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AGGIORNAMENTO AL 29.09.2008 |
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dossier AFFIDAMENTO IN HOUSE |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità della
costituzione di società miste anche al di
fuori del settore dei servizi e sulla
necessità di indicare nella gara per la
selezione del socio privato i concreti
compiti operativi che la nuova società sarà
chiamata ad assolvere.
Il modello delle società miste è previsto in
via generale dall’art. 113, c. 5, lett. b),
d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato
dall’art. 14 d.l. n. 269 del 2003 e dalla
relativa legge di conversione, n. 326 del
2003, norme che, pur avendo attinenza ai
contratti degli enti locali, delineano un
completo paradigma, valido anche al di fuori
del settore dei servizi pubblici locali.
Tale modello vale anche al di fuori del
settore dei servizi come si evince dall’art.
1 c. 2 e dall’art. 32 del codice dei
contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006),
che contemplano il caso di società miste per
la realizzazione di lavori pubblici e per la
realizzazione e/o gestione di un’opera
pubblica. La condizione perché possa essere
ritenuto legittimo il ricorso alla scelta
del socio, al fine della costituzione di una
società che divenga affidataria
dell’esecuzione dell’opera senza necessità
di gara, è che, attraverso la procedura, non
si realizzi un affidamento diretto alla
società mista, ma piuttosto un affidamento
con procedura di evidenza pubblica
dell’attività operativa della società mista
al partner privato, tramite la stessa gara
volta all’individuazione di quest’ultimo. Il
modello, in altre parole, trae la propria
legittimità dalla circostanza che la gara ad
evidenza pubblica per la scelta del socio
privato abbia ad oggetto, al tempo stesso,
l’attribuzione dei compiti operativi e
quella della qualità di socio.
Nel caso di specie, la illegittimità della
procedura esperita da una società ad
integrale capitale pubblico locale,
proprietaria delle reti, impianti e
dotazioni per lo svolgimento del servizio
idrico integrato non risiede, pertanto, come
ritenuto dal primo giudice, nel "contrasto
della forma di società delineata con il
principio di nominatività e tassatività
degli istituti e degli strumenti
dell’ordinamento pubblico, anche di
derivazione comunitaria", che, invece,
conosce da tempo tale modulo operativo, ma
nella indeterminatezza dei compiti che la
nuova società sarà chiamata ad assolvere, in
definitiva nella mancata identificazione dei
concreti compiti operativi collegati
all’acquisto della qualità di socio. Gli
atti di gara, infatti, non identificano con
sufficiente precisione le opere oggetto
dell’appalto, limitandosi la stazione
appaltante a indicare gli importi e i costi
in termini di massima. La scelta del socio,
ancorché selezionato con gara, non avviene
dunque per finalità definite, ma solo al
fine della costituzione di una società
"generalista", alla quale affidare
l’esecuzione di lavori non ancora
identificati al momento della scelta stessa.
--------------------
(1) v., in senso conforme, parere del
C.d.S., sez. II, n. 456 del 18.04.2007
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.09.2008 n. 4603
- link a www.dirittodeiservizipubblici). |
APPALTI SERVIZI:
Sull’applicabilità del
divieto previsto dall’art. 13 del d. Bersani
per le società miste che hanno come oggetto
sociale esclusivo i servizi strumentali e
per quelle che hanno come oggetto sociale
sia servizi strumentali che servizi pubblici
locali.
Non possono partecipare alle gare per
l’individuazione del soggetto gestore del
servizio di distribuzione del gas le società
che gestiscono servizi pubblici locali in
virtù di affidamento diretto o di una
procedura non ad evidenza pubblica.
Le società miste che hanno per oggetto la
gestione dei servizi pubblici locali, pur
non rientrando in via diretta nell’ambito di
applicazione del secondo comma dell’art. 13,
d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n.
248/2006 devono avere oggetto sociale
esclusivo. Se, infatti, sono assoggettate a
tale prescrizione le società di cui al c. 1,
dell'art. 13 cit., ossia le società che
svolgono (attività di produzione di beni e)
servizi strumentali, le quali pertanto non
possono comprendere nel loro oggetto sociale
lo svolgimento di servizi pubblici locali,
ne deriva come conseguenza che anche le
società miste, le quali intendano dedicarsi
alla gestione di questi ultimi, devono
prevedere quale loro oggetto sociale
esclusivo la gestione dei servizi pubblici
locali. Pertanto, alle procedure di gara
pubbliche (indette da soggetti diversi da
«gli enti costituenti o partecipanti o
affidanti») non possono partecipare né le
società miste che hanno come oggetto sociale
(esclusivo) i servizi strumentali né le
società miste che hanno come oggetto sociale
sia servizi strumentali che servizi pubblici
locali, in quanto le società in questione
per il fatto della presenza di soggetti
pubblici nella struttura della
partecipazione societaria, sono in grado di
provocare quelle «alterazioni o distorsioni
della concorrenza e del mercato e di
(alterare) la parità degli operatori», che
le norme di cui all’art. 13, commi 1 e 2,
intendono evitare.
Ai sensi dell’art. 14, c. 5, del d.lgs. n.
164/2000, non possono partecipare alle gare
per l’individuazione del soggetto gestore
del servizio di distribuzione del gas le
società che gestiscono servizi pubblici
locali in virtù di affidamento diretto o di
una procedura non ad evidenza pubblica.
L’art. 14, c. 5, cit. –al pari dell’art. 13
del d.l. n. 223/2006- ha come finalità la
tutela della concorrenza, segnatamente nel
settore di mercato della distribuzione del
gas. Tale disposizione non detta
semplicemente una regola di disciplina del
procedimento di aggiudicazione del servizio,
ma -attraverso il divieto di partecipazione,
il quale è solo lo specifico mezzo formale
tipicamente idoneo ad assicurare il
risultato finale perseguito- vuole
conseguire l’effetto di evitare la
costituzione di posizioni dominanti da parte
di società che, beneficiando di affidamenti
senza gara, partono da una indubbia
posizione di vantaggio rispetto agli altri
soggetti economici.
La circostanza che, nel caso di specie, si
tratti di una procedura che si conclude con
la stipula di una concessione che ha per
oggetto sia la costruzione che la gestione,
non è decisiva poiché il risultato finale
cui si perviene è rappresentato
dall’affidamento del servizio a società che
gestisce servizi pubblici locali in virtù di
affidamenti diretti. Il che è in contrasto
con l’art. 14, c.5, del d.lgs. n. 164/2000
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 11.07.2008 n. 1371
- link a www.dirittodeiservizipubblici). |
dossier D.I.A. |
EDILIZIA PRIVATA:
La mancata asseverazione
circa il rispetto delle norme
igienico-sanitarie con consente di poter
iniziare i lavori con la D.I.A..
La DIA presentata dalla ricorrente nel
novembre 2003 non recava alcuna
asseverazione con riferimento al rispetto
delle norme igienico-sanitarie e, pertanto,
ai sensi dell'art. 23 del D.P.R. n.
380/2001, la denuncia di inizio attività,
decorsi i prescritti trenta giorni, non
poteva costituire titolo abilitativo per
l'esecuzione dei lavori di recupero del
sottotetto di che trattasi.
Il Collegio, pur avendo contezza di una
pronuncia ancora isolata del Consiglio di
Stato che attribuisce alla DIA valore
provvedimentale, continua ad accedere alla
tesi che si tratti di un atto del privato
che acquista efficacia in forza del decorso
del tempo sulla base di quanto previsto
dalla legislazione di rango primario (art.
19 della legge 241/1990, art. 23 del DPR
380/2001 ed art. 42 della L.R. n. 12/2005)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 05.09.2007 n. 5765). |
dossier D.U.R.C. |
APPALTI: E'
legittima la decisione di una stazione
appaltante di annullare l’aggiudicazione
dopo aver verificato che l’impresa aveva
sottaciuto l’esistenza di una procedura di
regolarizzazione contributiva.
In presenza di una clausola del bando di
gara che subordina la partecipazione alla
regolarità contributiva, la posizione del
partecipante che abbia in atto un
procedimento di regolarizzazione è legata
alla circostanza che "l’impresa abbia
sostenuto la propria offerta con una
documentata procedura di sanatoria relativa
agli adempimenti contributivi" (Cons.
Stato, Sez. IV, 30.01.2006, n. 288).
Pertanto, è legittima la decisione della
stazione appaltante di annullare
l’aggiudicazione una volta verificato che
l’impresa aveva sottaciuto l’esistenza di
una procedura di regolarizzazione, impedendo
ad essa, anche a garanzia della par
condicio, di valutarla ai fini
dell’ammissione
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 17.09.2008 n. 4386 -
link a www.mediagraphic.it). |
dossier RINNOVO/PROROGA CONTRATTI |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: S.
Lazzini, In tema di proroga e/o rinnovo di
un contratto di appalto.
In linea di principio, il rinnovo o la
proroga, al di fuori dei casi contemplati
dall'ordinamento, di un contratto d’appalto
di servizi o di forniture stipulato da
un’amministrazione pubblica da luogo a una
figura di trattativa privata non consentita
e legittima qualsiasi impresa del settore a
far valere dinanzi al giudice amministrativo
il suo interesse legittimo all’espletamento
di una gara.
L’art. 6, comma 1 della L. 24.12.1993, n.
537 dopo la modifica introdotta dall’art. 44
della L. 23.12.1994, n. 724, disponeva che ӏ
vietato il rinnovo tacito dei contratti
delle pubbliche amministrazioni per la
fornitura di beni e servizi, ivi compresi
quelli affidati in concessione a soggetti
iscritti in appositi albi. I contratti
stipulati in violazione del predetto divieto
sono nulli. Entro tre mesi dalla scadenza
dei contratti, le amministrazioni accertano
la sussistenza di ragioni di convenienza e
di pubblico interesse per la rinnovazione
dei contratti medesimi e, ove verificata
detta sussistenza, comunicano al contraente
la volontà di procedere alla rinnovazione”.
L’ultimo periodo del predetto comma è stato
poi soppresso dall’art. 23, comma 1, della
L. 18.04.2005, n. 62 (legge comunitaria
2004), mentre il successivo comma. 2 dello
stesso articolo ha consentito solo la
“proroga” dei contratti per acquisti e
forniture di beni e servizi “per il tempo
necessario alla stipula dei nuovi contratti
a seguito di espletamento di gare ad
evidenza pubblica a condizione che la
proroga non superi comunque i sei mesi e che
il bando di gara venga pubblicato entro e
non oltre novanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge”.
In tema di rinnovo o proroga dei contratti
pubblici di appalto non vi è alcuno spazio
per l’autonomia contrattuale delle parti, ma
vige il principio che, salvo espresse
previsioni dettate dalla legge in conformità
della normativa comunitaria,
l’amministrazione, una volta scaduto il
contratto, deve, qualora abbia ancora la
necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara
(salva la limitata proroga di cui sopra)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.07.2008 n. 3391 -
link a www.diritto.it). |
dossier TELEFONIA MOBILE |
EDILIZIA PRIVATA: L'installazione
di stazioni radio base per la telefonia
mobile sconta il pagamento del contributo di
costruzione.
L’installazione di stazioni radio base,
seppur soggetta al procedimento
autorizzatorio semplificato di cui al Codice
delle Comunicazioni, costituisce pur sempre
una attività edilizia che, laddove il Codice
non prevedesse alcunché, sarebbe
assoggettata al regime del permesso di
costruire e, conseguentemente, al pagamento
del contributo. Ne consegue che la
semplificazione prevista dal Codice delle
Comunicazioni opera esclusivamente sul piano
del procedimento, impedendo che
l’installazione delle stazioni radio base
possa essere assoggettata ad un procedimento
diverso e più gravoso rispetto a quello ivi
previsto, ma non comporta sic et simpliciter
che tale attività non possa essere
assoggettata al contributo che deve essere,
per legge, corrisposto per tutte le attività
edilizie per le quali è previsto il permesso
di costruire.
L’art. 93 del
Codice delle Comunicazioni, il quale prevede
che “le Pubbliche Amministrazioni, le
Regioni, le Province ed i Comuni non possono
imporre, per l’impianto di reti o per
l’esercizio dei servizi di comunicazione
elettronica, oneri o canoni che non siano
stabiliti per legge”, non fa altro che
prevedere una riserva di legge per la
imposizione di nuovi oneri o canoni. Ebbene,
sono appunto le leggi in materia edilizia
che subordinano le attività soggette a
permesso di costruire al contributo. In
altri termini: l’installazione di stazioni
radio base è subordinata al pagamento del
contributo in quanto rientra tra le attività
edilizie; dunque non vi è alcun contrasto
con la normativa di settore, né può
ritenersi che tale previsione comporti un
trattamento non uniforme o discriminatorio;
quello richiesto, infatti, non è un onere
ulteriore che colpisce specificatamente le
stazioni radio base, ma l’ordinario
contributo previsto per qualsiasi opera
edilizia. Quindi non vi è un “aggravio”
economico in capo al gestore della rete
radiomobile.
L’art. 86, comma 3 del Codice delle
Comunicazioni assimila le infrastrutture di
telecomunicazioni, ad ogni effetto, alle
opere di urbanizzazione primaria di cui
all’art. 16, comma 7, del T.U.
dell’edilizia, e l’art. 90 del codice le
qualifica come opere di pubblica utilità,
con conseguente esenzione dal contributo,
esenzione che discende altresì dall’art. 124
della L.R.T. n. 1/2005 e dall’art. 17 del
T.U. dell’Edilizia. Il richiamato art. 86
Codice delle Comunicazioni precisa, altresì,
che “ad esse si applica la normativa vigente
in materia”. Ebbene, la disciplina di
riferimento –per quanto attiene
l’esigibilità o meno del contributo di
costruzione per la realizzazione di opere di
urbanizzazione– è rappresentata, in primo
luogo, dall’art. 17 del T.U. dell’Edilizia
(n. 380/2001) il quale, al comma 3, prevede
espressamente che “il contributo di
costruzione non è dovuto: … c) per gli
impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti
nonché per le opere di urbanizzazione,
eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici”. Pertanto, la
richiamata disposizione subordina
esplicitamente l’esenzione dal contributo di
costruzione alla espressa previsione, negli
strumenti urbanistici, dell’opera di
urbanizzazione che il privato intende
realizzare. E’, pertanto, evidente come del
tutto inconferente sia il richiamo operato
dalla ricorrente al fine di sostenere
l’illegittimità della richiesta di pagamento
del costo di costruzione da parte del Comune
di Carrara, al ricordato art. 17 D.P.R.
380/2001, atteso che lo stesso, ben lungi
dal disporre l’esenzione in via
generalizzata per la realizzazione da parte
di privati di opere di urbanizzazione
primaria, viceversa la consente –solo e
soltanto– per la realizzazione di quelle
opere di urbanizzazione espressamente
indicate negli strumenti urbanistici.
Al di fuori delle ipotesi, da considerarsi
eccezionali, in cui l’esenzione è
espressamente prevista dalla legge –come si
è visto, qualora vi sia, in base alla legge
regionale toscana n. 1/2005, una convenzione
con il Comune, ovvero, per la normativa
statale di cui all’art. 17 del D.P.R.
380/2001, la previsione dell’opera negli
strumenti urbanistici– il pagamento del
contributo inerente al costo di costruzione,
anche qualora i privati realizzino opere di
urbanizzazione, è la regola generale
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 11.09.2008 n. 1950
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'annullamento
ministeriale della autorizzazione
paesaggistica e sul diritto dell'interessato
ad essere preventivamente avvisato
dell'avvio del procedimento relativo.
Ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990 e
del d.m. 13.06.1994 n. 495, deve ritenersi
sussistente il diritto dell'interessato ad
essere avvisato dell'avvio del procedimento
relativo all'adozione del provvedimento
ministeriale di annullamento delle
autorizzazioni paesaggistiche rilasciate ai
sensi dell'art. 7 l. n. 1497 del 1939, in
quanto è conforme al pubblico interesse che
l'amministrazione si pronunci sulla base di
ogni elemento fornito dall'interessato, il
quale può rappresentare all'organo statale
che, pur se l'autorizzazione è carente per
difetto di motivazione, non sussistono
ragioni sostanziali per disporne
l'annullamento.” (Consiglio Stato , sez. VI,
13.02.2001, n. 685).
Ciò perché, è stato ancora di recente
ribadito, con l'art. 4 regolamento n. 495
del 1994, il Ministero per i beni e per le
attività culturali si è autovincolato a dare
al soggetto autorizzato la comunicazione
dell'avviso dell'avvio della fase del
riesame, pur essendo sufficiente un
meccanismo (formula espressa apposta in
calce al documento comunicato
all'interessato o altro mezzo) che assicuri
il raggiungimento dello scopo ovvero la c.d.
conoscenza "aliunde" dell'inizio del
procedimento (Consiglio Stato , sez. VI,
22.09.2006, n. 5571).
Il decreto ministeriale in oggetto, secondo
l’avviso della giurisprudenza
amministrativa, ha infatti ribadito un
principio già desumibile alla stregua dei
canoni generali dell’ordinamento: si è
quindi in passato condivisibilmente rilevato
che “il procedimento di annullamento
dell'autorizzazione paesaggistica anche se
svolto in via di autotutela è soggetto alla
tutela garantistico-partecipativa di cui
alla l. n. 241 del 1990 (peraltro
espressamente stabilita nel d.m. n. 495 del
1994, di attuazione della predetta legge),
poiché, stante le caratteristiche
finalistiche di tale procedimento e le sue
potenziali (negative) influenze nell'ambito
degli interessi del privato destinatario del
provvedimento, è certamente necessario (in
attuazione delle finalità garantistiche
previste dalla legge) assicurare, attraverso
la preventiva comunicazione dell'avvio del
procedimento, la partecipazione di questi
per rappresentare e tutelare i propri
interessi. “ (Consiglio Stato, sez. VI,
23.11.2004, n. 7685).
Nell’ambito della propria discrezionalità
normativo/regolamentare, è stato ivi fissato
un termine a garanzia della effettività del
dispiegarsi dell’apporto
collaborativo/defensionale del privato.
Si può convenire, con la tesi
dell’Amministrazione appellante secondo cui
si è ivi individuato un arco temporale
massimo per la presentazione di memorie e
documenti, eventualmente suscettibile di
riduzione.
In tale senso, si è in passato espressa la
giurisprudenza, affermando che, in armonia
con il dettato testuale della disposizione,
“la previsione di un termine per memorie
e osservazioni al privato legittimato a
partecipare, pari a due terzi di quello
fissato per la durata del procedimento, non
esclude la possibilità dell'amministrazione
di definire il procedimento in un momento
anteriore alla scadenza.” (Consiglio
Stato, sez. VI, 21.09.1999, n. 1243).
E pur tuttavia,
affinché la previsione normativa in oggetto
si connoti di effettività, e non rimanga
vana espressione di un principio non
coniugato con le reali esigenze del privato,
ritiene il Collegio di potere affermare che
la “riduzione” di tale termine possa
avvenire unicamente nel rispetto di
particolari esigenze di urgenza che devono
essere puntualmente rappresentate
dall’amministrazione (e che devono
effettivamente ricorrere, è ovvio, sotto il
profilo oggettivo).
Del pari deve ritenersi che detto termine
non possa essere talmente ridotto da
risultare incongruo e non garantire la
possibilità per il privato destinatario del
provvedimento di controdedurre in fase
procedimentale, (come può altresì
argomentarsi dal disposto di cui all’art. 4
comma III del DM citato, di seguito
richiamato)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.09.2008 n. 4576
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
Impianti radioelettrici e disponibilità
giuridica ex art. 11 D.P.R. 06.06.2001 n.
380
(link a www.lexambiente.it). |
APPALTI:
PRINCIPALI NOVITA’ DEL TERZO DECRETO
CORRETTIVO
(link a www.mediagraphic.it). |
ENTI LOCALI: L.
Del Frate,
Analisi di sintesi della legge n. 133/2008
di conversione, con modificazioni, del
decreto legge n. 112/2008:
l’organizzazione, le procedure
amministrative e la gestione del personale
nelle amministrazioni pubbliche con
particolare riguardo alle autonomie locali
(link a www.noccioli.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva
(elemento oggettivo e soggettivo).
Può configurarsi una lottizzazione edilizia
anche nell'ipotesi in cui venga stipulato un
solo atto di trasferimento a più acquirenti,
i quali pervengano nella disponibilità e/o
nel godimento di quote di un terreno
indiviso e questo, anzi, è un meccanismo al
quale si è fatto frequentemente ricorso
proprio con l'intento fraudolento di
aggirare, attraverso una forma stipulatoria
mascherata il divieto di lottizzazione posto
dal legislatore.
L'art. 30, 2° comma, del T.U. n. 3802001
(con disposizione già posta dall'art. 18, 2°
comma, della legge n. 47/1985) prescrive, a
pena di nullità non sanabile, l'allegazione
del certificato di destinazione urbanistica
a tutti gli atti di: trasferimento o di
costituzione o scioglimento di diritti reali
relativi a terreni. Tale certificato, da
rilasciarsi su domanda dell'interessato,
contiene tutte le prescrizioni urbanistiche
che riguardano l'area cui si riferisce. E'
estremamente difficile ravvisare, pertanto,
una negoziazione inconsapevole ovvero un
errore incolpevole di fatto ai sensi
dell'art. 47 cod. pen.
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.09.2008 n. 36304 -
link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Pianificazione.
L'approvazione di interventi destinati a
creare nuovi insediamenti abitativi in una
zona per la quale P.R.G. subordina
l'attività edificatoria all'adozione di
Piani Particolareggiati ovvero di Piani di
Lottizzazione Convenzionati, in assenza dei
prescritti strumenti attuativi, rende
necessaria, ai fini della legittimità
dell'intervento, la prova rigorosa della
preesistenza e sufficienza delle opere di
urbanizzazione primaria, tali da rendere del
tutto superfluo lo strumento attuativo
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.09.2008 n. 35880 -
link a www.lexambiente.it). |
APPALTI: 1.
GARA D'APPALTO - DOCUMENTAZIONE DI GARA -
RICHIESTA DI REGOLARIZZAZIONE - SE DIRETTA
AD INTEGRARE DOCUMENTI RICHIESTI A PENA DI
ESCLUSIONE - ILLEGITTIMITA'.
2. GARA D'APPALTO - DOCUMENTAZIONE DI GARA -
RICHIESTA DI REGOLARIZZAZIONE - OBBLIGO PER
LA S.A. - NON SUSSISTE - NATURA FACOLTATIVA
- CARATTERI E LIMITI – INDIVIDUAZIONE.
1. La richiesta di regolarizzazione non può
essere formulata dalla stazione appaltante
se vale ad integrare documenti che in base a
previsioni univoche del bando o della
lettera di invito avrebbero dovuto essere
prodotti a pena di esclusione (cfr. ex
plurimis Cons. Stato, sez. V, 19.02.2008, n.
567; sez. IV, 11.05.2007, n. 2254).
2. L’amministrazione non ha l’obbligo di
invitare i concorrenti a regolarizzare la
documentazione esibita, ma ha soltanto la
facoltà, nell’ambito dei propri poteri
discrezionali, di rivolgere detto invito se
ritenuto confacente con l’irregolarità
riscontrata, con i tempi del procedimento e
nel rispetto del principio della parità di
trattamento (cfr. Cons. Stato, sez. V,
19.02.2008, n. 567; sez. IV, 11.05.2007, n.
2254).
In ordine alla facoltà di regolarizzazione:
- il mancato esercizio di tale facoltà è
insindacabile da parte del giudice
amministrativo;
- il suo esercizio in concreto non può
determinare una alterazione della par
condicio delle imprese, attraverso una
modifica dell’offerta incidente su elementi
o formalità essenziali della stessa;
- può riguardare solamente documenti già
presentati ma non dichiarazioni o
documentazioni omesse, trovando altresì un
limite temporale nel termine perentorio
individuato dal bando per la presentazione
delle offerte e del relativo corredo
documentale
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 17.09.2008 n. 4397 -
link a www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
rideterminazione del contributo di
costruzione in caso di variante essenziale.
Come chiarito in giurisprudenza (cfr.
C.d.S., V, 05.06.1997 n. 591) ai fini della
rideterminazione, o meno del contributo
urbanistico ex articolo 3 della legge.
28.01.1977 n. 10, il cui presupposto
imponibile si verifica in caso di variazione
essenziale al fabbricato assentito in
origine (ossia, nel caso in cui quest'ultimo
debba esser considerato un'opera nuova e
diversa), occorre far riferimento alla
definizione di "variazione essenziale"
recata dall'articolo 8 della legge
28.02.1985 n. 47, applicabile ad ogni
fattispecie, pur se precedente all'entrata
in vigore di essa, in mancanza di contraria
regolamentazione al riguardo.
La giurisprudenza ha altresì precisato che
l'entità del contributo dovuto per oneri di
urbanizzazione va determinata sulla scorta
della normativa e della regolamentazione
vigenti al momento del rilascio della
concessione edilizia, giacché il costo delle
opere di urbanizzazione da prendere in
considerazione ai fini della commisurazione
dei relativi oneri non può essere che quello
del momento in cui sorge l'obbligazione,
ossia in cui viene rilasciata la concessione
(cfr. TAR Emilia Romagna Parma, 09.02.1999
n. 81).
Inoltre, la corresponsione di un contributo
commisurato all'incidenza delle spese di
urbanizzazione e al costo di costruzione, è
dovuta anche in caso di interventi di
restauro, risanamento e ristrutturazione che
comportino aumento delle superfici,
mutamento delle destinazioni d'uso (cfr. TAR
Emilia Romagna, Bologna, I, 21.03.2008, n.
1109).
Ai fini della
riliquidazione degli oneri di
urbanizzazione, costituisce legittimo
presupposto la sussistenza di un eventuale
maggior carico urbanistico provocato
dall’intervento eseguito in un fabbricato
già autorizzato e in tale ambito non deve
tenersi conto esclusivamente di
ristrutturazioni generali e globali di un
edificio con necessari interventi esterni ed
interni, ma anche di ristrutturazioni che
comunque trasformino la realtà strutturale e
la fruibilità urbanistica dell’immobile.
Discende da questa chiara impostazione la
necessità, per tale tipologia di
ristrutturazioni, della sottoposizione delle
relative concessioni al pagamento dei
contributi riferiti all’avvenuta oggettiva
rivalutazione dell’immobile e funzionali a
sopportare il carico socio-economico che la
realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico (C.d.S. sez. IV 29.04.2004 n.
2611)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 11.09.2008 n. 3964
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: 1.
PROCEDURA NEGOZIATA - URGENZA -
PROVVEDIMENTO CAUTELARE DI SOSPENSIONE DELLA
GARA - ESIGENZA DI ASSICURARE LA CONTINUITÀ
DEL SERVIZIO - NON IMPUTABILITÀ STAZIONE
APPALTANTE - SUSSISTENZA - LEGITTIMITÀ -
FATTISPECIE.
2. GARA D'APPALTO - CRITERIO OFFERTA
ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA -
SPECIFICAZIONE CRITERI DI VALUTAZIONE - DOPO
L'APERTURA DELLE OFFERTE - ILLEGITTIMITÀ.
3. GARA D'APPALTO - VERBALI DI GARA -
CONTENUTO MINIMO - REQUISITI -
INDIVIDUAZIONE.
4. GARA D'APPALTO - CRITERIO OFFERTA
ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA - COMMISSIONE
GIUDICATRICE - PRINCIPIO DEL COLLEGIO
PERFETTO - PRESENZA DI MEMBRO ESPERTO CON
FUNZIONI DECISIONALI – LEGITTIMITÀ.
1.
La condizione ostativa delineata dall’art.
57, comma 2, lett. c), del d.lgs.
12.04.2006, n. 163, consistente nella non
imputabilità alla stazione appaltante delle
circostanze poste a fondamento della estrema
urgenza, debba interpretarsi, anche secondo
la giurisprudenza formatasi sulle analoghe
disposizioni limitative presenti nella
pregressa normativa (l'art. 41, lett. e),
r.d. 23.05.1924 n. 827) come non dipendenza
della situazione di urgenza da ritardi
commessi dalla stazione appaltante
nell’espletamento delle ordinarie procedure
di gara (TAR Lazio–Latina, 14.02.2006, n.
146; Consiglio di Stato, Sez. V, 16.11.2005,
n. 6392).
Versandosi, inoltre, in tema di appalti
pubblici di servizi può anche invocarsi come
ausilio interpretativo l’abrogata norma di
matrice comunitaria di cui all’art. 7, comma
2, lett. f), del d.lgs. 18.03.2005 n. 157,
di recepimento della Direttiva CEE n. 92/50
del Consiglio, secondo il quale l’urgenza
legittimante la trattativa privata deve
essere determinata da avvenimenti
imprevedibili per l’amministrazione
aggiudicatrice.
La sospensione della procedura di gara per
effetto di un provvedimento cautelare del
g.a. è da ritenersi evento suscettibile di
determinare una situazione di urgenza e di
eccezionalità tale da legittimare
l’attivazione di una procedura negoziata,
senza preliminare pubblicazione di un bando,
onde sopperire alle impellenti necessità di
interesse pubblico di assicurare la non
interruzione del servizio (1).
2.
E' illegittima la gara d'appalto per
l'aggiudicazione di un pubblico servizio
mediante licitazione privata con il metodo
dell'offerta economicamente più vantaggiosa
nella quale la commissione di gara, dopo la
conoscenza delle offerte, ha provveduto a
specificare i criteri di attribuzione del
punteggio riservato alla qualità
dell'offerta” (TAR Liguria, Sez. II,
24.04.2008, n. 760).
La commissione giudicatrice di una gara
pubblica può legittimamente apportare
elementi di specificazione dei criteri
generali stabiliti dal bando di gara o dalla
lettera di invito per la valutazione delle
offerte, attraverso la previsione di
sottovoci rispetto ai criteri già definiti,
ma solo ove ciò si fosse reso necessario per
una più esatta valutazione delle offerte
medesime e sempre prima dell'apertura delle
buste contenenti le offerte (cfr. Cons. di
Stato, Sez. V, 04.02.2003, n. 533;
23.07.2002 n. 4022; 26.01.2001 n. 264;
13.04.1999 n. 412; Cons. di Stato, Sez. VI,
20.12.1999 n. 2117; TRGA, Bolzano,
12.02.2003 n. 48; TAR Marche, 16.06.2003 n.
607; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2003 n.
5107).
L’attività illustrata posta in essere dalla
Commissione mediante specificazione dei
criteri di valutazione confligge dunque con
le statuizioni della giurisprudenza costante
che vieta la predisposizione di criteri o
sottocriteri valutazionali dopo l’apertura
delle buste inerenti anche la documentazione
tecnica (Consiglio di Stato, Sez. V,
12.06.2007, n. 3136), prescindendosi dalla
presa di contezza del contenuto delle
offerte tecniche in quanto “la
conoscenza, anche solo potenziale, delle
offerte costituisce infatti un dato di fatto
potenzialmente deviante in quanto mette in
condizione la commissione di plasmare i
criteri o parametri specificativi
adattandoli ai caratteri specifici delle
offerte, conosciute o conoscibili, sì da
sortire un effetto potenzialmente premiale
nei confronti di una o più imprese”
(Consiglio Stato, sez. VI, 20.12.1999, n.
2117; TAR Puglia–Lecce, II, 10.05.2006, n.
2439) essendo pertanto ostativa anche la
mera apertura delle buste contenenti le
offerte tecniche (TAR Campania-Napoli, Sez.
I, 31.01.2005, n. 575).
3.
La verbalizzazione delle attività
dell'organo amministrativo cui compete la
valutazione delle offerte nel corso di una
procedura di gara pubblica non può
prescindere dall'indicazione
dell'articolazione delle varie sedute,
dall'attestazione della regolare
composizione dell'organo in ciascuna di esse
e da una sufficiente descrizione delle
attività compiute, in misura direttamente
proporzionale all'ampiezza della
discrezionalità tecnica disponibile (TAR
Piemonte, Sez. II, 14.04.2003, n. 598).
4.
La Commissione di una gara d’appalto
costituisce collegio perfetto (Consiglio
Stato, Sez. V, 22.10.2007, n. 5502) e deve
quindi operare nel plenum dei suoi
componenti tutte le volte in cui esprime
attività discrezionale, quale quella
valutativa.
La presenza di un membro esperto, ancorché
non limitata a un apporto di mera consulenza
e assistenza non decisionale, non vulnera o
infirma, ma, semmai, corrobora lo spessore
di collegialità della valutazione
discrezionale e reca apporti di giudizio al
plenum, riuscendone anzi in definitiva
rafforzato il carattere di valutazione
congiunta e collettiva che sottende
l’operato di un plenum di soggetti
collegialmente operanti.
__________________
(1) Ha altresì osservato il collegio
torinese che "A seguito, infatti, del
giudicato cautelare, si è prodotta nella
vicenda amministrativa una situazione che
può essere assimilata all'ipotesi della
risoluzione del contratto per impossibilità
sopravvenuta della prestazione dipendente da
factum principis, quest’ultimo ravvisabile
nel dictum giurisdizionale. La fattispecie
presenta punti di contatto assai stretti con
il caso in cui venga interrotto un rapporto
contrattuale con l’appaltatore a causa di
una risoluzione o di una rescissione del
contratto. In quel caso, sussistendo le
ragioni di urgenza, da motivare
adeguatamente nella delibera,
l’Amministrazione poteva procedere per la
giurisprudenza a stipulare il contratto a
trattativa privata".
Si ricorda in proposito che anche il
Consiglio di Stato aveva in tali casi
statuito che “a seguito della rescissione
del contratto per inadempimento
dell'appaltatore, legittimamente
l'amministrazione motiva l'eccezionale
urgenza di procedere a trattativa privata
con la necessità di un intervento urgente
nell'imminenza della stagione invernale”
(Consiglio Stato, Sez. V, 11.06.2001, n.
3127).
Più in generale
si era precisato che “ai sensi del
combinato disposto degli art. 5 lett. d), e
9, l. 08.08.1977 n. 584, e degli art. 28
lett. d) e 29 comma 1, l.reg. Lomb.
12.09.1983 n. 70 è consentito procedere alla
trattativa privata quando sia necessario
affidare i lavori in seguito alla
rescissione del precedente contratto”
(TAR Lombardia-Brescia, 27.09.1996, n. 924)
(TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.09.2008 n. 1887 -
link a www.mediagraphic.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Ingiuria
dire al dipendente che non capisce nulla -
Il rapporto gerarchico deve indurre il
datore di lavoro a controllare le parole.
Apostrofare un
proprio dipendente con la frase “non capisci
un c…” può costare al datore di lavoro una
condanna per ingiuria
(Corte di cassazione, Sez. V penale,
sentenza 25.07.2008 n. 31388
- link a www.aziandalex.kataweb.it). |
APPALTI: S.
Lazzini, In tema di diritto di un’impresa,
una volta sanate le irregolarità
riscontrare, di essere invitata ad una
procedura ristretta di una Stazione
appaltante munita di un proprio sistema di
qualificazione degli imprenditori, fornitori
e prestatori di servizi ai sensi dell’art.
232 comma 1, d.lgs. n. 163/2006, che funge
da preselezione dei candidati alle gare da
essa indette, per i quali l’iscrizione in
tale sistema di qualificazione costituisce
una condizione preliminare per essere
destinatari dell’invito a partecipare.
Stante la normativa di l’art. 232, co. 2,
del d. dls. n. 163 del 2006 prevede che “gli
enti che istituiscono o gestiscono un
sistema di qualificazione provvedono
affinché gli operatori economici possano
chiedere in qualsiasi momento di essere
qualificati”, nel caso in cui un’impresa
non venga ammessa dalla Stazione Appaltante
a far parte dell’elenco dei fornitori in
ragione della presenza di una situazione
debitoria nei confronti dell’Agenzia delle
Entrate, non è automatico, una volta
dimostrata la regolarizzazione, che la
dichiarazione della società di aver sanato
la propria situazione debitoria –e anche i
certificati di regolarità fiscale dalla
stessa prodotti– possano avere un istantaneo
effetto di riqualificazione essendo all’uopo
necessario attivare il procedimento di
riqualificazione presso la Stazione
Appaltante medesima (Consiglio di Stato,
Sez. V, sentenza VI,
sentenza 11.07.2008 n. 3503 -
link a www.diritto.it). |
APPALTI: S.
Lazzini, L’impugnazione del bando o
dell’atto di esclusione diventa
improcedibile nel caso di mancata
impugnazione dell’aggiudicazione, in ragione
del carattere inoppugnabile del
provvedimento finale, attributivo dell’utilitas
all’aggiudicatario? Se i termini per il
ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva
non sono ancora scaduti, che cosa succede?
É inammissibile il ricorso avverso la sola
esclusione dalla gara, ovvero avverso la
sola aggiudicazione provvisoria, in quanto
si ritiene necessaria l’impugnativa autonoma
dell’aggiudicazione definitiva, visto che
quest’ultima non va considerata atto
meramente confermativo o esecutivo, ma
provvedimento che, anche quando recepisca i
risultati dell’aggiudicazione provvisoria,
comporta comunque una nuova ed autonoma
valutazione degli interessi pubblici
sottostanti. Nella specie, poiché il
provvedimento di aggiudicazione definitiva è
stato depositato, e, quindi, conosciuto in
data 18.03.2008, ne consegue che la
ricorrente, odierna appellante, è ancora in
termini per impugnare detto provvedimento e
che, quindi, occorre concederle il termine
di legge per la proposizione
dell’impugnativa tramite motivi aggiunti
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.07.2008 n. 3433 -
link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
edificio pubblico per il solo fatto che sia
stato costruito da più di 50 anni non può
ritenersi automaticamente vincolato.
La Soprintendenza regionale, nel momento in
cui nega il nulla osta, applicando
implicitamente gli artt. 4 e 1 della legge
1089/1939, o quelli analoghi del decreto
legislativo 490/1999, deve specificare quali
valori storici e/o artistici sono tutelati,
oltre alle ragioni concrete che rendono
l'intervento richiesto incompatibile con
detta tutela, poiché in astratto la legge
non esclude la possibilità di intervento
anche sui beni sottoposti a tutela, seppure
a determinate condizioni (v. artt. 18, 19 e
20, ora art. 23).
Non è
sufficiente per inibire qualunque intervento
l'appartenenza del bene ad uno dei soggetti
elencati nell'art. 5. L'indiscriminata
tutela renderebbe, infatti, oltremodo
difficile la gestione patrimoniale di beni
che non hanno alcuna rilevanza
storico-artistica. In ogni caso, a
prescindere da ogni altra considerazione, è
certo che qualunque vincolo ex art. 5 deve
esplicitare i motivi per i quali il bene è
riconducibile fra quelli per i quali l'art.
2 prescrive una specifica tutela. La
Soprintendenza, invece, nella fattispecie ha
omesso di indicare queste ragioni, assumendo
apoditticamente il diniego nel presupposto
che sussistesse una tutela desumendola
implicitamente dall'art. 5, senza alcuna
ricognizione della rilevanza dei beni alla
luce dell'art. 2
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
ordinanza 06.06.2002 n. 1165
e conferma TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 19.12.2002 n. 5276). |
AGGIORNAMENTO AL 25.09.2008 |
ã |
dossier RUMORE |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rumore
- Se il comune non ha provveduto alla
prescritta zonizzazione acustica, resta
preclusa l’operatività del criterio
“differenziale".
Come questa Sezione ha già avuto occasione
di rilevare (sent. 04/05/2005 n. 244 e la
recentissima 21/05/2008 n. 259), la
prevalente giurisprudenza è dell’avviso che,
nelle more della classificazione del
territorio comunale ai sensi dell’art. 6,
comma 1, lett. a) della L. n. 447 del 1995,
siano operativi i limiti c.d. “assoluti” di
rumorosità, ma non anche quelli c.d.
“differenziali” (v. TAR Puglia –LE- sez. I^,
13/06/2007 n. 2334; TAR Friuli V.G.
29/06/2005 n. 578; TAR Lombardia –MI- sez.
I^, 01/03/2004 n. 813; TAR Veneto, sez. III^,
31/03/2004 n. 847).
Alla base di tale indirizzo è l’univoca
formulazione dell’art. 8, comma 1, del
D.P.C.M. 14/11/1997, secondo cui: “In
attesa che i comuni provvedano agli
adempimenti previsti dall’art. 6, comma 1,
lett. a) della legge 26.10.1995 n. 447,
si applicano i limiti di cui all’art. 6,
comma 1, del decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 01.03.1991”.
Da tale norma si evince che, ove si fosse
voluto far sopravvivere integralmente il
regime transitorio di cui all’art. 6 del
decreto: primo comma relativo ai c.d. limiti
“assoluti” e secondo comma relativo ai c.d.
limiti “differenziali”, sarebbe stato
evidentemente necessario operare il rinvio
ad ambedue le fattispecie.
D’altra parte, non persuade la tesi
ministeriale (v. circolare Min. Ambiente e
Tutela del Territorio del 14/11/1997) che,
per giustificare il silenzio della norma,
adduce la diretta applicabilità dei limiti
“differenziali” perché ancorati, quanto al
loro ambito di riferimento, ad una
suddivisione del territorio (aree diverse da
quelle esclusivamente “industriali”) che si
ricaverebbe “ex se” dalla disciplina
urbanistica, si da non richiedere una
specifica norma che ne autorizzi
l’operatività “medio tempore”.
In realtà, già nella vigenza del D.P.C.M.
01/03/1991 i limiti “differenziali” erano
circoscritti alle zone non esclusivamente
industriali e, ciò nonostante, si era
avvertita la necessità di effettuarne un
esplicito richiamo al fine di garantirne
l’operatività fin dalla fase transitoria,
con la conseguenza che il rinvio operato al
solo primo comma dell’art. 6 depone
inequivocabilmente per una scelta normativa
che vuole ora subordinare l’applicabilità
del criterio “differenziale”
all’introduzione della disciplina a regime,
e cioè all’adozione del piano comunale di
zonizzazione acustica (v. TAR Emilia -
Romagna –PR- 21/05/2008 n. 259 cit.).
Pertanto, non avendo il Comune di Reggio
Emilia provveduto alla prescritta
zonizzazione acustica, resta preclusa, allo
stato, l’operatività del più vote citato
criterio “differenziale”, con conseguente
illegittimità dell’ordinanza impugnata
fondata sull’accertato superamento dei
limiti differenziali di immissioni acustiche
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 18.09.2008 n. 385
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
1. Poteri del Sindaco - Emissione di
Ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 - Sulla
base di un solo esposto - Legittimità.
2. Attività di somministrazione alimenti e
bevande - Senza fini di lucro - Rispetto dei
limiti di emissione acustica - Necessità.
1. E' legittima l'Ordinanza del Sindaco
emessa ex art. 9 L. n. 447/1995 anche se
adottata sulla base dell'esposto di una sola
famiglia (TAR Puglia, Lecce Sez. I, 08.06.2006, n. 3340 e Sez. I, 24.01.2006, n.
488, nelle quali si mette altresì in luce
come l'art. 9 della succitata legge è
l'ordinario rimedio in materia di
inquinamento acustico, non prevedendo la
citata legge altri strumenti a disposizione
delle Amministrazioni comunali).
2.
Il rispetto dei limiti differenziali di
immissione acustica riguarda tutte le
attività che, per le proprie intrinseche
caratteristiche e per la struttura
organizzativa necessaria al loro
svolgimento, sono idonee alla produzione di
immissioni sonore inquinanti, non rilevando
la natura di enti senza fine di lucro degli
stessi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
02.04.2008 n.
715). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Pianificazione acustica
- Affidamento - Tutela - E' ridotta -
Interessi protetti - Non sono recessivi -
Modifiche più restrittive - Legittimità.
In materia di pianificazione acustica la
tutela dell'affidamento è necessariamente
ridotta, in quanto gli interessi protetti
dalla normativa contro l'inquinamento
acustico, desumibili dall'art. 2, co. 1,
lett. a), L. 447/1995 -ossia tutela del
riposo e della salute, conservazione degli
ecosistemi, dei beni materiali, dei
monumenti, dell'ambiente abitativo e
dell'ambiente esterno- non sono recessivi
rispetto alle attività economiche, ma al
contrario il loro contenuto si espande per
effetto delle innovazioni
tecnico-scientifiche sopravvenute in grado
di definire e misurare più esattamente il
disturbo provocato dalle fonti di rumore.
L'esigenza di salvaguardare le attività
economiche già insediate sul territorio non
può quindi impedire modifiche più
restrittive alla zonizzazione acustica, ma è
un elemento da tenere in considerazione (in
particolare quando i gestori abbiano
eseguito degli interventi di mitigazione)
per graduare in concreto le misure di
bonifica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
02.04.2008 n.
348
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier TELEFONIA MOBILE |
EDILIZIA PRIVATA: I
comuni possono adottare un regolamento atto
ad assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti di
telefonia e minimizzare l’esposizione della
popolazione comunale ai campi
elettromagnetici. Tuttavia, il potere
regolamentare comunale non può implicare la
fissazione di limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici diversi da quelli stabiliti
dallo Stato.
La giurisprudenza ha chiarito che, ai sensi
dell’art. 8, comma 6, della legge quadro
sulla protezione dalle esposizioni ai campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici (l.
22-02-2001 n. 36), i comuni possono adottare
un regolamento atto ad assicurare il
corretto insediamento urbanistico e
territoriale degli impianti e minimizzare
l’esposizione della popolazione comunale ai
campi elettromagnetici. Tuttavia, il potere
regolamentare comunale non può implicare la
fissazione di limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici diversi da quelli stabiliti
dallo Stato, non rientrando tale potere
nell’ambito delle competenze comunali. Non
può, pertanto, l’ente locale, attraverso il
formale utilizzo degli strumenti di natura
edilizia-urbanistica, adottare misure
derogatorie ai predetti limiti di
esposizione fissati dallo Stato, quali ad
esempio il generalizzato divieto di
installazione delle stazioni radio-base per
la telefonia cellulare in tutte le zone
territoriali omogenee a destinazione
residenziale; ovvero introdurre misure che,
pur essendo tipicamente urbanistiche
(distanze, altezze, ecc.), non siano
funzionali al governo del territorio, quanto
piuttosto alla tutela della salute dai
rischi dell’elettromagnetismo (cfr. Cons.
Stato, VI, 15-06-2006, n. 3534; IV,
03-06-2002, n. 3095; TAR Abruzzo, Pescara,
03-04-2007, n. 376).
E’ stato, per l’effetto, affermato che il
potere conformativo di cui dispone
l’amministrazione comunale può essere
legittimamente esercitato alla duplice
condizione che:
a) per effetto dei criteri localizzativi
stabiliti dall’ente locale, non risulti
impedita in via generalizzata la possibilità
di installare gli impianti per la telefonia
su tutto il territorio comunale o su larga
parte di esso;
b) l’adozione delle norme sulla
localizzazione delle stazioni radio base
(finalizzate anche all’obiettivo della
minimizzazione della esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici) sia
preceduta da adeguata istruttoria implicante
necessariamente accertamenti
tecnico-scientifici e/o da valutazione dei
dati acquisiti.
Con riferimento al requisito sub a), deve
essere evidenziato che opera in materia la
regola generale secondo cui l’installazione
di una stazione radio base va considerata
quale infrastruttura, compatibile con
qualsiasi destinazione di zona (cfr. TAR
Calabria, Catanzaro, II, 17-04-2007, n.
330); la relativa installazione deve,
d’altra parte, ritenersi in generale
consentita sull’intero territorio comunale
in modo da poter realizzare una uniforme
copertura di tutta l’area comunale
interessata (cfr. Cons. Stato, VI,
28-03-2007, n. 1431).
Ai Comuni spetta, alla luce delle competenze
urbanistiche ed edilizie inerenti il governo
del territorio e tenuto conto della
competenza aggiuntiva e diversa relativa
alla minimizzazione del rischio per la
salute della popolazione, disciplinare con
regolamento la localizzazione ottimale degli
impianti di telecomunicazione, potendo
dettare regole diverse, rispetto a quelle
previste per la generalità degli altri
impianti, nella misura in cui esse siano
volte a contemperare ragionevolmente gli
opposti interessi coinvolti, senza violare i
valori di campo stabiliti dallo Stato e gli
obiettivi di qualità definiti dalle Regioni.
Di poi, i
regolamenti comunali di minimizzazione
devono limitarsi a dettare prescrizioni
urbanistico-edilizie di carattere
integrativo, volte ad imporre ubicazioni
specifiche o caratteristiche tecniche
determinate.
Sulla base di tali principi, la
giurisprudenza amministrativa ha chiarito i
contenuti regolamentari vietati, in quanto
esorbitanti dai limiti delle competenze
comunali, e quelli invece consentiti.
Tra i primi rientrano: l’introduzione di
deroghe generalizzate ai limiti di emissione
ed esposizione fissati dallo Stato;
l’individuazione di zone omogenee destinate
o meno ad accogliere gli impianti
elettromagnetici; la prescrizione di limiti
che ostacolino ingiustificatamente ed
arbitrariamente l’installazione degli
impianti e le relative infrastrutture.
E’, invece, consentita: l’indicazione di
accorgimenti tecnici particolari da adottare
nella realizzazione degli impianti, quali ad
esempio schermature idonee a neutralizzare o
ridurre l’emissione di onde
elettromagnetiche all’esterno; l’indicazione
di siti idonei, nel rispetto della
zonizzazione prevista dal piano regolatore
generale, tenuto conto dell’esigenza di
evitare l’esposizione di soggetti fragili
(bambini, anziani, ammalati) e di ridurre
l’impatto sul territorio dal punto di vista
urbanistico ed edilizio.
In particolare, è stato chiarito (cfr. Cons.
Stato, VI, 05-06-2006, n. 3332) che la
potestà assegnata al Comune dal richiamato
art. 8, comma sesto, può tradursi nella
introduzione di regole a tutela di zone e
beni di particolare pregio
paesistico/ambientale o storico/artistico
ovvero nella individuazione di siti che, per
destinazione d’uso e qualità degli utenti,
possano essere considerati sensibili alle
immissioni radioelettriche, ma non può
trasformarsi in limitazioni alla
localizzazione per intere ed estese porzioni
di territorio comunale.
Di conseguenza, non è compatibile con la
realizzazione del servizio imporre divieti
per zone omogenee e distanze fisse (Cons.
Stato, IV, 14-02-2005, n. 450); è
illegittima l’esclusione degli impianti per
intere zone omogenee del territorio (TAR
Campania, I, 22-12-2004, n. 19627), mentre
sono legittimi i divieti di localizzazione
in determinati ambiti del territorio (Cons.
Stato, VI, 05-12-2005, n. 6961).
Ancora, le misure distanziali sono state
ritenute legittime nella misura in cui sono
sufficientemente specifiche ed omogenee,
oltre che proporzionate e non irragionevoli,
configurandosi possibilità di deroga
unicamente quando il gestore dimostri la
impossibilità altrimenti di completare la
copertura della rete.
Venendo ora alla disamina della condizione
sub b) (necessità di adeguata istruttoria
tecnica), va rilevato che la giurisprudenza
ha avuto modo di evidenziare che i
regolamenti comunali, nell’adozione di
misure tese alla minimizzazione della
esposizione della popolazione, devono
suffragare le disposizioni da adeguata
istruttoria tecnica, che dia conto delle
ragioni per cui certe localizzazioni sono da
preferire ad altre e garantisca che tali
localizzazioni non impediscono in concreto
l’erogazione del servizio (cfr. TAR Puglia,
Lecce, II, 12-09-2006, n. 4412). In
particolare, vi è obbligo di effettuare
approfondimenti tecnico-scienifici in
funzione, non già della determinazione di
valori di campo diversi da quelli stabiliti
dalla normativa statale e di misure che
surrettiziamente afferiscono ai valori di
campo, ma della disciplina del corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti, anche considerando
l’obiettivo della minimizzazione della
esposizione ai campi elettromagnetici (cfr.
TAR Puglia, Lecce, II, 03-11-2006, n. 5142)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.08.2008 n. 2242
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA:
Autorizzazione
ambientale comunale - Annullamento -
Soprintendenza dei beni architettonici e del
paesaggio - Competenza - Sussistenza.
Sussiste la competenza della Soprintendenza
dei beni architettonici e del paesaggio,
organo periferico del Ministero dei BBAA, ad
adottare un provvedimento di annullamento di
un'autorizzazione ambientale comunale posto
che il medesimo non deve necessariamente
essere adottato a livello centrale, in
quanto, alla luce dei vari provvedimenti di
delega, risulta competente ad emanare un
siffatto atto il detto medesimo organo
periferico
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
11.04.2008 n.
367
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO: Progetti
interni, incentivi ridotti anche in Comune
(articolo
Il Sole 24 Ore del 22.09.2008
- link a rassegnastampa.formez.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
ENTI LOCALI: F.
Albo,
Gli incarichi di collaborazione nella
Pubblica Amministrazione dopo l’entrata in
vigore della legge n. 133/2008
(link a www.lexitalia.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
EDILIZIA PRIVATA: Ritenuto
in diritto:
Il comma 8 dell’art. 75 del D.Lgs. n.
163/2006 prevede che l’offerta è corredata,
a pena di esclusione, dall’impegno di un
fideiussore a rilasciare la garanzia
fideiussoria per l’esecuzione del contratto,
di cui all’articolo 113, qualora l’offerente
risultasse affidatario. L’impegno della
cauzione definitiva di cui all’articolo 75
del D.Lgs. n. 163/2006, ha la funzione di
garantire la stazione appaltante dalla
mancata esecuzione del contratto da parte
dell’aggiudicatario.
La cauzione, provvisoria e definitiva,
assolve pertanto sia una funzione
indennitaria, in quanto garantisce alla
stazione appaltante il risarcimento dei
danni cagionati dall’eventuale rifiuto
dell’impresa aggiudicataria di stipulare il
contratto, sia una funzione sanzionatoria,
in caso di inadempimenti procedimentali da
parte del concorrente in relazione alla
veridicità delle dichiarazioni fornite in
ordine al possesso dei requisiti di capacità
economico finanziaria e tecnico
organizzativa richiesti dal bando.
Nel caso di specie, l’Azienda sanitaria
Locale di Bari, ha previsto nella disciplina
di gara l’obbligo in capo agli offerenti di
fornire una garanzia fideiussoria di €
20.000,00, pari al due per cento del valore
dell’appalto, costituita nei modi di cui
all’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006. Non
sembra possibile, alla luce di detta norma
espressamente contenuta nella lex specialis,
da parte della stazione appaltante ammettere
al prosieguo della procedura il partecipante
che ha omesso di presentare l’impegno a
rilasciare la garanzia fideiussoria per
l’esecuzione del contratto, in quanto si
integrerebbe, altrimenti, una violazione del
principio della par condicio nei confronti
degli altri partecipanti che hanno
regolarmente provveduto, in applicazione
dell’art. 75, a presentare la dichiarazione
richiesta. Del resto, la norma di cui
all’articolo 8 del d.m. 21 settembre 1981
richiamata dal partecipante, è di rango
secondario e, pertanto, inidonea a derogare
ad una norma di legge prevista dal Codice
dei Contratti.
Per tale ragione, l’unica normativa
applicabile nel caso in esame è quella
dettata dall’articolo 75 del D.Lgs. n.
163/2006, il quale prescrive le
caratteristiche che la cauzione deve avere,
prevedendone le modalità di costituzione, la
natura bancaria ovvero assicurativa, la
legittimazione a rilasciarla, in capo agli
intermediari finanziari iscritti nell’elenco
speciale di cui all’articolo 107 del d.lgs.
n. 385/1993, che svolgono in via esclusiva o
prevalente attività di rilascio di garanzie,
a ciò autorizzati dal Ministero
dell’economia e delle finanze, nonché il
termine minimo di validità.
Nel dettare la menzionata disciplina della
cauzione, il legislatore non ha previsto
alcun regime di incompatibilità in relazione
all’eventualità che il soggetto che rilascia
la garanzia sia un istituto controllato dal
soggetto offerente al quale è conferita la
cauzione medesima.
Non appare in tal senso rinvenibile un
possibile pregiudizio nei confronti dalla
stazione appaltante o una possibile lesione
dei principi in materia di contratti
pubblici.
Peraltro, l’eventualità che la garanzia
venga rilasciata da un soggetto controllato
dall’istituto bancario partecipante non
sembra arrecare pregiudizio alla funzione
tipica che la cauzione è chiamata a
svolgere.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei
limiti di cui in motivazione, di comunicare
alle Parti interessate che:
1. la normativa applicabile è quella dettata
dall’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006,
così come prevista anche dalla lex specialis
di gara;
2. la disciplina di cui all’articolo 75 del
D.Lgs. n. 163/2006 non sembra precludere la
possibilità che la cauzione venga conferita
da un istituto bancario controllato dallo
stesso partecipante a cui è rilasciata la
garanzia medesima
(parere
12.06.2008 n. 186
- link a massimario.avlp.it). |
APPALTI SERVIZI: Ritenuto
in diritto:
Il caso in esame ha ad oggetto, come
descritto in narrativa, il ritiro della
procedura di gara -indetta con bando
pubblicato in data 03.08.2005– da parte
dell’amministrazione comunale al fine
valutare la possibilità di realizzare un
affidamento diretto in capo a due società
partecipate dal Comune del servizio di
gestione calore. Le motivazioni di detto
intendimento sono contenute nelle
deliberazioni n. 5 del 15.01.2008 e n. 203
del 04.12.2007 nelle quali viene evidenziato
che “appare confacente all’interesse
pubblico avvalersi del servizio di
teleriscaldamento fornito dalla società AMSP
Gestioni S.r.l., ai sensi dell’art. 113,
comma 5, lett. c) D.Lgs. n. 267/2000,
trattandosi di società a capitale
interamente pubblico del Comune di Seregno,
che realizza la parte più importante della
propria attività con l’Ente, che esercita
sulla medesima un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi”.
Orbene, la problematica posta all’attenzione
attiene alla possibilità per il Comune di
Seregno di procedere ad un affidamento
diretto, cd. affidamento in house, del
servizio di gestione calore sulla base
dell’art. 113, comma 5, lett. c) D.Lgs. n.
267/2000, il cui attuale testo, come
sostituito dall’articolo 14, comma 1,
lettera d), legge n. 326 del 2003, prevede
che “L’erogazione del servizio avviene
secondo le discipline di settore e nel
rispetto della normativa dell'Unione
europea, con conferimento della titolarità
del servizio: c) a società a capitale
interamente pubblico a condizione che l’ente
o gli enti pubblici titolari del capitale
sociale esercitino sulla società un
controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi e che la società realizzi la
parte più importante della propria attività
con l'ente o gli enti pubblici che la
controllano”.
In ordine all’affidamento di un servizio in
house è noto come la giurisprudenza, sia
comunitaria, sia nazionale, abbia più volte
sottolineato il carattere derogatorio,
eccezionale e transitorio rispetto
all’affidamento a soggetto esterno
all’amministrazione con procedura di
evidenza pubblica e che possa ritenersi
consentito solo in presenza di talune
specifiche condizioni.
Il Consiglio di Stato, recentemente, in
Adunanza Plenaria (C. di Stato, Ad. Plen.
del 03.03.2008, n. 1) ha sottolineato, alla
stregua della giurisprudenza comunitaria,
che un legittimo affidamento “in house”
possa aver luogo solo qualora l’ente
affidante eserciti sulla società affidataria
un controllo analogo a quello dallo stesso
esercitato sui propri servizi e la seconda
realizzi la parte più importante della
propria attività verso l’ente o gli enti che
la controllano (C. Giust. CE, 18.11.1999,
C-107/98, Teckal). Unicamente in presenza
degli elementi costituiti dal “controllo
analogo” e dalla “destinazione prevalente
dell’attività”, infatti, la società
affidataria può essere qualificata come una
longa manus dell’ente affidante, talché la
gestione dell’appalto o del servizio
pubblico ad essa affidato appare, in qualche
misura, riconducibile allo stesso ente
affidante ovvero ad una sua articolazione.
In questo quadro, il Consiglio di Stato ha
evidenziato anzitutto che la sussistenza del
“controllo analogo” è da ritenersi esclusa
in presenza di una compagine societaria
composta anche da capitale privato, dal
momento che la partecipazione, sia pure
minoritaria, di un’impresa privata al
capitale di una società, alla quale
partecipi anche l’amministrazione
aggiudicatrice, esclude in ogni caso che
tale amministrazione possa esercitare su
detta società un controllo assimilabile a
quello che essa svolge sui propri servizi
(cfr anche C. Giust. CE: sez. II,
19.04.2007, C-295/05, Asociacion de Empresas
Forestales c. Transformacion Agraria SA (TRASGA);
21.07.2005, C-231/03, Consorzio Corame;
11.01.2005, C-26/03, Stadt Halle Cons.
Stato, sez. V, 13.07.2006, n. 4440).
Nella sentenza viene, altresì, evidenziato
come la partecipazione pubblica totalitaria,
se necessaria, non è tuttavia sufficiente,
essendo altresì indispensabile la presenza
di taluni penetranti strumenti di controllo
da parte dell’ente, ulteriori rispetto a
quelli previsti dal diritto civile, così
sintetizzabili:
a) lo statuto della società non deve
consentire che una quota del capitale
sociale, anche minoritaria, possa essere
alienata a soggetti privati;
b) il consiglio di amministrazione della
società non deve avere rilevanti poteri
gestionali e all’ente pubblico controllante
deve essere consentito esercitare poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto
societario riconosce normalmente alla
maggioranza sociale;
c) l’impresa non deve avere acquisito una
vocazione commerciale che renda precario il
controllo dell’ente pubblico e che
risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento
dell’oggetto sociale; dall’apertura
obbligatoria della società, a breve termine,
ad altri capitali; dall’espansione
territoriale dell’attività della società a
tutta l’Italia e all’estero;
d) le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell'ente
affidante.
Dai documenti forniti dalla società istante,
nel corso dell’istruttoria, emerge che la
società AMSP Gestioni S.r.l., cui il Comune
di Seregno affiderebbe il servizio di
teleriscaldamento, ha previsto nel proprio
statuto all’art. 6 che possono partecipare
alla società in qualità di soci “altri
soggetti pubblici e privati individuati
dall’Assemblea dei soci con delibera
adottata con il voto favorevole dei due
terzi del capitale sociale”. Tale previsione
sembra confliggere con quanto evidenziato
dai sopra enunciati principi del Consiglio
di Stato, nonché quanto espresso in sede
comunitaria con la pronuncia “Parking Brixen”
del 13.10.2005, nel procedimento C-458/03,
che , per ciò che attiene al “controllo
analogo a quello esercitato sui propri
servizi” da parte degli enti pubblici
titolari del capitale sociale – ha osservato
che il possesso dell’intero capitale sociale
da parte dell’ente pubblico, pur
astrattamente idoneo a garantire il
controllo analogo a quello esercitato sui
servizi interni, perde tale qualità se lo
statuto della società consente che una quota
di esso, anche minoritaria, possa essere
alienata a terzi.
Ad ogni buon conto, spetta al Comune che è
in possesso di tutti gli elementi cognitivi
della fattispecie valutare se sia possibile
utilizzare lo strumento dell’affidamento
diretto, ai sensi dell’art. 113, comma 5,
lett. c) D.Lgs. n. 267/2000 che, come
esposto, può essere ammesso solo a
condizione che i sopra menzionati elementi
siano tutti presenti. Tali valutazioni
spettano propriamente alla sola stazione
appaltante, la quale è l’unica ad essere in
possesso di tutti gli elementi necessari per
poter effettuare le proprie valutazioni,
sulla base degli indirizzi dettati da questa
Autorità e dai recenti indirizzi
giurisprudenziali.
Per quanto poi concerne la possibilità per
il Comune di affidare il servizio sulla base
dell’art. 57, comma 2, lett. b) del D.Lgs.
163/2006, così come viene espresso nella
integrazione e conferma della deliberazione
n. 203 del 04.12.2007, si rileva come tale
possibilità sia strettamente prevista solo
“qualora, per ragioni di natura tecnica o
artistica ovvero attinenti alla tutela di
diritti esclusivi, il contratto possa essere
affidato unicamente ad un operatore
economico determinato”. Pertanto
l’amministrazione comunale potrà ricorrere a
tale procedura solo condizionatamente alla
sussistenza dei presupposti,
dettagliatamente indicati nella norma.
Infine non può non rilevarsi quanto
sollevato in corso di audizione circa
l’eccessiva dilatazione dei tempi della
stazione appaltante nell’adottare
determinazioni in merito alla procedura di
gara, che si pone in violazione con il
principio del giusto procedimento
amministrativo di cui alla L. n. 241/1990.
Detto comportamento dilatorio, induce
l’Autorità a ritenere opportuna l’esecuzione
di un’attività di monitoraggio sulle
decisioni che saranno adottate dalla Città
di Seregno per l’affidamento de quo.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, che:
- il Comune di Seregno potrà utilizzare
l’istituto previsto dall’art. 113, comma 5,
lett. c) D.Lgs. n. 267/2000 esclusivamente a
condizione che gli elementi sopra citati ed
indicati dalla giurisprudenza comunitaria e
nazionale ricorrano perfettamente;
- potrà essere adottata dal Comune la
procedura prevista dall’art. 57, comma 2,
lett. b) del D.Lgs. 163/2006, solo
condizionatamente alla sussistenza dei
presupposti, dettagliatamente indicati nella
norma medesima
(parere
12.06.2008 n. 185
- link a massimario.avlp.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ritenuto
in diritto:
Preliminarmente si fa presente che la
problematica sottoposta all’attenzione
dell’Autorità viene esaminata sotto il
profilo del rispetto della concorrenza nella
procedura di gara, non rientrando nella
ratio dell’istituto delle soluzioni delle
controversie insorte in sede di gara,
valutazioni di merito proprie del singolo
progettista ed attinenti alla sua
responsabilità specifica in sede di
progettazione.
In linea generale, per quanto attiene
all’individuazione delle categorie di
lavorazione presenti nell’appalto, si
richiama quanto disposto dall’articolo 73
del D.P.R. n. 554/1999, in base al quale nel
bando di gara deve essere indicata la
categoria prevalente, nonché tutte le parti,
appartenenti alle categorie generali o
specializzate di cui si compone l’opera, con
i relativi importi e categorie, nel caso in
cui dette parti siano di importo superiore
al dieci per cento dell’importo complessivo
dell’appalto o di importo superiore a
150.000 euro.
Come evidenziato dall’Autorità, nella
propria determinazione n. 25/2001, il bando
di gara deve indicare non soltanto l’importo
complessivo dell’intervento nonché la
categoria prevalente ed il suo specifico
importo, ma anche tutti gli eventuali
sottoinsiemi delle lavorazioni costituenti
l’intervento medesimo diverse da quelle
appartenenti alla categoria prevalente (cioè
le categorie scorporabili), specificando per
ogni sottoinsieme categoria ed importo,
soltanto però se per essi sussistano
entrambe le seguenti condizioni:
costituiscano un autonomo lavoro e siano di
importo superiore al 10% dell’importo
complessivo, oppure di importo superiore a
euro 150.000.
Inoltre, la categoria prevalente deve essere
una sola: quella di importo più elevato fra
quelle costituenti l’intervento e che,
pertanto, identifica i lavori da appaltare
(articolo 73, comma 1, del D.P.R. 554/1999).
L’importo delle lavorazioni comprese nella
categoria prevalente è residuale, nel senso
che è il risultato di una serie di
operazioni di scorporo, con le quali
dall’importo complessivo dell’intervento si
sottraggono via via gli importi delle
lavorazioni delle categorie scorporabili.
Nel caso di specie, secondo quanto
rappresentato dalla stazione appaltante,
l’esecuzione di opere afferenti la categoria
OG10 è marginale, essendo sotto Euro
150.000,00 ed inferiore al 10% dell’importo
complessivo dei lavori e, pertanto,
correttamente, in accordo con la normativa
vigente nonché con le indicazioni fornite da
questa Autorità, l’ATAC ha previsto, quale
attestazione di qualificazione, la categoria
OS27, Classe VI avente ad oggetto le
lavorazioni sugli impianti “per la trazione
elettrica di qualsiasi ferrovia,
metropolitana o linea tranviaria”.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, che
la documentazione di gara è conforme alla
normativa vigente di settore, nonché alle
indicazioni fornite da questa Autorità
(parere
12.06.2008 n. 184
- link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
L’art. 83, comma 4, del D.Lgs. n. 163/2006
dispone che “il bando per ciascun criterio
di valutazione prescelto prevede, ove
necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i
sub-punteggi. Ove la stazione appaltante non
sia in grado di stabilirli tramite la
propria organizzazione, provvede a nominare
uno o più esperti con il decreto o la
determina a contrarre, affidando ad essi
l’incarico di redigere i criteri, i pesi, i
punteggi e le relative specificazioni, che
verranno indicati nel bando di gara. La
commissione giudicatrice, prima
dell’apertura delle buste contenenti le
offerte, fissa in via generale i criteri
motivazionali cui si atterrà per attribuire
a ciascun criterio e subcriterio di
valutazione il punteggio tra il minimo e il
massimo prestabiliti dal bando.
Sulla base della sopra menzionata
previsione, nel caso in cui il bando di gara
non contenga i sub-criteri e i sub-pesi, la
commissione giudicatrice deve fissare gli
stessi ed in via generale i criteri
motivazionali cui si atterrà prima
dell’apertura delle buste contenenti le
offerte (sul punto cfr. parere dell’Autorità
n. 93 del 20.04.2008).
E’ possibile, pertanto per la Commissione di
gara fissare i sub criteri ed i sub punteggi
purché, come l’Autorità ha evidenziato con
il parere n. 119 del 22.11.2007, non siano
modificati i criteri di aggiudicazione
definiti nel capitolato d’oneri o nel bando
di gara, ovvero non siano aggiunti elementi
che, se fossero stati noti al momento della
preparazione delle offerte, avrebbero
influenzato la detta preparazione, ed infine
non vengano introdotti elementi che possono
avere un effetto discriminatorio nei
confronti di uno dei concorrenti.
Nel caso di specie, la Commissione di gara,
in presenza di un bando di gara privo
dell’indicazione dei sub criteri e dei
relativi sub punteggi, avrebbe dovuto, ai
sensi della sopra citata normativa,
comunicare i sub criteri adottati, prima
dell’apertura delle offerte. Viceversa, da
quanto descritto in narrativa, la
Commissione di gara sembra aver tenuto un
comportamento poco chiaro ed ambiguo, in
quanto non ha giustificato durante la prima
seduta pubblica, una volta per tutte, i sub
criteri ed i corrispondenti pesi, ma ha
adottato nuovi criteri in un secondo
momento, successivamente all’apertura delle
offerte. In tale maniera si è riservata
discrezionalmente il potere di quantificare
i sub punteggi con modalità e forme non
accompagnate da alcuna motivazione ed in
violazione della normativa di cui all’art.
83, comma 4, del D.Lgs. n. 163/2006.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che il
comportamento adottato dalla Commissione di
gara nella procedura in esame non sia
conforme alla normativa vigente di settore
(parere
12.06.2008 n. 183
- link a massimario.avlp.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ritenuto
in diritto:
Nel caso di specie l’impresa istante ha
esibito sia certificati di esecuzione lavori
nei quali si attesta l’esecuzione di lavori
caratterizzati da “analoga cronologia” sia
certificati lavori nei quali si attesta
l’esecuzione di lavori caratterizzati da
“comparabili condizioni geo-idrauliche”:
come correttamente ha rilevato l’impresa,
alla medesima può essere quindi imputata la
capacità tecnica di scavo nei siti che vanno
dall’età del bronzo a quella del ferro e la
tecnica di scavo in presenza di falda
acquifera, quali quelli in appalto.
La ratio sottesa alla disposizione di cui
all’articolo 253, comma 30 del d. Lgs. n.
163/2006, secondo la quale è facoltà delle
stazioni appaltanti “individuare, quale
ulteriore requisito di partecipazione,
l’avvenuta esecuzione nell’ultimo decennio,
di lavori nello specifico settore cui si
riferisce l’intervento, individuato in base
alla tipologia dell’opera oggetto di
appalto”, è quella di consentire alle S.A.
di selezionare concorrenti in possesso di
esperienza specifica, e cioè, nel caso in
esame, di saper eseguire scavi archeologici
nelle medesime condizioni di quelle dedotti
in appalto.
Quanto sopra, infatti, in applicazione del
principio di cui all’articolo 2, comma 1,
del d.Lgs. n. 163/2006, secondo il quale
l’esecuzione di opere e lavori pubblici deve
garantire la qualità delle prestazioni.
Al di là del profilo di interpretazione
letterale della citata clausola, occorre,
nella selezione dei concorrenti, seguire un
approccio sostanzialistico, comunque nel
rispetto della par condicio, e verificare se
gli stessi concorrenti, nel merito ed in
concreto, abbiano e dimostrino le prescritte
capacità.
Ove pertanto, l’impresa istante dimostri,
tramite certificati di esecuzione lavori,
l’esperienza pregressa in lavori di scavi
archeologici rivolti sia a situazioni di
analoga cronologia sia di comparabili
condizioni geo-idrauliche, per un importo
almeno pari al 70% di quello posto a base di
gara, può ritenersi in possesso della
necessaria qualificazione per la
partecipazione all’appalto.
In riferimento alla seconda eccezione, si
concorda con le considerazioni della S.A.
secondo le quali la clausola della
disciplina di gara relativa alle tariffe di
riferimento per i compensi degli archeologi,
è da intendersi come parametro di giudizio
ai fini del sub procedimento di verifica
dell’anomalia, piuttosto che come clausola
di esclusione e, pertanto, non si rilevano
profili di irregolarità.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei
limiti di cui in motivazione, che
l’esclusione dell’ATI Materazzo ing. Lucio
s.r.l./Edil Restauri Nu.sco.si s.r.l. non è
conforme alla normativa di settore
(parere
12.06.2008 n. 182
- link a massimario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
La regola della
pubblicità delle sedute si applica anche
nelle procedure di selezione del promotore
finanziario nelle procedure di project
financing.
Sulla competenza del consiglio di
amministrazione di una Unione di comuni in
ordine alla scelta della proposta fatta dal
promotore, che attiene ai poteri di gestione
amministrativa e non di indirizzo politico.
Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza del Consiglio di Stato il
principio di pubblicità delle sedute, nel
corso delle quali vengono svolti gli
adempimenti connessi alla verifica della
documentazione richiesta dalle regole di
gara ai fini della ammissibilità delle
offerte, si applica in qualunque tipo di
gara. Quanto all’applicabilità del principio
di pubblicità anche nelle procedure di
project financing, occorre rilevare che
l’art. 152 del codice dei contratti (d.lgs.
n. 163/2006) prevede che in tali procedure
«si applicano le disposizioni della parte I»
in cui rientra l’art. 2 che indica i
principi di trasparenza e di pubblicità come
principi assoluti dei procedimenti di
affidamento dei contratti pubblici. E’
chiaro che anche nelle procedure di
selezione del promotore finanziario (al pari
di quanto si afferma per le procedure in cui
il criterio di aggiudicazione è costituito
dall’offerta economicamente più vantaggiosa)
la regola della pubblicità delle sedute deve
trovare applicazione esclusivamente con
riguardo alla fase dell’ammissibilità delle
proposte. Mentre debbono svolgersi in forma
non pubblica le sedute in cui vengono
effettuate le valutazioni comparative della
qualità tecnica delle proposte presentate,
in ossequio al principio di imparzialità che
implica la sottrazione a pressioni esterne
della formazione e della manifestazione di
tali valutazioni. In questa fase potranno
aversi apporti dei partecipanti solo se
espressamente richiesti dall’amministrazione
aggiudicatrice.
Il consiglio di amministrazione dell’Unione
di comuni è competente in ordine alla scelta
della proposta fatta dal promotore, che
attiene ai poteri di gestione amministrativa
e non di indirizzo politico. L’art. 154 del
codice dei contratti individua nel
responsabile del procedimento l’organo
competente ad esprimersi sia sulla
fattibilità tecnico economica della proposta
sia sulla sua rispondenza al pubblico
interesse. In realtà, il responsabile del
procedimento, salvo che non rivesta
qualifica dirigenziale, non ha alcun potere
valutativo proprio, potendo espletare
soltanto incombenze istruttorie interne al
procedimento, restando, poi, il potere di
scelta finale affidato all’autorità
attributaria della correlativa potestà;
autorità da identificare in base alle
disposizioni che regolano, per ciascuna
amministrazione, il riparto di competenze
tra organi burocratici e organi di direzione
politica. Pertanto, mentre non sembra
possano sorgere dubbi sul fatto che spetti
al dirigente competente per settore
pronunciare sulla validità della proposta
dal punto di vista tecnico-economico,
problematico appare, invece, riconoscergli
il potere di valutarne la rispondenza al
pubblico interesse. Infatti, occorre
considerare che la proposta di project
financing viene ad integrare una scelta,
effettuata dall’amministrazione in sede di
programmazione, basata unicamente su
semplici studi di fattibilità. Gli esatti
contorni dell’opera da realizzare vengono
delineati, in tutti i suoi aspetti, soltanto
nella proposta fatta dal promotore, per cui
deve ritenersi che la valutazione sulla
conformità dell’intervento al pubblico
interesse spetti all’organo competente a
fissare, ai più alti livelli, gli
orientamenti fondamentali dell’ente.
Nell’ordinamento degli enti locali, l’art.
42, c. 2, lettera e), del d.lgs. 18.08.2000,
n. 267, attribuisce alla competenza del
Consiglio comunale l’affidamento dei
pubblici servizi. L’art. 32, disciplinando
le Unioni di comuni, riserva allo statuto la
individuazione degli organi dell’Unione,
secondo i principi previsti per
l’ordinamento dei comuni e dunque, in primo
luogo, adeguandosi al principio di
distinzione tra organi di indirizzo politico
e organi di gestione amministrativa,
finanziaria e tecnica (arg. art. 107 del
citato d.lgs. n. 167/2000). Alla luce delle
considerazioni svolte è da escludere,
pertanto, la possibilità di demandare
l’attività valutativa circa la rispondenza
della proposta all’interesse pubblico agli
organi di gestione amministrativa
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 18.09.2008 n. 1783
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Modifica
della destinazione d’uso.
In
ordine al mutamento di destinazione d'uso di
un immobile attraverso la realizzazione di
opere edilizie, effettuato dopo
l'ultimazione del fabbricato e durante lo
sua esistenza si configura in ogni caso
un'ipotesi di ristrutturazione edilizia
(secondo la definizione fornita dall'art. 3,
comma 1, lett. d) del T.U. n. 380/2001), in
quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di
modesta entità, porta pur sempre alla
creazione di un organismo edilizio in tutto
o in parte diverso dal precedente.
L'intervento rimane assoggettato, pertanto,
al previo rilascio del permesso di costruire
con pagamento del contributo di costruzione
dovuto per la diversa destinazione.
Non ha rilievo l'entità delle opere
eseguite, allorché si consideri che la
necessità del permesso di costruire permane
per gli interventi: di manutenzione
straordinaria, qualora comportino modifiche
delle destinazioni d'uso (art. 3, comma 1,
lett. b), T.U. 380/2001; di restauro e
risanamento conservativo, qualora comportino
il mutamento degli "elementi tipologici"
dell'edificio, cioè di quei caratteri non
soltanto architettonici ma anche funzionali
che ne consentano la qualificazione in base
alle tipologie edilizie (art. 3, comma 1,
lett. c, T.U. n. 380/2001)
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.09.2008 n. 35383 -
link a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Concorsi: illegittima
l'indizione di una nuova procedura selettiva
quando c'è una graduatoria ancora valida.
E' illegittimo, per contrasto con l'art. 3
della l. 241/1990 (il quale sancisce
l'obbligo della motivazione), il
provvedimento con cui l'Amministrazione
bandisce un nuovo concorso senza tener conto
del risultato di una precedente ed omologa
selezione e senza una motivazione in ordine
al mancato previo scorrimento della
precedente graduatoria ancora valida ed
efficace
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 15.09.2008 n. 4073 -
link a www.eius.it). |
APPALTI:
Le informative antimafia
devono essere aggiornate al venir meno delle
circostanze rilevanti ai fini
dell’accertamento dei tentativi di
infiltrazione mafiosa.
L’art. 10, c. 8, del DPR n. 252/1998,
prevede espressamente che l’esito delle
informazioni sia aggiornato, anche "sulla
documentata richiesta dell’interessato", "al
venir meno delle circostanze rilevanti ai
fini dell’accertamento dei tentativi di
infiltrazione mafiosa".
Ne consegue nel caso di specie che è
illegittima la conferma da parte del
Prefetto dell’originaria valutazione
espressa sul rischio di infiltrazione
mafiosa a carico di una società a fronte di
un accertamento del giudice penale che abbia
disposto l’archiviazione del procedimento
penale a carico dell’amministratore unico
della medesima società per il reato di cui
all’art. 416-bis CP. Il giudizio penale,
anche quando nettamente formulato in senso
contrario, non esclude che l’Amministrazione
possa individuare elementi di sospetto a
carico dell’interessato, tuttavia questa ha
il dovere, essendo il giudice penale signore
del fatto, di motivare con il massimo rigore
la sua valutazione sul pericolo di
condizionamento mafioso, il che non è
avvenuto nel caso di specie
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.09.2008 n. 4306
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: L'amministrazione
appaltante ha l’obbligo di notificare o
comunicare l’atto di aggiudicazione alle
imprese non aggiudicatarie partecipanti, le
quali, pertanto e pur quando non siano
specificamente individuate nell'atto stesso,
rientrano nella cerchia dei soggetti cui
quest'ultimo va notificato o comunicato ai
fini della decorrenza del termine
d'impugnazione.
La giurisprudenza ha di recente precisato
che “i concorrenti di una gara d'appalto
hanno la facoltà, ma non l'obbligo di
assistere alle operazioni di sorteggio, ne
consegue che l'indicazione nel bando di gara
dei giorni previsti per il sorteggio e per
l'apertura delle offerte non esclude il
dovere dell'amministrazione di comunicare la
richiesta dei documenti alle imprese
interessate le quali, fino a tale
comunicazione, non sono tenute ad assumere
iniziative per conoscere l'esito del
sorteggio” (TAR Campania Napoli, sez. I,
10.03.2005, n. 1707).
Un siffatto dovere di comunicazione va a
maggior ragione predicato con riguardo agli
esiti della gara negativi per i
partecipanti, e in special modo
relativamente ai provvedimenti espulsivi,
che determinano un arresto procedimentale
per il concorrente, mediante l’esclusione
dalla gara, arresto che per giurisprudenza
costante comporta correlativamente l’onere
di immediata impugnazione dell’esclusione,
non differibile alla fine della procedura
concorsuale.
Più in generale ricorda il Collegio che la
giurisprudenza è pure costante
nell’affermare che l’amministrazione ha
l’obbligo di notificare o comunicare l’atto
di aggiudicazione alle imprese non
aggiudicatarie partecipanti, le quali,
pertanto e pur quando non siano
specificamente individuate nell'atto stesso,
rientrano nella cerchia dei soggetti cui
quest'ultimo va notificato o comunicato ai
fini della decorrenza del termine
d'impugnazione (per tutte, Consiglio Stato,
Sez. V, 14.04.1997, n. 358).
Ne consegue che ove la s.a. ometta di
comunicare l’aggiudicazione alle imprese
partecipanti alla gara, il termine per
l’impugnazione della stessa decorre non
dalla pubblicazione del provvedimento agli
albi dell’amministrazione, bensì dalla piena
conoscenza del provvedimento di
aggiudicazione.
In linea generale rammenta ancora il
Collegio che la pubblicazione negli albi
della stazione appaltante è adempimento che,
per giurisprudenza pacifica e nota condivisa
dal Tribunale, produce la decorrenza del
termine solo per i soggetti non direttamente
contemplati nell’atto, il quale deve invece
essere comunicato sia a coloro che sono in
esso menzionati, sia a coloro che siano da
ritenere, in qualche modo, destinatari dello
stesso, tra cui rientrano i partecipanti ad
una gara; pertanto, nei confronti di tali
soggetti la pubblicazione dell’atto nelle
forme di rito non fa decorrere il termine
per l’impugnazione, occorrendo a tal fine la
notifica o comunicazione individuale ovvero
la prova dell’effettiva conoscenza( per
tutte, Consiglio di Stato, Sez. V,
09.06.2003, n. 3243; Consiglio di Stato,
Sez. V, 11.06.2001, n. 3131; Consiglio di
Stato, Sez. V, 24.03.2006, n. 1534)
Identici principi ritiene il Collegio a
fortiori doversi predicare relativamente al
provvedimento, ancor più lesivo che non un
provvedimento di aggiudicazione ad altro
concorrente, costituito dalla determinazione
di esclusione dalla gara, che è pertanto
impugnabile nel termine di sessanta giorni a
decorrere dalla sua comunicazione, ovvero,
in difetto della stessa, dalla sua piena ed
effettiva conoscenza
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.09.2008 n. 1886
- link a www.giurisprudenza.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Istanza di parte -
Comunicazione motivi ostativi
all'accoglimento ex art. 10 bis L. 241/1990
- Finalità - Fungibilità della stessa con
comunicazione verbale - Ove non contestata -
Configurabilità.
La comunicazione di cui all'art. 10-bis
della Legge n. 241/1990 rientra tra gli
strumenti partecipativi di attuazione dei
principi del giusto procedimento
amministrativo, ed il relativo scopo è
quello di consentire all'interessato di
interloquire con l'Amministrazione in ordine
alle possibili ragioni ostative, fornendo
elementi atti a superarle.
Ove l'Amministrazione abbia comunque
informato verbalmente i ricorrenti in ordine
ai motivi ostativi all'accoglimento
dell'istanza, ed ove detta circostanza non
venga contestata nei successivi scritti
difensivi, deve ritenersi che lo scopo della
norma risulta comunque essere stato
raggiunto, ossia porre l'interessato in
condizioni di offrire il proprio contributo
partecipativo prima della formale
conclusione del procedimento
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
29.05.2008 n.
589
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Assenza per malattia -
Allontanamento dalla propria residenza per
sottoposizione in altra città a cure mediche
- Mancata preventiva informativa al datore
di lavoro - Violazione dei doveri del
dipendente - Si configura.
La scelta di effettuare durante l'assenza
dal servizio per malattia cure mediche in
altra, distante, città, senza comunicare
all'Amministrazione datrice di lavoro il
nuovo recapito risulta comportamento non
conforme ai criteri enunciati dalla Corte
costituzionale con la già richiamata
sentenza n. 78/1988, ove è stato posto in
luce che "l'onere della reperibilità alla
visita medica di controllo, posto a carico
del lavoratore, è estrinsecazione della
doverosa cooperazione che egli deve prestare
affinché siano realizzate le condizioni
richieste per l'erogazione del trattamento
di malattia e non contrasta con la natura
pubblicistica del rapporto assicurativo,
tanto più che essa può essere fornita con un
minimo di diligenza e di disponibilità,
atteso l'ambito molto limitato delle fasce
orarie di reperibilità per cui non risulta
nemmeno gravoso o vessatorio".
In sostanza, simile comportamento non pare
inquadrabile nell'assenza per giustificato
motivo dal domicilio durante le fasce di
reperibilità, ma nella diversa, non
ammissibile, ipotesi del trasferimento
durante la malattia in altro domicilio non
comunicato all'Amministrazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
29.05.2008 n.
580
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
1. Imprese associate -
Ruolo operativo - Evitare aggiramento di
norme stabilite dal bando.
2. Art. 11 del D.Lgs. n. 157/1995 - Impresa
raggruppata - Compiti operativi - Finalità
3. Art. 16, D.Lgs. 157/1995 - Inosservanza di
adempimenti procedimentali - Omessa
produzione di documenti richiesti a pena di
esclusione - Elementi essenziali
dell'offerta - Non può essere utilizzato.
1. L'obbligo di cui all'art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 157/1995, di indicare quale parte del
servizio venga svolto da ciascuna delle
imprese associate, comporta che sia
assegnato un ruolo operativo a ciascuna di
esse, all'evidente scopo di evitare che le
imprese si avvalgano del raggruppamento non
per unire le rispettive disponibilità
tecniche e finanziarie, ma per aggirare le
norme di ammissione stabilite dal bando e
consentire così la partecipazione di
soggetti non qualificati, con effetti
negativi sull'interesse pubblico che il
servizio è destinato a soddisfare e che non
sempre è ristorabile mediante la garanzia
patrimoniale derivante dalla responsabilità
solidale delle imprese riunite (cfr. CdS V
19.01.1998 n. 84; id., 19.02.2003
n. 917; VI 03.07.2002 n. 3636).
2. La prescrizione di cui al secondo comma
dell'art. 11 del D.Lgs. n. 157/1995, a norma
della quale l'offerta di un raggruppamento
d'imprese di tipo verticale deve indicare ab
origine le "parti" del servizio che ciascuna
impresa assume direttamente a proprio
carico, intende assicurare che ciascuna
delle imprese raggruppate abbia a svolgere
compiti operativi, non potendosi ammettere
che nell'ambito del raggruppamento, una di
queste si limiti a contribuire al
raggiungimento del fatturato minimo
richiesto per la partecipazione alla gara,
senza assumere direttamente ed
immediatamente a proprio carico alcuna delle
prestazioni tecniche di cui si costituisce,
complessivamente, l'oggetto dell'appalto
(cfr. CdS VI 30.05.2003 n. 2989).
3. La norma di cui all'art. 16 del D.Lgs.
157/1995 non può essere utilizzata per
supplire all'inosservanza di adempimenti
procedimentali o all'omessa produzione di
documenti richiesti a pena di esclusione
dalla gara. Senza contare poi che l'istituto
della regolarizzazione non può operare per
sanare difetti riguardanti elementi
essenziali dell'offerta e presuppone inoltre
che vi sia "l'equivocità della clausola del
bando relativa alla dichiarazione o alla
documentazione da integrare o da chiarire"
(Cons. Stato, V, 16/07/2007 n. 4027)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
27.05.2008 n.
1836
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. Partecipazione alla gara -
Requisiti dimostrativi di qualità -
Discrezionalità della P.A. - Garanzia del
corretto espletamento.
2. Mancanza di un requisito sostanziale -
Impossibilità di aggiudicazione.
1. Rientra nella discrezionalità
dell'amministrazione di richiedere per la
partecipazione alle gare da essa indette i
requisiti dimostrativi delle qualità
ritenute necessarie per l'esecuzione dei
servizi da appaltare, a garanzia del loro
corretto espletamento da parte del soggetto
aggiudicatario (con particolare riferimento
alla certificazione ISO 9001 si vedano:
Cons. Stato, V, 7/04/2006 n. 1868; Cons.
Stato , sez. V, 1/06/ 2001 , n. 2973; TAR
Lazio, Roma, III, 19/06/2006 n. 4798; TAR
Puglia, Bari, sez. I, 19 agosto 2003 , n.
3062).
2.
La mancanza di un requisito di ordine
sostanziale richiesto dal bando è di per sé
tale da impedire, in radice, qualsiasi
possibilità di aggiudicazione (Cons. Stato,
V, 10/02/2004 n. 498)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
27.05.2008 n.
1835
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Aggiudicazione provvisoria - Termine per
l'impugnazione - Conoscenza
dell'aggiudicazione - Lettura della
graduatoria finale e indicazione della
concorrente vincitrice - Ditta lesa presente
alla seduta.
Aderendo alla linea interpretativa che
riconosce alla aggiudicazione provvisoria
una immediata portata lesiva per il
concorrente non aggiudicatario - è dalla
conoscenza dell'aggiudicazione al
controinteressato che deve farsi decorrere
il termine per l'impugnazione, che, nella
ipotesi in cui l'aggiudicazione provvisoria
è avvenuta in seduta pubblica, coincide,
temporalmente, con la data in cui è
avvenuta, pubblicamente, da parte del
Presidente dalla commissione giudicatrice,
la lettura della graduatoria finale e
l'indicazione della concorrente vincitrice,
ove la ditta lesa sia stata presente alla
seduta nella persona del socio
accomandatario, legale rappresentante della
società" (Cons. Stato, V, 06/10/2006 n.
5728)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
19.05.2008 n.
1773
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Assenza durante le fasce
di reperibilità - Impegno serio e
apprezzabile, incompatibile con il rispetto
delle fasce orarie.
L'assenza durante le fasce orarie di
reperibilità non è giustificata dalla
semplice necessità di doversi recare presso
strutture sanitarie per eseguire visite di
controllo o accertamenti diagnostici,
occorrendo altresì la prova rigorosa della
indifferibilità e dell'urgenza (Cass.
13.12.2005 n. 27429). L'impedimento non si
identifica esclusivamente con lo stato di
necessità o forza maggiore ma è necessaria
comunque la prova di un impegno serio e
apprezzabile, incompatibile con il rispetto
delle fasce orarie (Cass. 06.04.2006, n.
8012). Grava sul lavoratore la prova della
sussistenza di un impedimento oggettivo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
08.05.2008 n.
1456
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire -
Impugnazione da parte dei terzi - Decorrenza
del termine - Ultimazione dei lavori.
Al fine di determinare la tardività
dell'impugnazione da parte dei terzi del
permesso di costruire, il termine decorre
dalla piena conoscenza ovvero dalla
consapevolezza del contenuto specifico del
progetto edilizio. La prova della piena ed
effettiva conoscenza del titolo rilasciato
ad un terzo -da dimostrarsi in modo
rigoroso da chi eccepisce la tardività della
impugnazione- deve intendersi soddisfatta,
in assenza di inequivoci elementi di segno
contrario, non con il mero inizio dei
lavori, ma solo con la loro ultimazione o,
almeno, quando i lavori stessi siano giunti
ad uno stato di avanzamento tale che non
possa più aversi alcun dubbio in ordine alla
consistenza, alla entità e alla reale
portata dell'intervento edilizio assentito
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
07.05.2008 n.
489
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INCARICHI PROGETTUALI:
Appalto concorso - Libertà di progettazione
- Limite - Progetto-guida della P.A..
Con riferimento all'appalto concorso, la
libertà di progettazione per le imprese
concorrenti incontra un limite soltanto
nell'esigenza che le soluzioni proposte non
si discostino sensibilmente dall'idea
centrale del progetto-guida
dell'Amministrazione, o non portino ad
un'opera diversa da quella che si intende
realizzare (TAR Sicilia, Palermo,
07.08.1987, n. 507)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
05.05.2008 n.
1305
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Scelta del metodo
dell'aggiudicazione da parte della Stazione
appaltante - Censure - Partecipazione senza
riserve - Le preclude - Acquiescenza - Si
produce.
La partecipazione ad una trattativa privata
senza formulazione di alcuna riserva in
ordine all'impugnativa o di alcuna
contestazione circa la sua legittimità
costituisce comportamento acquiescente, in
quanto evidenzia in modo univoco la volontà
di accettare la tipologia di gara scelta
dall'amministrazione procedente: in tal caso
è consentito dedurre soltanto questioni
relative alla correttezza e alla legittimità
dell'iter procedurale concretamente seguito.
In buona sostanza la partecipazione, senza
specifica riserva, ad una trattativa privata
preclude l'incardinamento dell'interesse
alla caducazione della procedura per motivi
attinenti all'assenza delle condizioni per
avvalersi di tale metodo di contrattazione,
o al difetto di motivazione circa la scelta
di esso, atteso che con il proprio
comportamento l'impresa ha sostanzialmente
prestato acquiescenza al provvedimento di
indizione della gara e quindi all'operato "a
monte" dell'amministrazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
05.05.2008 n.
474
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piano integrato di recupero - Rigetto -
Delibera comunale - Legittimità.
E' legittima la delibera comunale di rigetto
del Piano integrato di recupero sia per il
contrasto del progetto proposto con le
caratteristiche delle edificazioni
circostanti sia per la mancanza della
documentazione che i programmi "devono"
contenere a norma dell'art. 3, comma 2, L.r.
n. 23/1990 (la norma citata lascia intendere
che la mancanza di taluno dei documenti
elencati è causa di rigetto della proposta
di intervento)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
21.04.2008 n.
1248
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Ricorso
amministrativo - Avverso PRG - disciplina
aree estranee a quelle di proprietà del
ricorrente - Inammissibilità - Sussistenza -
Incidenza su godimento o valore del fondo
del ricorrente - Ammissibilità -
Sussistenza.
2. PRG - Modifiche
in accoglimento delle osservazioni dei
privati - Onere di nuova pubblicazione - Non
sussistenza.
1. Sono inammissibili per carenza di
interesse le censure concernenti la
disciplina urbanistica di aree estranee a
quelle di proprietà del ricorrente. Poiché
tuttavia le prescrizioni dello strumento
urbanistico vanno considerate scindibili ai
fini del loro eventuale annullamento in sede
giurisdizionale, rimane salva la possibilità
di proporre impugnativa allorquando la nuova
destinazione urbanistica -pur concernendo
un'area non appartenente al ricorrente-
incide direttamente sul godimento o sul
valore di mercato dell'immobile di cui egli
è titolare, o comunque su interessi propri e
specifici del medesimo.
2.
Le modifiche apportate al piano regolatore
in accoglimento delle osservazioni dei
privati -a condizione che siano coerenti con
i criteri tecnico-discrezionali posti a
fondamento dello stesso strumento
urbanistico- non comportano, di regola,
l'obbligo di una seconda pubblicazione,
salvo casi particolari: questi sono
ravvisabili quando le variazioni introdotte
siano di entità tale da configurare una
nuova adozione dello strumento in itinere e
si tratti di modificazioni che producono una
profonda alterazione qualitativa o
quantitativa dell'insieme del piano adottato
e dei suoi criteri ispiratori, ovvero quando
l'osservazione accolta sia stata presentata
da soggetti diversi dai proprietari
dell'area sulla cui disciplina urbanistica
la modifica ha inciso al fine di consentire
loro di presentare memorie e osservazioni di
merito
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
16.04.2008 n.
380
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
PRG - Misure di
salvaguardia - Nozione - Inderogabilità -
Sussistenza.
E' illegittima la norma di piano che prevede
che rimangano applicabili le norme del piano
previgente alle pratiche edilizie per cui,
alla data di adozione del piano nuovo sia
intervenuto parere favorevole della
Commissione edilizia: l'art. 1 della l.
1902/1952, infatti, introdusse
nell'ordinamento dell'urbanistica le cd.
misure di salvaguardia, come istituto
facoltativo: si consentiva, in sintesi
estrema, al Sindaco di sospendere le
determinazioni sulle domande di concessione
edilizia in itinere le quali, pur conformi
al piano vigente, risultassero però in
contrasto con il piano adottato
successivamente. La logica dell'istituto è
ben chiara: si vuole evitare che
l'approvazione di un piano più restrittivo
rispetto alle possibilità di edificazione,
ad esempio per la sopravvenuta volontà
politica di salvaguardare una serie di aree
verdi, sia posto nel nulla del tutto
legittimamente da privati che nelle more
dell'approvazione ottengono di edificare in
conformità a precedenti norme più
permissive.
L'istituto come facoltà non
diede, per fatto notorio, buona prova, e
quindi si provvide, sia pure molti anni
dopo, a renderlo di applicazione necessaria
dapprima riguardo ai soli piani
particolareggiati, con l'art. 3 L.
1187/1968, e poi per gli strumenti generali,
con l'art. 4 della l. 291/1971. La norma in
esame deve quindi essere interpretata come
imperativa e inderogabile: se il legislatore
ha inteso correggere un sistema iniziale in
cui era in facoltà dell'ente locale
avvalersi della salvaguardia, è del tutto
impensabile che tale regime di facoltatività
possa rivivere per via indiretta, attraverso
una disposizione di piano che esenta in
sintesi dalla salvaguardia stessa le
pratiche per le quali sia stato ottenuto il
parere favorevole della commissione
edilizia, che è pacificamente atto endoprocedimentale
e non vale rilascio della concessione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
16.04.2008 n.
377
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Appalti sottosoglia -
Servizi educativi - Affidamento diretto - A
cooperativa sociale - Illegittimità.
Il modesto valore dell'appalto non è
sufficiente per consentirne l'indiscriminata
stipulazione mediante affidamento diretto.
E' noto infatti che l'affidamento diretto,
ovvero affidamento a trattativa privata pura
e semplice, è nel vigente ordinamento da
sempre istituto del tutto eccezionale,
secondo il principio espresso già dagli
artt. 37 e ss. del R.D. 827/1924, ed ora,
per gli appalti sottosoglia, di servizi
dall'art. 124 del d. lgs. 163/2006, che
impone come regola di assegnarli in seguito
a pubblica gara, ancorché con una procedura
semplificata rispetto agli appalti
soprasoglia. E ciò anche in caso di
affidamento a cooperativa sociale: l'art. 5
L. 381/1981, infatti, consente sì alle
pubbliche amministrazioni la stipula diretta
di convenzioni con le cooperative sociali
per importi sottosoglia, ma limitatamente
alla fornitura di beni o servizi diversi da
quelli sociosanitari ed educativi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
16.04.2008 n.
376
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Minimi retributivi
risultanti dai contratti collettivi -
Offerta inferiore - Requisito di ammissione
alla gara - Non rileva - Offerta
anormalmente bassa - Verifica - Necessità.
La semplice offerta di un costo orario
inferiore al parametro medio orario della
manodopera non può integrare "ex se"
violazione della prescrizione del Capitolato
speciale nella parte in cui richiede che
siano praticate "condizioni normative e
retributive non inferiori a quelle
risultanti dai contratti di lavoro e dagli
accordi locali integrativi degli stessi",
con conseguente carenza del relativo
requisito di ammissione alla gara. Il
possesso di tale requisito deve, invece,
essere verificato in relazione alla concreta
situazione della Cooperativa interessata,
posto che le Tabelle del costo orario
rappresentano infatti un parametro "medio"
e, di conseguenza, solo orientativo.
Ciononostante proprio anche sulla base di
tali Tabelle la valutazione di congruità
dell'offerta può (e deve) sempre essere
svolta dalla stazione appaltante quando,
sulla base di elementi specifici, essa
appaia anormalmente bassa (art. 86 comma 3
D.Lgs. n. 163/2006), con conseguente
necessità di avviare la verifica in
contraddittorio con l'offerente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
15.04.2008 n.
373
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Trattativa privata -
Precedente gestore - Omesso invito -
Motivazione - Non necessità.
L'orientamento giurisprudenziale che
riconosce una posizione qualificata, in capo
al precedente gestore del servizio, nel caso
di successivi affidamenti dello stesso
servizio attraverso procedure negoziate;
posizione che contiene la pretesa ad essere
ulteriormente invitato o comunque a
conoscere i motivi dell'omesso invito deve
essere rimeditato alla luce dell'art. 125
D.Lgs. 163/2006 e dei principi da esso
desumibili e genericamente applicabili alla
procedura negoziata, che prevedono, tra gli
altri, il criterio della "rotazione" tra gli
operatori economici in possesso dei
prescritti requisiti di idoneità e di
capacità tecnico-economico-professionale.
Ne consegue che, in forza dell'attuale
ordinamento, non può essere riconosciuta, in
capo al precedente gestore (specie se
affidatario a seguito di procedura
negoziata), alcuna pretesa qualificata ad
essere ulteriormente invitato alla
successiva procedura negoziata ovvero a
conoscere le ragioni dell'omesso invito. Va
invece affermato il principio opposto, ossia
che l'Amministrazione è tenuta a fornire una
congrua motivazione nel caso in cui ritenga
di estendere il nuovo invito anche al
precedente gestore
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
15.04.2008 n.
372
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto
stradale - Ratio - Sicurezza della
circolazione e possibilità di esecuzione
lavori - Edifici esistenti - Recupero - E'
ammissibile - Ristrutturazione integrale - E'
ammissibile - Ipotetici maggiori oneri
espropriativi - Sono irrilevanti.
La fascia di rispetto stradale si traduce in
un divieto di edificazione, che rende le
aree medesime legalmente inedificabili per
favorire la circolazione ed offrire idonee
garanzie di sicurezza a quanti transitano
sulle strade, passano nelle vicinanze od
abitano in esse, nonché per assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
dei materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limitazioni connesse alla
presenza di costruzioni, tuttavia, detto
divieto di edificazione non preclude, di
norma, il recupero di edifici esistenti
entro le fasce in oggetto.
Pertanto, in difetto di specifici divieti
stabiliti dalla disciplina edificatoria
comunale, il recupero può considerasi
ammissibile, anche eventualmente spinto ai
limiti estremi della ristrutturazione
integrale da cui deriva un edificio
completamente diverso, purché venga
accertato, in sede istruttoria, che il nuovo
edificio non rechi, rispetto alla situazione
preesistente, pregiudizi maggiori alle
esigenze di tutela sopra indicate senza che
il mero riferimento ad ipotetici maggiori
oneri di esproprio o di indennizzo in caso
di eventuali lavori di adeguamento della
sede viaria, non può considerarsi legittima
causa di diniego
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
07.04.2008 n.
357). |
APPALTI: Regolarità
contributiva: sostanza ed effetti.
La regolarità
contributiva - contrariamente a quanto
sostenuto dalla ricorrente - è requisito
indispensabile non solo per la stipulazione
del contratto, bensì per la stessa
partecipazione alla gara. Per conseguenza,
l'impresa deve essere in regola con i
relativi obblighi fin dalla presentazione
della domanda e conservare tale regolarità
per tutto lo svolgimento della procedura di
gara.
La cosiddetta correttezza contributiva non
costituisce un dato che possa essere
temporaneamente frazionato, in quanto
attiene alla diligente condotta dell'impresa
in riferimento a tutte le obbligazioni
contributive relative a periodi precedenti e
non solo, quindi, a quelle maturate nel
periodo in cui è stata espletata la gara.
La regolarità contributiva nei confronti
degli enti previdenziali costituisce,
infatti, indice rivelatore della correttezza
dell'impresa nei rapporti con le proprie
maestranze e deve, pertanto, poter essere
apprezzata in relazione ai periodi (anche
pregressi) durante i quali l'impresa stessa
era tenuta ad effettuare i relativi
versamenti
(TAR
Trentino Alto Adige–Trento,
sentenza 21.01.2008 n. 12 -
link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 22.09.2008 |
ã |
dossier BOX |
EDILIZIA PRIVATA:
Determinazione
del costo di costruzione - Superfici
destinate a parcheggio nella misura minima
imposta per legge - Non computabili a tali
fini.
Ai fini della determinazione del costo di
costruzione, le superfici destinate a
parcheggio, nella misura minima imposta
delle vigenti normative in materia, non sono
assoggettabili ai fini del calcolo del
predetto contributo (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, sentenza 14.10.1992 n. 987; TAR
Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza n.
1930/1997)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
23.04.2008 n.
1246). |
dossier D.I.A. |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di
inizio attività - Scadenza del termine -
Poteri comunali di vigilanza, sanzione ed
autotutela - Persistenza - Ratio normativa.
In caso di D.I.A., di cui all'art. 2, comma
60, Legge 662/1996, lo spirare del termine
di 20 giorni, fissato per riscontrare la
sussistenza delle condizioni legali
necessarie per intraprendere le attività
denunciate, non impedisce all'Autorità
Comunale di adottare, mediante intervento
analogo a quello esercitabile in sede di
autotutela, i provvedimenti inibitori del
caso a fronte di un intervento che contrasti
con la normativa urbanistica ed edilizia.
Ciò, poiché lo strumento della D.I.A. in
materia edilizia rientra nel più generale
istituto della "denuncia in luogo di
autorizzazione" (c.d. deregulation)
delineato dall'art. 19 Legge 241/1990, e che
l'art. 21, comma 2, Legge 241/1990 raccorda
la procedura della D.I.A. a tutto il sistema
sanzionatorio già operante, contemplando un
generale potere di intervento successivo
della P.A. per l'ipotesi in cui l'inizio
dell'attività ex art. 19 sia avvenuto in
contrasto con la normativa di legge
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.05.2008 n.
1802
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla natura della d.i.a. e
sull’obbligo di provvedere della PA.
Con la d.i.a. si costituisce
un’autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, suscettibile di
contestazione da parte del terzo entro
l’ordinario termine decadenziale, decorrente
dalla comunicazione del perfezionamento
della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del
consenso (implicito) all’intervento.
Conseguentemente, il ricorso avverso il
titolo abilitativi, così formatosi, concerne
non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell’Amministrazione, bensì direttamente l’assentibilità
o meno dell’intervento oggetto di d.i.a. (v.
Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550;
TAR Emilia-Romagna, Parma, 19.02.2008, n.
102).
Può, pertanto, affermarsi che Il TAR Parma,
sposando l’indirizzo interpretativo seguito
dalla VI Sezione del Consiglio di Stato (dec.
n. 1550/2007), supera il prevalente e
precedente indirizzo giurisprudenziale che
optava per la natura privatistica della Dia
e che escludeva che il terzo potesse seguire
la strada dell’impugnazione innanzi al TAR
della denuncia di inizio attività (ex multis,
cfr. Cons. Stato sez. IV n. 3916/2005; Cons.
Stato sez. V n. 948/2007) (TAR Emilia
Romagna–Parma, Sez. I,
sentenza 10.03.2008 n. 135 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla natura giuridica e diretta
impugnabilità della D.I.A..
La d.i.a. non è
uno strumento di liberalizzazione
dell’attività, come da molti sostenuto, ma
rappresenta una semplificazione
procedimentale, che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo a seguito
del decorso di un termine (30 giorni) dalla
presentazione della denuncia; la
liberalizzazione di determinate attività
economiche è cosa diversa e presuppone che
non sia necessaria la formazione di un
titolo abilitativo.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del
termine si forma una autorizzazione
implicita di natura provvedimentale, che può
essere contestata dal terzo entro
l’ordinario termine di decadenza di sessanta
giorni, decorrenti dalla comunicazione al
terzo del perfezionamento della d.i.a. o
dall’avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a. ha, quindi, ad
oggetto non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità,
o meno, dell’intervento.
Un sostegno in favore della diretta
impugnazione della d.i.a.. è stato fornito
dal legislatore, che ha modificato l’art.
19, della legge n. 241/1990 (con l’art. 3
del D.L. 14.03.2005 n. 35, convertito dalla
L. 14.05.2005 n. 80), prevedendo in
relazione alla d.i.a.. il potere
dell'amministrazione competente di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai
sensi degli articoli 21-quinquies e
21-nonies. Se è ammesso l’annullamento di
ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere
consentita l’azione di annullamento davanti
al giudice amministrativo
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.04.2007 n. 1550 -
link a www.altalex.com). |
dossier ESPROPRIAZIONE |
ESPROPRIAZIONE:
1. Giurisdizione e competenza -
Espropriazione per pubblica utilità -
Annullamento procedure ablative -
Conseguenze - Occupazione sine titulo -
Risarcimento danno - Giurisdizione G.A. -
Sussiste.
2. Espropriazione per pubblica utilità -
Fattispecie di occupazione sine titulo
sussistenti alla data di entrata in vigore
del D.P.R. n. 327/2001 - Art. 57 D.P.R. n.
327/2001 - Fasi fisiologiche del
procedimento espropriativo - Applicazione -
Art. 43 D.P.R. n. 327/2001 - Fasi
patologiche del procedimento espropriativo -
Applicazione.
3. Espropriazione per pubblica utilità -
Occupazioni d'urgenza - In assenza di
dichiarazione di pubblica utilità o con
decreto di esproprio ritenuto illegittimo -
Risarcimento danno - Spetta - Rimborso
valore venale - Spetta - Interessi moratori
- Spettano.
1. Compete al Giudice Amministrativo la
tutela risarcitoria correlata
all'annullamento delle procedure ablative
che abbia reso sine titulo l'occupazione dei
fondi utilizzati nell'esecuzione dell'opera
pubblica.
2. L'art. 57 D.P.R. 327/2001, riferendosi ai
«procedimenti in corso», ha previsto norme
transitorie unicamente per individuare
l'ambito di applicazione della riforma in
relazione alle diverse fasi "fisiologiche"
del procedimento, senza limitare, neanche
per implicito, l'ambito di applicazione
dell'art. 43, che, operando in situazioni
"patologiche" (scadenza del termine entro il
quale poteva essere emesso il decreto di
esproprio; annullamento di un atto del
procedimento ablatorio), è opposto a quello
delle norme che riguardano i «procedimenti
in corso». In altri termini, l'atto di
acquisizione - in quanto emesso ab externo
del procedimento espropriativo - non rientra
nell'ambito di operatività della normativa
transitoria di cui all'art. 57 (cfr. Cons.
di Stato, sent. n. 2582/2007).
3. In caso di decreto di occupazione
illegittimo, in base al quale sia stata
definitivamente sottratto un terreno, al
ricorrente spetta ex art. 43, comma 6, t.u.
327/2001, sia il risarcimento del danno
relativo al periodo di occupazione senza
titolo, sia l'importo corrispondente al
valore venale, con gli interessi moratori a
decorrere dal giorno in cui il terreno sia
stato occupato senza titolo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
05.05.2008 n.
1288
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Provvedimenti di reiterazione di
vincoli preordinati all'esproprio -
Motivazione in ordine all'attualità
dell'interesse pubblico da soddisfare -
Adempimento dell'obbligo di motivazione dei
provvedimenti - Sussiste.
L'obbligo di motivare i provvedimenti di
reiterazione di vincoli preordinati
all'esproprio deve ritenersi assolto con
l'indicazione di una motivazione in ordine
all'attualità dell'interesse pubblico da
soddisfare (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
18.04.2008 n.
1227
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier L.R. N. 12/2005 |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri concessori - Parificazione
degli oneri dovuti in relazione agli
interventi di ristrutturazione edilizia
mediante demolizione e ricostruzione con
quelli inerenti agli interventi edilizi di
nuova costruzione - Possibilità - Non
sussiste.
E' irragionevole la parificazione degli
oneri dovuti in relazione agli interventi di
ristrutturazione edilizia mediante
demolizione e ricostruzione, con quelli
dovuti in relazione agli interventi edilizi
di nuova costruzione, dal momento che nelle
aree in cui si intendono realizzare
interventi di nuova costruzione è necessario
prevedere la dotazione, ovvero il
potenziamento (ove già esistenti), delle
opere di urbanizzazione primaria e
secondaria a servizio delle opere edilizie
prima non esistenti, al contrario dei casi
di ristrutturazione edilizia (anche previa
demolizione), in cui si tratta di interventi
su una volumetria comunque già presente
nell'area interessata e già dotata (si
suppone) delle relative opere di
urbanizzazione. Né a favore di tale
parificazione può essere invocato il
disposto del comma 10 dell'art. 44 della L.R.
n. 12/2005, il quale sebbene preveda che per
gli interventi di ristrutturazione non
comportanti demolizione e ricostruzione
"gli oneri di urbanizzazione, se dovuti,
sono quelli riguardanti gli interventi di
nuova costruzione, ridotti della metà",
non consente tuttavia di accomunare nel
medesimo regime tariffario le opere di
ristrutturazione previa demolizione a quelle
di nuova costruzione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
08.04.2008 n.
928
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier TELEFONIA MOBILE |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla competenza comunale ad
emanare norme sulla localizzazione delle
antenne di telefonia mobile.
Anche ammettendo che l'assimilazione delle
stazioni radio base di telefonia mobile alle
opere di urbanizzazione primaria non
precluda ai comuni, nell'esercizio del
potere di pianificazione urbanistica (ex art
8, co. 6, legge n. 36/2001), di prevedere la
localizzazione delle antenne in determinati
ambiti di territorio (così: Cons. St., VI,
6961/2005), tale potestà incontra pur sempre
il limite costituito dall’interesse, di
rilievo nazionale, secondo cui dev’essere
comunque assicurata una capillare ed
effettiva distribuzione del servizio
mediante uniforme copertura, con idoneo
segnale, di tutte le zone del territorio
comunale (così, ancora: Cons. St., VI,
6961/2005).
Circa l’estensione ed il contenuto della
potestà dei comuni di regolamentare il
corretto insediamento sul territorio degli
impianti di telecomunicazione, in relazione
alla sfera di attribuzioni ad essi
riconosciuta dall'art. 8, comma sesto, della
legge n. 36/2001 e, nell’ordinamento
trentino, dal citato art. 3-bis del DPGP
13-31/2000, la giurisprudenza -condivisa dal
Collegio- afferma che i criteri di
localizzazione degli impianti non possano
trasformarsi in eccessive limitazioni al
loro insediamento, così da configurarsi
incompatibili con la possibilità di
realizzare una rete completa di
infrastrutture per la telecomunicazione
(così: Corte Costituzionale, n. 331/2003;
id., n. 307/2003). In altri termini, i
Comuni hanno il potere di introdurre criteri
generali limitativi ma non anche restrittive
limitazioni alla localizzazione.
Inoltre, se i
Comuni hanno competenza ad emanare norme
regolamentari con valenza
urbanistico-edilizia, non possono
ammettersi, invece, norme regolamentari che
abbiano esclusivamente valenza
radioprotezionistica. Infatti, per essere
legittimo il potere comunale non può
interferire con quello riservato allo Stato
che fissa i limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici, nel presupposto
indefettibile che la tutela della salute è
un’esigenza indeclinabile, ma di carattere
essenzialmente unitario sul territorio
nazionale.
Se così è, il divieto generalizzato di
installare le stazioni radio base per la
telefonia cellulare in tutte le zone
comunali –ad esclusione di due soli siti
(salvo quelli preesistenti), com’è previsto
dal controverso programma comunale di
localizzazione del Comune di Mori- ha lo
stesso (surrettizio) effetto di sovrapporre
una determinazione cautelativa, ispirata al
principio di precauzione, alla normativa
statale che ha fissato i limiti di
radiofrequenza, di fatto eludendo tale
normativa (cfr.: Tar Veneto, 347/2002; Cons.
St., VI, n. 7274/2002; id., n. 3095/2002).
Peraltro, nell’attuale sistema tecnico di
telefonia cellulare l’auspicabile bassa
potenza di emissione degli impianti
presuppone un’adeguata ed uniforme
distribuzione delle antenne sul territorio
da servire, mentre la marginalizzazione
degli impianti costringe i gestori del
servizio ad elevare la potenza dei segnali
irradiati per illuminare le zone più remote,
con effetti paradossalmente opposti agli
interessi alla tutela della salute da
un’elevata irradiazione e sottesi alla
riduzione degli spazi utili per
l’installazione degli impianti
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 10.09.2008 n. 229 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione dell'antenna di
una stazione radioelettrica non costituisce
trasformazione del territorio comunale agli
effetti delle leggi urbanistiche, sicché non
necessita di concessione o autorizzazione
edilizia.
L'installazione dell'antenna di una stazione
radioelettrica non costituisce
trasformazione del territorio comunale agli
effetti delle leggi urbanistiche, sicché non
necessita, ex art. 397 del D.P.R. n.
156/1973, di concessione o autorizzazione
edilizia più di quanto ne necessitino le
antenne televisive poste sui tetti delle
case (TAR Sicilia, Palermo, II, 07.03.2008,
n. 310). E tuttavia, la realizzazione di
simili manufatti va considerata anche in
concreto ed in relazione alla obiettiva
consistenza degli impianti, richiedendosi la
concessione edilizia in caso di
installazione di tralicci o antenne di
notevoli dimensioni e situati in prossimità
di edifici (TAR Sicilia, n. 310/2008, cit.).
Nella
fattispecie oggetto della presente
controversia, il traliccio è stato
realizzato dalla TIM giusta regolare
concessione edilizia del 07.07.1986 (prot.
5457/85, pratica n. 2387/1986), ha
un’altezza di 21 metri e sostiene, “ab
initio”, “2 antenne per telecomunicazioni
(paraboloidi) del diametro di m. 3,10,
installate a quota 20,00 m.”. Ne consegue
che i nuovi pannelli, successivamente
installati dalla TIM, di ben più limitate
dimensioni rispetto alle preesistenti
parabole, non comportano una rilevante
modifica della situazione già in essere e
non abbisognano dunque di concessione
edilizia, risultando sufficiente la semplice
dichiarazione di inizio attività, ex art. 4,
comma 7, lett. f), della legge n. 493 del
1993, come sostituito dall'art. 2, comma 60,
della legge n. 662 del 1996 (abrogato
dall'art. 136 del D.Lg.vo n. 378 del 2001,
ma applicabile “ratione temporis” nella
fattispecie in esame). L’omissione di
quest’ultima comporta, secondo il comma 13
dello stesso art. 4, cit., una sanzione
meramente pecuniaria.
Il provvedimento impugnato è dunque
illegittimo perché considera, erroneamente,
soggetta a concessione la messa in opera
delle nuove apparecchiature in discorso da
parte della Tim e la sanziona, altrettanto
erroneamente, con ingiunzione di demolizione
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 25.08.2008 n. 455 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione
edilizia - Opere per emissioni radiofoniche
- Competenza Autorità P.T. - Non sussiste -
Competenza Autorità Comunale - Sussiste.
2. Opere che
attuino una trasformazione
urbanistica-edilizia del territorio -
Concessione edilizia - Necessità -
Fattispecie - Tralicci radiofonici.
3. Concessione
edilizia - Concessione ex Legge 223/1990 per
impianti di diffusione sonora e televisiva -
Equivale a dichiarazione di pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza delle
opere - Conseguenze.
1. L'art. 23 della Legge 223/1990 non priva
il Comune dei poteri relativi alle sue
competenze urbanistiche ed edilizie, né
conferisce tali competenze
all'Amministrazione P.T.: l'Ente Comunale
rimane competente per gli atti abilitativi
relativi allo ius aedificandi (concessione
edilizia e autorizzazione) anche se
attinenti alle opere necessarie per
l'emissione radiofonica.
2. La posa di un traliccio in ferro (nella
fattispecie, con base in cemento e alto 31
metri) costituisce opera di trasformazione
urbanistica che richiede concessione
edilizia, ex art. 1 Legge 10/1977 e a tal
fine è irrilevante la asserita amovibilità
dello stesso, poiché ciò che rileva ai fini
della trasformazione urbanistica è la
stabilità della destinazione dell'opera
realizzata: la precarietà/mobilità di un
manufatto, che rende non necessaria la
concessione edilizia, dipende non già dal
suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua
inidoneità a determinare una stabile
trasformazione del territorio ed il
carattere di precarietà va escluso quando
trattasi di struttura destinata ad avere
un'utilità prolungata nel tempo.
3.
Ai sensi dell'art. 16 della Legge 223/1990,
il rilascio della concessione per
l'installazione di impianti di diffusione
sonora e televisiva privata equivale a
dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza delle opere
connesse e dà titolo per richiedere alle
Autorità competenti le necessarie
concessioni e autorizzazioni. L'art. 4 della
stessa legge prevede che i Comuni
territorialmente competenti provvedono ad
acquisire ed occupare d'urgenza l'area
interessata, a espropriarla ed a rilasciare
la concessione edilizia, lasciando intendere
come per l'installazione di opere per
l'emissione radiofonica siano necessarie due
autonome e distinte concessioni, quella
radiotelevisiva e quella
urbanistica-edilizia
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
13.05.2008 n.
1583
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA:
Modifiche al codice dei beni culturali e del
paesaggio / disposizioni regionali lombarde
in vista della scadenza del 31.12.2008 per
la verifica delle subdeleghe paesaggistiche
(art. 146 d.lgs. n.42/2004).
Sono disponibili
le schede redatte a seguito degli
interrogativi emersi nel corso
dell'incontro di studio dell'11.09.2008
(link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In sede di
autorizzazione paesaggistica, anche i
provvedimenti positivi devono essere
sostenuti da adeguata motivazione.
Nella fascia di rispetto dei corsi d’acqua
prevista dall’art. 1, comma 5, lett. c),
della L. 431/1985, sussiste il vincolo di
inedificabilità assoluta che di per sé
legittima il parere negativo di
compatibilità paesaggistica (cfr. TAR Emilia
Romagna 16/12/2005 n. 583). La
giurisprudenza ha, quindi, precisato che il
vincolo di inedificabilità assoluta
impedisce la sanatoria dei manufatti
abusivamente realizzati quando sia stato
imposto prima della realizzazione
dell’abuso, mentre nel caso di vincolo
sopravvenuto l’Amministrazione è comunque
tenuta a svolgere un accertamento sulla
compatibilità del fabbricato con il vincolo
susseguente, al fine di decidere se
rilasciare o meno il parere di compatibilità
paesaggistica.
Nel caso di
specie, poiché il manufatto abusivo è stato
realizzato nel 1993 (ed infatti la domanda
di condono è stata presentata ai sensi della
L. 724/1994), il vincolo di inedificabilità
è precedente alla realizzazione dell’abuso.
In ogni caso, occorre rilevare che, anche in
caso di vincolo successivo,
l’Amministrazione dovrebbe accertare la
compatibilità del manufatto con il contesto
ambientale al momento in cui viene esaminata
la domanda di sanatoria (Cons. Stato Sez. V
22/12/1994 n. 1574; Cons. Stato A.P.
22/07/1999 n. 20; Cons. Stato Sez. VI
22/08/2003 n. 4765; ecc.), e che quindi, nel
caso di vincolo assoluto di inedificabilità,
il vincolo non potrebbe considerarsi del
tutto inesistente per il solo fatto che sia
sopravvenuto all’edificazione, dovendo
applicarsi in questi casi lo stesso regime
indicato nella previsione generale di cui
all’art. 32 comma 1 della L. 47/1985, che
subordina il rilascio della concessione in
sanatoria per opere sottoposte a vincolo, al
parere favorevole dell’autorità preposta
alla sua tutela (cfr. Cons. Stato A.P. n.
20/1999).
Ciò comporta che, nel compiere il giudizio
di compatibilità, l’Amministrazione non può
non tener conto delle prescrizioni recate
dal vincolo stesso, così come accade nel
caso di vincolo relativo sopravvenuto (Cons.
Stato Sez. V 07/10/2003 n. 5918), con
l’effetto, quindi, di poter ritenere non
sanabile il manufatto quando contrasti con
le prescrizioni recate dal vincolo stesso.
Ne consegue che quando l’Amministrazione
comunale rilascia parere favorevole di
compatibilità con il vincolo paesaggistico
–specie se comportante l’inedificabilità del
suolo– deve provvedervi con atto
adeguatemente motivato.
Occorre infatti precisare che, in sede di
autorizzazione paesaggistica, anche i
provvedimenti positivi devono essere
sostenuti da adeguata motivazione (Cons.Stato,
VI Sez., 13.02.2001 n. 685; 08.08.2000 n.
4345; 06.07.2000 n. 3793; 15.12.1981 n. 751;
TAR Sardegna 29.04.2003 n. 494; TAR Lazio,
II Sez., 21.09.2001 n. 7716). Invero,
l'esigenza di una congrua motivazione -che
si giustifica, in primis, con la
considerazione del valore costituzionale da
preservare (tutela del paesaggio ex art. 9
Cost.)- postula che l'atto autorizzatorio
fornisca la ricostruzione dell'itinerario
seguito per individuare le ragioni di
compatibilità effettiva. Tali ragioni, in
riferimento agli specifici valori paesistici
del luogo, possono, ove sussistenti,
consentire i progettati lavori, considerati
soprattutto nella loro globalità e non
esclusivamente in semplici episodi di
dettaglio (Cons.Stato, VI Sez., 02.04.1997
n. 536). Peraltro, l'esigenza di un'adeguata
motivazione in subiecta materia trova
specifico fondamento nell'art. 3, primo
comma, L. 07.08.1990 n. 241, che ha
generalizzato l'obbligo di motivazione per
ogni provvedimento amministrativo, positivo
o negativo (Cons. Stato, VI Sez.,
12.05.1994, n. 771).
Ritiene quindi il Collegio, che
correttamente la Soprintendenza abbia
rilevato il difetto di motivazione del
provvedimento comunale, atteso che
l’Amministrazione non ha indicato in alcun
modo le ragioni per le quali ha ritenuto la
compatibilità del manufatto con il vincolo
paesaggistico, essendosi occupata soltanto
dell’aspetto idrogeologico, per evitare di
concedere la sanatoria ad un manufatto
sottoposto al rischio di esondazioni.
Occorre poi chiarire che –contrariamente a
quanto ritenuto dalla ricorrente– il
riferimento al mancato rispetto delle
previsioni urbanistiche relative al lotto
minimo, non è stato dedotto dalla
Soprintendenza per sottolineare la non
conformità urbanistica dell’intervento,
quanto piuttosto per evidenziare come
l’incremento di cubatura potesse comportare
riflessi sull’ambiente, destinato ad
attività agricola
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 10.09.2008 n. 8231 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Beni
ambientali. Ragioni dell’autorizzazione.
Con riferimento alle zone sottoposte a
vincolo paesaggistico il legislatore,
imponendo la necessità dell'autorizzazione,
ha inteso assicurare una immediata
informazione e la preventiva valutazione, da
parte della pubblica Amministrazione,
dell'impatto sul paesaggio nel caso di
interventi (consistenti in opere edilizie
ovvero in altre attività antropiche)
intrinsecamente capaci di comportare
modificazioni ambientali e paesaggistiche,
al fine di impedire che la stessa P.A., in
una situazione di astratta idoneità lesiva
della condotta inosservante rispetto al bene
finale, sia posta di fronte al fatto
compiuto.
La fattispecie incriminatrice è
rivolta a tutelare, dunque, sia l'ambiente
sia, strumentalmente e mediatamente,
l'interesse a che la P.A. preposta al
controllo venga posta in condizioni di
esercitare efficacemente e tempestivamente
detta funzione: la salvaguardia del bene
ambientale, in tal modo, viene anticipata
mediante la previsione di adempimenti
formali finalizzati alla protezione finale
del bene sostanziale ed anche a tali
adempimenti è apprestata tutela penale
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.09.2008 n. 35452 -
link a www.lexambiente.it). |
UTILITA' |
PUBBLICO IMPIEGO:
MALATTIA - VADEMECUM
del Lavoratore Pubblico (ai sensi D.L.
25.06.2008 n. 112 convertito nella L.
06.08.2008 n. 133). |
CORTE DEI CONTI |
ENTI LOCALI:
Comune di Cinto Caomaggiore (VE) - Art.
33-bis L. 28.02.2008, n. 31.
Pagamento TARSU da parte delle
scuole dell'obbligo. Effetti sulla finanza
degli enti locali (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
parere
06.08.2008 n. 60
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Affidamento incarichi di
collaborazione, studio, ricerca, consulenze.
Adozione regolamenti- Legge finanziaria 2008
e D.L. 112/2008
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Calabria,
deliberazione 25.07.2008 n. 183
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Gussago (Bs) "su quale
delle due Amministrazioni Comunali debba
sostenere il suddetto onere (relativo al
dipendente comunale trasferito ai sensi del
D.L.vo 165/2001) e più in particolare se
l’Ente di provenienza debba trasferire o
meno le risorse economiche all’Ente di
destinazione relative all’onere economico
corrispondente alle ferie maturate e non
godute dal dipendente prima della mobilità" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
22.07.2008 n. 61
- link a www.corteconti.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Cassolnovo (Pv) "posto
che nell’ultimo triennio non è comunque
stato rispettato il patto (2006) e che non
si ha certezza circa il rispetto del patto
di stabilità per l’anno in corso, si chiede:
1) il Comune di Cassolnovo può procedere
comunque allo svolgimento dei concorsi ed
alle relative assunzioni?
2) sempre considerando la possibilità del
mancato rispetto del patto di stabilità
entro l’anno, l’assunzione di personale
mediante mobilità volontaria tra enti offre
una soluzione praticabile diversa
dall’assunzione mediante concorso" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
22.07.2008 n. 60
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Roverbella (Mn) "se le
spese per telegrammi delle scuole siano a
carico del Comune oppure dell’Istituto
scolastico" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
22.07.2008 n. 59
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Tradate (Va) "se è possibile procedere al
pagamento delle ferie non godute del
Segretario Generale e del Direttore Generale" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
22.07.2008 n. 58
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Erba (Co) "se sia
legittima la sottoscrizione di un contratto
assicurativo in cui l’Amministrazione
comunale assicura con premio a proprio
carico le responsabilità derivanti ai propri
Amministratori (Sindaco e Giunta),
Dirigenti, Segretario Generale e dipendenti
(titolari di posizione organizzativo o alta
professionalità della mobilità" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
22.07.2008 n. 57
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Bovisio Masciago (Mi) "se
si debba procedere al riconoscimento di un
debito derivante da parcella di un legale,
qualora l’incarico allo stesso sia stato
legittimamente affidato con delibera di
mandato ad litem ma a questa non sia seguita
determinazione dirigenziale di assunzione di
impegno di spesa" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
22.07.2008 n. 56
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere del Presidente della
Provincia di Cremona in merito "a
quale sia l’Ente competente, tra la
Provincia e il Comune, a doversi fare carico
degli oneri nel caso in cui il servizio di
trasporto agli alunni portatori di handicap
o in situazioni di svantaggio debba essere
assicurato per alunni frequentanti la scuola
secondaria superiore" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
22.07.2008 n. 55
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Castel Mella (Bs) premessa la novità
legislativa che ha escluso dall’ICI l’unità
immobiliare adibita ad abitazione principale
del soggetto passivo e del contenuto
dell’art. 4 del regolamento comunale
sull’ICI "se sia opportuna
una modifica regolamentare che abbia
efficacia retroattiva dal 1 gennaio 2008 o
un’interpretazione autentica dell’articolo
regolamentare affinché l’ufficio tributi di
questa amministrazione proceda correttamente
all’applicazione dell’imposta dovuta sugli
immobili in oggetto"
(Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Lombardia,
parere
21.07.2008 n. 53
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Lissone (Mi) in merito "al
mantenimento in vita o all’abrogazione dal 1°
gennaio 2008 della decurtazione del 10% ex
art. 1, comma 54, della legge 266/2005 delle
indennità spettanti agli amministratori
locali e se il ripristino delle somme
decurtate debba essere oggetto di specifica
deliberazione della giunta e del consiglio
oppure per effetto dell’intervenuta
abrogazione della norma di riferimento" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
10.07.2008 n. 51
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune
di Verdello (Bg) se “alla
luce della nuova finanziaria i contratti
co.co.co. devono essere obbligatoriamente
stipulati con soggetti che risultano in
possesso “di particolare e comprovata
specializzazione universitaria”.
Si chiede, pertanto, di sapere se sarà
possibile stipulare ancora contratti di
co.co.co. per la scuola civica così come
fatto finora? In caso negativo, risulta
possibile affidare la gestione di tale
servizio all’unica società di servizi
comunali –unipersonale- recentemente
costituita dal Comune di verdello o tale
norma va applicata anche alla medesima?” (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Lombardia,
parere
07.07.2008 n. 47
- link a www.corteconti.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Le competenze professionali degli ingegneri
juniores.
La pubblicazione analizza, ad oltre 6 anni
dall'emanazione del DPR 328/2001, le
competenze professionali degli ingegneri
juniores (link a www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
L. Riotto,
Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del
contratto d’appalto stipulato: i problemi
ancora aperti in punto di riparto di
giurisdizione e la soluzione del Tar
Lombardia (sent. 08.053.2008 n. 1370)
(link a www.diritto.it). |
ESPROPRIAZIONE:
V. Montaruli,
I riflessi sul contenzioso espropriativo
delle sentenze della Corte Costituzionale
nr. 348 e 349 del 2007 (link a
www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
P. Petroni,
Il difficile cammino della riforma dei
servizi pubblici locali tra liberalizzazione
ed affidamento in house (link a
www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
G. Gentilini,
Il nuovo regolamento per l’accesso ai
documenti amministrativi (link a
www.diritto.it). |
ENTI LOCALI:
M. Greco,
L’assegnazione di apparecchiature di
telefonia mobile agli Amministratori locali
(link a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
N. Brotto,
Il nuovo testo dell'art. 20 della legge sul
procedimento amministrativo -sul silenzio
assenso- e i suoi rapporti con le discipline
statali che prevedono ipotesi di silenzio
assenso (nota a Tar Pescara n. 539/2008)
(link a www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
S. Colombari,
Le società a partecipazione pubblica e la
loro appartenenza a modelli e regimi
giuridici diversificati. Nota critica a
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza
25.08.2008 n. 4080 (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
N. Saitta,
L’accesso ai pareri legali tra segreto
professionale e trasparenza amministrativa
(link a www.lexitalia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. D'Agostino,
Condono edilizio e condono paesaggistico:
interferenze (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
S. Maglia,
Gestione rifiuti: cenni sull’apparato
sanzionatorio nel D.Lgs. n. 152/2006
(link a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
P. Andreolini,
I PROCESSI DI VALUTAZIONE AMBIENTALE ALLA
LUCE DEL NUOVO D.LGS. 4/2008
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Bettinelli,
Considerazioni in merito all’installazione
di impianti radio-ricetrasmittenti nonché di
ripetitori per i servizi di
telecomunicazione (link a
www.tuttoambiente.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
In via preliminare occorre evidenziare come
la procedura scelta dalla stazione
appaltante nel caso in esame è, come
indicato dall’art. 1 del disciplinare, la
negoziata ai sensi dell’art. 57, comma 2
lett. c) del D.Lgs. 163/2006 applicata al
sotto soglia. Secondo la menzionata lett. c)
è possibile ricorrere alla procedura
negoziata senza pubblicazione del bando di
gara “nella misura strettamente necessaria,
quando l'estrema urgenza, risultante da
eventi imprevedibili per le stazioni
appaltanti, non è compatibile con i termini
imposti dalle procedure aperte, ristrette, o
negoziate previa pubblicazione di un bando
di gara. Le circostanze invocate a
giustificazione della estrema urgenza non
devono essere imputabili alle stazioni
appaltanti”. Dato per assunto, dal momento
che non è oggetto del petitum, che i
succitati presupposti per l’utilizzo della
procedura negoziata senza pubblicazione del
bando si siano realizzati e siano stati
dettagliatamente motivati dalla stazione
appaltante, si rileva quanto segue.
In merito alla censura relativa alla
presenza nel Capitolato speciale di
riferimenti alla marca CISCO, come indicato
dall’amministrazione provinciale, non si
rinviene nella documentazione di gara una
specifica indicazione di marchi che, ove
prevista, si porrebbe in violazione con
l’articolo 68, comma 2, del D.Lgs. 163/2006,
ai sensi del quale le specifiche tecniche
devono consentire pari accesso agli
offerenti e non devono comportare la
creazioni di ostacoli ingiustificati
all’apertura dei contratti pubblici alla
concorrenza. La ratio legis sottesa alla
disposizione in commento, come questa
Autorità ha già avuto modo di osservare (si
vedano pareri n. 51 del 10.10.2007 e n. 97
del 09.04.2008), consiste nell’evitare che
la definizione delle specifiche tecniche
determini un ostacolo alla libera
circolazione delle merci mediante
l’imposizione di particolari caratteristiche
dei prodotti o dei servizi che implicano un
determinato processo produttivo ovvero una
determinata provenienza.
In tale ottica, il legislatore ha inteso
vietare l’inserimento di specifiche tecniche
che menzionino una fabbricazione o
provenienza determinata, un procedimento
particolare ovvero facciano riferimento ad
un marchio, un brevetto, un tipo, un’origine
o una produzione specifica a meno che ciò
non sia giustificato dal fatto che una
descrizione sufficientemente precisa non sia
possibile e a condizione che tale menzione
sia accompagnata dall’espressione “o
equivalente”.
In ordine alla censura mossa dall’istante
relativamente all’importo dell’appalto, che
la stazione appaltante avrebbe appositamente
fatto ricadere al di sotto della soglia
comunitaria per evitare gli oneri di
pubblicità, si rileva che la procedura
eccezionale scelta ai sensi dell’art. 57,
comma 2 lett. c) del D.Lgs. 163/2006, non
prevede la pubblicazione del bando, sia nel
caso di importo al di sopra, sia al di sotto
della soglia comunitaria.
Le ulteriori censure sollevate dall’istante
relativamente alla partecipazione alla gara
ed alla base d’asta si considerano assorbite
dai rilievi sopra esposti.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene nei limiti di
cui in motivazione che, fatto salvo quanto
evidenziato in via pregiudiziale, la
documentazione di gara sia conforme alla
normativa vigente di settore
(parere
05.06.2008 n.
181 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
E’ principio noto in giurisprudenza quello
per cui sono da considerare legittimi i
requisiti richiesti dalle stazioni
appaltanti che, pur essendo ulteriori e più
restrittivi di quelli previsti dalla legge,
comunque rispettino il limite della logicità
e della ragionevolezza e, cioè, della loro
pertinenza e congruità a fronte dello scopo
perseguito (si veda Cons. di Stato, sez. V,
15.12.2005 n. 7139). Detto principio è stato
più volte rievocato dall’Autorità (si vedano
i pareri n. 33 del 31.01.2009; n. 62 del
28.02.2008), la quale ha ribadito come la
ragionevolezza dei requisiti deve essere
valutata in concreto, in relazione alle
caratteristiche specifiche dell’appalto in
questione.
Nel caso di specie, le dichiarazioni
richieste dalla stazione appaltante non
appaiono illogiche e sproporzionate
considerato che l’appalto ha ad oggetto la
fornitura di auto cabinati, da allestire in
maniera tale da garantire tutte quelle
mansioni di sorveglianza e di prevenzione
degli incendi boschivi previste dal nuovo
Piano regionale per la difesa della
vegetazione dagli incendi. La delicatezza e
la precisione con cui devono essere svolte
dette mansioni, tese a garantire la
sicurezza, impongono in capo alla stazione
appaltante una particolare attenzione
nell’acquisto delle apparecchiature da
utilizzare. Pertanto le citate previsioni
del disciplinare sono da considerarsi
ragionevoli, dal momento che assicurano
l’amministrazione della compatibilità e
conformità tra le caratteristiche tecniche
dell’allestimento antincendio da installare
sugli auto cabinati ed i telai degli stessi,
anche in considerazione del rilevante
importo contrattuale pari ad euro
3.060.000,00.
Ciò posto, deve in ogni caso rilevarsi, alla
luce delle difficoltà rappresentate
dall’istante nell’ottenere dalla ditta
costruttrice di telai le dichiarazioni
previste tra i requisiti di partecipazione e
oggetto di censura che, nell’operatività
delle stesse, potrebbero configurarsi
profili di violazione della concorrenza, che
verranno rimessi alla Direzione Vigilanza
Forniture e Servizi per le valutazioni di
competenza.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che la documentazione di
gara è conforme alla normativa vigente di
settore
(parere
05.06.2008 n.
179 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI SERVIZI: Ritenuto
in diritto:
Il Capitolato Speciale della gara in esame
prevede al punto D) quanto segue: “L’importo
a base d’asta è fissato in complessivi
116.800 euro per tutta la durata
contrattuale. (…) Ai fini della
determinazione dell’importo a base di gara
il servizio richiesto è valutato come segue:
Palazzo comunale: servizio di 4 giorni alla
settimana per un totale di 208 giorni
all’anno. Sono previsti 2 operatori per 4
ore giornaliere ciascuno, per un totale di
1.664 ore all’anno. Biblioteca comunale:
servizio di 3 giorni alla settimana per un
totale di 156 giorni all’anno. Sono previsti
l’operatore per 2 ore giornaliere per un
totale di 312 ore all’anno. L’importo
effettivo dell’appalto sarà ottenuto
moltiplicando il prezzo orario offerto dal
concorrente per il numero di ore stimate
come occorrenti all’espletamento del
servizio.”
Le informazioni contenute nel Capitolato,
come sopra riportate, definiscono l’importo
a base d’asta e la quantità di manodopera,
in termini di personale impiegato, di giorni
e di ore alla settimana da utilizzare, con
l’indicazione di un totale di ore annue
distribuite tra il Palazzo e la Biblioteca
comunale. Inoltre, secondo quanto previsto
dall’art. 22 del Capitolato Speciale,
l’offerta deve riportare il costo orario
medio del lavoro e del personale dipendente
da imprese di pulizia, che deve rispettare
le Tabelle Nazionali determinate dal
Ministero del lavoro e della previdenza
sociale.
Alla luce delle indicazioni sopra riportate
contenute nella documentazione di gara, si
ritiene che le ditte partecipanti fossero
nella condizione di conoscere tutti gli
elementi necessari per formulare un’offerta.
Contrariamente a quanto sostenuto
dall’istante il Capitolato speciale indica
oltre che l’importo a base d’asta, anche le
ore giornaliere e le unità lavorative
impiegate, così da consentire ai
partecipanti di poter effettuare il calcolo
e del numero delle ore da rispettare, in
accordo con i costi orari medi del lavoro e
del personale dipendente da imprese di
pulizia che deve rispettare le Tabelle
Nazionali determinate dal Ministero del
lavoro e della previdenza sociale
Dai verbali di gara presentati nel corso
dell’istruttoria, emerge che la Gamba
Service ha previsto 1976 ore dichiarate, in
conformità a quanto disposto dal Capitolato
speciale (1664 + 312), in relazione alle
quali, tuttavia, viene indicato come costo
orario del personale l’importo di 11,60.
Tale importo si discosta in maniera
rilevante dal costo del personale contenuto
nelle tabelle ministeriali prese a
riferimento nella gara di specie che, per
l’anno 2005, riportano un costo orario medio
pari a 14,01 euro/ora. Anche volendo
considerare il valore indicato nella tabella
della Regione Toscana, la cifra prevista è
di euro 14,79 per gli operai di II livello.
Pertanto il costo del personale contenuto
nell’offerta dell’istante è di gran lunga
inferiore a quello minimo indicato dal
Ministero del Lavoro. Detto discostamento,
peraltro, come è stato rilevato dalla
stazione appaltante, non è stato nemmeno
giustificato e viene, così, a porsi in
contrasto con l’art. 86, comma 3 bis, del
D.Lgs. 163/2006, ai sensi del quale, nella
valutazione dell’anomalia delle offerte, le
amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a
valutare che il valore economico
dell’offerta sia adeguato e sufficiente
rispetto al costo del lavoro determinato
periodicamente, in apposite tabelle, dal
Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, sulla base dei valori economici
previsti dalla contrattazione collettiva,
delle norme in materia previdenziale ed
assistenziale, dei diversi settori
merceologici e delle differenti aree
territoriali.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene nei limiti di
cui in motivazione che la disposta
esclusione sia conforme alla documentazione
di gara e alla normativa vigente di settore
(parere
05.06.2008 n.
178 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
La previsione contenuta nei bandi di gara,
come nel caso in esame, che impone ai
concorrenti di presentare due buste,
debitamente sigillate e controfirmate,
contenenti, rispettivamente, l’offerta
economica e la documentazione di corredo,
risponde all’esigenza procedimentale di
eseguire la valutazione dell’offerta in due
tempi, separando il momento valutativo della
documentazione amministrativa da quello
dell’offerta economica, la quale deve
rimanere segreta fino all'eseguito esame dei
documenti prescritti dalla lex specialis,
onde evitare che la Commissione di gara
possa essere influenzata nel suo operato
dalla conoscenza di questa, nell'interesse
dell'imparzialità e parità di trattamento
degli offerenti.
Nel caso in esame, il disciplinare prevedeva
con clausola chiara e non equivoca le
modalità di presentazione dei plichi, che
dovevano contenere al loro interno le due
separate buste, relative alla documentazione
amministrativa ed all’offerta economica.
Detta prescrizione era inoltre, ribadita dal
punto 2) delle avvertenze, nella quale
veniva sancita l’esclusione dalla gara nel
caso in cui l’offerta o la documentazione
non fossero contenute nell’apposita busta
sigillata e controfirmata sui lembi di
chiusura.
Si ritiene corretto il comportamento tenuto
dalla Commissione di gara che, riscontrata
la mancanza di una delle due buste
prescritte, ha deciso di non aprire l’unica
busta presentata in gara, non potendo la
stessa effettuare alcuna valutazione
interpretativa della disciplina di gara, né
alcuna valutazione suppositiva
sull’eventuale contenuto della busta
A-documentazione amministrativa.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’esclusione
dell’impresa Thiene Costruzioni s.r.l. è
conforme alla normativa di settore
(parere
05.06.2008 n.
177 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
Sulla problematica in esame, l’Autorità, con
precedenti espressioni di parere, ha
evidenziato che secondo costante
giurisprudenza amministrativa le
giustificazioni preliminari richieste
dall’articolo 86, comma 5, del d. Lgs. n.
163/2006, quale anticipato corredo
documentale dell’offerta, non assurgono a
requisito di partecipazione alla gara a pena
di esclusione, venendo in rilievo la mancata
presentazione delle stesse, solo in via
eventuale, nella fase successiva della
verifica di anomalia, se ed in quanto
l’offerta ne risulti sospetta.
Ed infatti, come è stato rilevato dal
giudice amministrativo, verificare la
completezza documentale dell’offerta sotto
il profilo delle giustificazioni, prima
dell'inizio del procedimento di
individuazione e verifica delle offerte
anomale, porterebbe la commissione di gara a
dover escludere a priori le offerte non
corredate di giustificazioni, con ciò
violando la norma di cui all’articolo 88 del
d. Lgs. n. 163/2006, che impone alla S.A. di
instaurare il contraddittorio con l’impresa
la cui offerta risulta eccessivamente bassa,
prima di procedere all’esclusione della
stessa.
Nel caso in esame, inoltre, sia il bando di
gara, che il disciplinare non sanzionano con
l’esclusione l’omessa presentazione da parte
dei concorrenti delle giustificazioni
preventive. La lex specialis di gara non
contiene nemmeno disposizioni in ordine alle
modalità di presentazione delle
giustificazioni.
Sulla base di quanto sopra, pertanto,
l’ammissione in gara dell’impresa Perillo
Costruzioni s.r.l. è conforme all’articolo
86, comma 5, del d. Lgs. n. 163/2006.
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene, nei limiti di cui in
motivazione, che la procedura di gara è
conforme alla normativa di settore
(parere
05.06.2008 n.
176 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
In precedenti espressioni di parere
l’Autorità, nel concorde orientamento della
giurisprudenza amministrativa, ha espresso
l’avviso secondo il quale non ricorrono le
condizioni per una integrazione documentale
della dichiarazione sostitutiva, nel caso in
cui attraverso l’integrazione si determina
non una specificazione del contenuto della
dichiarazione resa, ma una sua integrazione
ex post, con conseguente violazione del
principio della par condicio.
L’Autorità sul punto ha chiarito che è
possibile procedere all’integrazione
documentale esclusivamente nel caso in cui
la dichiarazione richiesta dalla disciplina
di gara sia stata in qualche forma
presentata e necessiti di chiarimenti: nel
caso di specie la voce relativa
“all’osservanza, all’interno della propria
azienda, degli obblighi di sicurezza
previsti dalla vigente normativa” è stata
omessa, e, pertanto, la relativa
dichiarazione sostitutiva risulta non resa.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’esclusione
dell’impresa Sepe geom. Aniello è conforme
alla normativa di settore
(parere
05.06.2008 n.
175 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
Ai sensi dell’art. 13, comma 1del D.Lgs.
163/2006, il diritto di accesso, salvo
quanto previsto nello stesso articolo, è
disciplinato dalla legge n. 241/1990.
Nel caso in esame, la richiesta è stata
formulata ai sensi del comma 2, lettera a)
del citato articolo 13, laddove prevede,
nelle procedura aperte ed in relazione
all’elenco dei soggetti che hanno presentato
offerte, il differimento del diritto di
accesso fino alla scadenza del termine per
la presentazione delle medesime.
In merito all’istanza in oggetto, va
precisato che l’Amministrazione appaltante
non dichiara di non voler adempiere alla
richiesta di accesso ai documenti, ma
specifica che si potrà fornire riscontro non
prima che sia espletati gli adempimenti
previsti nei confronti dei controinteressati.
Infatti, la P.A. cui è indirizzata la
richiesta di accesso, eventualmente dovesse
individuare soggetti controinteressati, è
tenuta a dare comunicazione agli stessi. A
tal proposito recita il comma 2 dell’art. 3
del D.P.R. 184/2006 “Entro dieci giorni
dalla ricezione della comunicazione, i
contro interessati possono presentare una
motivata opposizione, (…) alla richiesta di
accesso. Decorso tale termine, la P.A.
provvede sulla richiesta, accertata la
ricezione della comunicazione (…)”.
Pertanto, la P.A. deve accertare, prima di
fornire riscontro alla richiesta di accesso
ai documenti, l’avvenuta conoscenza
dell’istanza stessa da parte dei contro
interessati, ai quali tali istanza, come si
è detto, deve preventivamente essere
comunicata.
Alla luce di quanto detto, correttamente la
S.A. ha atteso i termini previsti dal
Regolamento recante disciplina in materia di
accesso ai documenti amministrativi,
articolo 3 del D.P.R. 184/2006, comunicando
ai controinteressati la richiesta di accesso
agli atti e verificando l’avvenuta
conoscenza della stessa. Attesi i dieci
giorni previsti per la presentazione di una
eventuale motivata opposizione alla
richiesta di accesso, la Soprintendenza di
Pompei ha provveduto a dare comunicazione di
quanto richiesto dalle Imprese istanti.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che l’operato della
Stazione Appaltante è conforme alla
normativa di settore
(parere
05.06.2008 n.
174 - link a massinario.avlp.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ritenuto
in diritto:
In merito alle istanze in oggetto, la cui
problematica, per questione analoga eccepita
dalla medesima impresa istante, è stata
esaminata da questa Autorità nella
deliberazione n. 39/2007, si precisa quanto
segue.
Con la citata deliberazione, l’Autorità ha
chiarito che “ai fini della partecipazione
agli appalti di importo inferiore a 150.000
euro è necessari e sufficiente la
dimostrazione del possesso di una
professionalità qualificata che la S.A. deve
valutare sulla base di un rapporto di
analogia tra i lavori eseguiti e quelli
oggetto dell’appalto. Detta verifica non può
limitarsi al riscontro pedissequo fra la
categoria richiesta dal bando e quella
posseduta dal concorrente, dovendosi far
riferimento a riscontri oggettivi fra
l’esperienza specifica pregressa e i lavori
dedotti in appalto”.
Quanto sopra è stato inoltre sottolineato
con deliberazione n. 165/2003 di questa
Autorità, nella quale sono state evidenziate
le corrispondenze tra le tipologie di lavori
e le categorie SOA, che la S.A. deve tener
presente nel corso della valutazione.
Inoltre la stessa deliberazione rammenta che
per “gli appalti di importo pari o inferiore
a € 150.000, l’art. 8 comma 1 della legge
109/1994, impone comunque il possesso di una
professionalità qualificata che si traduce
in un rapporto di analogia tra i lavori
eseguiti dal concorrente e quelli oggetto
dell’appalto da affidare, intesa come
coerenza tecnica tra la natura degli uni e
degli altri”.
Si precisa, tuttavia, che contrariamente a
quanto asserito dall’impresa istante, la
citata deliberazione n. 165/2003 non dispone
che “tutte le categorie dei lavori al di
sotto della soglia di € 150.000,00, si
intendono analoghe e assimilabili”. Infatti,
l’Autorità ha chiarito che la S.A., in virtù
del principio del giusto procedimento, ha
l’onere di valutare la rispondenza dei
requisiti presentati e posseduti dal
concorrente alla gara e quanto previsto
dalla lex specialis, ai fini della verifica
della correlazione tecnica oggettiva con i
lavori da eseguire.
In sede di istruttoria documentale, la
Stazione appaltante ha rappresentato la non
sussistenza di un rapporto di analogia tra
le attività di cui alla categoria OG2 e
quelle dedotte nei due cottimi-appalto di
che trattasi.
Sebbene la predetta valutazione di coerenza
tecnica tra la natura delle attività
effettuate e quelle da affidare, sia rimessa
alla discrezionalità della stessa stazione
appaltante, si deve tener conto che non è
sufficiente compiere un riscontro fra la
categoria di iscrizione SOA posseduta e
quella richiesta in appalto, dovendo la S.A.
effettuare una puntuale e concreta verifica
sul possesso, in capo al concorrente,
dell’esperienza pregressa.
Nei casi in esame, l’esclusione dell’impresa
istante effettuata unicamente in base al
riscontro fra la categoria posseduta dal
concorrente e quella richiesta in appalto
non è conforme ai disposti di cui
all’articolo 28, comma 1, lettera a), del d.
P.R. 34/2000, disposizione che deve essere
interpretata, a parere di questa Autorità,
nel senso che i lavori eseguiti dal
concorrente devono avere caratteristiche
similari a quelle che connotano i lavori da
affidare.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che negli appalti di
lavori di importo inferiore a 150.000 euro,
la stazione appaltante deve effettuare, con
verifica concreta e puntuale, la valutazione
di coerenza tecnica tra la natura delle
attività effettuate e quelle da affidare
(parere
05.06.2008 n.
173 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
L’Autorità si è già occupata di una
questione analoga sia nella delibera n. 52
del 2007 sia, da ultimo, nel parere n. 11
dell’11.01.2008.
In particolare, in tale parere è stato
richiamato il consolidato indirizzo
giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sez.
IV, 21.05.2004 n. 3297) secondo il quale la
portata vincolante delle prescrizioni
contenute nel regolamento di gara esige che
alle stesse sia data puntuale esecuzione nel
corso della procedura, senza che in capo
all’organo amministrativo, cui compete
l’attuazione delle regole stabilite nel
bando, residui alcun margine di
discrezionalità in ordine al rispetto della
disciplina del procedimento.
Quindi, qualora il bando commini
espressamente l’esclusione dalla gara in
conseguenza di determinate prescrizioni,
l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed
incondizionata esecuzione a dette
prescrizioni, restando precluso
all’interprete ogni valutazione circa la
rilevanza dell’inadempimento, la sua
incidenza sulla regolarità della procedura
selettiva e la congruità della sanzione
contemplata nella lex specialis, alla cui
osservanza la stessa Amministrazione si è
autovincolata al momento del bando.
Nel caso di specie, il bando di gara (pg. 6)
espressamente prevede, evidenziando la
prescrizione in neretto, e dunque in modo
non equivoco: “L’amministrazione rilascerà
apposita attestazione dell’avvenuto
sopralluogo, che la ditta e/o impresa
concorrente dovrà allegare, a pena di
esclusione dalla gara, ai documenti
richiesti”. Analoga previsione è contenuta
pg. 14 del disciplinare di gara, laddove si
prevede, altrettanto chiaramente ed
evidenziato in lettere maiuscole “nella
busta (A) documentazione, dovrà essere
altresì allegata, a pena di esclusione,
l’ATTESTAZIONE DI AVVENUTO SOPRALLUOGO
rilasciata dalla stazione appaltante”.
Infine, è ben specificato nella stessa
attestazione di avvenuto sopralluogo, “N.B.
La presente attestazione di avvenuto
sopralluogo dovrà essere allegata a pena di
esclusione, nella busta (A) documentazione,
citata nel disciplinare di gara”. Da tale
previsione, i partecipanti alla procedura
non potevano non essere edotti in merito
all’obbligo di presentare il documento di
avvenuto sopralluogo in originale.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che è conforme alla
normativa di settore l’esclusione dalla gara
di che trattasi, dell’Ati Russo Antonino –
Pinto Vraca, per non aver prodotto il
documento di avvenuto sopralluogo in
originale, così come chiaramente disposto
dalla s.a. a pena di esclusione dalla gara
(parere
05.06.2008 n.
172 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI SERVIZI: Ritenuto
in diritto:
Per la soluzione della questione sottoposta
all’attenzione dell’Autorità si deve
evidenziare che la disciplina di gara
prevedeva:
- all’articolo 4-contenuti del progetto, del
disciplinare di incarico, lettera a)
progetto definitivo, “tale livello
progettuale dovrà individuare compiutamente
i lavori da realizzare, nel rispetto delle
esigenze, dei criteri, dei vincoli e delle
indicazioni stabiliti nel progetto
preliminare e dovrà contenere tutti gli
elementi necessari ai fini del rilascio
delle prescritte autorizzazioni ed
approvazioni. In particolare si segnalano le
autorizzazioni relative alla Pianificazione
di Bacino, alla tutela archeologica,
ambientale e monumentale. Esso si dovrà
comporre degli elaborati grafici,
contrattuali ed amministrativi necessari per
quanto sopra.
In particolare si evidenzia che il progetto
dovrà essere corredato di apposita relazione
geologica-geotecnica (come previsto
nell’art. 25 del d.P.R. 554/1999) ed
archeologica”;
- al punto 2.1 lett. c), del disciplinare di
gara, dichiarazione dell’elenco dei
professionisti che svolgeranno i servizi con
la specificazione delle rispettive
specializzazioni professionali.
Si precisa, inoltre, che la documentazione
di gara non richiedeva la presenza della
figura professionale dell’archeologo.
Al riguardo, giova specificare che,
nell’attuale ordinamento, non esiste una
disciplina giuridica della professione di
archeologo e di un suo albo professionale.
Pertanto, nelle fattispecie, come quella in
esame (si richiama quanto rappresentato
dalla S.A. “il sito non interessa aree
archeologiche né risulta sottoposto a
vincolo archeologico”) per le quali non
ricorre la disciplina di cui agli articoli
95 e 96 del d. Lgs. n. 163/2006, che
regolano la verifica preventiva
dell’interesse archeologico in sede di
progettazione preliminare e la relativa
procedura di verifica, e che prevedono
l’istituzione, non ancora realizzata, presso
il Ministero per i beni e le attività
culturali, di un apposito elenco dei
dipartimenti archeologici universitari e dei
soggetti qualificati in possesso di diploma
di laurea e specializzazione in archeologia,
non sussistono obblighi a carico della
stazione appaltante di prevedere la figura
dell’archeologo.
Si richiama il parere reso dal Consiglio di
Stato in data 13.03.2006 sulla schema di
regolamento ministeriale recante la
disciplina dei criteri di funzionamento del
citato elenco, nel quale vengono evidenziati
gli effetti “solo dichiarativi” ma che
“costituirà una raccolta completa –di fatto
l’unica esistente e certamente l’unica
prevista nel nostro ordinamento– degli
istituti e dei soggetti con una particolare
qualificazione nel campo dell’archeologia”.
La fattispecie si deve dunque esaminare
sulla base della disciplina di gara e della
normativa di settore vigente.
In ossequio al citato punto 2.1 lett. c),
del disciplinare di gara, il concorrente è
tenuto a dichiarare l’elenco dei
professionisti che svolgeranno i servizi con
la specificazione delle rispettive
specializzazioni professionali.
Ovviamente, le diverse attività componenti
l’incarico di progettazione devono
rispondere agli ambiti ed alle riserve di
competenza riconosciuti dai rispettivi
ordinamenti professionali agli ingegneri,
agli architetti, ai geologi.
Atteso il divieto di modificazione della
composizione dei raggruppamenti temporanei
rispetto a quella risultante dall’impegno
presentato in sede di offerta, ex articolo
37, comma 9, del d. Lgs. n. 163/2006, la
composizione del raggruppamento deve
prevedere tutte le figure professionali
dotate della competenza all’espletamento
delle diverse attività dedotte nell’incarico
di progettazione.
Pertanto, nel caso in esame, la S.A. deve
verificare, in capo ai concorrenti alla
procedura di che trattasi, il rispetto di
quanto sopra riportato.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che, in applicazione
dell’articolo 37, comma 9, del d. Lgs. n.
163/2006, i raggruppamenti temporanei di
professionisti devono prevedere al loro
interno tutte le figure professionali dotate
della competenza all’espletamento delle
diverse attività dedotte nell’incarico di
progettazione
(parere
05.06.2008 n.
171 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI:
Ritenuto in diritto:
La controversia è ormai nota a questa
Autorità che si è già occupata di casi
analoghi in più occasioni (Parere n. 128 del
23.04.2008, Parere n. 71 del 06.03.2008). In
tali occasioni l’Autorità ha espresso
l’avviso in accordo con la giurisprudenza
costante, come le formalità previste per la
presentazione dell’offerta, coerentemente
con la finalità di tutelare la par condicio
tra i concorrenti, assolvono alla funzione
di assicurare l’autenticità della chiusura
originaria proveniente dal mittente, nonché
di evitare la manomissione del contenuto del
plico e di garantire la segretezza
dell’offerta. La ceralacca, in particolare
assolve alla funzione di assicurare di
evitare ogni possibile contestazione e
sospetto di manomissione, data la notoria
possibilità di aprire e chiudere
agevolmente, senza lacerazioni o segni
evidenti, i lembi preincollati delle buste
all’uopo comunemente usate.
Nel caso specifico a pag. 24 del bando di
gara al punto 14 lett. c) si legge “…saranno
escluse dalla gara… le offerte contenuta in
busta, le quali, anche se su uno solo dei
lembi di chiusura ancorché preincollato: non
siano:chiuse con ceralacca;non rechino sulla
chiusura con ceralacca l’impronta del
sigillo come precedentemente prescritto; non
siano controfirmate. Si precisa che si farà
luogo all’esclusione dalla gara quando
manchi anche una sola delle tre modalità
sopradescritte”
Tale prescrizione, è prevista a garanzia del
principio della par condicio (dei
concorrenti), oltre che a garanzia della
provenienza e della segretezza (della
proposta contrattuale).
Tali regole non possono recedere dal rigido
formalismo, a pena di illegittimità, dovendo
vietare che sussistano margini di
discrezionalità della S.A. in merito alle
modalità di presentazione dell’offerta
economica, in relazione ai parametri che ha
preventivamente istituito in sede di
redazione del bando di gara (pena
l’insanabilità del vizio).
Pertanto sono da ritenersi valide le
disposizioni del bando di gara “in base alle
quali è sanzionata con l’esclusione dalla
gara, la mancata controfirma su tutti i
lembi di chiusura della busta contenente
l’offerta.
Trattasi di accorgimento coincidente con
l’interesse essenziale della stazione
appaltante al regolare svolgimento del
procedimento di evidenza pubblica che
fornisce una maggiore garanzia nei confronti
di eventuali frodi o indebite violazioni del
segreto, senza per questo imporre ai
partecipanti alla gara di appalto oneri
particolarmente gravosi (TAR Puglia Lecce ,
II, 18.10.2003, n. 6948)
Pertanto si sottolinea che non è neppure
possibile ipotizzare “sanatorie” del vizio
formale di presentazione dell’offerta,
giacchè l’attività diretta a sanare i vizi
delle istanze di taluni concorrenti, sarebbe
in violazione del fondamentale principio
della parità di trattamento.
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene che l’esclusione della
Società CIVIS POL Sicilia s.r.l. comminata a
carico dell’istante, sia conforme al bando
di gara prevista al punto 14, lett. c) della
lex specialis, nonché alla normativa vigente
di settore (parere
21.05.2008 n. 170 - link a
massinario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
L’art. 88 del D. Lgs. n. 163/2006 disciplina
dettagliatamente il subprocedimento di
verifica delle offerte anomale, prevedendo
due fasi da svolgersi necessariamente in
contraddittorio tra la stazione appaltante e
l’operatore economico la cui offerta sia
risultata anormalmente bassa: una prima
fase, a forma scritta, suscettibile di
richiesta di chiarimenti integrativi, e una
seconda fase, eventuale e orale, con
audizione dell’interessato.
L’estromissione di offerte ritenute
effettivamente non affidabili deve avvenire
solo all’esito di un adeguato confronto tra
stazione appaltante ed operatore economico
sugli elementi ritenuti di sospetta
anomalia. Nel giudizio sull’anomalia,
ciascun offerente deve avere infatti la
possibilità di far valere il suo punto di
vista e di fornire ogni più utile e completa
spiegazione a sostegno dei diversi elementi
che compongono la propria offerta, in
un’ottica improntata ai principi di par
condicio e di massima partecipazione alle
gare.
E’ solo l’Amministrazione che può e deve
svolgere in prima battuta il giudizio
tecnico sulla congruità, serietà,
sostenibilità e realizzabilità dell’offerta,
senza potersi ammettere in alcun caso una
sostituzione/supplenza nell’esercizio di
tale suo potere discrezionale di
valutazione. Gli apprezzamenti compiuti
dall’Amministrazione in sede di riscontro
dell’anomalia delle offerte costituiscono
espressione di un potere di natura
tecnico-discrezionale, improntato a criteri
di ragionevolezza, logicità e
proporzionalità, che resta prerogativa di
esclusiva competenza della stazione
appaltante e, in particolare, della
commissione giudicatrice.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, irricevibile la presente
istanza di parere, in quanto l’Autorità si
pronuncia su questioni controverse insorte
durante lo svolgimento delle procedure di
gara, ma non può sostituirsi alla stazione
appaltante nei compiti ad essa
normativamente assegnati
(parere
21.05.2008 n.
169 - link a massinario.avlp.it). |
APPALTI SERVIZI: Ritenuto
in diritto:
L’appalto in esame, da affidarsi con
procedura ristretta, ha ad oggetto i servizi
in global service nei nidi, nelle scuole
dell’infanzia, nei servizi sperimentali e
nelle scuole d’arte e dei mestieri del
Comune di Roma. Tra i requisiti di capacità
tecnica, come descritto in narrativa,
l’amministrazione ha previsto al punto III.2.3)
T) del bando di gara la “dichiarazione di
aver preso visione dei luoghi oggetto
dell’appalto e di aver preso esatta
cognizione della natura dell’appalto e di
tutte le circostanze generali, particolari e
locali nessuna esclusa ed eccettuata, che
possono influire sulla determinazione della
propria offerta tecnico – economica,
giudicandola, quindi, realizzabile e
remunerativa”. La finalità della citata
clausola è quella di assicurare, considerato
il tipo di servizio da affidare, da una
parte, che l’Amministrazione possa essere
tutelata da offerte non accurate e,
dall’altra, che i concorrenti possano
garantire offerte con piena cognizione di
causa, avendo l’esatta conoscenza dei luoghi
presso i quali svolgere il servizio.
A fronte della suddetta finalità prefissata
dalla stazione appaltante non sono state,
però, dettagliate le modalità con le quali
operare la presa di visione dei luoghi
oggetto di appalto. Per ovviare a tale
lacuna documentale, evidenziata dalle stesse
imprese concorrenti, in sede di chiarimenti
sulla documentazione di gara,
l’amministrazione comunale ha fornito la
lista dei luoghi, le persone da contattare,
precisando che l’adempimento richiesto
rappresentava un vero e proprio sopralluogo.
E’ opportuno, a tal proposito, precisare
che, pur essendo quella in esame una
procedura ristretta, l’Amministrazione possa
anticipare l’assolvimento della formalità
già nella fase di prequalificazione,
nell’esercizio della propria discrezionalità
in ordine alla definizione della “scansione”
temporale degli adempimenti posti a carico
delle imprese interessate alla
partecipazione.
Se dunque l’amministrazione aggiudicatrice
ha la possibilità di prevedere il
sopralluogo in fase di prequalificazione
deve farlo, tuttavia, assegnando i tempi
minimi necessari alle imprese per poter
effettuare lo stesso regolarmente. Pertanto,
il termine minimo previsto dalla legge per
la ricezione delle offerte andava, nella
fattispecie in esame, aumentato in misura
adeguata alla necessità e alle modalità del
disposto sopralluogo, anche al fine di non
pregiudicare l’interesse pubblico alla
serietà dell’offerta ed al favor
partecipationis.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che la
procedura di gara risulta non essere
conforme alla normativa vigente di settore,
in quanto, a seguito delle integrazioni
fornite dalla stazione appaltante, che hanno
modificato sostanzialmente la documentazione
di gara, non è stata disposta una proroga
del termine di presentazione delle offerte
(parere
21.05.2008 n.
168 - link a massinario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
E' legittima la decisione di una
stazione appaltante di annullare
l’aggiudicazione dopo aver verificato che
l’impresa aveva sottaciuto l’esistenza di
una procedura di regolarizzazione
contributiva.
In presenza di una clausola del bando di
gara che subordina la partecipazione alla
regolarità contributiva, la posizione del
partecipante che abbia in atto un
procedimento di regolarizzazione è legata
alla circostanza che "l’impresa abbia
sostenuto la propria offerta con una
documentata procedura di sanatoria relativa
agli adempimenti contributivi" (Cons. Stato,
Sez. IV, 30.01.2006, n. 288). Pertanto,
è legittima la decisione della stazione
appaltante di annullare l’aggiudicazione una
volta verificato che l’impresa aveva
sottaciuto l’esistenza di una procedura di
regolarizzazione, impedendo ad essa, anche a
garanzia della par condicio, di valutarla ai
fini dell’ammissione (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 17.09.2008 n. 4386 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gara per l’affidamento in
concessione di servizi, con il metodo della
licitazione privata - Criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa - Calcolo del
punteggio per l’offerta economica -
Riferimento alla "offerta maggiore", e non
all'incremento maggiore - Art. 83, c. 5, D.
Lgs. n. 163/2006 - Dir. n. 2004/18/CE.
Anche ammettendo che l’art. 83, comma 5, del
D. Lgs. n. 163/2006 lasci libertà alle
stazioni appaltanti di stabilire il criterio
di valutazione dell’offerta economica, in
conformità con quanto previsto dal
considerando 46 della Dir. n. 2004/18/CE, va
rilevato che in una gara in cui il prezzo a
base d’asta non è elevato (in specie
54.000,00 Euro) risulta più ragionevole un
metodo di calcolo del punteggio per
l’offerta economica che non comporti una
posizione eccessivamente recessiva della
valutazione del progetto tecnico. Pertanto,
diventa irrilevante l’impugnazione delle
disposizioni della lex specialis, in quanto
l’accoglimento del ricorso è correttamente
fondato sull’interpretazione di tali
previsioni, e non sulla loro illegittimità
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.09.2008 n. 4348 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quando è possibile escludere le
nuove superfici e i nuovi volumi dalla
categoria della nuova costruzione.
Un manufatto deve essere considerato nuova
costruzione quando introduce una modifica
stabile del territorio. Il carattere
permanente di tale modifica non si misura in
base alla stabilità delle opere (come
avviene quando i materiali utilizzati non
siano amovibili con mezzi ordinari) ma in
base alla funzione svolta nel tempo dalla
nuova struttura. La modifica del territorio
può quindi essere realizzata anche con
materiali amovibili o modulari ma se manca
qualsiasi elemento di stagionalità,
temporaneità o periodicità nella presenza in
loco della nuova struttura si ricade per
esclusione nella categoria della nuova
costruzione.
Gli interventi edilizi non perdono la
qualificazione di nuova costruzione per il
solo fatto di essere collegati a un altro
edificio. Per qualificare una nuova opera
come manutenzione straordinaria è necessario
che sia evidente e prevalente la finalità di
rinnovare e sostituire parti strutturali di
edifici già realizzati. Solo la normativa
statale prevede che la manutenzione
straordinaria non possa alterare i volumi e
le superfici esistenti (art. 3 comma 1 lett.
b del DPR 380/2001), mentre tale limitazione
non è inserita nella normativa regionale
(art. 27 comma 1 lett. b della LR 12/2005),
ma la creazione di nuove superfici e nuovi
volumi (tranne nel caso di realizzazione e
integrazione dei servizi igienico-sanitari e
tecnologici, eccezione espressamente
codificata) non può mai essere considerata
come un’operazione neutrale rispetto alla
consumazione del territorio. Dunque per
quanto stretta possa essere la relazione tra
la nuova struttura e l’edificio esistente la
manutenzione effettuata su quest’ultimo non
può giustificare la realizzazione di opere
esterne con creazione di superfici e volumi.
L’unica via attraverso cui è possibile
escludere le nuove superfici e i nuovi
volumi dalla categoria della nuova
costruzione è la qualificazione come
pertinenza ai sensi dell’art. 3 comma 1
lett. e-6) del DPR 380/2001 e dell’art. 27
comma 1 lett. e-6) della LR 12/2005. Si
tratta tuttavia di una possibilità con
plurime limitazioni. In proposito si osserva
che ai fini urbanistici non vale il concetto
civilistico di pertinenza ex art. 817 cc.
(v. TAR Firenze Sez. III 27.11.2006 n. 6052)
ma una nozione più ristretta basata sulla
valutazione economica del bene e sul peso
per il territorio. L’applicazione puntuale
di questi criteri ai singoli interventi
edilizi è mediata dagli strumenti
urbanistici comunali, ai quali le predette
norme affidano il compito di distinguere le
pertinenze dalle nuove costruzioni
assoggettate a permesso di costruire. Nel
caso in esame è vero che la tensostruttura
non ha una funzione autonoma rispetto al
resto del capannone, e inoltre utilizzando i
dati riportati sopra ai punti 2 e 5 il
volume aggiunto non sembra superare il 20%
del volume esistente (soglia oltre la quale
è la stessa normativa statale e regionale a
escludere la presenza di un intervento
edilizio pertinenziale). Tuttavia non si
tratta di un’opera di scarsa rilevanza in
termini assoluti (né sotto il profilo
economico né per quanto riguarda l’impatto
sul territorio) e quindi ai fini
dell’attribuzione o meno del carattere
pertinenziale è decisiva la disciplina
urbanistica comunale. In proposito si
osserva che in mancanza specificazioni in
senso opposto nell’art. 29 delle NTA
relativo alla zona D1 l’aggiunta di nuova
superficie produttiva ricade nelle categorie
(tra loro equivalenti) della saturazione e
della nuova costruzione previste dalla
suddetta norma. Solo una puntuale
disposizione dello strumento urbanistico
comunale potrebbe infatti stabilire a quali
condizioni la saturazione (o l’edificazione
su lotto saturo) sia tollerabile come
pertinenza di un edificio già realizzato.
Poiché una simile norma non è presente si
deve concludere che il divieto di superare
il rapporto di copertura sia tassativo e
inderogabile (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.09.2008 n. 990 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla
legittimità dell’esclusione di due imprese
partecipanti ad una gara bandita da un
comune per l'affidamento di un servizio per
collegamento presuntivo tra imprese ex art.
2359, 3° c. c.c..
E’ legittima l’esclusione di due imprese
partecipanti alla gara (sia pure mediante
due raggruppamenti distinti) bandita da un
comune per l'affidamento di un servizio per
collegamento presuntivo tra imprese ex art.
2359, 3° c. c.c..
Il D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 (Codice dei
contratti pubblici, relativi a lavori,
servizi e forniture), infatti, ha attribuito
espressamente rilevanza non solo al
collegamento sostanziale tra imprese, ma
anche a quello presunto ex art. 2359, c. 3
c.c. Invero, di detta normativa ha preso
atto anche l’Autorità di vigilanza sui
lavori pubblici (ora sui contratti pubblici)
con la determinazione n. 1 del 29.03.2007,
ove viene affermato che "quella prevista
dall’art. 2359, comma 3, c.c., vale a dire
la situazione di collegamento presunto in
funzione dell’influenza notevole esercitata
da un soggetto su un altro soggetto, senza
necessità di ulteriori indagini al fine di
accertare il collegamento stesso".
La Commissione di gara nel caso di
collegamento presunto ex. 2359, 3° c., c.c.,
non deve fornire ulteriori indizi da cui
desumere la presenza di un unico centro
decisionale, essendo l'influenza notevole
desumibile ex lege, diversamente da quanto
avviene per l'ipotesi del collegamento
sostanziale tra imprese (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2008 n. 4285 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Un obbligo per il Comune
rispondere al cittadino. La Pubblica
Amministrazione deve concludere i
procedimenti con un provvedimento espresso.
La Pubblica
Amministrazione ha sempre l’obbligo di
rispondere alle istanze dei privati e deve
farlo entro un dato termine con un
provvedimento esplicito
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 05.09.2008 n. 8118 -
link a www.cittadinolex.kataweb.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Prescrizione ed ordine di
demolizione.
L'estinzione per prescrizione del reato di
costruzione abusiva travolge l'ordine di
demolizione delle opere illecite, fermo
restando l'autonomo potere dovere
dell'autorità amministrativa (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.09.2008 n. 35451 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
natura di una variante in corso d'opera
consistente nella roto-traslazione della
sagoma dell'edificio rispetto all'ubicazione
originaria.
Il Consiglio di Stato (sez. V, 03.08.2004 ,
n. 5429; sez. V, 2001 n. 1898) ritiene che “gli
elementi rilevanti al fine della distinzione
tra variante alla concessione edilizia e
nuova concessione edilizia sono
esclusivamente le modifiche di carattere
qualitativo o quantitativo rispetto al
progetto originario apportate, in
particolare, a superficie coperta,
perimetro, volumetria ed alle
caratteristiche funzionali e strutturali
(interne ed esterne) dell'edificio”.
Conseguenze di questa giurisprudenza sono
che “deve considerarsi variante minore, o
non essenziale, quella consistente in una
modesta roto-traslazione della sagoma
dell'edificio oggetto della concessione di
costruzione rispetto all'ubicazione
originaria”.
Ne deriva che l’importanza della traslazione
e la sua incidenza sull’assetto urbanistico
dell’area e la violazione delle specifiche
norme edilizie devono formare oggetto di una
puntuale motivazione (nella specie assente)
dell’amministrazione comunale, cui compete
la responsabilità amministrativa in materia
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 27.08.2008 n. 1631 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla partecipazione a gare di
appalto da parte di società miste regionali
e locali.
A seguito
dell’entrata in vigore dell’art. 13 del
decreto legge Bersani, le società miste,
costituite da enti locali per la gestione di
servizi pubblici all’interno del territorio
di riferimento, non possono più partecipare
a gare di appalto indette da altre
Amministrazioni.
E’, pertanto, illegittima l’aggiudicazione
della gara in favore di una società mista
costituita da diverso Comune, stante la
vigenza del divieto in questione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2008 n. 4080 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di demolizione -
Inottemperanza - Acquisizione opera abusiva
e sequestro penale - Automaticità
dell’ablazione - Art. 7 c. 4 L. 47/1985
(oggi art. 31 c. 4 TU 380/2001).
L'art. 7 c. 4 L. 47/1985 (ora art. 31 c. 4
TU 380/2001) determina l'effetto ablatorio
ipso iure conseguente all'accertata
inottemperanza all'ordine di demolizione del
manufatto abusivo non è impedita dal
sequestro penale del manufatto medesimo, ben
potendosi richiedere all'autorità
giudiziaria procedente l'autorizzazione ad
accedere al luogo vincolato ed a quella
amministrativa di procedere alla demolizione
del manufatto. L'automaticità della
ablazione comporta l'immediato trasferimento
del manufatto sempre che non vi sia un
proprietario incolpevole estraneo all’abuso
edilizio, che i beni siano individuati in
maniera particolareggiata, che non sia
intervenuta una proroga da parte della
Pubblica Amministrazione, che non siano in
corso procedimenti amministrativi, che la
inosservanza dell'ordine sia volontaria.
Infine, la sopravvenuta domanda di
sanatoria, in assenza dei necessari
presupposti per il suo accoglimento, non
comporta alcuna necessità di un riesame
della pregressa e non modificata situazione,
in fatto ed in diritto, che ha giustificato
l'ordine di demolizione (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.08.2008 n. 32709 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Mutamento della destinazione
d’uso - Limiti della disciplina regionale
(Sicilia) - Artt. 31, 44 e 10, c. 2 e 3 del
D.P.R. n. 380/2001.
In materia urbanistica le disposizioni
introdotte da leggi regionali devono
rispettare i principi generali stabiliti
dalla legislazione nazionale e,
conseguentemente devono essere interpretate
in modo da non collidere con i detti
principi (cass. pen. sez. III sent. del
15/06/2006). Deve quindi escludersi, in
ossequio al principio di legalità, che la
scelta di criminalizzare o meno una certa
condotta possa attribuirsi alla Regione. Del
resto la formulazione dell'art. 10, commi 2
e 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 consente
alle Regioni l'esercizio di una flessibilità
normativa nella direzione di ampliare l'area
applicativa del permesso di costruire ma non
determina un ampliamento del potere delle
Regioni tale da consentire di eliminare una
sanzione penale in una parte del territorio
nazionale. E' conforme all'indicato
principio la motivazione del giudice di
merito che, richiamando l'art. 31 del d.p.r.
n. 380 del 2001, con riferimento all'art. 44
dello stesso d.p.r., (Cass. pen. 15/03/2002,
n. 19378) abbia rilevato che, il mutamento
di destinazione d'uso degli immobili,
effettuato con opere interne, è possibile
senza il previo rilascio di concessione
edilizia purché detta modificazione
intervenga entro categorie omogenee quanto a
parametri urbanistici, atteso che la
modificazione di destinazione d'uso
giuridicamente e penalmente rilevante è
quella che avviene tra macrocategorie, in
quanto comporta il mutamento degli standard
urbanistici e la variazione del carico
urbanistico.
Trasformazione edilizia
ed urbanistica - Mutamento di destinazione
di uso - Competenza esclusiva attribuita
alla Regione Siciliana - Limiti della
disciplina regionale - L n. 37/1985 - Art.
36 c. 1 L.R. Sicilia n. 71/1978 -
Fattispecie.
In materia urbanistica la Legge n. 37 del
1985, nonostante la competenza esclusiva
attribuita alla Regione Siciliana, deve
comunque rispettare i principi fondamentali
della legislazione nazionale e, quindi, deve
essere interpretata in modo da non collidere
con detti principi generali. Inoltre, l'art.
36 comma 1 della legge regionale n. 71 del
1978 sottopone a concessione edilizia
qualsivoglia attività comportante
trasformazione edilizia ed urbanistica del
territorio comunale, nonché il mutamento di
destinazione di uso degli immobili. Nella
specie, gli imputati, in possesso di
concessione edilizia a titolo gratuito ex
art. 9 della legge n. 10 del 1977 per le
opere da realizzare nelle zone agricole, -
ivi comprese le residenze, in funzione della
conduzione del fondo e delle esigenze
dell'imprenditore agricolo a titolo
principale, ai sensi dell'art. 12 della
legge 09.05.1975, n. 1537 avevano modificato
arbitrariamente la destinazione di uso del
capannone da adibire a deposito di macchine
agricole, realizzando un'attività
commerciale di autocarrozzeria, con
stravolgimento della normale destinazione
urbanistica dell'immobile e con notevole
aggravamento del territorio.
Abuso edilizio - Data di
commissione del reato - Onere della prova.
In tema di abuso edilizio/urbanistico, non
basta la mera affermazione da parte
dell'imputato a far ritenere che il reato
sia stato commesso in epoca antecedente
all'accertamento e neppure a determinare
l'incertezza sulla data di commissione del
reato idonea a far scattare la presunzione
"in dubio pro reo", atteso che in base al
principio generale ciascuno deve fornire la
prova di quanto afferma (v. Cass. pen. sez.
III sent. 17/04/2000, n. 10562, Fretto S)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.07.2008 n. 31135 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Aggiudicazione dei servizi
informatici del Comune di Mantova -
Aggiudicazione diretta senza previa
pubblicazione di un bando di gara - Artt. 11
e 15, n. 2, Direttiva 92/50/CEE.
L’indizione di una gara pubblica,
conformemente alle direttive relative
all’aggiudicazione degli appalti pubblici,
non è obbligatoria, anche quando
l’affidatario è un ente giuridicamente
distinto dall’amministrazione
aggiudicatrice, qualora siano soddisfatte le
due condizioni seguenti. Da un lato,
l’amministrazione pubblica, che è
un’amministrazione aggiudicatrice, deve
esercitare sull’ente giuridicamente distinto
di cui trattasi un controllo analogo a
quello che esercita sui propri servizi e,
dall’altro, tale ente deve svolgere la parte
più importante della sua attività con l’ente
o gli enti pubblici che lo detengono (v., in
particolare, sentenze Teckal, e 8/04/2008,
causa C‑337/05, Commissione/Italia).
Appalti pubblici di
servizi - Controllo della P.A..
In tema di appalti, l’autorità pubblica deve
controllare, verificare è tener conto non
solo di tutte le disposizioni normative, ma
altresì delle circostanze pertinenti del
caso di specie. Dall’esame deve risultare
che la società aggiudicataria è soggetta a
un controllo che consente
all’amministrazione aggiudicatrice di
condizionarne le decisioni. Deve trattarsi
di una possibilità di influenza determinante
sia sugli obiettivi strategici sia sulle
decisioni importanti di detta società (v.
sentenze 13/10/2005, causa C‑458/03, Parking
Brixen e 11/05/2006, causa C‑340/04,
Carbotermo e Consorzio Alisei) (Corte di
Giustizia delle Comunità Europee, Sez. II,
sentenza 17.07.2008, n. C-371/05
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AMBIENTE-ECOLOGIA:
ACQUA - Effluenti da allevamento
- Utilizzazione agronomica - Disciplina
vigente - D.L.vo n. 4/2008.
Il D.L.vo n. 4/2008 sopprimendo all'art. 101
co. 7 lett. b) del D.L.vo n. 152/2006 le
parole "che, per quanto riguarda gli
effluenti di allevamento, praticano
l'utilizzazione agronomica in conformità
alla disciplina regionale stabilita sulla
base dei criteri e delle norme tecniche
generali di cui all'art. 112, comma 2 e che
dispongono di almeno un ettaro di terreno
agricolo per ognuna delle quantità indicate
nella tabella 6 dell'Allegato 5 alla parte
terza del presente decreto", parifica
oramai, senza possibilità di limitazioni,
alle acque reflue domestiche le acque reflue
provenienti dall'attività di allevamento del
bestiame.
La modifica normativa operata, comportando
il venire meno della "connessione funzionale
dell'allevamento con la coltivazione della
terra" e dei criteri di individuazione di
tale connessione capovolge sostanzialmente i
termini della questione rispetto alla
disciplina regolata dal DLvo 152/2006.
Mentre, infatti, con la situazione normativa
pregressa le acque reflue provenienti da una
attività di allevamento del bestiame
andavano considerate, ai fini della
disciplina degli scarichi e delle
autorizzazioni, come acque reflue
industriali, e solo eccezionalmente potevano
essere assimilate, ai detti fini, alle acque
reflue domestiche qualora fosse dimostrata
la presenza delle condizioni indicate ora,
per effetto della caducazione indicata,
l'assimilazione prevista al comma 7
dell'art. 101 delle acque reflue domestiche
a quelle provenienti da imprese dedite
all'allevamento di bestiame, diviene la
regola.
Per effetto di tali modifiche si deve
ritenere, pertanto, oramai di regola
sanzionato solo in via amministrativa, ai
sensi dell'art. 133 co. 2 DLvo 152/2006 lo
scarico senza autorizzazione degli effluenti
di allevamento. L'unica eccezione rimane
dunque quella - richiamata ad excludendum
dal comma 7 dell'art. 101 - dell'art. 112
DLvo 152/2006 che regola l'utilizzazione
agronomica. Posto dunque che l'utilizzazione
agronomica, se in linea con la normativa
vigente, anche in passato era da considerare
legittima e non rientrava quindi in alcuna
delle fattispecie sanzionatorie dell'art.
137 DLvo 152/2006, si deve ora ritenere che
per effetto del combinato delle disposizioni
degli artt. 101 co. 7, 112 e 137 co. 14 del
DLvo 152/2006 (che, invece, non ha subito
modifiche) nel caso di gestione degli
effluenti di allevamento, continua a
mantenere rilevanza penale la sola
utilizzazione agronomica -così come definita
dall'art. 74 lett p)- nelle ipotesi in cui
la stessa avvenga al di fuori dei casi o dei
limiti consentiti (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 02.07.2008 n. 26532 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Demolizione immobile abusivo -
Procedura - Scadenza del termine -
Trasferimento automatico al patrimonio
comunale.
Il trasferimento al patrimonio comunale
della proprietà dell'immobile abusivo,
automaticamente conseguente alla scadenza
del termine di 90 giorni fissato per
l'ottemperanza all'ordinanza di demolizione,
non costituisce impedimento giuridico a che
il privato responsabile esegua l'ordine di
demolizione impartitogli dal giudice con la
sentenza di condanna, salvo che l'autorità
comunale abbia dichiarato l'esistenza di
interessi pubblici prevalenti rispetto a
quello del ripristino dell'assetto
urbanistico violato (Cass. Sez. III sent.
28/11/2007, n. 4962). Il soggetto condannato
può infatti richiedere al Comune, divenuto
medio tempore proprietario, l'autorizzazione
a procedere alla demolizione a proprie
spese, così come può provvedervi, a spese
del condannato, l'autorità giudiziaria
(Cass. pen. sent. 11/05/2005, n. 37120).
Abusi edilizi commessi
in aree sottoposte a vincolo paesaggistico -
Condono edilizio - Limiti - Abusi edilizi
minori.
In tema di abusi edilizi commessi in aree
sottoposte a vincolo paesaggistico, la
disciplina dettata dall'art. 32 del DL
30.09.2003, n. 269 (convertito con
modificazioni in legge 24.11.2003, n. 326)
esclude del tutto l'applicazione del condono
edilizio per gli abusi edilizi maggiori
(nuove costruzioni o ristrutturazioni
edilizie), mentre per gli abusi edilizi
minori (interventi di restauro, risanamento
conservativo e manutenzione straordinaria)
lo consente a condizione che questi ultimi
siano conformi alle norme urbanistiche
ovvero alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici (Cass. Pen. Sez. III sent.
11/04/2007, n. 35222) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 19.06.2008 n. 25117 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DISTANZE TRA FABBRICATI -
NORMATIVA APPLICABILE – INAPPLICABILITA’ IN
RIFERIMENTO AD UNA PUBBLICA VIA -
PRESUPPOSTI.
…l'esonero dal rispetto delle distanze
legali previsto dall'art. 879, comma 2, c.c.
per le costruzioni a confine con le piazze e
vie pubbliche, vada riferito anche alle
costruzioni a confine delle strade di
proprietà privata gravate da servitù
pubbliche di passaggio, attenendo il
carattere pubblico della strada -rilevante
ai fini dell'applicazione della norma
citata- più che alla proprietà formale del
bene all'uso concreto di esso da parte della
collettività ….
…anche una strada privata poteva assumere
una connotazione pubblicistica rilevante ex
art. 879 cit. laddove essa fosse stata
effettivamente asservita ad uso pubblico e
tale uso avesse trovato titolo, se non in
una convenzione tra i proprietari del suolo
stradale e l'ente pubblico, in una
protrazione di fatto del medesimo per il
tempo necessario alla relativa usucapione (Tribunale
di Nola, Sez. II civile,
sentenza 17.06.2008 - link a
www.iussit.eu). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di veranda in senso
tecnico-giuridico - Mancanza di precarietà -
Permesso di costruire - Necessità -
Realizzazione di una veranda -
Classificazione come intervento di
manutenzione straordinaria e di restauro -
Esclusione.
La realizzazione di una veranda, anche
mediante chiusura a mezzo di installazione
di pannelli di vetro su intelaiatura
metallica od altri elementi costruttivi, non
costituisce intervento di manutenzione
straordinaria e di restauro, ma è opera
soggetta già a concessione edilizia ed
attualmente a permesso di costruire (tra le
tante, Cass., Sez. III: 18.09.2007, n.
35011, Camarda; Cass., 28.10.2004,
D'Aurelio; Cass., 27.03.2000, n. 3879,
Spaventi). Il medesimo orientamento si
rinviene nelle decisioni dei giudici
amministrativi (vedi Cons. Stato, Sez. V:
08.04.1999, n. 394 e 22.07.1992, n. 67.5,
nonché Cons. giust. amm. sic., Sez. riunite,
15.10.1991, n. 345). In particolare, una
veranda è da considerarsi, in senso
tecnico-giuridico, un nuovo locale
autonomamente utilizzabile e difetta
normalmente del carattere di precarietà,
trattandosi di opera destinata non a
sopperire ad esigenze temporanee e
contingenti con la sua successiva rimozione,
ma a durare nel tempo, ampliando così il
godimento dell'immobile.
Veranda - Natura
"precaria" di un manufatto - Presupposti -
Fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo - Giurisprudenza.
La natura "precaria" di un manufatto
-secondo giurisprudenza costante [Cass.,
Sez. III: 13.06.2006, n. 20189, ric.
Cavallini; 27.09.2004, n. 37992, ric. Mandò;
10.06.2003, n. 24898, ric. Nagni;
10.10.1999, n. 11839, ric. Piparo;
26.03.1999, n. 4002, ric. Bortolotti]- ai
fini dell'esenzione dal permesso di
costruire (già concessione edilizia), non
può essere desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente data all'opera
dal costruttore ma deve ricollegarsi alla
intrinseca destinazione materiale di essa ad
un uso realmente precario e temporaneo, per
fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente e sollecita
eliminazione, non essendo sufficiente che si
tratti eventualmente di un manufatto
smontabile e/o non infisso al suolo.
Realizzazione di una
veranda in zona vincolata - Pregiudizio per
l'ambiente - Art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999
attualmente art. 181, c. 1, D.Lgs. n.
42/2004 - Fattispecie: realizzazione di una
veranda.
Il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. n.
490/1999 (già art. 1-sexies della legge n.
431/1985 ed attualmente art. 181, comma 1,
del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42) è reato di
pericolo e, pertanto, per la configurabilità
dell'illecito, non è necessario un effettivo
pregiudizio per l'ambiente, potendo
escludersi dal novero delle condotte
penalmente rilevanti soltanto quelle che si
prospettano inidonee, pure in astratto, a
compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici [vedi, tra
le pronunzie più recenti, Cass., Sez. III:
29.11.2001, Zecca ed altro; 1.5.4.2002, P.G.
in proc. Negri; 14.05.2002, Migliore;
04.10.2002, Debertol; 07.03.2003, Spinosa;
06.05.2003, Cassisa; 23.05.2003, P.M. in
proc. Invernici; 26.05.2003, Sargentini;
05.08.2003, Mori; 07.10.2003, Fierro].
Fattispecie: esecuzione di una veranda ed
altre opere oggettivamente non irrilevanti
ed astrattamente idonei a compromettere
l'ambiente (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.06.2008 n. 23086 -
link a www.ambientediritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
1. Atto amministrativo - Procedimento
amministrativo - Comunicazione di avvio -
Atto vincolato - Necessità - Non sussiste.
1.
La comunicazione di avvio del procedimento
non è dovuta nel caso di adozione di un atto
vincolato, atteso che proprio la natura
vincolata dell'atto esclude la possibilità
di apporti contributivi da parte del privato
tali da modificare l'esito del procedimento
(il TAR dà atto anche dell'esistenza di un
filone giurisprudenziale di senso contrario
a quello espresso dai giudici meneghini)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.05.2008 n.
1827
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Trasferimento
attività - Equiparabilità all'apertura di
nuova attività - Sussiste.
2. Ricorso giurisdizionale - Impugnazione N.T.A. - Mancata impugnazione concessione
edilizia - Inammissibilità ricorso -
Sussiste.
1. Il trasferimento di un'attività da un
luogo ad un altro, dotato di una specifica
destinazione urbanistica, è equiparabile
all'apertura di una nuova attività
nell'immobile di destinazione; inoltre, il
riconoscimento della legittimità dello
svolgimento dell'attività insalubre di prima
classe in un luogo limitrofo, effettuato dal
Giudice Amministrativo, non può legittimare
il suo trasferimento in altro luogo in
contrasto con le specifiche destinazioni
urbanistiche ed edilizie.
2. Qualora venga impugnata una norma delle N.T.A. di un P.R.G. sulla base della quale
sia stata rilasciata una concessione
edilizia, ma non venga unitamente impugnata
anche la concessione edilizia, il ricorso è
inammissibile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.05.2008 n.
1827
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire - Chiusura
balcone - Necessità.
La chiusura dei balconi mediante
serramenti, trasforma questi spazi aperti
verso l'esterno in locali chiusi, con cambio
di destinazione, modifica della sagoma ed
aumento della volumetria dell'immobile tali
da richiedere un titolo abilitativo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.05.2008 n.
1803
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Attività
edilizia - Modifiche di superficie e
destinazione d'uso - Ristrutturazione
edilizia - Sussistenza - Concessione
edilizia - Necessità.
2. Condono
edilizio ex Legge 47/1985 - Domanda -
Inesatta rappresentazione della realtà su un
presupposto essenziale - Ipotesi di domanda
dolosamente infedele ex art. 40 L. 47/1985 -
Sussiste - Silenzio assenso - Inconfigurabilità.
3. Procedimento amministrativo - Preavviso
di diniego - Violazione art. 10-bis Legge
241/1990 - Illegittimità - Quando sussiste.
4. Condono
edilizio ex Legge 47/1985 - Requisiti per
l'ottenimento - Prova - Onere del
richiedente.
1. Le opere edilizie comportanti la
realizzazione di nuove unità abitative ed il
mutamento di destinazione d'uso, pur se
giustificate da esigenze di rinnovamento e
di restauro, costituiscono ristrutturazione
edilizia -e non manutenzione straordinaria- e, pertanto, necessitano di concessione
edilizia; in particolare, la realizzazione
di tramezzi interni, propedeutici alla
realizzazione di nuovi vani, e la creazione
di servizi igienici non sono riconducibili
al concetto di manutenzione straordinaria.
2. Nel disciplinare la formazione del
silenzio assenso sulle domande di condono,
gli artt. 35-40 della Legge 47/1985 indicano
quale elemento in presenza del quale il
silenzio assenso non può formarsi, la dolosa
infedeltà della domanda; pertanto il
silenzio assenso di cui all'art. 40, il
quale prevede che, decorso il termine
perentorio di 24 mesi dalla presentazione
della domanda, la stessa si intende accolta,
non si applica laddove la dichiarazione resa
dalla parte in sede di presentazione della
domanda di condono non sia ritenuta vera
all'esito dell'istruttoria (cfr. TAR
Palermo, sentenza. n. 2369/2006).
3. La violazione dell'art. 10-bis Legge
241/1990, secondo cui il diniego deve essere
preceduto dal preavviso di rigetto, non
produce ex se l'illegittimità del
provvedimento terminale, dovendo detta
disposizione essere interpretata alla luce
del successivo art. 21-octies, il quale,
laddove il ricorrente sollevi determinati
vizi di natura formale, impone al Giudice di
valutare il contenuto sostanziale del
provvedimento e di non annullare l'atto nel
caso in cui le violazioni formali non
abbiano inciso sulla legittimità sostanziale
del provvedimento impugnato (cfr. TAR
Lecce., sent. n. 1385/2006; sent. n.
5633/2005).
4. Spetta a colui che richiede la sanatoria
dimostrare di avere i requisiti per ottenere
il provvedimento richiesto e, quindi, anche
quello di provare la situazione esistente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.05.2008 n.
1802
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Inerzia P.A. - Non
configurabilità - Fattispecie.
Non si può configurare l'inerzia
dell'Amministrazione in ordine alla denuncia
presentata dai ricorrenti relativa a
presunti abusi edilizi commessi dal vicino
confinante quanto tale denuncia sia
meramente ripetitiva di precedenti
segnalazioni rispetto alle quali il Comune
ha provveduto nel merito. Né in contrario
può ritenersi inadempiente l'amministrazione
per il solo fatto che non ha dato risposta
alla richiesta di provvedimenti specifici,
atteso che oggetto del giudizio sul silenzio
è l'inerzia dell'amministrazione e non le
modalità di svolgimento dell'azione
amministrativa
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.05.2008 n.
1801
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EDILIZIA PRIVATA:
Opere di
trasformazione del territorio - Interesse
all'impugnazione - Legittimazione attiva -
Criteri - Fattispecie.
Nelle controversie attinenti alla
realizzazione di interventi edilizi, se è
vero che l'ordinamento riconosce una
posizione qualificata e differenziata, ai
fini di impugnare i provvedimenti di assenso
alla trasformazione del territorio, a tutti
coloro che si trovano in una situazione di
stabile collegamento con la zona interessata
dalle opere contestate, è anche vero che -
in concreto - devono ritenersi titolati
all'impugnativa solo i soggetti che possono
lamentare una rilevante e pregiudizievole
alterazione del preesistente assetto
urbanistico ed edilizio, per effetto della
realizzazione dell'intervento controverso.
Nel caso di specie il TAR ha ritenuto che
l'interesse rappresentato dai ricorrenti,
residenti nelle immediate vicinanze di aree
in Milano - zona Garibaldi-Repubblica,
rappresentato dal rispetto dell'assetto
urbanistico ambientale ed il pregiudizio
indicato nella lesione dell'interesse
all'armonico sviluppo edilizio e a un
controllato sviluppo del contesto urbano e
dalla totale assenza di valutazione degli
impatti ambientali connessi alle opere che
si intendono realizzare è generico non
essendo stata evidenziata la lesione
effettivamente sofferta dagli stessi (vale a
dire i disagi che conseguono alla
realizzazione dell'intervento rispetto
all'attuale assetto) e se tale lesione fosse
riconducibile eziologicamente agli
interventi programmati
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
09.05.2008 n.
1551
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ATTI AMMINISTRATIVI:
ACQUE - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
- Richiesta di proroga dell’autorizzazione
allo scarico via fax - Efficacia –
Fondamento.
Non è adeguatamente motivata l’ordinanza con
la quale il Tribunale del riesame si limiti
ad affermare l’insufficienza e la parzialità
del fax come mezzo prescelto per la
richiesta di proroga di autorizzazione allo
scarico. Usualmente si ritiene che il mezzo
prescelto (fax) implica normalmente la
conoscenza o la conoscibilità del contenuto
di una comunicazione, tant'è che, ad
esempio, il DPR 28.12.2000 n. 45 (Testo
unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione
amministrativa) all'art. 43 u.c. contempla
che "I documenti trasmessi da chiunque ad
una pubblica amministrazione tramite fax, o
con altro mezzo telematico o informatico
idoneo ad accertarne la fonte di
provenienza, soddisfano il requisito della
forma scritta e la loro trasmissione non
deve essere seguita da quella del documento
originale" e lo stesso codice di procedura
penale, allorquando ovviamente non sia
contemplato il ricorso ad un atto a forma
vincolata, ne contempla, sia pure a
determinate condizioni, l'utilizzo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.05.2008 n. 18353 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Autorizzazione e concessione - Passo
carraio - Chiusura - Legittimità -
Fattispecie.
2. Autorizzazione e concessione - Passo
carraio - Chiusura - Difetto di motivazione
- Non sussiste - Applicabilità dell'art.
21-octies L. 241/1990.
1. E' legittimo il provvedimento con il
quale l'Ente proprietario della strada
dispone, al fine di consentire la
realizzazione di lavori su aree pertinenziali alla strada provinciale, la
chiusura di un passo carraio (accesso)
utilizzato, ma non debitamente autorizzato
dalla stessa Provincia e che insiste,
peraltro, sul demanio provinciale.
2. Il lamentato difetto di motivazione del
provvedimento di motivazione non sussiste,
atteso che la motivazione sottesa alla
chiusura dell'accesso è rinvenibile norme
che regolamentano gli accessi attraverso i
passi carrai, poste a tutela della sicurezza
stradale(artt. 22 e segg. del Codice della
Strada e dell'art 46 del DPR 495/1992). Né il
provvedimento avrebbe potuto essere
annullato ex art. 21-octies L. 241/1990
atteso che l'inderogabilità della norme in
materia di distanze non poteva che portare
alla chiusura del passo carraio,
indipendentemente dalle eventuali
osservazioni prodotte dai ricorrenti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
06.05.2008 n.
1318
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ATTI AMMINISTRATIVI:
Procedimenti
ad istanza di parte - Modificazione da parte
della P.A. della qualificazione dell'istanza
del privato- Illegittimità.
Nei procedimenti ad istanza di parte
l'Amministrazione non può qualificare la
domanda del richiedente in modo diverso
rispetto a quanto rappresentato
dall'istante, dando così l'avvio ad un
procedimento differente, sia per quanto
riguarda gli effetti che le conseguenze. Ad
una domanda del privato corrisponde
l'attivazione di determinate funzioni e
l'esercizio di poteri tipici da parte
dell'Amministrazione, non commutabili né
sovrapponibili
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
29.04.2008 n.
1272
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rilevanti modifiche progettuali
quantitative e qualitative - Variante
essenziale - Sussiste- Nuova concessione
edilizia - Necessità.
La concessione in variante si distingue
da una nuova concessione in quanto solo nel
primo caso le modifiche quantitative e
qualitative sono compatibili con il disegno
globale che ha ispirato il progetto
originario, in modo che la costruzione
stessa possa considerarsi regolata dalla
prima concessione. Quando il progetto
originario risulta modificato in modo
rilevante, per quantità e qualità, rispetto
a quello originariamente assentito, ricorre
l'ipotesi della variante essenziale, per la
quale è necessaria una nuova concessione
edilizia
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
29.04.2008 n.
1272
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Destinazione di
un piazzale a deposito duraturo di
autoveicoli - Comporta attività di modifica
del territorio urbanisticamente rilevante -
Necessità di titolo abilitativo edilizio -
Sussiste.
2. Realizzazione di
opere o destinazione di un'area ad usi
precari - Non comporta attività di modifica
del territorio urbanisticamente rilevante -
Necessità di titolo abilitativo edilizio -
Non sussiste.
3. Fascia di
rispetto stradale - Carattere espropriativo
del vincolo - Non sussiste - Carattere conformativo del vincolo - Sussiste.
4. Vincolo
urbanistico - Qualificazione - Dipende dalla
circostanza che il vincolo precluda o meno
l'iniziativa privata - Vincolo espropriativo
- Sussiste solo quando il bene viene
sottratto alla disponibilità del privato.
1. Adibire un piazzale in modo duraturo al
deposito di autoveicoli costituisce attività
di modifica dell'assetto del territorio urbanisticamente rilevante e quindi
necessitante di titolo abilitativo.
2. È irrilevante sul piano urbanistico, e
rientra nel mero esercizio del diritto di
proprietà, la realizzazione di opere o la
destinazione di un'area ad usi precari, in
quanto le opere precarie sono inidonee ad
incidere sull'assetto urbanistico del
territorio.
3. L'apposizione di una fascia di rispetto
stradale non ha carattere espropriativo, ma
rappresenta vincolo conformativo,
conseguenza di una previsione generale ed
astratta relativa a tutte le aree del
territorio comunale che si trovino in una
certa situazione.
4.
Ciò che è decisivo per qualificare la natura
di un vincolo urbanistico non è la quantità
di facoltà dominicali incise, ma la
circostanza che il vincolo non precluda del
tutto l'iniziativa privata, consentendo
l'utilizzazione dell'area da parte della
collettività anche tramite costruzioni non
di proprietà pubblica; in presenza di tali
possibilità di utilizzo del bene non si può
parlare di un vincolo espropriativo, perché
di espropriazione in senso tecnico si può
parlare solo quando il bene viene sottratto
alla disponibilità del privato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
28.04.2008 n.
1271). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Calcolo degli
oneri concessori dovuti ai sensi del D.M.
10.05.1977 - Va utilizzata una distinta
scheda di calcolo per ogni singolo edificio.
2. Determinazione
dell'importo degli oneri concessori -
Possibilità d'impugnativa della concreta
determinazione soltanto per vizio di
violazione di legge e non per eccesso di
potere.
3. Determinazione
del costo di costruzione - Art. 7 punto 2
del D.M. 10.05.1977 nel determinare
l'incremento relativo a caratteristiche
particolare pari al 10 per cento ricomprende
la scala di servizio non prescritta da leggi
o regolamenti o imposta da necessità di
prevenzione di infortuni o incendi - Scala
di collegamento interna - Possibile
assimilabilità - Sussiste.
1. Ai sensi del D.M. 10.05.1977, nella
determinazione degli oneri concessori
dovuti, l'Amministrazione comunale deve
adottare una distinta scheda di calcolo per
ciascun edificio.
2. La controversia avente ad oggetto la
determinazione dell'importo degli oneri di
costruzione involge posizioni di diritto
soggettivo e l'impugnazione della loro
concreta quantificazione soggiace,
eventualmente, al vizio di violazione di
legge, ma non può soggiacere ad un vizio
sintomatico dell'eccesso di potere, quale
quello della contraddittorietà delle scelte
operate dalla P.A..
3. L'art. 7, punto 2 del D.M. 10.05.1977 nel
determinare l'incremento relativo a
caratteristiche particolari indica
espressamente tra le caratteristiche a cui
ricondurre un incremento del 10 per cento
l'esistenza di un scala di servizio non
prescritta da leggi o regolamenti o imposta
da necessità di prevenzione di infortuni o
di incendi, a cui può essere riconducibile
una scala di collegamento interna
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
23.04.2008 n.
1246). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio non
condonato - Sanzioni ordinarie ex art. 40,
L. 28.02.1985, n. 47 - Sono
applicabili - Potere di controllo e
sanzionatorio in materia urbanistico-edilizia e paesistica - È
imprescrittibile.
Alle opere abusive che non abbiano
beneficiato di "condoni" edilizi si
applicano le ordinarie sanzioni (cfr. art.
40 legge 28.02.1985 n. 47), essendo
imprescrittibile l'esercizio del potere di
controllo e sanzionatorio in materia urbanistico-edilizia e paesistica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
21.04.2008 n.
1261
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Art. 4. L. n.
47/1985 - Abuso edilizio - Ordinanza di
sospensione lavori - Scadenza del termine di
45 giorni - Inefficacia del provvedimento
sospensivo - Sussiste - Improcedibilità
dell'impugnazione dell'ordinanza di
sospensione - Sussiste.
2. Concessione
edilizia - Rilascio della concessione e sua
sottoscrizione - Comporta il perfezionamento
del titolo - Eventuale ritiro o notifica in
un momento successivo - Non rileva.
3. Concessione
edilizia - Carattere recettizio - Non
sussiste.
4. Titolo
abilitativo edilizio rilasciato - Contrasto
con la pianificazione generale sopravvenuta
- Art. 31, comma 11, L. n. 1150/1942 -
Potere di annullamento del titolo - Non
sussiste - Decadenza con effetti ex nunc,
con il limite dell'inizio dei lavori e del
loro completamento nei termini di legge -
Sussiste.
1. Secondo giurisprudenza unanime, la norma
dell'art. 4 della legge 28.02.1985, n.
47 (trasfuso poi nell'art. 27 D.P.R. 380/2001) dev'essere interpretata nel senso che la
scadenza del termine di quarantacinque
giorni dall'ordine di sospensione dei lavori
comporta l'inefficacia del provvedimento
sospensivo adottato. Ne consegue, dal punto
di vista processuale, che è improcedibile,
per sopravvenuta carenza d'interesse,
l'impugnazione dell'ordinanza cautelare di
sospensione dei lavori abusivi, che sia
successivamente divenuta inefficace per
decorso del termine previsto dall'art. 4, l.
28.02.1985 n. 47, quando sia stata
seguita dal provvedimento sanzionatorio
definitivo, anch'esso impugnato, con la
conseguente inutilità per il ricorrente
dell'eventuale annullamento della precedente
ordinanza.
2. Nel caso in cui la consegna del titolo
abilitativo edilizio avvenga dopo molto
tempo dalla sua emanazione, il momento del
rilascio della concessione è quello in cui
si perfeziona, con la sottoscrizione, a
nulla rilevando l'eventuale ritiro o
notifica in un momento successivo.
3. La giurisprudenza inserisce la
concessione tra i provvedimenti la cui forza
esecutiva può esprimersi senza bisogno della
collaborazione dei destinatari e che, di
conseguenza, producono effetti dal momento
in cui si perfezionano. Tale
interpretazione, sorta al fine di combattere
la prassi di emanare il titolo edilizio ma
di non rilasciarlo fino all'integrale
pagamento degli oneri di urbanizzazione,
risulta oggi confermata dall'art. 21-bis
della L. 241/1990, introdotto dall'art. 14
della legge 11.02.2005 n. 15, il quale
attribuisce carattere recettizio ai
provvedimenti limitativi della sfera
giuridica dei destinatari e non ai
provvedimenti ampliativi, ai quali è da
ascrivere la concessione edilizia.
4. Nel caso in cui il titolo abilitativo
edilizio già rilasciato si ponga in
contrasto con la pianificazione generale
sopravvenuta, il potere che la legge (art.
31 comma 11, L. n. 1150/1942) riconosce
all'Amministrazione non è quello
dell'annullamento del titolo, che può essere
esercitato solo per vizi coevi al sorgere
del provvedimento, ma la decadenza con
effetti ex nunc, con il limite dell'inizio
dei lavori e del loro completamento nei
termini di legge. Ne consegue
l'illegittimità dell'esercizio del potere di
annullamento del titolo edilizio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
21.04.2008 n.
1236
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EDILIZIA PRIVATA:
Provvedimenti
repressivi di abusi edilizi assunti prima
della pronuncia sulla richiesta di rilascio
del titolo abilitativi -Illegittimità per
violazione dell'obbligo di cui all'art. 2
della L. n. 241/1990 e succ. mod. ed int. -
Sussiste.
Sono illegittimi per violazione dell'obbligo
di cui all'art. 2 della L. n. 241/1990 e
succ. mod. ed int., e per difetto di
motivazione, i provvedimenti assunti dalla
P.A. per reprimere interventi di demolizione
e ricostruzione, provvedimenti che la P.A.
ha notificato al privato prima di
pronunciarsi sulla richiesta di quest'ultimo
di autorizzazione alla predetta demolizione
e ricostruzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
21.04.2008 n.
1235
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione
edilizia in sanatoria - Rilascio del titolo
a seguito di fatti corruttivi accertati da
sentenza penale passata in giudicato -
Doverosità del pagamento degli oneri di
urbanizzazione ex art. 37, L. n. 47/1985 -
Non sussiste, in quanto tale pagamento è
parte integrante del fatto di reato.
2. Oneri di
urbanizzazione - Obbligo di restituzione
qualora il pagamento sia privo di causa -
Sussiste - Obbligo di restituzione qualora
la causa sia illecita - Non sussiste.
1. Laddove da una pronunzia in sede penale,
che produce effetti di giudicato anche nel
giudizio amministrativo ai sensi dell'art.
654 c.p.p., risulti che una concessione
edilizia in sanatoria è stata rilasciata a
seguito del pagamento di una "tangente" a
favore di funzionari corrotti, sia pur
previo pagamento degli oneri di
urbanizzazione in conformità agli atti
alterati, ai sensi dell'art. 37, L. n.
47/1985, tale pagamento è fatto costitutivo
della fattispecie criminosa realizzata e
parte integrante del fatto di reato. Deve,
di conseguenza, escludersi qualsiasi
"doverosità" di tale pagamento dolosamente
infedele e volto a creare l'apparenza di una
situazione lecita.
2. La restituzione degli oneri di
urbanizzazione è dovuta nel caso in cui il
relativo pagamento si appalesa come privo di
causa cosicché l'eventuale importo versato
deve essere restituito, come nell'ipotesi in
cui il titolare del titolo abilitativo
rinunci ad eseguire le opere o in caso di
decadenza della concessione edilizia già
rilasciata, intervenuta in conseguenza della
non tempestiva realizzazione del progetto
assentito e del sopravvenire di nuove
previsioni urbanistiche che lo rendono
definitivamente irrealizzabile. Diverso,
invece, è il caso in cui la causa sia
illecita e l'azione restitutoria sia
paralizzata dall'operatività dell'art. 2035 c.c.
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
21.04.2008 n.
1234
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EDILIZIA PRIVATA:
Interclusione a
strade soggette a servitù di pubblico
transito - È illegittima - Esigenza dei
requisiti del passaggio, della concreta
idoneità della strada a soddisfare esigenze
di generale interesse e del titolo valido a
sorreggere l'affermazione del diritto di uso
pubblico - Sussiste.
È illegittima ogni interclusione a strade,
anche private o vicinali, soggette a servitù
di pubblico transito. A tal fine si richiede
la sussistenza dei requisiti del passaggio
(esercitato iure servitutis publicae da una
collettività di persone qualificate
dall'appartenenza ad un comunità
territoriale), della concreta idoneità della
strada a soddisfare esigenze di generale
interesse (anche per il collegamento con la
pubblica via) e del titolo valido a
sorreggere l'affermazione del diritto di uso
pubblico, che può identificarsi anche nella
protrazione dell'uso stesso da tempo
immemorabile (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
18.04.2008 n.
1229
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EDILIZIA PRIVATA:
Richiesta di apertura di un nuovo
passo carraio - Incompatibilità del passo
carraio con la situazione viabilistica
-Diniego - Legittimità.
L'apertura di un nuovo passo carraio va
valutata non solo dal punto di vista
edilizio, ma anche in relazione alla
situazione viabilistica, con particolare
riferimento alle condizioni di sicurezza
della circolazione dell'area interessata. La
valutazione di incompatibilità con la
situazione della viabilità è sufficiente ex
se a giustificare il diniego,
indipendentemente dalla conformità edilizia
del progetto (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
18.04.2008 n.
1228
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EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di
concessione edilizia in sanatoria ex art. 13
della L.n. 47/1985 non sorretto da
circostanziata motivazione - Illegittimità.
E' illegittimo il diniego di concessione in
sanatoria ex art. 13 della L. n. 47/1985 non
sorretto da circostanziata motivazione,
esplicativa delle reali ragioni impeditive
al rilascio, da individuarsi nel contrasto
del progetto presentato con specifiche norme
urbanistiche, esplicitamente indicate e
legittimante la contrazione dello "ius
aedificandi" proprio del diritto dominicale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
14.04.2008 n.
1119
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EDILIZIA PRIVATA:
1. Realizzazione
ex novo di silos - Intervento qualificabile
come nuova costruzione - Assentibilità
mediante permesso di costruire - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Attività
amministrativa espressione di
discrezionalità tecnica - Sindacabilità da
parte del Giudice amministrativo - Limiti.
1. La realizzazione ex novo di silos è
qualificabile come intervento di nuova
costruzione assentibile, pertanto, con il
permesso di costruire.
2. A fronte di attività amministrativa
espressione di discrezionalità tecnica, il
giudice amministrativo può censurare
l'operato dell'amministrazione soltanto nel
caso in cui la decisione amministrativa sia
stata incoerente, irragionevole o frutto di
errore tecnico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
11.04.2008 n.
1111). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Valutazione da
parte della P.A. della conformità dei
progetti alle esigenze di ambientazione,
decoro, pregi architettonici - Esaurimento
al momento del rilascio della licenza -
Sussiste -Limiti- Autotutela -
Ammissibilità.
2. Limitazione
dello jus aedificandi - Legittimità -
Limiti.
3. Provvedimenti
di autotutela - Obbligo di motivazione del
preminente interesse pubblico - Sussiste -
Revoca di un provvedimento rilasciato in
base alla falsa rappresentazione della
realtà materiale - Preminente interesse
pubblico deve ritenersi sussistente in re ipsa - Obbligo di motivazione - Non
sussiste.
4. Provvedimento
di revoca di una licenza edilizia assentita
ex art. 7 della L. n. 94/1982 in assenza
degli adempimenti di cui all'art. 8 della
medesima legge - Illegittimità.
1. Il potere di valutare la conformità dei
progetti di costruzione alle generali
esigenze di ambientazione, decoro, pregi
architettonici, razionalità ecc., si
esaurisce al momento del rilascio della
licenza, a meno che non si riscontri la
violazione di una specifica normativa o di
una valida prescrizione urbanistica
edilizia, nel qual caso è facoltà della
Pubblica Amministrazione valutare
l'esistenza o meno dei presupposti per
l'annullamento in autotutela della
concessione.
2. Lo jus aedificandi di cui è titolare il
proprietario del suolo non può che essere
sacrificato in relazione a precisi limiti
imposti dalla legge o dalla pianificazione
urbanistica vigente e non certo con
valutazioni di mera opportunità che non
possono in nessun modo affievolire una
facoltà propria del diritto dominicale.
3. Anche in materia edilizia i provvedimenti
di autotutela debbono essere motivati con la
sussistenza di un preminente interesse
pubblico, in particolare quelli di revoca,
in considerazione dell'assenza di un vizio
di legittimità sottostante questo tipo di
atti, basati invece su ragioni di
opportunità, ad eccezione dell'ipotesi di
revoca del titolo abilitativo rilasciato in
base ad una falsa rappresentazione della
realtà materiale, in tale ipotesi il
preminente interesse pubblico deve ritenersi
sussistente in re ipsa.
4. E' illegittimo il provvedimento di revoca
di una licenza edilizia assentita ex art. 7
della L. n. 94/1982, senza che tale
provvedimento sia stato preceduto dagli
adempimenti di cui all'art. 8 della medesima
legge (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
11.04.2008 n.
1108
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Bonifica dell'area -
Ordinanza di rimessione in pristino o di
rimozione - Presupposti - Criterio generale
della inesigibilità - Art. 14 D. L.vo n.
22/1997 oggi art. 192 c. 3° D. L.vo n.
152/2006 - Fattispecie.
Ai sensi dell'articolo 14 del decreto
legislativo n. 22 del 1997, ora sostituito
dall'articolo 192 comma terzo decreto
legislativo n. 152 del 2006, il proprietario
o il possessore dell'area, era ed é tenuto a
bonificare l'area solo se a suo carico sia
configurabile quanto meno la colpa (Cfr.
Consiglio di Stato sez. V 02/04/2001 n.
1904, Cass. sez. III, 02/07/1997, Gargani:
Cass. 23/03/1998 Fiacco; Cass. 01/07/2002,
Ponzio).
Pertanto, non può essere destinatario di
un'ordinanza di rimessione in pristino o di
rimozione ex articolo 14 citato, con
sanzione penale in caso d'inosservanza, un
soggetto se non viene individuato a suo
carico quanto meno un profilo di colpa, per
omessa recinzione del suolo, per omessa
denuncia all'autorità, ecc, altrimenti si
configurerebbe una responsabilità oggettiva.
Nella specie, poiché la legittimità
dell'ordinanza non è stata contestata e non
è stata contestata neppure con la memoria
difensiva, si deve presumere che sia stata
accertata quanto meno la colpa del
destinatario dell'ordinanza stessa, ovvero
l'esistenza di una posizione di garanzia
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.04.2008 n. 14747 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Delibera comunale di revisione
delle tariffe relative agli oneri di
urbanizzazione - Costituisce atto generale
la cui capacità lesiva diventa attuale
quando viene rilasciato il titolo edilizio -
Possibilità di impugnazione della delibera
di revisione delle tabelle tariffarie
unitamente al titolo edilizio - Sussiste.
La delibera comunale di revisione delle
tariffe relative agli oneri di
urbanizzazione costituisce un atto generale
la cui capacità lesiva diventa attuale in
sede di effettiva applicazione, ovvero
quando viene rilasciato il titolo edilizio:
in quest'ultima sede, infatti, l'interessato
subisce la lesione a fronte della quale
potrà tutelarsi attraverso l'impugnazione
del titolo edilizio unitamente alle tabelle
tariffarie
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
08.04.2008 n.
928
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Violazioni paesaggistiche - Reato
di pericolo - Sanzione applicabile - Art.
1-sexies L. n. 431/1985 (poi art. 163,
D.Lgs. n. 490/1999 ed ora art. 181 D.Lgs. n.
42/2004).
Il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. n.
490/1999 (già art. 1-sexies della legge n.
431/1985 ed attualmente art. 181, comma 1,
del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42) è reato di
pericolo e, pertanto, per la configurabilità
dell'illecito, non e necessario un effettivo
pregiudizio per l'ambiente, potendo
escludersi dal novero delle condotte
penalmente rilevanti soltanto quelle che si
prospettano inidonee, pure in astratto, a
compromettere i valori del paesaggio e
l'aspetto esteriore degli edifici. [Cass.,
Sez. III: 29.11.2001, Zecca ed altro;
15.04.2002, P.G. in proc. Negri; 14.05.2002,
Migliore; 04.10.2002, Debertol; 07.03.2003,
Spinosa; 06.05.2003, Cassisa; 23.05.2003,
P.M. in proc. Invernici; 26.05.2003,
Sargetitini; 05.08.2003, Mori; 07.10.2003,
Fierro].
Sicché, l'unica sanzione applicabile alle
violazioni dell'art. 1-sexies della legge n.
431/1985 (poi art. 163 del D.Lgs. n.
490/1999 ed ora art. 181 del D.Lgs. n.
42/2004), qualunque sia la condotta
violatrice concretamente accertata, è quella
fissata dalla lettera c) dell'art, 20 della
legge n. 47/1985, attualmente riprodotta
dall'art. 44, l° comma, lettera c), del T.U.
06.06.2001, n. 380, (Cass., Sez. III,
28.02.2001, n. 8359, Giannone; 15.06.2001,
n. 30866, Visco ed altro; Cass. 22.11.2002,
n. 4263, Ferrari; Cass., 06.12.2002, n.
5432, Parrìnello; Cass., 31.01.2003, n.
12001, Venturi; Cass., 09.04.2003, n. 24775,
Messina; Cass., 20.06.2006, Bol.).
Zone paesisticamente
vincolate - Interventi in genere -
Disciplina ex art. 146 del D.Lgs. n.
42/2004.
Nelle zone paesisticamente vincolate è
inibita -in assenza dell'autorizzazione già
prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del
1939, le cui procedure di rilascio sono
state innovate dalla legge n. 431/1985 e
sono attualmente disciplinate dall'art. 146
del D.Lgs. n. 42/2004- ogni modificazione
dell'assetto del territorio, attuata
attraverso lavori di qualsiasi genere, non
soltanto edilizi (con le deroghe
eventualmente individuate dal piano
paesaggistico, ex art. 143, 5° comma - lett.
b, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché ad
eccezione degli interventi previsti dal
successivo art. 149 e consistenti: nella
manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel
consolidamento statico o restauro
conservativo, purché non alterino lo stato
dei luoghi e l'aspetto esteriore degli
edifici; nell'esercizio dell'attività
agro-silvo-pastorale, che non comporti
alterazione permanente dello stato dei
luoghi con costruzioni edilizie od altre
opere civili e sempre che si tratti di
attività ed opere che non alterino l'assetto
idrogeologico; nel taglio colturale,
forestazione, riforestazione, opere di
bonifica, antincendio e di conservazione da
eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché
previsti ed autorizzati in base alle norme
vigenti in materia).
Nuove costruzioni in
aree vincolate - Sanatoria - Esclusione -
Art. 32 del D.L. n. 269/2003.
Non sono suscettibili di sanatoria, ai sensi
dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, le nuove
costruzioni realizzate, in assenza del
titolo abilitativo edilizio, in area
assoggettata a vincolo imposto a tutela
degli interessi paesistici (Cass., Sez. III,
12.01.2007, n. 6431; Sicignano ed altra;
05.04.2005, n. 12577, Ricci; 01.10.2004, n.
38694, Canu ed altro; 24.09.2004, n. 37865,
Musio). Nella specie è stato accertata,
l'esecuzione di opere costituenti "vere e
proprie addizioni edilizie di notevole
entità".
Violazioni
paesaggistiche - Interventi di restauro e
risanamento conservativo - Natura e limiti -
Fattispecie.
L'art. 3, 1° comma - lett. c), del T.U. n.
380/2001 [con definizione già fornita
dall'art. 31, 1° comma - lett. c), della
legge n. 457/1978] identifica gli interventi
di restauro e risanamento conservativo come
quelli "rivolti a conservare l'organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità
mediante un insieme sistematico di opere che
-nel rispetto degli elementi tipologici,
formali e strutturali dell'organismo stesso-
ne consentano destinazioni d'uso con esso
compatibili'. Tali interventi, in
particolare, possono comprendere:
- il consolidamento, il ripristino ed il
rinnovo degli elementi costitutivi
dell'edificio;
- l'inserimento degli elementi accessori e
degli impianti richiesti dalle esigenze
dell'uso;
- l'eliminazione di elementi estranei
all'organismo edilizio.
La finalità é quella di rinnovare
l'organismo edilizio in modo sistematico e
globale, ma essa deve essere attuata -poiché
si tratta pur sempre di conservazione- nel
rispetto dei suoi elementi essenziali
"tipologici, formali e strutturali".
Per contro, ne deriva che non possono essere
mutati:
- la "qualificazione tipologica" dei
manufatto preesistente, cioè i caratteri
architettonici e funzionali di esso che ne
consentono la qualificazione in base alle
tipologie edilizie;
- gli "elementi formali" (disposizione dei
volumi, elementi architettonici) che
distinguono in modo peculiare il manufatto,
configurando l'immagine caratteristica di
esso;
- gli "elementi strutturali", cioè quelli
che materialmente compongono la struttura
dell'organismo edilizia.
Nella fattispecie in esame, invece, non é
stata ravvisata un'attività di
conservazione, recupero o ricomposizione di
spazi, secondo le modalità e con i limiti
dianzi delineati, bensì la realizzazione di
nuovi manufatti, con stravolgimento di
elementi tipologici e formali (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.04.2008 n. 14333 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva -
Configurabilità del reato - Art. 42, 4° c.,
cod. pen..
Il reato di lottizzazione abusiva è a
consumazione alternativa, potendo
realizzarsi sia per il difetto di
autorizzazione sia per il contrasto con le
prescrizioni della legge o degli strumenti
urbanistici, risulta ad evidenza
contraddittorio escludere (alla stessa
stregua di quanto pacificamente ritenuto per
la contravvenzione di esecuzione di lavori
in assenza o in totale difformità dalla
concessione edilizia) che la contravvenzione
medesima, sia negoziale che materiale, possa
essere commessa per colpa (Cassazione
Sezioni Unite sentenza 28.11.2001, Salvini;
Cass., Sez. III, 01.07.2004, Lamedica ed
altri; 11.05.2005, Stiffi ed altri).
Pertanto, non è ravvisabile alcuna eccezione
al principio generale stabilito per le
contravvenzioni dall'art. 42, 4° comma, cod.
pen., restando ovviamente esclusi i casi di
errore scusabile sulle norme integratrici
del precetto penale e quelli in cui possa
trovare applicazione l'art. 5 cod. pen.
secondo l'interpretazione fornita dalla
pronuncia n. 364/1988 della Corte
Costituzionale (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 07.04.2008 n. 14326 -
link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Poste condannate a risarcire
un’impresa per il tardivo recapito
dell’offerta.
Il Tribunale di
Lecce ha condannato la società Poste
Italiane S.p.A. a pagare 60 mila euro ad una
impresa che era stata esclusa da una gara
indetta da un comune della Regione Puglia
per aver recapito l’offerta oltre il termine
ultimo previsto dal bando
(Tribunale di Lecce, Sez. II civile,
sentenza 28.03.2008 n. 640 - link
a www.altalex.com). |
APPALTI:
Accesso agli atti di gara anche
per chi poteva ma non ha partecipato.
La
giurisprudenza è unanime nel ritenere che la
necessità del presupposto indicato con
l’espressione “tutela degli interessi”, nel
caso, non debba essere inteso solo come
finalizzazione dell'accesso ad un ricorso
giurisdizionale o ad una citazione, ma
secondo un nesso inscindibile tra i
documenti richiesti e la verifica della
eventuale lesione di un proprio interesse
qualificato. Per tale motivo, mentre da un
lato è escluso l’accesso a meri fini
ispettivi, dall’altro esso è ammesso anche
quando il richiedente non assume di volere
verificare un preciso e determinato vizio
degli atti al fine della impugnativa, ma
solo prospetti il proprio interesse, purché
concreto e qualificato, alla regolarità
della procedura in questione.
L’interesse della richiedente deve essere
giudicato tenendo conto che essa è una
partecipante alla gara stessa, vale a dire è
un operatore del settore con un interesse
concreto e specifico a quella determinata
gara, al quale la giurisprudenza, come è
noto, ha riconosciuto ormai una molteplicità
di interessi. Oltre a quello tradizionale
alla legittimità e regolarità della gara cui
partecipa, anche alla demolizione della gara
stessa quando ciò conduca alla non
aggiudicazione del contratto ed alla sua
ripetizione. Si è osservato, infatti, che la
ripetizione della gara da cui l’interessato
sia stato legittimamente escluso o non abbia
partecipato, gli attribuisce nuove
opportunità di partecipazione, anche alla
luce di eventuali modifiche del bando, e
comunque è conforme anche all’interesse
pubblico all’annullamento di una gara, nella
ipotesi, illegittima.
L’esistenza di veri diritti alla
riservatezza ed alla segretezza specifici,
derivanti da brevetti, privative o altro,
costituiscono delle evidenti eccezioni al
principio, non tanto del diritto
all’esercizio congiunto di visione ed
estrazione, quanto al diritto di accesso in
sé. In tali casi, ovviamente, rimane integro
il potere, che è anche un dovere, della P.A.
di rifiutare l’accesso a determinati
documenti, opportunamente motivando sulla
esistenza di un impedimento legale, ma non
certo di una valutazione discrezionale circa
l’opportunità della comunicazione ad altri
di dati o situazioni sulla comparazione
dell’interesse circa l’estrazione di copie.
Null’altro vuole significare l'articolo 13,
comma quinto del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163, il quale ... fa
riferimento, appunto, a veri e propri
segreti e non a generiche informazioni
riservate proprie di ciascuna impresa, e per
altro con la significativa eccezione di cui
al comma sesto dello stesso articolo
(Consiglio di Giustizia Amministrativa, Sez.
giurisdizionale Sicilia,
sentenza 05.12.2007 n. 1087 -
link a www.altalex.com). |
AGGIORNAMENTO AL 15.09.2008 |
ã |
dossier BOX |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione dei parcheggi
“anche in deroga agli strumenti urbanistici
ed ai regolamenti edilizi vigenti” è
possibile solo nel caso di necessaria
preesistenza dell’edificio residenziale, a
servizio del quale il parcheggio dovrebbe
essere destinato.
La realizzazione dei parcheggi “anche in
deroga agli strumenti urbanistici ed ai
regolamenti edilizi vigenti” è
possibile, in considerazione del persistente
orientamento giurisprudenziale, nel caso di
necessaria preesistenza dell’edificio
residenziale, a servizio del quale il
parcheggio dovrebbe essere destinato (TAR
Liguria, Sez. I n. 310 del 18.03.2002; TAR
Basilicata, n. 169 del 19.02.2003; TAR
Lombardia, Milano, sez. II n. 115 del
23.01.2003; Cons. Stato, sez. V, n. 5676 del
24.10.2000).
In particolare, il Collegio rileva che la
modifica normativa disposta dall'art. 17,
comma 90, l. 15.05.1997, n. 127 non contiene
alcun elemento che possa indurre a ritenere
l’applicabilità dell’art. 9 in esame ai
nuovi fabbricati, mentre la giurisprudenza
da ultimo citata (Cons. Stato, sez. V, n.
5676 del 24.10.2000) ha avuto modo di
precisare che l'art. 9 l. 24.03.1989 n. 122,
non può riguardare le concessioni edilizie
rilasciate per realizzare edifici nuovi, per
i quali provvede, invece, il precedente art.
2 comma 2, che, nel sostituire l'art.
41-sexies l. 17.08.1942 n. 1150, stabilisce
l'obbligo di riservare appositi spazi per
parcheggi di misura non inferiore a 1 mq.
per ogni 10 mq. di costruzione
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 22.04.2004 n. 702 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9 della l. n. 122/1989 si applica
esclusivamente all’ipotesi di fabbricati
preesistenti all’entrata in vigore della L.
24.03.1989, n. 122.
La
giurisprudenza amministrativa ha
ripetutamente, e persuasivamente, chiarito
(cfr., tra le tante, Cons. Stato, V Sez., n.
1185 del 27.09.1999 e n. 621 del 03.06.1996;
TAR Veneto 12.05.2000, n. 1007; TAR
Lombardia 22.03.1999, n. 870; TAR Toscana,
III Sez., 04.02.1998, n. 16) che l'art. 9
della l. n. 122/1989 si applica
esclusivamente all’ipotesi di fabbricati
preesistenti, e non può pertanto trovare
applicazione per la realizzazione di garages
a servizio di edifici nuovi (cioè di quelli
costruiti dopo l’entrata in vigore della
citata L. 24.03.1989, n. 122).
Ciò è dimostrato non solo dalla stessa
formulazione del primo comma della norma in
esame, il quale riferendosi ai
“..proprietari di immobili..” , attribuendo
loro la facoltà di realizzare i nuovi
parcheggi da destinare a pertinenza delle
singole unità immobiliari anche in deroga
agli strumenti urbanistici, intende
evidentemente consentire la deroga stessa
solo in favore degli immobili già esistenti,
ma anche dal successivo terzo comma della
disposizione medesima che prescrive la
necessaria approvazione, ai fini di cui
trattasi, da parte dell’assemblea di
condominio (salvo che si tratti di proprietà
non condominiale).
La ratio della normativa di favore contenuta
nel richiamato art. 9 è, evidentemente,
quella di dotare gli immobili (già
esistenti) di più ampi spazi per parcheggi.
Laddove, per le nuove costruzioni da
realizzare, la medesima finalità è stata
invece perseguita a mezzo del precedente
art. 2, comma 2°, della L. n° 122/1989 che,
modificando la originaria misura (pari a un
metro quadrato di spazio per parcheggi per
ogni 20 metri cubi di costruzione) indicata
dall’art. 41-sexies della L. n° 1150/1942,
ha fissato il rapporto in misura pari a un
metro quadrato per ogni 10 metri cubi di
costruzione
(TAR Basilicata,
sentenza 19.02.2003 n. 169 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
deroga (eccezionale) della Tognoli non è
applicabile in zona agricola.
L’art. 9 legge n. 122/1989, introducendo una
deroga alla disciplina urbanistica, deve
considerarsi norma di carattere eccezionale
e come tale deve essere interpretata con
specifico riferimento alla finalità
perseguita dalla legge citata (risoluzione
dei problemi relativi ai parcheggi nelle
aree urbane); conseguentemente l’operatività
della stessa non può ritenersi estesa anche
alle zone agricole (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 06.09.2002 n. 5229 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
box in deroga (legge Tognoli) sono solo
quelli costruiti totalmente al di sotto del
piano di campagna naturale e non quelli
artificialmente interrati per effetto del
riporto di terra.
La possibilità di realizzare parcheggi da
destinare a pertinenze delle singole unità
immobiliari "anche in deroga agli
strumenti urbanistici ed ai regolamenti
edilizi vigenti", consentita dall'art. 9
cit., costituisce disposizione a carattere
eccezionale da interpretarsi nel suo
significato strettamente letterale ed in
considerazione delle finalità della legge
nel cui contesto risulta inserita (cfr. ad
es. TAR Toscana, sez. III, 19.12.2000, n.
2533); inoltre, se per un verso il medesimo
art. 9 cit., nel consentire la costruzione
di parcheggi, da destinare a pertinenza
delle singole unità immobiliari, nel
sottosuolo degli immobili o nei locali siti
al piano terreno anche in deroga alla
vigente disciplina urbanistica, concerne i
soli fabbricati già esistenti (cfr.
Consiglio Stato, sez. V, 24.10.2000, n.
5676), per un altro i parcheggi
pertinenziali in oggetto, da costruire
appunto in deroga nei termini predetti, sono
solo quelli costruiti totalmente al di sotto
del piano di campagna naturale e non quelli
(come nel caso de quo)
artificialmente interrati per effetto del
riporto di terra (cfr. ad es. TAR Piemonte
sez. I, 11.03.1999, n. 139) (TAR Liguria,
Sez. I,
sentenza 18.03.2002 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
deroga della Tognoli è applicabile nelle
sole aree urbane.
La possibilità di realizzare parcheggi da
destinare a pertinenze delle singole unità
immobiliari "anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti", consentita dall'art. 9 L. n. 122
del 1989 (c.d. "Legge Tognoli"), costituisce
disposizione a carattere eccezionale da
interpretarsi nel suo significato
strettamente letterale ed in considerazione
delle finalità della legge nel cui contesto
risulta inserita. Pertanto, tale articolo è
applicabile alla costruzione di spazi
parcheggio nelle sole aree urbane, mentre la
realizzazione di parcheggi in aree
extraurbane resta soggetta alle ordinarie
prescrizioni urbanistiche ed edilizie
necessitando della normale concessione
edilizia (TAR Toscana, sentenza 19.12.2000
n. 2533). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di box in deroga riguarda
unicamente i fabbricati preesistenti alla
data di entrata in vigore della l. n.
122/1989.
Le disposizioni ex art. 2 e 9, L. 24.03.1989
n. 122, in materia di realizzazione di
parcheggi nel sottosuolo di edifici
preesistenti o nei locali siti al piano
terreno di questi ultimi, anche in deroga
allo strumento urbanistico, possono
concernere esclusivamente fabbricati già
esistenti -all'evidente scopo di adeguare la
struttura alle finalità della L. n. 122 del
1989, qualora essa sia carente sotto il
questo profilo- ma non anche gli edifici in
costruzione, i quali già "ab initio" devono
esser progettati in coerenza con tali
finalità.
Gli artt. 2 e 9 L. 24.03.1989 n. 122
distinguono e regolano con chiarezza
l'intervento di apprestamento di spazi per
parcheggi con riguardo, rispettivamente,
alle costruzioni successive all'entrata in
vigore della legge ed agli edifici
preesistenti (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.09.1999 n. 1185). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
rapporto cubatura/parcheggi.
Il rapporto tra
gli spazi destinati a parcheggi e la
cubatura della costruzione, ai sensi della
L. 24.03.1989 n. 122, trova applicazione non
solo per le nuove costruzioni ma anche per
gli interventi di ristrutturazione
consentiti dal Piano di Recupero e nei
limiti in cui quest'ultimo richiama lo
standard previsto dalla legge urbanistica
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza
22.12.1998 n. 1859). |
dossier D.I.A. |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso in cui l’opera edilizia richiesta con
d.i.a. non sia conforme alle disposizioni
prescritte per la sua realizzazione il
Comune può intervenire solo con un atto di
autotutela, analogo a quello che sarebbe
possibile adottare per rimuovere
un’autorizzazione espressa.
In merito all’adozione di un provvedimento
inibitorio dell’efficacia della d.i.a., è
sufficiente ricordare che, ai sensi
dell’articolo 19, comma 3, della legge
241/1990, come sostituito dall’articolo 3
del d.l. 35/2005, convertito in legge
80/2005 “L'amministrazione competente, in
caso di accertata carenza delle condizioni,
modalità e fatti legittimanti, nel termine
di trenta giorni dal ricevimento della
comunicazione (…) adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione dei suoi
effetti, salvo che, ove ciò sia possibile,
l'interessato provveda a conformare alla
normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato
dall'amministrazione, in ogni caso non
inferiore a trenta giorni”.
La giurisprudenza più recente (cfr. TAR
Liguria, I, 19.03.2008, n. 418; TAR
Campania, Napoli, II, 07.03.2008, n. 1167;
TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 02.10.2007,
n. 2253; Tar Basilicata, 12.07.2007, n. 502;
TAR Abruzzo, Pescara, 19.09.2005, n. 498)
ritiene che con la nuova formulazione della
legge 241/1990, anche la “denuncia” (oggi
“dichiarazione”) di inizio attività in
materia urbanistico-edilizia sia stata
ridisciplinata nel senso che, ove non sia
stata interdetta nei termini l’esecuzione
dell’opera, l’amministrazione, nel caso in
cui l’opera edilizia non sia conforme alle
disposizioni prescritte per la sua
realizzazione, può intervenire sulla
situazione così determinatasi –e cioè
rimuovere gli effetti dell’atto abilitativo
tacito formatosi per effetto del decorso del
termine- solo con un atto di autotutela,
analogo (anche per quanto riguarda i
presupposti ed il modus procedendi) a quello
che sarebbe possibile adottare per rimuovere
un’autorizzazione espressa.
In altri termini, una volta formatosi il
titolo edilizio conseguente alla d.i.a.,
l'intervento in autotutela
dell'Amministrazione può essere giustificato
soltanto nell'ambito di un procedimento di
secondo grado di annullamento o revoca
d'ufficio, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies, della legge
241/1990, previo avviso di avvio del
procedimento all'interessato e previa
confutazione, ove ne sussistano i
presupposti, delle ragioni dallo stesso
eventualmente presentate nell'ambito della
partecipazione al procedimento (cfr. TAR
Sicilia, Catania, I, 09.01.2008, n. 74) (TAR
Umbria,
sentenza 29.08.2008 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: È
inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n.
380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del
1990.
La denunzia di inizio attività costituisce
autocertificazione della sussistenza delle
condizioni stabilite dalla legge per la
realizzazione dell'intervento, sul quale la
PA svolge un'eventuale attività di controllo
che è prodromica e funzionale al formarsi (a
seguito del mero decorso del tempo, non
dell'effettivo svolgimento dell'attività)
del titolo legittimante l'inizio dei lavori:
titolo, il cui consolidamento non comporta,
però, che l'attività del privato possa
andare esente da sanzioni quando sia
difforme dal paradigma normativo, con la
conseguenza che anche dopo il termine
previsto per la verifica dei presupposti e
dei requisiti di legge (30 gg.)
l'Amministrazione non perde il potere di
vigilanza e sanzionatorio attribuitole
dall'ordinamento (cfr. CdS, IV, 30.06.2005
n. 3498).
In tale contesto, pertanto deve ammettersi,
per il principio di economia dei mezzi
giuridici, la facoltà dell'Amministrazione
di inibire i lavori non iniziati anche dopo
l'avvenuto consolidamento del titolo.
Nella specie, la diffida a non iniziare i
lavori coincide con l’ordine motivato di non
effettuare i lavori di cui alla disciplina
della denunzia di inizio di attività.
Conseguentemente, l’ordine-diffida di non
iniziare i lavori non corrisponde all’atto
di diniego di una istanza di parte di
provvedimento favorevole e quindi non deve
essere preceduto da preavviso di rigetto.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R.
n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241
del 1990, atteso che la dia è provvedimento
(implicito) di tipo favorevole al privato,
mentre è negativo (ma non è a rigore un
rigetto della istanza) il successivo atto di
diffida a non agire; inoltre, il preavviso
per l’ordine di non eseguire costituirebbe
una non giustificata duplicazione del
medesimo, incompatibile con il termine
ristretto entro il quale l'amministrazione
deve provvedere, non essendo fra l'altro
previste parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine stesso.
La d.i.a. non è uno strumento di
liberalizzazione dell'attività, ma
rappresenta una semplificazione
procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo, sub specie
dall'autorizzazione implicita di natura
provvedimentale (favorevole), a seguito del
decorso di un termine (30 giorni) della
presentazione della denunzia.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del
termine si forma una sorta di
autoamministrazione, secondo alcuni, di
autorizzazione implicita (positiva) di
natura provvedimentale per altra
ricostruzione, che può essere succeduta da
ordine (negativo) di non iniziare i lavori o
può essere contestata dal terzo.
L’ordine di non iniziare i lavori, per come
ristretto nei suoi tempi procedimentali, non
coincide con la ipotesi di provvedimento
(negativo) su istanza di parte di
provvedimento positivo; pertanto, a tale
diffida-ordine non si applica l’istituto del
c.d. preavviso di rigetto (non trattandosi
di rigetto in senso proprio).
L'istituto del preavviso di rigetto trova
applicazione solo nell'ipotesi di adozione
di un provvedimento negativo sull'istanza
(di provvedimento positivo) presentata dal
privato e non nel caso di presentazione di
denunzia di inizio di attività e successivo
ordine o diffida a non iniziare i lavori.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R.
n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241
del 1990, atteso che l'onere del preavviso
di diniego è incompatibile con il termine
ristretto entro il quale l'amministrazione
deve provvedere, non essendo fra l'altro
previste parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine stesso.
Per completezza, vale ricordare, anche se
non rilevante nella specie, il principio
evocato dall’appellante comune, secondo cui
in ogni caso la violazione dell'art. 10-bis
l. 07.08.1990 n. 241, non produce ex se
l'illegittimità del provvedimento terminale,
dovendo la disposizione sul c.d. preavviso
di diniego essere interpretata alla luce del
successivo art. 21-octies della citata l. n.
241 del 1990, secondo cui, laddove il
ricorrente sollevi determinati vizi di
natura formale, è imposto al giudice di
valutare il contenuto sostanziale del
provvedimento e, quindi, di non annullare
l'atto nel caso in cui le violazioni formali
non abbiano inciso sulla legittimità
sostanziale del provvedimento impugnato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.09.2007 n.
4828 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
effetti della d.i.a. decorrono dopo 30
giorni dalla presentazione della stessa e la
relativa legittimità resta subordinata alla
permanenza delle condizioni normative
esistenti al tempo della sua presentazione.
Gli effetti della d.i.a. -consistenti nel
dare libero corso all’attività edilizia
denunciata dall’interessato e non interdetta
dall’Amministrazione- decorrono dopo trenta
giorni dalla presentazione della denuncia e
la legittimità della d.i.a. resta
subordinata alla permanenza delle condizioni
normative esistenti al tempo della sua
presentazione.
Ne consegue che le innovazioni normative
introdotte medio tempore non sono
irrilevanti, giacché un intervento edilizio,
ancorché conforme alla normativa vigente al
tempo della denuncia, ben può essere
interdetto ove non sia più in linea con la
normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o
destinata a entrare in vigore) prima del
compimento del trentesimo giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.
D’altronde, se l’entrata in vigore di
contrastanti previsioni urbanistiche può
comportare la decadenza del permesso,
caducando un titolo già formato (quando i
lavori non sono stati ancora iniziati e
purché vengano completati entro il termine
di tre anni dalla data di inizio: cfr. art.
15, quarto comma, d.p.r. 06.06.2001 n. 380),
non v’è ragione perché esse non producano
effetti nella fase antecedente in cui il
titolo è ancora in corso di formazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza
06.03.2006). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sui poteri comunali decorsi i 30
gg. dalla presentazione della D.I.A..
Anche dopo il decorso del termine di 30
giorni previsto per la verifica dei
presupposti e requisiti di legge,
l'Amministrazione non perde il potere di
vigilanza e sanzionatorio.
E per esercitare tale potere non ha bisogno
di annullare in via di autotutela un
precedente atto di assenso che non vi è
stato, avendo l'interessato intrapreso i
lavori a proprio rischio e pericolo.
L'omesso controllo nel termine di 30 giorni
dalla denuncia di attività rileva solo sotto
il profilo della responsabilità per danni,
per non avere tempestivamente impedito
lavori che non erano legittimi, ma non vale
certo a legittimare tali lavori ove questi
siano in contrasto con la normativa.
E tra i poteri di intervento rientra in
primo luogo la “diffida dal proseguire i
lavori” la quale, non risultando i lavori
stessi ultimati (si ricordi che, a norma
dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 23
del D.P.R. n. 380/2001, “l'interessato è
comunque tenuto a comunicare allo sportello
unico la data di ultimazione dei lavori”),
può qualificarsi, ad avviso del Collegio,
come ordine di sospensione dei lavori, ai
sensi del comma 3 dell’art. 27 dello stesso
D.P.R.; ordine, al quale, ove le successive
risultanze istruttorie confermino
l’accertamento negativo posto a base dello
stesso, dovranno poi seguire i provvedimenti
definitivi, di cui agli artt. 28 e ss. del
medesimo testo unico
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.06.2005 n. 3498 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nella presentazione della d.i.a.
il Comune deve considerare la normativa
urbanistica vigente allo scadere del 30°
giorno.
E' giurisprudenza costante che
l’Amministrazione conservi il potere di
provvedere quando la d.i.a. sia stata
presentata al di fuori dei presupposti o in
violazione delle prescrizioni urbanistiche.
L'Amministrazione, anche una volta decorso
il termine di trenta giorni di cui all'art.
23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, può
esercitare il suo generale potere di
controllo sulle attività di trasformazioni
edilizie del territorio -per il quale l'art.
27 comma 1 d.P.R. n. 380 del 2001 non
prevede alcun termine di decadenza, sia
quando le opere in corso o realizzate non
corrispondano a quelle oggetto della
Denuncia Inizio Attività, sia quando le
opere non possono essere realizzate con una
semplice d.i.a. perché richiedono il
permesso di costruire: infatti, il suddetto
termine di trenta giorni è previsto solo per
la verifica della sussistenza delle
condizioni richieste dall'art. 23, comma 1,
d.P.R. n. 380 del 2001, ma non può certo
essere riferito al generale potere di
controllo sulle attività di trasformazioni
edilizie del territorio, previsto dall'art.
27, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, né al
generale potere di agire in via
amministrativa a tutela dei diritti
demaniali e di uso pubblico (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 02.12.2004, n. 18030).
Poiché la denuncia di inizio attività
configura una fattispecie a formazione
progressiva, nella quale alla dichiarazione
del privato conseguono effetti
successivamente al decorso del tempo e alla
inerzia della Amministrazione, è solo al
compimento del trentesimo giorno che si
verifica il perfezionamento di detta
fattispecie. La denunzia di inizio
d'attività (DIA) costituisce una
dichiarazione del privato cui la legge, in
presenza di specifiche condizioni, ricollega
effetti tipici corrispondenti a quelli del
permesso di costruire ed è ad esso
sostitutiva e produttiva d'effetti decorso
il termine di trenta giorni dalla sua
presentazione (Tar Marche n. 58 del
03.02.2004).
Poiché la produzione degli effetti tipici si
verifica al trascorrere del trentesimo
giorno dalla presentazione,
l’Amministrazione deve considerare la
normativa vigente a tale data.
L’articolo 39 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380,
disciplinando l’annullamento del permesso di
costruire da parte della Regione, prevede al
comma 5-bis introdotto dal D.Lgs.
27.12.2002, n. 301 che il potere regionale
di annullamento dei provvedimenti
autorizzatori edilizi non conformi a
prescrizioni degli strumenti urbanistici o
dei regolamenti edilizi si applichi anche
agli interventi edilizi soggetti a denuncia
di inizio attività non conformi a
prescrizioni degli strumenti urbanistici o
dei regolamenti edilizi o comunque in
contrasto con la normativa
urbanistico-edilizia vigente al momento
della scadenza del termine di 30 giorni
dalla presentazione della denuncia di inizio
attività (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza n. 72/2005). |
dossier SPORTELLO UNICO ATTIVITA'
PRODUTTIVE |
EDILIZIA PRIVATA:
La proposta di variante dello
strumento urbanistico, formulata dalla
conferenza dei servizi ai sensi dell’art. 5
DPR 447/1998, non è vincolante per il
Consiglio comunale.
La proposta di variante dello strumento
urbanistico formulata ai sensi dell’art. 5
DPR 447/1998 al fine di favorire e
semplificare la realizzazione di una
struttura in zona tipizzata diversamente,
non è vincolante per il Consiglio comunale,
il quale deve valutare autonomamente se
aderire o meno alla stessa (in tal senso, C.
Stato, IV, 27.06.2007, n. 3772).
E’ vero, però, che la particolarità della
fattispecie e dell’andamento del
procedimento amministrativo pur non
determinando in capo all’interessato né
posizioni già favorevoli né tantomeno di
affidamento alla conclusione positiva del
medesimo, pur tuttavia, dal punto di vista
procedimentale, imponeva e impone al
Consiglio Comunale –pur libero nelle sue
determinazioni– un ispessimento del già
generale dovere di adeguata motivazione, che
non può dirsi soddisfatto attraverso una
motivazione che richiama per relationem atti
di indirizzo in sé generici, inoltre non
pienamente pertinenti e non confacenti alla
fattispecie.
In mancanza, altrimenti, viene vulnerato il
senso del dovere di adeguata motivazione,
che è quello di consentire alla parte
privata di poter ripercorrere l’iter
logico-intellettivo seguito dalla
amministrazione ai fini della emanazione
dell’atto di diniego (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 4110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche un nuovo distributore di
carburanti può essere realizzato mediante lo
sportello unico in variante al P.R.G..
Gli impianti di carburante, in ragione della
loro natura, sono regolati da disciplina
autonoma e differenziata rispetto a quella
concernente i centri commerciali cui
eventualmente possano accedere, sicché in
ogni caso l’apertura di un impianto
precedentemente non esistente in un centro
commerciale costituisce nuovo impianto.
Ciò non esclude che si possa per tali
impianti seguire il procedimento
semplificato di cui agli artt. 4 e 5 del DPR
n. 447/1998 (Regolamento recante norme di
semplificazione dei procedimenti di
autorizzazione per la realizzazione,
l’ampliamento, la ristrutturazione e la
riconversione di impianti produttivi, per
l’esecuzione di opere interne nonché per la
determinazione di aree destinate agli
insediamenti produttivi) in quanto anch’essi
rientrano nell’ambito di applicazione di
tale Regolamento. Peraltro, tale disciplina
attiene alla localizzazione degli impianti,
restando ferme le ulteriori disposizioni
previste dalla normativa specifica di
settore e, in particolare, dal Piano
carburanti del Comune (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 04.12.2007 n. 6157 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La variante dello strumento
urbanistico, mediante l'attivazione dello
sportello unico per le attività produttive,
non è atto dovuto, ma costituisce,
piuttosto, oggetto di esercizio di poteri
discrezionali, che devono comparare
l'interesse alla realizzazione dell'opera (o
alla realizzazione dell’insediamento
produttivo) con molteplici altri interessi,
quali quello urbanistico, edilizio,
paesistico, ambientale.
Per quel che concerne l’ampiezza delle
prerogative comunali e regionali in sede di
valutazione delle proposte progettuali ex
art. 5, d.P.R. 447 del 1998, la consolidata
giurisprudenza amministrativa ha sempre
ribadito il principio secondo cui sia la
concessione in deroga, sia la variante dello
strumento urbanistico, non sono atti dovuti,
ma costituiscono piuttosto oggetto di
esercizio di poteri discrezionali, che
devono comparare l'interesse alla
realizzazione dell'opera (o alla
realizzazione dell’insediamento produttivo)
con molteplici altri interessi, quali quello
urbanistico, edilizio, paesistico,
ambientale. Ad avviso del TAR, i presupposti
per l’operatività del richiamato art. 5
–vale a dire: a) la sussistenza di un
contrasto tra il progetto presentato e lo
strumento urbanistico vigente; b)
l’insussistenza e/o insufficienza di aree a
tal fine individuate; c) la conformità del
progetto alle vigenti norme in materia
ambientale, sanitaria e di sicurezza sul
lavoro- costituiscono condizione minima
necessaria ma non sufficiente per poter
consentire la realizzazione del richiesto
intervento, ferma restando in capo agli
Organi decidenti un’ampia discrezionalità
sulla possibilità di prestare il proprio
eventuale assenso.
La
determinazione della conferenza dei servizi,
nell’ambito del particolare procedimento di
cui all'art. 5 D.P.R. 20.10.1998, n. 447,
rappresenta un peculiare atto di impulso
(proposta) dell’autonomo procedimento (di
natura esclusivamente urbanistica) volto
alla variazione del vigente piano
regolatore, rientrante nelle normali ed
esclusive attribuzioni dell’ente locale che,
attraverso i suoi uffici indice la
conferenza dei servizi. Come la
giurisprudenza della Sezione ha chiarito
anche di recente (cfr. Sez. IV, 30.09.2005,
n. 5205; 14.04.2006, n. 2170), da un lato,
tale proposta di variazione dello strumento
urbanistico assunta dalla Conferenza dei
servizi non è certamente vincolante per il
Consiglio comunale, il quale deve
autonomamente valutare se aderire o meno
alla stessa; dall’altro, qualora l’esito
della conferenza dei servizi sia in
qualunque modo sfavorevole al privato
richiedente e dunque si risolva nel diniego
di approvazione del proposto progetto in
variante allo strumento urbanistico, tale
esito assume valore ostativo alla
prosecuzione del procedimento
amministrativo, mancando in tale ipotesi
l’atto d’impulso, strumentale alle
determinazioni di competenza del Consiglio
comunale (v. Cons. St., IV, 07.05.2004, n.
2874 ). Realizzandosi, dunque, l’evenienza
da ultimo sopra ipotizzata, la distinta
procedura, di competenza del Consiglio
comunale, specificamente connessa alla prima
e destinata alle definitive valutazioni
relative alle conseguenze urbanistiche e di
sicurezza pubblica dal progetto in variante
allo strumento urbanistico, neppure viene
attivata, mancando l’atto di iniziativa
rappresentato dalla “proposta” approvata
dalla Conferenza dei servizi. Si tratta,
all’evidenza, di una procedura di
approvazione di varianti chiaramente
derogatoria rispetto a quella ordinaria
contemplata nella normativa vigente,
nell’ambito della quale resta fermo il
potere discrezionale delle amministrazioni
competenti di approvare o meno la proposta
di variante
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.10.2007 n. 5471 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 37
dell'11.09.2008, "Testo coordinato della
l.r. 5 ottobre 2004, n. 24 «Disciplina per
la razionalizzazione e l'ammodernamento
della rete distributiva dei carburanti»"
(testo
coordinato L.R. 05.10.2004 n. 24
- link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 33
dell'11.08.2008, "Criteri e norme
tecniche per la presentazione della
comunicazione per l'utilizzazione agronomica
- D.g.r. n. 5868/2007 (titolo III, capo VI e
VII dell'allegato 1. e titolo V, capo VIII e
IX dell'allegato 2.) - Iter per l'avvio del
procedimento"
(decreto
D.G. 22.07.2008 n. 8115 - link a www.infopoint.it). |
APPALTI: G.U.U.E.
15.03.2008 n. L. 74/1 "Regolamento (CE)
n. 213/2008 della Commissione, del 28
novembre 2007, recante modifica del
regolamento (CE) n. 2195/2002 del Parlamento
europeo e del Consiglio relativo al
vocabolario comune per gli appalti pubblici
(CPV) e delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio relative alle procedure per gli
appalti pubblici, per quanto riguarda la
revisione del CPV" (in
applicazione dal 15.09.2008)
(regolamento
(CE) n. 213/2008 della Commissione del
28.11.2007 - link a http://eur-lex.europa.eu). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, Commissioni paesaggio: nuovi
criteri per gli Enti Locali ai sensi del
D.lgs. 63/2008.
In data
06.08.2008 la giunta regionale ha approvato
la DGR n. VIII/7977 avente per oggetto:
"Esercizio delle funzioni paesaggistiche.
Determinazione in merito alla verifica della
sussistenza dei requisiti di organizzazione
e di competenza tecnico-scientifica
stabiliti dall'art 146, comma 6 del D.lgs.
22 gennaio 2004 n. 42"
(link a www.regione.lombardia.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Lombardia, Piani di Indirizzo Forestale:
criteri e procedure per la loro redazione e
approvazione.
Ecco le modalità per a redazione dei Piani
di Indirizzo Forestale previsti dalla l.r.
27/2004 (link a
www.agricoltura.regione.lombardia.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI: Un
provvedimento amministrativo il cui
contenuto sia in contrasto con disposizioni
comunitarie, non può essere disapplicato
dall’amministrazione, sic et simpliciter, ma
deve essere rimosso con il ricorso ai poteri
di autotutela.
Un provvedimento amministrativo, nel caso di
specie, di affidamento della gestione del
servizio idrico integrato, il cui contenuto
sia in contrasto con norme o principi
comunitari, non può essere disapplicato
dall’amministrazione, sic et simpliciter, ma
deve essere rimosso con il ricorso ai poteri
di autotutela di cui la stessa
amministrazione dispone. L’esercizio di tali
poteri, peraltro, deve ritenersi soggetto,
anche in questi casi, ai principi che sono a
fondamento della legittimità dei relativi
provvedimenti, rappresentati dalla
contemporanea presenza di preminenti ragioni
di interesse pubblico alla rimozione
dell’atto, se si tratta di situazioni
consolidate o di atti che abbiano
determinato un legittimo affidamento in
coloro che ne sono interessati, e dalla
osservanza delle garanzie che l’ordinamento
appresta per i soggetti incisi dall’atto di
autotutela, prima fra tutte quella di
consentire ai soggetti interessati di
partecipare al relativo procedimento (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2008 n. 4263 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla possibilità per una società
in nome collettivo di partecipare ad una
gara per affidamento di un servizio
pubblico.
Sulla legittimità del comportamento della
commissione di gara.
E’ illegittima l'esclusione di una società
da una procedura di gara per l'affidamento
dei servizi di raccolta e trasporto dei
rifiuti solidi urbani, sul presupposto che
la società, in quanto costituita in nome
collettivo, non fosse abilitata a
partecipare a gare per il cui accesso l’art.
113 del testo unico degli enti locali,
approvato con il D.Lgs. n. 267 del 2000,
prescrive la forma della società di
capitali. La Corte giustizia CE, infatti,
con la sentenza del 18 dicembre 2007, n. 357
(in causa C-357/06), ha stabilito che
"l’art. 26 n. 1 e 2 della direttiva del
Consiglio 92/50/CE osta a disposizioni
nazionali, come quelle costituite dagli art.
113 c. 5 D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 198
c.1 D.Lgs. n. 152 del 2006 e art. 2 c. 6
l.reg. Lombardia n. 26 del 2003, che
impediscono ad operatori economici di
presentare offerte, soltanto per il fatto
che tali offerenti non abbiano la forma
giuridica corrispondente ad una determinata
categoria di persone giuridiche, ossia
quella delle società di capitali. Il giudice
nazionale, in tal caso, è obbligato a dare
un’interpretazione ed un’applicazione
conformi alle prescrizioni del diritto
comunitario e, qualora siffatta
interpretazione conforme non sia possibile,
a disapplicare ogni disposizione di diritto
interno contraria a tali prescrizioni".
L’affermazione della Corte di giustizia
secondo cui il giudice nazionale non può
subordinare il risarcimento del danno subito
dal singolo a causa della violazione di una
norma di diritto comunitario all'esistenza
di una condotta colposa o dolosa dell'organo
cui detta violazione è imputabile (Corte
giustizia CE, 05.03.1996, n. 46), deve
essere interpretata con riferimento al
carattere manifesto e grave della violazione
delle norma comunitarie, da cui deriva,
sotto il profilo soggettivo, la necessità
della prova della colpa o del dolo della
pubblica amministrazione.
L’art. 113 co. 5, lett. a) del D.Lgs. n. 267
del 2000, dispone che l'erogazione del
servizio avviene secondo le discipline di
settore e nel rispetto della normativa
dell'Unione europea, con conferimento della
titolarità del servizio … "a) a società
di capitali individuate attraverso
l'espletamento di gare con procedure ad
evidenza pubblica".
Pertanto, nessun appunto, sotto il profilo
dell’ordinaria diligenza può essere mosso al
comportamento del Comune che aveva escluso
la società appellante dalla gara senza che
all’epoca esistesse alcun obbligo di
disapplicare la disposizione di diritto
interno contraria all’ammissione degli
operatori economici costituiti in forma
diversa dalla società di capitali (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2008 n. 4242 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sull'accesso
ai pareri legali.
Il punto di discrimine tra l’ostensibilità o meno del parere reso
da un legale, esterno o interno ad un ente,
non è costituito dalla natura dell’atto ma
dalla sua funzione.
Se il parere viene reso in una fase
endoprocedimentale, prodromica quindi ad un
provvedimento amministrativo, lo stesso è
ammesso all’accesso mentre se viene reso in
una fase contenziosa o anche precontenziosa,
l’accesso è escluso a tutela delle esigenze
di difesa.
Il Collegio ritiene di dover richiamare
l’orientamento consolidato del giudice
amministrativo, secondo il quale: ”Ai
sensi del combinato disposto di cui agli
art. 10 d.P.R. n. 554 del 1999 e 24 l. n.
241 del 1990, sono sottratte all'accesso le
relazioni riservate del direttore dei lavori
e dell'organo di collaudo sulle domande e
sulle riserve dell'impresa posto che la
definizione di "riservata" data ai suddetti
atti dall'art. 31-bis l. n. 109 del 1994,
denota come il legislatore abbia voluto
impedire la diffusione delle surriferite
relazioni al di fuori delle amministrazioni
cui sono indirizzate, in quanto si
inseriscono in una controversia in atto o
potenziale tra l'Amministrazione e
l'appaltatore concernente l'esecuzione del
contratto, nella quale si fronteggiano
interessi di natura patrimoniale e che solo
indirettamente, per le possibili conseguenze
sulla finanza pubblica, presentano riflessi
di ordine pubblicistico"; tale divieto,
viceversa, non opera nei confronti di un
parere legale che, laddove oggettivamente
correlato ad un procedimento, assume valenza
endo-procedimentale, decadendo a ruolo di
mero elemento istruttorio (Consiglio Stato,
sez. V, 15.04.2004, n. 2163) e, sempre sul
medesimo tema il principio secondo il quale:
“Gli scritti defensionali degli avvocati,
siano essi del libero foro o appartenente ad
uffici legali di enti pubblici, sono esclusi
dall'accesso in quanto il segreto
professionale è specificamente tutelato
dall'ordinamento".
Nell'ambito degli atti coperti da segreto,
come tali sottratti all'ostensione,
rientrano in linea generale gli atti redatti
dai legali e dai professionisti in relazione
a specifici rapporti di consulenza con
l'amministrazione, detto segreto gode di una
tutela qualificata, enucleata dalla
disciplina dettata dagli art. 622 c.p. e 200
c.p.p. Debbono quindi ritenersi accessibili
i soli pareri resi, anche da professionisti
esterni all'amministrazione, che si
inseriscono nell'ambito di un'apposita
istruttoria procedimentale, posto che in
tale evenienza il parere è oggettivamente
correlato ad un procedimento amministrativo,
mentre debbono ritenersi coperti da segreto
i pareri resi dopo l'avvio di un
procedimento contenzioso (giudiziario,
arbitrale, od anche meramente
amministrativo), oppure dopo l'inizio di
tipiche attività precontenziose, quali la
richiesta di conciliazione obbligatoria che
precede il giudizio in materia di rapporto
di lavoro (Consiglio Stato, sezione V,
02.04.2001, n. 1893).
Più recentemente, è stato affermato che:
“Ai fini dell'opposizione del segreto
professionale alle istanze di accesso agli
atti, ai sensi dell'art. 24 comma 1 l.
07.08.1990 n. 241 e dell'art. 2 d.P.C.M.
26.01.1996 n. 200 (Regolamento recante
norme, per la disciplina di categorie di
documenti formati o comunque rientranti
nell'ambito delle attribuzioni
dell'Avvocatura dello Stato sottratti al
diritto di accesso), occorre distinguere
fra pareri legali resi in relazione a
contenziosi (sottratti al diritto di
accesso) e pareri legali che rappresentano,
anche per effetto di un richiamo esplicito
nel provvedimento finale, un passaggio
procedimentale istruttorio di un
procedimento amministrativo in corso; solo
il primo tipo di pareri, infatti, è
sottratto all'accesso, in quanto non è la
sola natura dell'atto a giustificarne la
segretezza, ma la funzione che l'atto stesso
svolge nell'azione dell'amministrazione"
(TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 26.01.2007,
n. 38).
Alla luce della giurisprudenza richiamata è
facile osservare che il punto di discrimine
tra l’ostensibilità o meno del parere reso
da un legale, esterno o interno ad un ente,
non è costituito dalla natura dell’atto ma
dalla sua funzione.
Se il parere viene reso in una fase
endoprocedimentale, prodromica quindi ad un
provvedimento amministrativo, lo stesso è
ammesso all’accesso mentre se viene reso in
una fase contenziosa o anche precontenziosa,
l’accesso è escluso a tutela delle esigenze
di difesa.
Fatta questa precisazione il Collegio
ritiene necessario rilevare quale sia
l’ambito riconosciuto al diritto d'accesso
ai documenti amministrativi, nel nostro
ordinamento, che è quello di un margine
amplissimo riconosciuto sia come risposta
effettiva al principio di trasparenza
dell’agire pubblico sia come esigenza di
garantire la possibilità della cura e della
difesa di interessi giuridici da parte dei
singoli. Diritto che è destinato a prevalere
su quello alla riservatezza dei terzi e che
non può risolversi in una clausola di stile,
ma dev'essere garantito in relazione alla
situazione di fatto e di diritto nella quale
la domanda d'accesso s'inserisce e tale
effettività deve essere controllabile dal
giudice dell'accesso. (Consiglio Stato, sez.
V, 03.04.2000, n. 1916).
Perché un diritto di tale portata subisca
una limitazione è necessario, pertanto, che
si sia in presenza di una fattispecie tipica
e certa quale, secondo la giurisprudenza
richiamata, un procedimento contenzioso
(giudiziario, arbitrale, od anche meramente
amministrativo intendendo per tale il
contenzioso avviato con ricorso
amministrativo) in atto, oppure che si sia
in presenza dell'inizio di tipiche attività
precontenziose, quali la richiesta di
conciliazione obbligatoria che precede il
giudizio in materia di rapporto di lavoro e
non si tratti di un procedimento
amministrativo.
Ne consegue che, in mancanza di un vero e
proprio contenzioso o di una fase
precontenziosa come quelle accennate, non
può essere ritenuto sufficiente ad escludere
l’esercizio di tale diritto un procedimento
amministrativo preordinato a fare chiarezza
interpretativa sulle norme da applicare ed
idoneo all’eliminazione di un possibile o
potenziale conflitto tra uffici o tra
dipendenti all’interno dell’amministrazione.
Ciò, ancor più se il procedimento relativo,
come nella specie, si è concluso con
l’adozione di un provvedimento favorevole
all’istante, facendo venir meno anche le
pretese esigenze di riservatezza riguardanti
l’attività defensionale.
I pareri degli uffici legali interni,
espressi nell’ambito di tale procedura
costituiscono una fase istruttoria del
provvedimento conclusivo e lo giustificano
(in tanto i soldi sono stati erogati in
quanto quello o quei pareri hanno
giustificato l’esborso) sicché essi restano
assorbiti nel procedimento senza che se ne
possa negare l’accesso.
Nessun vincolo di segretezza, quindi, che
non può operare in quanto il principio della
riservatezza recede qualora il parere
costituisca una fase di un procedimento
amministrativo in atto.
Se si ammettesse, del resto, che in presenza
di qualunque contrasto interpretativo
sull’applicazione delle norme di un settore
si ricade, automaticamente, in una fase
contenziosa si arriverebbe a circoscrivere
pesantemente –e ingiustificatamente– lo
stesso ambito di operatività del diritto di
accesso stabilito dagli articoli 22 e
seguenti della legge n. 241 del 1990 con
sacrificio del diritto di difesa del
richiedente l’accesso (TAR Lazio-Roma, Sez.
III-quater,
sentenza
27.08.2008 n. 7930 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
durc o documento unico di regolarità
contributiva non può essere sostituito da
dichiarazioni sostitutive in quanto
insufficienti a verificare l’integrale
adempimento degli obblighi previdenziali per
tutti i lavoratori.
Il "durc" o documento unico di regolarità
contributiva è il certificato unitario,
regolato dall'art. 3, c. 8, lett. b.bis) d.
lgs. 14.08.1996, n. 494, come mod. dall’art.
98, c. 10, d. lgs. 10.09.2003, n. 276,
finalizzato alla affidabile verifica dei
requisiti di partecipazione e aggiudicazione
in gare pubbliche perché rilasciato dagli
enti previdenziali all’imprenditore e da
questo consegnato al committente che glielo
deve richiedere. La sua funzione è di
attestare la regolarità negli adempimenti
circa i contributi previdenziali,
assistenziali ed assicurativi rispetto a
INPS, INAIL e Cassa Edile riguardo a tutti
gli appalti pubblici e agli appalti privati
in edilizia soggetti a titolo edilizio
espresso. Mediante l’uso obbligatorio di un
tale documento si contrasta l’evasione
contributiva previdenziale perché si pone a
base della possibilità di contrarre un
appalto pubblico la dimostrazione ufficiale
della regolarità contributiva. Si tratta di
uno strumento al tempo stesso di
certificazione ufficiale e di
semplificazione procedimentale, la cui
valenza è duplice, perché orientata a
soddisfare un interesse strumentale pubblico
come un interesse privato che non può essere
sostituita da una dichiarazione sostitutiva.
Ne consegue che, è legittima la revoca nei
confronti di una società dell’aggiudicazione
di una gara conseguente al fatto che, in
sede di verifica della sua produzione
documentale fatta a seguito della
comunicazione di esser risultata
aggiudicataria della gara, quale
attestazione della sua regolarità
contributiva si era limitata a produrre i
mod. F24 e i bollettini postali documenti
insufficienti a verificare l’integrale
adempimento degli obblighi previdenziali per
tutti i lavoratori (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 25.08.2008 n. 4035 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: In
mancanza del presupposto delle false
dichiarazioni, l’annotazione, e i
provvedimenti sanzionatori dell’Aut. per la
vigilanza sui contratti pubbl. di servizi,
lavori e forniture nei confronti di
un’impresa partecipante ad una gara sono
illegittimi.
E’ illegittimo il provvedimento con cui
l’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di servizi, lavori e forniture ha
disposto nei confronti di un’impresa
l’iscrizione nel Casellario informatico ed
il divieto di partecipare alle gare di
affidamento di lavori ai sensi dell’art 75
del d.p.r. 554 del 1999 per un mese ed
irrogando una sanzione pecuniaria sul
presupposto di aver reso false
dichiarazioni. Non può essere sanzionata,
infatti, dalla predetta Autorità ai sensi
dell’art 6 c. 11 del d.lgs. n. 163/2006
un’impresa che dichiara di possedere i
requisiti previsti da un bando per
partecipare ad una gara avvalendosi di
quelli dei singoli professionisti che
operano per la sua impresa ausiliaria. Alla
base dell’annotazione disposta dall’Autorità
e dei provvedimenti sanzionatori adottati vi
è, quindi, un evidente travisamento dei
fatti. In mancanza del presupposto delle
false dichiarazioni, l’annotazione, e i
provvedimenti sanzionatori dell’Autorità
sono illegittimi e devono essere annullati.
Anche il potere sanzionatorio dell’Autorità
ha come presupposto l’avere reso false
dichiarazioni o non aver ottemperato alle
richieste di documenti o informazioni che
non sussiste nel caso di specie (TAR
Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 01.08.2008 n. 7804 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Legittima l'assenza alla visita
fiscale per effettuare una visita medica
prenotata.
L’assenza alla visita fiscale del lavoratore
ammalato è giustificata se c’è la necessità
di effettuare una visita presso un centro
medico precedentemente fissata con
appuntamento (Corte di Cassazione, Sez.
lavoro,
sentenza 21.07.2008 n. 20080 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI:
Partecipazione alla gara -
Situazione di controllo ex art. 2359 c.c. -
Divieto di partecipazione - Norma generale
di tutela dell'ordine pubblico.
Il principio secondo cui non possono
partecipare alla medesima gara imprese che
si trovino fra di loro in una delle
situazioni di controllo previste dall'art.
2359 del codice civile, si inquadra
nell'ambito dei divieti normativi
sull'ammissione alla gara di offerte
provenienti da soggetti che, in quanto
legati da una stretta comunanza di interessi
caratterizzata da una certa stabilità, non
sono ritenuti dal legislatore capaci di
formulare offerte caratterizzate dalla
necessaria indipendenza, serietà ed
affidabilità. Si tratta di una norma di
ordine pubblico che trova applicazione
indipendentemente da una specifica
previsione in tal senso da parte
dell'amministrazione appaltante
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 07.05.2008 n.
1356). |
APPALTI:
Imprese appartenenti allo stesso
gruppo - Onere di consegnare il contratto di
avvilimento - Non sussiste.
Il D.lgs. 163/2006 esonera le imprese
facenti parte di un gruppo dall'onere di
consegnare all'amministrazione
aggiudicatrice il contratto di avvalimento,
onere previsto invece in via generalizzata
in ogni altro caso (imprese non facenti
parte dello stesso gruppo)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza
07.05.2008 n.
1353
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Anomalia offerta - Giudizio di
anomalia - Valutazione tecnico-discrezionale
- Non sindacabile in sede giurisdizionale -
Salvo errore di fatto e irrazionalità.
Per giurisprudenza consolidata il giudizio
sull'anomalia dell'offerta nelle gare di
appalto pubblico costituisce una tipica
valutazione tecnico-discrezionale
dell'amministrazione e come tale non è
sindacabile dal giudice amministrativo,
salvo il caso in cui la stazione appaltante
sia incorsa in errore di fatto, ovvero la
valutazione presenti aspetti di manifesta
irrazionalità, ovvero evidenti
contraddizioni logiche
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 05.05.2008 n.
1281). |
APPALTI:
Annullamento in autotutela delle
procedure di gara e della graduatoria
provvisoria - Mancata aggiudicazione al
concorrente primo in graduatoria -
Legittimità - Condizioni.
Non è precluso alle stazioni appaltanti
procedere all'annullamento
dell'aggiudicazione allorché la gara non
risponda più alle esigenze dell'ente e
sussista un interesse pubblico, concreto ed
attuale, all'eliminazione degli atti
divenuti inopportuni, idoneo a giustificare
il sacrificio del contrapposto interesse
dell'aggiudicatario. Tale potere si fonda,
oltre che sulla disciplina della contabilità
generale dello Stato, che consente il
diniego di approvazione per motivi di
interesse pubblico (art. 11, RD n.
827/1924), sul principio generale
dell'autotutela della pubblica
amministrazione, che rappresenta una delle
manifestazioni tipiche del potere
amministrativo direttamente connesso ai
principi costituzionali di imparzialità e
buon andamento della funzione pubblica
(nella fattispecie il Collegio ha
riconosciuto la legittimità dell'operato
dell'amministrazione che ha deciso di non
procedere all'aggiudicazione ma ha preferito
bandire una nuova gara contenente diverse
modalità di fornitura dei beni richiesti.
Quelle prescritte nella gara travolta dal
provvedimento di autotutela risultavano
infatti eccessivamente onerose oltre che
meno vantaggiose per i diretti beneficiari
delle forniture stesse)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 05.05.2008 n.
1280). |
APPALTI:
Presentazione e sottoscrizione
dell'offerta - Allegazione della fotocopia
carta d'identità - Firma del documento di
offerta differente da quella apposta sulla
carta d'identità - Esclusione legittima.
Nei pubblici appalti la funzione
dell'adempimento relativo all'allegazione
della copia del documento del soggetto che
presenta e sottoscrive l'offerta risponde
all'esigenza di assunzione di responsabilità
del dichiarante in ordine al contenuto della
dichiarazione resa ed assolve altresì alla
funzione sostanziale di dare contezza a
certezza che la sottoscrizione è autentica,
ovvero che è stata apposta proprio da parte
di colui che ne appare l'autore (fattispecie
nella quale l'amministrazione ha escluso un
concorrente dalla procedura di gara in
quanto la firma del legale rappresentante è
risultata palesemente differente rispetto a
quella apposta sulla carta d'identità
allegata)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 30.04.2008 n.
1273). |
EDILIZIA PRIVATA:
Parere tecnico preventivo
relativo ad una domanda di permesso di
costruire - Lesione della sfera giuridica -
Non sussiste.
Un mero parere preventivo relativo al
rilascio di un permesso di costruire non è
idoneo a ledere l'interesse del ricorrente
alla realizzazione del progetto, né a
interrompere il procedimento non ancora
avviato di rilascio del permesso di
costruire. La lesione della sfera giuridica
del ricorrente potrà discendere solo dal
diniego della domanda di permesso di
costruire, atteso che un preliminare
giudizio tecnico non vincola l'eventuale
futuro procedimento edilizio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
02.04.2008 n.
804
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Condono edilizio - Artt. 32 e 33 della L.
n. 47/1985 - Opere abusive realizzate prima
dell'imposizione del vincolo o opere
conformi agli strumenti urbanistici - Condonabilità - Sussiste.
2. Condono edilizio - Mancata produzione
della documentazione comprovante la data di
consumazione dell'illecito edilizio -
Diniego di condono edilizio - Legittimità.
3. Prova dell'ultimazione dei lavori - entro
la data utile per l'ottenimento del condono
- Incombe sul richiedente il condono non
potendosi ritenere al riguardo sufficiente
la sola allegazione della dichiarazione
sostitutiva di atto notorio.
1. In base al combinato disposto degli artt.
32 e 33 della L. n. 47/1985 in area vincolata
possono essere condonate soltanto le opere
realizzate prima dell'imposizione del
vincolo oppure le opere che siano conformi
agli strumenti urbanistici.
2. Il procedimento di condono edilizio deve
avere un esito negativo quando non è
prodotta alcuna documentata allegazione che
consenta di risalire alla data di
consumazione dell'illecito edilizio oggetto
della domanda, atteso che spetta al
richiedente la sanatoria fornire la prova
dell'ultimazione dei lavori entro la data
utile per l'ottenimento del condono.
3. L'onere della prova dell'ultimazione dei
lavori entro la data utile per ottenere il
condono grava sul richiedente la sanatoria,
ciò perché mentre l'amministrazione comunale
non è normalmente in grado di accertare la
situazione edilizia di tutto il proprio
territorio alla data indicata dalla
normativa sul condono, colui che richiede la
sanatoria può fornire qualche documentazione
da cui si desuma che l'abuso sia stato
effettivamente realizzato entro la data
predetta , non potendosi ritenere al
riguardo sufficiente la sola allegazione
della dichiarazione sostitutiva di atto
notorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
02.04.2008 n.
711
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordinanza sospensione lavori -
Impugnazione -Decadenza dell'efficacia
dell'ordinanza - Improcedibilità
dell'impugnazione - Sussiste.
E' improcedibile, per sopravvenuta carenza
di interesse, il ricorso proposto avverso la
sola ordinanza di sospensione lavori, la cui
efficacia decade se nei 45 giorni dalla sua
notificazione, non vengono adottati e
notificati i provvedimenti sanzionatori
definitivi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
02.04.2008 n.
709). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Carattere
precario dei manufatti edilizi - E'
necessario che le opere siano destinate ad
un uso limitato nel tempo e per fini
specifici e temporanei.
2. Ordinanza di
demolizione di opere abusive - Atto
vincolato che non richiede una motivazione
diversa dall'accertamento dell'abuso -
Esigenza di tutela dell'affidamento - Non
sussiste.
3. Indicazione
puntuale delle aree interessate
dall'acquisizione gratuita al patrimonio
comunale - Necessità nell'atto che dichiari
l'intervenuta acquisizione del bene al
patrimonio del Comune - Impugnabilità di
tale atto certificativo per erronea
individuazione delle aree acquisite al
patrimonio comunale - Sussiste.
1. In ordine al carattere precario di opere
edilizie, ciò che rileva al fine di
qualificare in tal modo i manufatti
realizzati, non è tanto la consistenza degli
stessi, quanto piuttosto la destinazione ad
un'utilizzazione perdurante nel tempo, di
talché l'alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante: infatti, perché un'opera
edilizia avente carattere precario, in forza
della sua facile amovibilità, venga
sottratta all'obbligo di rilascio del titolo
abilitativo edilizio, è necessario che sia
destinata ad un uso molto limitato nel
tempo, per fini specifici e temporanei.
2. L'ordinanza di demolizione, in quanto
atto vincolato, non richiede una motivazione
diversa dall'accertamento dell'abuso. Al
riguardo, deve escludersi qualsiasi esigenza
di tutela dell'affidamento, in quanto
l'abuso non può giustificare alcun legittimo
affidamento del contravventore a veder
conservata una situazione di fatto che il
semplice trascorre del tempo non può
legittimare.
3. L'individuazione puntuale delle aree (con
l'indicazione, ove necessario, degli estremi
catastali e dei confini) è un elemento
proprio degli atti della fase successiva
alla diffida a demolire, che interviene
quando venga accertata l'inottemperanza e si
proceda all'acquisizione del bene al
patrimonio del Comune. Tale atto, pur avendo
una natura certificativa e dichiarativa sarà
impugnabile con riferimento all'eventuale
erronea individuazione delle aree acquisite
al patrimonio comunale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
02.04.2008 n.
702). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Danno da ritardo della p.a.:
presupposti e risarcibilità.
Appartiene alla
giurisdizione del g.a. la controversia con
cui si chiede il risarcimento del danno da
ritardo da parte della p.a. nella
definizione dei procedimenti di rilascio di
titoli autorizzativi che hanno carattere
esclusivamente pubblicistico.
In tali casi perciò non si è di fronte a
violazioni del generico "neminem laedere”
conseguenti a "comportamenti" della p.a.
invasivi dei diritti soggettivi del privato,
ma in presenza della diversa ipotesi del
mancato tempestivo soddisfacimento
dell'obbligo della autorità amministrativa
di assolvere adempimenti tipicamente
procedimentali, aventi esclusivamente ad
oggetto lo svolgimento di funzioni
amministrative. Si è, perciò, al cospetto di
interessi legittimi pretensivi del privato
che, per loro intrinseca natura, ricadono
nella giurisdizione del g.a..
Quando il termine procedimentale è fissato
direttamente dalla legge, l’Amministrazione
non può disporre autonomamente del potere di
decidere il tempo per l’adozione del
provvedimento.
La presenza di termini procedimentalmente
definiti è infatti finalizzata a presidiare
direttamente sia l'interesse formale del
privato al rispetto dei tempi del
procedimento, e sia il suo interesse
sostanziale ad ottenere tempestivamente
l’utilità connessa al rilascio del
provvedimento richiesto.
La richiesta di accertamento di un “danno da
ritardo”, se da un lato deve essere
ricondotta al danno da lesione di interessi
legittimi per l'ontologica natura delle
posizioni fatte valere, dall’altro (in
ossequio al principio dell’atipicità
dell’illecito civile sempre affermata dalla
dottrina) costituisce una fattispecie sui
generis di natura del tutto specifica e
peculiare che deve essere ricondotta
all’art. 2043 c.c. per l’identificazione
degli elementi costitutivi dell’illecito ed
all’archetipo dell’art. 2236 c.c. per
l’individuazione dei confini della
responsabilità
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 31.03.2008 n. 2704 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla impugnazione della
concessione edilizia da parte di terzi.
E’ stato, invero, affermato dalla
giurisprudenza (Cons. Stato, V Sez., n.
4790/2004) che lo stabile collegamento
territoriale tra il ricorrente e la zona
interessata dall’attività edilizia
assentita, che legittima “chiunque” a
ricorrere contro le concessioni edilizie
illegittime, in virtù dell’art. 31 comma 9
L. 17.08.1942 n. 1150, come novellata dalla
L. 06.08.1967 n. 765, deve essere tale che
possa configurarsi, in concreto, la lesione
attuale di uno specifico interesse di natura
urbanistico- edilizia nella sfera
dell’istante, quale diretta conseguenza
della realizzazione dell’intervento
contestato, il che postula che per l’effetto
della realizzazione della costruzione la
situazione dei luoghi, anche urbanistica,
assuma caratteristiche tali da configurare
una rilevante e pregiudizievole alterazione
del preesistente assetto edilizio ed
urbanistico, che il ricorrente intende
conservare.
Ma è stato, altresì, affermato che ai fini
della legittimazione ad impugnare la
concessione edilizia rilasciata al terzo, lo
stabile collegamento territoriale con il
luogo dell’assentito intervento è concetto
relativo e variabile anche in relazione alle
specifiche connotazioni del soggetto che
agisce in giudizio contro la pretesa
illegittimità della concessione, sicché la
distanza tra due sedi commerciali
potenzialmente concorrenti (come nella
fattispecie) non va valutata solo in termini
di distanza come lunghezza lineare, ma
altresì con riferimento al verosimile
perimetro dei rispettivi bacini
socio-economici di utenza (Cons. Stato, V
sez., 07.04.2004, n. 1968; 30.01.2003 n.
469; IV Sez., 30.01.2001 n. 313) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.12.2007 n. 6157 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sui
soggetti competenti a ricorrere contro il
rilascio di una concessione edilizia.
A norma dell’art. 31, comma 9, L. 17.08.1942
n. 1150, come novellato dall’art. 10 L.
06.08.1967 n. 765, la possibilità di
ricorrere contro le concessioni edilizie
(ritenute) illegittime è riconosciuta a
«chiunque».
Secondo un ormai consolidato, e condiviso,
orientamento giurisprudenziale (cfr., tra le
tante, Cons. Stato, VI Sez. 26.07.2001, n.
4123; V Sez. 30.10.1995 n. 1495 e 11.04.1995
n. 587), tale espressione va interpretata
nel senso che ai fini della legittimazione
al ricorso occorre un criterio di stabile
collegamento tra il ricorrente e la zona
interessata all'attività edilizia assentita
con la concessione che si impugna, e tale
collegamento può derivare dalla residenza
nella zona interessata, dalla proprietà o
dal possesso o dalla detenzione di immobili
in detta zona o da altro titolo di
frequentazione di quest'ultima (TAR
Basilicata,
sentenza 19.02.2003 n. 169 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO ALL'08.09.2008 |
ã |
dossier AFFIDAMENTO IN HOUSE |
APPALTI SERVIZI:
Sui limiti per lo svolgimento di
attività extraterritoriale delle società
miste: necessità di dimostrare di non
sottrarre risorse alle collettività di
riferimento.
Le società miste, pur legittimate in via di
principio a svolgere la propria attività
anche al fuori del territorio del comune dal
quale sono state costituite, in quanto
munite dal legislatore di capacità
imprenditoriale sono pur sempre tenute, per
il vincolo genetico-funzionale che le lega
all’ente di origine, a perseguire finalità
di promozione dello sviluppo della comunità
locale di emanazione.
Tale vincolo funzionale implicitamente
imposto alle imprese miste va confrontato
con l’impegno extraterritoriale richiesto in
concreto e inibisce tale attività quando
diventino rilevanti le risorse e i mezzi
eventualmente distolti dalla attività
riferibile alla collettività di riferimento
senza apprezzabili utilità per queste
ultime. Si tratta, in definitiva, di
verificare che l’impegno da assumere non
comporti una distrazione di mezzi e risorse
tali da arrecare pregiudizio alla predetta
collettività, in sostanza la necessità di
una concreta verifica intesa ad accertare se
l’impegno extraterritoriale eventualmente
non distolga, e in caso positivo in che
rilevanza, risorse e mezzi, senza
apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi
da valutarsi in relazione all’impegno
profuso e agli eventuali rischi finanziari)
per la collettività di riferimento. Tale
verifica non può che ritenersi rimessa alle
commissioni giudicatrici delle gare quando a
queste chiedano di partecipare società
miste. La capacità, in termini di mezzi
tecnici e finanziari, della società mista ad
assumere, in aggiunta a quelle derivanti dal
servizio svolto per l’ente di riferimento,
anche il servizio oggetto della specifica
gara alla quale chiede di partecipare,
attiene alla legittimazione della società a
partecipare alla gara ed assume quindi la
valenza di un requisito soggettivo che, in
quanto tale, deve essere assoggettato a
verifica come avviene per altri requisiti
soggettivi. La prova di tale requisito
soggettivo, secondo i principi stessi della
partecipazione alle gare, incombe
sull’aspirante.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo
l’annullamento dell'aggiudicazione da una
gara di una società mista in quanto la
società non ha fornito tale prova (al
momento della presentazione della domanda) e
la commissione non ha svolto la necessaria
attività istruttoria verificando che
l’aggiudicataria, in quanto società mista
operante extra moenia, non avesse distratto
mezzi e risorse in modo tale da non arrecare
pregiudizio alle collettività di riferimento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2008 n. 4080 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Le società a capitale pubblico
non possono concorrere alle procedure di
gare per l’aggiudicazione di appalti indetti
da amministrazioni esterne al comune di
riferimento.
Per quanto concerne il tema generale della
ammissibilità delle società miste, sono
stati valorizzati al massimo (cfr. da ultimo
Cons. Stato, ad. plen., 03.03.2008, n. 1;
sez. II, 18.04.2007, n. 456/2007) i recenti
orientamenti dei giudici comunitari in
ordine alla definizione del requisito del
«controllo analogo» al fine di stagliare la
differenza tra il modello della gestione in
house rispetto a quello della società mista:
il primo essendo oramai ammissibile
solamente a condizione di una partecipazione
pubblica totalitaria; il secondo
presupponendo invece da sempre, per
definizione, l’investimento di capitale
privato. L’affermazione di compatibilità del
modello della società mista, ai sensi della
disciplina vigente, avviene però sulla base
di due premesse di fondo e a condizione che
siano presenti altrettante garanzie.
Le due premesse sono date:
a) dalla ricordata differenza tra i modelli
dell’in house e della società mista, tale da
consentire di valutare la compatibilità del
secondo modello secondo criteri autonomi;
b) dall’esito paradossale —proprio «nella
logica comunitaria della tutela della
concorrenza»— cui si perverrebbe ove si
dovessero ammettere solamente la soluzione
(necessariamente) «tutta pubblica» dell’in
house oppure quella «tutta privata» del
ricorso integrale al mercato a norma
dell’art. 113, 5° comma, lett. a), finendo
per escludere un modello —quello delle
società miste— (comunque) più orientato
verso il mercato di quanto non sia quello
dell’in house.
In ordine alle «garanzie», ai fini
dell’ammissibilità del modello, si richiede:
a) che la società sia costituita per
l’erogazione di servizi da rendere
prevalentemente a favore del soggetto
pubblico che l’ha costituita; in questo
contesto la gara per la scelta del socio
vale anche a definire il servizio operativo
demandato allo stesso (la gara in pratica
conferisce al privato, configurabile come
socio industriale ed operativo,
l’affidamento sostanziale del servizio
svolto dalla società mista), escludendo di
contro l’ammissibilità di società miste
«aperte»;
b) che si preveda un termine di scadenza e
la necessità di un rinnovo, evitando che il
privato diventi socio stabile della società
mista.
Al cospetto di queste garanzie si esclude la
necessità di indire una seconda gara (oltre
che per la scelta del socio privato) anche
per l’affidamento del servizio,
sottolineandosi come, altrimenti,
l’amministrazione si troverebbe ad assumere
la duplice veste di stazione appaltante e di
socio di una delle società concorrenti, in
palese conflitto di interessi.
Tanto più che con simili garanzie il modello
finirebbe per corrispondere in massima parte
a quello emergente dall’evoluzione
legislativa più recente, testimoniata in
particolare dall’art. 13, d.l. n. 223 del
2006 (sul quale ci si soffermerà meglio in
prosieguo) volto a contenere l’attività
delle società a capitale interamente
pubblico o misto entro i limiti del
soddisfacimento dello specifico bisogno
territoriale. Quello stesso modello
troverebbe, inoltre, la sua fonte di
legittimazione comunitaria nel libro verde
sul «partenariato pubblico-privato»
pubblicato dalla commissione europea il
30.04.2004.
In definitiva il modello della società mista
non avrebbe carattere ordinario nel nostro
sistema, costituendo piuttosto un’eccezione
alla regola dell’integrale ricorso al
mercato da parte dell’amministrazione,
dovendosi fare decisa applicazione, anche in
questa materia, del principio di
sussidiarietà orizzontale (già invocato in
precedenza, con riferimento all’in house,
dall’Autorità garante della concorrenza e
del mercato nella segnalazione del 28
dicembre 2006, n. AS 375).
Tutto ciò rappresenta una novità rispetto
alla posizione delle istituzioni
comunitarie, orientate —almeno finora— per
la piena alternatività tra autoproduzione ed
esternalizzazione (nella gestione) del
servizio.
Questo approdo tiene conto in modo palese
delle recenti tendenze legislative nazionali
ed in particolare del ricordato art. 13 d.l.
n. 223 del 2006, le cui norme stabiliscono,
anzi, a carico delle società pubbliche che
producono beni o servizi strumentali al
funzionamento delle amministrazioni
regionali e locali (non, quindi, le società
di gestione dei servizi pubblici locali), un
vero e proprio vincolo di esclusività e non
di «semplice» prevalenza, attraverso il
rigido divieto di svolgere prestazioni a
favore di soggetti pubblici e privati
diversi dagli enti costituenti ed affidanti
e l’obbligo di cessare entro ventiquattro
mesi le attività non più consentite.
Sotto il profilo soggettivo, infine, il
riferimento alle amministrazioni locali è
stato interpretato in chiave estensiva
includendovi anche gli enti locali non
territoriali, in particolare le camere di
commercio nel presupposto esplicito che il
modello della società mista sia eccezionale
e dunque generale il divieto stabilito
dall’art. 13 cit. (cfr. Cons. Stato, sez.
III, 25.09.2007, n. 322/2007)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2008 n. 4080 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Affidamenti in house sono tali e,
quindi, legittimi solo se sull’impresa
diretta affidataria l’amministrazione
pubblica eserciti uno stringente controllo
gestionale e finanziario.
Questo Tribunale ha avuto occasione
recentemente di pronunciarsi sulla questione
della compatibilità con l'ordinamento
comunitario dell'affidamento diretto, a
società con capitale interamente pubblico,
di un servizio pubblico locale a rilevanza
economica (come nella specie), delineando,
sulla base della giurisprudenza della Corte
di Giustizia delle Comunità Europee, i
principi giuridici che governano la materia
(v. TAR Sardegna, sez. I, 21.12.2007, n.
2407). Ricostruzione pienamente
condivisibile, dalla quale nel caso di
specie non vi sono ragioni per discostarsi.
Nella pronuncia richiamata si è osservato
che «a partire dalla sentenza 17/11/1999,
in causa C-107/98 (nota come sentenza Teckal)
la Corte di Giustizia ha affermato che il
detto affidamento è consentito a patto che:
a) l'amministrazione aggiudicatrice eserciti
sull'affidatario un "controllo analogo" a
quello esercitato sui propri servizi;
b) l'affidatario svolga la maggior parte
della propria attività in favore dell'ente
pubblico di appartenenza (cfr. anche Corte
Giust. C.E. 13/10/2005 in causa C-458/03,
Parking Brixen).
Non è, infatti, vietato all'amministrazione
sottrarre al mercato attività in relazione
alle quali la medesima ritenga di dover
provvedere direttamente con la propria
organizzazione. Come è stato, efficacemente,
rilevato, la creazione di un mercato comune
e l'applicazione delle regole di tutela
della concorrenza per garantirne il
mantenimento incontrano il limite del potere
di organizzazione della pubblica
amministrazione riconosciuta agli stati
membri dalle istituzioni comunitarie. Tale
limite non rappresenta una deroga alla
disciplina europea delle libertà economiche
tutelate dal mercato comune, ma è
definizione di ciò che non è mercato. La
disciplina della concorrenza per
l'aggiudicazione degli appalti e delle
concessioni presuppone un rapporto con il
mercato, ma la libera decisione
dell'amministrazione di rivolgersi ad esso
non può essere coartata per realizzare
l'apertura al mercato di taluni settori di
attività in cui l'amministrazione pubblica
voglia, invece, ricorrere
all'autoproduzione.
Il rilievo ha trovato eco nella
giurisprudenza comunitaria, secondo la quale
"Un'autorità pubblica che sia
un'amministrazione aggiudicatrice, ha la
possibilità di adempiere ai compiti di
interesse pubblico ad essa incombenti
mediante propri strumenti, amministrativi,
tecnici e di altro tipo, senza essere
obbligata a far ricorso ad entità esterne
non appartenenti ai propri servizi. In tal
caso non si può parlare di contratto a
titolo oneroso concluso con entità
giuridicamente distinta dall'amministrazione
aggiudicatrice. Non sussistono dunque i
presupposti per applicare le norme
comunitarie in materia di appalti pubblici"
(così Corte Giust. C.E. 11/01/2005 in causa
C-26/03, Stadt Halle). Ed altresì, in quella
nazionale, ove si afferma che la norme
comunitarie "non interferiscono sui poteri
delle pubbliche amministrazioni di adottare
soluzioni organizzative che siano le più
rispondenti alle esigenze che esse stesse
ritengano di dover soddisfare conformemente
alle leggi che le disciplinano" (così Cons.
Stato, V Sez., 18/09/2003 n. 5316).
Deve, quindi, ritenersi che la scelta di
optare tra outsourcing e in house providing
non sia sindacabile alla stregua del diritto
comunitario.
In presenza delle cennate condizioni
-"controllo analogo" e destinazione
prevalente dell'attività all'ente di
appartenenza- il legame che unisce
quest'ultimo all'affidatario del servizio ha
carattere organizzativo, cosicché non è
richiesto l'esperimento di procedure ad
evidenza pubblica (…).
Secondo la giurisprudenza amministrativa e
comunitaria, premesso che la partecipazione
pubblica totalitaria è elemento necessario
ma non sufficiente ad integrare il c.d.
"controllo analogo", quest'ultimo si
sostanzia in "un rapporto equivalente, ai
fini degli effetti pratici, ad una relazione
di subordinazione gerarchica; tale
situazione si verifica quando sussiste un
controllo gestionale e finanziario
stringente dell'ente pubblico sull'ente
societario" (così Cons. Stato, VI Sez.,
25/01/2005 n. 168, si veda anche Cons.
Stato, V Sez., 03/04/2007 n. 1514; C.Si.
04/09/2007 n. 719; Corte Giust. C. E.
18/11/1999, in causa C-107/98; 06/04/2006 in
causa C-410/04; 11/05/2006, in causa
C-340/04). Con la sentenza da ultimo
menzionata, la Corte di Giustizia ha, in
particolare, precisato che il "controllo
analogo" è configurabile allorché l'ente
pubblico detentore del capitale, abbia la
possibilità di esercitare un'"influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici
che sulle decisioni importanti della
società" (in termini anche citata sentenza
Parking Brixen)».
Sulla questione è successivamente
intervenuta l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato (03.03.2008, n. 1) che ha
così sintetizzato le condizioni per la
legittima sussistenza del controllo analogo:
«a) lo statuto della società non deve
consentire che una quota del capitale
sociale, anche minoritaria, possa essere
alienata a soggetti privati (Cons. Stato,
sez. V, 30.08.2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della
società non deve avere rilevanti poteri
gestionali e all’ente pubblico controllante
deve essere consentito esercitare poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto
societario riconosce normalmente alla
maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI,
03.04.2007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo dell’ente pubblico e che
risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento
dell’oggetto sociale; dall’apertura
obbligatoria della società, a breve termine,
ad altri capitali; dall’espansione
territoriale dell’attività della società a
tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE:
10.11.2005, C-29/04, Mödling o Commissione
c. Austria; 13.10.2005, C-458/03, Parking
Brixen);
d) le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell’ente
affidante (Cons. Stato, sez. V, 08.01.2007,
n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo
societario totalitario non sia garanzia
della ricorrenza dei presupposti dell’in
house, occorrendo anche un’influenza
determinante da parte del socio pubblico,
sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni importanti (C. giust. CE,
11.05.2006, C-340/04, società Carbotermo e
Consorzio Alisei c. Comune di Busto
Arsizio). Ne consegue che l’in house esclude
la terzietà, poiché l’affidamento avviene a
favore di un soggetto il quale, pur dotato
di autonoma personalità giuridica, si trova
in condizioni di soggezione nei confronti
dell’ente affidante che è in grado di
determinarne le scelte, e l’impresa è anche
sotto l’influenza dominante dell’ente.» (TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 12.08.2008 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier CONSIGLIERI COMUNALI |
CONSIGLIERI COMUNALI:
Limiti ed estensioni delle
prerogative del Consigliere Comunale.
La legittimazione dei Consiglieri Comunali
ad impugnare le deliberazioni dello stesso
Consiglio Comunale non può ritenersi
astrattamente limitata ai soli casi in cui
vengano in rilievo atti incidenti in via
diretta sul diritto all’ufficio e quindi su
un diritto spettante alla persona investita
della carica di consigliere, ma deve
intendersi estesa alla impugnazione di
delibere destinate ad avere ricadute
significative non solo sulla consistenza
patrimoniale dell’ente territoriale ma anche
sulla storia e sulle radici culturali
dell’intera comunità in esso rappresentata,
ove il consigliere lamenti la mancata
conoscenza di documenti essenziali, anche di
natura endoprocedimentale, per esprimere
consapevolmente il proprio voto (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 10.07.2008 n. 1724 -
link a www.altalex.com). |
dossier D.I.A. |
EDILIZIA PRIVATA: Sui
poteri in capo al Comune nel caso di
intervento assoggettato a D.I.A..
La DIA costituisce autocertificazione della
sussistenza delle condizioni stabilite dalla
legge per la realizzazione dell’intervento,
sul quale la PA svolge un’eventuale attività
di controllo che è prodromica e funzionale
al formarsi (a seguito del mero decorso del
tempo, non dell’effettivo svolgimento
dell’attività) del titolo legittimante
l’inizio dei lavori: titolo, il cui
consolidamento non comporta, però, che
l’attività del privato possa andare esente
da sanzioni quando sia difforme dal
paradigma normativo, con la conseguenza che
anche dopo il termine previsto per la
verifica dei presupposti e dei requisiti di
legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde
il potere di vigilanza e sanzionatorio
attribuitole dall’ordinamento (cfr. CdS, IV,
30.06.2005 n. 3498). In tale contesto,
pertanto, deve ammettersi, per il principio
di economia dei mezzi giuridici, la facoltà
dell’Amministrazione di inibire i lavori non
iniziati anche dopo l’avvenuto
consolidamento del titolo
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2006 n. 4095 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
distanza tra pareti finestrate
ricomprendendo o meno il balcone.
A quest’ultimo proposito si noti, peraltro,
per completezza, in relazione alla censura
svolta in primo grado, che la disciplina
vigente al momento del rilascio della
contestata concessione edilizia era, come si
ripete, quella promanante dell’art. 44 del
Regolamento edilizio del 1982 e dall’art. 4
delle NTA del PRG del 1980.
In base all'art. 44 del vigente Regolamento
Edilizio “la distanza dai confini” (fissata,
in linea generale e salve talune eccezioni
qui non rilevanti, in mt. 5) “si misura
sulla normale portata al confine dal punto
più vicino dell’edificio che faccia parte
del volume o della superficie coperta dello
stesso”.
In base all'art. 4 delle NTA del PRG, poi,
il volume delle costruzioni “si ricava
moltiplicando la superficie lorda di
pavimento dei singoli piani per l’altezza
virtuale dell’interpiano…….”; e nella
superficie lorda di pavimento, in base alla
stessa norma, non sono da ricomprendere, tra
gli altri, gli aggetti aperti, i balconi e
le terrazze; quanto alla superficie coperta,
sempre in base al ripetuto art. 4, sono da
essa pure escluse le parti aggettanti e i
balconi.
Ne consegue che, nel calcolo delle distanze
dai confini, correttamente non si è tenuto
conto, nella specie, da parte del Comune,
dei contestati balconi, in quanto non
rientranti, in base alla disciplina locale,
nel volume, né nella superficie lorda, né in
quella coperta dell’edificio da realizzare;
la distanza di mt. 5, infatti, andava
calcolata non a partire dal punto più vicino
dell’erigendo edificio, bensì solo dalle
parti dell’edificio stesso costituenti
volume o superficie coperta del medesimo,
mentre tali non sono stati considerati, in
base alla predetta disciplina normativa e
nel rispetto della medesima, le parti
aggettanti e, in particolare, i balconi; si
può discutere della legittimità di una
disciplina siffatta che, di fatto, esclude,
dal computo delle distanze, parti
dell’edificio che, normalmente, vanno
considerate a tali fini; ma la disciplina
stessa non è stata fatta oggetto di
specifico gravame (Consiglio di Stato, Sez.
V, sentenza V,
sentenza 12.08.2004 n. 5554 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier RIFIUTI E BONIFICHE |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Abbandono e
responsabilità del proprietario del fondo.
In tema di gestione di rifiuti, la
consapevolezza da parte del proprietario del
fondo dell'abbandono sul medesimo di rifiuti
da parte di terzi non è sufficiente ad
integrare il concorso nel reato di abbandono
o deposito incontrollato di rifiuti), atteso
che la condotta omissiva può dare luogo a
ipotesi di responsabilità solo nel caso in
cui ricorrano gli estremi del comma secondo
dell’art. 40 c.p., ovvero sussista l'obbligo
giuridico di impedire l'evento. Non è
sufficiente, pertanto, una condotta
meramente omissiva da parte del proprietario
del fondo ad integrare il concorso nel reato
di abbandono o deposito di rifiuti
effettuato da terzi, non essendo posto a suo
carico alcun obbligo giuridico di
intervenire per impedire la commissione
dell'illecito, sempre che la consapevolezza
del fatto non rivesta le caratteristiche
proprie di una forma di acquiescenza, che
abbia agevolato la commissione del reato da
parte del terzo, configurandosi, perciò,
quale concorso nella sua commissione (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.07.2008 n. 31488 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Rifiuti. Diffida (art. 210 D.Lv.
152/2006).
Nell’ambito della sequenza procedimentale
indicata dal legislatore nell'art. 210 D.Lv.
152/2006 prima delle modifche apportate dal
d.lv. 4-2008, la sospensione
dell’autorizzazione deve necessariamente
essere preceduta dalla diffida, che ha lo
scopo di rimettere l’interessato nelle
condizioni di eliminare le violazioni
riscontrate, evitando in tal modo l’adozione
delle più gravi e maggiormente restrittive
misure interdittive dell’attività e, sulla
base delle norme sul procedimento
amministrativo, deve altresì essere
preceduta dalla comunicazione di avvio del
procedimento volto a contestare i singoli
episodi rilevati nel corso degli
accertamenti, in relazione ai quali
l’interessato deve essere messo nelle
condizioni di fornire il proprio apporto
procedimentale. La diffida peraltro può
tener luogo anche della comunicazione di
avvio del procedimento, ove contenga
l’espressa indicazione di un termine entro
il quale l’interessato può presentare
memorie, ai fini del procedimento volto alla
sospensione dell’autorizzazione (TAR Veneto,
Sez. III,
sentenza 07.07.2008 n. 1947
- link a www.lexambiente.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
compatibilità paesaggistica di opere
abusive.
Il caso in
esame riguarda una richiesta di
compatibilità paesaggistica in sanatoria. Le
disposizioni applicabili non sono quindi
quelle degli art. 146 e 159 del Dlgs.
42/2004 (che riguardano l’autorizzazione
paesistica preventiva) ma quelle dell’art.
167 del medesimo Dlgs. 42/2004, il quale
disciplina i limiti entro cui può essere
sanata sul piano amministrativo la mancanza
di una preventiva autorizzazione paesistica
(intendendo per sanatoria amministrativa la
deroga all’obbligo di demolizione).
La versione originaria dell’art. 167, comma
1, del Dlgs. 42/2004 (così come in
precedenza l’art. 164, comma 1, del Dlgs.
29.10.1999 n. 490) attribuiva all’autorità
amministrativa il potere di scegliere
alternativamente tra la remissione in
pristino e il pagamento di una somma a
titolo di risarcimento ambientale sulla base
di una valutazione di compatibilità
paesaggistica circa il modo migliore di
proteggere i beni tutelati. L’art. 1, commi
37-39, della legge 308/2004 ha introdotto
una sanatoria speciale (rilevante anche sul
piano penale) per i lavori compiuti entro il
30.09.2004 senza la prescritta
autorizzazione paesistica o in difformità
dalla stessa. La concessione di quest’ultima
sanatoria è vincolata qualora le tipologie
edilizie realizzate e i materiali utilizzati
ricadano tra quelli previsti e assentiti
dagli strumenti di pianificazione
paesaggistica, mentre negli altri casi è
subordinata a una valutazione di
compatibilità paesaggistica compiuta
dall’autorità amministrativa. Infine la
versione attuale dell’art. 167 del Dlgs.
42/2004 (come sostituito dall'art. 27 del
Dlgs. 24.03.2006 n. 157) prevede in via
generale al comma 1 l’obbligo di remissione
in pristino, salvo che ricorrano le ipotesi
(aventi impatto qualitativamente ridotto) di
cui al successivo comma 4 (lavori che non
abbiano determinato aumento di superficie
utile o di volume, uso di materiali difformi
da quelli previsti dall’autorizzazione
paesistica, lavori di manutenzione ordinaria
o straordinaria).
L’impostazione seguita dal Parco appare
quindi complessivamente corretta: occorre
innanzitutto verificare se gli abusi in
questione ricadano nella fattispecie di
sanatoria vincolata ex art. 1, comma 37,
della legge 308/2004 (in proposito si
osserva che il Parco non ha eccepito, come
avrebbe potuto fare, la scadenza del termine
del 31.01.2005 per la presentazione
dell’istanza di sanatoria); in subordine si
passa a esaminare la compatibilità
paesaggistica dei manufatti in applicazione
dell’art. 1, comma 37, della legge 308/2004
e dell’art. 167, comma 1, del Dlgs. 42/2004
nella versione originaria (sul piano
amministrativo la valutazione richiesta
dalle predette norme non differisce
sostanzialmente). Non è invece possibile
applicare l’art. 167, commi 1 e 4, del Dlgs.
42/2004 nella versione introdotta dal Dlgs.
157/2006, in quanto le opere in questione e
le due richieste di sanatoria sono anteriori
a quest’ultima modifica e, dunque,
l’applicazione della normativa più rigorosa
sopravvenuta sarebbe in contrasto con il
principio della certezza del diritto (v. TAR
Brescia 13.02.2008 n. 70, punto 18)
(TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 20.08.2008 n. 862 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
GURI - GUUE - BURL (e anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
03.09.2008 n. 206 "Criteri e requisiti
per l’iscrizione all’Albo nella categoria 1
per lo svolgimento dell’attività di gestione
dei centri di raccolta di cui al decreto del
Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare 8 aprile 2008, di
attuazione dell’articolo 183, comma 1,
lettera cc), del decreto legislativo n.
152/2006, e successive modificazioni e
integrazioni"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
deliberazione 29.07.2008). |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 35 del
31.08.2008, "Statuto d'autonomia della
Lombardia"
(L.R.
statutaria 30.08.2008 n. 1 - link a www.infopoint.it). |
DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO:
Decreto legge n. 112 del 2008
convertito in legge n. 133 del 2008 –
“Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione
tributaria” – art. 71 – assenze dal servizio
dei pubblici dipendenti - ulteriori
chiarimenti
(circolare
05.09.2008 n. 8/2008 - link a
www.innovazionepa.gov.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
Installazione di antenne su immobili
abusivi: il potere dell’Autorità comunale
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
A. Muratori,
Ecopiazzole: finalmente un decreto a
dettarne la disciplina, stop ai conflitti
interpretativi (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
G. Amendola,
Le terre e rocce da scavo dopo il decreto
correttivo del 2008 (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Deliperi,
Provvedimenti di nuovi vincoli
paesaggistici: come complicarsi la vita
(link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
R. Bianchi,
Rifiuti da demolizione e materiali di scavo:
la Cassazione «si allinea» al Giudice
comunitario (Nota a Cass. pen. n.
14323/2008) (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
L. Magnani,
D.LGS. N. 4 DEL 2008: RECENTI MODIFICHE AL
CODICE DELL’AMBIENTE (link a
www.lexambiente.it). |
APPALTI:
A. Gurrieri,
Accesso agli atti e tutela della
riservatezza nelle gare d’appalto
(link a www.diritto.it). |
APPALTI:
A. Gurrieri,
Le dichiarazioni sostitutive nelle procedure
ad evidenza pubblica (link a
www.diritto.it). |
ENTI LOCALI:
G. Gioffré,
La privacy nella Pubblica Amministrazione e
la sua tutela (link a
www.diritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
N. Ulisse,
La responsabilità civile della P.A. nella
custodia del demanio stradale
(link a www.diritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Lopez,
USO DEL FUOCO PER L’ELIMINAZIONE DI RESIDUI
VEGETALI (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
M. Penna,
Regolamentazione delle emissioni in
atmosfera da impianti alla luce della parte
V del D. Lgs. 152/2006 (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
G. Mininni,
NUOVE PROSPETTIVE PER L'ADEGUAMENTO DEGLI
IMPIANTI DI DEPURAZIONE DELLE ACQUE DI
SCARICO URBANE (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
Stazioni radio base nei centri abitati
(link a www.lexambiente.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI:
Il DURC non può essere sostituito
da autocertificazione.
Va razionalmente negato che l’acquisizione
alla documentazione di gara, dell’atto
ufficiale comprovante i requisiti soggettivi
del partecipante in ordine alla regolarità
contributiva, il cd. “durc” (richiesto in
base al bando di gara), possa essere
surrogato dall’autocertificazione
dell’interessato, ovvero dalla presentazione
dei cd. modelli 24 utilizzati
dall’imprenditore medesimo per il pagamento
dei contributi previdenziali.
Vale a tal proposito rammentare che il
“durc” o documento unico di regolarità
contributiva è il certificato unitario
–regolato dall'art. 3, comma 8, lett. b.bis)
d.lgs. 14.08.1996, n. 494, come mod.
dall’art. 98, comma 10, d.lgs. 10.09.2003,
n. 276- finalizzato alla affidabile verifica
dei requisiti di partecipazione e
aggiudicazione in gare pubbliche perché
rilasciato dagli enti previdenziali
all’imprenditore e da questo consegnato al
committente che glielo deve richiedere. La
sua funzione è di attestare la regolarità
negli adempimenti circa i contributi
previdenziali, assistenziali ed assicurativi
rispetto a INPS, INAIL e Cassa Edile
riguardo a tutti gli appalti pubblici e agli
appalti privati in edilizia soggetti a
titolo edilizio espresso. Mediante l’uso
obbligatorio di un tale documento si
contrasta l’evasione contributiva
previdenziale perché si pone a base della
possibilità di contrarre un appalto pubblico
la dimostrazione ufficiale della regolarità
contributiva.
Avuto riguardo alla sua utilità, si tratta
di uno strumento al tempo stesso di
certificazione ufficiale e di
semplificazione procedimentale, la cui
valenza è duplice, perché orientata a
soddisfare un interesse strumentale pubblico
come un interesse privato. Da un lato
infatti il “durc” consente, grazie alla sua
obbligatorietà, di assicurare che gli
appalti pubblici siano affidati soltanto ad
imprese che risultino in regola quanto a
contribuzione previdenziale, e dunque
garantisce un miglior contrasto
dell’evasione in quel settore, rispondendo
al principio generale di buona
amministrazione; da un altro lato permette,
in virtù della sua unitarietà (realizzata
sulla base di doverose convenzioni tra i
soggetti previdenziali), l’agevolazione
delle esigenze di speditezza documentativa
vuoi dell’appaltatore che, per riflesso,
dell’appaltante, riducendone le incombenze.
Anche a prescindere dalla sua obbligatorietà
(nella specie contrassegnata dalla lex
specialis della gara), non si vede dunque a
quale plausibile interesse dell’imprenditore
possa corrispondere la sua mancata
utilizzazione. Una tale doverosa ed
ufficiale certificazione non può essere
definitivamente sostituita dalla
dichiarazione sostitutiva (ai sensi, più che
dell’invocato art. 2 d.P.R. 20.10.1998, n.
403, abrogato e sostituito dagli artt. 19 e
47 d.P.R. 28.12.2000 n. 445, dall’art. 46,
comma 1, lett. p) di quest’ultimo,
concernente le dichiarazioni sostitutive di
certificazioni riguardo all’assolvimento di
specifici obblighi contributivi con
l'indicazione dell'ammontare corrisposto).
Il durc, invero, non può essere sostituito,
nella sua funzione probante, dalla cd.
autocertificazione. Sussiste infatti tra le
generale previsioni in tema di cd.
autocertificazione –che per ragioni di
semplificazione procedimentale consente di
dimostrare, salvo verifica, adempimenti con
dichiarazioni dell'interessato prodotte in
sostituzione delle normali certificazioni– e
la previsione per gli appalti pubblici sopra
ricordata circa il durc, un rapporto di
specialità, in forza del quale prevale, in
materia di appalti, la predetta disposizione
dell'art. 3, comma 8, lett. b.bis) d.lgs.
n. 494 del 1996.
In entrambe le situazioni, infatti, ci si
trova innanzi ad un mezzo di semplificazione
procedimentale. A favore del durc,
nondimeno, e della sua prevalenza sussiste
anche il valore ulteriore della
certificazione ufficiale delle regolarità
contributiva, che corrisponde ad un evidente
quanto dominante interesse pubblico al
contrasto del preoccupante fenomeno della
evasione previdenziale, di particolare
significato nel settore degli appalti
pubblici. Ne consegue che ciò che forma
materia tipica del durc non può, quando un
tale documento è richiesto, essere surrogato
dalla dichiarazione sostitutiva
dell’interessato (Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 25.08.2008 n. 4035 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sui
soggetti legittimati ad impugnare il
permesso di costruire rilasciato.
L'art. 31, 9° comma, della legge urbanistica
17.08.1942 n. 1150, nel testo sostituito
dall'art. 10 della legge 06.08.1967 n. 765,
attribuisce a "chiunque" il potere di
"ricorrere contro il rilascio della licenza
edilizia (oggi, permesso a costruire)
in quanto in contrasto con le disposizioni
di leggi o dei regolamenti o con le
prescrizioni di piano regolatore generale o
dei piani particolareggiati di esecuzione".
Secondo l’ormai pacifica interpretazione
giurisprudenziale (cfr. C.d.S., Sez. V,
30.01.2003, n. 469; Tar Lazio, Roma, Sez. II,
04.10.2005, n. 7749) -che il Collegio
condivide pienamente– tale norma non ha
introdotto un nuovo tipo di azione popolare,
estremamente eccezionale nel sistema
giurisdizionale dell'impugnazione degli atti
amministrativi, ovvero ancora, all'opposto,
un’azione limitata soltanto ai proprietari
frontisti o limitrofi, ma ha riconosciuto
una posizione qualificata e differenziata in
capo ai proprietari di immobili siti nella
zona in cui la costruzione è permessa,
nonché a coloro che si trovano in una
situazione di stabile collegamento, sia di
natura reale che obbligatoria, con la zona
stessa, vale a dire a tutti coloro che
facciano parte di un determinato
insediamento abitativo.
La tutela giurisdizionale in materia di
titoli edilizi rilasciati a terzi non può
pertanto essere limitata ai soli proprietari
(frontisti o confinanti), ma deve essere
estesa anche ai non proprietari e a tutti
coloro i cui interessi di vita (familiari,
economici, ecc.) siano comunque correlati
all'interesse urbanistico della particolare
disciplina di ciascuna zona -intesa
quest'ultima quale entità territoriale con
peculiari caratteristiche, cui dà rilevanza
la normativa urbanistica- tanto da doversi
riconoscere a detti interessi la natura di
"interessi di zona" (cfr. Cass. Civ., SS.UU.
25.10.1982, n. 5530).
Va, perciò, condiviso l'orientamento
giurisprudenziale che riconosce la
legittimazione all'impugnazione di atti
edificatori in favore di coloro che si
trovino in una situazione di stabile
collegamento con l'area oggetto
dell'intervento assentito e che facciano
valere un interesse giuridicamente protetto
di natura urbanistica, anche se correlato ad
altro di natura economico-commerciale (cfr.
C.d.S, Sez. IV, 12.09.2007, n. 4821).
E’ infatti giuridicamente rilevante (nonché
qualificato e differenziato) l’interesse del
soggetto che esercita, in una certa zona,
una determinata attività commerciale, ad
opporsi al rilascio di titoli edilizi che
comportino la realizzazione, nelle immediate
adiacenze, di un’attività commerciale dello
stesso tipo, stante l’indubbio pregiudizio
economico che quello stesso soggetto è
destinato a subire con l’apertura
dell’impianto concorrente (cfr. oltre alla
giurisprudenza già citata, altresì: Tar
Marche, 01.09.2006, n. 547, in relazione
alla fattispecie di realizzazione di nuovi
impianti per la distribuzione di carburanti;
Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 08.03.2007,
n. 407 e Tar Veneto, Sez. II, 26.03.2007, n.
938, in analoghe fattispecie di apertura di
nuovi centri commerciali; Tar Lazio, Roma,
Sez. II, 02.11.2005, n. 10255, concernente
fattispecie di impugnazione di concessione
edilizia in sanatoria per l’asserito
mutamento della destinazione d’uso, in senso
commerciale, del locale oggetto del
contestato intervento)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 21.08.2008 n. 9955 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Se
e quando l'approvazione del progetto di
un'opera pubblica possa considerarsi ex se
immediatamente lesiva ed impugnabile.
Ai sensi della
vigente normativa (cfr. art. 93 D. Lgs.vo
12/04/2006, n. 163), l'attività di
progettazione per l'esecuzione dei lavori
pubblici si articola secondo tre successivi
livelli di approfondimenti tecnici, in
progetto preliminare, progetto definitivo e
progetto esecutivo.
Il progetto preliminare, che deve
essere tale da consentire l'avvio della
procedura espropriativa, definisce "le
caratteristiche qualitative e funzionali dei
lavori, il quadro delle esigenze da
soddisfare e delle specifiche prestazioni da
fornire" e consiste "in una relazione
illustrativa delle ragioni della scelta
della soluzione prospettata in base alle
valutazioni delle eventuali soluzioni
possibili", tenendo conto, tra l'altro,
dei profili ambientali, della fattibilità
amministrativa e tecnica, accertata mediante
le indispensabili indagini di prima
approssimazione.
Il progetto definitivo "individua
compiutamente i lavori da realizzare, nel
rispetto delle esigenze, dei criteri, dei
vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni
stabiliti nel progetto preliminare e
contiene tutti gli elementi necessari ai
fini del rilascio delle prescritte
autorizzazioni ed approvazioni"; nella
relazione descrittiva in cui esso si
concreta devono essere contenuti, fra
l'altro, lo studio dell'impatto ambientale,
gli studi e le indagini preliminari con
riguardo alla natura ed alle caratteristiche
dell'opera, studi ed indagini che, con
particolare riferimento a quelli di tipo
geognostico, idrologico, sismico,
agronomico, biologico e chimico, devono
essere condotti ad un livello tale da
consentire i calcoli preliminari delle
strutture e degli impianti e lo sviluppo del
computo metrico estimativo.
L'approvazione del progetto definitivo da
parte di un'amministrazione aggiudicatrice
equivale a dichiarazione di pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza dei
lavori.
Il progetto esecutivo, che deve
essere redatto in conformità del progetto
definitivo, "determina in ogni dettaglio
i lavori da realizzare ed il relativo costo
e deve essere sviluppato ad un livello di
definizione tale da consentire che ogni
elemento sia identificabile in forma,
tipologia, qualità, dimensione e prezzo".
La giurisprudenza formatasi sul punto ha
chiarito che, nell'ambito della serie
procedimentale degli atti di approvazione di
un progetto per la realizzazione di un'opera
pubblica, devono considerarsi impugnabili
solo quegli atti che siano effettivamente
dotati di lesività nei confronti dei
cittadini incisi dall'attività della
pubblica amministrazione, tra cui in via
generale devono comprendersi l'approvazione
del progetto definitivo dei lavori da
realizzare, che, contenendo la dichiarazione
di pubblica utilità, indifferibilità ed
urgenza, come disposto dal comma 13
dell'art. 14 della legge 11.02.1994 n. 109
(a tal fine richiamato dall’art. 98 D. Lgs.
n. 163/2006 cit.), imprime al bene privato
quella particolare qualità (o utilità
pubblica) che lo rende assoggettabile alla
procedura espropriativa, il decreto di
occupazione temporanea e d'urgenza, che
realizza lo spossessamento del bene in capo
al privato ed il decreto di espropriazione
che attua, quindi, il trasferimento coattivo
del bene dal privato alla pubblica
amministrazione ovvero all'espropriante.
Gli altri atti (quali, per esempio,
l'approvazione del progetto preliminare,
l'approvazione del progetto esecutivo, la
comunicazione della data di immissione in
possesso, etc.) non possono considerarsi
invece ex se immediatamente lesivi, salvo
che per un'eventuale alterazione dell'iter
procedimentale siano essi stessi ad incidere
immediatamente e direttamente sul bene
oggetto della procedura espropriativa,
recando quindi un vulnus alla posizione del
cittadino proprietario (cfr. C.d.S., Sez. IV,
06.06.2001, n. 3033; TAR Liguria, sez. I,
02.11.2004, n. 1508; TAR Abruzzo Pescara,
13.02.2004, n. 208; TAR Lombardia Brescia,
17.02.2004, n. 105)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 21.08.2008 n. 9955 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
mancata comunicazione delle ragioni ostative
è assimilabile all’assenza di comunicazione
di avvio del procedimento.
La violazione dell’art. 10-bis della legge
241/1990 per mancata comunicazione delle
ragioni ostative è assimilabile all’assenza
di comunicazione di avvio del procedimento,
in quanto entrambi gli atti hanno lo scopo
di permettere un effettivo confronto tra
l’amministrazione e i privati anteriormente
all’adozione di un provvedimento negativo,
in modo che non siano trascurati elementi
istruttori utili per la decisione finale.
L’identità della funzione permette di
affermare che anche la mancanza della
comunicazione ex art. 10-bis della legge
241/1990 incide sulla validità dell’atto
conclusivo nei soli limiti previsti
dall’art. 21-octies comma 2 della legge
241/1990, ossia qualora abbia determinato un
deficit istruttorio. Questo non si verifica
quando vi siano state modalità di
informazione equivalenti (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 20.08.2008 n. 862 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nel caso di revoca
dell'aggiudicazione definitiva occorre
comunicare l'avvio del relativo
procedimento.
Secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza, condiviso dal Collegio,
quando l’amministrazione intenda procedere
al riesame in autotutela del provvedimento
di aggiudicazione definitiva, con il quale
si sia concluso il procedimento di
affidamento di contratti pubblici deve
adempiere alla prescrizione imposta
dall’art. 7 della legge n. 241/1990
(recentemente Cons. St, sez. V, 21.11.2007,
n. 5925), provvedendo alla comunicazione
dell’avvio del procedimento (quantomeno) nei
confronti dell’aggiudicatario la cui sfera
giuridica potrebbe essere incisa dagli
effetti sfavorevoli derivanti dall’adozione
dell’atto di revoca.
Richiamata quella giurisprudenza
secondo la quale l’amministrazione
appaltante può rivedere o riesaminare
l’aggiudicazione definitiva, in presenza di
specifiche ragioni di pubblico interesse (da
sottoporre a comparazione con gli interessi
del privato che si sia aggiudicato il
contratto), occorre subito precisare che
l’esercizio legittimo di un tale potere di
autotutela comporta, in sede di motivazione
del provvedimento di secondo grado, la
esplicazione analitica e determinata dei
fatti che supportano la rivalutazione degli
interessi pubblici nella concreta vicenda
amministrativa implicata (si veda, per
tutte, Cons. St., sez. IV, 22.10.2004, n.
6931) e giustificano il sacrificio imposto
all’interesse del privato (TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 12.08.2008 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere precarie.
La natura precaria di un manufatto, ai fini
dell'esenzione dalla concessione edilizia o
permesso di costruire, non può essere
desunta dalla temporaneità della
destinazione soggettivamente data all'opera
dal costruttore, ma deve ricollegarsi ad un
uso realmente precario e temporaneo, per
fini specifici e cronologicamente
delimitati, non essendo certamente
sufficiente che si tratti di un manufatto
smontabile e non infisso al suolo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.07.2008 n. 31467 -
link a www.lexambiente.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
Sulle relazioni sindacali nel
comparto Regioni/Autonomie Locali.
Un ente locale con dirigenza non può,
unilateralmente, appropriarsi delle risorse
del fondo collettivo di cui all’art. 15 del
CCNL 01.04.1999 e destinarle al
finanziamento di nuove posizioni
organizzative (Tribunale di Verbania, Sez.
lavoro e previdenza,
decreto 16.07.2008 - link a
www.altalex.com). |
APPALTI:
L'impresa che ha perso l'appalto,
per errata interpretazione di una norma da
parte del comune, ha diritto al risarcimento
del danno subìto.
Ai fini dell'ammissibilità dell'azione di
risarcimento del danno, deve valutarsi la
sussistenza dell'elemento psicologico,
quanto meno della colpa, in quanto la
responsabilità patrimoniale della p.a.
conseguente all'annullamento di
provvedimenti illegittimi deve essere
inserita nel sistema delineato dall'art.
2043 c.c., in base al quale l'imputazione
non può avvenire sulla base del mero dato
oggettivo dell'illegittimità del
provvedimento, dovendo verificarsi che la
predetta adozione (e l'esecuzione dell'atto
impugnato) sia avvenuta in violazione delle
regole di imparzialità, di correttezza e di
buona amministrazione alle quali l'esercizio
della funzione deve costantemente ispirarsi
(Cons. Stato, sez. V, 06.03.2007, n. 1049).
Il criterio soggettivo di imputazione
necessario per configurare a carico della
pubblica amministrazione la responsabilità
per danni da azione amministrativa
illegittima è costituito dalla colpa lieve.
L’esclusione di responsabilità in presenza
di mera culpa levis, concernendo soltanto le
prestazioni che possano implicare la
soluzione di problemi tecnici di speciale
difficoltà, non può comunque riferirsi
all’attività di mera interpretazione di
norme giuridiche, quale è stata quella che,
nella specie, ha dato luogo all’erronea
individuazione dell’aggiudicatario nella
gara de qua.
Infatti l’Amministrazione interpreta a
proprio rischio le norme giuridiche, al pari
di come del resto avviene per ogni altro
soggetto dell’ordinamento; cioè senza alcuna
certezza dell’esattezza di tale propria
esegesi, e -soprattutto- senza poter vantare
alcuna speciale irresponsabilità per le
conseguenze economicamente pregiudizievoli
dell’esegesi eventualmente erronea della
nuova norma (in altri termini, essa non può
trasferire sui terzi il danno ingiusto
cagionato da un proprio eventuale errore
esegetico).
A fronte delle perplessità scaturenti
dall’interpretazione di una norma, su cui
non si sia ancora consolidato un sicuro
orientamento giurisprudenziale,
l’Amministrazione che agisca con la normale
prudenza e diligenza al fine di evitare di
produrre danni di cui sarebbe, altrimenti,
responsabile, deve piuttosto adottare
specifiche cautele, adeguate al contesto
dello specifico caso (C.G.A. 12.04.2007, n.
361 e 18.04.2006, n. 153) (C.G.A. Regione
Sicilia,
sentenza 04.07.2008 n. 591 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
S. Lazzini, Che cosa deve fare
una Stazione Appaltante in caso di
presentazione di cauzione provvisoria,
mediante polizza assicurativa, non
contenente espressamente la rinuncia al
beneficio della preventiva escussione del
debitore principale e la loro operatività
entro 15 gg. a semplice richiesta della
stazione appaltante; nonché in assenza di
adeguata dichiarazione (di cui al punto 8
del bando) avente ad oggetto la cauzione
definitiva? Se una ditta non classificatasi
al primo posto, riesce a dimostrare che
altre imprese avrebbero dovuto essere
escluse e di conseguenza, se il
comportamento della Stazione Appaltante
fosse stato legittimo, l’aggiudicazione
sarebbe stata certa, a lavori ultimati, qual
è l’ammontare del risarcimento del danno che
il giudice amministrativo può riconoscere?
Poiché espressamente il bando di gara
prevedeva che: <a pena di esclusione, al
punto 8 che l’offerta doveva essere
corredata da: 1) una cauzione provvisoria,
pari almeno al 2% dell’importo complessivo
dell’appalto, costituita alternativamente da
versamento in contanti o in titoli del
debito pubblico presso la tesoreria
provinciale dello stato ovvero da
fideiussione bancaria o polizza assicurativa
o polizza rilasciata da un intermediario
finanziario iscritto nell’elenco speciale di
cui all’art.107 del D.lgvo n. 385/1993,
avente validità per almeno 180 gg. dalla
data di presentazione dell’offerta, da
rendersi in conformità al D.M. n. 123/2004;
2) una dichiarazione di un istituto bancario
oppure di una compagnia di assicurazione
oppure di un intermediario finanziario
iscritto nell’elenco speciale di cui
all’art. 107 del D.lgvo n. 385/1993
contenente l’impegno a rilasciare, in caso
di aggiudicazione definitiva dell’appalto, a
richiesta del concorrente, una fideiussione
o polizza relativa alla cauzione definitiva
in favore dell’amministrazione
aggiudicatrice valida fino alla data di
emissione del certificato di collaudo
provvisorio e comunque con validità non
inferiore a 12 mesi dalla data del verbale
di consegna dei lavori.>, considerato
che per quanto concerne la cauzione
provvisoria le offerte presentate da tutte
le cinque imprese risultavano conformi alla
lex specialis della gara, laddove prevedeva
la conformità di tali contratti agli schemi
di polizza tipo approvati dal DM 123/2004 e
contenuti in allegato a questo, mentre per
quanto riguarda l’impegno alla costituzione
della cauzione definitiva in caso di
aggiudicazione le offerte presentate da due
società, non contenevano un simile impegno,
e pertanto, dovevano essere escluse dalla
gara in questione e di conseguenza:alla luce
di tali argomentazioni, le dedotte censure
devono essere accolte, con conseguente
annullamento dei provvedimenti di
aggiudicazione intervenuti a favore della
controinteressata.
Il Collegio ritiene che nella presente
controversia ai fini della quantificazione
del danno risarcibile si possa far ricorso
all’istituto di cui all’art. 35, comma 2,
del D.lgvo n. 80/1998, il quale prevede che
nelle controversie risarcitorie il giudice
amministrativo può stabilire i criteri in
base ai quali l'amministrazione pubblica o
il gestore del pubblico servizio devono
proporre a favore dell'avente titolo il
pagamento di una somma entro un congruo
termine.
A tal fine deve essere evidenziato che la
proposta della resistente stazione
appaltante, da comunicare alla impresa
ricorrente entro 60 gg. dalla comunicazione
o notificazione della presente decisione,
dovrà individuare come voce risarcitoria
unicamente il lucro cessante, dato che negli
atti di causa è stato chiesto il
risarcimento solo del mancato utile che
l’attuale istante avrebbe conseguito con
l’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto
de quo.
Per quanto concerne, invece, il lucro
cessante, il criterio primario per
determinarlo nella sua concretezza è quello
della misura prevista dal concorrente
medesimo nell’offerta o nella sua
disaggregazione analitica costituita dalle
giustificazioni degli elementi costitutivi
della stessa o in qualsiasi altro atto o
documento, mentre la misura massima del 10%
è residuale (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 02.07.2008 n. 6366 -
link a www.diritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
S. Lazzini, In tema di istituto
della associazione per cooptazione e di
assenza di dichiarazione sulla quota di
partecipazione di ciascuna impresa
interessata nonché di illegittimo
comportamento di una stazione appaltante che
ha di fatto consentito una rimodulazione
complessiva dell’offerta al momento di
verifica di un’offerta anomala.
Qualora due imprese dichiarino di voler
partecipare utilizzando il meccanismo della
cooptazione, di cui all’art. 95, comma 4,
del DPR n. 544 del 1999, in questo caso, non
si assiste al meccanismo disciplinare
predisposto in tema di raggruppamento
temporaneo, ma alla diversa situazione per
cui si consente “alla singola impresa o
all'associazione temporanea da costituire,
che abbiano i requisiti prescritti per
partecipare alla gara, di associare altre
imprese qualificate anche per categorie ed
importi diversi da quelli richiesti dal
bando, a condizione che i lavori eseguiti da
quest'ultime non siano superiori al 20%
dell'importo complessivo dei lavori e che
l'ammontare complessivo delle qualificazioni
posseduto da ciascuna sia almeno pari
all'importo dei lavori che saranno ad essa
affidati.”
L’istituto della associazione per
cooptazione, già precedentemente previsto
dall'art. 23, comma 6, del D.lgs. n. 406 del
1991, ha proprio la funzione di consentire
la partecipazione ad imprese di modeste
dimensioni che altrimenti non potrebbero
parteciparvi per mancanza dei requisiti
prescritti. Il fatto che il bando di gara
sia stato emanato prima dell’entrata in
vigore del D.lgs. n. 163 del 2006 impedisce
a questo collegio di prendere posizione in
merito alla eventuale sopravvivenza
dell’istituto dopo la riforma, ed alla sua
compatibilità con il diverso (e più
tassativo) meccanismo dell’avvalimento.
Rimane il fatto che, in assenza di una
disposizione più puntuale, il mero ricorso
al sistema della cooptazione rende possibile
la partecipazione delle imprese ricorrenti
anche in assenza della dichiarazione sulla
quota di partecipazione, prescritta in
relazione alla costituzione di associazione
temporanea. Parimenti, non è richiesto dalla
stessa norma che l’impresa cooptata assuma
un impegno espresso in relazione all’entità
dei lavori di realizzare, atteso che la
disciplina fa riferimento all’attività
dell’impresa cooptante e nulla dice su
eventuali oneri formali di dichiarazione.
La valutazione di congruità, per quanto
elemento che comporta “un fisiologico
arricchimento degli elementi dedotti in
origine” ha un limite costituito dal
“divieto dello stravolgimento dell'offerta
originaria, che non può trasformarsi, per il
tramite delle seconde giustificazioni, in un
quid di sostanzialmente nuovo o diverso”.
Ciò è invece qui accaduto, atteso che l’aver
permesso di dedurre sopravvenienze attive
che non erano state oggetto di preventiva
giustificazione documentale in sede di
presentazione dell’offerta stessa ha di
fatto dato vita ad una sostanziale modifica
dell’offerta originaria, violando così i
canoni ordinari dei procedimenti di gara,
sia in relazione alla posizione reciproca
dei concorrenti, che in rapporto alla
stazione appaltante (TAR Lazio-Roma, Sez.
III-ter,
sentenza 02.07.2008 n. 6353 -
link a www.diritto.it). |
APPALTI:
S. Lazzini, É legittimo escludere
un’impresa la cui offerta perviene alla
Stazione appaltante dieci minuti dopo il
termine assegnato per la partecipazione?
Trattandosi di un termine espresso (anche)
in ore è ragionevole che per garantire pari
condizioni a tutti i concorrenti l’ora di
riferimento sia quella segnata dall’orologio
dell’ufficio della stazione appaltante
preposto al ricevimento delle offerte (nel
caso in esame l’ufficio protocollo).
La diligenza dei concorrenti deve in effetti
essere misurata con un parametro oggettivo e
sottratto alla possibilità di manipolazioni.
Il fatto che il ritardo sia di pochi minuti
non lo rende trascurabile, in quanto con il
superamento dell’ora prefissata si consolida
l’interesse dei concorrenti a evitare
l’ammissione di ulteriori offerte. La
situazione esce pertanto dalla disponibilità
della stazione appaltante e si colloca
nell’ambito dei rapporti tra i concorrenti
impedendo l’applicazione del principio di
massima partecipazione.
La necessità di interpretare rigorosamente
il termine espresso in ore deriva inoltre
dalla concatenazione degli adempimenti
stabilita nel bando di gara. Nello stesso
giorno infatti, subito dopo la scadenza del
termine di pervenimento delle offerte (ore
12.00), era prevista l’apertura delle
offerte (ore 14.30).
Era quindi chiaro agli aspiranti concorrenti
che il rispetto del primo termine assumeva
una funzione di rilievo nel contesto dei
tempi accelerati della procedura. Di qui la
necessità di una particolare diligenza nella
tempistica (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 01.07.2008 n. 747 - link
a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Violazione sigilli cantiere
edilizio sequestrato..
In tema di violazione di sigilli, la
prosecuzione dell'attività edilizia in un
cantiere sequestrato con apposizione dei
sigilli configura il delitto di cui all'art.
349 cod. pen. e non quello di cui all'art.
334 cod. pen. (sottrazione o danneggiamento
di cose sottoposte a sequestro), in quanto
l'apposizione dei sigilli mira ad impedire
la violazione del vincolo di
immodificabilità della "res" nell'interesse
dell'amministrazione della giustizia (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.05.2008 n. 19722 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Odori molesti.
In tema di emissioni idonee a creare
molestie alle persone, laddove, trattandosi
di odori, manchi la possibilità di accertare
obiettivamente, con adeguati strumenti,
l'intensità delle emissioni, il giudizio
sull'esistenza e sulla non tollerabilità
delle emissioni stesse ben può basarsi sulle
dichiarazioni di testi, specie se a diretta
conoscenza dei fatti, quando tali
dichiarazioni non si risolvano
nell'espressione di valutazioni meramente
soggettive o in giudizi di natura tecnica ma
consistano nel riferimento a quanto
oggettivamente percepito dagli stessi
dichiaranti (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 13.05.2008 n. 19206 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
precarietà o meno della copertura di una
piscina scoperta.
Il progettato
intervento -consistente nella realizzazione
di una struttura telescopica (a copertura di
una piscina) in metallo e vetro, con due
lati estremi fissi e con altezza utile media
superiore a tre metri– non appare
caratterizzato dalla pertinenzialità e
temporaneità, requisiti, questi, che
varrebbero ad escludere la sua consistenza
di “volume”: il carattere precario di una
costruzione, invero, non va desunto dalla
sua più o meno facile rimovibilità o dalla
fissità del suo ancoraggio al suolo, bensì
dal fatto che essa sia idonea a soddisfare
esigenze transitorie (e non continuative nel
tempo, ancorché limitate ad un periodo
dell’anno) e sia destinata alla demolizione
spontanea quando sia cessato l’uso
(giurisprudenza pacifica: cfr. Cass. pen.,
III, 14.02-12.03.2004 n. 11880; CdS, V,
11.02.2003 n. 696 e, da ultimo, TAR
Piemonte, 10.05.2006 n. 2073)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2006 n. 4095 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO ALL'01.09.2008 |
ã |
dossier RIFIUTI E BONIFICHE |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Sul soggetto deputato all'emissione
dell'ordinanza di rimozione di rifiuti
abbandonati.
Sulla comunicazione di avvio del
procedimento per la rimozione di rifiuti
abbandonati.
L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006,
è norma speciale sopravvenuta rispetto
all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n.
267/2000, la quale attribuisce espressamente
al Sindaco la competenza a disporre con
ordinanza le operazioni necessarie alla
rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti
previste dal comma 2; pertanto, tale
previsione, sulla base degli ordinari
criteri preposti alla soluzione delle
antinomie normative (criterio della
specialità e criterio cronologico), prevale
sul disposto dell'art. 107, comma 5, del
D.lgs. n. 267/2000.
In tema di
abbandono di rifiuti, la giurisprudenza
amministrativa, già con riferimento alla
misura reintegratoria prevista e
disciplinata dall'art. 14 del D.lgs. n.
22/1997 (c.d. “Decreto Ronchi”), statuì che
il proprietario dell'area fosse tenuto a
provvedere allo smaltimento solo a
condizione che ne fosse dimostrata almeno la
corresponsabilità con gli autori
dell'illecito abbandono di rifiuti, per aver
posto in essere un comportamento, omissivo o
commissivo, a titolo doloso o colposo (v.,
tra le molte, Cons. St., sez. V, 25.01.2005
, n. 136), escludendo conseguentemente che
la norma configurasse un'ipotesi legale di
responsabilità oggettiva (vieppiù, per fatto
altrui);
In particolare, fu affermata l'illegittimità
degli ordini di smaltimento di rifiuti
indiscriminatamente rivolti al proprietario
di un fondo in ragione della sua sola
qualità, ma in mancanza di adeguata
dimostrazione da parte dell'amministrazione
procedente, sulla base di un'istruttoria
completa e di un'esauriente motivazione
(quand'anche fondata su ragionevoli
presunzioni o su condivisibili massime
d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva
della condotta;
I suddetti principi a fortiori si attagliano
anche al disposto dell'art. 192 del D.lgs.
n. 152/2006, dal momento che tale articolo,
non soltanto riproduce il tenore
dell'abrogato art. 14 sopra citato, con
riferimento alla necessaria imputabilità a
titolo di dolo o colpa, ma in più integra il
precedente precetto precisando che l'ordine
di rimozione può essere adottato
esclusivamente “in base agli accertamenti
effettuati, in contraddittorio con i
soggetti interessati, dai soggetti preposti
al controllo”.
Il Legislatore delegato ha in questo modo
inteso rafforzare e promuovere le esigenze
di un'effettiva partecipazione dei
potenziali destinatari del provvedimento
ablatorio personale allo specifico
procedimento; pertanto, la preventiva,
formale comunicazione dell'avvio del
procedimento si configura attualmente come
un adempimento indispensabile al fine
dell'effettiva instaurazione di un
contraddittorio procedimentale con gli
interessati
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2008 n. 4061 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e
anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 35 del
26.08.2008, "Misure di conservazione per
la tutela delle ZPS lombarde ai sensi del
d.m. 17 ottobre 2007, n. 184 - Integrazione
alla d.g.r. n. 6646/2008" (deliberazione
G.R. 30.07.2008 n. 7884 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 35 del
25.08.2008, "Approvazione circolare
relativa all'applicazione della l.r. 26/1995
e al rapporto con l'art. 11 del d.lgs.
115/2008" (decreto
D.G. 07.08.2008 n. 8935 - link a
www.infopoint.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
PUBBLICO IMPIEGO:
A. Barbiero,
Riduzione incentivo progettazione
(link a www.albertobarbiero.net). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
A. Barbiero,
Affidamento incarichi e consulenze D.l.
112/2008
(link a www.albertobarbiero.net). |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Spallino,
Beni paesaggistici:
approvati i criteri per l'esercizio delle
funzioni paesaggistiche in Lombardia
(link a studiospallino.blogspot.com). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
Sulla conformità o meno alla normativa
vigente di una polizza fideiussoria
sottoscritta esclusivamente dall’impresa
capogruppo di un raggruppamento costituendo
questa Autorità si è già espressa con le
deliberazioni del 09.05.2007 n. 126 e del
10.10.2007 n. 84, nelle quali ha
evidenziato, sulla scorta dell’Adunanza
Plenaria n. 8 del 04.10.2005 del Consiglio
di Stato, che non solo sussiste l’obbligo
che la polizza fideiussoria sia intestata a
tutte le imprese del costituendo
raggruppamento, ma sussiste altresì
l’obbligo di sottoscrizione della polizza
fideiussoria da parte di tutte le imprese
interessate alla costituenda ATI.
Nel caso in esame, tuttavia, deve rilevarsi
che la documentazione di gara non risulta
essere chiara e non equivoca. Infatti il
Capitolato Speciale di gara, alla pagina 28,
contenente la disciplina sui raggruppamenti
di imprese, prevede testualmente quanto
segue: “i documenti di cui ai punti 2, 11,
13 e 15 dovranno essere prodotti
dall’impresa capogruppo del raggruppamento o
del consorzio”. Posto che il punto 15 del
Capitolato Speciale si riferisce al deposito
cauzionale provvisorio e definitivo, da come
è formulata la citata disposizione, potrebbe
intendersi che la lex specialis di gara
abbia previsto che la cauzione venga
prodotta, senza fare distinzione tra
raggruppamenti costituiti o costituendi,
dalla sola impresa capogruppo,
Stante l’ambiguità della suddetta clausola,
è principio noto che le stazioni appaltanti,
nel predisporre gli atti di una gara
d’appalto, hanno l’onere di indicare con
estrema chiarezza i requisiti richiesti alle
imprese partecipanti, onde evitare che il
principio di massima concorrenza tra le
stesse imprese, cui si correla l’interesse
pubblico all’individuazione della migliore
offerta, possa essere in concreto vanificato
da clausole equivoche non chiaramente
percepibili dai soggetti partecipanti.
Pertanto, le disposizioni con le quali siano
prescritti particolari adempimenti per
l’ammissione alla gara, ove indichino in
modo equivoco taluni dei detti adempimenti,
vanno interpretate nel senso più favorevole
all’ammissione degli aspiranti,
corrispondendo all’interesse pubblico di
assicurare un ambito più vasto di
valutazioni e, quindi, un’aggiudicazione
alle condizioni migliori possibili (cfr. per
tutti già Cons. Stato, VI, 12.06.1992, n.
481).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che le disposte
esclusioni non sono conformi alla normativa
vigente di settore e al principio del favor
partecipationis, stante la poca chiarezza
della clausola sui raggruppamenti contenuta
nel Capitolato Speciale di gara
(parere
21.05.2008 n. 167 - link a massimario.avlp.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ritenuto
in diritto:
Preliminarmente si fa presente che la
problematica sottoposta all’attenzione
dell’Autorità viene esaminata sotto il
profilo del rispetto della concorrenza nella
procedura di gara, non rientrando nella
ratio dell’istituto delle soluzioni delle
controversie insorte in sede di gara,
valutazioni di merito proprie del singolo
progettista ed attinenti alla sua
responsabilità specifica in sede di
progettazione.
In linea generale, per quanto attiene
all’individuazione delle categorie di
lavorazione presenti nell’appalto, si
richiama quanto disposto dall’articolo 73,
commi 2 e 3, del d. P.R. 554/1999, in base
al quale nel bando di gara deve essere
indicata la categoria prevalente, nonché
tutte le parti, appartenenti alle categorie
generali o specializzate di cui si compone
l’opera, con i relativi importi e categorie,
nel caso in cui dette parti siano di importo
superiore al dieci per cento dell’importo
complessivo dell’appalto o di importo
superiore a 150.000 euro.
Per quanto attiene all’eccezione relativa
alla pubblicità del bando di gara, si fa
presente che ai sensi dell’articolo 122,
comma 5, del d. Lgs. n. 163/2006,
relativamente ad appalti di lavori pubblici
di importo pari o superiore a 500.000 euro,
i relativi bandi ed avvisi sui risultati
della procedura di affidamento sono
pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana, sul “profilo di
committente” della stazione appaltante, sul
sito informatico del Ministero delle
infrastrutture, e, per estratto, su almeno
uno dei principali quotidiani a diffusione
nazionale e su almeno uno dei quotidiani a
maggiore diffusione locale.
La S.A. ha invece seguito modalità di
pubblicità diverse, in adempimento di quanto
prescritto in materia dalla legge regionale
n. 5/2007, articolo 22.
Al riguardo, deve rilevarsi che la medesima
legge regionale è stata oggetto di
impugnativa da parte della Presidenza del
Consiglio dei Ministri (Delibera C.d.M. del
28.09.2007) per illegittimità costituzionale
di una serie di articoli, fra i quali anche
l’articolo 22, che, poiché attengono ad
aspetti inerenti le procedure di
affidamento, sono di competenza esclusiva
statale, ai sensi dell’articolo 4, comma 3,
del d. Lgs. n. 163/2006: la Regione Autonoma
Sardegna non può, prosegue l’impugnativa,
introdurre una disciplina difforme da quanto
disposto dal Codice dei contratti pubblici
in relazione alle materie di cui al citato
articolo 4, comma 3, al fine “di evitare
disparità di trattamento delle imprese che
operano sull’intero territorio nazionale con
conseguenti effetti distorsivi del sistema e
alterazione del regime di concorrenza”.
Ai fini della soluzione del caso in esame,
tuttavia, si deve tener presente che fino
alla pronuncia della Corte Costituzionale,
la norma regionale trova comunque
applicazione.
Infatti, solo in presenza di una violazione
diretta di un principio comunitario è
consentito all’operatore del diritto
disapplicare la norma di diritto interno in
contrasto con la normativa comunitaria,
fattispecie che non sembra rilevarsi nelle
modalità di pubblicazione dei bandi di gara
relativi ad appalti di importo inferiore
alla soglia comunitaria.
Pertanto, non si rilevano profili di non
conformità nell’operato della S.A. che ha
pubblicato il bando in esame secondo quanto
prescritto dall’articolo 22 della legge
regionale n. 5/2007.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di
cui in motivazione, che il bando in esame è
conforme alla normativa regionale di settore
(parere
21.05.2008 n. 166 - link a massimario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Appalto senza gara alla società controllata
dal Comune.
È conforme al diritto comunitario che il
Comune di Mantova abbia affidato nel 1997 in
via diretta e senza pubblicazione di un
apposito bando di gara nella Gazzetta
ufficiale delle Comunità europee la
gestione, la manutenzione e lo sviluppo di
propri servizi informatici all’ASI SpA
(Corte di Giustizia Europea, Sez. II,
sentenza 17.07.2008 n. C‑371/05 -
link a www.aziendalex.kataweb.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
L'ordinanza contingibile ed urgente non
soggiace alla preventiva comunicazione di
avvio del procedimento.
Deve ritenersi sottratto all’obbligo di
preventivo avviso di avvio del procedimento
il provvedimento sindacale contingibile e
urgente adottato per ragioni di tutela della
salute pubblica (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.
II, 20.01.2006, n. 455; Cons. Stato, sez. V,
29.09.2000, n. 4906: quest’ultima decisione
si riferisce ad una fattispecie con marcati
elementi di similitudine con quella oggetto
del presente giudizio, controvertendosi in
quel caso circa la legittimità
dell’ordinanza sindacale che imponeva ad una
radio privata la riduzione delle emissioni
elettromagnetiche).
Il potere
sindacale di adottare ordinanze d’urgenza
era disciplinato, all’epoca del
provvedimento cui si riferisce il ricorso,
dall’articolo 38, comma 2, della legge
08.06.1990, n. 142: “Il sindaco, quale
ufficiale del Governo, adotta, con atto
motivato e nel rispetto dei principi
generali dell’ordinamento giuridico,
provvedimenti contingibili e urgenti in
materia di sanità ed igiene, edilizia e
polizia locale al fine di prevenire ed
eliminare gravi pericoli che minacciano
l’incolumità dei cittadini; per l’esecuzione
dei relativi ordini può richiedere al
prefetto, ove occorra, l’assistenza della
forza pubblica”. Tale disposizione
conferiva al sindaco, laddove fosse
necessario per salvaguardare esigenze
primarie della collettività quali la salute
delle persone e l’igiene pubblica, il potere
di sacrificare interessi giuridicamente
protetti di soggetti determinati, ma
richiedeva che il potere fosse esercitato
nel rispetto di rigorose garanzie
sostanziali (i principi generali
dell’ordinamento giuridico) e formali (la
motivazione dell’atto). Sotto quest’ultimo
profilo, il potere esercitabile dal sindaco
presupponeva una situazione di pericolo
grave ed effettivo, da esternare con congrua
motivazione, e non poteva certo essere
inteso quale mero strumento sanzionatorio di
particolari omissioni compiute dai
consociati. L’enunciazione di tali principi,
consolidati nella giurisprudenza
amministrativa, induce una sicura diagnosi
di illegittimità del provvedimento impugnato
che, come più estesamente riferito sub 1),
non rende ragione di specifiche situazioni o
fattori di pericolo per la salute della
collettività, ma si limita a rilevare
l’assenza dei presupposti richiesti dalla
legge per l’esercizio dell’emittenza
radiofonica. Anzi, il provvedimento di cui
si controverte non è corredato, a ben
vedere, da una vera e propria motivazione
(per quanto insufficiente), ma da un
semplice preambolo in cui si rende conto di
un esposto presentato all’Autorità
giudiziaria (omettendo di riferirne i
contenuti), si fa riferimento ad una non
meglio precisata “documentazione in
archivio” e, infine, si richiama la già
accennata relazione dell’A.R.P.A., senza
prendere posizione al riguardo. Tale
embrione di corredo motivazionale è
palesemente insufficiente a soddisfare le
esigenze di chiarezza cui deve rispondere
l’agire della pubblica amministrazione e che
si sostanziano nell’obbligo di fondare i
provvedimenti su un compiuto supporto
motivazionale.
Non può negarsi che l’accertamento da parte
degli organi tecnici di situazioni
suscettibili di recare danno alla salute
pubblica possa essere fatto proprio dal
sindaco con semplice richiamo al documento
che li contiene e che tale richiamo soddisfi
l’obbligo di motivazione per legittimare
l’esercizio della potestà d’ordinanza
contingibile e urgente (cfr. TAR Lazio, Sez. II, 04.05.2007, n. 3985)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 16.07.2008 n. 1603 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sull'ordinanza contingibile ed
urgente.
Non è dubitabile che l’emanazione di
un’ordinanza ai sensi dell’art. 54, comma 2,
del D.L.vo 2000 n. 267 presupponga
l’esistenza di una situazione eccezionale ed
imprevedibile. Tuttavia, tale presupposto va
interpretato nel senso che “ciò che
rileva non è la circostanza, estrinseca, che
il pericolo sia correlato ad una situazione
preesistente ovvero ad un evento nuovo ed
imprevedibile, ma la sussistenza della
necessità e della urgenza attuale di
intervenire a difesa degli interessi
pubblici da tutelare, a prescindere sia
dalla prevedibilità che dalla stessa
imputabilità all’Amministrazione o a terzi
della situazione di pericolo che il
provvedimento è rivolto a rimuovere”
(C.d.S., sez. V, 09.11.1998, n. 1585; C.d.S.
sez. V, 06.02.2001 n. 1904; Tar Campania
Napoli, sez. I, 27.03.2000, n. 813; Tar
Campania Napoli, sez. I, 18.05.2005 n.
8328). In definitiva, il decorso del tempo
non consuma il potere di ordinanza, perché
ciò che rileva è la dimostrazione
dell’attualità del pericolo e della idoneità
del provvedimento a porvi rimedio, sicché
l'immediatezza dell'intervento urgente del
Sindaco va rapportata all'effettiva
esistenza di una situazione di pericolo al
momento di adozione dell'ordinanza (cfr. in
argomento C.d.S. sez. V, 06.02.2001 n. 1904;
TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 30.04.2007
n. 728).
Non è dubitabile che le ordinanze in
questione siano necessariamente provvisorie,
non essendo idonee, per il loro carattere
extra ordinem, a disciplinare in modo
stabile la situazione concreta sulla quale
incidono (cfr. tra le tante TAR Friuli
Venezia Giulia–Trieste, 20.10.2005 n. 828) .
Tuttavia, la necessaria previsione di un
termine di efficacia può essere realizzata
non solo mediante l’indicazione di una data
fissa, ma anche in correlazione con la
durata dell’urgenza.
Le ordinanze di cui all’art. 54, comma 2,
del D.L.vo 2000 n. 267 sono degli strumenti
extra ordinem, che, come tali, non possono
essere utilizzati in sostituzione degli
ordinari poteri amministrativi, ma solo per
fronteggiare un pericolo imminente per
l’incolumità pubblica. A ben vedere, tale
principio non preclude all’amministrazione,
investita di un determinato potere per il
raggiungimento dell’interesse pubblico, di
adottare ordinanze contingibili ed urgenti
al fine di garantire la tutela del medesimo
interesse in condizioni di urgente
necessità, ossia in presenza di tutti i
presupposti di emanazione di tali ordinanze,
ma si limita ad escludere che
l’amministrazione possa arbitrariamente
utilizzare il potere di ordinanza in luogo
degli ordinari poteri amministrativi,
finalizzati alla tutela di un certo
interesse pubblico (cfr. in argomento TAR
Lazio Roma, sez. II, 14.02.2007, n. 1352).
Le ordinanze extra ordinem si caratterizzano
proprio per l’atipicità del loro contenuto,
atteso che è rimessa all’amministrazione la
individuazione delle misure idonee a
fronteggiare il pericolo riscontrato.
Le ordinanze contingibili ed urgenti devono
rispettare il principio di proporzionalità
e, pertanto, devono disporre misure adeguate
al pericolo da fronteggiare e tali da
arrecare il minore pregiudizio possibile
agli altri interessi, pubblici e privati,
presenti nella fattispecie concreta (cfr.,
tra le tante, TAR Lazio Roma, sez. III,
15.09.2006 n. 8614).
Per giurisprudenza costante, le ordinanze
contingibili ed urgenti previste dall’art.
54, comma 2, del D.L.vo 2000 n. 267 devono
essere precedute da un’istruttoria adeguata,
dalla quale emerga l’esistenza di una
situazione di pericolo per l’incolumità
pubblica, cui porre rimedio con urgenza
(cfr., tra le tante, TAR Lazio Latina
17.01.2007 n. 40; TAR Calabria Catanzaro,
sez. II, 09.10.2006 n. 1128) (TAR Piemonte,
Sez. II,
sentenza 02.07.2008 n. 1441- link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI:
Reato usare software senza
licenza negli studi professionali. La nuova
legge sul diritto d’autore punisce più
severamente l’uso abusivo di prodotti
informatici.
È reato
utilizzare programmi software senza licenza
negli studi professionali. Lo ha stabilito
la Terza Sezione Penale della Corte di
Cassazione confermando una sentenza del GUP
del Tribunale di Lecco che aveva condannato
un professionista ad una multa salata (pena
concordata) per avere duplicato e riprodotto
programmi software di proprietà di una
società senza averne acquistato la licenza
d’uso
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.06.2008 n. 25104 -
link a www.azindalex.kataweb.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di balcone, distribuzione
delle aperture sulla facciata, pregiudizio.
La motivazione
addotta dal Comune non può ritenersi in ogni
caso idonea a legittimare il diniego della
modifica della finestra in balcone, laddove
i ricorrenti nel realizzare tale intervento
hanno peraltro dimostrato di essersi
attenuti alle medesime caratteristiche
costruttive degli altri balconi esistenti
sulla medesima facciata, ed hanno altresì
inteso riequilibrare la facciata medesima
attraverso un riallineamento con altro
analogo balcone già esistente al piano
superiore
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 07.03.2008 n. 952 - link
a www.altalex.com). |
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