecitata dai terzi controinteresati attraverso la procedura del silenzio-inadempimento (cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 22.07.2005, n. 3916 ).
In definitiva, se la d.i.a. non ha di per sé efficacia sanante dell’attività edilizia iniziata dopo il decorso del termine di legge e per effetto del mero dato temporale, ma solo effetti abilitanti di una serie di interventi minori liberalizzati, essa non può essere invocata quale motivo ostativo all’esercizio del potere di controllo degli interventi edilizi, compreso il diniego di concessione edilizia (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2009 n. 1474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer legittimamente condonare un'opera abusiva dev'essere già eseguita, sia pure al rustico, in tutte le sue strutture essenziali.
L'opera abusiva, per essere ammessa a sanatoria, deve essere già eseguita, sia pure al rustico, in tutte le sue strutture essenziali, fra le quali vanno ricomprese le tamponature, in quanto determinanti per stabilire la relativa volumetria e la sagoma esterna (fra le tante: Consiglio Stato, sez. V, 18.11.2004, n. 7547) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2009 n. 1474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIAnche se mancano le norme statutarie e regolamentari ugualmente al dirigente spetta la direzione degli uffici e dei servizi.
Il fatto che l’art. 107 del TU n. 267/2000 disponga che “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti” non vuol certo dire che in mancanza delle norme statutarie e regolamentari il dirigente non possa far nulla.
Una simile conclusione si porrebbe contro il precetto costituzionale di buon andamento e con il principio (questo sì vero principio cardine), di separazione tra politica ed amministrazione e di tendenziale universalità ed inderogabilità delle funzioni dirigenziali, per il quale “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo” (art. 107 cit. e art. 4 d. lgs. n. 165/2001)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2009 n. 1474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo paesaggistico - Autorità preposta alla tutela del vincolo - Controllo - Integrazione documentale - Documentazione allegata alla pratica già esaminata dal Comune.
Il controllo che compete all’autorità statale a difesa del vincolo paesaggistico investe la legittimità del procedimento autorizzatorio, e si concentra principalmente sull’esaustività della documentazione allegata alla pratica già esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi emesso il provvedimento favorevole. Le integrazioni documentali afferiscono dunque ad eventuali carenze od omissioni riscontrate in sede di trasmissione delle planimetrie e degli elaborati alla Soprintendenza, mentre non possono riguardare documenti che il Comune non ha mai provveduto ad acquisire (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 12.03.2009 n. 623 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione prefabbricati - Permesso di costruire - Necessità - Presupposti - Art. 3, 1° c. lett. e) D.P.R. n. 380/2001 - Testo Unico Edilizia.
L'articolo 3, primo comma lettera e) del testo unico sull'edilizia D.P.R. n. 380/2001 e s.m. ricomprende tra gli interventi di nuova costruzione, come tali soggetti al permesso di costruire, tra gli altri, l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati ed in genere l'installazione di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, a condizione che siano utilizzate come abitazioni, ambienti di lavoro, come depositi, magazzini, ecc. e siano dirette a soddisfare esigenze durature nel tempo.
In definitiva la nozione di costruzione non presuppone necessariamente l'ancoraggio al suolo del fabbricato, se ricorrono le condizioni dianzi evidenziate. L'accertamento di tali condizioni è demandato al giudice del merito, la cui valutazione si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivata (CORTE di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.03.2009 n. 10708 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Differenza tra tettoia e pergolato - Trasformazione urbanistica del territorio - Permesso di costruire, DIA e normativa antisismica.
La realizzazione di una tettoia in quanto opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze è subordinata al rilascio della concessione edilizia ed attualmente del permesso di costruire (Cass. pen. sez. 3 - n. 22126 del 03.06.2008). A differenza del pergolato che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore, la tettoia, invero, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l’abitabilità dell'immobile (Cass. sez. 3 - n. 19973 del 19.05.2008). Non c'è dubbio, comunque, che il rilascio di una DIA o anche del permesso di costruire non escluda gli adempimenti richiesti dalla normativa antisismica.
Tettoie - Permesso di costruire - Equiparazione di una tettoia ad un pergolato - Esclusione.
E' pacifico che il titolo abilitativo richiesto per le tettoie è il permesso di costruire (a differenza del pergolato essa può essere utilizzata anche come riparo). E' illegittima pertanto l'equiparazione della tettoia ad un pergolato e conseguentemente la ritenuta validità della DIA rilasciata (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.03.2009 n. 10534 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Disciplina antisismica - Ambito di applicazione - Tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità - Irrilevanza dei materiali usati.
Le disposizioni della normativa antisismica si applicano, a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, a nulla rilevando la natura dei materiali usati e delle strutture realizzate - a differenza della disciplina relativa alle opere in conglomerato cementizio armato - in quanto l'esigenza di maggior rigore nelle zone dichiarate sismiche rende ancor più necessari i controlli e le cautele prescritte, quando si impiegano elementi strutturali meno solidi e duraturi del cemento armato (Cass. pen. sez. 3, 24.10.2001 n. 38142). Tali disposizioni, infatti, pur riguardando l'attività edificatoria, sono "diverse" sotto il profilo della ratio e degli obiettivi perseguiti, da quelle in materia urbanistica (Cass. sez. 3 - 07.11.1997 n. 50; Cass. sez. 3 -  n. 11511 del 15.02.2002) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.03.2009 n. 10534 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Muri di cinta tra fondi a dislivello - Modifica dello stato naturale dei luoghi - Idoneità a creare intercapedini nocive con le altrui costruzioni - Distanze legali - Equiparazione ai muri di fabbrica - Necessità di verifica di ciascuna concreta fattispecie.
I muri di cinta tra fondi a dislivello che, oltre ad essere destinati alla delimitazione e alla difesa del fondo, assolvono anche all’ulteriore funzione di contenere e sostenere la scarpata o il terrapieno, e che danno luogo al dislivello tra i due fondi limitrofi non rientrano, come accade normalmente per i muri di cinta, nella categoria dei muri isolati o liberi da entrambe le facce.
Essi, pertanto, facendo corpo con il terreno che contengono e modificando, in particolare, attraverso l’opera dell’uomo, lo stato naturale dei luoghi con la costruzione di un manufatto, sono idonei a creare intercapedini nocive con l’altrui costruzione, con conseguente necessità di verificare in ciascuna concreta fattispecie se, avuto riguardo allo loro particolari caratteristiche strutturali e dimensioni, siano da considerare o meno alla stregua di un muro di fabbrica agli effetti delle distanze legali (Cass. 15.10.1983, n.6060) (TAR Abruzzo-L’Aquila, Sez. I, sentenza 10.03.2009 n. 140 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Accesso - Istanza - Legale dell’interessato - Sottoscrizione congiunta o procura speciale - Allegazione - Necessità - Imputabilità della richiesta di accesso - Verifica dell’interesse concreto.
La domanda di accesso deve essere avanzata dalla parte che vi ha interesse; può anche essere presentata da un suo legale, ma, in tale caso, deve essere accompagnata, per asseverare l’effettiva provenienza della richiesta da parte del soggetto interessato, da copia di apposito mandato od incarico professionale, ovvero dalla sottoscrizione congiunta dell’interessato stesso (in termini Cons. Stato, Sez. V 05/09/2006, n. 5116).
Tali requisiti formali costituiscono elementi di certezza essenziali ai fini dell’imputabilità della richiesta di accesso ed assunzione delle eventuali relative responsabilità (sia da parte del richiedente, che del funzionario chiamato all’ostensione di quanto richiesto), nonché ai fini della verifica della sussistenza di un concreto interesse alla richiesta medesima. In assenza di una sottoscrizione congiunta o di una procura speciale, l’istanza di accesso è irrituale e non fa sorgere in capo all’Amministrazione ed ai soggetti alla stessa equiparati un obbligo di provvedere (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 09.03.2009 n. 1331 - (link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Art. 38, lett. i), d.lgs. n. 163/2006 - Requisiti di regolarità contributiva - Violazioni di carattere meramente formale - Soglia della gravità.
La disciplina generale in materia di pubblici appalti non permette di addivenire a rilievi di carattere puramente formale in ordine ai requisiti di regolarità contributiva, in quanto l’art. 38, comma 1, lett. i), del Codice Appalti richiede che le violazioni alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali raggiungano la soglia della gravità, che non consente di attribuire carica ostativa alla partecipazione alla gara alle violazioni di carattere meramente formale, laddove sussistenti (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 06.03.2009 n. 836 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia - Demolizione e ricostruzione - Art. 3, comma 1, lettera d) del T.U. n. 380/2001 - Fedele ricostruzione - Identità di sagoma, superficie e volume - D.I.A. - Lieve traslazione dell’immobile - Violazione dell’art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001 - Inconfigurabilità
L’art. 3, comma 1, lettera d) del T.U. n. 380/2001 ha espressamente ricondotto nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di un edificio preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per lì adeguamento alla normativa antisismica; in altri termini, identità di volumetria e sagoma con riferimento al preesistente edificio sono i requisiti che consentono di ricondurre nella nozione di ristrutturazione edilizia l’intervento ricostruttivo che si ricolleghi ad una integrale demolizione.
Tali interventi sono subordinati alla presentazione di denuncia di inizio attività e, unicamente qualora comportino aumenti di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici sono subordinati al previo rilascio del permesso a costruire (fattispecie relativa alla demolizione e successiva ricostruzione di un capannone, senza mutamento di sagoma, superficie e volume, ma con una lieve traslazione rispetto alla posizione planimetrica originaria: la riconducibilità dell’intervento all’ipotesi di cui all’art. 3, c. 1, lett. d) del T.U. n. 380/2001, per la quale è sufficiente la D.I.A., ha escluso la violazione dell’art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001, anche in ragione del fatto che la lieve traslazione non aveva compromesso l’assetto del territorio) (Tribunale di Salerno, Sez. staccata di Eboli, sentenza 06.03.2009 n. 195 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Varianti - Nozione.
In materia urbanistica, non tutte le modifiche alla progettazione originaria possono definirsi varianti e che queste si configurano solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato (come accade, ad esempio, nelle ipotesi di: sensibile spostamento della localizzazione del manufatto, aumento del numero dei piani, creazione di un piano seminterrato, modifica del prospetto esterno etc.). La nozione di "variante", deve ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto all'originario progetto e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, riguardano la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato [C. Stato, Sez. V, 11/05/1989, n. 272].
Rilascio del permesso in sanatoria - Presupposti - Conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente - Contributo di costruzione - Art. 36 del T.U. n. 380/2001.
Per il rilascio del permesso in sanatoria previsto dall'art. 36 del T.U. n. 380/2001 è richiesto, quale presupposto, che l'opera abusiva sia "conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento sia al momento della presentazione della domanda". Il rilascio è altresì subordinato (sicché nel provvedimento deve farsi espressa menzione dell'avvenuto versamento) al pagamento di una somma di danaro determinata, per le opere soggette a permesso oneroso, con riferimento al contributo di costruzione da corrispondersi (eventualmente per le sole parti difformi) in misura doppia a quella dovuta per il rilascio del titolo in via ordinaria.
Permesso di costruire - Rilasciato in sanatoria - Effetti sui reati - Operatività - Artt. 36 e 45 del T.U. n. 380/2001.
Il permesso di costruire rilasciato ex art. 36 del T.U. n. 380/2001, estingue - a norma del 3° comma del successivo art. 45, "i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e non si estende ad altri reati correlati alla tutela di interessi diversi rispetto a quelli che riguardano l'assetto del territorio sotto il profilo edilizio, quali i reati previsti dalla normativa sulle opere in cemento armato, sulle costruzioni in zone sismiche, sulla tutela delle zone di particolare interesse paesaggistico ed ambientale [Cass., Sez. III, 13.04.2005, Cupelli]. Inoltre, la speciale causa di estinzione di cui all'art. 45 del D.P.R. n. 380/2001 opera in favore di tutti i responsabili dell'abuso e non solo dei soggetti legittimati a chiedere il permesso di costruire: mentre il pagamento della somma dovuta a titolo di oblazione può essere richiesto una sola volta, trattandosi di un adempimento della procedura amministrativa che resta al di fuori dello schema penalistico.
Spostamento della localizzazione di un manufatto - Variante edilizia - Permesso di costruire - C.d. "varianti leggere o minori in corso d'opera" - DIA (denuncia di inizio dell'attività) - Disciplina art. 15, 12° c., L. n. 10/1977, art. 15 L. n. 47/1985, mod. da L. n. 662/1996 succ. mod. dall'art. 22, 2° c., T.U. n. 380/2001 come mod. dal D.Lgs. n. 301/2002.
Lo spostamento della localizzazione di un manufatto, in linea di principio, ha natura di variante edilizia. Mentre, le c.d. "varianti leggere o minori in corso d'opera" (disciplinate attualmente dall'art. 22, 2° comma, del T.U. n. 380/2001 -come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002)- prevede che siano sottoposte a denuncia di inizio dell'attività le varianti a permessi di costruire che:
- non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie (e, tra i "parametri urbanistici" vanno ricomprese anche le distanze tra gli edifici);
- non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia;
- non alterano la sagoma dell'edificio;
- non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire.
La denuncia di inizio dell'attività costituisce "parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale" e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell'art. 22 sembra consentire, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori (il Consiglio di Stato ha considerato "variante minore o non essenziale" una modesta rototraslazione della sagoma dell'edificio rispetto al progetto approvato - C. Stato, Sez. V, 22.01.2003, n. 249) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.03.2009 n. 9922 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincoli paesaggistici ed ambientali - Recepimento nel P.R.G. - Assunzione della natura di vincoli urbanistici - Esclusione - Ragioni.
I vincoli paesaggistici ed ambientali in senso proprio, non divengono vincoli (meramente) urbanistici per il solo fatto di essere recepiti nel P.R.G., ma mantengono la loro natura - di vincoli dichiarativi ad effetto costitutivo non sottoposto a termine, in quanto discendenti non da una scelta discrezionale dell’amministrazione, bensì da qualità intrinseche del bene tutelato, che il provvedimento di vincolo deve soltanto riconoscere e dichiarare; ciò che, li distingue nettamente dai vincoli urbanistici in senso proprio, i quali -ancorché possano essere ispirati da analoghe finalità di salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente- non si sottraggono, qualora siano preordinati all’espropriazione o comunque rivestano carattere sostanzialmente espropriativo, all’alternativa tra temporaneità ed indennizzabilità (cfr., riassuntivamente, Corte Cost., 20.05.1999, n. 179).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - URBANISTICA ED EDILIZIA - Tutela del paesaggio e dell’ambiente - Governo del territorio - Tutela differenziata - Interessi sovraordinati.
Quantunque sia tuttora riscontrabile, in dottrina e nella prassi politica, la tendenza ad assorbire la tutela del paesaggio e dell’ambiente all’interno della materia dell’urbanistica (o come oggi si usa dire, del governo del territorio), la Corte Costituzionale ha più volte ribadito, anche di recente, che dette tutele concernono interessi pubblici distinti, sottoposti a tutela differenziata e sovraordinati rispetto a quelli sottesi al razionale assetto del territorio (cfr. sentt. 05.05.2006, n. 182, 07.11.2007, n. 367 e 30.05.2008, n. 180).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Vincoli paesaggistici e ambientali - Potestà legislativa esclusiva statale - Normativa - D.lgs. n. 42/2004, d.lgs. n. 152/2006, L. n. 394/1991 - Competenze amministrative - stato e Regioni - Subdelega agli enti locali.
L’imposizione (mediante piani o provvedimenti puntuali) e l’applicazione dei vincoli paesaggistici ed ambientali, sono oggi disciplinate, in attuazione della potestà esclusiva statale prevista dall’articolo 117, comma secondo, lettera s), Cost., da organiche normative statali: il Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. 42/2004 (e successive modifiche di cui ai decreti 157/2006 e 63/2008); il “t.u. ambientale” di cui al d.lgs. 152/2006 e s.m.i.; la normativa sulle aree naturali protette, di cui alla legge 394/1991, e s.m.i. Le relative competenze amministrative, spettano allo Stato ed alle Regioni (anche se è diffusa la pratica della subdelega o del conferimento dei poteri autorizzatori agli enti locali) (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 04.03.2009 n. 71 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Conferenza di servizi - Valenza acceleratoria e valutazione integrata degli interessi pubblici e privati.
La conferenza di servizi non può essere intesa quale mera occasione di raccolta contestuale, o entro un termine prefissato, di atti e valutazioni adottati autonomamente dalle diverse amministrazioni interessate. Oltre alla valenza acceleratoria, il significato di questo modello procedimentale sta nel consentire una valutazione integrata degli interessi pubblici e privati implicati nella scelta amministrativa, facendo emergere le reciproche interrelazioni.
Sia che si acceda alla configurazione della conferenza di servizi come “luogo” deputato al “bilanciamento” degli interessi pubblici e privati sottesi ad una decisione amministrativa (nel senso della ponderazione, discrezionale, del peso di interessi contrapposti); sia che, invece, si ritenga la conferenza uno strumento di scambio di informazioni e valutazioni, volto a migliorare la completezza e consapevolezza delle decisioni che ogni amministrazione assumerà nell’esercizio della discrezionalità tecnica, con riferimento esclusivo alla cura dell’interesse pubblico primario affidato alla sua cura; in ogni caso, la necessità che tutti i partecipanti dispongano degli atti e degli elementi rilevanti e possano esprimere la propria opinione al riguardo, costituisce principio indefettibile del modello procedimentale (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 04.03.2009 n. 71 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: INQUINAMENTO IDRICO - ACQUE - Scarico abusivo - Responsabilità del titolare dell'insediamento e del gestore dell’impianto - Fondamento - Art. 59 d.lgs n.152/1999 ora D. L.vo n. 152/2006 e s.m..
Il reato di cui all'art. 59 del d.lgs 11.05.1999 n.152 (effettuazione di scarichi senza autorizzazione), si configura non solo a carico del titolare dell'insediamento, ma altresì nei confronti del gestore dell'impianto, atteso che su quest'ultimo grava l'onere di controllo che l'impianto da lui gestito sia dotato di autorizzazione, configurando tale autorizzazione il presupposto della legittimità della gestione [Cassazione Sezione III n. 4535/2002].
INQUINAMENTO IDRICO - Tutela delle acque dall'inquinamento - Domanda di autorizzazione allo scarico - Competenza - Delega - Effetti - D. L.vo n. 152/2006 e s.m..
In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, tenuto a presentare all'autorità competente la domanda di autorizzazione allo scarico è il legale rappresentante dell'insediamento o chi ne faccia giuridicamente le veci [Cassazione Sezione III n. 05533/1997]. Inoltre, l'identificazione dell'oggetto e del contenuto della delega deve essere, in linea di principio, resa possibile sulla base di specifiche determinazioni, difettando le quali, il potere concernente l'attività delegata non può ritenersi dismesso dal delegante (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.03.2009 n. 9497 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Materiali destinati al "riutilizzo" - Natura - Recupero e smaltimento - Affermazioni o intenzioni dell'interessato - Ininfluenza - Formulario di trasporto - Identificazione dei rifiuti con un codice improprio - Fattispecie: computer, stampanti, monitor, legni... .
In tema di materiali destinati al "riutilizzo" la prova relativa alla loro natura deve essere obiettiva, univoca e completa, non potendosi tenere conto solo delle affermazioni o delle intenzioni dell'interessato, posto che i rifiuti richiedono un corretto e tempestivo recupero, se possibile e dimostrato, oppure il loro smaltimento in modo compatibile con la salute e l'ambiente (nella specie, il carico riguardava brandelli di cartone, scaffalature distrutte, computer, stampanti, monitor, legni, sedie rotte, plastica in frantumi, gomma, calcinacci, ferri ritorti, oggetti accumulati alla rinfusa ed è stato ritenuto perciò escluso che i materiali fossero destinati alla rivendita anche per l'assorbente circostanza che, al momento del controllo, l'autista aveva esibito un formulario attestante il trasporto di rifiuti [anche se falsamente descritti come non pericolosi e identificati con un codice improprio] e menzionante destinatari aventi sedi in provincia di Mantova e in provincia di Brescia incompatibili col tragitto dell'automezzo quando venne fermato) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.03.2009 n. 9494 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: V.I.A. - Procedure di VIA e screening - Natura di subprocedimento autonomo - Immediata impugnabilità - Art. 20 d.lgs. n. 152/2006.
Fin dal loro ingresso nel loro ordinamento, le procedure di V.I.A. e di screening, pur inserendosi sempre all’interno del più ampio procedimento di realizzazione di un opera o di un intervento, sono state considerate da dottrina e giurisprudenza prevalenti come dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell’ambiente), e ad esprimere al riguardo, specie in ipotesi di esito negativo, una valutazione definitiva, già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali; di conseguenza, gli atti conclusivi di dette procedure sono stati ritenuti immediatamente impugnabili dai soggetti interessati alla protezione di quei valori (siano essi associazioni di tutela ambientale ovvero cittadini residenti in loco). Tali conclusioni appaiono oggi confortate dalla disciplina generale di cui all’art. 20 del decreto legislativo 03.04.2006, nr. 152, che configura la stessa procedura di verifica dell’assoggettabilità a V.I.A. come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato da partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione.
V.I.A. - Screening - Soggetti residenti nella zona interessata dall’intervento - Comunicazione di avvio del procedimento - Art. 24 L.P. Trento n. 23/1992 - Art. 7 L. n. 241/1990 - Necessità - Esclusione.
L’art. 24 della L. Prov. Trento nr. 23 del 1992, riproducendo a livello locale la disposizione generale di cui all’art. 7 della legge 07.08.1990, nr. 241, dispone che la pubblica amministrazione sia tenuta a notificare la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo “ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi”. Tale disposizione è sempre stata interpretata nel senso di individuare, quali soggetti legittimati a ricevere la comunicazione, gli specifici destinatari dell’azione amministrativa, siano o meno direttamente contemplati nel provvedimento finale, nonché i soggetti dei quali la legge disponga obbligatoriamente la partecipazione al procedimento stesso. Sicché non sussiste l’obbligo di comunicazione dell’avio del procedimento di screening nei confronti dei residenti nella zona interessata dall’intervento, come tali destinati a subirne gli effetti - non diversamente però dalla collettività indifferenziata degli abitanti del Comune; non si tratta, infatti, né di destinatari specifici del provvedimento emanando né di soggetti di cui fosse obbligatoria la consultazione (essendo previsti particolari meccanismi di informazione e partecipazione del pubblico interessato).
V.I.A. - Procedura di screening - Omissione - Vizio di legittimità - Accertamento giurisdizionale Travolgimento di tutti gli atti che avrebbero dovuto essere preceduti dallo screening - Distinzione tra aspetti urbanistici e aspetti ambientali - Artificiosità.
Allorché sia accertata la sussistenza di un vizio di legittimità all’interno dell’iter di un procedimento amministrativo, questo investe non solo l’atto che direttamente lo riguarda, ma anche tutti gli atti successivi e consequenziali della sequenza procedimentale, cosicché, in sede di successiva rinnovazione degli atti, il procedimento deve riprendere dal momento in cui si era verificato il vizio accertato. Con specifico riferimento all’omissione della necessaria procedura di screening, il conseguente vizio di legittimità travolge tutti gli atti del procedimento che avrebbero dovuto essere preceduti dallo screening (approvazione del progetto e conferenza di servizi all’uopo convocata). Tale travolgimento, peraltro, non può che essere integrale, non potendosi artificiosamente scindersi tra aspetti urbanistici e aspetti ambientali (a parte l’opinabilità della distinzione e la sicura interferenza reciproca tra i due profili) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.03.2009 n. 1213 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: V.I.A. - Approvazione di uno strumento urbanistico attuativo - Sottoposizione a V.I.A. - Esclusione.
L’approvazione di uno strumento urbanistico attuativo, a differenza dell’approvazione di un progetto di lavori per infrastrutture o di uno degli interventi contemplati dall’art. 1 della direttiva 85/337/CEE, non richiede la verifica preliminare o la valutazione dell’impatto sull’ambiente (fattispecie relativa a variante di piano particolareggiato con inserimento di una centrale energetica in area già destinata a verde pubblico) (TAR Marche, Sez. I, sentenza 03.03.2009 n. 75 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Possesso “condizionato” o “posteriore” di requisiti ed effetti ai fini di gara.
Quando è dimostrato in atti che un titolo o requisito risulta acquisito dal concorrente, anche in maniera condizionata, solo successivamente all’apertura delle buste, sussiste la palese violazione della regola secondo cui i requisiti per l’attribuzione dei singoli punteggi devono essere posseduti al momento di presentazione della domanda.
Va respinta l’eccezione secondo cui il ricorso è inammissibile quando proposto da una sola delle imprese raggruppate in ATI, posto che, nel caso in cui alla gara partecipi una associazione temporanea, ciascuno dei componenti è dotato di autonoma legittimazione ad impugnare i provvedimenti della relativa procedura
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.01.2009 n. 33 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Condono edilizio: integrazione e mancata presentazione dei documenti.
In materia di integrazione documentale l'art. 39, comma 4, della legge 724/1994 (“2° condono edilizio”) ha disposto che la mancata presentazione dei documenti, previsti per legge come obbligatori, entro tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune, comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono per carenza documentale.
La questione della documentazione da presentare a corredo della domanda di condono è particolarmente delicata, in quanto si tratta di contemperare l'esigenza di identificare l'opera ai fini del rilascio del titolo di sanatoria, con quella di evitare che attraverso la reiterata richiesta di atti istruttori da parte dell'amministrazione comunale, l'istanza resti troppo tempo senza risposta.
Il titolo abilitativo in sanatoria è un atto non perfettamente confrontabile con gli atti abilitativi che il Comune rilascia in via ordinaria per consentire trasformazioni urbanistiche e edilizie. Ed è per questi motivi che il legislatore ha indicato analiticamente gli allegati a corredo della domanda, che devono ritenersi necessari, mentre altri eventuali atti istruttori non possono considerarsi idonei ad interrompere il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in sanatoria presentate in base alla legge n. 724/1994, l'art. 39, quarto comma, della stessa L. n. 724/1994 prescrive che la domanda deve essere corredata anche dalla “denuncia in catasto”.
Se non viene dato seguito alla formale richiesta di fornire la “prova dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della documentazione necessaria ai fini dell'accatastamento” il Comune legittimamente ritiene sussistente l’improcedibilità della domanda e, dunque, nega la sanatoria
(TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 17.12.2008 n. 2897 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: Non è necessario rispettare le regole della gara in materia di appalti nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi; b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.
La figura dell’in house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno interpretati restrittivamente poiché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario.
Per giustificare la deroga alle regole europee di evidenza pubblica occorrono maggiori strumenti di controllo da parte dell’ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile. La giurisprudenza comunitaria e nazionale li ha nel tempo individuati affermando, in particolare, che: - il consiglio di amministrazione della società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale; - l’impresa non deve aver “acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo” da parte dell’ente pubblico;
- le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante; - il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello statuto della cedibilità delle quote a privati.
Come è noto, l’espressione in house providing (usata per la prima volta in sede comunitaria nel Libro Bianco sugli appalti del 1998) identifica il fenomeno di “autoproduzione” di beni, servizi o lavori da parte della pubblica amministrazione: ciò accade quando quest’ultima acquisisce un bene o un servizio attingendoli all’interno della propria compagine organizzativa senza ricorrere a terzi tramite gara e dunque al mercato (cfr., in termini, la recente decisione della VI Sezione di questo Consiglio del 03.04.2007, n. 1514, su cui si tornerà più avanti). Il modello si contrappone a quello dell‘outsourcing, o contracting out (la c.d. esternalizzazione), in cui la sfera pubblica si rivolge al privato, demandandogli il compito di produrre e /o fornire i beni e servizi necessari allo svolgimento della funzione amministrativa.
La prima definizione giurisprudenziale della figura è fornita dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 18.11.1999, causa C-107/98 – Teckal. In quella sede –a estrema sintesi delle considerazioni della Corte– si è affermato che non è necessario rispettare le regole della gara in materia di appalti nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi;
b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.
In ragione del “controllo analogo” e della “destinazione prevalente dell’attività”, l’ente in house non può ritenersi “terzo” rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa: non è, pertanto, necessario che l’amministrazione ponga in essere procedure di evidenza pubblica per l’affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture.
Questa Sezione condivide pienamente –come già affermato nel precedente parere n. 3162/2006 (cfr. pure, in termini, la citata decisione della VI Sezione n. 1514/2007)– le affermazioni secondo le quali la figura dell’in house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno interpretati restrittivamente poiché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario.
Ciò è stato chiarito con fermezza dalla Corte di giustizia nelle sue successive pronunce (cfr. le note sentenze 11.01.2005, causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau, su cui si tornerà più avanti per altri profili; 21.07.2005, causa C 231/03 - Corame; 13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen GmbH; 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o Commissione c/ Austria; 06.04.2006, causa C-410/04 - ANAV c/ Comune di Bari; 11.05.2006, causa C-340/04 - Carbotermo; 18.01.2007, causa C-220/05 - Jean Auroux).
Il ridimensionamento dell’istituto è da ricondursi anche a fenomeni di distorsione nel ricorso a tale modello, del quale si tende ad abusare attraverso il fenomeno delle c.d. catene societarie e dei controlli indiretti, nonché attraverso le attività svolte nei confronti di terzi.
In particolare, la ricordata sentenza Carbotermo dell’11.05.2006, causa C-340/04, ha affermato che la partecipazione pubblica totalitaria è necessaria, ma non sufficiente. Difatti, per giustificare la deroga alle regole europee di evidenza pubblica occorrono maggiori strumenti di controllo da parte dell’ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile. La giurisprudenza comunitaria e nazionale li ha nel tempo individuati affermando, in particolare, che:
- il consiglio di amministrazione della società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale;
- l’impresa non deve aver “acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo” da parte dell’ente pubblico (tale vocazione risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero: cfr., in particolare, le già citate sentenze 13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen GmbH e 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o Commissione c/ Austria);
- le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (cfr. pure la decisione della V sez. di questo Consiglio di Stato 08.01.2007, n. 5, che ha affermato che se il consiglio di amministrazione ha poteri ordinari non si può ritenere sussistere un “controllo analogo”);
- il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello statuto della cedibilità delle quote a privati (Tar Puglia, 08.11.2006, n. 5197; Consiglio di Stato, V sez., 30.08.2006, n. 5072).
La giurisprudenza ha anche chiarito che, in astratto, è configurabile un “controllo analogo” anche nel caso in cui il pacchetto azionario non sia detenuto direttamente dall’ente pubblico, ma indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo. Tuttavia, una tale forma di partecipazione “può, a seconda delle circostanze del caso specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale” (cfr. la citata sentenza Carbotermo, 11.05.2006, causa C-340/04). In tale ottica, la partecipazione pubblica indiretta, anche se totalitaria, è in astratto compatibile, ma affievolisce comunque il controllo.
I principi giurisprudenziali sopra accennati appaiono, ormai, largamente condivisi dalle Corti Supreme nazionali, ivi compreso, come si è detto, questo Consiglio di Stato, il quale (sia nel parere n. 3162/2006 che nella decisione della VI Sezione da ultimo citati) ha anche rilevato che, nel nostro ordinamento, una norma di carattere generale era stata proposta nel primo schema del codice dei contratti pubblici, ma non è stata poi inserita nel testo finale del d.lgs. n. 163 del 2006, a conferma della volontà del legislatore di non generalizzare il modello dell’in house a qualsiasi forma di affidamento di servizi, di lavori, o di forniture (la norma dell’originario schema era l’art. 15, rubricata “Affidamenti in house”, dal seguente testo: “Il presente decreto non si applica all’affidamento di servizi, lavori, forniture a società per azioni il cui capitale sia interamente posseduto da un’amministrazione aggiudicatrice, a condizione che quest’ultima eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’amministrazione aggiudicatrice.”; il codice, tuttavia, ha conservato un riferimento generale alle società miste all’art. 1, comma 2, e all’art. 32: cfr. infra, il punto 7).
Questo Consiglio di Stato ritiene che l’evoluzione giurisprudenziale consenta, altresì, di escludere, in via generale, la riconducibilità del modello organizzativo della “società mista” a quello dell’in house providing.
Tale riconducibilità, che in principio era quantomeno dubbia (e molto si è discusso sul punto: svariati autori, in dottrina, propendevano per la soluzione affermativa e ancora oggi vi sono discipline che ricomprendono entrambe le situazioni: cfr. l’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, di cui si dirà infra, al punto 7.3), oggi può dirsi ormai definita in senso negativo dalla giurisprudenza –non risalente ma ormai consolidata– della Corte di giustizia europea, nelle decisioni in cui ha progressivamente definito il concetto di “controllo analogo”.
In particolare, ciò emerge dalla già menzionata sentenza della Corte 11.01.2005, causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau: nel dare atto che, in quella controversia, la Stadt Halle si era difesa proprio sostenendo che si sarebbe trattato “di un’«operazione di ‘in house providing’», alla quale non si applicherebbero le norme comunitarie in materia di appalti pubblici”, la Corte ha invece affermato che “la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi”.
L’opzione interpretativa è confermata, tra le altre, dalla citata sentenza 06.04.2006, causa C-410/04 - ANAV c/ Comune di Bari –laddove afferma che “se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione «interna» di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente pubblico che la detiene (v. già, in senso analogo, anche la sentenza 21.07.2005, causa C 231/03 - Corame)” –e in quella 18.01.2007, causa C-220/05 - Jean Auroux, ove si afferma che “quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., con riferimento agli appalti pubblici di servizi si applica anche con riferimento agli appalti pubblici di lavori”.
In altri termini, la Corte di giustizia ha ritenuto che qualsiasi investimento di capitale privato in un’impresa obbedisca a considerazioni proprie degli interessi privati e persegua obiettivi di natura differente rispetto a quelli dell’amministrazione pubblica. Pertanto, in sostanza, oggi si può parlare di società in house soltanto se essa agisce come un vero e proprio organo dell’amministrazione “dal punto di vista sostantivo”, non contaminato da alcun interesse privato.
Di tali conclusioni questo Consiglio di Stato ha già preso atto quando, con la decisione n. 1514/07 della VI Sezione, ha affermato –con argomenti che questa Sezione condivide pienamente– che, in un caso diverso da quello ivi deciso (e definito con la decisione n. 1513/2007), “la Sezione ha ritenuto neanche configurabile l’affidamento in house in considerazione dell’assenza di una partecipazione pubblica totalitaria all’epoca … degli affidamenti in contestazione in quel procedimento. L’assenza della partecipazione pubblica totalitaria esclude, infatti, in radice la possibilità di configurare il requisito del controllo analogo, richiesto dalla giurisprudenza comunitaria per gli affidamenti in house.”.
Da ciò consegue –ad avviso del Collegio– l’inutilità di ricercare, allo scopo di giustificarne la compatibilità con la disciplina europea, i (sempre più selettivi) requisiti richiesti per l’in house anche nel modello di parternariato pubblico-privato “società mista” cui si riconduce l’oggetto del quesito in esame.
La non riconducibilità alla figura dell’in house non implica, di per sé, la esclusione automatica della compatibilità comunitaria della diversa figura della società mista a partecipazione pubblica maggioritaria in cui il socio privato sia scelto con una procedura di evidenza pubblica.
Su tale specifica modalità organizzativa, infatti, non risulta che la Corte di giustizia abbia ancora avuto modo di pronunciarsi espressamente: anche nelle più importanti sentenze in cui si tratta di società miste (e in particolare la sentenza 11.01.2005, causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau, e la sentenza 13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen GmbH), il privato era stato individuato senza gara (cfr. amplius infra, il punto 8.2.2).
Come è noto, il modello delle “società miste” è presente da tempo nel nostro ordinamento, ed è oggi previsto in via generale dall’art. 113, comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 267 del 2000 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – t.u.e.l.), introdotto dall’art. 14 del d.l. 30.09.2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione. Tale previsione può essere assunta a paradigma del modello anche ai fini della soluzione del quesito in oggetto, che pure si caratterizza per una disciplina ad hoc.
Sempre in via generale, il codice dei contratti pubblici, se non prevede più una generalizzazione del modello dell’in house a qualsiasi forma di affidamento (come si è detto retro, al punto 5.2), contiene invece, all’art. 1, comma 2, una previsione di carattere generale sulle società miste, secondo la quale, “nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica”. Anche in questo caso, la norma non intende affermare la generale ammissibilità delle società miste, che devono intendersi consentite nei soli casi già previsti da una disciplina speciale, nel rispetto del principio di legalità: si codifica soltanto il principio secondo il quale, in questi casi, la scelta del socio deve comunque avvenire “con procedure di evidenza pubblica” (non necessariamente, quindi, ai sensi della disciplina dello stesso codice).
La figura delle società miste compare anche nell’art. 32, al comma 1, lett. c), e al comma 3 (tale ultima disposizione è stata confermata nel testo definitivo nonostante i rilievi di questo Consiglio di Stato espressi nel parere della Sezione per gli atti normativi n. 355/2006 del 06.02.2006, relativo allo schema di codice dei contratti pubblici: cfr. infra, il punto 8.4).
L’art. 113, comma 5, lett. b), del t.u.e.l. dispone che l’erogazione dei servizi per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali “avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio …”, tra l’altro, “… b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche”. Tale norma costituisce, in qualche modo, il paradigma del modello cui si ispira anche la normativa speciale per il SIAN che è oggetto del quesito in esame.
Lo stesso art. 113 prevede, nella distinta lettera c), in alternativa al ricorso alla società mista, il modello della società in house a capitale interamente pubblico, richiedendo solo per tale caso i requisiti del “controllo analogo” e della “destinazione prevalente dell’attività” in favore dell’ente pubblico di appartenenza identificati dalla sentenza Teckal. Ciò sembra confermare quanto affermato retro (al punto 5 e ai relativi sottopunti) a proposito della differente disciplina dei due modelli della società mista e della società in house, anche con riguardo ai requisiti richiesti dal diritto europeo.
La figura delle società a capitale misto è stata configurata da autorevole dottrina come una forma di “collaborazione tra pubblica amministrazione e privati imprenditori nella gestione di un pubblico servizio”; tale figura, costituendo una modalità organizzativa ulteriore per la soddisfazione delle esigenze generali, rende più flessibile la risposta istituzionale a determinate esigenze e può risultare –se ricondotta nei canoni del pieno rispetto dei principi comunitari– di particolare efficacia, almeno in certi casi (cfr., nello stesso senso, il Libro Verde della Commissione europea del 30.04.2004 e la Risoluzione del Parlamento europeo del 26.10.2006, richiamati amplius infra, al punto 8.5).
Inoltre, la necessità di una gara per la scelta del socio –oltre a confermare l’esclusione della riconducibilità alla figura dell’in house– ha condotto a ritenere non corretto annoverare tale figura tipo di affidamento tra quelli “diretti”.
Tuttavia, la stessa dottrina –alla luce dell’evoluzione in senso restrittivo della giurisprudenza comunitaria– ha messo in evidenza la debolezza della tesi della equiparazione automatica fra la procedura di scelta del socio e la gara per l’affidamento del servizio. Pur riconoscendo la funzionalità del modello, si afferma come ci si trovi di fronte ad una “figura peculiare che potrà presentare non pochi problemi attuativi e che, per non essere censurata, dovrà ricevere una applicazione attenta”.
Sempre in relazione al modello generale, si ricorda l’intervento dell’art 13 del d.l. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006, il quale ha introdotto una articolata disciplina che, in linea con i più recenti orientamenti comunitari volti a limitare l’in house providing, ma anche in relativa autonomia da essi, mira a evitare il fenomeno della c.d. cross subsidization delle società pubbliche, per cui esse operano al di fuori degli ambiti territoriali di appartenenza, acquisendo commesse da enti pubblici diversi da quelli controllanti od affidanti i contratti in house. In tale nuovo regime il d.l. n. 223 del 2006 ha equiparato i due diversi modelli delle società in house e del partenariato pubblico-privato.
In particolare, si è disposto che le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali (non da quelle statali, come invece avviene nel caso di specie) per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali:
- devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti (viene fissata, quindi, la regola dell’esclusività, in luogo di quella della prevalenza);
- non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti;
- sono ad oggetto sociale esclusivo (l’oggetto sociale esclusivo –è stato affermato– non sembra debba essere inteso come divieto delle c.d. multiutilities, ma appare preferibile ritenere che rafforzi regola dell’esclusività evitando che dopo affidamento la società possa andare a fare altro).
In conclusione, può affermarsi che il modello della “società a capitale misto pubblico privato” esiste –come distinto dall’in house– nell’ordinamento nazionale, sia nella disposizione generale dell’art. 113 t.u.e.l. che in varie disposizioni speciali (come quella per il SIAN nel caso di specie). D’altro canto, però, tale disciplina è in evoluzione, sia de iure condito (art. 1, comma 2, e art. 32 del d.lgs. n. 163 del 2006; art. 13 del d.l. n. 223 del 2006) che de iure condendo (AS n. 772), poiché continua a suscitare perplessità la piena compatibilità di tale modello con il sistema comunitario, alla stregua della recente e rapida evoluzione giurisprudenziale (che sembra ancora in corso) e stante l’assenza di decisioni specifiche sul punto.
La Sezione –nei limiti del quesito in esame– ritiene possibile affermare che tale compatibilità possa essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui –avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni, di cui si dirà infra, al punto 8.3– non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell’attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest’ultimo.
In altri termini, in questo caso, indicato di regola come quello del “socio di lavoro”, “socio industriale” o “socio operativo” (come contrapposti al “socio finanziario”), questo Consiglio di Stato ritiene che l’attività che si ritiene “affidata” (senza gara) alla società mista sia, nella sostanza, da ritenere affidata (con gara) al partner privato scelto con una procedura di evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso, anche l’attribuzione dei suoi compiti operativi e quella della qualità di socio.
La peculiarità rispetto alle ordinarie procedure di affidamento sembra allora rinvenirsi, in questo caso, non tanto nell’assenza di una procedura di evidenza pubblica (che, come si è detto, esiste e opera uno specifico riferimento all’attività da svolgere) quanto nel tipo di controllo dell’amministrazione appaltante sul privato esecutore: non più l’ordinario “controllo esterno” dell’amministrazione, secondo i canoni usuali della vigilanza del committente, ma un più pregnante “controllo interno” del socio pubblico, laddove esso si giustifichi in ragione di particolari esigenze di interesse pubblico (che nell’ordinamento italiano sono comunque individuate dalla legge)
(Consiglio di Stato, Sez. III, parere 18.04.2007 n. 456).

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