|
Alcuni files sono in formato Acrobat (pdf): se non riesci a leggerli, scarica
gratuitamente il programma Acrobat Reader (clicca sull'icona a fianco riportata).
-
segnala un
errore nei links |
|
AGGIORNAMENTO AL 27.04.2009 |
ã |
QUESITI |
PUBBLICO IMPIEGO: Parere
applicazione art. 92, comma 5 del D.Lgs. n.
163/2006 (incentivo alla progettazione
interna).
Il sindaco del Comune (omissis), richiede
parere in ordine all’applicazione dell’art.
92, comma 5, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i.
(Codice dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture), avente per oggetto:
Corrispettivi, incentivi per la
progettazione e fondi a disposizione delle
stazioni appaltanti.
In particolare il sindaco sollecita l’avviso
del servizio di consulenza regionale, sulla
retroattività della norma, così come
modificata, senza omettere che
sull’argomento già sono stati espressi
pareri discordanti da parte dell’ANCI, della
Ragioneria generale dello Stato e di legali
a vario titolo coinvolti (Regione Piemonte,
parere 31/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Disciplina
edilizia concernente fasce di rispetto
stradale.
E’ chiesto parere in merito alla disciplina
edilizia concernente le fasce di rispetto
stradali.
Il Comune richiedente, partendo dal
presupposto che “il Codice Stradale equipara
le strade vicinali alle strade comunali”,
chiede di sapere, nel caso in cui “il P.R.G.
preveda distanze diverse (20 mt. per le
comunali e 10 mt. per le vicinali) e in sede
di approvazione del P.R.G. la Regione abbia
prescritto “fatto salvo il codice della
strada”, quale distanza deve essere
rispettata in caso di realizzazione di un
edificio limitrofo ad una strada vicinale” e
se sia possibile “realizzare costruzioni
interrate nelle fasce di rispetto stradali”
(Regione Piemonte,
parere
22/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria
opere edilizie abusive.
Viene posto il problema di un’opera edilizia
abusiva realizzata nel 1971 (anteriormente,
dunque, alla cosiddetta “legge Galasso”) a
distanza inferiore a 150 metri da un corso
d’acqua, in assenza di titolo abilitativo
edilizio; per tale opera viene ora richiesto
il titolo edilizio predetto in sanatoria,
sussistendo la conformità dell’opera alla
“disciplina urbanistica ed edilizia vigente”
(art. 36 T.U. ed.), in presenza del fatto
che non è peraltro praticabile nel caso una
“sanatoria paesaggistica”, in virtù dei
disposti del “codice dei beni culturali”
(Regione Piemonte,
parere
18/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
24.04.2009, suppl. ord. n. 61:
- Secondo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica alpina in Italia ai sensi
della direttiva 92/43/CEE (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto
30.03.2009);
- Secondo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica continentale in Italia ai
sensi della direttiva 92/43/CEE
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 30.03.2009);
- Secondo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica mediterranea in Italia ai
sensi della direttiva 92/43/CEE
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 30.03.2009). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 16 del
23.04.2009, "Determinazioni relative alle
misure di conservazione per la tutela delle
ZPS lombarde in attuazione della Direttiva
92/43/CEE e del d.P.R. 357/1997 ed ai sensi
degli articoli 3, 4, 5, 6 del d.m.
17.10.2007 n. 184 - Modificazioni alla
d.G.R. 7884/2008"
(deliberazione
G.R. 08.04.2009 n. 9275 - link
a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 16 del
21.04.2009, "D.Lgs. 194/2005 e l.r.
13/2001 - Mappa acustica strategica degli
agglomerati: specifiche tecniche per la
fornitura dei dati a Regione Lombardia"
(decreto
D.S. 03.04.2009 n. 3302 - link
a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 16 del
20.04.2009, "Approvazione del nuovo
modello di targa energetica per gli edifici,
in riferimento alla d.g.r. 5018/2007" (decreto
D.U.O. 18.03.2009 n. 2598 - link a
www.infopoint.it). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 16 del
20.04.2009, "Determinazione in merito ai
criteri di concessione dei contributi a
Comuni e Province per studi e
approfondimenti geologici e idrogeologici ai
sensi della l.r. 12/2005 - Modifica d.g.r.
n. 876/2005"
(deliberazione
G.R. 08.04.2009 n. 9284 - link
a www.infopoint.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
URBANISTICA:
L. Spallino,
Modifiche alla legge regione Lombardia n.
12/2005 (L.R. 5/2009): P.I.I. in variante e
termine per l'avvio del procedimento di
approvazione dei p.g.t. (link a
www.studiospallino.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Nicoletti,
Gestioni “in house”: difficili o
impossibili? il caso di Zola Predosa
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
L’attivazione dell’impianto radioelettrico
ex art. 87 del D.Lgs 259/2003, un’invenzione
giurisprudenziale discutibile
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Amendola,
ART. 674 C.P., EMISSIONI MOLESTE E
INQUINAMENTI. LA CASSAZIONE CI RIPENSA?
(link a www.lexambiente.it). |
ENTI LOCALI:
F. Bonfatti,
D.lgs. n. 81/2008: le funzioni del medico
competente (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Muratori,
Se il legislatore (ambientale) è ... di
memoria corta: le discipline «mutilate» per
omessa emanazione delle norme esecutive
(parte prima) (link a
www.lexambiente.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Modalità
operative concernenti la liquidazione dei
compensi e delle spese dei procedimenti
arbitrali e relative modalità di pagamento
delle somme dovute alla Camera arbitrale
(Presidente della Camera Arbitrale,
comunicato 10.04.209 n. 29 - link
a massimario.avlp.it). |
dossier D.U.R.C. |
APPALTI:
Il DURC è un documento unitario
che accerta la posizione contributiva
dell'azienda richiedente sulla base della
sua posizione contributiva complessiva
indipendentemente dall'ufficio periferico
dell'INPS al quale la richiesta viene
presentata.
Il DURC è un documento unitario che accerta
la posizione contributiva dell'azienda
richiedente sulla base della sua posizione
contributiva complessiva secondo un
riscontro di natura telematica a livello
nazionale, indipendentemente dall'ufficio
periferico dell'INPS al quale la richiesta
viene presentata e specialmente considerando
che la richiesta del DURC può essere
inoltrata in via telematica, come nel caso
di specie è avvenuto. Pertanto, è
sufficiente la produzione di un DURC
rilasciato dall'ufficio INPS di un comune
nel caso di ditta iscritta anche presso
l'ufficio INPS di altro ente locale
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.04.2009 n. 2401 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
dossier OPERE PRECARIE |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Abuso in atti
d’ufficio e installazione impianti a titolo
precario.
Un’autorizzazione a costruire di tipo
precario -come quella con la quale si
autorizza l'installazione di una stazione
radiobase costituita da un traliccio di 24
metri, un gruppo elettrogeno con supporto in
calcestruzzo armato e relativa cisterna-
oltre ad essere extra legem, in
quanto non prevista da alcuna disposizione
legislativa, è anche illegittima e contra
legem perché non potrebbe avere altra
funzione che quella di tollerare una
situazione di evidente abuso (nella
fattispecie la malafede del pubblico
amministratore si è desunta proprio dal
fatto che aveva rilasciato un autorizzazione
precaria non prevista da alcuna norma. Il
pubblico amministratore, non potendo
rilasciare la concessione edilizia per la
vicinanza della stazione al centro abitato,
tanto è vero che neppure successivamente è
stata rilasciata , ha emesso un titolo
provvisorio).
Detta autorizzazione, a prescindere pure
dalla sua illegittimità, non può comunque
essere equiparata a quella di cui
all’articolo 87 del decreto legislativo n.
259 del 2003, perché questa presuppone il
previo accertamento, da parte dell’organismo
preposto ad effettuare i controlli, previsto
dall’articolo 14 della legge 22.02.2001 n.
36 in ordine alla compatibilità del progetto
con i limiti di esposizione ecc. (comma 1) e
fa salve le disposizioni a tutela dei beni
ambientali (art. 86, comma 4) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.04.2009 n. 15921 -
link a www.lexambiente.it). |
dossier PERTINENZE EDILIZIE ED
URBANISTICHE |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenza e ampliamento.
Nella materia edilizia per pertinenza deve
intendersi un’opera che non sia parte
integrante o costitutiva di un altro
fabbricato, così che deve escludersi tale
qualifica all’ampliamento di un edificio
anche se finalizzato al completamento o
miglioramento dei bisogni cui l’immobile
principale è destinato. Il concetto di
pertinenza non va confuso con quello di
parte dell’edificio.
In materia di reati edilizi, l’ampliamento
di un fabbricato preesistente non può
considerarsi pertinenza, ma diventa parte
dell'edificio perché, una volta realizzato,
ne completa la struttura per meglio
soddisfare i bisogni cui è destinato in
quanto privo di autonomia rispetto
all’edificio medesimo. Invece la pertinenza,
ancorché posta a servizio dell’edificio
principale, deve avere una propria autonomia
strutturale.
D’altra parte, non ogni intervento
pertinenziale è esonerato dal permesso di
costruire, ma esclusivamente quelli di
scarsa rilevanza, non solo sotto il profilo
quantitativo (ossia, quelli con volumetria
non superiore al quinto di quella
dell’edificio principale), ma anche sotto
quello qualitativo (e, cioè, sempre che le
norme tecniche degli strumenti urbanistici
non li considerino comunque "interventi
di nuova costruzione", tenuto conto
della zonizzazione e del loro impatto
ambientale e paesaggistico), come risulta
dalla previsione dell’art. 3, comma primo,
lett. e.) del testo unico sull’edilizia
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.04.2009 n. 15260 -
link a www.lexambiente.it). |
dossier SIC-ZPS - VAS - VIA |
EDILIZIA PRIVATA:
Valutazione impatto ambientale.
Fin dal loro ingresso nel loro ordinamento,
le procedure di V.I.A. e di screening, pur
inserendosi sempre all’interno del più ampio
procedimento di realizzazione di un opera o
di un intervento, sono state considerate da
dottrina e giurisprudenza prevalenti come
dotate di autonomia, in quanto destinate a
tutelare un interesse specifico (quello alla
tutela dell’ambiente), e ad esprimere al
riguardo, specie in ipotesi di esito
negativo, una valutazione definitiva, già di
per sé potenzialmente lesiva dei valori
ambientali; di conseguenza, gli atti
conclusivi di dette procedure sono stati
ritenuti immediatamente impugnabili dai
soggetti interessati alla protezione di quei
valori (siano essi associazioni di tutela
ambientale ovvero, come nel caso che occupa,
cittadini residenti in loco).
Tali conclusioni appaiono oggi confortate
dalla disciplina generale di cui all’art. 20
del decreto legislativo 03.04.2006 n. 152
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.03.2009 n. 1213
- link a www.lexambiente.it). |
dossier TELEFONIA MOBILE |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Impianti telefonia
mobile e titolo abilitativo.
Deve ritenersi che gli impianti di telefonia
mobile non possano essere assimilati alle
normali costruzioni edilizie e, pertanto, la
loro realizzazione non sia soggetta a
prescrizioni urbanistico-edilizie
preesistenti, le quali si riferiscono a
tipologie di opere diverse e sono state
elaborate con riferimento a possibilità di
diverso utilizzo del territorio,
nell'inconsapevolezza del fenomeno della
telefonia mobile e, più in generale,
dell'inquinamento elettromagnetico in
generale.
Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non
avuto riguardo ad una specifica disciplina
conformativa, che prenda in considerazione
le reti infrastrutturali tecnologiche
necessarie per il funzionamento del servizio
pubblico di telefonia (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. II,
sentenza 09.03.2009 n. 499 - link
a www.lexambiente.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA:
Pertinenze in zona vincolata.
Le opere edilizie abusive, realizzate in
zona sottoposta a vincolo paesistico, anche
se costituenti pertinenze, non sono
suscettibili di autorizzazione in luogo
della concessione perché nelle aree
vincolate sono consentiti esclusivamente
piccoli interventi di restauro i
conservativo su edilizia esistente (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.04.2009 n. 15227 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Impianti eolici.
Alla concezione
totalizzante dell’interesse paesaggistico,
oggetto di recente e condivisibile revisione
critica, non può sostituirsi una nuova
concezione totalizzante dell’interesse
ambientale che ne postuli la tutela “ad ogni
costo” anche mediante lo sviluppo di fonti
di energia alternativa idonee ad operare una
riduzione delle emissioni di gas ad effetto
serra ma di grave ed irreversibile impatto
paesaggistico, perché se la riduzione delle
emissioni attraverso la ricerca, promozione,
sviluppo e maggiore utilizzazione di fonti
energetiche rinnovabili e di tecnologie
avanzate e compatibili con l'ambiente, tra
le quali rientrano gli impianti eolici,
costituisce un impegno internazionale
assunto dallo Stato italiano e recepito
nell'ordinamento statale dalla l. 01.06.2002
n. 120 (concernente "Ratifica ed
esecuzione del Protocollo di Kyoto alla
convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici", fatto a Kyoto
l'11.12.1997), come non mancata di ricordare
un significativo indirizzo
giurisprudenziale, è parimenti vero che
anche la salvaguardia del Paesaggio
costituisce oggetto di impegni assunti
dall’Italia in sede internazionale (cfr.
Convenzione Europea del Paesaggio promossa
dal Consiglio d’Europa e firmata a Firenze
il 20.10.2000 ratificata con legge
09.01.2006, n. 14) sicché il conflitto tra
tutela paesaggio e tutela dell’ambiente (e
indirettamente della salute) non può essere
risolto in forza di una nuova aprioristica
gerarchia che inverte la scala di valori
(non configurabile neppure invocando la
rafforzata cogenza degli obblighi assunti in
forza di convenzioni internazionali di cui
si giovano come detto sia i valori
paesaggistici che quelli ambientali), ma
deve essere necessariamente operato in
concreto, attraverso una ponderazione
comparativa di tutti gli interessi
coinvolti, non potendosi configurare alcuna
preminenza valoriale né in un senso (a
favore del paesaggio) né nell’altro (a
favore dell’ambiente e del diritto alla
salute o del diritto di intrapresa
economica)
(TAR Molise, Sez. I,
sentenza 08.04.2009 n. 115 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Vincolo e
controllo autorità statale.
Il controllo che compete all’autorità
statale ad estrema difesa del vincolo
paesaggistico investe la legittimità del
procedimento autorizzatorio, e si concentra
principalmente sull’esaustività della
documentazione allegata alla pratica già
esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi
emesso il provvedimento favorevole (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 12.03.2009 n. 623 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Vincoli
paesaggistici e urbanistici.
I vincoli paesaggistici ed ambientali, in
senso proprio, non divengono vincoli
(meramente) urbanistici per il solo fatto di
essere recepiti nel P.R.G. ma mantengono la
loro natura di vincoli dichiarativi ad
effetto costitutivo non sottoposto a
termine, in quanto discendenti non da una
scelta discrezionale dell’amministrazione,
bensì da qualità intrinseche del bene
tutelato, che il provvedimento di vincolo
deve soltanto riconoscere e dichiarare; ciò
che, li distingue nettamente dai vincoli
urbanistici in senso proprio, i quali
-ancorché possano essere ispirati da
analoghe finalità di salvaguardia del
paesaggio o dell’ambiente- non si
sottraggono, qualora siano preordinati
all’espropriazione o comunque rivestano
carattere sostanzialmente espropriativo,
all’alternativa tra temporaneità ed
indennizzabilità (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 04.03.2009 n. 71 - link
a www.lexambiente.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
L'istituto dell'avvalimento è
utilizzabile anche in assenza di una
specifica previsione del bando di gara.
La giurisprudenza, pacifica sul punto,
afferma che, nelle gare indette per
l'aggiudicazione di appalti con la pubblica
amministrazione l'istituto dell'avvalimento
ha portata generale ai fini della
dimostrazione del possesso dei requisiti di
partecipazione, ed è quindi utilizzabile
anche in assenza di una specifica previsione
del bando, restando peraltro ferma la
necessità, in ogni caso, di un vincolo
giuridico, preesistente all'aggiudicazione
della gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.04.2009 n. 2401 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La mancata dichiarazione di una
condanna penale, in sede di dimostrazione
del requisito della moralità professionale
dell'impresa, non determina ex se esclusione
dalla gara ove manchi una valutazione della
P.A..
La mancata dichiarazione da parte del
rappresentante legale di una ditta
concorrente circa un precedente penale che
non abbia alcun riflesso negativo sul
requisito della "moralità professionale",
non può determinare -ex se ed in assenza di
invito, da parte della stazione appaltante,
alla integrazione documentale ovvero a
fornire chiarimenti- l'esclusione della
concorrente dalla selezione ovvero (come è
avvenuto nel caso di specie) la non
aggiudicazione definitiva in suo favore (per
quell'unica ragione).
L'indagine a cura della stazione appaltante
avente ad oggetto il rilievo del precedente
penale ascritto al rappresentante legale
della ditta concorrente sulla "moralità
professionale" deve essere motivata e,
siccome la motivazione, ai sensi dell'art. 3
della l. n. 241 del 1990, è fondata sulle
risultanze dell'istruttoria, cioè su un
accertamento di fatto concreto, dette
valutazioni non andranno espresse su
categorie astratte di reati, ma tenendo
conto delle circostanze in cui un reato è
stato commesso, per dedurne un giudizio di
affidabilità o inaffidabilità (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 20.04.2009 n. 3984 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Attività di cava.
L’attività estrattiva, comportando un
mutamento dell’assetto territoriale, non è
avulsa dalla normativa urbanistica, che è
strettamente correlata agli insediamenti sul
territorio, sicché la stessa deve svolgersi
nel rispetto della pianificazione
territoriale comunale, configurandosi, in
difetto, la violazione dell’art. 20, lett.
a), della legge n. 47/1985 [ora art. 44
lettera a)] dpr 380/2001.
Quando l'immutazione dell'assetto
territoriale deriva dall'esercizio di una
cava, la disciplina urbanistica deve trovare
applicazione insieme con la normativa di
settore che regola -ad altri fini-
quest’attività economica (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.04.2009 n. 16291 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Emissioni in atmosfera e
violazione dell’articolo 674 c.p..
1.
Nel linguaggio corrente s’intende per "polvere"
un "insieme incoerente di particelle
molto minute e leggere di terra arida,
detriti, sabbia ecc., che, sollevate e
trasportate dal vento, si depositano ovunque".
S’intende invece per "fumo" il "residuo
gassoso della combustione che trascina in
sospensione particelle solide in forma di
nuvola grigiastra o bianca". Ne deriva
che, pur trattandosi sempre di minuscole
particelle, il fumo si distingue dalla
polvere perché è sempre un prodotto della
combustione, sicché la polvere, essendo
prodotto di frantumazione, ma non di
combustione, non può essere ricompresa nella
nozione di fumo. In conclusione, quindi, la
diffusione di polveri nell’atmosfera va
contestata come versamento di cose ai sensi
della prima ipotesi dell’art. 674 c.p. e non
come emissione di fumo.
2.
Si deve negare che le due ipotesi
contravvenzionali previste nell’art. 674
c.p. configurino necessariamente reati di
condotta attiva. A ben vedere esse si
atteggiano come reati di evento pericoloso,
dove l’evento può essere cagionato da una
condotta attiva od omissiva, dolosa o
colposa: nel caso della contravvenzione
codicistica si tratta di un evento di
pericolo concreto, consistente
nell’attitudine delle cose o delle emissioni
a imbrattare, offendere o molestare le
persone, che deve essere concretamente
accertata dal giudice. Si deve pertanto
concludere che il reato de quo nei congrui
casi può anche atteggiarsi come reato
commissivo mediante omissione (cd. reato
omissivo improprio) ogni qual volta il
pericolo concreto per la pubblica incolumità
derivi (anche) dalla omissione (dolosa o
colposa) del soggetto che aveva l’obbligo
giuridico di evitarlo.
3.
La clausola "nei casi non consentiti
dalla legge" esclude il reato non per
tutte le emissioni provocate dalla attività
industriale regolamentata e autorizzata, ma
solo per quelle emissioni che sono
specificamente consentite attraverso limiti
tabellari o altre determinate disposizioni
amministrative. Solo queste ultime emissioni
si presumono legittime. Non possono
presumersi come legittime, invece, le altre
emissioni, connesse più o meno direttamente
all’attività produttiva regolamentata, che
il legislatore non disciplina specificamente
o che addirittura considera pericolose
perché superiori ai limiti tabellari, o che
vuole comunque evitare attraverso misure di
prevenzione e di cautela imposte
all’imprenditore (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 17.04.209 n. 16286 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sui presupposti per il
risarcimento del danno nei confronti della
PA per il ritardo nel rilascio di una
concessione edilizia.
Nel nostro diritto positivo non è previsto,
allo stato attuale della legislazione, un
meccanismo riparatore dei danni causati dal
ritardo procedimentale in sé e per sé
considerato. A questo proposito, la
giurisprudenza amministrativa ha precisato
che in presenza del mancato tempestivo
soddisfacimento dell’obbligo dell’Autorità
amministrativa di assolvere adempimenti
pubblicistici, aventi ad oggetto lo
svolgimento di funzioni amministrative, si è
al cospetto di interessi legittimi
pretensivi del privato, la cui tutela
ricade, per loro intrinseca natura, nella
giurisdizione del giudice amministrativo (e,
trattandosi della materia
urbanistica-edilizia, nella sua
giurisdizione esclusiva); come tali esulano
dai meri “comportamenti” della P.A.
invasivi dei diritti soggettivi del privato
ed espunti dalla giurisdizione
amministrativa in seguito alla sentenza
della Corte Costituzionale n. 204 del 2004
(cfr. Cons. Stato, Ad. Plenaria, n. 7 del
15.09.2005; Tar Lazio, Roma, sez. III-quater,
31.03.2008, n. 2704; Tar Piemonte, sez. I,
20.11.2008, n. 2901).
Il danno da ritardo, secondo l’orientamento
giurisprudenziale, non ha un’autonomia
strutturale rispetto alla fattispecie
procedimentale da cui scaturisce ed è legato
inscindibilmente alla positiva
finalizzazione di quest’ultima (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 02.03.2009, n. 1162);
infatti, secondo la richiamata decisione
dell’Ad. Plen. n. 7/2005, non è risarcibile
il danno da ritardo “puro” quando è
disancorato dalla dimostrazione giudiziale
della meritevolezza di tutela dell’interesse
pretensivo fatto valere (e quando
l’Amministrazione abbia adottato con
notevole ritardo, un provvedimento negativo
rimasto inoppugnato).
A queste premesse, va aggiunto che l’azione
di risarcimento da ritardo della P.A., pur
ammessa in astratto e rientrante nell’alveo
del danno da lesione di interessi legittimi,
in applicazione del principio dell’atipicità
dell’illecito civile, deve essere ricondotta
nell’ambito dell’art. 2043 cod. civ., per
l’identificazione degli elementi costitutivi
dell’illecito, e a quello del successivo
art. 2236 cod.civ., per delineare i confini
della responsabilità.
E quindi, detta azione di risarcibilità del
danno, inquadrandosi nella sua natura “extracontrattuale”,
comporta che il bene della vita conseguito
in modo differito sia avvenuto per il fatto
altrui, quanto meno colpevole. E’ pacifico,
per giurisprudenza ormai costante, che non è
sufficiente la illegittimità (del
provvedimento o) dell’inerzia amministrativa
per ritenere integrata una fattispecie di
responsabilità aquiliana della P.A., essendo
essenziale ad integrare la fattispecie il
giudizio di imputabilità soggettiva,
quantomeno a titolo di colpa dell’apparato
amministrativo procedente (cfr. da ultimo,
Cons. Stato, sez. V, 08.09.2008, n. 4242;
idem, 02.03.2009, n. 1162).
Ne deriva che, per riconoscere la fondatezza
della domanda così avanzata è necessario che
il difettoso funzionamento dell’apparato
pubblico sia riconducibile ad un
comportamento negligente o ad una volontà di
nuocere o si ponga in contrasto con le
prescrizioni di legalità, imparzialità e
buon andamento di cui all’art. 97 della
Cost., non essendo riconducibile il
superamento dei termini di conclusione del
procedimento in violazione dell’art. 4 della
Legge n. 493 del 1993, attesa la natura
acceleratoria degli stessi (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 30.12.2005, n. 7623; Tar
Lombardia, Milano, sez. III, 17.01.2007, n.
71; Tar Lazio, Roma, sez. III-quater,
31.03.2008, n. 2704; Tar Piemonte, sez. I,
cit. n. 2901/2008).
Tale azione di risarcimento del danno,
inquadrandosi nella sua natura
extracontrattuale, richiede la prova della
quantificazione dello stesso con riferimento
sia al danno emergente che al lucro
cessante, in quanto elementi costitutivi
della relativa domanda, ai sensi dell’art.
2697 (cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I,
26.06.2008, n. 1555; Tar Lazio, Roma, cit.
n. 2704/2008).
Per di più, non va sottaciuto che nel caso
specifico di domanda di risarcimento dei
danni per il ritardo nel rilascio della
concessione edilizia, il danno è da farsi
conseguire, comunque, alla concreta
esecuzione dell’opera, non essendo di per sé
sufficiente il riconoscimento tardivo del
titolo di legittimazione edificatoria, (cfr.
Tar Sicilia, Catania, sez. I, 03.07.2007, n.
1158) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 17.04.2009 n. 2694 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Individuazione committente lavori
abusivi.
In tema di reati edilizi, l’individuazione
del committente dei lavori, quale soggetto
responsabile dell’abuso edilizio, può essere
desunta da elementi oggettivi di natura
indiziaria, come ad esempio: dalla qualità
di proprietario o comproprietario, posto che
solo il proprietario o altro titolare del
diritto reale sul suolo o sul fabbricato su
cui vengono eseguiti i lavori può assumere
la veste di committente; dalla presenza sul
luogo dei lavori al momento del sopralluogo
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.04.2009 n. 15926 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Violazione articolo 674 c.p..
Il reato di cui all'art. 674 c.p. si
configura in presenza di un evento di
molestia provocato dalle emissioni di gas,
fumi o vapori non solo nei casi di emissioni
inquinanti in violazione dei limiti di
legge, ma anche quando sia superato il
limite della normale tollerabilità ex art.
844 cod. civ. (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 15.04.2009 n. 15734 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione villette
residenziali in zona industriale.
La realizzazione di villette residenziali in
zona industriale determina un mutamento
radicale della destinazione d’uso
dell’intera area e un indiscutibile aggravio
del carico urbanistico (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 15.04.2009 n. 15721 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Zone destinate ad insediamenti
produttivi.
In una zona destinata dal PRG ad
insediamenti produttivi la realizzazione di
spazi destinati a servizi, uffici
amministrativi e commerciali oppure ad
alloggi di custodia o di servizio deve
essere del tutto residuale e limitata,
altrimenti verrebbe sconvolta la
destinazione medesima (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 15.04.2009 n. 15721 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Elettrosmog. Emissione campi
elettromagnetici e violazione dell'articolo
674 c.p..
1.
L’emissione di onde elettromagnetiche può
rientrare nell’ambito dell’art. 674 cod. pen.,
ma il reato è configurabile soltanto
allorché sia stato, in modo certo ed
oggettivo, provato il superamento dei limiti
di esposizione o dei valori di attenzione
previsti dalle norme speciali e sia stata
obiettivamente accertata una effettiva e
concreta idoneità delle emissioni ad
offendere o molestare le persone esposte,
ravvisabile non in astratto, per il solo
superamento dei limiti, ma soltanto a
seguito di un accertamento da compiersi in
concreto di un effettivo pericolo oggettivo,
e non meramente soggettivo.
2.
Emerge dalla normativa speciale che la
creazione, da parte di emittenti che
rispettino singolarmente i limiti loro
imposti, di campi che nel loro complesso
superino i limiti di cautela, determina
l’avvio dei piani di risanamento,
l’inosservanza delle cui prescrizioni è
(pesantemente) sanzionata in via
amministrativa.
3.
Anche in assenza di un piano regionale di
risanamento o delocalizzazione, l’autorità
amministrativa ha tutti i poteri e le
possibilità per coordinare e regolare le
modalità di trasmissione di tutti gli
impianti televisivi e radiofonici che
operano in una determinata località, in
quanto le singole emittenti debbono essere
munite dei decreti di concessione del
ministero delle comunicazioni (ora ministero
dello sviluppo economico), i quali devono
contenere l’analitica esposizione di tutti i
parametri tecnico operativi.
4.
In ogni caso la responsabilità dei singoli
soggetti esercenti l'impianto non può
prescindere da un accertamento in concreto
se i valori totali di campo siano generati o
meno da impianti tutti legittimamente
operanti e tutti operanti con potenza
conforme a quella prevista dai rispettivi
titoli abilitativi. Ed infatti, se i valori
generali di campo fossero eventualmente
generati da impianti operanti
illegittimamente o con potenza superiore a
quella assentita, occorrerebbe comunque che
l’eventuale riduzione a conformità venisse
disposta senza tener conto degli impianti
operanti illegittimamente (che dovrebbero
essere disattivati) e senza tener conto
delle maggiori potenze irradiate rispetto a
quelle consentite (che dovrebbero essere
ridotte). In ogni caso, la singola emittente
non potrebbe essere ritenuta responsabile
penalmente di campi generati da impianti
illegittimi o di potenza superiore a quella
assentita, a meno che non sussista la prova
di una volontà consapevole del soggetto di
concorrere con gli impianti illegali nella
creazione di un campo complessivo che ecceda
i limiti (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 15.04.2009 n. 15707 -
link a www.lexambiente.it). |
ENTI LOCALI:
Sulla competenza del consiglio
comunale in materia di servizi pubblici
esclusivamente in ordine all'organizzazione
dei servizi stessi ed agli atti espressione
della funzione di governo con esclusione di
quelli gestionali.
Il consiglio comunale è competente in
materia di servizi pubblici esclusivamente
in ordine all'organizzazione dei servizi
stessi ed agli atti espressione della
funzione di governo con esclusione di quelli
gestionali. Nel caso di specie, con delibera
il consiglio comunale ha espresso la volontà
di affidare all'esterno, fra gli altri, il
servizio di trasporto scolastico e pertanto
legittimamente la giunta comunale, con la
delibera, ha dato attuazione agli indirizzi
espressi dal consiglio comunale,
autorizzando poi il dirigente ad adottare
gli atti di gestione ad essa consequenziali
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 15.04.2009 n. 724 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
La p.a. è legittimata ad
introdurre, nella lex specialis della gara
d'appalto che intende indire, disposizioni
atte a limitare la platea dei concorrenti
onde consentire la partecipazione alla gara
stessa di soggetti particolarmente
qualificati.
Costituisce ius receputm il principio
secondo il quale l'amministrazione è
legittimata ad introdurre, nella lex
specialis della gara d'appalto che
intende indire, disposizioni atte a limitare
la platea dei concorrenti onde consentire la
partecipazione alla gara stessa di soggetti
particolarmente qualificati, specie per ciò
che attiene al possesso di requisiti di
capacità tecnica e finanziaria, tutte le
volte in cui tale scelta non sia
eccessivamente quanto irragionevolmente
limitativa della concorrenza, specie se
destinata a predeterminare, in linea di
fatto, il ventaglio dei possibili
partecipanti. Nel caso di specie, avendo la
P.A. comunale richiesto per tutti i
partecipanti la dimostrazione del previo
esercizio dell'attività di trasporto
scolastico deve riconoscersi, più che la
ragionevolezza dei requisiti richiesti, la
necessità che gli stessi siano posseduti
dalle imprese partecipanti alla gara, non
potendosi ammettere che l'amministrazione
pubblica affidi un servizio a soggetti privi
di qualsiasi esperienza nello svolgimento
dello stesso in quanto non operanti nello
specifico settore (TAR Puglia-Lecce, Sez.
III,
sentenza 15.04.2009 n. 724 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva e
irrilevanza di preesistenti edifici.
La lottizzazione non è esclusa per il
semplice fatto che in una zona agricola vi
siano altri edifici (nella fattispecie, una
base militare NATO) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 09.04.2009 n. 15259 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Violazione di sigilli fabbricato
abusivo.
Con l’apposizione dei sigilli, si attua una
custodia meramente simbolica mediante la
quale si manifesta la volontà dello Stato di
assicurare cose, mobili o immobili, contro
ogni atto di disposizione di persone non
autorizzate. Pertanto, il fatto costitutivo
del reato di cui all’art. 349 cod. pen.
consiste in qualsiasi atto che renda vana la
predetta volontà. Ne consegue che, qualora
sia riscontrata la violazione di sigilli,
senza che il custode abbia avvertito
dell’accaduto l’autorità, è lecito ritenere
che detta violazione sia opera dello stesso
custode, da solo o in concorso con altri,
tranne che lo stesso dimostri di essere
stato in grado di avere conoscenza del fatto
per caso fortuito o per forza maggiore
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.04.2009 n. 15246 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Muro di sostegno e distanze.
La circostanza che una concessione limiti
l’altezza di un muro a tre metri non elide
affatto la sua natura di costruzione ed
impone in ogni caso il rispetto dei cinque
metri dal confine (TAR Abruzzo-Aquila, sez.
I,
sentenza 10.03.2009 n. 140 - link
a www.lexambiente.it). |
AGGIORNAMENTO AL 20.04.2009 |
ã |
dossier BOX |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di autorimesse e parcheggi, se
non effettuata totalmente al di sotto del
piano di campagna naturale, è soggetta alla
disciplina urbanistica dettata per le
ordinarie nuove costruzioni fuori terra
essendo preclusa la possibilità di invocare
la l. n. 122/1989.
La
realizzazione di autorimesse e parcheggi, se
non effettuata totalmente al di sotto del
piano di campagna naturale (interrati
secondo il citato art. 26 N.T.A), è soggetta
alla disciplina urbanistica dettata per le
ordinarie nuove costruzioni fuori terra
(Con. St., IV, 11.11.2006, n. 6065; V,
29.03.2004, n. 1662).
Stabilisce, infatti, l'art. 9 della legge
24.03.1989,n. 122 che "i proprietari di
immobili possono realizzare nel sottosuolo
degli stessi ovvero nei locali siti al piano
terreno dei fabbricati parcheggi da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti".
La norma continua disponendo che tali
parcheggi possono essere realizzati, ad uso
esclusivo dei residenti, anche nel
sottosuolo di aree pertinenziali esterne al
fabbricato purché non in contrasto con i
piani urbani del traffico, tenuto conto
dell'uso della superficie sovrastante e
compatibilmente con la tutela delle risorse
idriche.
In base alla norma ora riportata, i predetti
parcheggi devono essere realizzati, se non
vengono a ciò adibiti i locali del piano
terra di un fabbricato, o nel sottosuolo
dello stesso fabbricato ovvero nel
sottosuolo di un'area pertinenziale esterna
(V, n. 1662/2004 citata).
Le autorimesse in questione, pertanto, non
rientrando nell’ambito di operatività
dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989 ora
riportato, in base alla quale, se si tratta
di costruzioni nel sottosuolo, è possibile
la loro realizzazione anche in contrasto con
le norme urbanistiche relative alla zona
(non con quelle paesaggistiche), sono
soggette alla disciplina urbanistica
generale come ordinarie nuove costruzioni
(cfr. in argomento Cons. St., IV, 26.09.2008
n. 4645).
A tale scopo, le disposizioni richiamate dal
Comune di Mezzomerico, se abilitano certo a
non considerare i volumi relativi ad
autorimesse collocate fuori terra, tuttavia
non consentono di andare in eccesso al
limite di altezza stabilito dalle norme
tecniche di attuazione in 2 piani f.t.,
abitabili o meno che siano.
Deve dunque concludersi per la computabilità
del piano autorimessa, nella specie,
pacificamente non interrato e realizzato
completamente fuori terra (Cons. St., IV,
29.01.2008, n. 271) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.02.2009 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
autorimesse se non rientrano nell’ambito di
operatività dell’art. 9 della legge n. 122
del 1989, in base alla quale -se si tratta
di costruzioni nel sottosuolo- è possibile
la loro realizzazione anche in contrasto con
le norme urbanistiche relative alla zona
(non con quelle paesaggistiche), soggiaciono
al computo del relativo volume.
La
realizzazione di autorimesse e parcheggi, se
non effettuata totalmente al di sotto del
piano di campagna naturale (interrati
secondo il citato art. 26 N.T.A), sono
soggetti alla disciplina urbanistica come
ordinarie nuove costruzioni fuori terra (Con.St.,
IV, 11.11.2006, n. 6065; V, 29.03.2004, n.
1662).
Stabilisce, infatti, l'art. 9 della legge
24.03.1989,n. 122 che "i proprietari di
immobili possono realizzare nel sottosuolo
degli stessi ovvero nei locali siti al piano
terreno dei fabbricati parcheggi da
destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti".
La norma continua disponendo che tali
parcheggi possono essere realizzati, ad uso
esclusivo dei residenti, anche nel
sottosuolo di aree pertinenziali esterne al
fabbricato purché non in contrasto con i
piani urbani del traffico, tenuto conto
dell'uso della superficie sovrastante e
compatibilmente con la tutela delle risorse
idriche.
In base alla norma ora riportata, i predetti
parcheggi devono essere realizzati, se non
vengono a ciò adibiti i locali del piano
terra di un fabbricato, o nel sottosuolo
dello stesso fabbricato ovvero nel
sottosuolo di un'area pertinenziale esterna
(V, n. 1662/2004 citata).
Le autorimesse in questione, pertanto, non
rientrando nell’ambito di operatività
dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989 ora
riportato, in base alla quale, se si tratta
di costruzioni nel sottosuolo, è possibile
la loro realizzazione anche in contrasto con
le norme urbanistiche relative alla zona
(non con quelle paesaggistiche), sono
soggette alla disciplina urbanistica
generale come ordinarie nuove costruzioni e,
a tale scopo, la disposizione non abilita
certo a recuperare i volumi interrati
preesistenti da collocare fuori terra come
autorimesse e, per di più, che è l’argomento
centrale, in eccesso al limite di altezza
consentito per il fabbricato ricostruito.
Deve dunque concludersi per la computabilità
dei relativi volumi, nella specie,
pacificamente non interrati e realizzati
completamente fuori terra (Cons. St., IV,
29.01.2008, n. 271) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.09.2008 n. 4645 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di autorimesse e parcheggi
destinati al servizio di fabbricati
esistenti è soggetta ad autorizzazione
gratuita esclusivamente se effettuata
totalmente al di sotto del piano di campagna
naturale.
Le autorimesse edificate fuori terra non
rientrano nell’ambito di operatività
dell’art. 9 l. 24.03.1989 n. 122, sicché
sono soggette alla disciplina urbanistica
come ordinarie nuove costruzioni.
Per quanto
riguarda l’autorimessa, in sede progettuale
risulta dichiarato che la stessa era
costruita ai sensi della legge Tognoli n.
122 del 1989: è quindi presumibile che sulla
relativa volumetria non siano stati
corrisposti gli oneri concessori, in quanto
i parcheggi pertinenziali sono assimilati ad
opere di urbanizzazione assentibili
gratuitamente (cfr. art. 11 L. n. 122 del
1989 in relazione all’art. 9, lettera f), L.
n. 10 del 1977).
Indipendentemente da tale questione, il
locale di cui si tratta –risultando non
interrato- non rientra nella previsione
legale di gratuità della concessione e va
quindi computato ai fini della stima
dell’incremento.
In tal senso, la Suprema Corte ha osservato
che la realizzazione di autorimesse e
parcheggi destinati al servizio di
fabbricati esistenti è soggetta ad
autorizzazione gratuita esclusivamente se
effettuata totalmente al di sotto del piano
di campagna naturale (Cass. Sez. III n.
26825 del 2003).
Aderisce a tale orientamento la
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato,
rilevando che le autorimesse edificate fuori
terra non rientrano nell’ambito di
operatività dell’art. 9 l. 24.03.1989 n.
122, sicché sono soggette alla disciplina
urbanistica come ordinarie nuove costruzioni
(cfr. V Sez. n. 1662 del 2004).
Nel caso in esame, l’esame delle risultanze
progettuali e fotografiche induce il
Collegio ad escludere che il locale in
questione –sostanzialmente scoperto per tre
lati– possa qualificarsi come interrato, il
che del resto nemmeno gli appellanti
pervengono mai a sostenere.
Se a ciò si aggiunge che –come decisivamente
rilevato dal comune– il vincolo
pertinenziale non risulta mai apposto al
manufatto, deve concludersi per la
computabilità del relativo volume
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.10.2006 n. 6065 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE |
EDILIZIA PRIVATA:
La liquidazione degli oneri di
urbanizzazione non necessita di alcuna
specifica motivazione, poiché essa consiste
nell'applicazione rigida di parametri
determinati da norme legislative o
regolamentari.
L’obbligo di pagamento delle sanzioni per il
ritardato versamento del contributo discende
direttamente dall’art. 3 della legge n.
47/1985, e non necessita di alcuna
iniziativa dell’amministrazione comunale,
cui la norma demanda unicamente l’onere di
provvedere alla riscossione coattiva del
credito complessivo, costituito dal
contributo aumentato della sanzione.
Per giurisprudenza oramai assolutamente
costante il contributo relativo agli oneri
di urbanizzazione costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico posto a
carico del costruttore, connesso al rilascio
della concessione edilizia, a titolo di
partecipazione del concessionario ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione
all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae. Esso ha carattere
generale e prescinde totalmente
dall'esistenza, o meno, delle singole opere
di urbanizzazione, nel senso che viene
determinato indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere (fra le molte, cfr. Cons. Stato,
sez. V, 15.12.2005, n. 7140).
La liquidazione degli oneri di
urbanizzazione non necessita di alcuna
specifica motivazione, poiché essa consiste
nell'applicazione rigida di parametri
determinati da norme legislative o
regolamentari, quantomeno conoscibili
all'onerato (giurisprudenza pacifica, cfr.
Cons. Stato, sez. V, 09.02.2001, n. 584).
In via generale, l’obbligo di pagamento
delle sanzioni per il ritardato versamento
del contributo discende direttamente
dall’art. 3 della legge n. 47/1985, e non
necessita di alcuna iniziativa
dell’amministrazione comunale, cui la norma
demanda unicamente l’onere di provvedere
alla riscossione coattiva del credito
complessivo, costituito dal contributo
aumentato della sanzione
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 03.04.2009 n. 562 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
regola fondamentale in materia di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Pertanto, è illegittima la richiesta di
integrazione versamento oneri
successivamente al rilascio della
concessione edilizia.
Va detto del consolidato e condiviso
orientamento giurisprudenziale, seguito
anche da questo TAR (per tutte e solo per
citare le più recenti CGA, sez. giur.,
14.01.2009 n. 7 e 02.03.2007 n. 64; TAR
Sicilia-Palermo, I, 07.03.2007 n. 726,
21.08.2006 n. 1832, 02.01.2004 n. 1,
03.04.2002 n. 879), secondo il quale la
regola fondamentale in materia di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di
integrazione successive al rilascio della
concessione edilizia, che esporrebbero il
privato a conseguenze idonee ad incidere
pesantemente sulla sua sfera economica,
nella considerazione, fra l’altro, della
necessità di garantire la correttezza del
rapporto intercorrente tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato, soprattutto
allorquando la tempestiva conoscenza degli
oneri discrezionalmente imposti possa
indirizzare in un senso, piuttosto che in un
altro, le scelte dell’operatore economico
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 01.04.2009 n. 600 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
scelta tecnico-discrezionale
dell’Amministrazione nel quantificare gli
oneri di urbanizzazione da versare deve
precedere e non seguire il rilascio del
provvedimento autorizzatorio, essendo di
ordine generale che siano ben noti al
richiedente gli effetti e gli oneri
derivanti dal provvedimento, senza che
possano ammettersi ripensamenti successivi,
che esporrebbero il privato a conseguenze
idonee ad incidere pesantemente sulla sua
sfera economica.
La possibilità di correggere il tiro degli
oneri connessi al provvedimento adottato é
limitato all’emendamento di errori
riconoscibili sulla base di parametri certi
e predefiniti.
In tema di monetizzazione degli oneri di
costruzione, regola fondamentale è che la
scelta tecnico discrezionale
dell’Amministrazione preceda e non segua il
rilascio del provvedimento autorizzatorio,
essendo di ordine generale che siano ben
noti al richiedente gli effetti e gli oneri
derivanti dal provvedimento, senza che
possano ammettersi ripensamenti successivi,
che esporrebbero il privato a conseguenze
idonee ad incidere pesantemente sulla sua
sfera economica, nella considerazione, fra
l’altro, della esigenza del corretto
rapporto privato/Autorità, ogni qual volta
la tempestiva conoscenza degli oneri
discrezionalmente imposti possa indirizzare
in un senso piuttosto che in un altro le
scelte dell’operatore economico.
La possibilità di correggere il tiro degli
oneri connessi al provvedimento adottato é
limitato all’emendamento di errori
riconoscibili, sulla base di parametri certi
e predefiniti, senza potersi estendere a
facoltà discrezionali esclusivamente rimesse
alle scelte dell’Amministrazione ed a cui,
eventualmente, l’adozione del provvedimento
favorevole al privato deve essere
condizionata, prima ancora che, in forza del
provvedimento favorevole, ovvero l’oggetto
su cui originariamente ricadeva l’interesse
pretensivo, abbia subito la sua naturale
trasformazione in bene della vita, acquisito
(per effetto di tale provvedimento) alla
sfera soggettiva del richiedente.
Pur essendo corretta, peraltro, in linea di
principio la tesi espressa nell’appello
principale, secondo cui la presentazione di
un progetto di variante e di completamento
delle opere già previste nella concessione
in precedenza accordata e scaduta, è
sufficiente a legittimare il ripensamento
dell’Amministrazione, ed una differente
considerazione del carico urbanistico
-trattandosi di concessione che rimette in
gioco, interamente, le precedenti scelte-
l’equivoco in cui è incorso il Comune
consiste nel trarre, dal precedente
giurisprudenziale dallo stesso citato, il
convincimento che il carico urbanistico
possa essere legittimamente valutato in
relazione all’intera opera (ivi compresa
quella già quasi interamente realizzata
sulla base del progetto originario)
dovendosi, al contrario, accertare, l’entità
dell’aggravio, in rapporto all’opera “nuova”
costituita dalla variante e dal
completamento successivo alla scadenza della
concessione originaria (escluso quanto,
dell’oggetto in precedenza assentito, sia
stato, pressoché, interamente realizzato)
(CGARS,
sentenza 14.01.2009 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli oneri di urbanizzazione ed il
costo di costruzione differiscono
solamente per le modalità di adempimento,
mentre invece coincidono quanto al momento
che determina la nascita della obbligazione,
ancorata, in ambedue i casi, alla data del
rilascio della concessione edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che
possano essere applicate tabelle
parametriche diverse da quelle vigenti a
quel momento, ma esclude altresì la
possibilità per la Amministrazione che abbia
erroneamente determinato l’ammontare del
contributo di richiedere al privato
successivamente un importo a titolo di
conguaglio.
Costituisce orientamento consolidato della
giurisprudenza la affermazione che il
contributo di urbanizzazione ex art. 11,
secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10
deve essere determinato al momento del
rilascio della concessione ed è quindi a
tale momento che occorre avere riguardo per
la determinazione della entità del
contributo facendo perciò applicazione della
normativa vigente al momento del rilascio
del provvedimento concessorio (Sez. V
25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850,
06.12.1999 n. 2058, Sez. IV 19.07.2004 n.
5197).
Da tale affermazione di principio è stato
tratto il corollario della irretroattività
delle determinazioni comunali a carattere
regolamentare con cui vengono stabiliti i
criteri generali e le nuove tariffe e/o
modalità di calcolo per gli oneri di
urbanizzazione ribadendosi l’integrale
applicazione del principio tempus regit
actum e quindi la irrilevanza ed
ininfluenza di disposizioni tariffarie
sopravvenute (anche se di poco) rispetto al
momento del rilascio della concessione
edilizia (C.G.A.R.S. 07.08.2003 n. 289).
- - - - - - - - - -
Invero è
pacifico tra le parti che l’importo è stato
determinato dal Comune all’atto del rilascio
della concessione senza alcuna riserva di
successivo conguaglio e che tale importo è
stato integralmente corrisposto.
In proposito va osservato che l’articolo 11
della L. 10/1977 recepito dall’art. 1 della
legge regionale 71/1978 (applicabile
ratione temporis) stabilisce al primo e
secondo comma che il contributo di
urbanizzazione è corrisposto all’atto del
rilascio della concessione salvo scomputo
secondo modalità da concordare, mentre il
contributo concernente il costo di
costruzione, determinato con riferimento
alla data del rilascio, può essere
corrisposto in corso d’opera secondo
determinate modalità e garanzie.
Risulta quindi testualmente stabilito che le
due tipologie di contributi possono
differire solo per le modalità di
adempimento, mentre invece coincidono quanto
al momento che determina la nascita della
obbligazione, ancorata, in ambedue i casi,
alla data del rilascio della concessione
edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che
possano essere applicate tabelle
parametriche diverse da quelle vigenti a
quel momento, ma esclude altresì la
possibilità per la Amministrazione che abbia
erroneamente determinato l’ammontare del
contributo di richiedere al privato
successivamente un importo a titolo di
conguaglio.
In effetti, richiamando il carattere delle
controversie de quibus di cui è
pacificamente riconosciuta la natura
paritetica, appare difficilmente sostenibile
che la Amministrazione, in sede di
autotutela, possa richiedere a conguaglio
somme da essa erroneamente non pretese nel
momento in cui l’Amministrazione stessa
procedeva a determinare il quantum
della obbligazione a carico del privato.
In linea più generale va infatti
riconosciuto che l’esercizio dell’autotutela
in vicende aventi ad oggetto non tanto la
legittimità degli atti, quanto il rapporto
di credito e debito derivante dalla
applicazione di una determinata normativa,
non può non risultare condizionato dalle
disposizioni di carattere civilistico che
disciplinano il sorgere modificarsi ed
estinguersi dei reciproci diritti ed
obblighi.
Se infatti è esatto che in tali vicende
l’Amministrazione, pur rimanendo depositaria
di pubblici interessi, interviene tuttavia
senza esercitare poteri autoritativi, ma
alla stessa stregua di un soggetto privato,
ne consegue che anche la classica autotutela
amministrativa può trovare cittadinanza solo
compatibilmente con il regime paritetico nel
quale l’Amministrazione stessa opera.
Tale principio risulta già sostanzialmente
riconoscibile nella giurisprudenza attuale
in materia di ripetizione di somme
corrisposte erroneamente a pubblici
dipendenti. La affermazione che in tal caso
l’interesse pubblico è in re ipsa e
che non occorre alcuna specifica motivazione
corrisponde in realtà al principio
civilistico che, all’art. 2033 c.c.,
disciplina l’indebito oggettivo (cfr., in
questo senso, C.d.S.,VI, 10.02.1999, n. 120;
C.d.S., VI, 20.02.2002, n. 1045; C.d.S., V,
14.05.2003, n. 2560; C.d.S., V, 23.03.2004,
n. 1535; C.d.S., 23.11.2004, n. 7680).
Nel caso di specie la situazione appare
rovesciata in quanto l’Amministrazione non
ha erroneamente corrisposto una somma
superiore rispetto a quanto era tenuta a
versare, bensì ha richiesto una somma
inferiore rispetto a quanto aveva il potere
di esigere.
Applicando a questa fattispecie i canoni
civilistici si premette innanzitutto che ai
sensi del citato articolo 11 della legge
10/1977 la determinazione dell’obbligazione
pecuniaria era a carico esclusivamente
dell’Amministrazione creditrice.
Si premette altresì che l’Amministrazione,
ancorché erroneamente, ha tuttavia
unilateralmente determinato l’importo che
poi è stato richiesto al privato e da questi
integralmente soddisfatto.
Sul piano strettamente civilistico il
pagamento rappresenta peraltro la modalità
principale di estinzione delle obbligazioni,
salva la possibile rilevanza ostativa di una
causa di violenza, dolo o errore. Escluse le
prime due categorie, l’unica che, in
ipotesi, potrebbe venire in considerazione è
l’errore, la cui disciplina, peraltro, così
come enucleabile dagli artt. 1427 e segg.
del codice civile, non sembrerebbe
attagliarsi alla posizione
dell’Amministrazione in veste di creditore.
L’errore infatti per acquisire rilevanza in
tema di adempimento delle obbligazioni
dovrebbe rivestire i caratteri della
essenzialità e della riconoscibilità.
Quanto alla riconoscibilità (art. 1431
c.c.), è lecito dubitare della ricorrenza di
tale carattere considerando che la
determinazione del contenuto
dell’obbligazione incombe
all’Amministrazione ed in particolare
all’ente locale territoriale che
istituzionalmente provvede alla disciplina
dei criteri generali ed all’applicazione
concreta dei medesimi alle singole
fattispecie.
In tale situazione, salvo casi macroscopici
di evidenza ictu oculi, non
ricorrenti nella fattispecie in esame, è
difficile ipotizzare che l’eventuale errore
dell’Amministrazione sia riconoscibile dal
privato il quale, del tutto naturalmente,
viene indotto a prestare affidamento alla
correttezza dell’autoliquidazione del
proprio credito da parte della stessa
Amministrazione creditrice.
Infine, non va dimenticato che la
giurisprudenza, sia civile che
amministrativa, sottolinea come in generale
la riconoscibilità dell’errore deve essere
oggettiva e quindi percepibile da qualsiasi
terzo, il che si verifica quando l’errore
cada sulla esistenza di un fatto.
La riconoscibilità non potrebbe invece avere
carattere soggettivo e riferirsi ad errori
di valutazione o di apprezzamento (sia di
fatti che della portata di norme giuridiche)
perché ciò implicherebbe valutazioni
soggettive non obiettivamente percepibili da
terzi (v. Cass. Sez. Un. 08.01.1981 n. 180,
Cass. 01.03.1995 n. 2340, 29.08.1996 n.
7626, C.d.S. Sez. VI 21.05.2001 n. 2807).
Non sembra dubbio che nel caso di specie
l’errore consista, se mai, nel valutare in
un certo modo la applicabilità temporale di
determinate disposizioni.
D’altra parte, va altresì considerato che
nella specie l’errore in cui è incorsa
l’Amministrazione non è un errore di fatto o
un errore di calcolo ex art. 1430 c.c.,
bensì un tipico errore di diritto
consistente nell’applicazione (per gli oneri
di urbanizzazione) di tariffe relative ad un
periodo antecedente rispetto a quelle
applicabili, ovvero nel riconoscimento (per
il costo di costruzione) di un abbattimento
percentuale delle medesime, abbattimento non
più applicabile ratione temporis.
Orbene, com’è noto, la disciplina
dell’errore di diritto è valutata con minore
favore dal legislatore civilistico poiché
tale errore rileva, ex art. 1429 n. 4 c.c.,
solo allorché sia stato la ragione unica o
principale del contratto.
Nella specie ciò non appare predicabile,
essendo evidente che la ragione determinante
dell’obbligazione risiede da un lato
nell’interesse pubblico generale ad una
corretta urbanizzazione del territorio e,
dall’altro, all’interesse privato
particolare della realizzazione dello
sfruttamento edilizio della proprietà
fondiaria.
Esclusa quindi la rilevanza dell’errore, sia
perché non riconoscibile sia perché comunque
non essenziale, e sottolineato ancora una
volta che la determinazione dell’ammontare
dell’obbligazione è posta dalla legge a
carico dell’Amministrazione creditrice, ne
discende che la medesima rimane vincolata al
contenuto della propria manifestazione di
volontà a titolo di autoresponsabilità per
l’affidamento incolpevole ingenerato nel
soggetto obbligato.
Con l’ulteriore conseguenza che se
l’obbligato adempie in buona fede (rectius:
senza poter ragionevolmente riconoscere
l’errore in cui eventualmente sia incorsa
l’Amministrazione che ha operato la
liquidazione del quantum debeatur)
l’obbligazione richiestagli, l’esatto
adempimento, alla stregua dei principi
generali, estingue defi-nitivamente
l’obbligazione.
L’appellante, peraltro, a sostegno della
propria tesi richiama due precedenti della
Sez. V 25.04.1966 n. 426 e 06.05.1997 n.
458.
Nel primo di questi il potere di revisione
nella materia de qua viene
apoditticamente ricondotto al generale
potere di autotutela e ciò indipendentemente
dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi
elementi o dalla insorgenza di nuovi fatti.
Nella specie la Amministrazione aveva
erroneamente sottovalutato la capacità
inquinante di un impianto industriale.
Nella seconda decisione il tema è stato
invece affrontato con maggiore
approfondimento sistematico.
- - - - - - - - - -
Dopo aver richiamato il precedente della
Sezione dianzi citato, la decisione 458/1997
afferma che, in base alla lettera ed alla
ratio dell’art. 11 L. 10/1977 “il
momento in cui viene rilasciata al
concessione individua il termine ultimo di
pagamento del contributo, ma non già il
tempo oltre il quale resterebbe preclusa
all’Amministrazione comunale la facoltà di
stabilire o rideterminare la misura del
credito”.
Ciò premesso, la decisione prosegue negando
che nella materia de qua sia
possibile applicare in via analogica
principi dettati in materia pensionistica.
Assume poi che nel settore fiscale non
sarebbero ricavabili principi ostativi al
potere di revisione del contributo in
autotutela, come sarebbe dimostrato dai
poteri di accertamento e rettifica
attribuiti alla Amministrazione e la cui
limitazione, con termini di decadenza più o
meno brevi, sarebbe bilanciato anche da
brevi termini di decadenza a carico del
contribuente per le corrispondenti
impugnative.
La decisione, quindi, rilevato che la
giurisprudenza qualifica come paritetico
l’atto con cui viene richiesto il contributo
ed ammette l’interessato a contestarne
l’importo nel termine ordinario di
prescrizione afferma che, coerentemente,
analogo potere dovrebbe essere riconosciuto
all’Amministrazione. Se poi si volesse
individuare un termine decadenziale a carico
dell’Amministrazione lo stesso dovrebbe, se
mai, essere ricercato per analogia e
potrebbe essere ricavato dal limite
prescrizionale di 36 mesi posto dall’art. 35
della L. 47/1985 al potere
dell’Amministrazione di chiedere il
conguaglio in relazione alle domande di
concessione in sanatoria.
Le tesi esposte nella anzidetta decisione,
benché acutamente sostenute, non appaiono
peraltro al Collegio completamente
soddisfacenti.
Innanzitutto la vicenda va precisata nei
suoi termini concreti.
I contributi di cui all’articolo 11 della L.
10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a
differenza di altre fattispecie normative,
non vengono determinati in via
dichiaratamente provvisoria al momento della
domanda dell’interessato e quindi non sono
necessariamente richiesti salvo conguaglio,
come ad esempio nella fattispecie della
domanda di concessione in sanatoria (art. 35
L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de
quibus è stato infatti collocato
temporalmente dal legislatore al termine di
un lungo e complesso procedimento che prende
le mosse da una dettagliata e circostanziata
domanda del privato, cui fa seguito una
complessa istruttoria da parte
dell’Amministrazione, nel corso della quale
l’Amministrazione stessa può chiedere
all’interessato tutti i chiarimenti e gli
ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione
non è quindi equiparabile sotto nessun
profilo al momento della domanda di
concessione in sanatoria. In quest’ultimo
caso l’Amministrazione si trova di fronte ad
una attività già posta in essere dal
richiedente e ad una richiesta di
legittimazione a posteriori di tale attività
e non può quindi che riservarsi ad un
momento futuro il controllo sulla
corrispondenza tra il fatto compiuto e la
domanda.
Del tutto diversa è la situazione della
concessione in via ordinaria in cui si
tratta di legittimare una attività allo
stato ancora inesistente ed in cui
l’Amministrazione, prima di rimuovere
l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed
il dovere di verifica e di accertamento
sotto ogni profilo della legittimità della
richiesta del privato.
Così inquadrata la fattispecie sembra più
agevole dedurne le conseguenze ai fini che
qui interessano.
Innanzitutto il collegamento normativo tra
momento del rilascio della concessione e
determinazione dei contributi evidenzia il
parallelismo tra la attività di controllo e
verifica operata dalla Amministrazione
innanzitutto sulla domanda concessoria del
privato, e, in concomitanza, sul
corrispondente ammontare dei contributi che
di conseguenza il richiedente è tenuto a
corrispondere all’atto del rilascio del
titolo abilitativo.
Se ciò è esatto, sembrerebbe che il
legislatore, quanto meno a regime, abbia
riconosciuto all’Amministrazione il potere
ed il corrispondente dovere di effettuare il
controllo e la verifica e di stabilire il
quantum dovuto preventivamente al
rilascio della concessione.
Pertanto non sembra del tutto convincente la
affermazione contenuta nella citata
decisione della Sez. V n. 458/1997 secondo
cui l’art. 11 disciplinerebbe soltanto il
momento del pagamento del contributo al fine
di consentire al Comune la realizzazione
delle opere di urbanizzazione.
In proposito il Collegio osserva
innanzitutto che il pagamento del contributo
al Comune presuppone necessariamente la
predeterminazione del quantum e non
può ovviamente essere effettuato se non a
seguito della anzidetta previa
determinazione.
Tale determinazione, d’altro canto, non può
essere effettuata altro che dal Comune
medesimo.
Il secondo comma dell’art. 11 relativo al
contributo stabilisce infatti che “la
quota … è determinata all’atto del rilascio
della concessione ed è corrisposta nel corso
d’opera”.
Per il contributo relativo ad oneri di
urbanizzazione il primo comma dell’art. 11
si limita invece a stabilire che “la
quota … è corrisposta al Comune all’atto del
rilascio della concessione”.
Dalla differente dizione letterale non
sembra peraltro condurre a ritenere un
regime differenziato tra il contributo per
costo di costruzione e quello per oneri di
urbanizzazione.
In ambedue i casi l’importo dovuto dal
privato deve essere predeterminato
dall’Amministrazione.
Ciò risulta in modo inequivocabile dal
rinvio operato nel primo e secondo comma
dell’art. 11 rispettivamente ai precedenti
articoli 5 e 6 rubricati “Determinazione
degli oneri di concessione” e “Determinazione
del costo di costruzione”.
Pertanto il Collegio ritiene che da una
esegesi sistematica del primo e secondo
comma dell’art. 11, in relazione anche ai
precedenti articoli 5 e 6, risulti che il
legislatore abbia voluto disporre che la
Amministrazione, prima di rilasciare la
concessione, determini gli oneri da porre a
carico al privato e ne richieda il pagamento
integrale al momento del rilascio del titolo
abilitativo, salve le ipotesi di
rateizzazione o scomputo espressamente
previste dal primo e secondo comma del
medesimo articolo 11 L. 10/1977 (v. C.d.S.
Sez. VI 18.03.2004 n. 1435, C.d.S. Sez. V
13.03.2003 n. 3332), ovvero salvo espressa
riserva di conguaglio (C.G.A. parere SS.RR.
392/1995 e Sez. Giur. 131/1996) riserva
nella specie peraltro inesistente.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto
nella decisione invocata dall’appellante, in
questo caso la verifica, l’accertamento e la
determinazione del debito a carico del
privato non è posposta dalla legge al
pagamento di un importo provvisorio, ma, al
contrario, è testualmente collocata in un
momento anteriore e cioè in concomitanza,
come già osservato, con il controllo e la
verifica della domanda di concessione
edilizia rispetto alla quale costituisce un
corollario consequenziale e ne presuppone,
di regola, la determinazione del quantum in
via definitiva (CGARS,
sentenza
18.05.2007 n. 365 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
concessione edilizia deve precisare
l’importo degli eventuali oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione da
versare per consentire all’interessato una
consapevole valutazione dell’onere
finanziario che va ad affrontare.
Il C.G.A.R.S., con sentenza n. 235 del
05.07.1996, ha avuto modo di affermare che “il
provvedimento amministrativo che facoltizza
il privato all’esercizio di una attività
economica subordinatamente all’effettuazione
di una controprestazione pecuniaria deve
precisare l’importo di tale
controprestazione, per consentire
all’interessato una consapevole valutazione
dell’onere finanziario che va ad
affrontare...” ed ha ritenuto legittima
la rideterminazione retroattiva degli oneri
di urbanizzazione applicabili alle
concessioni recanti la clausola “salvo
conguaglio” ed invece illegittima la
rideterminazione retroattiva del costo di
costruzione non preventivamente accettata
dall’interessato
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 07.03.2007 n. 726 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Va
esclusa la possibilità di applicare tabelle
parametriche diverse da quelle vigenti al momento
di rilascio della concessione edilizia, ma
va esclusa altresì la
possibilità per la Amministrazione -che abbia
erroneamente determinato l’ammontare del
contributo- di richiedere al privato,
successivamente, un importo a titolo di
conguaglio.
Costituisce inoltre orientamento consolidato
della giurisprudenza la affermazione che il
contributo di urbanizzazione ex art. 11,
secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10
deve essere determinato al momento del
rilascio della concessione ed è quindi a
tale momento che occorre avere riguardo per
la determinazione della entità del
contributo facendo perciò applicazione della
normativa vigente al momento del rilascio
del provvedimento concessorio (sez. V 25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850,
06.12.1999 n. 2058, sez. IV 19.07.2004 n. 5197).
Da tale affermazione di principio è stato
tratto il corollario della irretroattività
delle determinazioni comunali a carattere
regolamentare con cui vengono stabiliti i
criteri generali e nuove tariffe e/o
modalità di calcolo per gli oneri di
urbanizzazione ribadendosi l’integrale
applicazione del principio tempus regit
actum e quindi la irrilevanza ed ininfluenza
di disposizioni tariffarie sopravvenute
(anche se di poco) rispetto al momento del
rilascio della concessione edilizia (C.G.A.
07.08.2003 n. 289).
- - - - - - - - - -
E'
pacifico tra le parti che l’importo è stato
determinato dal Comune all’atto del rilascio
della concessione senza alcuna riserva di
successivo conguaglio e che tale importo è
stato integralmente corrisposto.
In proposito va osservato che l’articolo 11
della L. 10/1977 recepito dall’art. 1 della
legge regionale 71/1978 (applicabile
ratione temporis) stabilisce al primo e
secondo comma che il contributo di
urbanizzazione è corrisposto all’atto del
rilascio della concessione salvo scomputo
secondo modalità da concordare, mentre il
contributo concernente il costo di
costruzione, determinato con riferimento
alla data del rilascio, può essere
corrisposto in corso d’opera secondo
determinate modalità e garanzie.
Risulta quindi testualmente stabilito che le
due tipologie di contributi possono
differire solo per le modalità di
adempimento, mentre invece coincidono quanto
al momento che determina la nascita della
obbligazione, ancorata, in ambedue i casi,
alla data del rilascio della concessione
edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che
possano essere applicate tabelle
parametriche diverse da quelle vigenti a
quel momento, ma esclude altresì la
possibilità per la Amministrazione che abbia
erroneamente determinato l’ammontare del
contributo di richiedere al privato
successivamente un importo a titolo di
conguaglio.
In effetti, richiamando il carattere delle
controversie de quibus di cui è
pacificamente riconosciuta la natura
paritetica, appare difficilmente
sostenibile che la Amministrazione, in sede
di autotutela, possa richiedere a conguaglio
somme da essa erroneamente non pretese nel
momento in cui l’Amministrazione stessa
procedeva a determinare il quantum della
obbligazione a carico del privato.
In linea più generale va infatti
riconosciuto che l’esercizio dell’autotutela
in vicende aventi ad oggetto non tanto la
legittimità degli atti, quanto il rapporto
di credito e debito derivante dalla
applicazione di una determinata normativa,
non può non risultare condizionato dalle
disposizioni di carattere civilistico che
disciplinano il sorgere modificarsi ed
estinguersi dei reciproci diritti ed
obblighi.
Se infatti è esatto che in tali vicende
l’Amministrazione, pur rimanendo depositaria
di pubblici interessi, interviene tuttavia
senza esercitare poteri autoritativi, ma
alla stessa stregua di un soggetto privato,
ne consegue che anche la classica autotutela
amministrativa può trovare cittadinanza solo
compatibilmente con il regime paritetico nel
quale l’Amministrazione stessa opera.
Tale principio risulta già sostanzialmente
riconoscibile nella giurisprudenza attuale
in materia di ripetizione di somme
corrisposte erroneamente a pubblici
dipendenti. La affermazione che in tal caso
l’interesse pubblico è in re ipsa e che non
occorre alcuna specifica motivazione
corrisponde in realtà al principio
civilistico che, all’art. 2033 c.c.,
disciplina l’indebito oggettivo (cfr., in
questo senso, C.d.S., VI, 10.02.1999, n. 120;
C.d.S., VI, 20.02.2002, n. 1045; C.d:S., V,
14.05.2003, n. 2560; C.d.S., V, 23.03.2004, n.
1535; C.d.S., 23.11.2004, n. 7680).
Nel caso di specie la situazione appare
rovesciata in quanto l’Amministrazione non
ha erroneamente corrisposto una somma
superiore rispetto a quanto era tenuta a
versare, bensì ha richiesto una somma
inferiore rispetto a quanto aveva il potere
di esigere.
Applicando a questa fattispecie i canoni
civilistici si premette innanzitutto che ai
sensi del citato articolo 11 della legge
10/1977 la determinazione dell’obbligazione
pecuniaria era a carico esclusivamente
dell’Amministrazione creditrice.
Si premette altresì che l’Amministrazione,
ancorché erroneamente, ha tuttavia
unilateralmente determinato l’importo che
poi è stato richiesto al privato e da questi
integralmente soddisfatto.
Sul piano strettamente civilistico il
pagamento rappresenta peraltro la modalità
principale di estinzione delle obbligazioni,
salva la possibile rilevanza ostativa di una
causa di violenza, dolo o errore. Escluse le
prime due categorie, l’unica che, in
ipotesi, potrebbe venire in considerazione è
l’errore, la cui disciplina, peraltro, così
come enu-cleabile dagli artt. 1427 e segg.
del codice civile, non sembrerebbe
attagliarsi alla posizione
dell’Amministrazione in veste di creditore.
L’errore infatti per acquisire rilevanza in
tema di adempimento delle obbligazioni
dovrebbe rivestire i caratteri della
essenzialità e della riconoscibilità.
Quanto alla riconoscibilità (art. 1431
c.c.), è lecito dubitare della ricorrenza
di tale carattere considerando che la
determinazione del contenuto
dell’obbligazione incombe
all’Amministrazione ed in particolare
all’ente locale territoriale che
istituzionalmente provvede alla disciplina
dei criteri generali ed all’applicazione
concreta dei medesimi alle singole
fattispecie.
In tale situazione, salvo casi macroscopici
di evidenza ictu oculi, non
ricorrenti nella fattispecie in esame, è
difficile ipotizzare che l’eventuale errore
dell’Amministrazione sia riconoscibile dal
privato il quale, del tutto naturalmente,
viene indotto a prestare affidamento alla
correttezza dell’autoliquidazione del
proprio credito da parte della stessa
dell’Amministrazione creditrice.
Infine, non va dimenticato che la
giurisprudenza, sia civile che
amministrativa, sottolinea come in generale
la riconoscibilità dell’errore deve essere
oggettiva e quindi percepibile da qualsiasi
terzo, il che si verifica quando l’errore
cada sulla esistenza di un fatto.
La riconoscibilità non potrebbe invece avere
carattere soggettivo e riferirsi ad errori
di valutazione o di apprezzamento (sia di
fatti che della portata di norme giuridiche)
perché ciò implicherebbe valutazioni
soggettive non obiettivamente percepibili da
terzi (v. Cass. Sez. Un. 08.01.1981 n.
180, Cass. 01.03.1995 n. 2340, 29.08.1996 n. 7626, C.d.S. sez. VI 21.05.2001
n. 2807).
Non sembra dubbio che nel caso di specie
l’errore consista, se mai, nel valutare in
un certo modo la applicabilità temporale di
determinate disposizioni.
D’altra parte, va altresì considerato che
nella specie l’errore in cui è incorsa
l’Amministrazione non è un errore di fatto o
un errore di calcolo ex art. 1430 c.c.,
bensì un tipico errore di diritto
consistente nell’applicazione (per gli oneri
di urbanizzazione) di tariffe relative ad un
periodo antecedente rispetto a quelle
applicabili, ovvero nel riconoscimento (per
il costo di costruzione) di un abbattimento
percentuale delle medesime, abbattimento non
più applicabile ratione temporis.
Orbene, com’è noto, la disciplina
dell’errore di diritto è valutata con
minore favore dal legislatore civilistico
poiché tale errore rileva, ex art. 1429 n.
4 c.c., solo allorché sia stato la ragione
unica o principale del contratto.
Nella specie ciò non appare predicabile,
essendo evidente che la ragione determinante
dell’obbligazione risiede da un lato
nell’interesse pubblico generale ad una
corretta urbanizzazione del territorio e,
dall’altro, all’interesse privato
particolare della realizzazione dello
sfruttamento edilizio della proprietà
fondiaria.
Esclusa quindi la rilevanza dell’errore, sia
perché non riconoscibile sia perché
comunque non essenziale, e sottolineato
ancora una volta che la determinazione
dell’ammontare dell’obbligazione è posta
dalla legge a carico dell’Amministrazione
creditrice, ne discende che la medesima
rimane vincolata al contenuto della propria
manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l’affidamento
incolpevole ingenerato nel soggetto
obbligato.
Con l’ulteriore conseguenza che se
l’obbligato adempie in buona fede (rectius:
senza poter ragionevolmente riconoscere
l’errore in cui eventualmente sia incorsa
l’Amministrazione che ha operato la
liquidazione del quantum debeatur)
l’obbligazione richiestagli, l’esatto
adempimento, alla stregua dei principi
generali, estingue definitivamente
l’obbligazione.
L’appellante, peraltro, a sostegno della
propria tesi richiama due precedenti della
sez. V, 25.04.1966 n. 426 e 06.05.1997 n. 458.
Nel primo di questi il potere di revisione
nella materia de qua viene apoditticamente
ricondotto al generale potere di autotutela
e ciò indipendentemente dalla sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi o dalla
insorgenza di nuovi fatti.
Nella specie la Amministrazione aveva
erroneamente sottovalutato la capacità
inquinante di un impianto industriale.
Nella seconda decisione il tema è stato
invece affrontato con maggiore
approfondimento sistematico.
Dopo aver richiamato il precedente della
Sezione dianzi citato, la decisione 458/1997
afferma che, in base alla lettera ed alla
ratio dell’art. 11 L. 10/1977 “il momento in
cui viene rilasciata al concessione
individua il termine ultimo di pagamento del
contributo, ma non già il tempo oltre il
quale resterebbe preclusa
all’Amministrazione comunale la facoltà di
stabilire o rideterminare la misura del
credito”.
Ciò premesso, la decisione prosegue negando
che nella materia de qua sia possibile
applicare in via analogica principi dettati
in materia pensionistica.
Assume poi che nel settore fiscale non
sarebbero ricavabili principi ostativi al
potere di revisione del contributo in
autotutela, come sarebbe dimostrato dai
poteri di accertamento e rettifica
attribuiti alla Amministrazione e la cui
limitazione, con termini di decadenza più o
meno brevi, sarebbe bilanciato anche da
brevi termini di decadenza a carico del
contribuente per le corrispondenti
impugnative.
La decisione, quindi, rilevato che la
giurisprudenza qualifica come paritetico
l’atto con cui viene richiesto il contributo
ed ammette l’interessato a contestarne
l’importo nel termine ordinario di
prescrizione afferma che, coerentemente,
analogo potere dovrebbe essere riconosciuto
all’Amministrazione. Se poi si volesse
individuare un termine decadenziale a carico
dell’Amministrazione lo stesso dovrebbe, se
mai, essere ricercato per analogia e
potrebbe essere ricavato dal limite
prescrizionale di 36 mesi posto dall’art. 35
della L. 47/1985 al potere
dell’Amministrazione di chiedere il
conguaglio in relazione alle domande di
concessione in sanatoria.
Le tesi esposte nella anzidetta decisione,
benché acutamente sostenute, non appaiono
peraltro al Collegio completamente
soddisfacenti.
Innanzitutto la vicenda va precisata nei
suoi termini concreti.
I contributi di cui all’articolo 11 della L.
10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a
differenza di altre fattispecie normative,
non ven-gono determinati in via
dichiaratamente provvisoria al momento della
domanda dell’interessato e quindi non sono
necessariamente richiesti salvo conguaglio,
come ad esempio nella fattispecie della
domanda di concessione in sanatoria (art. 35
L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è
stato infatti collocato temporalmente dal
legislatore al termine di un lungo e
complesso procedimento che prende le mosse
da una dettagliata e circostanziata domanda
del privato, cui fa seguito una complessa
istruttoria da parte dell’Amministrazione,
nel corso della quale l’Amministrazione
stessa può chiedere interessato tutti i
chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui
abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione
non è quindi equiparabile sotto nessun
profilo al momento della domanda di
concessione in sanatoria. In quest’ultimo
caso l’Amministrazione si trova di fronte ad
una attività già posta in essere dal
richiedente e ad una richiesta di
legittimazione a posteriori di tale attività
e non può quindi che riservarsi ad un
momento futuro il controllo sulla
corrispondenza tra il fatto compiuto e la
domanda.
Del tutto diversa è la situazione della
concessione in via ordinaria in cui si
tratta di legittimare una attività allo
stato ancora inesistente ed in cui
l’Amministrazione, prima di rimuovere
l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed
il dovere di verifica e di accertamento
sotto ogni profilo della legittimità della
richiesta del privato.
Così inquadrata la fattispecie sembra più
agevole dedurne le conseguenze ai fini che
qui interessano.
Innanzitutto il collegamento normativo tra
momento del rilascio della concessione e
determinazione dei contributi evidenzia il
parallelismo tra la attività di controllo e
verifica operata dalla Amministrazione
innanzitutto sulla domanda concessoria del
privato, e, in concomitanza, sul
corrispondente ammontare dei contributi che
di conseguenza il richiedente è tenuto a
corrispondere all’atto del rilascio del
titolo abilitativo.
Se ciò è esatto, sembrerebbe che il
legislatore, quanto meno a regime, abbia
riconosciuto all’Amministrazione il potere
ed il corrispondente dovere di effettuare
il controllo e la verifica e di stabilire il
quantum dovuto preventivamente al rilascio
della concessione.
Pertanto non sembra del tutto convincente la
affermazione contenuta nella citata
decisione della sez. V n. 458/1997 secondo
cui l’art. 11 disciplinerebbe soltanto il
momento del pagamento del contributo al
fine di consentire al Comune la
realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In proposito il Collegio osserva
innanzitutto che il pagamento del contributo
al Comune presuppone necessariamente la
predeterminazione del quantum e non può
ovviamente essere effettuato se non a
seguito della anzidetta previa
determinazione.
Tale determinazione, d’altro canto, non può
essere effettuata altro che dal Comune
medesimo.
Il secondo comma dell’art. 11 relativo al
contributo stabilisce infatti che “la quota
… è determinata all’atto del rilascio della
con-cessione ed è corrisposta nel corso
d’opera”.
Per il contributo relativo ad oneri di
urbanizzazione il primo comma dell’art. 11
si limita invece a stabilire che “la quota …
è corrisposta al Comune all’atto del
rilascio della concessione”.
Dalla differente dizione letterale non
sembra peraltro condurre a ritenere un
regime differenziato tra il contributo per
costo di costruzione e quello per oneri di
urbanizzazione.
In ambedue i casi l’importo dovuto dal
privato deve essere predeterminato
dall’Amministrazione.
Ciò risulta in modo inequivocabile del
rinvio operato nel primo e secondo comma
dell’art. 11 rispettivamente ai precedenti
articoli 5 e 6 rubricati “Determinazione
degli oneri di concessione” e
“Determinazione del costo di costruzione”.
Pertanto il Collegio ritiene che da una
esegesi sistematica del primo e secondo
comma dell’art. 11, in relazione anche ai
precedenti articoli 5 e 6, risulti che il
legislatore abbia voluto disporre che la
Amministrazione, prima di rilasciare la
concessione, determini gli oneri da porre a
carico al privato e ne richieda il pagamento
integrale al momento del rilascio del titolo
abilitativo, salve le ipotesi di
rateiz-zazione o scomputo espressamente
previste dal primo e secondo comma del
medesimo articolo 11 L. 10/1977 (v. C.d.S.
sez. VI, 18.03.2004 n. 1435, C.d.S. sez.
V, 13.03.2003 n. 3332), ovvero salvo
espressa riserva di conguaglio (C.G.A.
parere SS.RR. 392/1995 e Sez. Giur.
131/1996) riserva nella specie peraltro
inesistente.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto
nella decisione invocata dall’appellante, in
questo caso la verifica, l’accertamento e la
determinazione del debito a carico del
privato non è posposta dalla legge al
pagamento di un importo provvisorio, ma, al
contrario, è testualmente collocata in un
momento anteriore e cioè in concomitanza,
come già osservato, con il controllo e la
verifica della domanda di con-cessione
edilizia rispetto alla quale costituisce un
corollario conse-quenziale e ne presuppone,
di regola, la determinazione del quantum in
via definitiva (CGARS,
sentenza
02.03.2007 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier VINCOLO CIMITERIALE |
URBANISTICA: La
salvaguardia dell'area di rispetto
cimiteriale si pone alla stregua di un
vincolo assoluto di inedificabilità che non
consente in alcun modo l'allocazione sia di
edifici che di opere incompatibili col
vincolo medesimo.
Occorre premettere, quanto al vincolo
cimiteriale, che la salvaguardia dell'area
di rispetto cimiteriale di 200 metri
prevista dall'art. 338 T.U. 27.07.1934 n.
1265 si pone alla stregua di un vincolo
assoluto di inedificabilità che non consente
in alcun modo l'allocazione sia di edifici
che di opere incompatibili col vincolo
medesimo, in considerazione dei molteplici
interessi pubblici che tale fascia di
rispetto intende tutelare e che possono
enuclearsi nelle esigenze di natura igienico
sanitaria, nella salvaguardia della
peculiare sacralità che connota i luoghi
destinati all'inumazione e alla sepoltura,
nel mantenimento di un'area di possibile
espansione della cinta cimiteriale
(giurisprudenza pacifica: cfr., da ultimo,
CdS, V, 03.05.2007 n. 1933; IV, 12.03.2007
n. 1185).
Si consideri ancora che il vincolo di
rispetto cimiteriale, riguarda non solo i
centri abitati, ma anche i fabbricati sparsi
(cfr. TAR Milano, II, 06.10.1993 n. 551).
Infine, che lo stesso vincolo preclude il
rilascio della concessione, anche in
sanatoria (ai sensi dell'art. 33 L.
28.02.1985 n. 47), senza necessità di
compiere valutazioni in ordine alla concreta
compatibilità dell'opera con i valori
tutelati dal vincolo (cfr. Cons. Stato, V,
03.05.2007 n. 1934) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 07.02.2008 n. 325 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il
divieto
di costruire nuovi edifici nella fascia di
rispetto cimiteriale integra un vincolo di
inedificabilità assoluta.
Le finalità perseguite dalla normativa (cfr.
attualmente art. 28 l. 01.08.2002 n. 166) in
tema di vincolo cimiteriale sono di
superiore rilievo pubblicistico e rivolte
essenzialmente a garantire la futura
espansione del cimitero, a garantire il
decoro di un luogo di culto nonché, non da
ultimo, assicurare una cintura sanitaria
attorno a luoghi per loro natura insalubri.
Circa
l'indubbia natura “assoluta” del vincolo di
inedificabilità cimiteriale, il Collegio non
condivide l’orientamento di una parte della
giurisprudenza secondo cui la fascia di
rispetto cimiteriale: “non comporta ex se
un'inedificabilità assoluta ma è l'Autorità
preposta alla tutela del vincolo che, in
sede di formulazione del parere, deve
specificare i motivi ostativi alla
realizzazione del singolo manufatto e ciò in
quanto la presenza di alcuni edifici
all'interno della zona di rispetto
cimiteriale non concreta di per sé una
violazione della distanza minima, posto che
questa è fissata dall'art. 338 del T.U.
27.07.1934 n. 1265, in relazione ai centri
abitati, e non ai fabbricati sparsi che non
possono ricondursi ai primi.” (così: TAR
Trentino Alto Adige-Trento, sent. n. 64 del
02.04.1997; in termini: CdS, sez. IV sent.
n. 775 del 16.09.1993; TAR Trentino Alto
Adige-Trento, sent. n. 336 del 01.08.1994.
Nel senso che la distanza minima, oltre la
quale deve essere collocato il cimitero,
fissata dall'art. 338 della legge citata, si
riferisce ai centri abitati e che, pertanto,
la presenza di alcuni edifici all'interno
della zona di rispetto non concreta di per
sé una violazione di tale distanza, cfr.
C.d.S. n. 775/1993; Tar Emilia
Romagna-Bologna, I sez. 27.09.1997, n. 622;
Tar Marche 12.08.1997, n. 677; Tar
Campania-Napoli, 09.06.1997, n. 1503).
Il Collegio condivide l’orientamento della
giurisprudenza secondo cui il divieto di
costruire nuovi edifici, di cui alla
normativa sopra citata, integri un vincolo
di inedificabilità assoluta (così: C.d.S.
sez. IV 12.03.2007 n. 1185, C.d.S., sez. V,
12.11.1999, n. 1871; CdS, sez. II, parere
28.02.1996, n. 3031/1995; Tar
Lombardia-Milano, 11.07.1997 n. 1253; Tar
Toscana, I sezione, 29.09.1994, n. 471). Ciò
in quanto le finalità perseguite dalla
normativa (cfr. attualmente art. 28 l.
01.08.2002 n. 166) in tema di vincolo
cimiteriale sono di superiore rilievo
pubblicistico e rivolte essenzialmente a
garantire la futura espansione del cimitero,
a garantire il decoro di un luogo di culto
nonché, non da ultimo, assicurare una
cintura sanitaria attorno a luoghi per loro
natura insalubri. Trattasi, quindi, di una
limitazione legale della proprietà a
carattere assoluto, direttamente incidente
sul bene e non suscettibile di deroghe di
fatto, siccome riconducibile a previsione
generale, concernente tutti i cittadini, in
quanto proprietari di beni che si trovino in
una determinata situazione, e perciò
individuabili a priori (cfr Cass. Civ. sez.
I, 29.11.2006 n. 25364). La natura assoluta
del vincolo non si pone in contraddizione
logica con la possibilità che nell’area
indicata insistano delle preesistenze, e/o
che ad esse vengano assegnate destinazioni
compatibili con la esistenza del vincolo
(Cass. Civ. sez. I, 16.07.1997, n. 6510), ma
essa mira essenzialmente ad impedire
l’ulteriore addensamento edilizio dell’area
giudicato ex lege incompatibile con le
prioritarie esigenze di tutela
igienico-sanitaria, e di tutela del culto
sottese alla imposizione del vincolo
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 29.11.2007 n. 15615 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Il
vincolo cimiteriale è perpetuo e la sua
reiterazione nel P.R.G., peraltro meramente
ricognitiva, non dà luogo ad indennizzo
alcuno.
Il vincolo
cimiteriale è perpetuo, ex art. 338 del R.D.
27.07.1934, n. 1265 (da ultimo cfr. in
proposito C.d.S., IV, 11.10.2006, n. 6064);
né –afferendo a una specifica qualità del
bene su cui incide– la sua reiterazione nel
P.R.G., peraltro meramente ricognitiva, dà
luogo ad indennizzo in base a Corte cost.
20.05.1999, n. 179
(C.G.A.R.S.,
sentenza
08.10.2007 n. 929 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA: 1.
L’articolo 9, comma 3, della legge n.
47/1985 (oggi art. 33 DPR 380/2001),
relativo alle ristrutturazioni edilizie
abusive di immobili soggetti a vincolo
storico-artistico o ambientale e non
suscettibili di sanatoria, va interpretato
nel senso che la sanzione ripristinatoria
deve essere applicata congiuntamente a
quella pecuniaria solo se il ripristino sia
ancora possibile; laddove invece il
ripristino non sia possibile, deve trovare
applicazione la sola sanzione pecuniaria.
2. L’accertamento della compatibilità
paesaggistica ex art. 167, comma 5, del
D.Lgs. n. 42/2004, oltre ad avere
presupposti completamente diversi rispetto
all’istituto dell’applicazione della
sanzione pecuniaria in luogo di quella
demolitoria, può operare anche prima che
venga ordinata la demolizione ai sensi
dell’art. 167, comma 1, ed impedisce la
demolizione perché, attraverso il rilascio
ex post del titolo abilitativo, fa venir
meno il carattere abusivo dell’intervento.
1.
Poste tali premesse il Collegio osserva
innanzi tutto che i suddetti problemi
ermeneutici si sono posti in passato anche
in relazione all’articolo 9 della legge n.
47/1985, oggi sostituito dell’articolo 33
del D.P.R. n. 380/2001, e sono stati
diffusamente affrontati dalla
giurisprudenza. In particolare,
Secondo il Consiglio di Stato (Sez. VI,
30.08.2002, n. 4374), l’articolo 9 della
legge n. 47/1985 (oggi art. 33 DPR 380/2001)
«nel mentre consente, per le
ristrutturazioni edilizie abusive relative a
immobili non vincolati, la possibilità di
irrogare la sola sanzione pecuniaria, ove la
riduzione in pristino non sia possibile, per
le ristrutturazioni abusive relative a
immobili vincolati sembra, sulla scorta del
dato testuale, imporre in ogni caso
l’applicazione congiunta della sanzione
ripristinatoria e di quella pecuniaria. Ma
siffatta interpretazione non appare conforme
a argomenti di carattere logico e
sistematico, e anche ad argomenti di ordine
testuale. Emergono anzitutto due argomenti
di ordine testuale. Il comma 3 dell’art. 9
in commento fa salva l’applicazione di
sanzioni previste dalle norme vigenti in
materia di immobili vincolati. Non si può,
pertanto, non tenere conto dell’art. 59, L.
n. 1089 del 1939, che per gli immobili
soggetti a vincolo storico-artistico prevede
la sanzione pecuniaria quando non sia
possibile la riduzione in pristino. Il
successivo comma 4 dell’art. 9, L. n. 47 del
1985, poi, dispone che “Qualora le opere
siano state eseguite su immobili, anche non
vincolati, compresi nelle zone indicate
nella lettera A dell’articolo 2 del decreto
ministeriale 02.04.1968, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16.04.1968, il
sindaco richiede all’amministrazione
competente alla tutela dei beni culturali ed
ambientali apposito parere vincolante circa
la restituzione in pristino o la irrogazione
della sanzione pecuniaria di cui al
precedente comma. Qualora il parere non
venga reso entro centoventi giorni dalla
richiesta il sindaco provvede
autonomamente”. Il comma 4 si riferisce sia
agli immobili vincolati che a quelli non
vincolati che ricadano in zona A (centro
storico), e stabilisce che in tale ipotesi
l’autorità comunale chiede parere
all’autorità preposta alla tutela del
vincolo, circa la riduzione in pristino o la
irrogazione di sanzione pecuniaria. Si dà
dunque per scontato che le ristrutturazioni
edilizie abusive nei centri storici, anche
ove riguardino immobili vincolati, sono
passibili di sola sanzione pecuniaria, in
luogo della riduzione in pristino».
A fronte di tale quadro normativo, che i
giudici di Palazzo Spada definiscono «non
del tutto perspicuo se ancorato ad una
interpretazione strettamente letterale»,
gli stessi giudici sulla base di una
interpretazione logica, teleologica e
sistematica pervengono ad affermare quanto
segue: «Dal quadro normativo si evince
dunque che in ben tre norme si prevede la
sanzione pecuniaria in luogo della riduzione
in pristino non più possibile: nell’art. 9,
comma 2, L. n. 47 del 1985, per gli immobili
non vincolati; nell’art. 9, comma 4, L. n.
47 del 1985, per gli immobili siti nel
centro storico, siano essi o meno vincolati;
nell’art. 59, L. n. 1089 del 1939, per gli
immobili vincolati, quale che sia la zona
del territorio comunale in cui si trovano.
In tale quadro, perfettamente coerente e
rispondente ad un canone logico di comune
buonsenso, secondo cui non si ordina la
riduzione in pristino se la stessa è ormai
impossibile o troppo dannosa, appare una
nota stonata l’interpretazione puramente
testuale dell’art. 9, comma 3, che
sembrerebbe imporre in ogni caso la
riduzione in pristino in aggiunta alla
sanzione pecuniaria, per le ristrutturazioni
edilizie su immobili vincolati. Siffatta
interpretazione non è coerente con argomenti
di carattere logico; non è coerente con una
interpretazione sistematica, specie se il
comma 3 viene letto congiuntamente al comma
4 dell’art. 9: non si comprenderebbe perché
per gli immobili vincolati è possibile la
sola sanzione pecuniaria per le
ristrutturazioni edilizie abusive nei centri
storici e non anche per le ristrutturazioni
edilizie fuori dai centri storici; non è
coerente con la stessa lettera della legge,
che al comma 3 dell’art. 9 fa salve le
sanzioni previste da altre norme vigenti, e,
segnatamente, le previsioni di cui all’art.
59, L. n. 1089 del 1939. Il significato
pratico e autonomo del comma 3 dell’art. 9
L. n. 47 del 1985 non è dunque nella
previsione delle sanzioni congiunte, bensì
nell’aver affidato la competenza
sanzionatoria all’autorità preposta alla
tutela del vincolo anziché all’autorità
comunale, e nell’aver previsto la sanzione
pecuniaria e ripristinatoria in via
cumulativa, sempre che quella
ripristinatoria sia possibile. Ove, invece,
il ripristino non sia possibile senza
nocumento per le ragioni stesse del vincolo,
deve trovare applicazione la sola sanzione
pecuniaria. La concreta misura della
sanzione pecuniaria rientra
nell’apprezzamento di discrezionalità
tecnica dell’amministrazione che la irroga.
È ragionevole ritenere che ove la sanzione
pecuniaria venga applicata congiuntamente a
quella ripristinatoria, potrà essere
irrogata nella misura minima; ove venga
irrogata in sostituzione di quella
ripristinatoria, potrà essere irrogata in
misura più elevata, in proporzione alla
gravità dell’abuso, e, se del caso, nel
massimo edittale. Va aggiunto che
l’applicazione di entrambe le sanzioni vale
per tutti gli immobili vincolati, ivi
compresi quelli collocati nel centro
storico, per i quali vi sono norme ulteriori
di dettaglio nel comma 4 del medesimo art. 9
in commento».
Volendo sintetizzare le conclusioni cui sono
pervenuti i giudici di Palazzo Spada nella
predetta sentenza si può quindi affermare
che l’articolo 9, comma 3, della legge n.
47/1985, relativo alle ristrutturazioni
edilizie abusive di immobili soggetti a
vincolo storico-artistico o ambientale e non
suscettibili di sanatoria, va interpretato
nel senso che la sanzione ripristinatoria
deve essere applicata congiuntamente a
quella pecuniaria solo se il ripristino sia
ancora possibile; laddove invece il
ripristino non sia possibile, deve trovare
applicazione la sola sanzione pecuniaria.
Le predette conclusioni, secondo il
Collegio, mantengono inalterata la propria
validità anche nel vigore dell’articolo 33
del D.P.R. n. 380/2001, posto che sussiste
una sostanziale continuità normativa tra la
disciplina ivi prevista e quella in
precedenza posta dall’articolo 9 della legge
n. 47/1985.
2.
Analoghe considerazioni valgono per
l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria
(rectius accertamento della
compatibilità paesaggistica), oggi
disciplinata dal combinato disposto degli
articoli 146, comma 4, del decreto
legislativo n. 42/2004 e 167, commi 4 e 5,
del medesimo decreto legislativo.
Infatti -a fronte dell’ordine di ripristino
dello stato dei luoghi previsto dell’art.
167, comma 1, del decreto legislativo n.
42/2004 nei confronti di chi abbia eseguito
l’intervento edilizio in assenza della
autorizzazione paesaggistica- l’articolo
146, comma 4, nel prevedere il divieto di
rilasciare l’autorizzazione in sanatoria, fa
salve le ipotesi disciplinate previste
dall’articolo 167, comma 4, per le quali è
possibile richiedere l’accertamento della
compatibilità paesaggistica attraverso
l’apposito procedimento disciplinato
dall’art. 167, comma 5.
Risulta quindi evidente che anche tale
meccanismo di sanatoria, oltre ad avere
presupposti completamente diversi rispetto
all’istituto dell’applicazione della
sanzione pecuniaria in luogo di quella
demolitoria, può operare anche prima che
venga ordinata la demolizione ai sensi
dell’art. 167, comma 1, ed impedisce la
demolizione perché, attraverso il rilascio
ex post del titolo abilitativo, fa
venir meno il carattere abusivo
dell’intervento (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono suscettibili di accertamento
della compatibilità paesistica (ex art. 167,
comma 4, del d.lgs. n. 42/2004) anche i
soppalchi, i volumi interrati ed i volumi
tecnici.
Secondo un
consolidato orientamento giurisprudenziale
formatosi in materia urbanistica (ex multis,
Cons. Stato, Sez. VI, 29.05.2006, n. 3227;
Sez. V, 31.01.2006, n. 354), i volumi
tecnici, proprio in ragione dei caratteri
che li contraddistinguono (già evidenziati
in precedenza), sono inidonei ad introdurre
un impatto sul territorio eccedente la
costruzione principale e, come tali, sono
ininfluenti ai fini del calcolo degli indici
di edificabilità. Ne consegue che, come
evidenziato dalla ricorrente, la stessa
ratio che in materia urbanistica induce
ad escludere i volumi tecnici del calcolo
della volumetria edificabile dovrebbe valere
anche in materia paesistica per escludere
tali volumi dal divieto di rilasciare
l’autorizzazione paesistica in sanatoria.
Tuttavia a tale argomento ermeneutico
potrebbe replicarsi, sempre dal punto di
vista sistematico, facendo leva
sull’autonomia della normativa in materia
paesistica rispetto a quella in materia
urbanistica ed edilizia, autonomia sulla
quale anche questa Sezione ha recentemente
avuto occasione di soffermarsi (TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 21.03.2008, n.
1470). Si deve infatti qui rammentare che
l’art. 146, comma 10, del decreto
legislativo n. 42/2004 nella sua versione
originaria (ossia anteriore alle modifiche
introdotte dall’articolo 16 del decreto
legislativo n. 157/2006) prevedeva un
divieto assoluto di rilasciare
l’autorizzazione paesistica in sanatoria e
che, a fronte dei problemi applicativi
derivanti da tale disposizione, è
intervenuto l’Ufficio legislativo del
Ministero per i beni e le attività culturali
(con il parere di cui alla nota n. 11758 in
data 22.06.2004) precisando che tale divieto
assoluto “mira a negare in radice la
possibilità, implicitamente ammessa dalla
giurisprudenza, di un trapianto nell’ambito
della materia della tutela del paesaggio
della norma sull’accertamento di conformità
propria della materia edilizia” e che la
ratio di tale divieto si fonda sia “sul
diverso grado di protezione accordata al
paesaggio dall’articolo 9 della Costituzione”,
sia “sul rilievo della natura
sostanzialmente discrezionale (o
tecnico-discrezionale) dell’autorizzazione
paesaggistica, che la differenzia
radicalmente, dal punto di vista della
stessa configurazione del potere esercitato
… rispetto alla sanatoria urbanistica, che
è, invece, di regola interamente vincolata
alla verifica di conformità del progetto
rispetto al piano regolatore”.
Rilievo decisivo assume quindi -a giudizio
del Collegio- l’interpretazione teleologica
della disposizione in esame. Si deve infatti
osservare innanzi tutto che la
Soprintendenza, attenendosi rigorosamente
alla prospettata interpretazione letterale,
coerentemente perviene a negare la
possibilità di rilasciare l’autorizzazione
paesistica in sanatoria anche per i volumi
interrati, conclusione questa che si pone
tuttavia in stridente contrasto con la
evidenziata ratio del divieto posto
dall’art. 146 del decreto legislativo n.
42/2004, perché i volumi interrati sono
palesemente privi di ogni incidenza sul
paesaggio.
Analoghe considerazioni valgono per
l’ulteriore argomento letterale addotto
dalla Soprintendenza, che fa leva sul
riferimento testuale alle “superfici
utili”, dal quale la stessa
Soprintendenza coerentemente desume che le
superfici non residenziali sarebbero
suscettibili di sanatoria. Infatti è
evidente che la realizzazione di un soppalco
all’interno di un preesistente volume è
anch’essa priva di ogni incidenza sul
paesaggio, a prescindere dal fatto che il
soppalco determini o meno un aumento delle
superfici residenziali.
Pertanto, l’interpretazione teleologica
induce inevitabilmente a ritenere che,
nonostante l’utilizzo della particella
disgiuntiva “o” nella frase “che non
abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi”, il duplice riferimento
alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi
costituisca un’endiadi, ossia una modalità
di esprimere un concetto unitario con due
termini coordinati. In altri termini, la
necessità di interpretare le eccezioni al
divieto di rilasciare l’autorizzazione
paesistica in sanatoria (previste
dall’articolo 167, comma 4, del decreto
legislativo n. 42/2004) in coerenza con la
ratio dell’introduzione di tale
divieto induce il Collegio a ritenere che
esulino dalla eccezione prevista
dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli
interventi che abbiano contestualmente
determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi e che, di
converso, siano suscettibili di accertamento
della compatibilità paesistica anche i
soppalchi, i volumi interrati ed i volumi
tecnici
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1748 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il vincolo indiretto ex articolo
21 della legge 01.06.1939 n. 1089 (oggi
articolo 45, del D.Lgs 22.01.2004 n. 42)
vanno stabiliti con riguardo alla globale
consistenza della cosiddetta cornice
ambientale, la quale, pertanto, “si estende
fino a comprendere ogni immobile, purché in
prossimità del bene monumentale, che sia con
questo in tale relazione che la sua
manomissione sia idonea ad alterare il
complesso di condizioni e caratteristiche
fisiche e culturali che connotano lo spazio
ad esso circostante”.
Come la giurisprudenza ha ripetutamente
avuto modo di osservare, il vincolo
indiretto ex articolo 21 della legge
01.06.1939 n. 1089 (oggi articolo 45, del
D.Lgs 22.01.2004 n. 42), e le relative
prescrizioni a salvaguardia delle condizioni
di ambiente e decoro delle cose immobili
tutelate dalla stessa legge, vanno stabiliti
con riguardo alla globale consistenza della
cosiddetta cornice ambientale, la quale,
pertanto, “si estende fino a comprendere
ogni immobile, purché in prossimità del bene
monumentale, che sia con questo in tale
relazione che la sua manomissione sia idonea
ad alterare il complesso di condizioni e
caratteristiche fisiche e culturali che
connotano lo spazio ad esso circostante”
(cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, VI,
19.10.2007 n. 5436; TAR Sicilia, Palermo, I,
22.07.2008 n. 990) (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 02.04.2009 n. 376 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier VOLUMI TECNICI |
EDILIZIA PRIVATA:
Rientrano nella nozione di
"volume tecnico" solo le opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex
multis TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
13.05.2008, n. 4258; TAR Lombardia Milano,
Sez. II, 25.03.2008, n. 582), per
l’identificazione della nozione di volume
tecnico rilevano tre parametri:
- il primo, positivo e di tipo
funzionale, costituito dall’esistenza di un
rapporto di strumentalità necessaria tra i
manufatto e l’utilizzo della costruzione a
cui accede;
- il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all’impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall’altro, ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti.
Pertanto, rientrano in tale nozione solo le
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1748 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Attuazione dell’art. 1, commi 65 e 67,
della legge 23.12.2005, n. 266 per l’anno
2009 (deliberazione
01.03.2009 - link a
massimario.avlp.it).
Soggetti, pubblici e privati, tenuti a
versare un contributo a favore dell’Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture, nell’entità e
con le modalità previste dal provvedimento
medesimo. |
UTILITA' |
LAVORI PUBBLICI:
U.T.F.P.: 100 DOMANDE E RISPOSTE -
Edizione aggiornata alle modifiche di cui al
d.lgs. 11.09.2008 n. 152 (edizione
febbraio 2009 - link a
www.utfp.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA: Piano
casa, "Schema di decreto legge recante
“Misure urgenti in materia di edilizia,
urbanistica ed opere pubbliche” (versione
al 16.04.2009). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 15 del
14.04.2009, "Approvazione delle «Modalità
per la segnalazione a regione Lombardia
delle modifiche da apportare allo strato
informativo aree agricole nello stato di
fatto ex art. 43 della l.r. 12/2005 e
ss.mm.ii." (decreto
D.U.O. 18.03.2009 n. 2609 - link
a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 15 del
14.04.2009, "Determinazioni in merito
alla definizione dei canoni in regime
«moderato» - Schema di convenzione tipo per
la gestione delle unità abitative (art. 8,
l.r. 27/2007)"
(deliberazione
G.R. 30.03.2009 n. 9202 - link a www.infopoint.it). |
APPALTI:
G.U. 06.04.2009 n. 80 "Regolamento in
materia di attività di vigilanza e
accertamenti ispettivi di competenza
dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture di
cui all’articolo 8, comma 3, del decreto
legislativo n. 163/2006" (Autorità per
la Vigilanza sui Contratti Pubblici di
lavori, servizi e forniture,
provvedimento
15.01.2009). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
P. Fimiani,
Le principali decisioni della cassazione
sull’inquinamento idrico dopo il T.U. del
2006 (link a www.lexambiente.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Sulla decadenza di una società
dalla procedura di aggiudicazione per non
aver costituito il deposito cauzionale.
E' legittimo il provvedimento dell'ufficio
Territoriale del Governo (U.T.G.) che ha
dichiarato la società aggiudicataria di un
immobile comunale appartenente al Fondo
Edifici di Culto, decaduta dalla procedura
di aggiudicazione sul rilievo che, in base
al principio "quod sine die debetur
statim debetur" la società predetta era
tenuta a costituire il deposito cauzionale
senza ritardo, fin dal momento della
ricezione della richiesta formulata con
lettera raccomandata, e ciò
indipendentemente da ogni ulteriore atto di
diffida dell'Amministrazione. In presenza
dell'inerzia nell'assolvimento anche di
detto adempimento, protrattasi per circa tre
mesi, la determinazione dell'Amministrazione
confermativa della decadenza
dall'aggiudicazione si sottrae alle censure
di eccesso di potere nei profili del difetto
di motivazione e dello sviamento, trovando
giustificazione nell'esigenza già posta in
rilievo nel primo atto di decadenza di
prevenire ogni danno patrimoniale per il
mancato versamento dei canoni di locazione e
configurandosi, inoltre, rivolta alla cura
dell' interesse pubblico di utilizzo del
bene appartenente al patrimonio dell'ente
secondo criteri di economicità ed in
condizioni vantaggiose per l'erario
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.04.2009 n. 2197 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: È
principio inderogabile in qualunque tipo di
gara quello secondo cui devono svolgersi in
seduta pubblica gli adempimenti concernenti
la verifica dell'integrità dei plichi
contenenti l'offerta, sia che si tratti di
documentazione amministrativa che di
documentazione riguardante l'offerta tecnica
ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è illegittima l'apertura in
segreto di plichi.
La "ratio" ispiratrice del principio di
pubblicità delle sedute di gara è comune ai
vari metodi di aggiudicazione ed è rivolta a
tutelare le esigenze di trasparenza e
imparzialità che devono guidare l'attività
amministrativa in tale materia.
Il principio di pubblicità delle sedute di
gara si applica a prescindere da un'espressa
previsione al riguardo da parte delle
prescrizioni di gara, anche in difformità di
diversa disposizione regolamentare
dell’Amministrazione, che andrebbe
disapplicata.
Il mancato rispetto del principio di
pubblicità delle sedute della commissione,
con riguardo alla fase dell'apertura dei
plichi contenenti le offerte e delle buste
contenenti le offerte economiche dei
partecipanti, integra un vizio del
procedimento e comporta l'invalidità
derivata di tutti gli atti di gara.
Come ha già statuito questa Sezione, il
principio di pubblicità e trasparenza nelle
operazioni di svolgimento di pubbliche gare
trova applicazione nella fase della verifica
della documentazione presentata dai
concorrenti e della conseguente ammissione
degli stessi all'esame della documentazione
tecnica per l'attribuzione dei punteggi,
mentre il suddetto principio non è violato
soltanto se la commissione riservi alla
seduta segreta la valutazione delle offerte
stesse previo controllo dell'anonimato degli
elaborati previsti dal capitolato di gara,
controllo da effettuarsi necessariamente in
sede di specifica valutazione delle offerte
già ammesse, al fine di eliminare qualsiasi
possibilità di riferire l'offerta al
concorrente che ne è autore (cfr. TAR
Piemonte, sez. I, 13.12.2006, n. 4627).
È principio inderogabile in qualunque tipo
di gara, infatti, quello secondo cui devono
svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti
concernenti la verifica dell'integrità dei
plichi contenenti l'offerta, sia che si
tratti di documentazione amministrativa che
di documentazione riguardante l'offerta
tecnica ovvero l'offerta economica, e
conseguentemente è illegittima l'apertura in
segreto di plichi. Il predetto principio di
pubblicità delle gare pubbliche impone che
il materiale documentario trovi
correttamente ingresso con le garanzie della
seduta pubblica; ciò anche in applicazione
del più generale principio di imparzialità
dell'azione amministrativa, che ha ricevuto
esplicito riconoscimento sin dall'art. 89,
r.d. 23.05.1924 n. 827, rappresentando uno
strumento di garanzia a tutela dei singoli
partecipanti, affinché sia assicurato a
tutti i concorrenti di assistere
direttamente alla verifica di integrità dei
documenti e all'identificazione del loro
contenuto (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI,
22.04.2008, n. 1856, Consiglio di Stato,
sez. VI, 18.12.2006, n. 7578, Consiglio di
Stato, sez. IV, 11.10.2007, n. 5354).
Per l'applicazione del principio di
pubblicità delle sedute occorre distinguere
tra procedure di aggiudicazione automatica e
quelle che richiedono una valutazione
tecnico-discrezionale per la scelta
dell'offerta più vantaggiosa per
l'Amministrazione sulla base di una
pluralità di elementi tecnici ed economici.
Per le prime, la pubblicità delle
sedute è generalmente totale al fine di
consentire il controllo delle varie fasi di
svolgimento della gara da parte dei
concorrenti, non sussistendo alcuna
valutazione tecnico-discrezionale da
effettuare.
Per le seconde, occorre tenere
presente che, a seguito delle fasi
preliminari pubbliche di verifica e
riscontro dei plichi presentati e dei
documenti in essi contenuti, interviene la
valutazione tecnico-qualititativa
dell'offerta, la quale va effettuata in
seduta riservata al fine di evitare
influenze esterne sui giudizi dei membri
della commissione giudicatrice (Consiglio di
Stato, sez. V, 11.05.2007, n. 2355,
19.04.2007, n. 1790, 10.01.2007, n. 45 e
07.11.2006, n. 6529; Consiglio di Stato,
sez. VI, 11.04.2006, n. 2012; Consiglio di
Stato, sez. V, 20.03.2006, n. 1445,
16.06.2005, n. 3166 e 18.03.2004, n. 1427;
Consiglio di Stato, sez. IV, 06.10.2003, n.
5823; Consiglio di Stato, sez. V,
09.10.2002, n. 5421; Consiglio di Stato,
sez. VI, 14.02.2002, n. 846; Consiglio di
Stato, sez. V, 14.04.2000, n. 2235);
La "ratio" ispiratrice del principio di
pubblicità delle sedute di gara è comune ai
vari metodi di aggiudicazione ed è rivolta a
tutelare le esigenze di trasparenza e
imparzialità che devono guidare l'attività
amministrativa in tale materia (Consiglio di
Stato, sez. V, 07.11.2006, n. 6529);
infatti, i principi di pubblicità e di
trasparenza dell'azione amministrativa
costituiscono principi cardine del diritto
comunitario degli appalti (Consiglio di
Stato, sez. V, 16.06.2005, n. 3166) e il
principio della pubblicità delle sedute di
gara per la scelta del contraente è conforme
alla normativa comunitaria in materia, la
quale è orientata a privilegiare i principi
di concorrenza, pubblicità e trasparenza
nella scelta del contraente delle pubbliche
amministrazioni (Consiglio di Stato, sez. V,
18.03.2004, n. 1427), come anche dei
soggetti alla stessa equiparati (si veda
pure l'art. 2, commi 1 e 3, del d.lgs. n.
163/2006, il quale, ai sensi del successivo
art. 206, comma 1, si applica ai contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture nei
settori speciali di rilevanza comunitaria).
I principi del Trattato dell'Unione europea
(U.E.), tra cui vi sono quelli di
trasparenza e adeguata pubblicità, i quali
hanno trovato anche recepimento espresso nel
diritto interno (artt. 27, comma 1, 30,
comma 3, e 91, comma 2, del d.lgs. n.
163/2006), si elevano a principi generali di
tutti i contratti pubblici e sono
direttamente applicabili, a prescindere
dalla ricorrenza di specifiche norme
comunitarie o interne e in modo prevalente
su eventuali disposizioni interne di segno
contrario (da ultimo, Consiglio di Stato,
Ad. Plen., 03.03.2008, n. 1).
Infatti, la regola generale della pubblicità
della gara, segnatamente con riguardo al
momento dell'apertura delle buste, non è
nemmeno derogata dalla prevalente
legislazione speciale operante nei settori
ex esclusi (oggi speciali) ai sensi del
d.lgs. 17.03.1995, n. 158 per le procedure
negoziate ex art. 12 del d.lgs. n. 158/1995;
procedura, solo questa, la quale conservava
margini di snellezza e di elasticità che
avrebbero potuto giustificare la sottrazione
a regole formali operanti con riferimento
alle gare sottoposte ad un più intenso tasso
di pubblicità e di formalismo" (in tal senso
si era espressa la citata decisione del
Consiglio di Stato n. 6004/2002).
La circostanza per cui, nei settori
speciali, l'art. 226 del d.lgs. n. 163/2006,
il quale stabilisce i contenuti dell'invito
a presentare offerte o a negoziare, non
prevede alcuna forma di pubblicità delle
sedute, non esclude il rispetto del
principio di pubblicità, atteso che la ratio
ispiratrice della pubblicità delle sedute di
gara è comune in ogni procedura concorsuale
di scelta del contraente relativa a
qualsiasi contratto pubblico di lavori,
servizi e forniture, ed è rivolta a tutelare
le esigenze di trasparenza e imparzialità
che devono guidare l'attività amministrativa
e che caratterizzano tutta la disciplina
dell'evidenza pubblica (art. 97, comma 1,
della cost. e art. 1, commi 1 e 1-ter, della
l. 07.08.1990, n. 241).
Infatti, ai sensi dell'art. 1, comma 1-ter,
della l. n. 241/1990, i soggetti privati
preposti all'esercizio di attività
amministrative assicurano il rispetto dei
principi di cui al comma 1, il quale
prevede, tra i criteri che reggono
l'attività amministrativa, quelli di
pubblicità e di trasparenza e, ai sensi
dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
163/2006, tra i principi che devono essere
rispettati (nell'affidamento di opere e
lavori pubblici, servizi e forniture) vi
sono quelli di trasparenza e di pubblicità.
Quanto disposto dall'art. 91, comma 3, del
d.p.r. 21.12.1999, n. 554 (in tema di
pubblicità delle sedute nei settori
ordinari) è, peraltro, espressione del
principio di cui si è detto in tutta la
materia degli appalti pubblici, qualsiasi
forma procedurale sia prescelta per la
selezione del contraente, comprese le
procedure in economia, come nella specie.
Né può sostenersi che la mancata pubblicità
delle sedute di gara non rileverebbe di per
sé come vizio della procedura occorrendo
un'effettiva lesione della trasparenza della
gara e della par condicio tra i concorrenti,
trattandosi di adempimento posto a tutela
non solo della parità di trattamento dei
partecipanti alla gara, ma anche
dell'interesse pubblico alla trasparenza e
all'imparzialità dell'azione amministrativa;
le cui conseguenze negative sono
difficilmente apprezzabili ex post, una
volta rotti i sigilli e aperti i plichi, in
mancanza di un riscontro immediato
(Consiglio di Stato, sez. V, 07.11.2006, n.
6529, 20.03.2006, n. 1445 e 18.03.2004, n.
1427); infatti, non è necessaria la prova di
un'effettiva manipolazione della
documentazione prodotta, poiché si
risolverebbe in una manifesta petizione di
principio accollare, al soggetto deducente
la violazione in questione, l'onere
dell'impossibile dimostrazione di un fatto
(ossia l'alterazione dei plichi) unicamente
verificabile attraverso il rispetto della
formalità sostanziale (ossia, l'apertura
pubblica delle buste) in concreto omessa
(Consiglio di Stato, sez. V, 11.01.2006, n.
28).
Neppure è applicabile l'art. 21-octies,
comma 2, primo periodo, della l. n.
241/1990, secondo cui non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli
atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato, anche perché non si è in presenza
di attività vincolata dell'amministrazione.
Il principio di pubblicità delle sedute di
gara si applica a prescindere da un'espressa
previsione al riguardo da parte delle
prescrizioni di gara, anche in difformità di
diversa disposizione regolamentare
dell’Amministrazione, che andrebbe
disapplicata (e, in ogni caso, è stato
impugnata).
Pertanto, il mancato rispetto del principio
di pubblicità delle sedute della
commissione, con riguardo alla fase
dell'apertura dei plichi contenenti le
offerte e delle buste contenenti le offerte
economiche dei partecipanti, integra un
vizio del procedimento e comporta
l'invalidità derivata di tutti gli atti di
gara
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.04.2009 n. 986 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
necessaria motivazione in ordine
all'emanazione dell'ordine di demolizione di
opera abusiva qualora sia trascorso un lungo
lasso di tempo.
E'
necessaria una motivazione anche per
provvedimenti pacificamente dovuti in quanto
sanzionatori là dove il lungo lasso di tempo
trascorso per l’inerzia dell’amministrazione
giustifichi il formarsi di un affidamento in
capo ai destinatari (C.d.S. Sez. IV,
03.02.1996, n. 95)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.04.2009 n. 956 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzare opere edilizie per
adibire un piazzale in modo duraturo a
destinazione deposito costituisce opera
urbanisticamente rilevante che modifica
l’assetto del territorio.
E’ stato
affermato in giurisprudenza (cfr. Tar
Lombardia, Milano, sez. II, 28.04.2008, n.
1271), che realizzare opere edilizie per
adibire un piazzale in modo duraturo a
destinazione deposito costituisce opera
urbanisticamente rilevante che modifica
l’assetto del territorio.
Ed è stato aggiunto che ciò discende
dall’applicazione del principio secondo cui
hanno rilievo urbanistico tutte le attività
che modificano l’assetto del territorio (ex
plurimis Tar Campania, Napoli, I,
19.04.2001, n. 1793; nel senso in esame si è
espresso anche questo Tribunale nella
pronuncia Tar Lombardia, Brescia,
02.05.2006, n. 438)
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.04.2009 n. 803 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nella
fase della contestazione di un abusivo
intervento di ristrutturazione edilizia
l’Amministrazione comunale non può far altro
che ordinare la demolizione dell’abuso.
Invece l’applicazione della sanzione
pecuniaria (in alternativa alla demolizione)
costituisce una misura eccezionale destinata
ad operare in un momento successivo
all’adozione dell’ordine di demolizione.
Secondo una
consolidata giurisprudenza (ex multis TAR
Lazio, Roma, Sez. I, 17.04.2007, n. 3327;
TAR Lombardia, Brescia, 09.12.2002, n.
2213), da una corretta interpretazione
dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001 si
desume che nella fase della contestazione di
un abusivo intervento di ristrutturazione
edilizia subordinato al rilascio del
permesso di costruire ai sensi dell’articolo
10, comma 1, lettera c), del D.P.R. n.
380/2001 l’Amministrazione comunale non può
far altro che ordinare la demolizione
dell’abuso. Invece l’applicazione della
sanzione pecuniaria (in alternativa alla
demolizione) costituisce una misura
eccezionale destinata ad operare in un
momento successivo all’adozione dell’ordine
di demolizione, nel caso in cui risulti,
sulla base di motivato accertamento
dell’ufficio tecnico comunale, che non è
possibile ottemperare all’ordine di
demolizione.
Risulta quindi evidente che l’applicazione
della sanzione pecuniaria in luogo della
sanzione demolitoria è un istituto autonomo
e distinto rispetto ai meccanismi di
sanatoria degli interventi di
ristrutturazione edilizia eseguiti in
assenza del prescritto permesso costruire,
costituiti dall’accertamento della
conformità urbanistica, disciplinato
dall’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, e dal
condono edilizio. Infatti tali istituti,
oltre ad avere presupposti completamente
diversi rispetto a quello in esame, possono
operare anche prima che venga adottato
l’ordine di demolizione ed impediscono la
demolizione perché (attraverso il pagamento
di un’oblazione e il rilascio ex post del
titolo abilitativo) fanno venir meno il
carattere abusivo dell’intervento
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costituisce variante essenziale
la modifica della localizzazione
dell'edificio tale da comportare lo
spostamento del fabbricato su un'area
pressoché totalmente diversa da quella
originariamente prevista.
Secondo il consolidato e condiviso
orientamento giurisprudenziale:
a)
sono variazioni essenziali l'elevazione
della quota di copertura del fabbricato e la
realizzazione di un terrazzo (cfr. Consiglio
Stato, V, 07.04.2006 n. 1900);
b)
costituisce variante essenziale la modifica
della localizzazione dell'edificio tale da
comportare lo spostamento del fabbricato su
un'area pressoché totalmente diversa da
quella originariamente prevista, trattandosi
di modifica che comporta una nuova
valutazione del progetto da parte
dell'Amministrazione concedente, sotto il
profilo della sua compatibilità con i
parametri urbanistici e con le connotazioni
dell'area (cfr. di recente Consiglio Stato,
IV, 20.11.2008 n. 5743) (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 02.04.2009 n. 376 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’acquisizione
gratuita al patrimonio comunale degli
immobili abusivi e della relativa area di
sedime costituisce effetto automatico della
mancata ottemperanza all’ordinanza di
ingiunzione della demolizione.
Vale qui ricordare l’orientamento
giurisprudenziale, condiviso pienamente dal
Collegio, secondo cui l’acquisizione
gratuita al patrimonio comunale degli
immobili abusivi e della relativa area di
sedime costituisce effetto automatico della
mancata ottemperanza all’ordinanza di
ingiunzione della demolizione, sicché il
provvedimento di accertamento
dell’inottemperanza, costituente titolo per
l’immissione in possesso e per la
trascrizione nei registri immobiliari, può
essere adottato anche senza la specifica
indicazione delle aree oggetto di
acquisizione (come invece è in concreto
avvenuto nella fattispecie), potendosi a
tale individuazione procedere anche con
successivo, separato atto (cfr. Cons Stato
Sez. VI 08/04/2004 n. 1998; TAR Lazio Sez II
12/04/2002 n. 3160; Tar Calabria Sez. II
08/03/2007 n. 161)
(TAR Emilia-Romagna,
sentenza 01.04.2009 n. 93 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Qualora la documentazione prodotta da un
concorrente ad una pubblica gara sia
presente ma carente di taluni elementi
formali
l’Amministrazione non può pronunciare
l’esclusione dalla procedura ma è tenuta a
richiedere al partecipante di integrare o
chiarire il contenuto di un documento già
presente, costituendo siffatta attività
acquisitiva un ordinario modus procedendi,
ispirato all’esigenza di far prevalere la
sostanza sulla forma.
Qualora la documentazione prodotta da un
concorrente ad una pubblica gara sia
presente ma carente di taluni elementi
formali, di guisa che sussista un indizio
del possesso del requisito richiesto,
l’Amministrazione non può pronunciare
l’esclusione dalla procedura ma è tenuta a
richiedere al partecipante di integrare o
chiarire il contenuto di un documento già
presente, costituendo siffatta attività
acquisitiva un ordinario modus procedendi,
ispirato all’esigenza di far prevalere la
sostanza sulla forma.
Segnala il Collegio che la V Sezione del
Consiglio ha infatti di recente statuito che
“la facoltà di integrazione dell'offerta
e della documentazione allegata è consentita
solo nelle ipotesi in cui occorra chiarire
il contenuto di una domanda presentata
ritualmente e tempestivamente.”
(Consiglio Stato, Sez. V, 25.08.2008, n.
4047). Già in precedenza, nel vigore del più
generico regime antecedente il varo del
Codice dei contratti, la medesima V Sezione
aveva chiarito che “l'art. 16, d.lg.
17.03.1995 n. 157, nel disporre che le
amministrazioni invitano, se necessario, le
ditte partecipanti a gare per
l'aggiudicazione di appalto di servizi a
fornire chiarimenti e ad integrare la
carente documentazione presentata, non ha
inteso assegnare alle stesse una mera
facoltà o un potere eventuale, ma piuttosto
codificare un ordinario modo di procedere,
volto a far valere, entro certi limiti e nel
rispetto della par condicio dei concorrenti,
la sostanza sulla forma, orientando l'azione
amministrativa sulla concreta verifica dei
requisiti di partecipazione e della capacità
tecnica ed economica, coerentemente con la
disposizione di carattere generale contenuta
nell'art. 6, l. 07.08.1990 n. 241”
(Consiglio Stato, Sez. V, 26.06.2007, n.
3656).
Nello stesso periodo il TAR centrale aveva
con completezza ben definito condizioni,
ratio e presupposti del potere–dovere di
integrazione documentale nelle gare
d’appalto, puntualizzando che “l'integrazione
dei documenti e dei certificati prodotti dal
partecipante ad una gara costituisce, nella
fase di valutazione dei requisiti di
partecipazione, un ordinario modus
procedendi al quale le Amministrazioni
devono attenersi, tendente a far prevalere
la sostanza sulla forma, e la cui
applicazione è da escludere solo ove si
possa tramutare in una lesione del principio
di parità di trattamento dei concorrenti.
Tale principio va coniugato con la
precisazione che, nel caso in esame, la
regolarizzazione che avrebbe potuto (rectius:
dovuto) essere richiesta dalla stazione
appaltante non si sarebbe sostanziata nella
(inammissibile) produzione di un documento
mancante, quanto, piuttosto, nella semplice
integrazione di un documento già presente
agli atti di gara, attraverso l'inserimento
dell'autenticazione di una sottoscrizione
(già peraltro presente) volta a conferire
certezza alla soggettiva promanazione della
polizza fideiussoria di che trattasi”
(TAR Lazio Roma, Sez. I, 09.07.2008, n.
6518).
Non sfugge certo alla Sezione il travaglio
che ha attraversato la giurisprudenza negli
ultimi anni in punto di limiti e precauzioni
all’affermazione del principio
dell’integrazione documentale in materia di
pubbliche gare, dovendosi il descritto
canone ermeneutico coniugare e misurare
anche con la valenza dei altri pregnanti
principi di pari se non superiore livello,
promananti dal diritto comunitario, quali il
principio della par condicio competitorum
e dell’auto responsabilizzazione dei
concorrenti, atteso che la dilatazione del
potere–dovere di integrazione documentale
può collidere talora con la salvaguardia dei
predetti concorrenti principi.
Ma ritiene pure la Sezione che il caso
all’esame rientra nei più sicuri confini
disegnati dalla giurisprudenza e dallo
stesso art. 46 del d.lgs. n. 163/2006
all’integrazione documentale, posto che
nella specie trattavasi unicamente di
invitare la Cabinet a chiarire il contenuto
(rectius, il significato linguistico) di
certificazioni e attestazioni già
tempestivamente prodotte in gara.
L’integrazione documentale, riferita alla
spiegazione lessicale del contenuto di una
certificazione di requisiti tecnico
–economici prodotta in lingua diversa
dall’italiano, rientra pleno iure a
parere del Tribunale, nel chiaro disposto
dell’art. 46 del Codice dei contratti, a
mente del quale “le stazioni appaltanti
invitano, se necessario, i concorrenti a
completare o a fornire chiarimenti in ordine
al contenuto dei certificati, documenti e
dichiarazioni presentati” e si impone
anche in virtù degli obblighi di istruttoria
procedimentale gravanti sul responsabile del
procedimento in forza dell’art. 6 della L.
07.08.1990, n. 241.
E’ appena il caso di precisare che ad avviso
della Sezione l’inciso “se necessario”
di cui alla riportata norma del Codice, non
introduce alcuna deroga alla valenza e alla
cogenza del principio di integrazione
documentale, dovendosi annettere alla
locuzione il significato di “se necessario
in dipendenza della situazione di fatto”,
ovverosia che il dovere di integrazione va
esercitato solo se la fattispecie concreta
ne renda necessario l’esercizio,
evidenziando la carenza di taluni elementi
formali nella documentazione presentata dai
o da taluno dei concorrenti (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.03.2009 n. 837 -
sentenza link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
mancata vidimazione dei moduli predisposti
dall’amministrazione appaltante non
costituisce un vizio procedurale di cui può
dolersi altra impresa concorrente,
trattandosi di prescrizione formale posta a
favore della sola amministrazione e non si
traduce in alcuna compromissione dei
principi della par condicio e della
segretezza.
La giurisprudenza
ha da tempo
chiarito che le norme che prescrivono oneri
di mera forma afferenti alla sottoscrizione
e convalida da parte dei concorrenti dei
moduli di offerta predisposti
dall’amministrazione non radicano alcun
interesse differenziato e qualificato in
capo agli altri concorrenti a dolersi della
loro inosservanza, non essendo poste
nell’interesse dei partecipanti ma
dell’Amministrazione appaltante, in quanto
intese ad assicurare la provenienza delle
relative dichiarazioni dagli offerenti. E’
stato infatti condivisibilmente precisato
che “la mancata vidimazione dei moduli
predisposti dall’amministrazione appaltante
non costituisce un vizio procedurale di cui
può dolersi altra impresa concorrente,
trattandosi di prescrizione formale posta a
favore della sola amministrazione e non si
traduce in alcuna compromissione dei
principi della par condicio e della
segretezza” (TAR Toscana, Sez. II,
17.09.1997, n. 596) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.03.2009 n. 837 -
sentenza link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
mancata sottoscrizione di ogni pagina di
ciascun documento, in presenza, peraltro
della firma regolarmente apposta in calce
allo stesso, non toglie efficacia al
documento medesimo nella sua interezza e non
è atta a generare dubbi sulla provenienza di
esso; pertanto, ingiustificato si presenta
il comportamento della commissione di gara
che con l'interpretazione restrittiva delle
disposizioni del bando di gara ha violato i
principi di buon andamento e di
ragionevolezza dell'azione amministrativa e
di massima partecipazione alle gare
d'appalto nell'interesse della p.a. a che
l'aggiudicazione dell'appalto avvenga a
favore della impresa che ha fornito la
migliore offerta.
Si è efficacemente precisato
in caso di documento composto da più pagine,
come l’offerta tecnica qui in contestazione,
che “la mancata sottoscrizione di ogni
pagina di ciascun documento, in presenza,
peraltro della firma regolarmente apposta in
calce allo stesso, non toglie efficacia al
documento medesimo nella sua interezza e non
è atta a generare dubbi sulla provenienza di
esso; pertanto, ingiustificato si presenta
il comportamento della commissione di gara
che con l'interpretazione restrittiva delle
disposizioni del bando di gara ha violato i
principi di buon andamento e di
ragionevolezza dell'azione amministrativa,
costituzionalmente garantiti, e di massima
partecipazione alle gare d'appalto
nell'interesse della p.a. a che
l'aggiudicazione dell'appalto avvenga a
favore della impresa che ha fornito la
migliore offerta, anche in considerazione
del fatto che, in presenza di dubbi o
incertezze, avrebbe potuto farsi ricorso
alla richiesta di integrazione documentale e
non certo alla esclusione dei concorrenti”
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, 19.05.2003, n.
815).
Sempre in tema di mancata
sottoscrizione di tutte le pagine di
un’offerta tecnica voluminosa, quale quella
oggi all’attenzione del Collegio, più di
recente lo stesso TAR centrale si è posto
sulle riferite linee ermeneutiche, avendo
chiarito che “La mancata sottoscrizione
di alcune pagine di una voluminosa offerta
tecnica da parte del legale rappresentante
di una società concorrente in una gara
d'appalto sotto forma di Ati non incrina la
certezza della provenienza della
documentazione e non lede gli interessi
dell'amministrazione; cosicché appare
legittima la mancata esclusione del predetto
raggruppamento non già facendo ricorso ad
un'interpretazione funzionale del bando,
quanto piuttosto invocando il generale
principio di ragionevolezza dell'azione
amministrativa, che si traduce
nell'adeguatezza e proporzionalità
dell'azione amministrativa rispetto allo
scopo perseguito” (TAR Lazio-Roma, Sez.
III, 19.01.2005, n. 390).
Va pertanto predicata a parere della
Sezione, l’impossibilità di escludere da una
pubblica gara un’ATI qualora la stessa non
abbia sottoscritto l’indicazione delle parti
di servizio che saranno eseguite dalla
singole sue componenti ai sensi dell’art.
37, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006 ma tale
indicazione sussista comunque nell’offerta
tecnica, firmata sul solo frontespizio,
atteso che essendo detta prescrizione intesa
a rendere edotta l’Amministrazione della
provenienza dell’indicazione de qua dall’ATI
concorrente, la firma del frontespizio
dell’offerta tecnica consente di ricondurre
anche l’indicazione delle parti di servizio
eseguende dalle singole imprese, all’ATI che
nel complesso ha sottoscritto il
frontespizio dell’offerta tecnica. Ciò anche
in considerazione del fatto che “la
mancata sottoscrizione di una dichiarazione
prescritta dal bando, inclusa nel plico
contenente l'offerta, non può costituire
causa di esclusione dalla gara dato che,
trovandosi il documento non sottoscritto nel
plico controfirmato dall'interessato sui
lembi di chiusura, non possono sussistere
dubbi sulla provenienza della dichiarazione
stessa” (TAR Campania-Napoli, sez. I,
04.05.2007, n. 4729) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.03.2009 n. 837 -
sentenza link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: L'avvalimento
non fa sconti - Dichiarazione di avvalimento
necessaria anche per le società infragruppo
- L'appartenenza a uno stesso gruppo non
comporta automatismi per i requisiti
richiesti dagli appalti pubblici.
Conviene ricostruire, con l’ausilio della
più significativa giurisprudenza, i tratti
fondanti sul piano sostanziale la nozione di
avvalimento, per poi procedere anche
all’illustrazione delle condizioni formali,
richieste dall’art. 49 del d.lgs. 16.04.2006,
n. 163 onde configurare legittimamente la
facoltà di ricorso all’avvalimento dei
requisiti soggettivi di qualificazione.
Rimarca al riguardo fin da subito la Sezione
che lo “zoccolo duro” dell’istituto dell’avvalimento
–da non confondersi con il fenomeno
istituzionale contermine, denominato
“avvalersi”, noto alla legislazione sulla
contabilità dello Stato, operante solo tra
figure soggettive pubbliche, in base al
quale un organo si avvale per l’esercizio di
talune sue funzioni istituzionali afferenti
al settore dei lavori pubblici, degli uffici
di un altro ente: solitamente lo Stato che
si serviva in passato di alcuni uffici di
amministrazioni locali – è stato sin
dall’origine e dalla sua genesi pretoria,
additato nella effettiva disponibilità di
risorse, mezzi e requisiti di altri
operatori economici, i quali rendevano
disponibili quelle risorse ad un’impresa
partecipante a una gara pubblica.
Correlativamente, l’ordinamento comunitario
che ha generato la pratica dell’avvalimento,
ha sin dall’inizio dichiarato la sua
sostanziale indifferenza verso la natura e
la forma dei legami giuridici in virtù dei
quali si produceva l’indicato fenomeno della
messa a disposizione effettiva delle risorse
a favore del concorrente.
Ha peraltro subito fatto da contraltare e
contrappeso alla cennata indifferenza e da
presupposto del suindicato ineludibile
zoccolo duro della effettiva disponibilità,
l’affermazione, poi stratificatasi nella
giurisprudenza, della necessità di un
rigoroso accertamento di queste condizioni
da parte del Giudice, da svolgersi previa la
parimenti necessaria dimostrazione delle
stesse, il cui onus probandi incumbit in
capo all’impresa concorrente.
Rammenta in proposito la Sezione che già la
prima storica decisione della Corte del
Lussemburgo, resa in materia di appalti
pubblici di servizi, che ha elaborato la
teorica dell’avvalimento, rimarcava le due
suindicate condizioni sostanziali e il
correlativo loro snodo processuale.
Invero “La direttiva del Consiglio 18.06.1992 n. 92/50/CEE, che coordina le procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici di
servizi, va interpretata nel senso che
consente ad un prestatore, per comprovare il
possesso dei requisiti economici, finanziari
e tecnici di partecipazione ad una gara
d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un
appalto pubblico di servizi, di far
riferimento alle capacità di altri soggetti,
qualunque sia la natura giuridica dei
vincoli che ha con essi, a condizione che
sia in grado di provare di disporre
effettivamente dei mezzi di tali soggetti
necessari all'esecuzione dell'appalto (…).
Spetta al giudice nazionale, dinanzi al
quale è sollevata la questione relativa
all'ammissibilità dell'offerta alla gara per
l'aggiudicazione dell'appalto pubblico,
valutare se il concorrente abbia fornito la
prova della disponibilità effettiva dei
mezzi che ne attestano la capacità a
concorrere, pur se appartenenti a soggetti
distinti da esso” (Corte Giustizia CE, Sez. V,
02.12.1999, n. 176).
Appartiene poi al Giudice amministrativo
nazionale la notazione secondo la quale
“considerato che la facoltà di avvalimento
costituisce una rilevante eccezione al
principio generale che impone che i
concorrenti ad una gara pubblica possiedano
in proprio i requisiti di qualificazione
(cfr. gli art. da 12 a 17 d.lg. n. 157 del
1995), la prova circa l'effettiva
disponibilità dei mezzi dell'impresa avvalsa
deve essere fornita in modo rigoroso,
mediante la presentazione di un apposito
impegno da parte di quest'ultima, riferito
allo specifico appalto e valido per tutta la
durata della prestazione dedotta in gara, e
che non sia sufficiente -a tal fine- la
mera allegazione dei legami societari che
avvincono i due soggetti, non fosse altro
che per l'autonomia contrattuale di cui
godono le singole società del gruppo”
(TAR Liguria, Sez. II, 20.06.2007, n.
1125).
Secondo altra puntuale affermazione “il
principio dell'"avvalimento", enucleato
dalla sentenza Corte giustizia Ce, sez. V, 02.12.1999 in causa n. 176/1998, non può
essere applicato in modo meccanico ed
automatico ma presuppone che l'impresa la
quale intende farne applicazione indichi in
maniera specifica e concreta, in un arco
temporale necessariamente anteriore a quello
di presentazione dell'offerta, i soggetti
esterni che effettueranno la prestazione in
oggetto, i quali sono altresì tenuti a
rendere dichiarazione in ordine alla propria
disponibilità, a garanzia della serietà
della stessa offerta nonché del principio di
"par condicio" fra i concorrenti” (TAR
Puglia-Bari, sez. I, 06.06.2007, n.
1464).
In termini generali il Collegio è
dell’avviso che l’avvalimento sia ormai
divenuto un istituto ad automatica
applicazione nel settore delle pubbliche
gare e che, come la Sezione ha già chiarito
sia pure in sede cautelare, conducendo anche
all’autoannullamento del bando impugnato da
parte dell’Amministrazione resistente prima
della pubblica Udienza, “l’istituto dell’avvalimento
–ontologicamente, formalmente ed
operativamente nettamente diverso da quello
del raggruppamento temporaneo di concorrenti– è il precipitato normativo di principi
comunitari aventi matrice nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia,
apparendo dunque illegittima una previsione
di gara che lo vieti (Autorità di Vigilanza
dei LL. PP, Parere del 28.11.2007, n. 135,
reso in sede di c.d. precontenzioso) e
potendo al più la stazione appaltante, solo
limitarne l’estensione, nei casi tassativi
contemplati dall’art. 49” (TAR Piemonte,
Sez. I, 19.07.2008, n. 936, Ord.). Nello
stesso senso si è posto del resto anche il
Giudice d’appello (Consiglio Stato, Sez. VI,
11.07.2008, n. 3499).
Deve tuttavia la Sezione aggiornare la
riferita predetta precisazione circa la
possibilità di deroga –mediante limitazione– alla generalità dell’istituto in esame, in
quanto il comma 7 dell’art. 49 del Codice,
che consentiva all’Amministrazione di
circoscrivere nel bando di gara l’avvalimento
in relazione alla natura e all’importo
dell’appalto, è stato abrogato dall'articolo
1, comma 1, lettera n), numero 2), del
D.Lgs. 11.09.2008 , n. 152, entrato
in vigore il 17.10.2008.
Nel ribadire l’assunto riportato, deve,
peraltro, precisare la Sezione, condividendo
le coordinate ermeneutiche tracciate dalla
giurisprudenza appena richiamata in punto di
dimostrazione della effettiva disponibilità
delle risorse e dei mezzi delle imprese
ausiliarie da parte dell’impresa avvalsa,
che il Giudice deve sempre procedere ad un
rigoroso accertamento della cennata
effettiva disponibilità, posto che
l’istituto dell’avvalimento sostanzia una
significativa deroga al principio di
personalità dei requisiti di qualificazione.
La giurisprudenza, anche di recente ha
infatti opportunamente e condivisibilmente
posto in luce, al riguardo, che “la facoltà
di avvalimento, nei pubblici appalti,
costituisce un'eccezione al principio
generale che impone che i concorrenti ad una
gara pubblica possiedano in proprio i
requisiti di qualificazione” (TAR
Lombardia-Milano, Sez. I, 07.05.2008,
n. 1353; in terminis, TAR Liguria, Sez. II, 20.06.2007, n. 1125).
Va in proposito anche precisato che
l’accertamento demandato al Giudice deve in
particolare dirigersi verso il possesso da
parte dell’impresa avvalsa, dell’effettiva
disponibilità delle risorse di altri
soggetti avvalenti o ausiliari.
Ricorda sul punto la Sezione che la
giurisprudenza del Tribunale ha già
significativamente di recente sottolineato
la divisata esigenza di indagine,
evidenziando che “l'utilizzazione
dell'istituto dell'avvalimento -che
consente ad un'impresa di ricorrere alle
referenze tecniche, economiche e finanziarie
di un'altra impresa c.d. ausiliaria, al fine
di dimostrare il possesso dei requisiti di
capacità economica, finanziaria, tecnica,
organizzativa necessari per partecipare ad
una gara- è subordinata alla dimostrazione
dell'effettiva possibilità giuridica da
parte del prestatore di servizi di
utilizzare detta capacità mediante la
presentazione dell'impegno a tal fine di
detto soggetto” (TAR Piemonte, Sez. II,
17.03.2008, n. 430).
- - - - - - - - - -
E’
incontestabile che la prova della
possibilità giuridica di poter utilizzare
risorse, mezzi e qualificazioni di imprese
avvalenti o ausiliarie, che per la
giurisprudenza sopra ricordata deve essere
fornita dall’impresa concorrente avvalsa
all’Amministrazione appaltante nella sede ad
al momento della verifica del possesso dei
requisiti autodichiarati, essendo
l’Amministrazione il primo giudice della
qualificazione delle imprese partecipanti a
gare d’appalto. L’accertamento che poi, in
sede di giudizio su ricorso è chiamato ad
effettuare il Giudice dell’Amministrazione,
al quale già la Corte del Lussemburgo nel
fondamentale leading case di cui a Corte di
Giustizia CE, Sez. V, 02.12.1999, n.
176 poi seguita dalla giurisprudenza
nazionale, demanda il compito di acclarare
la disponibilità delle risorse delle
ausiliarie da parte dell’impresa
concorrente, non può che avere ad oggetto il
quadro documentale e fattuale già prodotto
all’Amministrazione nei tempi stabiliti
dalla lex specialis in armonia con le
disposizioni del d.lgs. n. 63/2006.
Invero, un’eventuale dimostrazione della
delineata disponibilità giuridica, fornita
con documentazione postuma rispetto alla
tempistica di gara non può validamente
assolvere all’onere probatorio gravante sui
concorrenti, ostandovi i principi generali
in materia di procedure concorsuali e in
particolare quello della par condicio e del
divieto di integrazione postuma del
materiale documentario di gara, derogabile
solo ai fini della prova della natura non
anomala di un’offerta. La data della
verifica dei requisiti ex art. 48 del d.lgs.
n. 163/2006 cristallizza e delimita
temporalmente anche l’accertamento
dell’effettiva disponibilità demandato al
Giudice.
- - - - - - - - - -
Il
presupposto principe dell’avvalimento,
collocabile ad un livello formale ma con
indubbie ricadute sostanziali e non a caso
enunciato alla lettera a) dell’art. 49,
comma 2 del Codice, è la dichiarazione
verificabile ai sensi dell’art. 48,
attestante l’avvalimento dei requisiti
necessari per la partecipazione alla gara,
con specifica indicazione dei requisiti
stessi e dell’impresa ausiliaria.
Questa dichiarazione, che come si desume con
evidenza dalla notazione contenuta nella
norma, per la quale essa è oggetto di
successiva verifica ex art. 48, si situa
nella fase dell’ammissione alla gara e al
livello delle altre autocertificazioni, si
profila di fondamentale rilievo
nell’economia delle attestazioni e delle
altre autocertificazioni inerenti al
possesso dei requisiti di qualificazione.
La centralità della dichiarazione di
avvalimento discende dal rilievo che, come
più volte precisato dalla recente
giurisprudenza, l’avvalimento integra una
rilevante eccezione ed una deroga a quello
che più sopra il Collegio ha definito
principio di personalità dei requisiti di
qualificazione.
In siffatta ottica si apprezza l’importanza
formale e documentale della principe
dichiarazione di avvalimento, non a caso
enumerata alla lettera a) dall’art. 49 comma
2, che è atta a rappresentare alla stazione
appaltante la peculiarità dello scenario
documentale concernente la capacità
economico–finanziaria che viene
prospettato all’Amministrazione e agli
organi di gara qualora l’impresa concorrente
intenda presentarsi alla selezione non uti
singula ma ricorrendo alle risorse di
operatori economici ausiliari. La
dichiarazione di avvalimento di cui alla
lettera a) dà dunque la stura al composito
insieme documentario mediante il quale si
formalizza lo strumento comunitario dell’avvalimento.
In difetto di detta fondamentale
dichiarazione, ad avviso della Sezione
l’Amministrazione non può presumere alcuna
deroga al principio di personalità dei
requisiti di qualificazione, deroga alla
quale è nella facoltà dell’impresa
concorrente appellarsi e ricorrere, ma che è
anche suo onere annunciare ed allegare in
sede di partecipazione alla gara. Altrimenti
viene anche, del resto, ostacolato e reso
ingiustamente gravoso l’obbligo della
stazione appaltante e per essa degli organi
di gara, di accertare il possesso dei
requisiti soggettivi di partecipazione.
Ne consegue che in mancanza della
dichiarazione de qua, l’impresa concorrente
non può pretendere che la Commissione di
gara, attraverso un’iniziativa accertativa
officiosa dai contorni e limiti non ben
definiti, giunga ad acclarare requisiti di
capacità tecnico–economica di altre
imprese, magari genericamente solo indicate
dal partecipante e poi ad imputare ed
attribuire quei requisiti al patrimonio di
qualificazione dell’impresa concorrente.
Ecco perché la norma di cui alla lettera a)
dell’art. 49, comma 2, del Codice impone anche
che nella dichiarazione di voler ricorrere
all’avvalimento il concorrente indichi anche
specificamente:
1) i requisiti che intende
fare oggetto di avvalimento;
2) l’impresa
ausiliaria delle cui risorse intende
avvalersi.
Ritiene la Sezione che la ratio della
specifica indicazione dei requisiti di
avvalimento e dell’impresa ausiliaria
risponda sia all’esigenza di agevolare e
delimitare l’oggetto dell’accertamento della
stazione appaltante, sia all’istanza di
auotoresponsabilizzaione dell’impresa
partecipante alla gara: quest’ultima,
infatti, indicando requisiti e impresa
ausiliaria compie un gesto significativo e
importante nei confronti
dell’Amministrazione, dichiarando che per
specifici requisiti utilizzerà la capacità
di un altro soggetto, capacità della quale
in ultima analisi si assume la
responsabilità contrattuale nei confronti
dell’ente pubblico committente, ad ogni
effetto.
Invero, le conseguenze dell’eventuale
incapacità esecutiva dell’impresa ausiliaria
ricadono sì su quest’ultima in prima
persona, ma in pari grado anche sull’impresa
concorrente, che risponde in solido con
l’ausiliaria nei confronti della stazione
appaltante ai sensi dell’art. 49, coma 4 del
d.lgs. n. 163/2206.
Ragion per cui in ultima analisi, come
avvertito, l’impresa partecipante si assume
nei riguardi dell’ente committente la
responsabilità della condotta contrattuale
non solo propria, ma anche dell’impresa
ausiliaria, benché in concorso solidale con
quest’ultima, potendo conseguentemente
l’Amministrazione rivalersi contro ciascuna
delle due imprese, a sua scelta,
dell’inadempimento o inesatto adempimento
della prestazione contrattuale posto in
essere sia dall’impresa avvalsa che
dall’avvalente o ausiliaria.
Tracciate le illustrate coordinate
ermeneutiche, precisa peraltro la Sezione
che è d’uopo rifuggire da rigidi e sterili
formalismi, specie al cospetto dell’attuale
realtà della moderna impresa, sempre più
tecnicizzata e globalizzata, ciò che impone
anche un’attenuazione del rigore formale
affinché non scada nel formalismo giuridico.
E pertanto ritiene il Collegio che la
formale dichiarazione di avvalimento, là
dove alla gara partecipi un soggetto con
plurime gemmazioni imprenditoriali sub
specie di gruppo di imprese, possa
legittimamente essere surrogata da una
dichiarazione di partecipazione alla gara
come gruppo, purché detta dichiarazione
contenga le specificazioni menzionate dalla
lettera a) dell’art. 49, ossia i requisiti
oggetto di avvalimento e l’impresa
ausiliaria.
- - - - - - - - - -
Conviene premettere in puncto iuris che già
la sentenza della Corte di Giustizia n.
176/1999 ebbe a sancire un regime di
sostanziale indifferenza per i vincoli
giuridici che sottendono la disponibilità
delle risorse altrui in capo al concorrente,
a condizione che l’impresa partecipante “sia
in grado di provare di disporre
effettivamente dei mezzi di tali soggetti
necessari all'esecuzione dell'appalto”.
La cennata indifferenza per il regime
formale dei vincoli e dei titoli giuridici
da cui scaturisca la facoltà di avvalersi
dei mezzi di altre imprese è stato poi
affermata più volte dal giudice
amministrativo per essere stata
recentissimamente ribadita dalla V Sezione
del Consiglio di Stato, che ha avuto cura di
ricordare che “nell’avvalimento sono
irrilevanti per la stazione appaltante i
rapporti sottostanti esistenti tra il
concorrente e il soggetto avvalso, essendo
indispensabile unicamente che il primo
dimostri di poter disporre dei mezzi del
secondo, in adesione all’attuale normativa
comunitaria” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17.03.2009, n. 1589). Si era infatti già
affermato dal giudice di prime cure che
l’istituto de quo “non incontra limiti
applicativi di sorta se non di natura
probatoria” (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, 24.01.2008, n. 168).
La Sezione, che condivide tale assunto, si
era già motu proprio attestata sulla
medesima rammentata ermeneusi, ravvisando
solo l’esigenza di accertare se la
controinteressata avesse dimostrato
documentalmente alla Stazione appaltante in
sede di verifica del possesso dei requisiti
autodichiarati ai sensi dell’art. 48 del
Codice, di potere fruire di una giuridica
disponibilità, concetto già enunciato, come
ricordato, dal Tribunale (TAR Piemonte,
Sez. II, 17.03.2008, n. 430) dei mezzi,
delle risorse e della qualificazione delle
altre imprese componenti il gruppo di cui
essa è parte.
- - - - - - - - - -
E’ stata in
proposito da poco confermata dal Consiglio
di Stato la necessità che l’impresa dimostri
in modo rigoroso l’effettiva disponibilità
di risorse, mezzi e qualificazione dei
soggetti avvalenti in forza di un “vincolo
giuridico, che obblighi il soggetto terzo a
fornire al concorrente i requisiti, di cui
non dispone direttamente e la cui
titolarità, in forza di detto vincolo, viene
ad essere riferita al soggetto che partecipa
alla gara. Il vincolo stesso deve inoltre
preesistere alla data di aggiudicazione
della gara, in funzione della necessità di
garantire oltre che la par condicio tra i
concorrenti, il corretto esercizio delle
potestà di controllo spettanti
all’Amministrazione in ordine alla
sussistenza in capo all’aggiudicataria, dei
requisiti soggettivi abilitanti” (Consiglio
di Stato, Sez. IV, 20.11.2008, n.
5742).
La necessaria preesistenza del vincolo e
l’impossibilità che lo stesso venga a
formarsi dopo la fase della partecipazione
alla gara, condizioni considerate dalla
Sezione già in sede di redazione
dell’Ordinanza di verificazione n. 64/2008,
sono state efficacemente enunciate dalla
predetta decisione del Consiglio, che ne ha
anche enucleato la ratio: “né la effettiva
possibilità giuridica di avvalimento può
essere legittimamente posposta ad un momento
successivo, posto che una siffatta
eventualità rimetterebbe alla fase
dell’adempimento del contratto la necessaria
presenza di tutti i requisiti soggettivi ed
oggettivi richiesti ai partecipanti alle
procedure di affidamento dei contratti
pubblici, riservata dal sistema al momento
competitivo” (Consiglio di Stato, Sez. IV,
n. 5742/2008, cit.).
- - - - - - - - - -
La necessità della
dimostrazione della effettiva e giuridica
disponibilità da parte dell’impresa avvalsa,
delle risorse e dei requisiti di
qualificazione tecnico–economica
dell’impresa ausiliaria, non può subire
un’attenuazione nemmeno nell’ipotesi in cui
l’impresa partecipante alla gara sia parte di
un gruppo societario.
Invero, come pure la Sezione aveva già
presupposto, in tali casi il Consiglio di
Stato con la decisione appena citata ha
statuito che non è “sufficiente la mera
allegazione dei legami societari che
avvincono i due soggetti, non fosse altro
che per l’autonomia contrattuale di cui
godono le singole società del gruppo”
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 20.11.2008, n.
5742).
Rammenta del resto la Sezione che già nel
vigore della pregressa disciplina sugli
appalti pubblici di servizi di cui alla
Direttiva n. 92/50 CEE, la quale
tratteggiava in termini sostanzialmente non
difformi dalle attuali Direttive del 2004
recepite nel Codice De Lise, i termini di
fondo dell’istituto dell’avvalimento, il
Consiglio di Stato aveva evidenziato
l’insufficienza dei meri legami di gruppo ai
fini della prova del requisito della
effettiva disponibilità delle altrui
risorse.
Si era infatti statuito che “la direttiva
del Consiglio 18.06.1992 n. 92/50/Cee, che
coordina le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di servizi, va
interpretata nel senso che consente ad un
prestatore, per comprovare il possesso dei
requisiti economici, finanziari e tecnici di
partecipazione ad una gara d'appalto ai fini
dell'aggiudicazione di un appalto pubblico
di servizi, di far riferimento alle capacità
di altri soggetti, qualunque sia la natura
giuridica dei vincoli che ha con essi, a
condizione che sia in grado di provare di
disporre effettivamente dei mezzi di tali
soggetti necessari all'esecuzione
dell'appalto, il che esclude che la sola
situazione di controllo ravvisabile fra la
capogruppo e le sue controllate possa "ex
se" provare specificamente l'effettiva
disponibilità delle capacità tecniche
altrui, non fosse altro che per l'evidente
autonomia contrattuale di cui godono le
società controllate, che ben potrebbero
assumere impegni negoziali in radicale
contrasto con le determinazioni della
capogruppo (fattispecie anteriore
all'entrata in vigore della direttiva del
31.03.2004 n. 18/2004/Ce)” (Consiglio
Stato, Sez. IV, 14.02.2005, n. 435; in
terminis, Tar Lazio, Roma, sez. II,
25.02.2004 n. 1768) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 30.03.2009 n. 837 -
sentenza link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La regolarità contributiva e
fiscale delle imprese partecipanti alla gara
per l'aggiudicazione di appalti con la p.a.
deve essere presente al momento della
offerta e deve essere assicurata pure in
momenti successivi alla presentazione della
domanda.
In materia di gare per l'aggiudicazione di
lavori pubblici, la regolarità contributiva
e fiscale delle imprese partecipanti alla
gara per l'aggiudicazione di appalti con la
p.a. deve essere presente al momento della
offerta e deve essere assicurata pure in
momenti successivi alla presentazione della
domanda e dell'offerta e quindi certamente
fino al momento della aggiudicazione,
essendo palese la esigenza per la stazione
appaltante di verificare l'affidabilità del
soggetto partecipante alla gara fino alla
conclusione della stessa. Ne consegue che
l'eventuale accertamento di una pendenza di
carattere previdenziale o assistenziale in
capo all'impresa pur dichiarata
aggiudicataria dell'appalto prodottasi anche
in epoca successiva alla scadenza del
termine per partecipare al procedimento di
scelta del contraente implica, a seconda dei
casi, la impossibilità per l'amministrazione
appaltante di stipulare il contratto con
l'impresa medesima, ovvero la risoluzione
dello stesso; sempre in forza di ciò, è del
tutto irrilevante un eventuale adempimento
tardivo della obbligazione contributiva
quand'anche ricondotto retroattivamente,
quanto ad efficacia, al momento della
scadenza del termine di pagamento (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.03.2009 n. 1458 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: L’art.
53, comma 23, della legge n. 388 del
23.12.2000 ha previsto che gli enti locali
con popolazione inferiore a 5.000 abitanti
possano adottare disposizioni regolamentari
organizzative attribuendo ai componenti
dell’organo esecutivo la responsabilità
degli uffici e dei servizi ed il potere di
adottare atti anche di natura tecnica
gestionale, le cui disposizioni
regolamentari organizzative cui fa
riferimento la norma non necessariamente
indicano l’approvazione di un regolamento.
Con un primo profilo viene reiterata la
censura con cui si sostiene l’incompetenza
del Sindaco di Mezzomerico ad adottare
(ovvero ritirare in autotutela)
provvedimenti in materia
edilizio-urbanistico, atti di gestione a
competenza dei dirigenti.
Questo motivo è infondato, alla stregua di
specifico precedente di questo Consiglio (V,
06.03.2007, n. 1052), dal quale non vi è
ragione per discostarsi ed al quale si
rinvia, ai sensi dell’art. 9 della legge
21.07.2000, n. 205.
Infatti, come correttamente ritenuto dai
primi giudici, l’articolo 53, comma 23,
della legge n. 388 del 23.12.2000 ha
previsto che gli enti locali con popolazione
inferiore a 5.000 abitanti, anche al fine di
operare un contenimento della spesa, possano
adottare disposizioni regolamentari
organizzative, se necessario anche in deroga
a quanto disposto all’articolo 3, commi 2, 3
e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n.
29, e successive modificazioni, e
all’articolo 107 del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali,
attribuendo ai componenti dell’organo
esecutivo la responsabilità degli uffici e
dei servizi ed il potere di adottare atti
anche di natura tecnica gestionale: il
contenimento della spesa deve essere
documentato ogni anno, con apposita
deliberazione, in sede di approvazione del
bilancio.
Nella specie, non è in contestazione che il
Comune di Mezzomerico ha una popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti e che, con
delibera n. 24 di Giunta del 10.04.2007, ha
provveduto ad attribuire all’organo
esecutivo le competenze previste dal
T.U.E.L. per i dirigenti.
Afferma ancora la società appellante che
tale delibera sarebbe illegittima in quanto
la norma della legge 388 richiederebbe un
apposito regolamento.
Tali profili di censura giustamente non sono
stati ritenuti suscettibili di accoglimento
dal giudice di prime cure.
Le disposizioni regolamentari organizzative
cui fa riferimento la norma non
necessariamente indicano l’approvazione di
un regolamento, e, in ogni caso, ai sensi
dell’art 48 del T.U.E.L. è altresì di
competenza della Giunta l’adozione dei
regolamenti sull’ordinamento degli uffici e
dei servizi: nella specie, la Giunta di
Mezzomerico ha fatto corretta applicazione
dell’art. 12 del Regolamento organico, il
quale le attribuisce il potere di
individuare i Responsabili comunali delle
aree funzionali che il Sindaco poi nomina.
Il rispetto di questi criteri generali
stabiliti per l’organizzazione degli uffici
comunali la cui violazione peraltro non è
stata oggetto di specifiche censure, e la
deroga di attribuzione in capo ad
amministratori comunali prevista
espressamente dalla legge, senza ulteriore
discrezionalità se non sull’an,
portano dunque ad escludere la necessità di
ulteriori criteri generali
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.02.2009 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
pubblicazione all'albo pretorio comunale
dell’atto amministrativo, quando è
prescritta, non costituisce requisito di
validità ma solo di efficacia del
provvedimento, la quale attiene al diverso
fenomeno della produzione degli effetti che
si realizza quando si è perfezionato l’iter
procedimentale (estrinseco) previsto per la
formazione dell’atto.
La pubblicazione delle deliberazioni
comunali all’albo pretorio ha solo funzione
strumentale di conoscenza legale dell’atto,
tale da rendere possibile la presentazione
di eventuali reclami ed opposizioni o
ricorsi all’organo di controllo,
all’Amministrazione stessa e all’Autorità
Giudiziaria.
Propugna ancora la società appellante
l’illegittimità del citato provvedimento
(GM. N. 24 del 10.04.2007) di preposizione
del Sindaco al Servizio tecnico-urbanistico
comunale, in quanto –pur se dichiarato
immediatamente esecutivo– non poteva trovare
applicazione prima della sua affissione
all’Albo Pretorio comunale (avvenuta il
20.04.2007).
Tale profilo di censura è stato ritenuto dal
TAR non suscettibile di accoglimento in
relazione al mero valore di pubblicità –
notizia rappresentato dall’affissione.
Tale statuizione va ritenuta esente dai
rilievi mossi.
Infatti –come è noto– la pubblicazione
dell’atto amministrativo quando è
prescritta, non costituisce requisito di
validità ma solo di efficacia del
provvedimento, la quale attiene al diverso
fenomeno della produzione degli effetti che
si realizza quando si è perfezionato l’iter
procedimentale (estrinseco) previsto per la
formazione dell’atto.
Nella specie –tuttavia– come consentito
dall’Ordinamento – la Giunta Comunale ha
dichiarato la sua deliberazione n. 24/2007
immediatamente esecutiva, con ciò rimuovendo
ogni impedimento estrinseco alla produzione
degli effetti di detto atto (ovvero della
sua temporanea inefficacia o –meglio–
inoperatività in pendenza dell’affissione).
Peraltro, la pubblicazione delle
deliberazioni comunali all’Albo Pretorio ha
solo funzione strumentale di conoscenza
legale dell’atto, tale da rendere possibile
la presentazione di eventuali reclami ed
opposizioni o ricorsi all’organo di
controllo, all’Amministrazione stessa e
all’Autorità Giudiziaria.
Indipendentemente, dunque, da ogni altra
considerazione, merita qui richiamare la
regola generale in forza della quale, in
assenza di comunicazione/notificazione
all’amministrato (nel concreto, però
effettuata dal Comune), deve annettersi
valore alla piena conoscenza che, in via
oppositiva (circa la tempestività del
gravame), va provata da chi eccepisce l’irricevibilità
(anche, eventualmente sulla base di fatti
concludenti): ciò nel senso che il vizio
denunziato (postuma affissione rispetto
all’immediata esecuzione) comunque non si
può tradurre in invalidità dell’atto
censurato, non è refluito sull’efficacia
dell’atto stesso perché la pubblicazione è
avvenuta il successivo 20 aprile, non è
stato di ostacolo alla ditta ricorrente per
far valere le proprie ragioni sostanziali
nella sede giudiziaria
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.02.2009 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul procedimento relativo ad
un'istanza tesa ad ottenere il
riconoscimento della salvaguardia della
gestione del servizio idrico ex art. 113 c.
15-bis tuel.
E' illegittimo il provvedimento con cui
l'amministrazione provinciale ha negato
l'efficacia delle convenzioni concernenti
l'affidamento del servizio idrico, sulla
scorta della disciplina sopravvenuta di cui
all'art. 113 c. 15-bis tueell, respingendo
la domanda del gestore tesa ad ottenere la
salvaguardia della gestione.
A fronte di un'istanza tesa ad ottenere il
riconoscimento della salvaguardia della
gestione del servizio idrico, nell'esercizio
di un potere evidentemente connotato da
discrezionalità in ordine alla verifica
della sussistenza dei relativi presupposti,
il relativo procedimento, infatti, avrebbe
dovuto svolgersi nel pieno rispetto degli
obblighi fondamentali dettati dalla legge
generale del procedimento a garanzia della
completezza dell'istruttoria e del
contraddittorio, non solo formale ma anche
sostanziale sulle ragioni sottese alla
determinazione conclusiva; quest'ultima poi
avrebbe dovuto fare capo all'organo
competente ad esprimere la determinazione
finale. Pertanto, l'A.T.O. ha violato l'art.
10-bis della L. n. 241/1990 per non avere
previamente comunicato alla società
ricorrente i motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza di
salvaguardia delle proprie gestioni; invero,
il carattere discrezionale della valutazione
rimessa all'amministrazione e la rilevanza
delle questioni svolte fa apparire
indispensabile in via anche sostanziale quel
supplemento istruttorio imposto in via
formale dalla legge a garanzia delle
posizioni coinvolte.
La decisione circa la salvaguardia delle
gestioni esistenti spetta allo stesso organo
che ha deliberato la forma di gestione del
servizio, id est la conferenza dei
rappresentanti degli enti locali dell'A.T.O.
(cfr. gli artt. 4, 9 e 10 della convenzione
di cooperazione stipulata il 21.6.2002 tra
la provincia e gli enti locali ricadenti
nell'AT.O.), le cui decisioni, ex art. 10
della convenzione, debbono essere sottoposte
all'approvazione degli enti locali
convenzionati (TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 19.02.2009 n. 254 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Nelle
trattative private non c'è l'obbligo di
aprire in seduta pubblica le buste
contenenti le offerte economiche.
Sulla violazione dei principi di pubblicità
e trasparenza delle sedute di gara si
osserva che:
a)
come affermato dalla giurisprudenza (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 04.11.2002, n. 6004),
il principio di pubblicità della gara può
essere derogato, in relazione alla apertura
dei plichi contenenti la documentazione di
gara e le offerte, nell’ambito delle
procedure regolate dal criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, stante la
necessità per la commissione giudicatrice di
procedere ad una specifica valutazione
tecnica delle offerte (Cons. Stato, sez. V,
14.04.2000, n. 2235; sez. V, 23.08.2000, n.
4577; CGARS, 28.01.2002, n. 58);
b)
in ogni caso, la procedura negoziata, pur
divergendo in modo sensibile dal modello
della tradizionale trattativa privata
integralmente deproceduralizzata, conserva
margini di snellezza e di elasticità che
giustificano la sottrazione a regole formali
operanti con riferimento alle gare
sottoposte ad un più intenso tasso di
pubblicità e di formalismo (Cons. Stato,
sez. VI, 04.11.2002, n. 6004);
c)
in questa direzione, anche a voler ritenere
applicabili alla specie i principi –pure
tutelati a livello comunitario– di
pubblicità e trasparenza, il riferimento a
tali concetti assume un significato ben
preciso e circoscritto, non coincidente con
quello elaborato nel diritto interno. Esso
non indica, infatti, l’obbligo della
stazione appaltante di consentire la fisica
presenza alle operazioni di gara dei
rappresentanti di tutti i concorrenti, ma
prescrive a ciascuna amministrazione, da un
lato, di rendere previamente nota la propria
intenzione di contrarre e di definire,
sempre ex ante, le modalità di
valutazione delle offerte; dall’altro lato,
di garantire ex post la leggibilità
delle decisioni assunte dalla medesima
stazione appaltante (Cons. Stato, sez. V,
19.09.2008, n. 4520). Requisiti che nella
specie senz’altro ricorrono dal momento che
è stata assicurata: la massima pubblicità
alla procedura, anche attraverso
l’elaborazione di un bando; la segretezza
delle offerte (non altrimenti contestata, in
concreto, dalla parte ricorrente); la
tempestiva informazione dello stato del
procedimento e l’integrale accesso a tutti
gli atti di gara;
d)
non esistono regole od affermazioni
giurisdizionali secondo cui la pubblicità
delle operazioni di apertura della offerta
economica, ossia la verificabilità immediata
delle operazioni compiute
dall’amministrazione, costituisca un obbligo
incondizionato per le stazioni appaltanti.
Del resto, la normativa di contabilità
generale del 1924 prescrive tale forma per
le aste pubbliche e le licitazioni private,
non anche per le trattative private (Cons.
Stato, sez. V, 19.09.2008, n. 4520);
e)
per la stessa giurisprudenza, non è da
trascurare la circostanza secondo cui anche
il valore della trasparenza amministrativa
debba comunque essere adeguatamente
coordinato con l’esigenza di evitare
inopportuni aggravamenti del procedimento,
in dispregio del principio consacrato
nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990
(Cons. Stato, sez. V, 19.09.2008, n. 4520)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 29.01.2009 n. 128 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
seminterrato è tale se in ogni sua parte
rimane al di sotto del piano di campagna o
del livello zero di sbancamento, essendo
compatibile con tale situazione che parte
della struttura sopravanzi il piano di
campagna o la quota zero, per quanto
strettamente necessario per assicurare una
sufficiente areazione e luminosità, ovvero
che rimanga scoperta in larghezza per
realizzare un accesso dall’esterno.
Seguendo un
orientamento risalente ma confermato in
seguito, dal quale la Sezione non ritiene di
discostarsi “ai fini del computo della
volumetria del fabbricato è computabile il
volume che superi il piano di campagna o
quello che sopravanza lo sbancamento del
livello zero, non già la cubatura
sottostante, come deve essere considerato il
piano seminterrato” (Cfr. Cons. Stato, V
Sez., 04.08.1986 n. 390)
Un seminterrato, in particolare, è tale,
quindi, se in ogni sua parte rimane al di
sotto del piano di campagna o del livello
zero di sbancamento, essendo compatibile con
tale situazione, nei limiti ritenuti dalle
norme comunali, che parte della struttura
sopravanzi il piano di campagna o la quota
zero, per quanto strettamente necessario per
assicurare una sufficiente areazione e
luminosità, ovvero, che rimanga scoperta in
larghezza per realizzare un accesso
dall’esterno.
Consegue, in virtù delle su descritte
necessarie caratteristiche, funzionali
all’isolamento della struttura, della
residenza soprattutto, dal terreno
circostante in cui è immersa, che non è
consentito utilizzare il seminterrato per
usi residenziali, dovendo altrimenti
considerarsene la volumetria nel calcolo
della cubatura massima consentita, mentre
possono essere in esso consentiti soltanto
usi al servizio o per la migliore
utilizzazione di quest’ultimi.
Le ricadute di quanto sopra chiarito,
comportano che il primo livello
dell’abitazione assentita con l’impugnata
concessione edilizia, al cui interno sono
stati collocati spazi destinati ad “atrio”
dell’abitazione medesima e “garage”, poiché
presenta, indiscutibilmente, una intera
parete esterna completamente fuori terra,
non può qualificarsi come seminterrato,
ancorché degli altri tre lati di essa, due
siano completamente interrati, e l’altro sia
chiuso da un muro di altra proprietà posto
al di sotto del piano di campagna
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.01.2008 n. 271 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Il
termine per l'impugnazione del Piano
Regolatore Generale decorre dalla scadenza
del termine di pubblicazione dell'avviso di
deposito degli atti presso gli uffici
comunali.
Nella
formazione dello strumento urbanistico
generale l'amministrazione ha un'ampia
potestà discrezionale per quanto concerne la
programmazione degli assetti del territorio,
senza necessità di motivazione specifica
sulle scelte adottate in ordine alla
destinazione delle singole aree.
Sono pacifici in giurisprudenza i principi
secondo cui “il termine per
l'impugnazione del Piano Regolatore Generale
decorre dalla scadenza del termine di
pubblicazione dell'avviso di deposito degli
atti presso gli uffici comunali, giacché
l'ordinamento non prevede che l'atto di
approvazione del Piano debba essere
notificato ai proprietari delle aree incluse
nel territorio interessato, ma stabilisce
che sia og-getto di pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale … e che gli atti debba-no
essere depositati presso il Comune "a libera
visione del pubblico"” (così C.d.S., IV,
12.11.2002, n. 6278; v. anche C.d.S., IV,
18.01.1996, n. 45), e per cui “è onere
dell'eccipiente la tardività
dell'impugnazione fornire rigorosa prova del
momento in cui contro-parte abbia avuto
piena conoscenza dell'atto lesivo” (per
tutti, cfr. C.d.S., IV, 21.02.2005, n. 550).
Non v’è dubbio
che, per costante orientamento
giurisprudenziale, “nella formazione
dello strumento urbanistico generale
l'amministrazione ha un'ampia potestà
discrezionale per quanto concerne la
programmazione degli assetti del territorio,
senza necessità di motivazione specifica
sulle scelte adottate in ordine alla
destinazione delle singole aree. Né
l'obbligo di motivazione viene rafforzato,
imposto o mutato in base alla sola
presentazione delle osservazioni al piano
regolatore generale da parte dei privati.
Queste, infatti, sono semplici apporti
collaborativi dati dai cittadini alla
formazione dello strumento urbanistico ed il
loro rigetto non richiede una specifica
motivazione, essendo sufficiente che siano
state esaminate e ritenute in contrasto con
gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della forma-zione del piano”
(C.d.S., IV, 30.06.2004, n. 4804)
(C.G.A.R.S.,
sentenza
08.10.2007 n. 929 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 14.04.2009 |
ã |
TERREMOTO ABRUZZO:
DAI IL TUO AIUTO CONCRETO!
Dona 1 €
oppure 2 € rispettivamente inviando un SMS oppure chiamando col
telefono fisso il numero 48580 e così darai il tuo
contributo alla Protezione Civile per raccogliere
fondi a favore delle popolazioni terremotate.
Ricorda:
l'indifferenza uccide!!! |
dossier OPERE PRECARIE |
EDILIZIA PRIVATA: Una
serra, quando consiste in un manufatto
infisso al suolo, benché abbia carattere di
relativa mobilità, rientra nel concetto di
opera di fabbricazione, avendo attitudine a
permanere nel tempo ed a influire sulla
razionale sistemazione del territorio, così
che essa necessita della preventiva
concessione edilizia.
Secondo la giurisprudenza, la costruzione di
una serra che, pur costituita da strutture
agevolmente rimovibili, sia destinata a far
fronte ad esigenze continuative connesse a
coltivazioni ortofrutticole, in quanto
destinata ad alterare in modo duraturo
l’effetto urbanistico–territoriale, è
soggetta al previo rilascio della
concessione edilizia (C.d.S., sez. V,
08.06.2000, n. 3247); è stato, d’altra
parte, chiarito che una serra, quando
consiste in un manufatto infisso al suolo,
benché abbia carattere di relativa mobilità,
rientra nel concetto di opera di
fabbricazione, avendo attitudine a permanere
nel tempo ed a influire sulla razionale
sistemazione del territorio, così che essa
necessita della preventiva concessione
edilizia (C.d.S., sez. V, 25.11.1988, n.
760), laddove è stata esclusa la necessità
del predetto titolo abilitativo solo per
l’ipotesi di una serra costruita su un fondo
destinato ad uso agricolo, per finalità
inerenti esclusivamente alla coltivazione
del terreno, fuori dal centro abitato,
formata di materiali facilmente amovibili,
non infissa stabilmente al suolo o eseguita
con opere murarie né collegata con altre
opere costruttive edilizie o che abbia
dimensioni tali da non incidere
negativamente sull’ambiente circostante
(C.d.S., sez. V, 14.03.1980, n. 284).
E' del tutto
irrilevante (oltre che generico) il fatto
che, come si legge nella richiesta di
rilascio della concessione edilizia in data
31.07.1984, le predette serre dovessero
utilizzate per soli fini agricoli e per la
coltivazione di pianti e fiori: infatti,
come ha avuto modo di precisare la
giurisprudenza (Cass. Pen., sez. III,
12.05.1981) la serricultura costituisce un
sistema protettivo delle piantagioni in
grado di creare condizioni agronomiche
ottimali per lo sviluppo dei prodotti
orto–floricoli, ma l’impianto serra deve
essere valutato non già in ragione della sua
destinazione e funzione (che, risolvendosi
in una mera attività di gestione agricola
del suolo, non interessa la disciplina
urbanistica), bensì in relazione alla sua
struttura e alla sua attitudine a protrarsi
nel tempo e a incidere sul territorio
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.03.2006 n. 1119 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla precarietà o meno di una
serra e conseguente necessità o meno della
preventiva concessione edilizia.
La realizzazione di serre può essere
sottratta all’ordinario regime edilizio, con
la necessità del preventivo rilascio del
permesso di costruire, solo nel caso in cui
il sistema adottato per la protezione delle
colture sia precario e non preveda metodi
stabili di ancoraggio al suolo;
diversamente, la realizzazione di serre
destinate a far fronte ad esigenze
continuative, stabilmente fissate al suolo,
e che comunque alterano in modo duraturo
l’assetto urbanistico, configura il reato di
cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.11.2005 n. 46767). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di impianti destinati a
serre, sono applicabili i criteri che
individuano nella materiale fissazione al
suolo il discrimine in ordine alla necessità
o meno della concessione edilizia.
Quest’ultima si rende quindi necessaria per
le serre stabilmente ancorate al terreno,
mediante basamenti in metallo od altro
materiale stabile, ma non per quelle la cui
struttura ha carattere precario.
La giurisprudenza distingue la natura
concretamente asportabile o meno di un
manufatto, facendo particolare affidamento
sulla sua destinazione abitativa. Così si
sono posti i casi delle roulotte o degli
alloggiamenti per chi lavora in un cantiere,
e tali fattispecie sono state risolte nel
senso indicato dalla motivazione del
provvedimento impugnato, richiamando la
nozione di concreta attuabilità della
rimozione del bene.
Tale parametro di giudizio non è però
adottabile in tutti i casi in cui si tratta
di un manufatto non adibito all’uso
abitativo.
Il carico urbanistico che può derivare da un
impianto come è quello di cui si tratta non
è comparabile con quanto risulta dalla
stabile destinazione di un fondo
all’abitazione, al commercio od
all’industria. Nella specie ci si deve
rifare ai criteri stabiliti dalla leggi
statali e da quella regionale, che
individuano nella materiale fissazione al
suolo il discrimine tra il manufatto che
necessita della concessione e quello
realizzabile con altri titoli.
Il giudice ben conosce la propria
giurisprudenza, che in altre occasioni aveva
utilizzato la nozione di rimuovibilità del
manufatto, argomentando dalla concreta
utilizzazione del bene, e non già dalla sua
consistenza fisica. Tuttavia va notato che
le serre che l’interessato ha impiantato nel
terreno posto in fregio alla cinta
cimiteriale di Avigliana sono del tipo
infisso al suolo, ma solo a mezzo di un
corpo metallico curvato ed infisso nel
terreno: gli atti di causa non hanno
evidenziato alcuna traccia di basamenti di
cemento od altro materiale stabile.
Non v’è peraltro alcuna prova della
stabilità dell’impianto disposto
dall’interessato, a proposito del quale deve
osservarsi che il presente giudizio riguardo
solo la compatibilità delle serre con le
norme urbanistiche, senza che possa venire
in considerazioni l’aspetto commerciale;
un’eventuale iniziativa della p.a. in tal
senso potrà essere assunta nei modi più
idonei, che non sono quelli adottati in
questa sede.
Ne consegue la fondatezza della
prospettazione del motivo in rassegna,
secondo cui l’amministrazione non ha fatto
corretta applicazione dei principi
denunciati, che richiedono la concessione
solo per le serre che sono stabilmente
ancorate al terreno, ovvero allorché ci sia
la prova che il precario manufatto ha avuto
una destinazione stabile ad opera del
proprietario
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.02.2003 n. 194 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla precarietà o meno di una
serra e conseguente necessità o meno della
preventiva concessione edilizia.
La realizzazione di un impianto di serre per
floricoltura stabilmente ancorate al suolo
costituisce modificazione apprezzabile del
territorio, tale da richiedere il preventivo
rilascio della concessione edilizia (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza
29.05.2002 n. 33158). |
EDILIZIA PRIVATA: E’
soggetta al previo rilascio della
concessione edilizia l’installazione di una
serra che, pur costituita da strutture
agevolmente rimuovibili, è destinata a far
fronte ad esigenze continuative connesse a
coltivazioni ortofrutticole, essendo ciò
destinato ad alterare in modo duraturo
l’effetto urbanistico-territoriale.
Il giudice di primo grado ha rettamente
osservato che dagli atti (e dalla
documentazione fotografica) acquista al
giudizio risulta che le serre in questione,
costituite da tubi ed intelaiature
metalliche su cui vengono stesi teloni di
plastica, formano, ciascune, strutture
larghe metri 7 ed alte metri 4,30
sviluppantesi in lunghezza per parecchie
decine di metri, a forma di tunnel.
Dette intelaiature sono interrate e tenute
saldamente insieme con sbarre trasversali e
danno luogo e strutture, che, sebbene
agevolmente rimmovibili, sono destinate a
far fronte ad esigenze continuative connesse
a coltivazioni ortofrutticole, come è
dimostrato dal posto che l’intero complesso
metallico portante resta fisso, venendo
nella stagione estiva solo sostituita le
coperture in plastica con reti a velo (per
la protezione da insetti e uccelli).
Le serre in questione costituiscono dunque
strutture di rilevante consistenza destinate
ad alterare in modo duraturo l’assetto
urbanistico-ambientale.
Tanto basta per ritenere tale struttura
comportano una trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio, che, in quanto
tale, necessita della concessione edilizia
ai sensi dell’art. 1 della legge 28.01.1977
n. 10
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.06.2000 n. 3247 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla precarietà o meno di una serra e
conseguente necessità o meno della
preventiva concessione edilizia.
Le serre, allorquando in tutto o in parte
siano strutturalmente e stabilmente inserite
al suolo, apportando modificazioni
all’assetto del territorio, sono soggette a
controllo urbanistico nella forma della
concessione (Corte di Cassazione, Sez. III
penale, sentenza 10.01.2000 n. 22). |
QUESITI |
APPALTI:
La Direzione Regionale del Veneto dei lavori
pubblici, per il tramite dell’Osservatorio
Regionale degli Appalti, ha raccolto i
quesiti attinenti all’entrata in vigore
della nuova legge quadro in materia di
lavori pubblici.
Di questi quesiti si è creato un
massimario indicizzato che
consente a tutti gli operatori del settore
lavori pubblici di poter accedere in modo
sistematico alle risposte formulate dagli
esperti della Direzione Regionale lavori
pubblici (link a www.regione.veneto.it). |
ENTI LOCALI: Figura
del segretario della Comunità montana.
Il sindaco del Comune (omissis), chiede se
la Comunità montana è da considerarsi Unione
di Comuni ed in caso affermativo se sia
possibile individuare nel segretario della
Comunità montana la figura alla quale
assegnare la segreteria del suo Comune, al
fine di garantire un miglior coordinamento
dell’azione amministrativa, ma soprattutto
per “liberare ingenti risorse economiche”
(Regione Piemonte,
parere 34/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
APPALTI SERVIZI: Affidamento
servizio (negoziato o ad evidenza pubblica).
Il sindaco del Comune (omissis) segnala che
il suo ente, dopo aver affidato a terzi, per
10 anni, il servizio di pubblicità ed
affissioni ha ritenuto, a scadenza
contratto, economicamente più vantaggioso
gestire il servizio in forma diretta.
Tale decisione era, però, subordinata ad un
periodo di sperimentazione della durata di
un anno, considerato necessario e per la
carenza di personale nell’ufficio tributi
dell’ente e per svolgere un censimento della
pubblicità permanente presente sul
territorio.
Per il predetto periodo transitorio
l’amministrazione ha deciso di avvalersi di
una società che la supportasse nella
gestione del tributo, affidando alla stessa
anche l’individuazione di un soggetto che
materialmente procedesse all’affissione dei
manifesti.
L’attività di supporto è stata affidata ad
una società che collabora da parecchi anni
con il Comune per l’accertamento di tributi
comunali e per la gestione del contenzioso.
In ordine al compenso, non avendo altri
parametri, l’ente ha deciso di corrispondere
per l’attività di supporto una percentuale
sugli incassi.
In conclusione il sindaco chiede se la
procedura seguita sia legittima e se, in
futuro, l’affidatario possa essere
individuato con procedura negoziata, ovvero
se sussista la necessità della procedura ad
evidenza pubblica
(Regione Piemonte,
parere 30/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI: Utilizzazione
personale dipendente di altro Comune (art.
1, comma 557, L. 311/2004).
Il Comune
(omissis) ha intenzione di utilizzare un
istruttore dipendente di ruolo a tempo pieno
di altro Comune, ai sensi dell'art.1, comma
557 L. 311/2004.
Il servizio sarà prestato al di fuori
dell'orario normale di lavoro e comunque con
una prestazione settimanale non superiore a
12 ore settimanali e nel rispetto delle
prescrizioni stabilite a tutela della salute
e della sicurezza del lavoratore; sarà
inquadrato come rapporto di lavoro
subordinato a tempo determinato ed a
part-time.
L'incarico per il quale il dipendente verrà
assunto consiste nella sistemazione della
banca dati I.C.I. a seguito di ripetute
variazioni di classamento e di
identificativi catastali, nella logica più
globale della gestione diretta di tutti i
tributi comunali a livello di unione di
Comuni (di cui entrambi gli enti
-amministrazione di provenienza e di
destinazione del lavoratore- fanno parte).
L'ufficio tributi del Comune (omissis) è
comunque già presieduto da dipendente
comunale Responsabile di Servizio di cat. D.
Chiede se la procedura sia corretta in base
alla normativa vigente e se l'assunzione
t.d. non debba invece avvenire tramite
procedura concorsuale.
Chiede, inoltre, se tale incarico non debba
invece rientrare fra gli incarichi di cui
all'art. 55 L. 244/2007 (Regione
Piemonte,
parere 27/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Disciplina edilizia applicabile
alle serre destinate ad orticoltura.
E’ chiesto parere in merito alla disciplina
edilizia applicabile alle serre destinate ad
orticoltura (Regione Piemonte,
parere 21/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, 3^ RACCOLTA RAGIONATA DEI
PARERI GIURIDICI IN MATERIA URBANISTICA E DI
TUTELA DEI BENI AMBIENTALI Orientamenti e
interpretazioni della Direzione Generale
Territorio e Urbanistica - Aggiornamento
1999-2000 (B.U.R.L. n. 21/2001,
edizione speciale del
21.05.2001). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, 2^ RACCOLTA RAGIONATA DEI
PARERI GIURIDICI IN MATERIA DI TUTELA DEI
BENI AMBIENTALI - Orientamenti e
interpretazioni della Direzione Generale
Urbanistica - Aggiornamento 1997/1998 (B.U.R.L.
n. 9/1999,
edizione
speciale del 05.03.1999). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, RACCOLTA RAGIONATA DEI PARERI
GIURIDICI IN MATERIA DI TUTELA DEI BENI
AMBIENTALI - Orientamenti e interpretazioni
dell’Assessorato regionale all’Urbanistica e
al Territorio (B.U.R.L. n. 48/1997,
edizione speciale del
28.11.1997). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
LAVORI PUBBLICI: G.U.
10.04.2009 n. 84 "Criteri per la
comunicazione di informazioni relative al
partenariato pubblico-privato ai sensi
dell’articolo 44, comma 1-bis del
decreto-legge 31.12.2007, n. 248 convertito,
con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1
della legge 28.02.2008, n. 31"
(Presidenza Consiglio dei Ministri,
circolare 27.03.2009). |
CORTE DEI CONTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Pianico (BG) in merito alle
modalità con cui attribuire, ad una
dipendente del Comune attualmente inquadrata
nella cat. B4, la progressione verticale
alla cat. C1
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
30.03.2009 n. 64
- link a www.corteconti.it).
Questa Corte ha già avuto occasione di
pronunciarsi in materia di progressioni
verticali (deliberaz. n. 90/pareri/2008),
mettendo in luce l’ormai consolidato
principio giurisprudenziale secondo cui la
progressione verticale costituisce una
novazione del rapporto di lavoro, che, come
tale, rientra nel concetto di “assunzione”
ed è sottoposta alla regola generale del
pubblico concorso e ai vincoli normativi in
materia di spesa per il personale.
Com’è noto, infatti, l’art. 97 Cost.
espressamente sancisce che agli impieghi
nelle pubbliche amministrazioni si accede
mediante concorso, salvo i casi stabiliti
dalla legge.
L’art. 35 del D.Lgs. 30.03.2001, n. 165
(“Norme generali sull’ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”) dà attuazione al precetto
costituzionale stabilendo che l’assunzione
nelle amministrazioni pubbliche avviene
tramite procedure selettive che garantiscano
in misura adeguata l’accesso dall’esterno.
Prevede, altresì, che le procedure di
reclutamento nelle pubbliche amministrazioni
si conformano, tra gli altri, ai seguenti
principi: adeguata pubblicità della
selezione, modalità di svolgimento che
garantiscano l’imparzialità e assicurino
economicità e celerità di espletamento,
adozione di meccanismi oggettivi e
trasparenti, idonei a verificare il possesso
dei requisiti attitudinali e professionali
richiesti in relazione alla posizione da
ricoprire.
La giurisprudenza è intervenuta più volte
con riferimento all’istituto delle
progressioni verticali, facendo applicazione
dei suesposti principi.
In particolare, in materia di giurisdizione
sul pubblico impiego, la Corte
Costituzionale, seguita dalla Cassazione e
dal Consiglio di Stato, ha più volte
ribadito il principio secondo cui il
passaggio ad una fascia funzionale superiore
costituisce l’accesso ad un nuovo posto di
lavoro ed è, pertanto, soggetto alla regola
del pubblico concorso (ex multis: Corte
cost. 24.07.2003, n. 274; Cass. SS.UU. Civ.
15.10.2003, n. 15403; Cons. di Stato, Sez.
IV, 07.06.2005, n. 2988).
Il Consiglio di Stato, adito in sede
consultiva con riferimento all’applicabilità
alle progressioni verticali della disciplina
recante il cosiddetto “blocco delle
assunzioni” di cui alla Legge 30.12.2004, n.
311, ha avuto modo di affermare che il
termine “assunzione” deve essere riferito
non solo all’ingresso iniziale nella pianta
organica del personale, ma anche alla
progressione verticale da un’area all’altra,
poiché anche in tal caso si verifica una
novazione del rapporto di lavoro (Cons. di
Stato, Sez. III, parere n. 3556 del
09.11.2005).
Infine, con riferimento alla legittimità
costituzionale di norme disciplinanti i
sistemi concorsuali e di progressione in
carriera dei pubblici dipendenti, la Corte
Costituzionale ha avuto modo di affermare
che la regola del pubblico concorso, da
applicarsi anche alle progressioni
verticali, può dirsi pienamente rispettata
qualora le selezioni non siano
caratterizzate da arbitrarie forme di
restrizione dei soggetti legittimati a
parteciparvi; forme che possono considerarsi
ragionevoli solo in presenza di particolari
situazioni, che possano giustificarle per
una migliore garanzia del buon andamento
dell'amministrazione (Corte Cost.
16.05.2002, n. 194).
In particolare, con riferimento
all’individuazione di quote di posti
riservati, il principio della necessità del
pubblico concorso è stato ritenuto violato
nel caso di riserva di tutti i posti
disponibili di una data qualifica ai
dipendenti in servizio ad una certa data
(Corte cost. 04.01.1999, n. 1); mentre la
riserva limitata al 50% dei posti messi a
concorso, in favore del personale della
qualifica immediatamente inferiore con
almeno cinque anni di servizio, è stata
ritenuta non irragionevole e non lesiva del
ricordato precetto costituzionale (Corte
Cost. 10.06.1994, n. 234).
Pertanto, con riferimento alla richiesta del
Comune di Pianico, si ritiene che la
progressione verticale sia effettuabile in
conformità ai principi sopra illustrati, con
la precisazione che, trattandosi di un solo
posto da mettere a concorso, non potrà
effettivamente essere prevista alcuna
riserva a favore di soggetti già dipendenti
dell’ente e pertanto la procedura
concorsuale dovrà essere interamente aperta
anche ai soggetti esterni.
Inoltre, per quanto riguarda gli aspetti
finanziario-contabili è opportuno rimarcare
la necessità dell’osservanza dei vincoli
alla spesa per il personale posti dalle più
recenti disposizioni normative, che qui
brevemente si richiamano:
- l’art. 1, co. 562, della Legge n.
296/2006, recante l’obbligo, per gli enti
non sottoposti al Patto di stabilità, di
contenere le spese per il personale, al
lordo degli oneri riflessi a carico
dell’amministrazione e dell’IRAP e con
esclusione degli oneri derivanti dai rinnovi
contrattuali, nei limiti di quanto impegnato
nell’anno 2004, nonchè il divieto di
procedere a nuove assunzioni di personale,
se non nei limiti delle cessazioni dei
rapporti di lavoro a tempo indeterminato
avvenute nell’anno precedente;
- l’art. 3, co. 121, della Legge n.
244/2007, che ha modificato il co. 562
dell’art. 1 della Legge n. 296/2006 ed ha
affermato che eventuali deroghe al limite
costituito dalla spesa impegnata nell’anno
2004, sono subordinate alla sussistenza
delle seguenti condizioni: il volume
complessivo della spesa per il personale in
servizio non deve essere superiore al
parametro obiettivo valido ai fini
dell’accertamento della condizione di ente
strutturalmente deficitario; il rapporto
medio tra dipendenti in servizio e
popolazione residente non deve superare
quello determinato per gli enti in
condizioni di dissesto, ridotto del 20 per
cento;
- l’art. 76 del D.L n. 112/2008 conv. nella
Legge n. 133/2008, che ha previsto, tra
l’altro, la sospensione delle deroghe
previste dall'art. 3, co. 121, della Legge
n. 244/2007 ad eccezione dei Comuni con un
numero massimo di dipendenti a tempo pieno
non superiore a dieci; ha sancito il divieto
di procedere a nuove assunzioni per gli enti
nei quali l'incidenza delle spese di
personale è pari o superiore al 50% delle
spese correnti ed ha ampliato il novero
delle spese di personale, includendovi anche
quelle sostenute per i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa,
per la somministrazione di lavoro, per il
personale di cui all'art. 110 del TUEL,
nonché per tutti i soggetti a vario titolo
utilizzati, senza estinzione del rapporto di
pubblico impiego, in strutture e organismi
variamente denominati partecipati o comunque
facenti capo all'ente.
Inoltre, si ritiene opportuno mettere in
luce che ogni modifica della pianta organica
dell’ente deve essere sostenuta da una
motivazione rapportata ad esigenze
organizzative generali del Comune e non a
circostanze fattuali inerenti, ad esempio,
all’esigenza di valorizzazione della
professionalità di singoli dipendenti.
Peraltro, con riferimento a quest’ultimo
aspetto, si osserva incidenter che, secondo
giurisprudenza consolidata, lo svolgimento
di mansioni superiori nel pubblico impiego
non può condurre al riconoscimento
dell’inquadramento lavorativo superiore
corrispondente, ma semmai solo alle
differenze retributive (ex multis: TAR
Marche Ancona, Sez. I, 10.10.2008, n. 1548;
Cons. di Stato, Sez. V, 18.09.2008, n. 4466;
TAR Puglia Lecce, Sez. II, 29.08.2008, n.
2422; Cass., SS.UU. Civ., 11.12.2007, n.
25837; TAR Lazio Roma, Sez. III, 01.10.2007,
n. 9480).
Conclusivamente, con riferimento al quesito
posto dal Comune di Pianico, si ritiene
che la progressione verticale sia
effettuabile, nel rispetto dei principi
sopra illustrati, con una procedura
concorsuale interamente aperta anche a
candidati esterni.
La disciplina in materia -che si è
indicata- ha carattere generale e non è
derogabile neppure dai Comuni con
popolazione inferiore ai 3.000 abitanti. |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Terranova Sappo Minulio (RC)
sulla obbligatorietà di dare corso
alle istanze di "rimborso delle somme
pagate per la tariffa relativa
alla depurazione delle acque reflue, in
assenza o per temporanea inattività del
depuratore" e in particolare sulle
procedure da adottare al riguardo
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Calabria,
parere
12.02.2009 n. 57
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Serrata (CS) sulla
obbligatorietà per l'Ente di dare corso alle
istanze di "rimborso delle somme dovute
per la tariffa relativa alla depurazione
delle acque reflue, in assenza o per
temporanea inattività del depuratore".
In particolare chiede di conoscere "quale
comportamento deve assumere in merito al
pagamento delle fatture in fase di
riscossione e alla predisposizione della
tariffa del servizio idrico per l'anno 2009"
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Calabria,
parere
12.02.2009 n. 56
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Pietrafitta (CS) sulla
obbligatorietà di dare corso alle istanze di
"rimborso delle somme pagate per la
tariffa relativa alla depurazione delle
acque reflue, in assenza o per temporanea
inattività del depuratore"
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Calabria,
parere 12.02.2009 n. 53
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di
Camini (RC) sulla
obbligatorietà dell'ente a dare corso alle
istanze di "rimborso delle somme pagate
per la tariffa relativa alla depurazione
delle acque reflue, in assenza o per
temporanea inattività del depuratore".
Inoltre l'ente chiede di conoscere la
decorrenza del rimborso e se sono dovuti,
oltre la sorte capitale, anche interessi e
rivalutazione monetaria
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Calabria,
parere
12.02.2009 n. 49
- link a www.corteconti.it).
a)
l’utente, che ha corrisposto al Comune
l’importo dell’intera tariffa, ha diritto ad
ottenere il rimborso, tempo per tempo, della
quota riferita al servizio di depurazione,
sempre che quest’ultimo non sia stato
fornito in quanto mancavano o manchino
impianti di depurazione o questi erano o
siano temporaneamente inattivi, previa
domanda di rimborso opportunamente
documentata;
b) l’Amministrazione comunale
effettuerà il rimborso, dopo aver
verificato, tempo per tempo, la legittimità
della richiesta, accertando anche la
corrispondenza tra “ricevuta di versamento”
esibita dall’utente e l’avvenuta
corrispondente riscossione da parte
dell’Ente;
c) le liste di carico inerenti ai
canoni in discussione, qualora approvate
dall’Amministrazione comunale e non ancora
poste in riscossione, vanno depurate delle
quote di tariffa eventualmente non dovute
dall’utente e, nel caso di utente moroso, la
richiesta bonaria o forzosa deve essere
anche essa depurata delle quote di tariffa
eventualmente non dovute dall’utente
medesimo;
d) il soggetto a carico del quale
dovrà essere posto il relativo onere
finanziario coincide con l’Ente che ha
riscosso e utilizzato le somme che ora
vengono dichiarate, dalla citata sentenza
della Corte Costituzionale, non dovute
dall’utente, in quanto corrispettivo di un
servizio non ricevuto dall’utente medesimo.
Ovviamente l’Ente locale interessato, nel
rispetto dei principi del bilancio,
provvederà ad istituire nel bilancio di
previsione un apposito capitolo di spesa il
cui stanziamento sarà definito sulla base
delle domande di rimborso di volta in volta
pervenute e utilmente verificate da parte
delle competenti strutture amministrative.
Quanto, infine, alla decorrenza di eventuali
interessi e rivalutazione monetaria, la
Corte ritiene, come già chiarito in altri
casi, non potersi pronunciare, per evitare
possibili sovrapposizioni con altri Organi. |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
S. Maglia e M. Gianni,
Il modello di dichiarazione ambientale per
il 2009 alla luce del D.P.C.M. 02.12.2008
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
R. Nitti,
Note in tema di tecniche investigative e di
protocolli di indagine in materia ambientale
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Forte,
L’accertamento dei crimini ambientali:
dall’intervento della Polizia Giudiziaria
alla definitività dell’accertamento
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Ardituro,
LE TECNICHE INVESTIGATIVE ED I PROTOCOLLI DI
INDAGINE IN MATERIA AMBIENTALE ED I RAPPORTI
CON LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L. A. Pezone,
Undici ragioni per rivalutare le fosse
Imhoff (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Scognamiglio,
Abusi edilizi e legge penale. La disciplina
dei condoni (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
V. Paone
Inquinamento idrico: qual'è il confine tra
le immissioni occasionali e lo scarico?
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
P. Fimiani,
La normativa sui rifiuti (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. De Falco,
Discarica abusiva: realizzazione, gestione e
posizione del proprietario del fondo. La
cassazione interviene ancora
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Amendola,
La normativa sull’inquinamento idrico e
atmosferico (link a
www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G. Petronella,
“L’ACCESSO AGLI ATTI DELL’ISPEZIONE IN
MATERIA DI LAVORO: IL DIRITTO ALLA
RISERVATEZZA RESISTE DI FRONTE AL DIRITTO DI
DIFESA” (nota a sentenza TAR Piemonte, Sez.
II, 16.07.2008 n. 1628) - link a
www.diritto.it). |
ENTI LOCALI:
M. Greco,
Il reclutamento delle risorse umane nelle
società pubbliche (link a
www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Romanucci,
Diniego di permesso di costruire e divieto
di motivazione postuma: brevi note sulla
tutela degli interessi pretensivi tra il non
fare del cittadino e il non dire della P.A.
(link a www.diritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
A. Matranga,
Se il Comune non fornisce la prova della
mancanza di colpa o di concorso di colpa da
parte del danneggiato, il cittadino vittima
di un danno da insidia stradale va risarcito
anche del danno morale sofferto
(link a www.diritto.it). |
APPALTI:
L. Risolo,
Contratto di appalto e Documento Unico di
Regolarità Contributiva nei Lavori Pubblici
(link a www.diritto.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI:
Regolamento in materia di attività di
vigilanza e accertamenti ispettivi
(Segretariato Generale,
comunicato 06.04.2009 - link a
massimario.avlp.it). |
APPALTI:
Servizi - Convenzioni con
cooperative sociali "b" ex art. 5 l.
381/1991 - Divieto di avvalimento requisiti
tecnico-organizzativi - Ammissibilità -
Ragioni - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
Ai fini del corretto inquadramento giuridico
della questione sottoposta a questa Autorità
occorre, preliminarmente, evidenziare che la
Legge 08.11.1991, n. 381 e s.m., contenente
la disciplina nazionale delle cooperative
sociali, all’art. 5, comma 1, detta
specifiche disposizioni in tema di
“Convenzioni”.
La citata disposizione consente agli enti
pubblici, compresi quelli economici, nonché
alle società di capitali a partecipazione
pubblica, di stipulare, con le cooperative
che svolgono le attività di cui all’art. 1,
comma 1, lettera b), (c.d. cooperative
sociali di tipo B), ovvero con analoghi
organismi aventi sede negli Stati membri
della Comunità europea, convenzioni per la
fornitura di beni e servizi diversi da
quelli socio-sanitari ed educativi il cui
importo stimato sia inferiore alla soglia
comunitaria, “anche in deroga alla
disciplina in materia di contratti della
pubblica amministrazione”, purché tali
convenzioni siano finalizzate a creare
opportunità di lavoro per le persone
svantaggiate, indicate nell’art. 4 della
legge medesima.
A sua volta, la Legge n. 21 del 01.09.1993,
emanata dalla Regione Puglia, nel dettare
disposizioni a livello regionale sulle
cooperative sociali, al comma 1 dell’art. 6,
in tema di “Convenzioni”, riproduce
pedissequamente la richiamata disposizione
legislativa nazionale, ribadendo la deroga
alla disciplina in materia di contratti
della pubblica amministrazione, mentre al
comma 2 precisa che, se sono presenti nel
territorio di competenza del committente
ente pubblico più cooperative sociali
iscritte all’Albo regionale, che provvedono
alla fornitura dei beni e servizi richiesti,
“per l’individuazione del contraente viene
fatto ricorso alla gara d’appalto”.
Tuttavia, la citata disposizione regionale,
di cui al comma 2 dell’art. 6, nel prevedere
una procedura selettiva in caso di pluralità
di cooperative sociali iscritte all’Albo
regionale, non contiene alcun rinvio alla
disciplina generale in materia di contratti
pubblici, che anzi continua ad essere
oggetto di deroga, come espressamente
stabilito -in conformità alla legge
nazionale n. 381/1991- dal precedente comma
1 del medesimo art. 6, in considerazione
della specialità della disciplina dettata
per l’affidamento delle convenzioni alle
cooperative sociali.
Peraltro, lo stesso art. 52 del D.Lgs. n.
163/2006, nel dettare la disciplina dei c.d.
“Appalti riservati”, preliminarmente
puntualizza che sono “Fatte salve le
norme vigenti sulle cooperative sociali e
sulle imprese sociali”.
Ne discende che il Comune di San Donaci, nel
predisporre la lettera di invito per
l’affidamento del servizio di cui trattasi
in applicazione dell’art. 6, comma 2, della
L.R. n. 21/1993 sulle cooperative sociali,
ha legittimamente derogato alla disciplina
generale in materia di contratti pubblici,
in particolare all’art. 49 del D.Lgs. n.
163/2006, introducendo nel punto 5 delle
DISPOSIZIONI DI CARATTERE GENERALE, la
prescrizione secondo cui “Non è consentito
l’avvalimento dei requisiti
tecnico-organizzativi (servizi analoghi già
svolti)”.
Tale deroga, inoltre, appare legittima, non
solo per le sopra esposte considerazioni di
ordine sistematico, ma anche tenuto conto
della ratio della deroga stessa che, secondo
un pacifico orientamento, va individuata
nella immediata finalizzazione delle
convenzioni stipulate ai sensi della
normativa nazionale e regionale sulle
cooperative sociali a creare opportunità di
lavoro per persone socialmente svantaggiate
e, dunque, nella finalità di interesse
generale di favorire l’inserimento nel
mercato del lavoro di soggetti a rischio di
esclusione sociale.
In questa ottica diviene, pertanto,
coessenziale alla legittima applicazione
della suddetta normativa speciale
l’effettivo utilizzo di persone socialmente
svantaggiate delle stesse cooperative
convenzionate nella realizzazione dei
servizi affidati dalle amministrazioni
pubbliche, nel rispetto di un progetto di
inserimento negoziato con le amministrazioni
stesse.
Conseguentemente, se, come nel caso di
specie, l’affidamento del servizio avviene
in applicazione della richiamata disciplina
derogatoria sulle cooperative sociali, l’avvalimento
dei requisiti tecnico-organizzativi -in
particolare dei servizi analoghi già svolti-
di un altro soggetto imprenditoriale, anche
se solo parziale, trattandosi di requisiti
maturati con l’impiego di dipendenti
dell’impresa ausiliaria che non hanno le
caratteristiche delle persone svantaggiate
individuate dalla normativa di settore,
falserebbe la selezione comparativa,
frustrando la finalità solidaristica sottesa
alla disciplina in esame, su cui si fonda la
deroga alla disciplina ordinaria degli
appalti di servizi.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che la clausola inserita
dal Comune di San Donaci nella lettera di
invito è conforme alla normativa di settore
(parere
18.03.2009 n. 38 - link a
massimario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Art. 11, c. 1 d.p.r. n. 380/2001
- Proprietario dell’immobile o titolare di
altro diritto legittimante il rilascio del
permesso di costruire - Comune - Verifica -
Limite della ragionevolezza e della comune
esperienza.
Ex art. 11, I comma, del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380, il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell’immobile o a
chi abbia titolo per richiederlo, sicché
l’interessato è tenuto a fornire al Comune
prova del suo diritto, ma quest’ultimo non
può e non deve svolgere sul punto verifiche
eccedenti quelle richieste dalla
ragionevolezza e dalla comune esperienza, in
relazione alle concrete circostanze di
fatto, tanto più che, come lo stesso art. 11
specifica, il permesso di costruire “non
incide sulla titolarità della proprietà o di
altri diritti reali relativi agli immobili
realizzati per effetto del suo rilascio”
(II comma) e “non comporta limitazione
dei diritti dei terzi” (TAR Veneto, Sez.
II,
sentenza 04.04.2009 n. 1198 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Art. 87 d.lgs. n. 259/2003 - Fase
istruttoria - Provvedimento di rigetto -
Atto di preavviso del rigetto - Art. 10-bis
L. n. 241/1990.
L’art. 87 del Codice delle comunicazioni
elettroniche, di cui al d.l.vo 01.08.2003,
n. 259, prevede, al suo comma 5, una
possibile fase istruttoria pur nell’ambito
del procedimento speciale da esso normato. E
ciò, in un contesto in cui l'intera
disciplina del Codice è orientata verso
forme di semplificazione amministrativa, in
ossequio al divieto di aggravare il
procedimento amministrativo ex art. 1, comma
2, legge n. 241/1990. Ne deriva che
l’amministrazione non può emanare un
provvedimento di rigetto senza far luogo
alla fase istruttoria o, il che poi si
risolve nella medesima cosa quanto agli
aspetti sostanziali (salvo cioè il rito ed i
termini diversi), senza adottare prima
l’atto di preavviso del rigetto, di cui
all’art. 10-bis della l. 241 del 1990 (cfr.
Tar Campania, Sez VII, 03.08.2006, n. 7822).
INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO - Oneri procedurali - Art.
87 d.lgs. n. 259/03 - Esigenze di
semplificazione - Adempimenti imponibili -
Esempi - DURC - Parere ARPAC - Dimostrazione
di disponibilità dell’area.
Se è vero che oneri procedurali ulteriori
rispetto a quelli previsti dal d.l.vo
259/2003 contrastano con le esigenze di
semplificazione del procedimento
amministrativo connesse alla riconosciuta
natura di opere di urbanizzazione delle
stazioni radio base ed alla natura di
interesse pubblico del servizio attraverso
di esse garantito, ciò non esclude ogni e
qualsiasi, pur minimo, adempimento che non
sia indicato espressamente dall’art. 87 del
Codice: a meno che esso non si traduca in un
indebito aggravamento del procedimento, in
una situazione che vede il legislatore
speciale favorire una celere realizzazione
della rete (cfr. Tar Campania, sezione
settima, sentenza n. 3421 del 12.04.2007,
che richiama Corte Costituzionale,
27.07.2005, n. 336).
Fra i possibili ulteriori adempimenti
imponibili non vi è spazio per richieste di
documentazione che afferiscano direttamente
a previsioni regolamentari dettate per le
vicende puramente edilizie: ovvero, per
ottenere il rilascio del permesso di
costruire o per accompagnare la denuncia di
inizio attività sempre in campo edilizio, né
per imporre oneri esclusi dall’art. 93 del
Codice ripetuto.
Quanto al DURC, l’Amministrazione non può
dunque impedire la formazione del titolo
abilitativo, o annullarlo o rimuoverlo,
contestando la mancanza del DURC. Tuttavia,
al fine dell’esecuzione materiale dei
lavori, la certificazione di regolarità
contributiva è necessaria ex art. 3, comma
8, lett. b)-ter, del d.l.gs. 494/1996.
Nello stesso modo, per quanto attiene
all’imposizione della previa acquisizione
del parere dell’ARPAC, questo non è
necessario ai fini del rilascio
dell’autorizzazione, ma solo a quelli della
concreta attivazione dell’impianto (cfr.,
Tar Campania, sentt. n. 1888 del 12.03.2008,
n. 4797 del 20.05.2008 e n. 1796 del
12.03.2007 cit.).
Quanto, infine, alla relazione fra soggetto
richiedente e immobile sul quale l’impianto
ha ad essere realizzato, è sufficiente, e
quindi possibile richiedere, la
dimostrazione della disponibilità dell’area,
senza necessità di produrre l’assenso
specifico del proprietario della stessa
(Cons. Stato, sez. VI, 3534/2006; Tar
Campania, sent. n. 14454/2007); il che non
esclude, evidentemente, che in presenza di
peculiari circostanze siano richieste
all’amministrazione più puntuali
approfondimenti e conseguenti decisioni,
nell’ovvio previo rispetto degli obblighi
procedurali che si impongono a seconda delle
situazioni in concreto date (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1722 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO -
Stazioni radio base - Divieto di
installazione su tutto il centro abitato -
Illegittimità.
Il divieto di istallazione delle stazioni
radio base in tutto il centro abitato -in
quanto criterio generico ed eterogeneo (cfr.
Consiglio di Stato, VI, n. 3452/2006)- è
illegittimo (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1721 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Programmi complessi e Piano di
recupero. Poteri del giudice penale.
1.
I "programmi complessi" come i programmi
integrali di intervento di cui all’art. 16
della legge 17.02.1992, n. 179 ed i
programmi di riqualificazione urbana di cui
all'art. 2 della legge 17.02.1992, n. 179,
sono pur sempre strumenti attuativi del PRG,
sia pure con caratteristiche peculiari e
privilegiate, che possono porsi in variante
al PRG vigente al momento della loro
approvazione ma non sono idonei, qualora
redatti antecedentemente, a vincolare un
successivo piano regolatore generale.
2.
Il piano di recupero è uno strumento
urbanistico, che ha natura di
piano-programma con contenuto complesso,
equivalente, sotto il profilo dell‘efficacia
giuridica, al piano particolareggiato, dal
quale si differenzia perché finalizzato,
piuttosto che alla complessiva
trasformazione del territorio, al recupero
del patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente con interventi rivolti alla
conservazione, risanamento, ricostruzione ed
alla migliore utilizzazione del patrimonio
stesso.
3.
Il giudice penale, allorquando accerta
profili di illegittimità sostanziale di un
titolo abilitativo edilizio, procede ad una
identificazione in concreto della
fattispecie sanzionata e non pone in essere
alcuna disapplicazione riconducibile
all'art. 5 della legge 20.03.1865, n. 2248,
allegato E), né incide, con indebita
ingerenza, sulla sfera riservata alla
Pubblica Amministrazione, poiché esercita un
potere che trova fondamento e
giustificazione nella stessa previsione
normativa incriminatrice. La non-conformità
dell’atto amministrativo alla normativa che
ne regola l’emanazione, alle disposizioni
legislative statali e regionali in materia
urbanistico-edilizia ed alle previsioni
degli strumenti urbanistici può essere
rilevata non soltanto se l’atto medesimo sia
illecito, cioè frutto di attività criminosa,
ed a prescindere da eventuali collusioni
dolose del soggetto privato interessato con
organi dell’amministrazione. Il sindacato
del giudice penale, al contrario, è
possibile tanto nelle ipotesi in cui
l’emanazione dell’atto sia espressamente
vietata in mancanza delle condizioni
previste dalla legge quanto in quelle di
mancato rispetto delle norme che regolano
l’esercizio del potere. Spetta in ogni caso
al giudice del merito, e non certo a quello
del riesame di provvedimenti di sequestro,
la individuazione, in concreto, di eventuali
situazioni di buona fede e di affidamento
incolpevole (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 02.04.2009 n. 14504 -
link a www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Risposte dalla p.a. entro 30
giorni, anche se negativa. La Cassazione ha
condannato al carcere un tecnico comunale.
I dipendenti pubblici non possono
prendersela comoda sulle richieste di
rilascio dei documenti presentate dai
cittadini. Hanno, al massimo, 30 giorni di
tempo anche se la risposta è negativa,
dopodiché rischiano una condanna per
omissione d’atti d’ufficio e, quindi, il
carcere (Corte di Cassazione, Sez. VI
penale,
sentenza
02.04.2009 n. 14466). |
URBANISTICA: La
reiterazione del vincolo espropriativo dev'essere
puntualmente motivata.
In materia di reiterazione di vincoli
espropriativi la giurisprudenza è rigorosa
nel richiedere una motivazione stringente e
puntuale in ordine alle ragioni che militano
per la reintroduzione della disciplina
vincolistica (da ultimo, Cons. Giust. Amm.,
n. 1113 del 19.12.2008); nella esternazione
di dette ragioni il Collegio è persuaso che
non possa l’Amministrazione prescindere
dall’indicare precisamente per qual motivo
la scelta vincolistica è nuovamente caduta
su un terreno già gravato in passato da
analoga disciplina restrittiva, ed in tal
senso non potrebbe essere omessa una
valutazione comparativa del terreno
nuovamente gravato rispetto ai terreni
viciniori, ove mai capaci di soddisfare
analoghe localizzazioni pubblicistiche.
Non solo, ma nei casi come quello in esame,
in cui il privato ha dimostrato –a mezzo di
espressa istanza– di aver specifico
interesse alla utilizzazione edificatoria
del terreno, un nuovo regime urbanistico
inibitorio non può che tener dietro ad una
approfondita istruttoria, che dia conto del
nuovo sacrificio all’interesse privato in
rapporto all’imprescindibile perseguimento
dell’interesse pubblico sotteso alla
realizzazione immediata dell’opera pubblica
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.03.2009 n. 1818 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
assenza di parametri normativi fissi e
predeterminati, la verifica dell'incidenza
dei reati sulla moralità professionale della
stazione appaltante attiene all'esercizio
del potere discrezionale della P.A.. E deve
essere operata attraverso la disamina in
concreto delle caratteristiche dell’appalto,
del tipo di condanna, della natura e delle
concrete modalità di commissione del reato.
E' pacifico
orientamento giurisprudenziale che,
eccettuati i reati indicati testualmente [decreto
penale di condanna divenuto irrevocabile per
il delitto, ritenuto incidente sulla
moralità professionale, di cui all’art. 590,
co. 3, c.p. a carico dell’amministratore
delegato con delega alla sicurezza –e
direttore tecnico- della società, avendo il
medesimo, in qualità di datore di lavoro,
cagionato per colpa lesioni personali gravi
riportate dalla persona offesa in un
incidente occorsole in cantiere. Tale
decreto penale di condanna era stato
menzionato ed allegato dalla concorrente in
sede di dichiarazione resa ai fini della
partecipazione alle gare, con l’indicazione
“relativo a fattispecie ritenuta non grave”],
circa i restanti, in assenza di parametri
normativi fissi e predeterminati, la
verifica della loro incidenza sulla moralità
professionale attiene all’esercizio del
potere discrezionale della p.a. e deve
essere operata attraverso la disamina in
concreto delle caratteristiche dell’appalto,
del tipo di condanna, della natura e delle
concrete modalità di commissione del reato
(cfr., tra le più recenti, Cons. St., sez.
V, 12.04.2007 n. 1723).
Ricordato che il ripetuto art. 38, co. 1,
lett. c), annovera espressamente il decreto
penale di condanna divenuto irrevocabile tra
i provvedimenti pronunziati a carico del
soggetto che, se concernenti i detti reati
gravi incidenti sulla moralità
professionale, comportano l’esclusione dal
partecipare a gare pubbliche e dal
contrarre, va ribadito che, nella specie,
l’Amministrazione ha valutato tutti gli
elementi inerenti in concreto il reato
commesso dal signor Cerutti, quali la
tipologia dell’appalto, il bene leso con il
comportamento delittuoso, la specificità,
l’epoca e le circostanze del fatto, così
correttamente concludendo per la gravità e
l’incidenza della condanna sull’affidabilità
contrattuale in relazione ai lavori da
affidare, quindi per l’insussistenza del
requisito in argomento.
In particolare, la commissione
aggiudicatrice ha considerato che il decreto
penale, divenuto esecutivo il 01.10.2005,
riguarda il reato di lesioni personali
colpose commesso in data 16.07.2003, che si
tratta di un incidente occorso in cantiere,
dal quale è derivata una malattia del corpo,
con incapacità di attendere alle ordinarie
occupazioni per oltre 40 giorni, e che la
colpa consiste in negligenza, imprudenza,
imperizia e violazione delle norme per la
prevenzione, non avendo l’amministratore
delegato, con delega alla sicurezza, e
datore di lavoro adottato nell’esercizio
dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la
tecnica, sono necessarie a tutelare
l’integrità fisica del lavoratore,
precisando altresì che tale condotta è
violativa di norme imperative e specifiche
del settore.
Dunque, ha dato conto puntualmente
dell’esistenza di un reato specifico
connesso al tipo di attività che il soggetto
sarebbe chiamato a svolgere, non risalente
nel tempo, la cui gravità viene correlata
non solo e non tanto alla gravità delle
lesioni procurate alla persona offesa,
quanto anche alla circostanza che
l’accertata condotta consiste
nell’inosservanza di norme basilari ed
inderogabili in materia antinfortunistica
(la cui violazione nel reato in parola
comporta, significativamente ai fini in
questione, un aggravamento della pena
rispetto a quella comminata in assenza di
ciò: cfr. cit. art. 590, co. 3, c.p.);
inosservanza proprio da parte del soggetto
su cui, all’epoca dei fatti, incombeva
l’obbligo giuridico di assicurare la
sicurezza nel cantiere (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 23.03.2009 n. 1736 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il potere in capo al Consiglio
Comunale di ridurre la fascia di
rispetto cimiteriale non deve intendersi nel
senso di riconoscere a quest’ultimo una mera
facoltà di pronunciamento, dovendosi
piuttosto ritenere che, fermo restando
l’obbligo di adottare un tempestivo
provvedimento in risposta alle istanze
all’uopo presentate, il Consiglio comunale
disponga di un ampio potere discrezionale,
da esercitarsi attraverso l’esplicazione in
motivazione delle ragioni delle
determinazioni assunte, circa l’autorizzabilità
di interventi edificatori in deroga rispetto
alla fascia di rispetto sanitario
L'art. 338 del R.D. 27.07.1934 n. 1265, come
modificato dall’art. 28 della legge
01.08.2002 n. 166, attribuisce al consiglio
comunale il potere di consentire, se non vi
ostino ragioni igienico-sanitarie accertate
dalla competente Azienda USL, la riduzione
della zona di rispetto cimiteriale, tenendo
conto degli elementi ambientali di pregio
dell'area.
Resta dunque evidente che l’anzidetta
attribuzione del potere decisorio all’organo
consiliare non deve intendersi, come
ritenuto dalla difesa comunale, nel senso di
riconoscere a quest’ultimo una mera facoltà
di pronunciamento, dovendosi piuttosto
ritenere che, fermo restando l’obbligo di
adottare un tempestivo provvedimento in
risposta alle istanze all’uopo presentate,
il Consiglio comunale disponga di un ampio
potere discrezionale, da esercitarsi
attraverso l’esplicazione in motivazione
delle ragioni delle determinazioni assunte,
circa l’autorizzabilità di interventi
edificatori in deroga rispetto alla fascia
di rispetto sanitario.
Nel caso di specie, non risulta che il
consiglio comunale si sia pronunciato sulla
richiesta presentata in data 12.11.2007
dalla ricorrente.
Né risulta che, in adesione alla
disponibilità manifestata dalla stessa
ricorrente al fine di evitare il presente
giudizio, siano stati indicati tempi certi
per la definizione del procedimento per cui
è causa.
Di qui, accertato l’illegittimo
inadempimento del Consiglio comunale al suo
obbligo di provvedere, l’accoglimento del
ricorso, con condanna dello stesso organo
consiliare all’adozione del provvedimento
richiesto entro il termine di 60 (sessanta)
giorni dalla notificazione o dalla
comunicazione in via amministrativa della
presente sentenza, avvertendo che, per il
caso di ulteriore inadempimento, si
procederà senza indugio alla nomina di un
commissario ad acta per gli adempimenti in
via sostitutiva, con addebito delle spese
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 20.03.2009 n. 322 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Acque. Distribuzione acqua
potabile e rifiuto di atti d'ufficio.
Integra il reato di rifiuto di atti
d’ufficio di cui all’art. 328, comma primo,
cod. pen., e non l’illecito amministrativo
previsto dall’art. 19, comma quarto, del
D.Lgs. 02.02.2001, n. 31, che disciplina la
materia della distribuzione di acqua
potabile in attuazione della direttiva CEE
98/83 sulla qualità delle acque destinate al
consumo umano, la condotta inerte del
sindaco di un comune il quale, a fronte di
una situazione potenzialmente
pregiudizievole per la salute pubblica in
relazione all’assenza dei requisiti previsti
per la potabilità dell’acqua erogata per il
consumo, ometta di adottare, nonostante le
ripetute segnalazioni pervenutegli dalle
competenti autorità sanitarie, i necessari
provvedimenti contingibili ed urgenti volti
ad eliminare il rischio del superamento dei
parametri stabiliti dalla legislazione
speciale in materia (Corte di Cassazione,
Sez. VI penale,
sentenza 19.03.2009 n. 12147 -
link a www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
comunicazione di avvio del procedimento
riveste evidente natura prodromica ed
endoprocedimentale e di conseguenza non è
direttamente lesiva della sfera giuridica
del destinatario e, quindi, non è
autonomamente ed immediatamente impugnabile.
La comunicazione di avvio del procedimento
riveste evidente natura prodromica ed
endoprocedimentale –promuovendo
l’instaurazione di un contraddittorio a
carattere necessario– e di conseguenza non è
direttamente lesiva della sfera giuridica
del destinatario e, quindi, non è
autonomamente ed immediatamente impugnabile
(TAR Piemonte, sez. I – 25/09/2008 n. 2053;
TAR Campania Napoli, sez. V – 24/01/2008 n.
384).
La notizia di avvio del procedimento avvia
l’esperimento della fase istruttoria e non
incide in via definitiva sulla posizione del
privato, anche se prefigura l’adozione di
una determinazione sfavorevole: essa assume
la funzione di sollecitare il privato ad una
proficua collaborazione, mediante
l’esposizione di osservazioni e la
produzione di documenti suscettibili di
orientare il convincimento
dell’amministrazione procedente, la quale si
esprimerà in via definitiva soltanto con il
provvedimento finale. In definitiva
eventuali vizi potranno essere fatti valere
impugnando l’atto conclusivo, dotato di
carattere autoritativo e perciò capace di
procurare un concreto pregiudizio
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 12.03.2009 n. 623 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L’illeggibilità
della firma apposta in calce ad un
provvedimento amministrativo non ne comporta
ex se l’invalidità per impossibilità di
individuare l’autore, quando dall’atto
stesso risultino altri elementi sufficienti
per tale individuazione.
Sostiene l’Ente
locale che il provvedimento di annullamento
risulta sottoscritto da soggetto sconosciuto
con l’apposizione di una firma illeggibile
accanto al nome e al cognome dattiloscritto
del Soprintendente (preceduto da un segno
X), senza richiamare alcun conferimento di
potere da parte di quest’ultimo, unico
titolare delle funzioni istituzionali: si
configura dunque una carenza di potere e la
nullità assoluta dell’atto, poiché la delega
successivamente prodotta ha un contenuto
assolutamente generico, riferendosi agli
affari correnti e non ad un singolo ed
individuato procedimento.
In disparte i dubbi di ammissibilità del
gravame proposto da un soggetto (Comune)
chiamato insieme all’autorità statale a
svolgere una funzione di amministrazione
attiva –espressione di un’attività di
“cogestione” a salvaguardia dell’interesse
pubblico paesaggistico di rilievo
costituzionale– esso è comunque infondato
nel merito.
L’art. 17, comma 1-bis, del D. Lgs 165/2001,
introdotto con la L. 145/2002, abilita i
dirigenti a delegare “alcune competenze
comprese nelle funzioni di cui alle lettere
b), d) ed e) del comma 1” ai dipendenti
con posizione funzionale più elevata
nell’ambito degli uffici ad essi affidati.
Il Soprintendente ha sottoscritto la nota
datata 05/06/2008, con la quale ha delegato
l’Arch. Daniele Rancilio a sostituirlo dal 9
al 13 giugno “per il disbrigo degli
affari correnti”.
Non può essere pertanto condivisa la censura
così come avanzata dal Comune, in quanto il
contenuto dell’atto di delega è chiaro
nell’investire il destinatario del compito
di adottare, in assenza del dirigente
titolare, gli atti di ordinaria
amministrazione. La norma sopra richiamata,
di rango legislativo, non introduce
particolari vincoli all’ampiezza della
delega, salva la necessità di specificare la
tipologia di attribuzioni demandate al
delegato: così oltre al singolo procedimento
o al singolo affare può essere affidata al
sottoposto l’attività di normale gestione
dell’ufficio, che contempla l’adozione di
atti e provvedimenti amministrativi (art.
17, comma 1, lett. b), con implicita
esclusione della gestione cd. straordinaria,
ossia della possibilità di assumere
decisioni tecniche, organizzative e
strategiche di rilevante spessore e di
rilevanza generale.
Peraltro tale interpretazione risponde anche
a canoni di logicità e buon andamento, dato
che l’assenza per pochi giorni del titolare
di un ufficio per i più svariati motivi
(formazione, incontri di vertice, ferie,
etc.) non può comportare la paralisi o il
rallentamento dell’attività ordinaria.
D’altro canto non coglie neppure nel segno
il rilievo per il quale il provvedimento di
annullamento sarebbe illegittimo per
l’omesso richiamo dell’atto di delega e per
l’illeggibilità della firma, posto che la
circostanza rilevante è la possibilità di
procedere comunque alla ricostruzione
dell’identità dell’autore della
sottoscrizione e della fonte dei suoi
poteri, circostanza appunto acclarata dalla
stessa amministrazione comunale. Del resto
l’illeggibilità della firma apposta in calce
ad un provvedimento amministrativo non ne
comporta ex se l’invalidità per
impossibilità di individuare l’autore,
quando dall’atto stesso risultino altri
elementi sufficienti per tale
individuazione: in particolare è stato
ritenuto sufficiente poter risalire
all’organo che ha emesso l’atto, e dunque
per relationem –ove sia necessario– alla
persona fisica che ricopre la carica pro
tempore e che ha reso la sottoscrizione
(Consiglio di Stato, sez. VI – 21/08/2002 n.
4246). Nella specie la persona fisica
incardinata temporaneamente nell’ufficio è
stata appunto individuata con l’atto di
delega prodotto in atti
(TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 12.03.2009 n. 623 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Il
controllo che compete all’autorità statale
ad estrema difesa del vincolo paesaggistico
investe la legittimità del procedimento
autorizzatorio, e si concentra
principalmente sull’esaustività della
documentazione allegata alla pratica già
esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi
emesso il provvedimento favorevole.
2. L’autorità che esamina una domanda di
autorizzazione paesistica deve manifestare
la piena consapevolezza delle conseguenze
derivanti dalla realizzazione delle opere
nonché della visibilità dell’intervento
progettato nel più vasto contesto
ambientale, e non può fondarsi su
affermazioni apodittiche, da cui non si
evincano le specifiche caratteristiche dei
luoghi e del progetto.
1.
Come la Sezione ha già rilevato (cfr.
sentenza 04/08/2008 n. 847), il controllo
che compete all’autorità statale ad estrema
difesa del vincolo paesaggistico investe la
legittimità del procedimento autorizzatorio,
e si concentra principalmente
sull’esaustività della documentazione
allegata alla pratica già esaminata e
vagliata dal Comune, che ha poi emesso il
provvedimento favorevole. Le integrazioni
afferiscono dunque ad eventuali carenze od
omissioni riscontrate in sede di
trasmissione delle planimetrie e degli
elaborati alla Soprintendenza, mentre non
possono riguardare documenti che il Comune
non ha mai provveduto ad acquisire.
Del tutto legittimamente dunque è stato
comunicato l’avvio del procedimento di
annullamento sollecitando la spedizione
dell’eventuale documentazione mancante per
errori commessi durante la formazione del
plico ovvero per disguidi postali; i
documenti comunque dovevano “già essere
stati presentati all’amministrazione
comunale a corredo della domanda di
autorizzazione” (cfr. pag. 1 notizia
avvio procedimento).
In definitiva non può essere valorizzata la
prospettata esigenza di interruzione del
termine per permettere un’integrazione
documentale che non gioverebbe né al privato
né al Comune, poiché la potestà della
Soprintendenza investe i profili di
correttezza del giudizio di compatibilità
paesaggistica emesso dall’amministrazione
locale in una determinata data, dopo l’esame
di un progetto e dei relativi specifici
allegati (relazioni, planimetrie, tavole,
etc.).
Sotto altro profilo è evidente che l’art. 7
della L. 241/1990 impone di garantire
l’effettività del momento partecipativo
assicurando un contraddittorio reale e non
meramente apparente (cfr. TAR Sardegna, sez.
II – 27/05/2005 n. 1272): l’obbligo di
comunicare agli interessati l’avvio del
procedimento non può quindi ritenersi
assolto qualora l’amministrazione abbia
concesso un termine eccessivamente breve,
così da impedire un loro serio e concreto
coinvolgimento nella fase istruttoria.
2.
Il Collegio ha recentemente evidenziato che,
sotto un profilo d’ordine generale (cfr.
Consiglio di Stato, adunanza plenaria –
14/12/2001 n. 9), l’autorità che esamina una
domanda di autorizzazione paesistica deve
manifestare la piena consapevolezza delle
conseguenze derivanti dalla realizzazione
delle opere nonché della visibilità
dell’intervento progettato nel più vasto
contesto ambientale, e non può fondarsi su
affermazioni apodittiche, da cui non si
evincano le specifiche caratteristiche dei
luoghi e del progetto; in secondo luogo deve
verificare se la realizzazione del progetto
comporti una compromissione dell’area
protetta, accertando in concreto la
compatibilità dell’intervento col
mantenimento e l’integrità dei valori dei
luoghi (cfr. sentenze Sezione 25/02/2008 n.
153; 06/05/2008 n. 483; 04/08/2008 n. 847).
In relazione ai poteri al riguardo spettanti
al Ministero, le pronunce richiamate hanno
sottolineato che il potere esercitato
dall’amministrazione statale
sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata
dall’autorità regionale (o dalle autorità
subdelegate) va definito in termini di “cogestione
dei valori paesistici”, espressione di
amministrazione attiva, nell’ambito di un
unitario procedimento complesso all’interno
del quale l’autorità statale può annullare
l’autorizzazione paesistica (oltre che per
il vizio di violazione di legge in senso
stretto e per quello di incompetenza) anche
quando risulti un profilo di eccesso di
potere (per sviamento, insufficiente
motivazione, difetto di istruttoria,
illogicità manifesta); la medesima autorità
non può, viceversa, annullare
l’autorizzazione paesistica sulla base di
proprie considerazioni
tecnico-discrezionali, contrarie a quelle
effettuate dalla Regione o dall’Ente
subdelegato (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 12.03.2009 n. 623 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rumore. Ordinanza e procedimento
amministrativo.
La legge n. 241/1990 sancisce a livello di
diritto positivo l’istituto della
partecipazione al procedimento
amministrativo, manifestazione di quel più
generale principio del “giusto procedimento”
in forza del quale l’azione della P.A. si
svolge nel contraddittorio dei suoi
destinatari, ed il procedimento costituisce
il luogo virtuale di composizione preventiva
dei conflitti fra soggetti pubblici e
privati portatori di interessi contrapposti.
La partecipazione degli interessati al
procedimento si attiva in prima battuta
attraverso la obbligatoria comunicazione di
avvio disciplinata dagli artt. 7 e 8 della
legge n. 241 cit., che, per espressa
previsione normativa, può peraltro venire
omessa ove sussistano ragioni di impedimento
derivanti da particolari esigenze di
celerità; fermo restando che, in termini
generali, l’amministrazione è sempre tenuta
a rendere conto della sussistenza di tali
ragioni di urgenza qualificata (fattispecie
relativa ad ordinanza contingibile ed
urgente di sospensione di emissioni
acustiche) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 04.03.2009 n. 399 - link
a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO ACUSTICO -
Istruttoria - Accertamenti fonometrici -
Partecipazione dell’interessato.
Il soggetto cui si riferisce l’attività di
accertamento fonometrico deve essere posto
in grado di partecipare all’attività stessa,
al fine di presentare le proprie
osservazioni anche in ordine alla
correttezza delle metodologie di rilevazione
usate ed all’attendibilità dei valori
rilevati (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 04.03.2009 n. 242 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni Ambientali. Vincoli
paesaggistici e urbanistici.
I vincoli paesaggistici ed ambientali in
senso proprio, non divengono vincoli
(meramente) urbanistici per il solo fatto di
essere recepiti nel P.R.G., ma mantengono la
loro natura -di vincoli dichiarativi ad
effetto costitutivo non sottoposto a
termine, in quanto discendenti non da una
scelta discrezionale dell’amministrazione,
bensì da qualità intrinseche del bene
tutelato, che il provvedimento di vincolo
deve soltanto riconoscere e dichiarare; ciò
che, li distingue nettamente dai vincoli
urbanistici in senso proprio, i quali
-ancorché possano essere ispirati da
analoghe finalità di salvaguardia del
paesaggio o dell’ambiente- non si
sottraggono, qualora siano preordinati
all’espropriazione o comunque rivestano
carattere sostanzialmente espropriativo,
all’alternativa tra temporaneità ed
indennizzabilità (TAR Umbria Sez. I,
sentenza 04.03.2009 n. 71 - link
a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione materiale.
La condotta lottizzatoria c.d. materiale può
essere integrata da opere edilizie o da
opere di urbanizzazione che conferiscano
alla zona una articolazione apprezzabile in
termini di trasformazione edilizia e che
conferiscano ai terreni l'attitudine ad
accogliere insediamenti non consentiti o non
programmati. Pertanto, qualunque intervento
o costruzione, ivi comprese le recinzioni o
i picchettamenti purché non precari, possono
presentare siffatta idoneità a stravolgere
l'assetto del territorio rendendone
impraticabile la programmazione, anche
quando non siano stati completati o si
trovino in una fase iniziale. Sicché anche
la sola realizzazione di una strada,
comportando un mutamento del precedente
assetto del territorio, costituisce opera di
trasformazione urbanistica soggetta ad
autorizzazione comunale, tanto più qualora
essa mal si concili con la destinazione dei
terreni e sia finalizzata a fornire un
accesso a singoli lotti costituenti
lottizzazione abusiva (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 27.02.2009 n. 1169 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Installazione
impianti telefonia.
In tema di installazione di impianto di
telefonia cellulare il Comune è titolare di
una potestà regolamentare del tutto
sussidiaria, che concerne esclusivamente i
profili urbanistici e territoriali, ma con
esclusione del potere di individuazione dei
siti, che spetta alla regione (TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 26.02.2009 n. 156 - link
a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Videosorveglianza: no al
controllo dei lavoratori.
Non è
lecito installare telecamere che possano
controllare i lavoratori, anche in aree e
locali dove si trovino saltuariamente
(Garante per la protezione dei dati
personali,
decisione 26.02.2009 - link a
www.altalex.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto
d'accesso moltiplicato.
Il diritto di accesso ai documenti
amministrativi può essere esercitato più
volte per i medesimi documenti. Sempre che
gli accessi siano stati chiesti, di volta in
volta, per motivi diversi.
Il principio vale anche se i documenti
riguardano una questione pendente davanti ad
altro giudice
(Consiglio di Stato, Sez. v,
sentenza 10.02.2009 n. 741 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: La
motivazione viene richiesta rigorosa ed
analitica nel caso di giudizio negativo
sull’anomalia; in caso, invece, di giudizio
positivo, ovvero di valutazione di congruità
dell’offerta anomala, non occorre che la
relativa determinazione sia fondata su
un'articolata motivazione ripetitiva delle
medesime giustificazioni ritenute
accettabili o espressiva di ulteriori
apprezzamenti.
La giurisprudenza di questo Consiglio è
costante nel ritenere che il giudizio di
verifica della congruità di un'offerta
anomala ha natura globale e sintetica sulla
serietà o meno dell’offerta nel suo insieme
ed esso costituisce espressione di un potere
tecnico-discrezionale dell'amministrazione,
di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l'ipotesi in cui le
valutazioni siano manifestamente illogiche o
fondate su insufficiente motivazione o
affette da errori di fatto (Sez. IV, n. 435
del 14.02.2005 e n. 3097 dell’08.06.2007;
sez. V, n. 4856 del 20.09.2005; sez. VI, n.
5191 del 07.09.2006).
Inoltre, per quanto riguarda la sufficienza
o meno della motivazione sul giudizio di
anomalia dell’offerta, il Collegio condivide
l’orientamento secondo cui la motivazione
viene richiesta rigorosa ed analitica nel
caso di giudizio negativo sull’anomalia; in
caso, invece, di giudizio positivo, ovvero
di valutazione di congruità dell’offerta
anomala, non occorre che la relativa
determinazione sia fondata su un'articolata
motivazione ripetitiva delle medesime
giustificazioni ritenute accettabili o
espressiva di ulteriori apprezzamenti.
Pertanto, il giudizio favorevole di non
anomalia dell' offerta in una gara d'appalto
non richiede una motivazione puntuale ed
analitica, essendo sufficiente anche una
motivazione espressa "per relationem" alle
giustificazioni rese dall'impresa
vincitrice, sempre che queste siano a loro
volta congrue ed adeguate (sez. IV n. 1658
dell’11.04.2007; sez. V, n. 5314 del 05.10
2005 e n. 4949 del 23.08.2006; sez. VI n.
5191 del 07.09.2006)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.05.2008 n. 2348 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Nei procedimenti sanzionatori è
escluso il diritto di accesso per i soggetti
terzi.
Nei
procedimenti sanzionatori attivati sulla
base della l. n. 24.11.1981, n. 689 –la
quale disciplina i procedimenti
amministrativi finalizzati all’irrogazione
di sanzioni e prevede specifiche modalità di
accesso ai documenti, che riserva però ai
soli destinatari dei provvedimenti
sanzionatori– non trova applicazione la
disciplina generale dettata dalla L. n. 241
del 1990, per cui l’accesso agli atti è
riservato ai soli destinatari dei
provvedimenti sanzionatori (trasgressore e
soggetto solidalmente obbligato) con
esclusione dei soggetti terzi
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 21.04.2008 n. 3327 -
link a www.altalex.com). |
URBANISTICA: In
occasione della formazione di uno strumento
urbanistico generale, le scelte
discrezionali dell'Amministrazione -riguardo
alla destinazione di singole aree- non
necessitano di apposita motivazione, oltre
quelle che si possono evincere dai criteri
generali -di ordine tecnico-discrezionale-
seguiti nella impostazione del piano.
Secondo il
costante e consolidato indirizzo
giurisprudenziale le scelte effettuate
dall'amministrazione, all'atto dell'adozione
del piano regolatore generale o di variante
al piano medesimo, costituiscono
apprezzamenti di merito sottratti al
sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o abnormi
illogicità (ex multis, C.d.S., sez. IV,
13.04.2005, n. 1743; 31.01.2005, n. 259;
06.10.2003, n. 5869; 16.03.2001, n. 1567;
22.05.2000, n. 2934; 08.05.2000, n. 2639;
Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24); d’altra parte
non può non rilevarsi che, in occasione
della formazione di uno strumento
urbanistico generale, le scelte
discrezionali dell'Amministrazione riguardo
alla destinazione di singole aree non
necessitano di apposita motivazione, oltre
quelle che si possono evincere dai criteri
generali -di ordine tecnico-discrezionale-
seguiti nella impostazione del piano
(C.d.S., Ad. Plen. n. 24/1999 cit.; sez. IV,
19.01.2000, n. 245; 24.12.1999, n. 1943;
02.11.1995, n. 887; 25.02.1988, n. 99),
essendo sufficiente l'espresso riferimento
alla relazione di accompagnamento al
progetto di modificazione al piano
regolatore generale, salvo che particolari
situazioni, di cui non vi è traccia nel caso
di specie, non abbiano creato aspettative o
ingenerato affidamenti in favore di soggetti
le cui posizioni appaiano meritevoli di
specifiche considerazioni (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.03.2006 n. 1119 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 06.04.2009 |
ã |
NOVITA' NEL SITO |
E' stato
integrato l'archivio dei DOSSIER con
quest'altro:
-
DOSSIER
sic-zps - vas - via. |
QUESITI |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, l'interpretazione autentica della
l.r. n. 12/2005 circa l'intervento di
ristrutturazione edilizia -inteso come
demolizione/ricostruzione- se debba
rispettare o meno il volume esistente
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica,
nota 01.04.2009 n.
6466 di prot.). |
PUBBLICO IMPIEGO: Gruppo
di lavoro per redazione Piano di lavoro
quinquennale. Incentivo contrattuale.
Il presidente
della Comunità montana (omissis) riferisce
che nell’esercizio 2003 è stato affidato ad
un gruppo di lavoro l’incarico di redigere
il Piano quinquennale delle sistemazioni
idrogeologiche ed idraulico-forestali.
Il gruppo incaricato era composto da
personale assunto a tempo indeterminato,
nonché da altre figure professionali assunte
con contratto a tempo determinato, con
contratto di staff e da un tirocinante.
Il gruppo di lavoro ha provveduto alla
redazione del Piano quinquennale, che è
documento in parte propedeutico al
successivo Piano delle manutenzioni
ordinarie del territorio.
Il suddetto Piano trova successivo sviluppo
con la progettazione degli interventi,
attività per la quale viene riconosciuto
l’incentivo previsto dall’art. 92 del D.Lgs.
n. 163/2006 e s.m.i. (nel prosieguo Codice
dei contratti pubblici).
Il presidente chiede:
- l’incentivo di pianificazione va
riconosciuto in base alla tipologia
contrattuale di
assunzione del dipendente?
- è lecito riconoscere ad alcuni componenti
del gruppo di lavoro l’incentivo per
l’elaborazione di un documento per il quale
sono stati specificatamente assunti
dall’Ente e per il quale già percepiscono
gli incentivi all’atto della progettazione
definitiva dei singoli interventi che
compongono il Piano? (Regione
Piemonte,
parere n. 9/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Mobilità
tra Enti locali.
Il Comune (omissis) di 2.800 abitanti,
intenderebbe:
- attivare una mobilità dall'Unione dei
Comuni cui partecipa per conseguire il
trasferimento di un messo cat. B3;
- istituire un nuovo posto di agente di
polizia municipale, attivare una
progressione verticale per la cat. C1 così
da trasformare l'attività del messo in
quella di agente P.M..
Precisa che dal 2004/2006 non ha avuto
cessazioni di personale ma soltanto
personale trasferito in altri Comuni per
mobilità volontaria, chiede se la procedura
indicata potrebbe essere attuata e se
esistono, delle deroghe percorribili per
l'assunzione di agenti di P.M.
(Regione Piemonte,
parere n. 11/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI: Assunzione
personale ed eventuale richiesta deroga.
Il Comune
istante, con cinque dipendenti in servizio e
n° 541 abitanti, pertanto non soggetto al
patto di stabilità, attualmente
convenzionato con altri Enti per il servizio
tecnico (Urbanistica – Edilizia – LL.PP.),
considerato che:
- il volume complessivo della spesa per il
personale in servizio non è superiore al
parametro obiettivo valido ai fini
dell’accertamento della condizione di Ente
strutturalmente deficitario;
- il rapporto medio tra dipendente in
servizio e popolazione residente supera
quello determinato per gli Enti in
condizioni di dissesto;
- la Giunta comunale intende approvare il
programma triennale del fabbisogno del
personale e prevedere la figura del tecnico
comunale part-time;
chiede se può procedere all’assunzione del
suddetto personale nell’anno 2009 o dovrà
ricorrere ad una deroga (Regione
Piemonte,
parere n. 17/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI: Validità
graduatoria per assunzione presso altro
Comune.
Il Comune
(omissis) intenderebbe assumere un
istruttore direttivo (D1), attingendo dalla
graduatoria in corso di validità di altro
Comune limitrofo che ha indetto e svolto nel
dicembre 2007 concorso pubblico per
l’assunzione di una unità di uguale
qualifica.
Al riguardo intenderebbe applicare la legge
250/2003, articolo 3, comma 61, a tal fine
chiede di conoscere se:
1) si ritiene applicabile la suddetta norma,
tenendo conto che l’altro Comune non ha
previsto nel bando di gara tale eventualità,
che nel vigente regolamento dei concorsi di
questo Comune non è prevista tale
possibilità e che non è stato stipulato
preventivamente alcun accordo in tal senso
fra i due Comuni.
2) Nell’ipotesi in cui si ritiene
applicabile la norma, si chiede di conoscere
in quali termini possa esplicitarsi
l’accordo tra i due Comuni (scambio di
corrispondenza, deliberazioni di Giunta,
convenzione da approvare in Consiglio
comunale ecc…) (Regione
Piemonte,
parere n. 25/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Scarico
fognario coattivo.
Il Comune istante espone la seguente
problematica:
Alcuni proprietari di immobili che
costituiscono un piccolo nucleo abitato,
decidono, nel 2005, di allacciare i propri
scarichi alla rete fognaria comunale
distante circa 180 metri dall'abitazione più
lontana, andando a realizzare un collettore
di proprietà privata.
All'interno di questo nucleo abitato, un
paio di abitazioni non vengono allacciate,
la fognatura viene realizzata con l'impegno
economico di 5 soggetti anziché 7. Nel 2007
gli immobili non allacciati vengono venduti
ed i nuovi proprietari chiedono la
disponibilità di allacciare, pagando la loro
quota dovuta, i propri scarichi.
La risposta è negativa e pertanto gli stessi
si adeguano alla normativa di legge (L.R. n.
13/1990) realizzando all'interno delle
proprie aree di pertinenza (giardini e orti)
i classici sistemi di sub-irrigazione. Dopo
un paio di anni questi sistemi incominciano
a dare problemi igienico-sanitari in quanto
non riescono ad assorbire i reflui (a causa
del terreno argilloso, delle limitate
dimensioni del lotto, etc....) con
conseguente sversamento di liquami sul
terreno stesso.
Stante quanto sopra, attesa la non
disponibilità di uno dei soggetti
proprietari della condotta a tale
allacciamento e dovendo in qualche maniera
risolvere il problema, può il sindaco
avvalersi delle facoltà espresse dal D.Lgs.
n. 267/2000 ed ordinare, per motivi
igienicosanitari, l'allacciamento alla rete
fognaria privata dei due scarichi non
correttamente funzionanti? Vi sono
altrimenti altre scelte legalmente
perseguibili? (Regione Piemonte,
parere n. 14/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA: Trasformazione
area da PEEP a PEC.
Il caso sottoposto all’attenzione del
Servizio richiede di valutare se e con quali
strumenti sia legittimo -con una modifica od
una variante al PRGC- trasformare la
modalità di intervento nell’area NI2 da PEEP
a PEC recante la previsione di edilizia
convenzionata ai sensi dell’art. 17 comma 1
del D.P.R. 380/2001 (già art. 7 e 8 l.
10/1977)
(Regione Piemonte,
parere n. 16/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mutamento
destinazione d’uso (da agricola ad
artigianale).
E’ chiesto parere in merito alla legittimità
dell’accoglimento dell’istanza di permesso
di costruire, presentata da un ex
imprenditore agricolo a titolo principale
ormai in pensione, volta ad ottenere il
mutamento della destinazione d’uso –da
agricola ad artigianale– ex art. 25, comma
10, L.R. n. 56/1977, di un preesistente
magazzino agricolo di proprietà (Regione
Piemonte,
parere n. 12/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Costruzione
terrapieno artificiale in ambito di P.E.C..
E’ chiesto parere in merito alla natura –o
meno– di “costruzione”, in senso
tecnicogiuridico, di un terrapieno
artificiale -ai fini del rispetto delle
distanze legali- terrapieno la cui
realizzazione risulta prevista nell’ambito
di un Piano Esecutivo Convenzionato di
iniziativa privata, già approvato dal Comune
(Regione Piemonte,
parere n. 10/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
ENTI LOCALI: Atti
urgenti e improrogabili (art. 38, comma 5,
T.U. 267/2000) in prossimità delle elezioni
amministrative..
Il Comune di (omissis) interessato al
rinnovo degli organi comunali ha in corso di
realizzazione una variante parziale al piano
che potrebbe rendere, eventualmente,
necessaria la convocazione del Consiglio
comunale anche dopo la pubblicazione del
decreto di convocazione dei comizi.
Poiché l'art. 38, comma 5 del D.Lgs n. 267
del 18/08/2000 prevede che :"I Consigli
durano in carica sino all'elezione dei
nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione
del decreto di indizione dei comizi
elettorali, ad adottare gli atti urgenti e
improrogabili", chiede di sapere se
possa rientrare tra gli atti "urgenti ed
improrogabili" l'adozione definitiva di
una variante parziale al piano regolatore
vigente ai sensi dell'art. 17, comma 7 della
L.R. del Piemonte n. 56 del 05/12/1977
(Regione Piemonte,
parere n. 8/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione
box in deroga agli strumenti urbanistici ed
acquisizione al patrimonio comunale di
immobili distrutti o danneggiati da eventi
alluvionali.
Sono stati posti al Servizio regionale di
Consulenza agli Enti locali due quesiti:
- il primo concerne l’art. 9 della L.
122/1989 (legge Tognoli), che consente la
realizzazione di parcheggi pertinenziali
anche in deroga agli strumenti urbanistici
ed ai regolamenti edilizi vigenti;
- il secondo riguarda l’applicazione
dell’art. 1, c. 1-bis, D.L. 19.12.1994, n.
691, convertito dalla L. 16.02.1995, n. 35,
che prevede l’acquisizione al patrimonio
indisponibile dei Comuni dei relitti di
immobili distrutti o danneggiati dagli
eventi
alluvionali del 1994
(Regione Piemonte,
parere n. 7/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Certificato
di agibilità, ex art. 24 D.P.R. 380/2001.
Si chiede parere in merito al rilascio del
certificato di agibilità, ex art. 24 del
D.P.R. n. 380/2001 -a seguito di rilascio di
permesso di costruire in condono–
relativamente ad un immobile privo del
requisito dell’altezza minima interna di mt.
2,70, previsto dal D.M. 05.07.1975
(Regione Piemonte,
parere n. 4/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Insediamento
produttivo.
Il Comune
interessato deve affrontare il problema
della compatibilità di un insediamento
produttivo con il tessuto edilizio di antica
formazione nel quale esso è localizzato,
alla luce delle disposizioni del piano
regolatore generale che ammettono la
permanenza degli insediamenti di tale tipo
solo in presenza di determinate condizioni
(Regione
Piemonte,
parere n. 1/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G.U. 04.04.2009 n. 79 "Attuazione della
direttiva 2006/118/CE, relativa alla
protezione delle acque sotterranee
dall’inquinamento e dal deterioramento"
(D.Lgs. 16.03.2009 n.
30). |
APPALTI:
G.U. 03.04.2009 n. 78 "Regolamento
recante disposizioni in materia di
intermediari finanziari di cui agli articoli
106, 107, 113 e 155, commi 4 e 5 del decreto
legislativo 01.09.1993, n. 385"
(Ministero dell'Economia e delle Finanze,
decreto 17.02.2009 n.
29). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 13 del
31.03.2009, "Testo coordinato della l.r.
11.03.2005, n. 12 «Legge per il governo del
territorio», entrata in vigore il 31.03.2005"
(testo
coordinato L.R. 11.03.2005 n. 12
- link a www.infopoint.it). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 13 del
30.03.2009, "Approvazione del bando per
la concessione di contributi per attività di
diagnosi e progettazione di interventi di
riqualificazione energetica relative ad
edifici di proprietà pubblica individuati
dalla Giunta Regionale, in attuazione della
d.g.r. n. 8294/2008"
(decreto
D.G. 23.03.2009 n. 2790 - link a www.infopoint.it). |
APPALTI SERVIZI:
G.U. 27.03.2009 n. 72, suppl. ord. n. 38, "Determinazione
del costo medio orario del lavoro dei
dipendenti da imprese esercenti servizi di
pulizia e servizi integrati/multiservizi"
(D.M. 25.02.2009). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Ecco il testo dell’accordo
01.04.2009 tra Governo e Regioni
sul piano casa e lo
schema di decreto legge.
L’intesa prevede l’impegno da parte delle
Regioni, entro e non oltre 90 giorni, ad
approvare proprie leggi ispirate ai seguenti
obiettivi:
a)
regolamentare interventi –che possono
realizzarsi attraverso piani/programmi
definiti tra Regioni e Comuni– al fine di
migliorare anche la qualità architettonica
e/o energetica degli edifici entro il limite
del 20% della volumetria esistente di
edifici residenziali uni-bifamiliari o
comunque di volumetria non superiore ai 1000
metri cubi, per un incremento complessivo
massimo di 200 metri cubi e fatte salve
diverse determinazioni regionali che possono
promuovere ulteriori forme di incentivazione
volumetrica;
b)
disciplinare interventi straordinari di
demolizione e ricostruzione con ampliamento
per edifici a destinazione residenziale
entro il limite del 35% della volumetria
esistente, con finalità di miglioramento
della qualità architettonica,
dell’efficienza energetica ed utilizzo di
fonti energetiche rinnovabili e secondo
criteri di sostenibilità ambientale, ferma
restando l’autonomia legislativa regionale
in riferimento ad altre tipologie di
intervento;
c)
introdurre forme semplificate e celeri per
l’attuazione dei suddetti interventi in
coerenza con i principi della legislazione
urbanistica ed edilizia e della
pianificazione comunale.
In caso di inadempienza da parte delle
Regioni è previsto il potere sostitutivo del
Governo in base a quanto previsto
dall’articolo 8, comma 1 della legge n.
131/2003.
Per quel che riguarda le misure di
semplificazione amministrativa dell’attività
edilizia, di più stretta competenza dei
Comuni, il tutto è rinviato dall’intesa ad
un decreto legge che il Governo, in accordo
con comuni, province e Regioni predisporrà
entro 10 giorni (tratto da
www.ancilombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Salute e sicurezza nel lavoro: controlli
mirati e sanzioni più efficaci.
Approvato dal Consiglio dei ministri del
27..03.2009 uno schema di decreto
legislativo, presentato dai Ministri del
Lavoro, salute e politiche sociali, Maurizio
Sacconi, delle Infrastrutture, Altero
Matteoli, e dello Sviluppo economico,
Claudio Scajola, che modifica e integra la
vigente normativa in materia di sicurezza
dei luoghi di lavoro.
Il provvedimento apporta alcune
significative modifiche che recepiscono le
criticità emerse nei primi mesi di
applicazione del Testo unico e migliora le
regole sulla sicurezza in un'ottica che
tende a favorire la chiarezza del dato
normativo quale presupposto per favorirne
l'applicazione corretta ed efficace.
Le principali novità introdotte consistono,
oltre che nella semplificazione formale di
alcuni documenti fondamentali (per es., la
valutazione dei rischi), in una
generalizzata razionalizzazione delle
sanzioni penali ed amministrative
conseguenti alle violazioni degli obblighi
da parte di datori di lavoro, dirigenti e
personale preposto; nella migliore
definizione del ruolo degli organismi
paritetici e nel potenziamento del ruolo
degli enti bilaterali che, in quanto
espressione di competenze tecniche adeguate,
certificano i modelli di organizzazione
della sicurezza in azienda, al fine di
incentivare la diffusione di tali strumenti
di tutela della salute e della sicurezza.
Il testo, che sarà sottoposto alle
organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative, riceverà quindi il parere
della Conferenza Stato-Regioni e delle
Commissioni parlamentari (link a
www.governo.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: R.
Marletta,
La normativa
regionale sui centri commerciali
(AL n. 3/2009). |
LAVORI PUBBLICI:
Procedura negoziata nei ll.pp. sino a
500.000 €: come scegliere le ditte da
invitare (link a
www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Guida alle agevolazioni fiscali per le
ristrutturazioni edilizie - Le modalità
operative e la proroga fino al 2011
(ANCE,
dossier fiscale marzo 2009 - link
a www.ediliziaprofessionale.com). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Linee guida SGSL per una impresa di
costruzioni - Istruzioni operative per
l'istituzione e l'attuazione di un sistema
di di gestione della sicurezza sul lavoro e
suggerimenti per la certificazione del SGSL
realizzato (ANCE - link a
www.ediliziaprofessionale.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Guida alle agevolazioni fiscali per le
ristrutturazioni edilizie - Le modalità
operative per il periodo 2008-2010
(ANCE,
dossier fiscale maggio 2008 -
link a www.ediliziaprofessionale.com). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Codice dell'Ambiente: come cambiano le
procedure di VAS e VIA (ANCE,
circolare 21.02.2008 n. 6 - link
a www.ediliziaprofessionale.com). |
URBANISTICA:
P. Urbani,
Urbanistica consensuale, “pregiudizio” del
giudice penale e trasparenza dell’azione
amministrativa (link a
www.pausania.it).
Dopo i recenti casi che hanno coinvolto
molti amministratori locali in vicende
giudiziarie a seguito di accordi con i
privati sulle trasformazioni urbane un
intervento per riportare chiarezza nei
processi di urbanistica consensuale. |
APPALTI:
L. Bellagamba,
Il problema della mancata presentazione
delle giustificazioni preventive di
anomalia: una recentissima pronuncia del
Consiglio di Stato in apparente
controtendenza rispetto alla giurisprudenza
dominante (link a
www.linobellagamba.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L. M. Delfino,
Il mobbing nell’esperienza del giudice
amministrativo. Il danno da mobbing come
riflesso di diminuzione patrimoniale per le
risorse finanziarie della p.a.
(link a www.altalex.com). |
CORTE DEI CONTI |
APPALTI SERVIZI:
Parere richiesto dal Sindaco del comune di
Agerola (Na) sulla
possibilità di conoscere se qualora all'atto
dell'instaurazione di un contratto di
servizi non sia stato possibile determinare
preventivamente l'ammontare della spesa e
l'Ente abbia provveduto ad assumere un
impegno rivelatosi insufficiente a coprire
il costo finale dell'intera prestazione
l'Amministrazione possa assumere un impegno
suppletivo per il pagamento della differenza
dovuta, oppure si renda necessaria la
procedura di riconoscimento del debito fuori
bilancio.
La regola generale fissata dall’art. 191 del
TUEL n. 267/2000 è che gli enti locali
possono effettuare spese solo quando
sussista la regolare assunzione dell’impegno
contabile, registrato sul competente
intervento di bilancio e sia stata emessa la
prescritta attestazione di copertura della
spesa da parte del Dirigente del Servizio
finanziario. L’inosservanza di questo
fondamentale precetto determina, come
conseguenza, l’insorgenza dei debiti fuori
bilancio, dei quali, com’è noto, soltanto
alcuni, contemplati dall’art. 194 del TUEL,
sono riconoscibili.
Occorre
distinguere, in astratto, tre possibili
fattispecie.
La prima concerne l’ipotesi in cui
l’impegno suppletivo debba essere assunto
nel medesimo esercizio cui l’impegno
contrattuale si riferisce. In tal caso nulla
osterebbe all’assunzione di un impegno
suppletivo sullo stanziamento di bilancio
del medesimo esercizio.
La seconda ipotesi è che si tratti di
spese previste nel bilancio pluriennale.
Anche in tal caso possono essere assunti
impegni suppletivi, sempre che gli stessi
siano compresi nel bilancio pluriennale e
nel limite delle previsioni in esso
contenute (altrimenti il debito residuo
costituirebbe un debito fuori bilancio).
L’ultima ipotesi -nella quale rientra
la fattispecie ipotizzata nella richiesta di
parere- riguarda il caso in cui la somma
necessaria al pagamento del saldo riguardi
importi non impegnati entro l’esercizio in
cui si è perfezionato il contratto.
Diversamente da quanto accade per le due
ipotesi precedenti, in questa ipotesi non è
possibile far luogo ad impegni suppletivi in
quanto detti provvedimenti devono essere
adottati entro il termine dell’esercizio
finanziario cui l’impegno si riferisce ed
oltre tale termine anche le eventuali
prenotazioni perdono qualsiasi efficacia,
con la conseguenza che le relative somme
vanno in economia. In tal caso, avendo il
Comune impegnato e coperto finanziariamente
solo una parte della spesa e non tutta
quella dell’importo contrattuale,
risulterebbe violato il procedimento
prescritto dagli articoli 183 e 191, primo
comma, del TUEL n. 267/2000;
conseguentemente, la spesa eccedente
l’impegno assunto verrebbe a configurare un
debito fuori bilancio, per il cui
riconoscimento va adottata la procedura
prevista dall’art. 194, lett. e) del TUEL
citato (cfr. ex plurimis, Sezioni riunite
per la Regione siciliana in sede consultiva
Del.ni n. 9/2005 e n. 2/2007)
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 26.02.2009 n. 9
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Parere richiesto dal Sindaco del comune di
Calitri (Av) sulla
possibilità di conoscere se -per la
liquidazione delle parcelle professionali
relative agli incarichi conferiti- occorra
attivare il procedimento del debito, ai
sensi dell'art. 194, co. 1, del TUEL n.
267/2000 o se sia sufficiente procedere ad
un impegno integrativo su apposito capitolo
di bilancio corrente con capienza
finanziaria, provvedendo, quindi, alla
relativa liquidazione.
Pur in presenza
di difficoltà nella individuazione della
somma esatta relativa alla parcelle del
professionista, l’Ente è tenuto al rispetto
dei canoni di buona amministrazione (fra gli
altri a quello del prudente apprezzamento),
delle regole giuscontabili in materia di
spesa e dei principi che caratterizzano la
corretta gestione dei pubblici bilanci.
Prima della determinazione dell’impegno di
spesa va acquisita dall’avvocato, al quale è
stata affidata la rappresentanza in giudizio
del Comune, un preventivo di massima
relativo agli onorari, alle competenze ed
alle spese che presuntivamente deriveranno
dall’espletamento dell’incarico stesso ai
fini di predisporre un adeguata copertura
finanziaria.
Nel caso in cui non venga seguita la
descritta procedura, si verifica una
fattispecie tipica di debito fuori bilancio,
in quanto l’Ente ha impegnato e coperto
finanziariamente solo la spesa necessaria
per corrispondere l’acconto al
professionista. Si determina, di
conseguenza, la violazione delle
prescrizioni di cui all’art. 191 del d. lgs.
267/2000 che disciplinano le modalità
attraverso le quali le spese degli enti
locali devono essere assunte prevedendo dei
procedimenti di natura tecnico-contabile per
evitare il formarsi dei debiti fuori
bilancio e per garantire l’equilibrio tra
entrate e spese.
Nella fattispecie si da luogo a spese al di
fuori dell’impegno costituito ed in assenza
di una specifica previsione nel bilancio
dell’esercizio in cui si manifestano.
In conclusione per la differenza tra la
somma destinata al pagamento degli acconti e
quella scaturente dalla liquidazione della
parcella definitiva si dovrà procedere al
loro riconoscimento ai sensi dell’art. 194
del T.U.E.L. n. 267/2000 e secondo le
procedure ivi previste (cfr. in termini
l’indirizzo delle Sezioni Riunite per la
Regione Sicilia in sede consultiva, da
ultimo deliberazione n. 2/2007)
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere
04.02.2009 n. 8
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del comune di
Marano di Napoli (Na) sulla
giusta determinazione dell'ammontare del
gettone di presenza spettante ai consiglieri
comunali
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 04.02.2009 n. 6
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Parere richiesto dal Sindaco del comune di
Savignano Irpino (Av) sulla
possibilità di erogare all'ex Sindaco ed
agli amministratori comunali, in carica dal
1999 al 2004, le indennità di funzione di
cui all'art. 82 del D.lgs n.267/2000, per le
quali risultano stanziate le somme
necessarie nei rispettivi bilanci di
previsione, ma non assunti gli atti
d'impegno
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Campania,
parere 04.02.2009 n. 5
- link a www.corteconti.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI SERVIZI: Servizi
assistenza tecnica e scientifica - Soggetti
cui possono essere affidati i contratti
pubblici - Soggetti compresi nell'elenco di
cui all'art. 34 d.lgs. 163/2006 -
Raggruppamento tra professionisti -
Legittimazione a partecipare alle gare -
Sussiste.
Ritenuto in diritto:
La questione oggetto del presente
procedimento è stata già esaminata
dall’Autorità in precedenti occasioni (si
vedano la deliberazione n. 119 del
18.04.2007 e il parere n. 127 del
23.04.2008), nelle quali è stato posto in
evidenza qual è l’ambito applicativo
dell’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006.
L’articolo 34, comma 1, lettere a), b), c),
d) e) ed f), del D. Lgs. n. 163/2006
individua i soggetti cui possono essere
affidati i contratti pubblici: tali soggetti
rivestono la qualifica di “operatore
economico”, termine con il quale si intende
l’imprenditore, il fornitore e il prestatore
di servizi o un raggruppamento o un
consorzio di essi. Ai sensi dell’articolo 3,
comma 19, del D.Lgs. n. 163/2006, nel novero
di detti soggetti sono da ricomprendersi le
persone fisiche, le persone giuridiche, gli
enti senza personalità giuridica, che
offrono sul mercato la realizzazione di
lavori o opere, la fornitura di prodotti, la
prestazione di servizi. La caratteristica
che accomuna le figure sopra individuate è
l’esercizio professionale di una attività
economica.
Nel caso di specie, nei verbali di gara
della Commissione, presentati in
istruttoria, non risulta essere giustificato
il motivo per cui il raggruppamento
temporaneo istante è stato considerato non
rientrante tra i soggetti di cui all’art. 34
del D.Lgs. n. 163/2006. In via generale,
infatti, alla luce di quanto sopra
specificato, persone fisiche, nella
fattispecie architetti, che si riuniscono al
fine di offrire sul mercato congiuntamente
la prestazione di un servizio, rientrano,
senza dubbi, nell’alveo di applicazione
dell’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’arch. Andrea
Nobili, capogruppo del raggruppamento
temporaneo con l’arch. Federica Di
Pietrantonio, Simona Innocenzi e Maria
Concetta Tripodi, rientra tra gli operatori
economici definiti dall’art. 34 del D.Lgs.
n. 163/2006
(parere 11.03.2009 n.
37 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Specifiche
tecniche - Divieto di introduzione marchi
determinati in assenza della previsione "o
equivalenti" - Fattispecie relativa a
realizzazione campo calcio in erba
sintetica.
Ritenuto in diritto:
L’articolo 68, comma 13, del d. Lgs. n.
163/2006 stabilisce, in via generale, il
divieto di introdurre nella documentazione
di gara specifiche tecniche che facciano
menzione espressa di un marchio, un
brevetto, un’origine o una produzione
specifica che, di fatto, impongono l’impiego
di materiali o prodotti acquistabili da
produttori determinati.
Pertanto, le caratteristiche tecniche
operative della documentazione di gara che
contengano l’indicazione di marchi specifici
e non riportino la espressione “o
equivalente”, sono da ritenersi in
violazione dell’art. 68 del D.Lgs. 163/2006.
La ratio legis sottesa alla disposizione in
commento, come questa Autorità ha già avuto
modo di osservare (si vedano i pareri n. 51
del 10.10.2007; n. 97 del 09.04.2008 e n.
202 del 31.07.2008), consiste nell’evitare
che la previsione di brevetti, ovvero la
definizione di specifiche tecniche che
menzionino una fabbricazione o provenienza
determinata, determinino un ostacolo alla
libera circolazione delle merci, mediante
l’imposizione di particolari caratteristiche
dei prodotti o dei servizi che implicano un
determinato processo produttivo ovvero una
determinata provenienza.
Nel caso di specie la procedura di gara ha
ad oggetto la realizzazione di un campo da
calcio regolamentare in erba sintetica con
le relative opere complementari,
omologazione della F.I.G.C. Lega Nazionale
Dilettanti, la quale ha predisposto un
“Regolamento per la realizzazione di un
campo da calcio in erba artificiale di
ultima generazione”, che prevede tutti i
requisiti regolamentari e tecnici che devono
necessariamente essere rispettati nella
realizzazione di un campo da calcio in erba
artificiale. Detto Regolamento, dopo aver
precisato, nella premessa, che lo stesso non
si applica ai campi già in possesso di
regolare omologazione rilasciata in forza di
disposizioni regolamentari antecedenti il 30
gennaio 2008, descrive gli elementi base per
la preparazione del programma di campi da
calcio in erba artificiale. Tali elementi,
essendo stati previsti in via generale per
tutti i campi da calcio da eseguire ex novo,
presentano caratteristiche che non si
riferiscono a specifici brevetti.
Il campo da calcio che il Comune di Lavagna
deve realizzare sembra essere, dalla
documentazione presentata, un campo di
calcio nuovo e pertanto ricadente
nell’ambito di applicazione del Regolamento
succitato. La previsione del bando di gara
contenuta nel Nota Bene contestata
dall’istante, fa riferimento ad un parere
preventivo formulato dalla L.N.D.–F.I.G.C
che non è stato, tuttavia, prodotto agli
atti ed il cui contenuto è, pertanto, da
questa Autorità ignorato. Anche per quanto
riguarda la seconda censura mossa dalla
società ASFALT C.C. S.p.A., in ordine alle
varianti migliorative contenute al punto 2B
del disciplinare di gara, che farebbero
riferimento ad un brevetto industriale, deve
osservarsi come dal testo del disciplinare e
del capitolato non risultano esservi rinvii
al brevetto.
Stante la sopradescritta carenza
documentale, e mancanza di tutti i dati,
questa Autorità, circoscrivendo l’esame ai
documenti in proprio possesso trasmessi nel
corso dell’istruttoria, non ravvisa la
presenza di brevetti che si porrebbero in
violazione dell’art. 68 del D.Lgs. n.
163/2006.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in
motivazione, che i documenti di gara
sottoposti all’esame risultano essere
conformi alla normativa vigente di settore
(parere 11.03.2009 n.
36 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Gara d'appalto - Requisiti generali -
Soggetti tenuti alle dichiarazioni ex art.
38 d.lgs. 163/2006 - Soggetti muniti di
poteri di rappresentanza - Conferimento
rappresentanza al solo amministratore delegato
- Sufficienza dichiarazione prodotta dall'a.d.
Gara d'appalto - Bando di gara - Obbligo
di allegazione certificato di avvenuto
sopralluogo - Legittimità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
In relazione alla prima questione
controversa sottoposta a questa Autorità,
concernente la legittimità delle
dichiarazioni rese, ai sensi dell’articolo
38, comma 1, lettere b) e c),
dall’Amministratore Delegato, nonché
rappresentante legale, e dal procuratore
speciale firmatario dell’offerta della
SODEXO S.p.A., si rappresenta quanto di
seguito esposto, con la precisazione che,
non essendo possibile evincere dalla
documentazione prodotta nel presente
procedimento la presentazione in sede di
gara anche della necessaria dichiarazione
del direttore tecnico, l’Autorità non può
pronunciarsi su tale profilo.
Premesso quanto sopra, si evidenzia che
l’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006
prevede, al comma 1, lettera b), che sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi e non
possono stipulare i relativi contratti i
soggetti “nei cui confronti è pendente
procedimento per l’applicazione di una delle
misure di prevenzione di cui all’articolo 3
della legge 27.12.1956, n. 1423 o di una
delle cause ostative previste dall’articolo
10 della legge 31.05.1965, n. 575”,
precisando che l’esclusione e il divieto
operano se la pendenza del procedimento
riguarda “il titolare o il direttore
tecnico, se si tratta di impresa
individuale; il socio o il direttore tecnico
se si tratta di società in nome collettivo,
i soci accomandatari o il direttore tecnico
se si tratta di società in accomandita
semplice, gli amministratori muniti di
poteri di rappresentanza o il direttore
tecnico, se si tratta di altro tipo di
società”.
La successiva lettera c) prevede che sono
altresì esclusi dalle suddette procedure e
dalla stipula dei relativi contratti i
soggetti “nei cui confronti è stata
pronunciata sentenza di condanna passata in
giudicato, o emesso decreto penale di
condanna divenuto irrevocabile, oppure
sentenza di applicazione della pena su
richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del
codice di procedura penale, per reati gravi
in danno dello Stato o della Comunità che
incidono sulla moralità professionale…”,
precisando che l’esclusione e il divieto
operano se le suddette sentenze o il decreto
penale di condanna sono stati emessi “nei
confronti del titolare o del direttore
tecnico se si tratta di impresa individuale;
del socio o del direttore tecnico, se si
tratta di società in nome collettivo; dei
soci accomandatari o del direttore tecnico
se si tratta di società in accomandita
semplice; degli amministratori muniti di
potere di rappresentanza o del direttore
tecnico se si tratta di altro tipo di
società o consorzio”. E’ inoltre
previsto che l’esclusione e il divieto
operino anche ”nei confronti dei soggetti
cessati dalla carica nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del
bando di gara, qualora l'impresa non
dimostri di aver adottato atti o misure di
completa dissociazione della condotta
penalmente sanzionata”.
La ratio della norma in questione, come
peraltro già chiarito dall’Autorità nei
pareri n. 164 del 21.05.2008, n. 193 del
10.07.2008 e n. 5 del 15.01.2009, consiste
nella volontà che le dichiarazioni siano
rese dagli stessi interessati, dal momento
che il genere di dichiarazioni richieste
costituisce frutto di informazioni su
qualità personali e sulle relative vicende
professionali e/o individuali dei soggetti
muniti di poteri di rappresentanza o dei
direttori tecnici che, non necessariamente,
possono essere a conoscenza del
rappresentante legale dell’impresa,
trattandosi di eventi (specie quelli
connessi a procedimenti penali) che esulano
da fattori rientranti nella organizzazione
aziendale, quindi non può costituirsi un
onere di conoscenza in capo al legale
rappresentante della stessa.
La disposizione di cui all’articolo 38
indica, dunque, in modo preciso i soggetti
chiamati a dimostrare la sussistenza dei
requisiti morali richiesti, stabilendo, per
la fattispecie rilevante ai fini del
presente parere e suscettibile di
valutazione in relazione alla documentazione
presentata dal Comune istante, che siano gli
amministratori muniti del potere di
rappresentanza ad effettuare tale
dichiarazione, essendo la SODEXO una società
per azioni.
In ogni caso, il tenore letterale della
citata disposizione di cui all’articolo 38
non lascia alcun dubbio interpretativo in
relazione alla sussistenza del medesimo
obbligo di produzione della dichiarazione
anche in capo al direttore tecnico della
società.
La giurisprudenza amministrativa (Consiglio
di Stato, sez. V, sentenza n. 5913 del
28.11.2008 e sentenza n. 4856 del
20.09.2005) ha indicato il criterio
interpretativo da seguire per individuare la
persona fisica rispetto alla quale,
nell’ambito del rapporto societario, assume
rilievo la causa di esclusione e, dunque, il
soggetto tenuto alla dichiarazione
sostitutiva richiesta, individuando tale
criterio nella necessità di ricercare nello
statuto della persona giuridica quali siano
i soggetti dotati di potere di
rappresentanza.
Nel caso di specie, l’articolo 33 dello
Statuto della SODEXO S.p.A. dispone che “la
rappresentanza della società è stabilita
dalla deliberazione di nomina e spetta
all’amministratore Unico o al Presidente del
Consiglio di Amministrazione o al Vice
Presidente o a ciascuno dei Vice Presidenti,
o all’amministratore Delegato o a ciascuno
degli Amministratori Delegati, o al
Direttore Generale o a ciascuno dei
Direttori Generali, in via tra di loro
congiunta o disgiunta secondo quanto
stabilito dalla deliberazione di nomina
stessa; in caso di mancata specificazione
nell’atto di nomina il potere di
rappresentanza di intende disgiunto”.
Ebbene, dalla lettura del certificato della
CCIAA prodotto dalla SODEXO S.p.A. si evince
che solo all’Amministratore Delegato è stata
espressamente conferita, con deliberazione
del C.d.A. del 01.12.2006, “la
rappresentanza della società ai sensi
dell’art. 33 del vigente Statuto sociale”.
Conseguentemente, la dichiarazione ai sensi
dell’articolo 38 del D.Lgs. n. 163/2006,
presentata a firma del medesimo
Amministratore Delegato, è sufficiente a
soddisfare la richiesta di cui all’articolo
38 stesso, per i profili concernenti gli
amministratori dotati del potere di
rappresentanza, ferma restando, come sopra
precisato, la necessità di analoga
dichiarazione anche da parte del direttore
tecnico.
In relazione al secondo quesito posto dal
Comune di Montalto di Castro, concernente la
legittimità dell’esclusione disposta nei
confronti della concorrente Opera Romana
Servizi S.r.l., per non aver prodotto, tra
la documentazione prevista a pena di
esclusione, la certificazione di avvenuto
sopralluogo rilasciata dal Comune medesimo,
si rappresenta quanto segue.
Come l’Autorità ha già avuto modo di
affermare in linea con il consolidato
orientamento giurisprudenziale, quando il
bando commini espressamente l’esclusione
dalla gara in conseguenza di determinate
prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a
dette prescrizioni, restando preclusa
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla cui
osservanza la stessa Amministrazione si è
autovincolata al momento del bando (pareri
n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del
17.12.2008).
Ne consegue che, nel caso di specie, la
stazione appaltante è tenuta ad escludere
l’impresa Opera Romana Servizi S.r.l.,
incorsa in siffatta violazione della lex
specialis, non avendo corredato la propria
offerta, oltre che della dichiarazione di
avvenuto sopralluogo, anche del certificato
di avvenuto sopralluogo, richiesto a pena di
esclusione dal Capitolato speciale
d’appalto, il quale al punto “17.
Modalità di presentazione delle offerte”
stabilisce che nella “busta
A-Documentazione” siano contenuti a pena
di esclusione i seguenti documenti: “6
Dichiarazioni sostitutive: […] XI –
dichiarazione di aver preso esatta
conoscenza dello stato di fatto dei locali e
visione del capitolato di gara, nonché di
tutte le circostanze generali e particolari
che possano influire sullo svolgimento del
servizio di ristorazione e di aver ritenuto
le condizioni tali da consentire l’offerta
con allegata, a pena di esclusione,
certificazione di avvenuto sopralluogo,
rilasciata dall’Ufficio Cultura–Pubblica
Istruzione”. Diversamente opinando, si
incorrerebbe, peraltro, nella violazione del
principio di par condicio, oltre che del
principio dell’autovincolo.
Si evidenzia, infine, che sia l’Autorità nei
suoi precedenti (parere n. 2 del 16.01.2008,
deliberazione n. 206 del 21.06.2007) sia la
giurisprudenza amministrativa (ex multis,
TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, sentenza
n. 11075 del 08.11.2007 e Consiglio di
Stato, sez. V, sentenza n. 3729 del
07.07.2005) hanno più volte ribadito la
particolare importanza del momento del
sopralluogo in relazione alla formulazione
dell’offerta, in quanto esso mira a
rafforzare il coinvolgimento del futuro
appaltatore nella valutazione della
prestazione richiesta e della situazione dei
luoghi, al fine di prevenire eccezioni e
riserve o eventuali ostacoli incontrati
nella attività di esecuzione del contratto.
Se, dunque, il sopralluogo garantisce la
serietà dell’offerta, la richiesta della
stazione appaltante nel Capitolato speciale
d’appalto di corredare l’offerta, pena
l’esclusione dalla gara, della
certificazione di avvenuto sopralluogo non
può ritenersi viziata da formalismo, come
sostenuto dall’impresa esclusa, in quanto
tale richiesta risponde, invece, ad un
superiore e specifico interesse pubblico.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che:
- la dichiarazione ai sensi dell’articolo 38
del D.Lgs. n. 163/2006, prodotta a firma
dell’Amministratore Delegato della SODEXO
S.p.A., è sufficiente a soddisfare la
richiesta di cui all’articolo 38 stesso, per
i profili concernenti gli amministratori
dotati del potere di rappresentanza, ferma
restando la necessità di analoga
dichiarazione anche da parte del direttore
tecnico;
- l’esclusione dalla gara dell’impresa Opera
Romana Servizi S.r.l. è conforme alla
normativa di settore
(parere 11.03.2009 n.
35 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Gara
d'appalto - Avvalimento requisiti -
Avvalimento interno al raggruppamento -
Specifica prova disponibilità mezzi/risorse
di cui e' carente il concorrente - Mandato
collettivo - Insufficienza.
Ritenuto in diritto:
Ai fini della definizione della questione
oggetto della controversia in esame,
occorre, preliminarmente, rilevare che il
bando di gara al punto VI. 3) - Informazioni
complementari, prevedeva che “In
attuazione dei disposti dell’art. 49 del
D.Lgs. 163/2006 e ss.m.i., il concorrente
–singolo o consorziato o raggruppato– può
dimostrare il possesso dei requisiti di
carattere economico, finanziario, tecnico e
organizzativo, avvalendosi dei requisiti di
un altro soggetto”, e precisa, altresì,
che “in caso di ricorso all’avvalimento
dovranno essere eseguite scrupolosamente le
disposizioni di cui all’art. 49 del D.Lgs.
163/2006 e ss.m.i”
Inoltre, il capitolato speciale d’appalto, a
pagina 16, sotto il titolo AVVALIMENTO
specifica che, ai fini di quanto sopra, “dovrà
essere fornita tutta la documentazione
prevista al comma 2) del suddetto articolo.
Il concorrente può avvalersi di una sola
impresa ausiliaria per ciascun requisito. Il
concorrente e l’impresa ausiliaria sono
responsabili in solido nei confronti della
stazione appaltante in relazione alle
prestazioni oggetto del contratto. Non è
consentito, a pena di esclusione, che della
stessa impresa ausiliaria si avvalga più di
un concorrente, e che partecipino alla gara
sia l’impresa ausiliaria che quella che si
avvale dei requisiti”.
Tali prescrizioni della lex specialis di
gara riproducono pedissequamente le
principali disposizioni di cui all’art. 49
del D.Lgs. n. 163/2006, che devono
necessariamente essere interpretate ed
applicate in senso conforme alla
corrispondente e sovraordinata normativa
comunitaria, costituita dagli artt. 47 e 48
della Direttiva 2004/18/CE.
In particolare, l’art. 47, relativo alla “Capacità
economica e finanziaria”, ai commi 2 e 3
stabilisce che “2. Un operatore economico
può, se del caso e per un determinato
appalto, fare affidamento sulle capacità di
altri soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con quest’ultimi.
In tal caso deve dimostrare alla
amministrazione aggiudicatrice che disporrà
dei mezzi necessari, ad esempio mediante
presentazione dell’impegno a tal fine di
questi soggetti. 3. Alle stesse condizioni
un raggruppamento di operatori economici di
cui all’articolo 4 può fare affidamento
sulle capacità dei partecipanti al
raggruppamento o di altri soggetti”.
Analogamente, l’art. 48, concernente le “Capacità
tecniche e professionali”, ai commi 3 e
4 dispone che “3. Un operatore economico
può, se del caso e per un determinato
appalto, fare affidamento sulle capacità di
altri soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con quest’ultimi.
Deve, in tal caso provare alla
amministrazione aggiudicatrice che per
l’esecuzione dell’appalto disporrà delle
risorse necessarie, ad esempio presentando
l’impegno di tale soggetto di mettere a
disposizione dell’operatore economico le
risorse necessarie. 4. Alle stesse
condizioni un raggruppamento di operatori
economici di cui all’articolo 4 può fare
assegnamento sulle capacità dei partecipanti
al raggruppamento o di altri soggetti”.
Considerato il tenore della citata normativa
comunitaria e tenuto conto, altresì,
dell’assenza, nel caso di specie, di
espresse e specifiche limitazioni poste
dalla lex specialis di gara al ricorso
all’istituto dell’avvalimento da parte dei
concorrenti, si ritiene che,
all’interpretazione più restrittiva della
disciplina nazionale in materia, sostenuta
dall’impresa istante, sia preferibile, in
quanto orientata in senso conforme al
diritto comunitario, la tesi che, in
ossequio al principio della massima
accessibilità al mercato delle commesse
pubbliche, ammette la possibilità di
avvalimento anche per i soggetti
partecipanti ad un raggruppamento non
costituito, e lo consente non solo nei
confronti dei soggetti esterni, ma anche
degli stessi partecipanti al raggruppamento,
proprio in virtù del richiamato disposto
degli artt. 47 e 48 della Direttiva
2004/18/CE, per cui un concorrente, singolo
o raggruppato, può fare affidamento sui
requisiti di altri soggetti “a prescindere
dalla natura giuridica dei suoi legami con
questi ultimi” (cfr.: Cons. Stato, Sez. V,
05.07.2007, n. 3814 e TAR Lazio, Roma, Sez.
II, 22.05.2008, n. 4820).
In questa prospettiva, la pretesa
preclusione, riferita dall’impresa istante,
che deriverebbe dall’art. 49, comma 8, del
D.Lgs. n. 163/2006, nella parte in cui
stabilisce che “in relazione a ciascuna
gara non è consentito, a pena di esclusione,
… che partecipino sia l’impresa ausiliaria
che quella che si avvale dei requisiti”
non può essere condivisa, ritenendosi più
corretto che il suddetto divieto venga
inteso nel senso che è vietata la
partecipazione dell’impresa avvalente e di
quella avvalsa alla medesima gara quando
tali imprese siano in concorrenza l’una con
l’altra, e quindi siano entrambe
presentatrici di autonome e contrapposte
offerte, ma non quando avvalente ed avvalsa
facciano parte di uno stesso raggruppamento,
e quindi presentino un’unica offerta facendo
capo ad un medesimo centro di interessi (in
tal senso anche Tar Lazio, Roma, Sez. II
cit.).
Poiché questa Autorità non dispone di
ulteriori elementi conoscitivi in ordine al
requisito oggetto di avvalimento, né in
merito alle concrete modalità con cui la
Gico Systems S.r.l. intende avvalersi, ai
sensi dell’art. 49 del D.Lgs. n. 163/2006,
di detto requisito, posseduto dalla sua
mandante Manutencoop F.M., si ritiene
opportuno evidenziare la necessità che sia
verificata l’effettiva idoneità di
quest’ultima -raggruppata all’avvalente, ma,
comunque, soggetta al processo di verifica
dei requisiti, in quanto concorrente alla
gara attraverso il modulo del RTI- ad
assumere, anche in ragione della natura del
requisito, sia il ruolo di concorrente sia
quello di impresa avvalsa.
In altri termini occorre verificare,
innanzitutto, che il requisito oggetto di
avvalimento risulti giuridicamente e
materialmente frazionabile, senza svilirne
la tipicità e la connotazione. Quindi, si
rende necessario accertare che il requisito
medesimo sia posseduto dall’impresa avvalsa
in misura sufficiente, rispetto alle
specifiche prescrizioni del bando, a
consentire sia la sua partecipazione alla
gara come concorrente in RTI, sia la
partecipazione alla stessa gara dell’impresa
avvalente nell’ambito del medesimo RTI.
Altrimenti vi sarebbe un uso artificiale e
fittizio di un unico requisito.
Si ricorda infine che, ai sensi dei
richiamati artt. 47 e 48 della Direttiva
2004/18/CE, anche nel caso di avvalimento
nel contesto di un raggruppamento deve
essere data in via specifica la prova
dell’effettiva disponibilità, da parte di
un’impresa del raggruppamento medesimo, dei
mezzi/risorse necessari di cui è carente. A
tal scopo non può ritenersi sufficiente il
mero e ordinario mandato collettivo, che è
alla base della costituzione di un RTI,
tanto più che, nel caso di specie, si tratta
di RTI costituendo e non costituito. Si
ritiene pertanto necessario, ai fini del
rispetto delle disposizioni nazionali in
materia di avvalimento di cui all’art. 49
del D.Lgs. n. 163/2006, che tra la
documentazione di cui al comma 2 del citato
articolo, espressamente richiamato dalla lex
specialis di gara, vi sia anche un atto
giuridico costitutivo di un rapporto di
provvista idoneo ad evidenziare
specificamente l’effettiva disponibilità dei
mezzi/risorse di cui trattasi.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti e
alle condizioni di cui in motivazione, che
l’ammissione in gara del costituendo RTI tra
la Ditta Gico Systems S.r.l. (mandataria) e
la Ditta Manutencoop F.M. (mandante) è
conforme alla normativa nazionale e
comunitaria di settore nonché alla lex
specialis della gara
(parere 11.03.2009 n.
34 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Gara
d'appalto - Obbligo di sopralluogo -
Clausola del bando che consente di
effettuare la presa visione dei luoghi solo
ad alcune figure di vertice dell'impresa -
Violazione favor partecipationis e principio
concorrenza - Estensione a soggetti
riconducibili alla struttura organizzativa
della società - Legittimità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Occorre, preliminarmente, rilevare che il
bando di gara in esame, alla lett. B) del
Titolo IV - Esame progetto, nel descrivere
le modalità di effettuazione del
sopralluogo, richiesto a pena di esclusione
dalla procedura di gara, ha previsto che lo
stesso dovesse essere “effettuato
unicamente dal Titolare o Legale
Rappresentante o Institore, o da soci
amministratori o dal Direttore Tecnico o da
un Dipendente dell’Impresa (non sono ammessi
i procuratori)”.
Questa Autorità ha già avuto modo di
esprimersi su una questione analoga (si veda
la Deliberazione n. 206 del 21.06.2007),
affermando che appare indubbiamente
restrittiva e rigida quella prescrizione del
bando di gara che consente di effettuare la
presa visione dei luoghi solo ad alcune
figure di vertice dell’impresa, ossia
esclusivamente al titolare, legale
rappresentante o direttore tecnico
dell’impresa partecipante.
Al riguardo è stato rilevato come sia insito
nel favor partecipationis che una stessa
impresa possa partecipare contemporaneamente
ad una pluralità di gare e che a tale
potenzialità non possono essere frapposte
limitazioni che non discendano da un
superiore e specifico interesse pubblico.
Inoltre, è stato evidenziato che una simile
clausola in qualche modo incide sulla stessa
libertà dell’impresa di organizzare i mezzi
necessari, che ha un rilievo nella stessa
fase precontrattuale della preparazione
dell’offerta.
Nel caso di specie, tuttavia, la Provincia
di Brescia ha consentito che la presa
visione dei luoghi potesse essere eseguita
non solo dalle figure di vertice delle
imprese concorrenti, ma anche da dipendenti
delle imprese medesime.
Peraltro, prescrivendo che la visita dei
luoghi potesse essere effettuata da soggetti
comunque riconducibili alla struttura
organizzativa dei partecipanti alla
procedura di gara, la S.A. ha altresì
salvaguardato l’esigenza, richiamata
dall’Autorità nella citata deliberazione,
che il sopralluogo non sia svilito e ridotto
a mero adempimento burocratico, circostanza,
quest’ultima, più facilmente verificabile se
si ammettessero al sopralluogo anche i
soggetti muniti di procura, in quanto uno
stesso procuratore potrebbe svolgere la
presa visione dei luoghi per conto di più
imprese, con la conseguenza di depotenziare
il coinvolgimento di ciascun concorrente
nella valutazione della prestazione
richiesta e della situazione dei luoghi, che
costituisce l’aspetto sostanziale del
delicato momento del sopralluogo.
Ne discende, pertanto, che la clausola in
esame, pur non consentendo che il
sopralluogo possa essere eseguito da un
procuratore munito di procura notarile, non
appare affatto restrittiva e rigida, né di
per sé lesiva dei principi della concorrenza
e del favor partecipationis.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che la clausola del
bando di gara in esame pubblicato dalla
Provincia di Brescia è conforme alla
normativa di settore
(parere 11.03.2009 n.
33 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Gara
d'appalto - Lex specialis - Clausole a pena
di esclusione - Carattere vincolante -
Applicazione formale - Violazione
prescrizioni del bando - Correzione a mano
apposta sulla cauzione - Omessa apposizione
della controfirma da parte del soggetto
garante prevista a pena di esclusione dal
bando - Esclusione - Va disposta.
Ritenuto in diritto:
Ai fini della risoluzione della questione
oggetto della controversia, dirimente è il
rilievo che il paragrafo 5.1 del
disciplinare di gara, nel richiedere, tra la
documentazione a corredo dell’offerta, la
cauzione provvisoria ai sensi dell’art. 75
del D.Lgs. n. 163/2006, prescrive in modo
chiaro e non equivoco che “qualsiasi
correzione sostanziale apportata agli
elementi rilevanti della polizza
fideiussoria e dello schema tipo
(contraente, beneficiario, oggetto dei
lavori, data presentazione offerta,
decorrenza e durata polizza, ecc….) dovrà,
pena l’esclusione, essere controfirmata dal
soggetto che rilascia la fideiussione o lo
schema tipo”.
Infatti, poiché, nel caso di specie, la
cauzione prodotta dalla SO.GE.MA S.r.l.
presenta una correzione a mano nella data di
presentazione dell’offerta senza che tale
correzione sia stata controfirmata dal
soggetto garante, è conseguente che la
stessa risulti in contrasto con la
richiamata prescrizione della lex specialis
di gara.
Al riguardo l’Autorità ha già avuto modo di
affermare -in linea con il consolidato
orientamento giurisprudenziale- che, qualora
il bando commini espressamente l’esclusione
dalla gara in conseguenza di determinate
prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a
dare precisa ed incondizionata esecuzione a
dette prescrizioni, restando preclusa
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla cui
osservanza la stessa Amministrazione si è
autovincolata al momento del bando (pareri
n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del
17.12.2008).
Pertanto, alla luce di tale principio il
provvedimento di esclusione adottato dalla
Regione Autonoma Valle d’Aosta risulta
conforme alle prescrizioni della lex
specialis di gara.
Fermo restando quanto sopra, da ritenersi a
tutti gli effetti assorbente, si può
peraltro rilevare che, contrariamente a
quanto dedotto dalla società istante, la
durata della cauzione prodotta in sede di
gara, in ogni caso, non copre l’intero
periodo di validità prescritto nel
disciplinare.
Infatti, anche a voler considerare, come
sostenuto dall’istante, quale dies a quo di
validità della cauzione provvisoria quello
del 02.04.2008, indicato nella parte
specifica relativa alla “durata del
contratto”, e non la data di scadenza
del termine di presentazione delle offerte
(03.04.2008), la polizza non avrebbe
comunque la richiesta durata non inferiore a
240 giorni, in quanto la decorrenza dal
02.04.2008 comporterebbe la mancata
copertura del giorno 28.11.2008, che il
disciplinare di gara prescrive quale data di
scadenza della polizza.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che la cauzione
provvisoria prodotta dalla SO.GE.MA S.r.l.
non è conforme alle prescrizioni della lex
specialis di gara
(parere 11.03.2009 n.
32 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI:
Gara d'appalto - Regolarità
contributiva - D.u.r.c. - Validità - Durata
- Individuazione.
Ritenuto in diritto:
La questione della validità temporale del
D.U.R.C. negli appalti pubblici, posta
all’attenzione di questa Autorità, impone
una preliminare ricostruzione sistematica
delle molteplici indicazioni fornite sul
tema da un complesso di disposizioni, spesso
di differente natura e di diverso ambito
applicativo.
Occorre innanzitutto precisare che la norma
primaria di cui all’art. 39-septies del D.L.
30.12.2005, n. 273, convertito con
modificazioni in legge 23.02.2006, n. 51,
secondo la quale “il documento unico di
regolarità contributiva di cui all’articolo
3, comma 8, del decreto legislativo
14.08.1996, n. 494, ha validità di tre mesi”
fa espresso riferimento al solo settore dei
lavori nei cantieri edili e non opera alcuna
distinzione tra appalti privati ed appalti
pubblici.
Successivamente, in applicazione di un’altra
norma primaria contenuta nell’art. 1, comma
1176 della legge 27.12.2006, n. 296 (legge
finanziaria 2007), il Decreto del Ministero
del Lavoro e della Previdenza Sociale
24.10.2007 ha esteso il campo di
applicazione del D.U.R.C. a tutti i settori
di attività produttiva, richiedendolo, tra
l’altro, “…nell’ambito delle procedure di
appalto di opere, servizi e forniture
pubblici e nei lavori privati dell’edilizia”
ed ha, altresì, precisato nell’art. 7,
riguardo alla validità di detto certificato,
che “1. Ai fini della fruizione delle
agevolazioni normative e contributive di cui
all’art. 1 il DURC ha validità mensile. 2.
Nel solo settore degli appalti privati di
cui all’art. 3, comma 8, del decreto
legislativo 14.08.1996, n. 494, e successive
modifiche, il DURC ha validità trimestrale,
ai sensi dell’art. 39-septies del decreto
legge 30.12.2005, n. 273, convertito dalla
legge 23.02.2006, n. 51”.
Con specifico riferimento a tale
disposizione, la successiva Circolare del
Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale del 30.01.2008, n. 5 ha chiarito che
“Il DURC utilizzato nell’ambito degli
appalti pubblici ed ai fini della erogazione
di benefici ha una validità mensile, mentre
ai fini degli appalti privati in edilizia ha
una validità trimestrale, come previsto
dall’art. 39-septies del D.L. n. 273/2005 (conv.
da L. n. 51/2006).”
Quanto alla successiva Circolare I.N.A.I.L.
del 05.02.2008 n. 7, la stessa precisa che “per
i lavori privati in edilizia, il certificato
ha validità trimestrale; per le agevolazioni
normative e contributive in materia di
lavoro e legislazione sociale e per i
finanziamenti e le sovvenzioni previste
dalla normativa comunitaria, il certificato
ha validità mensile. Negli altri casi, la
validità del DURC è correlata alla specifica
normativa di riferimento e quindi: per tutti
gli appalti pubblici, è legata allo
specifico appalto ed è limitata alla fase
per la quale il certificato è stato
richiesto (es. stipula contratto, pagamento
SAL, ecc.)…”.
Tale disposizione di dettaglio, interpretata
in coerenza con la normativa primaria e
secondaria sopra richiamata, induce ad
includere l’utilizzo del DURC negli appalti
pubblici tra le ipotesi di validità mensile,
con l’ulteriore precisazione che tale
certificazione di validità mensile è
comunque legata allo specifico appalto ed è
limitata alla fase per la quale il
certificato è stato richiesto, per cui lo
stesso non è spendibile in altri appalti o
per altre fasi dello stesso appalto
pubblico.
Diversamente opinando la durata di validità
del DURC, se meramente legata alla fase
dell’appalto in cui il documento viene
utilizzato, sarebbe sostanzialmente
indeterminata e tale esito non appare
condivisibile, essendo essenzialmente
connessa al concetto di certificazione la
necessità di una predeterminazione della
validità legale della medesima.
Alla luce del richiamato quadro normativo e
della soluzione interpretativa proposta, si
può, pertanto, concludere nel senso che, nel
caso in esame, trattandosi di un appalto
pubblico, nella specie di forniture, il DURC
ha validità mensile. Tale validità, inoltre,
come chiarito dalla giurisprudenza (TAR
Sicilia, Catania, Sez. IV, 22.01.2008, n.
141; TAR Sicilia, Palermo, Sez. III,
05.04.2007, n. 1092) decorre dalla data di
rilascio del suddetto certificato e non da
quella in cui è stata accertata la
regolarità dei versamenti.
Conseguentemente, non appare corretta
l’esclusione dalla gara, indetta il
22.04.2008, di imprese concorrenti, come la
COMIS S.r.l., in possesso di un certificato
DURC rilasciato in data 01.04.2008 e
presentato alla S.A. il 21.04.2008, dunque
ampiamente prima che decorressero i trenta
giorni di validità dello stesso, con la
motivazione che debba intendersi D.U.R.C. in
corso di validità solo quello rilasciato per
lo specifico appalto e per la specifica fase
di gara, secondo quanto previsto dalla
Circolare I.N.A.I.L. n. 7 del 05.02.2008.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’esclusione dalla
gara della COMIS S.r.l. non è conforme alla
normativa di settore
(parere 11.03.2009 n.
31 - link a massimario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Sulla illegittimità della
clausola di un bando di un appalto di
servizi che prevede un diritto di prelazione
in favore del precedente concessionario del
servizio.
Viola i principi generali della tutela
dell'affidamento e di parità di trattamento,
promananti entrambi del "secondo
considerando" della direttiva 2004/18/CE,
nonché dall'obbligo dell'imparzialità
dell'azione amministrativa, una clausola
della lex specialis di una gara bandita da
un comune e avente per oggetto
l'aggiudicazione del servizio dello sport
per il periodo di tre anni che stabilisce
che"l'aggiudicazione definitiva è
condizionata all'eventuale diritto di
prelazione esercitato dall'attuale
concessionario a parità di condizioni" (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 31.03.2009 n. 1030 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Non è sufficiente per escludere
il carattere imprenditoriale di una ONLUS
nell'ambito dell'attività di prestazione di
servizi l'assenza dell'iscrizione al
registro delle imprese, del possesso di
partita IVA e di posizioni INPS e INAIL
attive.
L'assenza dell'iscrizione al registro delle
imprese, del possesso di partita IVA e di
posizioni INPS e INAIL attive non è
sufficiente per escludere il carattere
imprenditoriale di una ONLUS nell'ambito
dell'attività di prestazione di servizi.
A tal proposito, la giurisprudenza
comunitaria ha affermato che in ambito
europeo la nozione di impresa "comprende
qualsiasi entità che esercita un'attività
economica, a prescindere dallo status
giuridico di detta entità e dalle sue
modalità di finanziamento", mentre
l'attività economica consiste nell'offerta
di beni o servizi su un determinato mercato
contro retribuzione e con assunzione dei
rischi finanziari connessi, anche se non
viene perseguito uno scopo di lucro.
La nozione di impresa fornita a livello
comunitario ha, pertanto, parametri molto
ampi, che prescindono da una particolare
fattispecie organizzativa, essendo
sufficiente l'esercizio di un'attività
economica che sia ricollegabile al dato
obiettivo inerente all'attitudine a
conseguire la remunerazione dei fattori
produttivi, rimanendo giuridicamente
irrilevante lo scopo di lucro (che riguarda
il movente soggettivo che induce
l'imprenditore ad esercitare la sua
attività): il carattere imprenditoriale
dell'attività va, invece, escluso nel caso
in cui essa sia svolta in modo del tutto
gratuito, atteso che non può essere
considerata imprenditoriale l'erogazione
gratuita dei beni o servizi prodotti.
Il Consiglio di Stato, dal canto suo, ha
affermato la sussistenza di una nozione di
"impresa" più ampia di quella sottesa
all'art. 2082 c.c.: nozione che, "alla
luce del principio comunitario dell'effetto
utile, non può che sussumere nell'ambito
delle attività di impresa, ai fini
dell'applicazione della disciplina della
concorrenza, a prescindere dalla qualifica
formale del soggetto che la svolge,
qualsiasi attività di natura economica tale
da poter ridurre, anche solamente in
potenza, la concorrenza nel mercato. Ai
predetti fini possono essere considerate
imprese tutti i soggetti, comunque
strutturati ed organizzati, che compiano
atti a contenuto economico idonei a
restringere la concorrenza" (TAR Veneto,
Sez. I,
sentenza 26.03.2009 n. 881 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'affidamento in house a società
totalmente partecipate da soggetti pubblici
costituisce la negazione del mercato.
E' possibile
l'affidamento diretto ad una società mista
che sia costituita appositamente per
l'erogazione di uno o più servizi
determinati da rendere almeno in via
prevalente a favore dell'autorità pubblica
che procede alla costituzione, attraverso
una gara che miri non soltanto alla scelta
del socio privato ma anche allo stesso
affidamento dell'attività da svolgere e che
limiti, nel tempo, il rapporto di
partenariato, prevedendo allo scadere una
nuova gara.
Le condizioni che consentirebbero il ricorso
a tale forma organizzativa, lo si ricorda,
sono così enucleabili:
1) che esista una norma di legge che
autorizzi l’amministrazione ad avvalersi di
tale “strumento”;
2) che il partner privato sia scelto con
gara;
3) che l’attività della costituenda società
mista sia resa, almeno in via prevalente, in
favore dell’autorità pubblica che ha
proceduto alla costituzione della medesima;
4) che la gara (unica) per la scelta del
partner e l’affidamento dei servizi
definisca esattamente l’oggetto dei servizi
medesimi (deve trattarsi di servizi
“determinati”);
5) che la selezione della offerta migliore
sia rapportata non alla solidità finanziaria
dell’offerente, ma alla capacità di svolgere
le prestazioni specifiche oggetto del
contratto;
6) che il rapporto instaurando abbia durata
predeterminata
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.03.2009 n. 1555 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Criterio del prezzo più basso -
Calcolo della soglia di anomalia - Art. 86
d.lgs. n. 163/2006 - Stazione appaltante -
Det. 26.10.1999 dell’Autorità per la
Vigilanza sui Lavori Pubblici - Sequenza di
calcolo.
Quando il criterio di aggiudicazione
dell’appalto è quello del prezzo più basso,
il calcolo della soglia di anomalia è dato
dal “ribasso pari o superiore alla media
aritmetica dei ribassi percentuali di tutte
le offerte ammesse, con esclusione del dieci
per cento, arrotondato all’unità superiore,
rispettivamente delle offerte di maggior
ribasso e di quelle di minor ribasso,
incrementata dello scarto medio aritmetico
dei ribassi percentuali che superano la
predetta media” (art. 86 del DLgs n.
163/2006).
Sul punto, con determinazione 26.10.1999
l’Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici ha precisato analiticamente la
sequenza da rispettare a cura della stazione
appaltante:
1) si forma l’elenco delle offerte ammesse
disponendole in ordine crescente di ribasso;
2) si calcola il 10% del numero delle
offerte ammesse e lo si arrotonda all’unità
superiore;
3) si escludono fittiziamente dall’elenco un
numero di offerte di minor ribasso pari al
numero di cui al punto 2), nonché un numero
di offerte di maggior ribasso di cui al
punto 2) (c.d. taglio delle ali);
4) si calcola la media aritmetica dei
ribassi delle offerte che restano dopo
l’operazione di esclusione fittizia di cui
al punto 3);
5) si calcola -sempre con riguardo alle
offerte che rimangono dopo l’operazione di
esclusione fittizia di cui al punto 3)- lo
scarto dei ribassi superiori alla media di
cui al punto 4), e, cioè, la differenza tra
tali ribassi (superiori alla media) e la
suddetta media;
6) si calcola la media aritmetica degli
scarti e cioè la media delle differenze;
7) si somma la media di cui sub 4) con la
media di cui sub 6): tale somma costituisce
la soglia di anomalia (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 13.03.2009 n. 602 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Silenzio assenso - Potere di annullamento -
Art. 20 L. n. 241/1990 - Art. 21-nonies L.
n. 241/1990.
Il nuovo testo dell’art. 20 della L. n.
241/1990, al comma 3, esplicitamente
accoglie il principio che il silenzio
assenso, formatosi per decorso del tempo
prescritto dall'inoltro dell'istanza, non
può essere considerato dall'Amministrazione
tamquam non esset, ma può formare
oggetto di provvedimenti caducatori nella
via dell'autotutela (cfr. Cons. Stato n.
1339/2007).
Pertanto, in una fase successiva alla
formazione del silenzio-assenso,
l’amministrazione resistente può intervenire
soltanto attraverso l’esercizio di un potere
di annullamento (o di revoca, art.
21-quinquies, della legge n. 241/1990), così
come previsto dall’art. 20, con l’avvertenza
che tale forma di potere, in sede di
autotutela decisoria, deve essere esercitata
secondo il dettato del nuovo art. 21-nonies
(richiamato dal 3° comma dell’art. 20),
entro un ragionevole lasso di tempo, tenendo
altresì conto di uno specifico interesse
pubblico alla rimozione della situazione
delineatasi con il silenzio-assenso, nonché
degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 13.03.2009 n. 596 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Presentando
una D.I.A., il titolo abilitativo formatosi
per effetto dell'inerzia
dell'Amministrazione può formare oggetto di
interventi di annullamento d'ufficio o
revoca; anche dopo il decorso del termine
previsto per la verifica dei presupposti e
requisiti di legge, l'Amministrazione non
perde i propri poteri di autotutela, né nel
senso di poteri di vigilanza e sanzionatori,
né nel senso di poteri espressione
dell'esercizio di una attività di secondo
grado estrinsecantesi nell'annullamento
d'ufficio e nella revoca.
Nel caso di presentazione di dichiarazione
di inizio di attività l'inutile decorso del
termine assegnato prima dall’art. 2. comma
60, della legge n. 662/1996 e oggi dall'art.
23, t.u. 06.06.2001 n. 380 all'autorità
comunale per l'adozione del provvedimento di
inibizione ad effettuare il previsto
intervento edificatorio, non comporta che
l'attività del privato, ancorché del tutto
difforme dal paradigma normativo, possa
considerarsi lecitamente effettuata e quindi
andare esente dalle sanzioni previste
dall'ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi. Di
qui una serie di conseguenze quali: il
titolo abilitativo formatosi per effetto
dell'inerzia dell'Amministrazione può
formare oggetto di interventi di
annullamento d'ufficio o revoca; anche dopo
il decorso del termine previsto per la
verifica dei presupposti e requisiti di
legge, l'Amministrazione non perde i propri
poteri di autotutela, né nel senso di poteri
di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di
poteri espressione dell'esercizio di una
attività di secondo grado estrinsecantesi
nell'annullamento d'ufficio e nella revoca,
seppure con il rispetto del principio di
reciproca lealtà e certezza dei rapporti
giuridici (Consiglio Stato, sez. IV,
25.11.2008, n. 5811).
Nei rapporti tra denunciante e
amministrazione, la denuncia di inizio
attività si pone come atto di parte, che,
pur in assenza di un quadro normativo di
vera e propria liberalizzazione
dell'attività, consente al privato di
intraprendere un'attività in correlazione
all'inutile decorso di un termine, cui è
legato, a pena di decadenza, il potere
dell'amministrazione, correttamente definito
inibitorio dell'attività. Una volta decorso
il termine senza l'esercizio del potere
inibitorio, il privato può sì dar corso
all’intervento dichiarato, ma l’attività
legittimamente (sul piano formale)
intrapresa non fa venir meno la persistenza
del generale potere repressivo degli abusi
edilizi, eventualmente sollecitata dai terzi
controinteresati attraverso la procedura del
silenzio-inadempimento (cfr. Consiglio di
stato, sez. IV, 22.07.2005, n. 3916 ).
In definitiva, se la d.i.a. non ha di per sé
efficacia sanante dell’attività edilizia
iniziata dopo il decorso del termine di
legge e per effetto del mero dato temporale,
ma solo effetti abilitanti di una serie di
interventi minori liberalizzati, essa non
può essere invocata quale motivo ostativo
all’esercizio del potere di controllo degli
interventi edilizi, compreso il diniego di
concessione edilizia (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 12.03.2009 n. 1474 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
legittimamente condonare un'opera abusiva
dev'essere già
eseguita, sia pure al rustico, in tutte le
sue strutture essenziali.
L'opera
abusiva, per essere ammessa a sanatoria,
deve essere già eseguita, sia pure al
rustico, in tutte le sue strutture
essenziali, fra le quali vanno ricomprese le
tamponature, in quanto determinanti per
stabilire la relativa volumetria e la sagoma
esterna (fra le tante: Consiglio Stato, sez.
V, 18.11.2004, n. 7547)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.03.2009 n. 1474 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Anche
se mancano le norme statutarie e
regolamentari ugualmente al dirigente spetta
la direzione degli uffici e dei servizi.
Il fatto che
l’art. 107 del TU n. 267/2000 disponga che “Spetta
ai dirigenti la direzione degli uffici e dei
servizi secondo i criteri e le norme dettati
dagli statuti e dai regolamenti” non
vuol certo dire che in mancanza delle norme
statutarie e regolamentari il dirigente non
possa far nulla.
Una simile conclusione si porrebbe contro il
precetto costituzionale di buon andamento e
con il principio (questo sì vero principio
cardine), di separazione tra politica ed
amministrazione e di tendenziale
universalità ed inderogabilità delle
funzioni dirigenziali, per il quale “Spettano
ai dirigenti tutti i compiti, compresa
l'adozione degli atti e provvedimenti
amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, non
ricompresi espressamente dalla legge o dallo
statuto tra le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo degli
organi di governo” (art. 107 cit. e art.
4 d. lgs. n. 165/2001)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.03.2009 n. 1474 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo paesaggistico - Autorità
preposta alla tutela del vincolo - Controllo
- Integrazione documentale - Documentazione
allegata alla pratica già esaminata dal
Comune.
Il controllo che compete all’autorità
statale a difesa del vincolo paesaggistico
investe la legittimità del procedimento
autorizzatorio, e si concentra
principalmente sull’esaustività della
documentazione allegata alla pratica già
esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi
emesso il provvedimento favorevole. Le
integrazioni documentali afferiscono dunque
ad eventuali carenze od omissioni
riscontrate in sede di trasmissione delle
planimetrie e degli elaborati alla
Soprintendenza, mentre non possono
riguardare documenti che il Comune non ha
mai provveduto ad acquisire (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 12.03.2009 n. 623 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione prefabbricati -
Permesso di costruire - Necessità -
Presupposti - Art. 3, 1° c. lett. e) D.P.R.
n. 380/2001 - Testo Unico Edilizia.
L'articolo 3, primo comma lettera e) del
testo unico sull'edilizia D.P.R. n. 380/2001
e s.m. ricomprende tra gli interventi di
nuova costruzione, come tali soggetti al
permesso di costruire, tra gli altri,
l'installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati ed in genere l'installazione
di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, a condizione che siano
utilizzate come abitazioni, ambienti di
lavoro, come depositi, magazzini, ecc. e
siano dirette a soddisfare esigenze durature
nel tempo.
In definitiva la nozione di costruzione non
presuppone necessariamente l'ancoraggio al
suolo del fabbricato, se ricorrono le
condizioni dianzi evidenziate.
L'accertamento di tali condizioni è
demandato al giudice del merito, la cui
valutazione si sottrae al sindacato di
legittimità se congruamente motivata (CORTE
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.03.2009 n. 10708 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Differenza tra tettoia e
pergolato - Trasformazione urbanistica del
territorio - Permesso di costruire, DIA e
normativa antisismica.
La realizzazione di una tettoia in quanto
opera di trasformazione urbanistica del
territorio non rientrante nella categoria
delle pertinenze è subordinata al rilascio
della concessione edilizia ed attualmente
del permesso di costruire (Cass. pen. sez. 3
- n. 22126 del 03.06.2008). A differenza del
pergolato che è una struttura aperta sia
lateralmente che nella parte superiore, la
tettoia, invero, può essere utilizzata anche
come riparo ed aumenta quindi l’abitabilità
dell'immobile (Cass. sez. 3 - n. 19973 del
19.05.2008). Non c'è dubbio, comunque, che
il rilascio di una DIA o anche del permesso
di costruire non escluda gli adempimenti
richiesti dalla normativa antisismica.
Tettoie - Permesso di
costruire - Equiparazione di una tettoia ad
un pergolato - Esclusione.
E' pacifico che il titolo abilitativo
richiesto per le tettoie è il permesso di
costruire (a differenza del pergolato essa
può essere utilizzata anche come riparo). E'
illegittima pertanto l'equiparazione della
tettoia ad un pergolato e conseguentemente
la ritenuta validità della DIA rilasciata
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.03.2009 n. 10534 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Disciplina antisismica - Ambito
di applicazione - Tutte le costruzioni la
cui sicurezza possa interessare la pubblica
incolumità - Irrilevanza dei materiali
usati.
Le disposizioni della normativa antisismica
si applicano, a tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa interessare la pubblica
incolumità, a nulla rilevando la natura dei
materiali usati e delle strutture realizzate
- a differenza della disciplina relativa
alle opere in conglomerato cementizio armato
- in quanto l'esigenza di maggior rigore
nelle zone dichiarate sismiche rende ancor
più necessari i controlli e le cautele
prescritte, quando si impiegano elementi
strutturali meno solidi e duraturi del
cemento armato (Cass. pen. sez. 3,
24.10.2001 n. 38142). Tali disposizioni,
infatti, pur riguardando l'attività
edificatoria, sono "diverse" sotto il
profilo della ratio e degli obiettivi
perseguiti, da quelle in materia urbanistica
(Cass. sez. 3 - 07.11.1997 n. 50; Cass. sez.
3 - n. 11511 del 15.02.2002) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.03.2009 n. 10534 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Muri di cinta tra fondi a
dislivello - Modifica dello stato naturale
dei luoghi - Idoneità a creare intercapedini
nocive con le altrui costruzioni - Distanze
legali - Equiparazione ai muri di fabbrica -
Necessità di verifica di ciascuna concreta
fattispecie.
I muri di cinta tra fondi a dislivello che,
oltre ad essere destinati alla delimitazione
e alla difesa del fondo, assolvono anche
all’ulteriore funzione di contenere e
sostenere la scarpata o il terrapieno, e che
danno luogo al dislivello tra i due fondi
limitrofi non rientrano, come accade
normalmente per i muri di cinta, nella
categoria dei muri isolati o liberi da
entrambe le facce.
Essi, pertanto, facendo
corpo con il terreno che contengono e
modificando, in particolare, attraverso
l’opera dell’uomo, lo stato naturale dei
luoghi con la costruzione di un manufatto,
sono idonei a creare intercapedini nocive
con l’altrui costruzione, con conseguente
necessità di verificare in ciascuna concreta
fattispecie se, avuto riguardo allo loro
particolari caratteristiche strutturali e
dimensioni, siano da considerare o meno alla
stregua di un muro di fabbrica agli effetti
delle distanze legali (Cass. 15.10.1983,
n.6060) (TAR Abruzzo-L’Aquila, Sez. I,
sentenza 10.03.2009 n. 140 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Accesso - Istanza - Legale dell’interessato
- Sottoscrizione congiunta o procura
speciale - Allegazione - Necessità -
Imputabilità della richiesta di accesso -
Verifica dell’interesse concreto.
La domanda di accesso deve essere avanzata
dalla parte che vi ha interesse; può anche
essere presentata da un suo legale, ma, in
tale caso, deve essere accompagnata, per
asseverare l’effettiva provenienza della
richiesta da parte del soggetto interessato,
da copia di apposito mandato od incarico
professionale, ovvero dalla sottoscrizione
congiunta dell’interessato stesso (in
termini Cons. Stato, Sez. V 05/09/2006, n.
5116).
Tali requisiti formali costituiscono
elementi di certezza essenziali ai fini
dell’imputabilità della richiesta di accesso
ed assunzione delle eventuali relative
responsabilità (sia da parte del
richiedente, che del funzionario chiamato
all’ostensione di quanto richiesto), nonché
ai fini della verifica della sussistenza di
un concreto interesse alla richiesta
medesima. In assenza di una sottoscrizione
congiunta o di una procura speciale,
l’istanza di accesso è irrituale e non fa
sorgere in capo all’Amministrazione ed ai
soggetti alla stessa equiparati un obbligo
di provvedere (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 09.03.2009 n. 1331 - (link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Art. 38, lett. i), d.lgs. n.
163/2006 - Requisiti di regolarità
contributiva - Violazioni di carattere
meramente formale - Soglia della gravità.
La disciplina generale in materia di
pubblici appalti non permette di addivenire
a rilievi di carattere puramente formale in
ordine ai requisiti di regolarità
contributiva, in quanto l’art. 38, comma 1,
lett. i), del Codice Appalti richiede che le
violazioni alle norme in materia di
contributi previdenziali e assistenziali
raggiungano la soglia della gravità, che non
consente di attribuire carica ostativa alla
partecipazione alla gara alle violazioni di
carattere meramente formale, laddove
sussistenti (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 06.03.2009 n. 836 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia -
Demolizione e ricostruzione - Art. 3, comma
1, lettera d) del T.U. n. 380/2001 - Fedele
ricostruzione - Identità di sagoma,
superficie e volume - D.I.A. - Lieve
traslazione dell’immobile - Violazione
dell’art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001
- Inconfigurabilità
L’art. 3, comma 1, lettera d) del T.U. n.
380/2001 ha espressamente ricondotto
nell’ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di un edificio preesistente, fatte
salve le sole innovazioni necessarie per lì
adeguamento alla normativa antisismica; in
altri termini, identità di volumetria e
sagoma con riferimento al preesistente
edificio sono i requisiti che consentono di
ricondurre nella nozione di ristrutturazione
edilizia l’intervento ricostruttivo che si
ricolleghi ad una integrale demolizione.
Tali interventi sono subordinati alla
presentazione di denuncia di inizio attività
e, unicamente qualora comportino aumenti di
unità immobiliari, modifiche del volume,
della sagoma, dei prospetti o delle
superfici sono subordinati al previo
rilascio del permesso a costruire
(fattispecie relativa alla demolizione e
successiva ricostruzione di un capannone,
senza mutamento di sagoma, superficie e
volume, ma con una lieve traslazione
rispetto alla posizione planimetrica
originaria: la riconducibilità
dell’intervento all’ipotesi di cui all’art.
3, c. 1, lett. d) del T.U. n. 380/2001, per
la quale è sufficiente la D.I.A., ha escluso
la violazione dell’art. 44, lett. b), del T.U.
n. 380/2001, anche in ragione del fatto che
la lieve traslazione non aveva compromesso
l’assetto del territorio) (Tribunale di
Salerno, Sez. staccata di Eboli,
sentenza 06.03.2009 n. 195 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Varianti - Nozione.
In materia urbanistica, non tutte le
modifiche alla progettazione originaria
possono definirsi varianti e che queste si
configurano solo allorquando il progetto già
approvato non risulti sostanzialmente e
radicalmente mutato dal nuovo elaborato
(come accade, ad esempio, nelle ipotesi di:
sensibile spostamento della localizzazione
del manufatto, aumento del numero dei piani,
creazione di un piano seminterrato, modifica
del prospetto esterno etc.). La nozione di
"variante", deve ricollegarsi a
modificazioni qualitative o quantitative di
non rilevante consistenza rispetto
all'originario progetto e gli elementi da
prendere in considerazione, al fine di
discriminare un nuovo permesso di costruire
dalla variante ad altro preesistente,
riguardano la superficie coperta, il
perimetro, la volumetria, le distanze dalle
proprietà viciniori, nonché le
caratteristiche funzionali e strutturali,
interne ed esterne, del fabbricato [C.
Stato, Sez. V, 11/05/1989, n. 272].
Rilascio del permesso in
sanatoria - Presupposti - Conformità alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente -
Contributo di costruzione - Art. 36 del T.U.
n. 380/2001.
Per il rilascio del permesso in sanatoria
previsto dall'art. 36 del T.U. n. 380/2001 è
richiesto, quale presupposto, che l'opera
abusiva sia "conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della realizzazione dell'intervento
sia al momento della presentazione della
domanda". Il rilascio è altresì subordinato
(sicché nel provvedimento deve farsi
espressa menzione dell'avvenuto versamento)
al pagamento di una somma di danaro
determinata, per le opere soggette a
permesso oneroso, con riferimento al
contributo di costruzione da corrispondersi
(eventualmente per le sole parti difformi)
in misura doppia a quella dovuta per il
rilascio del titolo in via ordinaria.
Permesso di costruire -
Rilasciato in sanatoria - Effetti sui reati
- Operatività - Artt. 36 e 45 del T.U. n.
380/2001.
Il permesso di costruire rilasciato ex art.
36 del T.U. n. 380/2001, estingue - a norma
del 3° comma del successivo art. 45, "i
reati contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche vigenti" e non si estende ad
altri reati correlati alla tutela di
interessi diversi rispetto a quelli che
riguardano l'assetto del territorio sotto il
profilo edilizio, quali i reati previsti
dalla normativa sulle opere in cemento
armato, sulle costruzioni in zone sismiche,
sulla tutela delle zone di particolare
interesse paesaggistico ed ambientale [Cass.,
Sez. III, 13.04.2005, Cupelli]. Inoltre, la
speciale causa di estinzione di cui all'art.
45 del D.P.R. n. 380/2001 opera in favore di
tutti i responsabili dell'abuso e non solo
dei soggetti legittimati a chiedere il
permesso di costruire: mentre il pagamento
della somma dovuta a titolo di oblazione può
essere richiesto una sola volta, trattandosi
di un adempimento della procedura
amministrativa che resta al di fuori dello
schema penalistico.
Spostamento della
localizzazione di un manufatto - Variante
edilizia - Permesso di costruire - C.d.
"varianti leggere o minori in corso d'opera"
- DIA (denuncia di inizio dell'attività) -
Disciplina art. 15, 12° c., L. n. 10/1977,
art. 15 L. n. 47/1985, mod. da L. n.
662/1996 succ. mod. dall'art. 22, 2° c.,
T.U. n. 380/2001 come mod. dal D.Lgs. n.
301/2002.
Lo spostamento della localizzazione di un
manufatto, in linea di principio, ha natura
di variante edilizia. Mentre, le c.d.
"varianti leggere o minori in corso d'opera"
(disciplinate attualmente dall'art. 22, 2°
comma, del T.U. n. 380/2001 -come modificato
dal D.Lgs. n. 301/2002)- prevede che siano
sottoposte a denuncia di inizio
dell'attività le varianti a permessi di
costruire che:
- non incidono sui parametri urbanistici e
sulle volumetrie (e, tra i "parametri
urbanistici" vanno ricomprese anche le
distanze tra gli edifici);
- non modificano la destinazione d'uso e la
categoria edilizia;
- non alterano la sagoma dell'edificio;
- non violano le prescrizioni eventualmente
contenute nel permesso di costruire.
La denuncia di inizio dell'attività
costituisce "parte integrante del
procedimento relativo al permesso di
costruzione dell'intervento principale" e
può essere presentata prima della
dichiarazione di ultimazione dei lavori: la
formulazione dell'art. 22 sembra consentire,
pertanto, la possibilità di dare corso alle
opere in difformità dal permesso di
costruire e poi regolarizzarle entro la fine
dei lavori (il Consiglio di Stato ha
considerato "variante minore o non
essenziale" una modesta rototraslazione
della sagoma dell'edificio rispetto al
progetto approvato - C. Stato, Sez. V,
22.01.2003, n. 249) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 05.03.2009 n. 9922 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Vincoli paesaggistici ed ambientali -
Recepimento nel P.R.G. - Assunzione della
natura di vincoli urbanistici - Esclusione -
Ragioni.
I vincoli paesaggistici ed ambientali in
senso proprio, non divengono vincoli
(meramente) urbanistici per il solo fatto di
essere recepiti nel P.R.G., ma mantengono la
loro natura - di vincoli dichiarativi ad
effetto costitutivo non sottoposto a
termine, in quanto discendenti non da una
scelta discrezionale dell’amministrazione,
bensì da qualità intrinseche del bene
tutelato, che il provvedimento di vincolo
deve soltanto riconoscere e dichiarare; ciò
che, li distingue nettamente dai vincoli
urbanistici in senso proprio, i quali -ancorché possano essere ispirati da analoghe
finalità di salvaguardia del paesaggio o
dell’ambiente- non si sottraggono, qualora
siano preordinati all’espropriazione o
comunque rivestano carattere sostanzialmente
espropriativo, all’alternativa tra
temporaneità ed indennizzabilità (cfr.,
riassuntivamente, Corte Cost., 20.05.1999,
n. 179).
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - URBANISTICA ED EDILIZIA -
Tutela del paesaggio e dell’ambiente -
Governo del territorio - Tutela
differenziata - Interessi sovraordinati.
Quantunque sia tuttora riscontrabile, in
dottrina e nella prassi politica, la
tendenza ad assorbire la tutela del
paesaggio e dell’ambiente all’interno della
materia dell’urbanistica (o come oggi si usa
dire, del governo del territorio), la Corte
Costituzionale ha più volte ribadito, anche
di recente, che dette tutele concernono
interessi pubblici distinti, sottoposti a
tutela differenziata e sovraordinati
rispetto a quelli sottesi al razionale
assetto del territorio (cfr. sentt.
05.05.2006, n. 182, 07.11.2007, n. 367 e
30.05.2008, n. 180).
BENI CULTURALI E
AMBIENTALI - Vincoli paesaggistici e
ambientali - Potestà legislativa esclusiva
statale - Normativa - D.lgs. n. 42/2004,
d.lgs. n. 152/2006, L. n. 394/1991 -
Competenze amministrative - stato e Regioni
- Subdelega agli enti locali.
L’imposizione (mediante piani o
provvedimenti puntuali) e l’applicazione dei
vincoli paesaggistici ed ambientali, sono
oggi disciplinate, in attuazione della
potestà esclusiva statale prevista
dall’articolo 117, comma secondo, lettera
s), Cost., da organiche normative statali:
il Codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al d.lgs. 42/2004 (e
successive modifiche di cui ai decreti
157/2006 e 63/2008); il “t.u. ambientale” di
cui al d.lgs. 152/2006 e s.m.i.; la
normativa sulle aree naturali protette, di
cui alla legge 394/1991, e s.m.i. Le
relative competenze amministrative, spettano
allo Stato ed alle Regioni (anche se è
diffusa la pratica della subdelega o del
conferimento dei poteri autorizzatori agli
enti locali) (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 04.03.2009 n. 71 - link
a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo -
Conferenza di servizi - Valenza
acceleratoria e valutazione integrata degli
interessi pubblici e privati.
La conferenza di servizi non può essere
intesa quale mera occasione di raccolta
contestuale, o entro un termine prefissato,
di atti e valutazioni adottati autonomamente
dalle diverse amministrazioni interessate.
Oltre alla valenza acceleratoria, il
significato di questo modello procedimentale
sta nel consentire una valutazione integrata
degli interessi pubblici e privati implicati
nella scelta amministrativa, facendo
emergere le reciproche interrelazioni.
Sia che si acceda alla configurazione della
conferenza di servizi come “luogo” deputato
al “bilanciamento” degli interessi pubblici
e privati sottesi ad una decisione
amministrativa (nel senso della
ponderazione, discrezionale, del peso di
interessi contrapposti); sia che, invece, si
ritenga la conferenza uno strumento di
scambio di informazioni e valutazioni, volto
a migliorare la completezza e consapevolezza
delle decisioni che ogni amministrazione
assumerà nell’esercizio della
discrezionalità tecnica, con riferimento
esclusivo alla cura dell’interesse pubblico
primario affidato alla sua cura; in ogni
caso, la necessità che tutti i partecipanti
dispongano degli atti e degli elementi
rilevanti e possano esprimere la propria
opinione al riguardo, costituisce principio
indefettibile del modello procedimentale
(TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 04.03.2009 n. 71 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
INQUINAMENTO IDRICO - ACQUE -
Scarico abusivo - Responsabilità del
titolare dell'insediamento e del gestore
dell’impianto - Fondamento - Art. 59 d.lgs
n.152/1999 ora D. L.vo n. 152/2006 e s.m..
Il reato di cui all'art. 59 del d.lgs
11.05.1999 n.152 (effettuazione di scarichi
senza autorizzazione), si configura non solo
a carico del titolare dell'insediamento, ma
altresì nei confronti del gestore
dell'impianto, atteso che su quest'ultimo
grava l'onere di controllo che l'impianto da
lui gestito sia dotato di autorizzazione,
configurando tale autorizzazione il
presupposto della legittimità della gestione
[Cassazione Sezione III n. 4535/2002].
INQUINAMENTO IDRICO -
Tutela delle acque dall'inquinamento -
Domanda di autorizzazione allo scarico -
Competenza - Delega - Effetti - D. L.vo n.
152/2006 e s.m..
In tema di tutela delle acque
dall'inquinamento, tenuto a presentare
all'autorità competente la domanda di
autorizzazione allo scarico è il legale
rappresentante dell'insediamento o chi ne
faccia giuridicamente le veci [Cassazione
Sezione III n. 05533/1997]. Inoltre,
l'identificazione dell'oggetto e del
contenuto della delega deve essere, in linea
di principio, resa possibile sulla base di
specifiche determinazioni, difettando le
quali, il potere concernente l'attività
delegata non può ritenersi dismesso dal
delegante (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 03.03.2009 n. 9497 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Materiali destinati al
"riutilizzo" - Natura - Recupero e
smaltimento - Affermazioni o intenzioni
dell'interessato - Ininfluenza - Formulario
di trasporto - Identificazione dei rifiuti
con un codice improprio - Fattispecie:
computer, stampanti, monitor, legni... .
In tema di materiali destinati al
"riutilizzo" la prova relativa alla loro
natura deve essere obiettiva, univoca e
completa, non potendosi tenere conto solo
delle affermazioni o delle intenzioni
dell'interessato, posto che i rifiuti
richiedono un corretto e tempestivo
recupero, se possibile e dimostrato, oppure
il loro smaltimento in modo compatibile con
la salute e l'ambiente (nella specie, il
carico riguardava brandelli di cartone,
scaffalature distrutte, computer, stampanti,
monitor, legni, sedie rotte, plastica in
frantumi, gomma, calcinacci, ferri ritorti,
oggetti accumulati alla rinfusa ed è stato
ritenuto perciò escluso che i materiali
fossero destinati alla rivendita anche per
l'assorbente circostanza che, al momento del
controllo, l'autista aveva esibito un
formulario attestante il trasporto di
rifiuti [anche se falsamente descritti come
non pericolosi e identificati con un codice
improprio] e menzionante destinatari aventi
sedi in provincia di Mantova e in provincia
di Brescia incompatibili col tragitto
dell'automezzo quando venne fermato) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.03.2009 n. 9494 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
V.I.A. - Procedure di VIA e
screening - Natura di subprocedimento
autonomo - Immediata impugnabilità - Art. 20
d.lgs. n. 152/2006.
Fin dal loro ingresso nel loro ordinamento,
le procedure di V.I.A. e di screening, pur
inserendosi sempre all’interno del più ampio
procedimento di realizzazione di un opera o
di un intervento, sono state considerate da
dottrina e giurisprudenza prevalenti come
dotate di autonomia, in quanto destinate a
tutelare un interesse specifico (quello alla
tutela dell’ambiente), e ad esprimere al
riguardo, specie in ipotesi di esito
negativo, una valutazione definitiva, già di
per sé potenzialmente lesiva dei valori
ambientali; di conseguenza, gli atti
conclusivi di dette procedure sono stati
ritenuti immediatamente impugnabili dai
soggetti interessati alla protezione di quei
valori (siano essi associazioni di tutela
ambientale ovvero cittadini residenti in
loco). Tali conclusioni appaiono oggi
confortate dalla disciplina generale di cui
all’art. 20 del decreto legislativo
03.04.2006, nr. 152, che configura la stessa
procedura di verifica dell’assoggettabilità
a V.I.A. come vero e proprio subprocedimento
autonomo, caratterizzato da partecipazione
dei soggetti interessati e destinato a
concludersi con un atto avente natura
provvedimentale, soggetto a pubblicazione.
V.I.A. - Screening -
Soggetti residenti nella zona interessata
dall’intervento - Comunicazione di avvio del
procedimento - Art. 24 L.P. Trento n.
23/1992 - Art. 7 L. n. 241/1990 - Necessità
- Esclusione.
L’art. 24 della L. Prov. Trento nr. 23 del
1992, riproducendo a livello locale la
disposizione generale di cui all’art. 7
della legge 07.08.1990, nr. 241, dispone che
la pubblica amministrazione sia tenuta a
notificare la comunicazione di avvio del
procedimento amministrativo “ai soggetti
nei confronti dei quali il provvedimento
finale è destinato a produrre effetti
diretti e a quelli che per legge debbono
intervenirvi”. Tale disposizione è
sempre stata interpretata nel senso di
individuare, quali soggetti legittimati a
ricevere la comunicazione, gli specifici
destinatari dell’azione amministrativa,
siano o meno direttamente contemplati nel
provvedimento finale, nonché i soggetti dei
quali la legge disponga obbligatoriamente la
partecipazione al procedimento stesso.
Sicché non sussiste l’obbligo di
comunicazione dell’avio del procedimento di
screening nei confronti dei residenti nella
zona interessata dall’intervento, come tali
destinati a subirne gli effetti - non
diversamente però dalla collettività
indifferenziata degli abitanti del Comune;
non si tratta, infatti, né di destinatari
specifici del provvedimento emanando né di
soggetti di cui fosse obbligatoria la
consultazione (essendo previsti particolari
meccanismi di informazione e partecipazione
del pubblico interessato).
V.I.A. - Procedura di
screening - Omissione - Vizio di legittimità
- Accertamento giurisdizionale Travolgimento
di tutti gli atti che avrebbero dovuto
essere preceduti dallo screening -
Distinzione tra aspetti urbanistici e
aspetti ambientali - Artificiosità.
Allorché sia accertata la sussistenza di un
vizio di legittimità all’interno dell’iter
di un procedimento amministrativo, questo
investe non solo l’atto che direttamente lo
riguarda, ma anche tutti gli atti successivi
e consequenziali della sequenza
procedimentale, cosicché, in sede di
successiva rinnovazione degli atti, il
procedimento deve riprendere dal momento in
cui si era verificato il vizio accertato.
Con specifico riferimento all’omissione
della necessaria procedura di screening, il
conseguente vizio di legittimità travolge
tutti gli atti del procedimento che
avrebbero dovuto essere preceduti dallo
screening (approvazione del progetto e
conferenza di servizi all’uopo convocata).
Tale travolgimento, peraltro, non può che
essere integrale, non potendosi
artificiosamente scindersi tra aspetti
urbanistici e aspetti ambientali (a parte
l’opinabilità della distinzione e la sicura
interferenza reciproca tra i due profili)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.03.2009 n. 1213 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
V.I.A. - Approvazione di uno
strumento urbanistico attuativo -
Sottoposizione a V.I.A. - Esclusione.
L’approvazione di uno strumento urbanistico
attuativo, a differenza dell’approvazione di
un progetto di lavori per infrastrutture o
di uno degli interventi contemplati
dall’art. 1 della direttiva 85/337/CEE, non
richiede la verifica preliminare o la
valutazione dell’impatto sull’ambiente
(fattispecie relativa a variante di piano
particolareggiato con inserimento di una
centrale energetica in area già destinata a
verde pubblico) (TAR Marche, Sez. I,
sentenza 03.03.2009 n. 75 - link
a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Possesso “condizionato” o
“posteriore” di requisiti ed effetti ai fini
di gara.
Quando è
dimostrato in atti che un titolo o requisito
risulta acquisito dal concorrente, anche in
maniera condizionata, solo successivamente
all’apertura delle buste, sussiste la palese
violazione della regola secondo cui i
requisiti per l’attribuzione dei singoli
punteggi devono essere posseduti al momento
di presentazione della domanda.
Va respinta l’eccezione secondo cui il
ricorso è inammissibile quando proposto da
una sola delle imprese raggruppate in ATI,
posto che, nel caso in cui alla gara
partecipi una associazione temporanea,
ciascuno dei componenti è dotato di autonoma
legittimazione ad impugnare i provvedimenti
della relativa procedura
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2009 n. 33 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio: integrazione e
mancata presentazione dei documenti.
In materia di
integrazione documentale l'art. 39, comma 4,
della legge 724/1994 (“2° condono edilizio”)
ha disposto che la mancata presentazione dei
documenti, previsti per legge come
obbligatori, entro tre mesi dalla espressa
richiesta di integrazione notificata dal
Comune, comporta l'improcedibilità della
domanda e il conseguente diniego del condono
per carenza documentale.
La questione della documentazione da
presentare a corredo della domanda di
condono è particolarmente delicata, in
quanto si tratta di contemperare l'esigenza
di identificare l'opera ai fini del rilascio
del titolo di sanatoria, con quella di
evitare che attraverso la reiterata
richiesta di atti istruttori da parte
dell'amministrazione comunale, l'istanza
resti troppo tempo senza risposta.
Il titolo abilitativo in sanatoria è un atto
non perfettamente confrontabile con gli atti
abilitativi che il Comune rilascia in via
ordinaria per consentire trasformazioni
urbanistiche e edilizie. Ed è per questi
motivi che il legislatore ha indicato
analiticamente gli allegati a corredo della
domanda, che devono ritenersi necessari,
mentre altri eventuali atti istruttori non
possono considerarsi idonei ad interrompere
il termine per l'esame della domanda.
In relazione alle istanze di concessione in
sanatoria presentate in base alla legge n.
724/1994, l'art. 39, quarto comma, della
stessa L. n. 724/1994 prescrive che la
domanda deve essere corredata anche dalla “denuncia
in catasto”.
Se non viene dato seguito alla formale
richiesta di fornire la “prova
dell'avvenuta presentazione all'U.T.E. della
documentazione necessaria ai fini
dell'accatastamento” il Comune
legittimamente ritiene sussistente
l’improcedibilità della domanda e, dunque,
nega la sanatoria
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 17.12.2008 n. 2897 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
Non è
necessario rispettare le regole della gara
in materia di appalti nell’ipotesi in cui
concorrano i seguenti elementi:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita
sul soggetto aggiudicatario un “controllo
analogo” a quello esercitato sui propri
servizi;
b) il soggetto aggiudicatario svolge la
maggior parte della propria attività in
favore dell’ente pubblico di appartenenza.
La figura dell’in house providing si configura
come un modello eccezionale, i cui requisiti
vanno interpretati restrittivamente poiché
costituiscono una deroga alle regole
generali del diritto comunitario.
Per giustificare la deroga alle regole
europee di evidenza pubblica occorrono
maggiori strumenti di controllo da parte
dell’ente rispetto a quelli previsti dal
diritto civile. La giurisprudenza
comunitaria e nazionale li ha nel tempo
individuati affermando, in particolare, che:
- il consiglio di amministrazione della
società in house non deve avere rilevanti
poteri gestionali e l’ente pubblico deve
poter esercitare maggiori poteri rispetto a
quelli che il diritto societario riconosce
alla maggioranza sociale;
- l’impresa non deve aver “acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo” da parte dell’ente pubblico;
- le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell’ente
affidante;
- il controllo analogo si ritiene escluso
dalla semplice previsione nello statuto
della cedibilità delle quote a privati.
Come è noto,
l’espressione in house providing (usata per
la prima volta in sede comunitaria nel Libro
Bianco sugli appalti del 1998) identifica il
fenomeno di “autoproduzione” di beni,
servizi o lavori da parte della pubblica
amministrazione: ciò accade quando
quest’ultima acquisisce un bene o un
servizio attingendoli all’interno della
propria compagine organizzativa senza
ricorrere a terzi tramite gara e dunque al
mercato (cfr., in termini, la recente
decisione della VI Sezione di questo
Consiglio del 03.04.2007, n. 1514, su cui si
tornerà più avanti). Il modello si
contrappone a quello dell‘outsourcing,
o contracting out (la c.d.
esternalizzazione), in cui la sfera pubblica
si rivolge al privato, demandandogli il
compito di produrre e /o fornire i beni e
servizi necessari allo svolgimento della
funzione amministrativa.
La prima definizione giurisprudenziale della
figura è fornita dalla sentenza della Corte
di giustizia delle Comunità europee del
18.11.1999, causa C-107/98 – Teckal. In
quella sede –a estrema sintesi delle
considerazioni della Corte– si è affermato
che non è necessario rispettare le regole
della gara in materia di appalti
nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti
elementi:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita
sul soggetto aggiudicatario un “controllo
analogo” a quello esercitato sui propri
servizi;
b) il soggetto aggiudicatario svolge la
maggior parte della propria attività in
favore dell’ente pubblico di appartenenza.
In ragione del “controllo analogo” e della “destinazione
prevalente dell’attività”, l’ente in
house non può ritenersi “terzo”
rispetto all’amministrazione controllante ma
deve considerarsi come uno dei servizi
propri dell’amministrazione stessa: non è,
pertanto, necessario che l’amministrazione
ponga in essere procedure di evidenza
pubblica per l’affidamento di appalti di
lavori, servizi e forniture.
Questa Sezione condivide pienamente –come
già affermato nel precedente parere n.
3162/2006 (cfr. pure, in termini, la citata
decisione della VI Sezione n. 1514/2007)– le
affermazioni secondo le quali la figura
dell’in house providing si configura
come un modello eccezionale, i cui requisiti
vanno interpretati restrittivamente poiché
costituiscono una deroga alle regole
generali del diritto comunitario.
Ciò è stato chiarito con fermezza dalla
Corte di giustizia nelle sue successive
pronunce (cfr. le note sentenze 11.01.2005,
causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau, su
cui si tornerà più avanti per altri profili;
21.07.2005, causa C 231/03 - Corame;
13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen
GmbH; 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o
Commissione c/ Austria; 06.04.2006, causa
C-410/04 - ANAV c/ Comune di Bari;
11.05.2006, causa C-340/04 - Carbotermo;
18.01.2007, causa C-220/05 - Jean Auroux).
Il ridimensionamento dell’istituto è da
ricondursi anche a fenomeni di distorsione
nel ricorso a tale modello, del quale si
tende ad abusare attraverso il fenomeno
delle c.d. catene societarie e dei controlli
indiretti, nonché attraverso le attività
svolte nei confronti di terzi.
In particolare, la ricordata sentenza
Carbotermo dell’11.05.2006, causa C-340/04,
ha affermato che la partecipazione pubblica
totalitaria è necessaria, ma non
sufficiente. Difatti, per giustificare la
deroga alle regole europee di evidenza
pubblica occorrono maggiori strumenti di
controllo da parte dell’ente rispetto a
quelli previsti dal diritto civile. La
giurisprudenza comunitaria e nazionale li ha
nel tempo individuati affermando, in
particolare, che:
- il consiglio di amministrazione della
società in house non deve avere rilevanti
poteri gestionali e l’ente pubblico deve
poter esercitare maggiori poteri rispetto a
quelli che il diritto societario riconosce
alla maggioranza sociale;
- l’impresa non deve aver “acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo” da parte dell’ente pubblico
(tale vocazione risulterebbe, tra l’altro:
dall’ampliamento dell’oggetto sociale;
dall’apertura obbligatoria della società, a
breve termine, ad altri capitali;
dall’espansione territoriale dell’attività
della società a tutta l’Italia e all’estero:
cfr., in particolare, le già citate sentenze
13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen
GmbH e 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o
Commissione c/ Austria);
- le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell’ente
affidante (cfr. pure la decisione della V
sez. di questo Consiglio di Stato
08.01.2007, n. 5, che ha affermato che se il
consiglio di amministrazione ha poteri
ordinari non si può ritenere sussistere un “controllo
analogo”);
- il controllo analogo si ritiene escluso
dalla semplice previsione nello statuto
della cedibilità delle quote a privati (Tar
Puglia, 08.11.2006, n. 5197; Consiglio di
Stato, V sez., 30.08.2006, n. 5072).
La giurisprudenza ha anche chiarito che, in
astratto, è configurabile un “controllo
analogo” anche nel caso in cui il
pacchetto azionario non sia detenuto
direttamente dall’ente pubblico, ma
indirettamente mediante una società per
azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta
al 100% dall’ente medesimo. Tuttavia, una
tale forma di partecipazione “può, a
seconda delle circostanze del caso
specifico, indebolire il controllo
eventualmente esercitato
dall’amministrazione aggiudicatrice su una
società per azioni in forza della mera
partecipazione al suo capitale” (cfr. la
citata sentenza Carbotermo, 11.05.2006,
causa C-340/04). In tale ottica, la
partecipazione pubblica indiretta, anche se
totalitaria, è in astratto compatibile, ma
affievolisce comunque il controllo.
I principi giurisprudenziali sopra accennati
appaiono, ormai, largamente condivisi dalle
Corti Supreme nazionali, ivi compreso, come
si è detto, questo Consiglio di Stato, il
quale (sia nel parere n. 3162/2006 che nella
decisione della VI Sezione da ultimo citati)
ha anche rilevato che, nel nostro
ordinamento, una norma di carattere generale
era stata proposta nel primo schema del
codice dei contratti pubblici, ma non è
stata poi inserita nel testo finale del
d.lgs. n. 163 del 2006, a conferma della
volontà del legislatore di non generalizzare
il modello dell’in house a qualsiasi forma
di affidamento di servizi, di lavori, o di
forniture (la norma dell’originario schema
era l’art. 15, rubricata “Affidamenti in
house”, dal seguente testo: “Il
presente decreto non si applica
all’affidamento di servizi, lavori,
forniture a società per azioni il cui
capitale sia interamente posseduto da
un’amministrazione aggiudicatrice, a
condizione che quest’ultima eserciti sulla
società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la
società realizzi la parte più importante
della propria attività con l’amministrazione
aggiudicatrice.”; il codice, tuttavia,
ha conservato un riferimento generale alle
società miste all’art. 1, comma 2, e
all’art. 32: cfr. infra, il punto 7).
Questo Consiglio di Stato ritiene che
l’evoluzione giurisprudenziale consenta,
altresì, di escludere, in via generale, la
riconducibilità del modello organizzativo
della “società mista” a quello
dell’in house providing.
Tale riconducibilità, che in principio era
quantomeno dubbia (e molto si è discusso sul
punto: svariati autori, in dottrina,
propendevano per la soluzione affermativa e
ancora oggi vi sono discipline che
ricomprendono entrambe le situazioni: cfr.
l’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, di cui
si dirà infra, al punto 7.3), oggi può dirsi
ormai definita in senso negativo dalla
giurisprudenza –non risalente ma ormai
consolidata– della Corte di giustizia
europea, nelle decisioni in cui ha
progressivamente definito il concetto di
“controllo analogo”.
In particolare, ciò emerge dalla già
menzionata sentenza della Corte 11.01.2005,
causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau:
nel dare atto che, in quella controversia,
la Stadt Halle si era difesa proprio
sostenendo che si sarebbe trattato “di
un’«operazione di ‘in house providing’»,
alla quale non si applicherebbero le norme
comunitarie in materia di appalti pubblici”,
la Corte ha invece affermato che “la
partecipazione, anche minoritaria, di
un’impresa privata al capitale di una
società alla quale partecipi anche
l’amministrazione aggiudicatrice in
questione, esclude in ogni caso che tale
amministrazione possa esercitare sulla detta
società un controllo analogo a quello che
essa esercita sui propri servizi”.
L’opzione interpretativa è confermata, tra
le altre, dalla citata sentenza 06.04.2006,
causa C-410/04 - ANAV c/ Comune di Bari
–laddove afferma che “se la società
concessionaria è una società aperta, anche
solo in parte, al capitale privato, tale
circostanza impedisce di considerarla una
struttura di gestione «interna» di un
servizio pubblico nell’ambito dell’ente
pubblico che la detiene (v. già, in senso
analogo, anche la sentenza 21.07.2005, causa
C 231/03 - Corame)” –e in quella
18.01.2007, causa C-220/05 - Jean Auroux,
ove si afferma che “quanto dichiarato
dalla Corte nella sentenza Stadt Halle e RPL
Lochau, cit., con riferimento agli appalti
pubblici di servizi si applica anche con
riferimento agli appalti pubblici di lavori”.
In altri termini, la Corte di giustizia ha
ritenuto che qualsiasi investimento di
capitale privato in un’impresa obbedisca a
considerazioni proprie degli interessi
privati e persegua obiettivi di natura
differente rispetto a quelli
dell’amministrazione pubblica. Pertanto, in
sostanza, oggi si può parlare di società in
house soltanto se essa agisce come un vero e
proprio organo dell’amministrazione “dal
punto di vista sostantivo”, non
contaminato da alcun interesse privato.
Di tali conclusioni questo Consiglio di
Stato ha già preso atto quando, con la
decisione n. 1514/07 della VI Sezione, ha
affermato –con argomenti che questa Sezione
condivide pienamente– che, in un caso
diverso da quello ivi deciso (e definito con
la decisione n. 1513/2007), “la Sezione
ha ritenuto neanche configurabile
l’affidamento in house in considerazione
dell’assenza di una partecipazione pubblica
totalitaria all’epoca … degli affidamenti in
contestazione in quel procedimento.
L’assenza della partecipazione pubblica
totalitaria esclude, infatti, in radice la
possibilità di configurare il requisito del
controllo analogo, richiesto dalla
giurisprudenza comunitaria per gli
affidamenti in house.”.
Da ciò consegue –ad avviso del Collegio–
l’inutilità di ricercare, allo scopo di
giustificarne la compatibilità con la
disciplina europea, i (sempre più selettivi)
requisiti richiesti per l’in house
anche nel modello di parternariato
pubblico-privato “società mista” cui
si riconduce l’oggetto del quesito in esame.
La non riconducibilità alla figura dell’in
house non implica, di per sé, la
esclusione automatica della compatibilità
comunitaria della diversa figura della
società mista a partecipazione pubblica
maggioritaria in cui il socio privato sia
scelto con una procedura di evidenza
pubblica.
Su tale specifica modalità organizzativa,
infatti, non risulta che la Corte di
giustizia abbia ancora avuto modo di
pronunciarsi espressamente: anche nelle più
importanti sentenze in cui si tratta di
società miste (e in particolare la sentenza
11.01.2005, causa C-26/03 - Stadt Halle e
RPL Lochau, e la sentenza 13.10.2005, causa
C 458/03 - Parking Brixen GmbH), il privato
era stato individuato senza gara (cfr.
amplius infra, il punto 8.2.2).
Come è noto, il
modello delle “società miste” è presente da
tempo nel nostro ordinamento, ed è oggi
previsto in via generale dall’art. 113,
comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 267 del
2000 (testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali –
t.u.e.l.), introdotto dall’art. 14 del d.l.
30.09.2003, n. 269, come modificato dalla
relativa legge di conversione. Tale
previsione può essere assunta a paradigma
del modello anche ai fini della soluzione
del quesito in oggetto, che pure si
caratterizza per una disciplina ad hoc.
Sempre in via generale, il codice dei
contratti pubblici, se non prevede più una
generalizzazione del modello dell’in house a
qualsiasi forma di affidamento (come si è
detto retro, al punto 5.2), contiene invece,
all’art. 1, comma 2, una previsione di
carattere generale sulle società miste,
secondo la quale, “nei casi in cui le
norme vigenti consentono la costituzione di
società miste per la realizzazione e/o
gestione di un’opera pubblica o di un
servizio, la scelta del socio privato
avviene con procedure di evidenza pubblica”.
Anche in questo caso, la norma non intende
affermare la generale ammissibilità delle
società miste, che devono intendersi
consentite nei soli casi già previsti da una
disciplina speciale, nel rispetto del
principio di legalità: si codifica soltanto
il principio secondo il quale, in questi
casi, la scelta del socio deve comunque
avvenire “con procedure di evidenza
pubblica” (non necessariamente, quindi,
ai sensi della disciplina dello stesso
codice).
La figura delle società miste compare anche
nell’art. 32, al comma 1, lett. c), e al
comma 3 (tale ultima disposizione è stata
confermata nel testo definitivo nonostante i
rilievi di questo Consiglio di Stato
espressi nel parere della Sezione per gli
atti normativi n. 355/2006 del 06.02.2006,
relativo allo schema di codice dei contratti
pubblici: cfr. infra, il punto 8.4).
L’art. 113, comma 5, lett. b), del t.u.e.l.
dispone che l’erogazione dei servizi per la
gestione delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni patrimoniali “avviene
secondo le discipline di settore e nel
rispetto della normativa dell’Unione
europea, con conferimento della titolarità
del servizio …”, tra l’altro, “… b) a
società a capitale misto pubblico privato
nelle quali il socio privato venga scelto
attraverso l’espletamento di gare con
procedure ad evidenza pubblica che abbiano
dato garanzia di rispetto delle norme
interne e comunitarie in materia di
concorrenza secondo le linee di indirizzo
emanate dalle autorità competenti attraverso
provvedimenti o circolari specifiche”.
Tale norma costituisce, in qualche modo, il
paradigma del modello cui si ispira anche la
normativa speciale per il SIAN che è oggetto
del quesito in esame.
Lo stesso art. 113 prevede, nella distinta
lettera c), in alternativa al ricorso alla
società mista, il modello della società in
house a capitale interamente pubblico,
richiedendo solo per tale caso i requisiti
del “controllo analogo” e della “destinazione
prevalente dell’attività” in favore
dell’ente pubblico di appartenenza
identificati dalla sentenza Teckal. Ciò
sembra confermare quanto affermato retro (al
punto 5 e ai relativi sottopunti) a
proposito della differente disciplina dei
due modelli della società mista e della
società in house, anche con riguardo ai
requisiti richiesti dal diritto europeo.
La figura delle società a capitale misto è
stata configurata da autorevole dottrina
come una forma di “collaborazione tra
pubblica amministrazione e privati
imprenditori nella gestione di un pubblico
servizio”; tale figura, costituendo una
modalità organizzativa ulteriore per la
soddisfazione delle esigenze generali, rende
più flessibile la risposta istituzionale a
determinate esigenze e può risultare –se
ricondotta nei canoni del pieno rispetto dei
principi comunitari– di particolare
efficacia, almeno in certi casi (cfr., nello
stesso senso, il Libro Verde della
Commissione europea del 30.04.2004 e la
Risoluzione del Parlamento europeo del
26.10.2006, richiamati amplius infra,
al punto 8.5).
Inoltre, la necessità di una gara per la
scelta del socio –oltre a confermare
l’esclusione della riconducibilità alla
figura dell’in house– ha condotto a
ritenere non corretto annoverare tale figura
tipo di affidamento tra quelli “diretti”.
Tuttavia, la stessa dottrina –alla luce
dell’evoluzione in senso restrittivo della
giurisprudenza comunitaria– ha messo in
evidenza la debolezza della tesi della
equiparazione automatica fra la procedura di
scelta del socio e la gara per l’affidamento
del servizio. Pur riconoscendo la
funzionalità del modello, si afferma come ci
si trovi di fronte ad una “figura
peculiare che potrà presentare non pochi
problemi attuativi e che, per non essere
censurata, dovrà ricevere una applicazione
attenta”.
Sempre in relazione al modello generale, si
ricorda l’intervento dell’art 13 del d.l. n.
223 del 2006, convertito dalla legge n. 248
del 2006, il quale ha introdotto una
articolata disciplina che, in linea con i
più recenti orientamenti comunitari volti a
limitare l’in house providing, ma
anche in relativa autonomia da essi, mira a
evitare il fenomeno della c.d. cross
subsidization delle società pubbliche,
per cui esse operano al di fuori degli
ambiti territoriali di appartenenza,
acquisendo commesse da enti pubblici diversi
da quelli controllanti od affidanti i
contratti in house. In tale nuovo
regime il d.l. n. 223 del 2006 ha equiparato
i due diversi modelli delle società in house
e del partenariato pubblico-privato.
In particolare, si è disposto che le società
a capitale interamente pubblico o misto,
costituite o partecipate dalle
amministrazioni pubbliche regionali e locali
(non da quelle statali, come invece avviene
nel caso di specie) per la produzione di
beni e servizi strumentali all’attività di
tali enti in funzione della loro attività,
con esclusione dei servizi pubblici locali:
- devono operare esclusivamente con gli enti
costituenti o partecipanti o affidanti
(viene fissata, quindi, la regola
dell’esclusività, in luogo di quella della
prevalenza);
- non possono svolgere prestazioni a favore
di altri soggetti pubblici o privati, né in
affidamento diretto né con gara, e non
possono partecipare ad altre società o enti;
- sono ad oggetto sociale esclusivo
(l’oggetto sociale esclusivo –è stato
affermato– non sembra debba essere inteso
come divieto delle c.d. multiutilities, ma
appare preferibile ritenere che rafforzi
regola dell’esclusività evitando che dopo
affidamento la società possa andare a fare
altro).
In conclusione,
può affermarsi che il modello della “società
a capitale misto pubblico privato”
esiste –come distinto dall’in house–
nell’ordinamento nazionale, sia nella
disposizione generale dell’art. 113 t.u.e.l.
che in varie disposizioni speciali (come
quella per il SIAN nel caso di specie).
D’altro canto, però, tale disciplina è in
evoluzione, sia de iure condito (art.
1, comma 2, e art. 32 del d.lgs. n. 163 del
2006; art. 13 del d.l. n. 223 del 2006) che
de iure condendo (AS n. 772), poiché
continua a suscitare perplessità la piena
compatibilità di tale modello con il sistema
comunitario, alla stregua della recente e
rapida evoluzione giurisprudenziale (che
sembra ancora in corso) e stante l’assenza
di decisioni specifiche sul punto.
La Sezione –nei limiti del quesito in esame–
ritiene possibile affermare che tale
compatibilità possa essere rinvenuta, alla
stregua dei principi espressi, direttamente
o indirettamente, dalla Corte di giustizia,
quantomeno in un caso: quello in cui –avendo
riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e
privato e nel rispetto di specifiche
condizioni, di cui si dirà infra, al punto
8.3– non si possa configurare un “affidamento
diretto” alla società mista ma piuttosto
un “affidamento con procedura di evidenza
pubblica” dell’attività “operativa”
della società mista al partner privato,
tramite la stessa gara volta alla
individuazione di quest’ultimo.
In altri termini, in questo caso, indicato
di regola come quello del “socio di
lavoro”, “socio industriale” o “socio
operativo” (come contrapposti al “socio
finanziario”), questo Consiglio di Stato
ritiene che l’attività che si ritiene “affidata”
(senza gara) alla società mista sia, nella
sostanza, da ritenere affidata (con gara) al
partner privato scelto con una procedura di
evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al
tempo stesso, anche l’attribuzione dei suoi
compiti operativi e quella della qualità di
socio.
La peculiarità rispetto alle ordinarie
procedure di affidamento sembra allora
rinvenirsi, in questo caso, non tanto
nell’assenza di una procedura di evidenza
pubblica (che, come si è detto, esiste e
opera uno specifico riferimento all’attività
da svolgere) quanto nel tipo di controllo
dell’amministrazione appaltante sul privato
esecutore: non più l’ordinario “controllo
esterno” dell’amministrazione, secondo i
canoni usuali della vigilanza del
committente, ma un più pregnante “controllo
interno” del socio pubblico, laddove
esso si giustifichi in ragione di
particolari esigenze di interesse pubblico
(che nell’ordinamento italiano sono comunque
individuate dalla legge)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
parere 18.04.2007 n.
456). |
|
|