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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di SETTEMBRE 2008

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aggiornamento al 29.09.2008

aggiornamento al 25.09.2008

aggiornamento al 22.09.2008

aggiornamento al 15.09.2008

aggiornamento all'08.09.2008

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AGGIORNAMENTO AL 29.09.2008

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dossier AFFIDAMENTO IN HOUSE

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità della costituzione di società miste anche al di fuori del settore dei servizi e sulla necessità di indicare nella gara per la selezione del socio privato i concreti compiti operativi che la nuova società sarà chiamata ad assolvere.
Il modello delle società miste è previsto in via generale dall’art. 113, c. 5, lett. b), d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 14 d.l. n. 269 del 2003 e dalla relativa legge di conversione, n. 326 del 2003, norme che, pur avendo attinenza ai contratti degli enti locali, delineano un completo paradigma, valido anche al di fuori del settore dei servizi pubblici locali.
Tale modello vale anche al di fuori del settore dei servizi come si evince dall’art. 1 c. 2 e dall’art. 32 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006), che contemplano il caso di società miste per la realizzazione di lavori pubblici e per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica. La condizione perché possa essere ritenuto legittimo il ricorso alla scelta del socio, al fine della costituzione di una società che divenga affidataria dell’esecuzione dell’opera senza necessità di gara, è che, attraverso la procedura, non si realizzi un affidamento diretto alla società mista, ma piuttosto un affidamento con procedura di evidenza pubblica dell’attività operativa della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta all’individuazione di quest’ultimo. Il modello, in altre parole, trae la propria legittimità dalla circostanza che la gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato abbia ad oggetto, al tempo stesso, l’attribuzione dei compiti operativi e quella della qualità di socio.
Nel caso di specie, la illegittimità della procedura esperita da una società ad integrale capitale pubblico locale, proprietaria delle reti, impianti e dotazioni per lo svolgimento del servizio idrico integrato non risiede, pertanto, come ritenuto dal primo giudice, nel "contrasto della forma di società delineata con il principio di nominatività e tassatività degli istituti e degli strumenti dell’ordinamento pubblico, anche di derivazione comunitaria", che, invece, conosce da tempo tale modulo operativo, ma nella indeterminatezza dei compiti che la nuova società sarà chiamata ad assolvere, in definitiva nella mancata identificazione dei concreti compiti operativi collegati all’acquisto della qualità di socio. Gli atti di gara, infatti, non identificano con sufficiente precisione le opere oggetto dell’appalto, limitandosi la stazione appaltante a indicare gli importi e i costi in termini di massima. La scelta del socio, ancorché selezionato con gara, non avviene dunque per finalità definite, ma solo al fine della costituzione di una società "generalista", alla quale affidare l’esecuzione di lavori non ancora identificati al momento della scelta stessa.
--------------------
(1) v., in senso conforme, parere del C.d.S., sez. II, n. 456 del 18.04.2007
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23.09.2008 n. 4603 - link a www.dirittodeiservizipubblici).

APPALTI SERVIZI: Sull’applicabilità del divieto previsto dall’art. 13 del d. Bersani per le società miste che hanno come oggetto sociale esclusivo i servizi strumentali e per quelle che hanno come oggetto sociale sia servizi strumentali che servizi pubblici locali.
Non possono partecipare alle gare per l’individuazione del soggetto gestore del servizio di distribuzione del gas le società che gestiscono servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica.

Le società miste che hanno per oggetto la gestione dei servizi pubblici locali, pur non rientrando in via diretta nell’ambito di applicazione del secondo comma dell’art. 13, d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006 devono avere oggetto sociale esclusivo. Se, infatti, sono assoggettate a tale prescrizione le società di cui al c. 1, dell'art. 13 cit., ossia le società che svolgono (attività di produzione di beni e) servizi strumentali, le quali pertanto non possono comprendere nel loro oggetto sociale lo svolgimento di servizi pubblici locali, ne deriva come conseguenza che anche le società miste, le quali intendano dedicarsi alla gestione di questi ultimi, devono prevedere quale loro oggetto sociale esclusivo la gestione dei servizi pubblici locali. Pertanto, alle procedure di gara pubbliche (indette da soggetti diversi da «gli enti costituenti o partecipanti o affidanti») non possono partecipare né le società miste che hanno come oggetto sociale (esclusivo) i servizi strumentali né le società miste che hanno come oggetto sociale sia servizi strumentali che servizi pubblici locali, in quanto le società in questione per il fatto della presenza di soggetti pubblici nella struttura della partecipazione societaria, sono in grado di provocare quelle «alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di (alterare) la parità degli operatori», che le norme di cui all’art. 13, commi 1 e 2, intendono evitare.
Ai sensi dell’art. 14, c. 5, del d.lgs. n. 164/2000, non possono partecipare alle gare per l’individuazione del soggetto gestore del servizio di distribuzione del gas le società che gestiscono servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica.
L’art. 14, c. 5, cit. –al pari dell’art. 13 del d.l. n. 223/2006- ha come finalità la tutela della concorrenza, segnatamente nel settore di mercato della distribuzione del gas. Tale disposizione non detta semplicemente una regola di disciplina del procedimento di aggiudicazione del servizio, ma -attraverso il divieto di partecipazione, il quale è solo lo specifico mezzo formale tipicamente idoneo ad assicurare il risultato finale perseguito- vuole conseguire l’effetto di evitare la costituzione di posizioni dominanti da parte di società che, beneficiando di affidamenti senza gara, partono da una indubbia posizione di vantaggio rispetto agli altri soggetti economici.
La circostanza che, nel caso di specie, si tratti di una procedura che si conclude con la stipula di una concessione che ha per oggetto sia la costruzione che la gestione, non è decisiva poiché il risultato finale cui si perviene è rappresentato dall’affidamento del servizio a società che gestisce servizi pubblici locali in virtù di affidamenti diretti. Il che è in contrasto con l’art. 14, c.5, del d.lgs. n. 164/2000
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 11.07.2008 n. 1371 - link a www.dirittodeiservizipubblici).

dossier D.I.A.

EDILIZIA PRIVATA: La mancata asseverazione circa il rispetto delle norme igienico-sanitarie con consente di poter iniziare i lavori con la D.I.A..
La DIA presentata dalla ricorrente nel novembre 2003 non recava alcuna asseverazione con riferimento al rispetto delle norme igienico-sanitarie e, pertanto, ai sensi dell'art. 23 del D.P.R. n. 380/2001, la denuncia di inizio attività, decorsi i prescritti trenta giorni, non poteva costituire titolo abilitativo per l'esecuzione dei lavori di recupero del sottotetto di che trattasi.
Il Collegio, pur avendo contezza di una pronuncia ancora isolata del Consiglio di Stato che attribuisce alla DIA valore provvedimentale, continua ad accedere alla tesi che si tratti di un atto del privato che acquista efficacia in forza del decorso del tempo sulla base di quanto previsto dalla legislazione di rango primario (art. 19 della legge 241/1990, art. 23 del DPR 380/2001 ed art. 42 della L.R. n. 12/2005)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 05.09.2007 n. 5765).

dossier D.U.R.C.

APPALTIE' legittima la decisione di una stazione appaltante di annullare l’aggiudicazione dopo aver verificato che l’impresa aveva sottaciuto l’esistenza di una procedura di regolarizzazione contributiva.
In presenza di una clausola del bando di gara che subordina la partecipazione alla regolarità contributiva, la posizione del partecipante che abbia in atto un procedimento di regolarizzazione è legata alla circostanza che "l’impresa abbia sostenuto la propria offerta con una documentata procedura di sanatoria relativa agli adempimenti contributivi" (Cons. Stato, Sez. IV, 30.01.2006, n. 288). Pertanto, è legittima la decisione della stazione appaltante di annullare l’aggiudicazione una volta verificato che l’impresa aveva sottaciuto l’esistenza di una procedura di regolarizzazione, impedendo ad essa, anche a garanzia della par condicio, di valutarla ai fini dell’ammissione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2008 n. 4386 - link a www.mediagraphic.it).

dossier RINNOVO/PROROGA CONTRATTI

APPALTI FORNITURE E SERVIZIS. Lazzini, In tema di proroga e/o rinnovo di un contratto di appalto.
In linea di principio, il rinnovo o la proroga, al di fuori dei casi contemplati dall'ordinamento, di un contratto d’appalto di servizi o di forniture stipulato da un’amministrazione pubblica da luogo a una figura di trattativa privata non consentita e legittima qualsiasi impresa del settore a far valere dinanzi al giudice amministrativo il suo interesse legittimo all’espletamento di una gara.
L’art. 6, comma 1 della L. 24.12.1993, n. 537 dopo la modifica introdotta dall’art. 44 della L. 23.12.1994, n. 724, disponeva che ”è vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli. Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”.
L’ultimo periodo del predetto comma è stato poi soppresso dall’art. 23, comma 1, della L. 18.04.2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), mentre il successivo comma. 2 dello stesso articolo ha consentito solo la “proroga” dei contratti per acquisti e forniture di beni e servizi “per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
In tema di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti, ma vige il principio che, salvo espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara (salva la limitata proroga di cui sopra) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.07.2008 n. 3391 -
link a www.diritto.it).

dossier TELEFONIA MOBILE

EDILIZIA PRIVATAL'installazione di stazioni radio base per la telefonia mobile sconta il pagamento del contributo di costruzione.
L’installazione di stazioni radio base, seppur soggetta al procedimento autorizzatorio semplificato di cui al Codice delle Comunicazioni, costituisce pur sempre una attività edilizia che, laddove il Codice non prevedesse alcunché, sarebbe assoggettata al regime del permesso di costruire e, conseguentemente, al pagamento del contributo. Ne consegue che la semplificazione prevista dal Codice delle Comunicazioni opera esclusivamente sul piano del procedimento, impedendo che l’installazione delle stazioni radio base possa essere assoggettata ad un procedimento diverso e più gravoso rispetto a quello ivi previsto, ma non comporta sic et simpliciter che tale attività non possa essere assoggettata al contributo che deve essere, per legge, corrisposto per tutte le attività edilizie per le quali è previsto il permesso di costruire.
L’art. 93 del Codice delle Comunicazioni, il quale prevede che “le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge”, non fa altro che prevedere una riserva di legge per la imposizione di nuovi oneri o canoni. Ebbene, sono appunto le leggi in materia edilizia che subordinano le attività soggette a permesso di costruire al contributo. In altri termini: l’installazione di stazioni radio base è subordinata al pagamento del contributo in quanto rientra tra le attività edilizie; dunque non vi è alcun contrasto con la normativa di settore, né può ritenersi che tale previsione comporti un trattamento non uniforme o discriminatorio; quello richiesto, infatti, non è un onere ulteriore che colpisce specificatamente le stazioni radio base, ma l’ordinario contributo previsto per qualsiasi opera edilizia. Quindi non vi è un “aggravio” economico in capo al gestore della rete radiomobile.
L’art. 86, comma 3 del Codice delle Comunicazioni assimila le infrastrutture di telecomunicazioni, ad ogni effetto, alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7, del T.U. dell’edilizia, e l’art. 90 del codice le qualifica come opere di pubblica utilità, con conseguente esenzione dal contributo, esenzione che discende altresì dall’art. 124 della L.R.T. n. 1/2005 e dall’art. 17 del T.U. dell’Edilizia. Il richiamato art. 86 Codice delle Comunicazioni precisa, altresì, che “ad esse si applica la normativa vigente in materia”. Ebbene, la disciplina di riferimento –per quanto attiene l’esigibilità o meno del contributo di costruzione per la realizzazione di opere di urbanizzazione– è rappresentata, in primo luogo, dall’art. 17 del T.U. dell’Edilizia (n. 380/2001) il quale, al comma 3, prevede espressamente che “il contributo di costruzione non è dovuto: … c) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”. Pertanto, la richiamata disposizione subordina esplicitamente l’esenzione dal contributo di costruzione alla espressa previsione, negli strumenti urbanistici, dell’opera di urbanizzazione che il privato intende realizzare. E’, pertanto, evidente come del tutto inconferente sia il richiamo operato dalla ricorrente al fine di sostenere l’illegittimità della richiesta di pagamento del costo di costruzione da parte del Comune di Carrara, al ricordato art. 17 D.P.R. 380/2001, atteso che lo stesso, ben lungi dal disporre l’esenzione in via generalizzata per la realizzazione da parte di privati di opere di urbanizzazione primaria, viceversa la consente –solo e soltanto– per la realizzazione di quelle opere di urbanizzazione espressamente indicate negli strumenti urbanistici.
Al di fuori delle ipotesi, da considerarsi eccezionali, in cui l’esenzione è espressamente prevista dalla legge –come si è visto, qualora vi sia, in base alla legge regionale toscana n. 1/2005, una convenzione con il Comune, ovvero, per la normativa statale di cui all’art. 17 del D.P.R. 380/2001, la previsione dell’opera negli strumenti urbanistici– il pagamento del contributo inerente al costo di costruzione, anche qualora i privati realizzino opere di urbanizzazione, è la regola generale
(TAR Toscana, Sez. I, sentenza 11.09.2008 n. 1950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATASull'annullamento ministeriale della autorizzazione paesaggistica e sul diritto dell'interessato ad essere preventivamente avvisato dell'avvio del procedimento relativo.
Ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990 e del d.m. 13.06.1994 n. 495, deve ritenersi sussistente il diritto dell'interessato ad essere avvisato dell'avvio del procedimento relativo all'adozione del provvedimento ministeriale di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate ai sensi dell'art. 7 l. n. 1497 del 1939, in quanto è conforme al pubblico interesse che l'amministrazione si pronunci sulla base di ogni elemento fornito dall'interessato, il quale può rappresentare all'organo statale che, pur se l'autorizzazione è carente per difetto di motivazione, non sussistono ragioni sostanziali per disporne l'annullamento.” (Consiglio Stato , sez. VI, 13.02.2001, n. 685).
Ciò perché, è stato ancora di recente ribadito, con l'art. 4 regolamento n. 495 del 1994, il Ministero per i beni e per le attività culturali si è autovincolato a dare al soggetto autorizzato la comunicazione dell'avviso dell'avvio della fase del riesame, pur essendo sufficiente un meccanismo (formula espressa apposta in calce al documento comunicato all'interessato o altro mezzo) che assicuri il raggiungimento dello scopo ovvero la c.d. conoscenza "aliunde" dell'inizio del procedimento (Consiglio Stato , sez. VI, 22.09.2006, n. 5571).
Il decreto ministeriale in oggetto, secondo l’avviso della giurisprudenza amministrativa, ha infatti ribadito un principio già desumibile alla stregua dei canoni generali dell’ordinamento: si è quindi in passato condivisibilmente rilevato che “il procedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica anche se svolto in via di autotutela è soggetto alla tutela garantistico-partecipativa di cui alla l. n. 241 del 1990 (peraltro espressamente stabilita nel d.m. n. 495 del 1994, di attuazione della predetta legge), poiché, stante le caratteristiche finalistiche di tale procedimento e le sue potenziali (negative) influenze nell'ambito degli interessi del privato destinatario del provvedimento, è certamente necessario (in attuazione delle finalità garantistiche previste dalla legge) assicurare, attraverso la preventiva comunicazione dell'avvio del procedimento, la partecipazione di questi per rappresentare e tutelare i propri interessi. “ (Consiglio Stato, sez. VI, 23.11.2004, n. 7685).
Nell’ambito della propria discrezionalità normativo/regolamentare, è stato ivi fissato un termine a garanzia della effettività del dispiegarsi dell’apporto collaborativo/defensionale del privato.
Si può convenire, con la tesi dell’Amministrazione appellante secondo cui si è ivi individuato un arco temporale massimo per la presentazione di memorie e documenti, eventualmente suscettibile di riduzione.
In tale senso, si è in passato espressa la giurisprudenza, affermando che, in armonia con il dettato testuale della disposizione, “la previsione di un termine per memorie e osservazioni al privato legittimato a partecipare, pari a due terzi di quello fissato per la durata del procedimento, non esclude la possibilità dell'amministrazione di definire il procedimento in un momento anteriore alla scadenza.” (Consiglio Stato, sez. VI, 21.09.1999, n. 1243).
E pur tuttavia, affinché la previsione normativa in oggetto si connoti di effettività, e non rimanga vana espressione di un principio non coniugato con le reali esigenze del privato, ritiene il Collegio di potere affermare che la “riduzione” di tale termine possa avvenire unicamente nel rispetto di particolari esigenze di urgenza che devono essere puntualmente rappresentate dall’amministrazione (e che devono effettivamente ricorrere, è ovvio, sotto il profilo oggettivo).
Del pari deve ritenersi che detto termine non possa essere talmente ridotto da risultare incongruo e non garantire la possibilità per il privato destinatario del provvedimento di controdedurre in fase procedimentale, (come può altresì argomentarsi dal disposto di cui all’art. 4 comma III del DM citato, di seguito richiamato)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23.09.2008 n. 4576 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: F. Albanese, Impianti radioelettrici e disponibilità giuridica ex art. 11 D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (link a www.lexambiente.it).

APPALTI: PRINCIPALI NOVITA’ DEL TERZO DECRETO CORRETTIVO (link a www.mediagraphic.it).

ENTI LOCALI: L. Del Frate, Analisi di sintesi della legge n. 133/2008 di conversione, con modificazioni, del decreto legge n. 112/2008: l’organizzazione, le procedure amministrative e la gestione del personale nelle amministrazioni pubbliche con particolare riguardo alle autonomie locali (link a www.noccioli.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva (elemento oggettivo e soggettivo).
Può configurarsi una lottizzazione edilizia anche nell'ipotesi in cui venga stipulato un solo atto di trasferimento a più acquirenti, i quali pervengano nella disponibilità e/o nel godimento di quote di un terreno indiviso e questo, anzi, è un meccanismo al quale si è fatto frequentemente ricorso proprio con l'intento fraudolento di aggirare, attraverso una forma stipulatoria mascherata il divieto di lottizzazione posto dal legislatore.
L'art. 30, 2° comma, del T.U. n. 3802001 (con disposizione già posta dall'art. 18, 2° comma, della legge n. 47/1985) prescrive, a pena di nullità non sanabile, l'allegazione del certificato di destinazione urbanistica a tutti gli atti di: trasferimento o di costituzione o scioglimento di diritti reali relativi a terreni. Tale certificato, da rilasciarsi su domanda dell'interessato, contiene tutte le prescrizioni urbanistiche che riguardano l'area cui si riferisce. E' estremamente difficile ravvisare, pertanto, una negoziazione inconsapevole ovvero un errore incolpevole di fatto ai sensi dell'art. 47 cod. pen.
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.09.2008 n. 36304 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Pianificazione.
L'approvazione di interventi destinati a creare nuovi insediamenti abitativi in una zona per la quale P.R.G. subordina l'attività edificatoria all'adozione di Piani Particolareggiati ovvero di Piani di Lottizzazione Convenzionati, in assenza dei prescritti strumenti attuativi, rende necessaria, ai fini della legittimità dell'intervento, la prova rigorosa della preesistenza e sufficienza delle opere di urbanizzazione primaria, tali da rendere del tutto superfluo lo strumento attuativo
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.09.2008 n. 35880 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI1. GARA D'APPALTO - DOCUMENTAZIONE DI GARA - RICHIESTA DI REGOLARIZZAZIONE - SE DIRETTA AD INTEGRARE DOCUMENTI RICHIESTI A PENA DI ESCLUSIONE - ILLEGITTIMITA'.
2. GARA D'APPALTO - DOCUMENTAZIONE DI GARA - RICHIESTA DI REGOLARIZZAZIONE - OBBLIGO PER LA S.A. - NON SUSSISTE - NATURA FACOLTATIVA - CARATTERI E LIMITI – INDIVIDUAZIONE.

1. La richiesta di regolarizzazione non può essere formulata dalla stazione appaltante se vale ad integrare documenti che in base a previsioni univoche del bando o della lettera di invito avrebbero dovuto essere prodotti a pena di esclusione (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 19.02.2008, n. 567; sez. IV, 11.05.2007, n. 2254).
2. L’amministrazione non ha l’obbligo di invitare i concorrenti a regolarizzare la documentazione esibita, ma ha soltanto la facoltà, nell’ambito dei propri poteri discrezionali, di rivolgere detto invito se ritenuto confacente con l’irregolarità riscontrata, con i tempi del procedimento e nel rispetto del principio della parità di trattamento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.02.2008, n. 567; sez. IV, 11.05.2007, n. 2254).
In ordine alla facoltà di regolarizzazione:
- il mancato esercizio di tale facoltà è insindacabile da parte del giudice amministrativo;
- il suo esercizio in concreto non può determinare una alterazione della par condicio delle imprese, attraverso una modifica dell’offerta incidente su elementi o formalità essenziali della stessa;
- può riguardare solamente documenti già presentati ma non dichiarazioni o documentazioni omesse, trovando altresì un limite temporale nel termine perentorio individuato dal bando per la presentazione delle offerte e del relativo corredo documentale
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2008 n. 4397 - link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATASulla rideterminazione del contributo di costruzione in caso di variante essenziale.
Come chiarito in giurisprudenza (cfr. C.d.S., V, 05.06.1997 n. 591) ai fini della rideterminazione, o meno del contributo urbanistico ex articolo 3 della legge. 28.01.1977 n. 10, il cui presupposto imponibile si verifica in caso di variazione essenziale al fabbricato assentito in origine (ossia, nel caso in cui quest'ultimo debba esser considerato un'opera nuova e diversa), occorre far riferimento alla definizione di "variazione essenziale" recata dall'articolo 8 della legge 28.02.1985 n. 47, applicabile ad ogni fattispecie, pur se precedente all'entrata in vigore di essa, in mancanza di contraria regolamentazione al riguardo.
La giurisprudenza ha altresì precisato che l'entità del contributo dovuto per oneri di urbanizzazione va determinata sulla scorta della normativa e della regolamentazione vigenti al momento del rilascio della concessione edilizia, giacché il costo delle opere di urbanizzazione da prendere in considerazione ai fini della commisurazione dei relativi oneri non può essere che quello del momento in cui sorge l'obbligazione, ossia in cui viene rilasciata la concessione (cfr. TAR Emilia Romagna Parma, 09.02.1999 n. 81).
Inoltre, la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione, è dovuta anche in caso di interventi di restauro, risanamento e ristrutturazione che comportino aumento delle superfici, mutamento delle destinazioni d'uso (cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, I, 21.03.2008, n. 1109).
Ai fini della riliquidazione degli oneri di urbanizzazione, costituisce legittimo presupposto la sussistenza di un eventuale maggior carico urbanistico provocato dall’intervento eseguito in un fabbricato già autorizzato e in tale ambito non deve tenersi conto esclusivamente di ristrutturazioni generali e globali di un edificio con necessari interventi esterni ed interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile. Discende da questa chiara impostazione la necessità, per tale tipologia di ristrutturazioni, della sottoposizione delle relative concessioni al pagamento dei contributi riferiti all’avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (C.d.S. sez. IV 29.04.2004 n. 2611) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 11.09.2008 n. 3964 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI1. PROCEDURA NEGOZIATA - URGENZA - PROVVEDIMENTO CAUTELARE DI SOSPENSIONE DELLA GARA - ESIGENZA DI ASSICURARE LA CONTINUITÀ DEL SERVIZIO - NON IMPUTABILITÀ STAZIONE APPALTANTE - SUSSISTENZA - LEGITTIMITÀ - FATTISPECIE.
2. GARA D'APPALTO - CRITERIO OFFERTA ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA - SPECIFICAZIONE CRITERI DI VALUTAZIONE - DOPO L'APERTURA DELLE OFFERTE - ILLEGITTIMITÀ.
3. GARA D'APPALTO - VERBALI DI GARA - CONTENUTO MINIMO - REQUISITI - INDIVIDUAZIONE.
4. GARA D'APPALTO - CRITERIO OFFERTA ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA - COMMISSIONE GIUDICATRICE - PRINCIPIO DEL COLLEGIO PERFETTO - PRESENZA DI MEMBRO ESPERTO CON FUNZIONI DECISIONALI – LEGITTIMITÀ.
1.
La condizione ostativa delineata dall’art. 57, comma 2, lett. c), del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, consistente nella non imputabilità alla stazione appaltante delle circostanze poste a fondamento della estrema urgenza, debba interpretarsi, anche secondo la giurisprudenza formatasi sulle analoghe disposizioni limitative presenti nella pregressa normativa (l'art. 41, lett. e), r.d. 23.05.1924 n. 827) come non dipendenza della situazione di urgenza da ritardi commessi dalla stazione appaltante nell’espletamento delle ordinarie procedure di gara (TAR Lazio–Latina, 14.02.2006, n. 146; Consiglio di Stato, Sez. V, 16.11.2005, n. 6392).
Versandosi, inoltre, in tema di appalti pubblici di servizi può anche invocarsi come ausilio interpretativo l’abrogata norma di matrice comunitaria di cui all’art. 7, comma 2, lett. f), del d.lgs. 18.03.2005 n. 157, di recepimento della Direttiva CEE n. 92/50 del Consiglio, secondo il quale l’urgenza legittimante la trattativa privata deve essere determinata da avvenimenti imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice.
La sospensione della procedura di gara per effetto di un provvedimento cautelare del g.a. è da ritenersi evento suscettibile di determinare una situazione di urgenza e di eccezionalità tale da legittimare l’attivazione di una procedura negoziata, senza preliminare pubblicazione di un bando, onde sopperire alle impellenti necessità di interesse pubblico di assicurare la non interruzione del servizio (1).
2. E' illegittima la gara d'appalto per l'aggiudicazione di un pubblico servizio mediante licitazione privata con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa nella quale la commissione di gara, dopo la conoscenza delle offerte, ha provveduto a specificare i criteri di attribuzione del punteggio riservato alla qualità dell'offerta” (TAR Liguria, Sez. II, 24.04.2008, n. 760).
La commissione giudicatrice di una gara pubblica può legittimamente apportare elementi di specificazione dei criteri generali stabiliti dal bando di gara o dalla lettera di invito per la valutazione delle offerte, attraverso la previsione di sottovoci rispetto ai criteri già definiti, ma solo ove ciò si fosse reso necessario per una più esatta valutazione delle offerte medesime e sempre prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 04.02.2003, n. 533; 23.07.2002 n. 4022; 26.01.2001 n. 264; 13.04.1999 n. 412; Cons. di Stato, Sez. VI, 20.12.1999 n. 2117; TRGA, Bolzano, 12.02.2003 n. 48; TAR Marche, 16.06.2003 n. 607; TAR Toscana, Sez. II, 17.09.2003 n. 5107).
L’attività illustrata posta in essere dalla Commissione mediante specificazione dei criteri di valutazione confligge dunque con le statuizioni della giurisprudenza costante che vieta la predisposizione di criteri o sottocriteri valutazionali dopo l’apertura delle buste inerenti anche la documentazione tecnica (Consiglio di Stato, Sez. V, 12.06.2007, n. 3136), prescindendosi dalla presa di contezza del contenuto delle offerte tecniche in quanto “la conoscenza, anche solo potenziale, delle offerte costituisce infatti un dato di fatto potenzialmente deviante in quanto mette in condizione la commissione di plasmare i criteri o parametri specificativi adattandoli ai caratteri specifici delle offerte, conosciute o conoscibili, sì da sortire un effetto potenzialmente premiale nei confronti di una o più imprese” (Consiglio Stato, sez. VI, 20.12.1999, n. 2117; TAR Puglia–Lecce, II, 10.05.2006, n. 2439) essendo pertanto ostativa anche la mera apertura delle buste contenenti le offerte tecniche (TAR Campania-Napoli, Sez. I, 31.01.2005, n. 575).
3. La verbalizzazione delle attività dell'organo amministrativo cui compete la valutazione delle offerte nel corso di una procedura di gara pubblica non può prescindere dall'indicazione dell'articolazione delle varie sedute, dall'attestazione della regolare composizione dell'organo in ciascuna di esse e da una sufficiente descrizione delle attività compiute, in misura direttamente proporzionale all'ampiezza della discrezionalità tecnica disponibile (TAR Piemonte, Sez. II, 14.04.2003, n. 598).
4. La Commissione di una gara d’appalto costituisce collegio perfetto (Consiglio Stato, Sez. V, 22.10.2007, n. 5502) e deve quindi operare nel plenum dei suoi componenti tutte le volte in cui esprime attività discrezionale, quale quella valutativa.
La presenza di un membro esperto, ancorché non limitata a un apporto di mera consulenza e assistenza non decisionale, non vulnera o infirma, ma, semmai, corrobora lo spessore di collegialità della valutazione discrezionale e reca apporti di giudizio al plenum, riuscendone anzi in definitiva rafforzato il carattere di valutazione congiunta e collettiva che sottende l’operato di un plenum di soggetti collegialmente operanti.
__________________
(1) Ha altresì osservato il collegio torinese che "A seguito, infatti, del giudicato cautelare, si è prodotta nella vicenda amministrativa una situazione che può essere assimilata all'ipotesi della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione dipendente da factum principis, quest’ultimo ravvisabile nel dictum giurisdizionale. La fattispecie presenta punti di contatto assai stretti con il caso in cui venga interrotto un rapporto contrattuale con l’appaltatore a causa di una risoluzione o di una rescissione del contratto. In quel caso, sussistendo le ragioni di urgenza, da motivare adeguatamente nella delibera, l’Amministrazione poteva procedere per la giurisprudenza a stipulare il contratto a trattativa privata".
Si ricorda in proposito che anche il Consiglio di Stato aveva in tali casi statuito che “a seguito della rescissione del contratto per inadempimento dell'appaltatore, legittimamente l'amministrazione motiva l'eccezionale urgenza di procedere a trattativa privata con la necessità di un intervento urgente nell'imminenza della stagione invernale” (Consiglio Stato, Sez. V, 11.06.2001, n. 3127).
Più in generale si era precisato che “ai sensi del combinato disposto degli art. 5 lett. d), e 9, l. 08.08.1977 n. 584, e degli art. 28 lett. d) e 29 comma 1, l.reg. Lomb. 12.09.1983 n. 70 è consentito procedere alla trattativa privata quando sia necessario affidare i lavori in seguito alla rescissione del precedente contratto” (TAR Lombardia-Brescia, 27.09.1996, n. 924) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 09.09.2008 n. 1887 - link a www.mediagraphic.it).

PUBBLICO IMPIEGOIngiuria dire al dipendente che non capisce nulla - Il rapporto gerarchico deve indurre il datore di lavoro a controllare le parole.
Apostrofare un proprio dipendente con la frase “non capisci un c…” può costare al datore di lavoro una condanna per ingiuria (Corte di cassazione, Sez. V penale, sentenza 25.07.2008 n. 31388 - link a www.aziandalex.kataweb.it).

APPALTIS. Lazzini, In tema di diritto di un’impresa, una volta sanate le irregolarità riscontrare, di essere invitata ad una procedura ristretta di una Stazione appaltante munita di un proprio sistema di qualificazione degli imprenditori, fornitori e prestatori di servizi ai sensi dell’art. 232 comma 1, d.lgs. n. 163/2006, che funge da preselezione dei candidati alle gare da essa indette, per i quali l’iscrizione in tale sistema di qualificazione costituisce una condizione preliminare per essere destinatari dell’invito a partecipare.
Stante la normativa di l’art. 232, co. 2, del d. dls. n. 163 del 2006 prevede che “gli enti che istituiscono o gestiscono un sistema di qualificazione provvedono affinché gli operatori economici possano chiedere in qualsiasi momento di essere qualificati”, nel caso in cui un’impresa non venga ammessa dalla Stazione Appaltante a far parte dell’elenco dei fornitori in ragione della presenza di una situazione debitoria nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non è automatico, una volta dimostrata la regolarizzazione, che la dichiarazione della società di aver sanato la propria situazione debitoria –e anche i certificati di regolarità fiscale dalla stessa prodotti– possano avere un istantaneo effetto di riqualificazione essendo all’uopo necessario attivare il procedimento di riqualificazione presso la Stazione Appaltante medesima (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza VI, sentenza 11.07.2008 n. 3503 -
link a www.diritto.it).

APPALTIS. Lazzini, L’impugnazione del bando o dell’atto di esclusione diventa improcedibile nel caso di mancata impugnazione dell’aggiudicazione, in ragione del carattere inoppugnabile del provvedimento finale, attributivo dell’utilitas all’aggiudicatario? Se i termini per il ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva non sono ancora scaduti, che cosa succede?
É inammissibile il ricorso avverso la sola esclusione dalla gara, ovvero avverso la sola aggiudicazione provvisoria, in quanto si ritiene necessaria l’impugnativa autonoma dell’aggiudicazione definitiva, visto che quest’ultima non va considerata atto meramente confermativo o esecutivo, ma provvedimento che, anche quando recepisca i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione degli interessi pubblici sottostanti. Nella specie, poiché il provvedimento di aggiudicazione definitiva è stato depositato, e, quindi, conosciuto in data 18.03.2008, ne consegue che la ricorrente, odierna appellante, è ancora in termini per impugnare detto provvedimento e che, quindi, occorre concederle il termine di legge per la proposizione dell’impugnativa tramite motivi aggiunti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.07.2008 n. 3433 -
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EDILIZIA PRIVATAUn edificio pubblico per il solo fatto che sia stato costruito da più di 50 anni non può ritenersi automaticamente vincolato.
La Soprintendenza regionale, nel momento in cui nega il nulla osta, applicando implicitamente gli artt. 4 e 1 della legge 1089/1939, o quelli analoghi del decreto legislativo 490/1999, deve specificare quali valori storici e/o artistici sono tutelati, oltre alle ragioni concrete che rendono l'intervento richiesto incompatibile con detta tutela, poiché in astratto la legge non esclude la possibilità di intervento anche sui beni sottoposti a tutela, seppure a determinate condizioni (v. artt. 18, 19 e 20, ora art. 23).
Non è sufficiente per inibire qualunque intervento l'appartenenza del bene ad uno dei soggetti elencati nell'art. 5. L'indiscriminata tutela renderebbe, infatti, oltremodo difficile la gestione patrimoniale di beni che non hanno alcuna rilevanza storico-artistica. In ogni caso, a prescindere da ogni altra considerazione, è certo che qualunque vincolo ex art. 5 deve esplicitare i motivi per i quali il bene è riconducibile fra quelli per i quali l'art. 2 prescrive una specifica tutela. La Soprintendenza, invece, nella fattispecie ha omesso di indicare queste ragioni, assumendo apoditticamente il diniego nel presupposto che sussistesse una tutela desumendola implicitamente dall'art. 5, senza alcuna ricognizione della rilevanza dei beni alla luce dell'art. 2 (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, ordinanza 06.06.2002 n. 1165 e conferma TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 19.12.2002 n. 5276).

AGGIORNAMENTO AL 25.09.2008

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dossier RUMORE

AMBIENTE-ECOLOGIARumore - Se il comune non ha provveduto alla prescritta zonizzazione acustica, resta preclusa l’operatività del criterio “differenziale".
Come questa Sezione ha già avuto occasione di rilevare (sent. 04/05/2005 n. 244 e la recentissima 21/05/2008 n. 259), la prevalente giurisprudenza è dell’avviso che, nelle more della classificazione del territorio comunale ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a) della L. n. 447 del 1995, siano operativi i limiti c.d. “assoluti” di rumorosità, ma non anche quelli c.d. “differenziali” (v. TAR Puglia –LE- sez. I^, 13/06/2007 n. 2334; TAR Friuli V.G. 29/06/2005 n. 578; TAR Lombardia –MI- sez. I^, 01/03/2004 n. 813; TAR Veneto, sez. III^, 31/03/2004 n. 847).
Alla base di tale indirizzo è l’univoca formulazione dell’art. 8, comma 1, del D.P.C.M. 14/11/1997, secondo cui: “In attesa che i comuni provvedano agli adempimenti previsti dall’art. 6, comma 1, lett. a) della legge 26.10.1995 n. 447, si applicano i limiti di cui all’art. 6, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 01.03.1991”.
Da tale norma si evince che, ove si fosse voluto far sopravvivere integralmente il regime transitorio di cui all’art. 6 del decreto: primo comma relativo ai c.d. limiti “assoluti” e secondo comma relativo ai c.d. limiti “differenziali”, sarebbe stato evidentemente necessario operare il rinvio ad ambedue le fattispecie.
D’altra parte, non persuade la tesi ministeriale (v. circolare Min. Ambiente e Tutela del Territorio del 14/11/1997) che, per giustificare il silenzio della norma, adduce la diretta applicabilità dei limiti “differenziali” perché ancorati, quanto al loro ambito di riferimento, ad una suddivisione del territorio (aree diverse da quelle esclusivamente “industriali”) che si ricaverebbe “ex se” dalla disciplina urbanistica, si da non richiedere una specifica norma che ne autorizzi l’operatività “medio tempore”.
In realtà, già nella vigenza del D.P.C.M. 01/03/1991 i limiti “differenziali” erano circoscritti alle zone non esclusivamente industriali e, ciò nonostante, si era avvertita la necessità di effettuarne un esplicito richiamo al fine di garantirne l’operatività fin dalla fase transitoria, con la conseguenza che il rinvio operato al solo primo comma dell’art. 6 depone inequivocabilmente per una scelta normativa che vuole ora subordinare l’applicabilità del criterio “differenziale” all’introduzione della disciplina a regime, e cioè all’adozione del piano comunale di zonizzazione acustica (v. TAR Emilia - Romagna –PR- 21/05/2008 n. 259 cit.).
Pertanto, non avendo il Comune di Reggio Emilia provveduto alla prescritta zonizzazione acustica, resta preclusa, allo stato, l’operatività del più vote citato criterio “differenziale”, con conseguente illegittimità dell’ordinanza impugnata fondata sull’accertato superamento dei limiti differenziali di immissioni acustiche
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 18.09.2008 n. 385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: 1. Poteri del Sindaco - Emissione di Ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995 - Sulla base di un solo esposto - Legittimità.
2. Attività di somministrazione alimenti e bevande - Senza fini di lucro - Rispetto dei limiti di emissione acustica - Necessità.
1. E' legittima l'Ordinanza del Sindaco emessa ex art. 9 L. n. 447/1995 anche se adottata sulla base dell'esposto di una sola famiglia (TAR Puglia, Lecce Sez. I, 08.06.2006, n. 3340 e Sez. I, 24.01.2006, n. 488, nelle quali si mette altresì in luce come l'art. 9 della succitata legge è l'ordinario rimedio in materia di inquinamento acustico, non prevedendo la citata legge altri strumenti a disposizione delle Amministrazioni comunali).
2. Il rispetto dei limiti differenziali di immissione acustica riguarda tutte le attività che, per le proprie intrinseche caratteristiche e per la struttura organizzativa necessaria al loro svolgimento, sono idonee alla produzione di immissioni sonore inquinanti, non rilevando la natura di enti senza fine di lucro degli stessi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 02.04.2008 n. 715).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Pianificazione acustica - Affidamento - Tutela - E' ridotta - Interessi protetti - Non sono recessivi - Modifiche più restrittive - Legittimità.
In materia di pianificazione acustica la tutela dell'affidamento è necessariamente ridotta, in quanto gli interessi protetti dalla normativa contro l'inquinamento acustico, desumibili dall'art. 2, co. 1, lett. a), L. 447/1995 -ossia tutela del riposo e della salute, conservazione degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo e dell'ambiente esterno- non sono recessivi rispetto alle attività economiche, ma al contrario il loro contenuto si espande per effetto delle innovazioni tecnico-scientifiche sopravvenute in grado di definire e misurare più esattamente il disturbo provocato dalle fonti di rumore. L'esigenza di salvaguardare le attività economiche già insediate sul territorio non può quindi impedire modifiche più restrittive alla zonizzazione acustica, ma è un elemento da tenere in considerazione (in particolare quando i gestori abbiano eseguito degli interventi di mitigazione) per graduare in concreto le misure di bonifica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 02.04.2008 n. 348 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier TELEFONIA MOBILE

EDILIZIA PRIVATAI comuni possono adottare un regolamento atto ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia e minimizzare l’esposizione della popolazione comunale ai campi elettromagnetici. Tuttavia, il potere regolamentare comunale non può implicare la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato.
La giurisprudenza ha chiarito che, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (l. 22-02-2001 n. 36), i comuni possono adottare un regolamento atto ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione comunale ai campi elettromagnetici. Tuttavia, il potere regolamentare comunale non può implicare la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato, non rientrando tale potere nell’ambito delle competenze comunali. Non può, pertanto, l’ente locale, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure derogatorie ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio-base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale; ovvero introdurre misure che, pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc.), non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo (cfr. Cons. Stato, VI, 15-06-2006, n. 3534; IV, 03-06-2002, n. 3095; TAR Abruzzo, Pescara, 03-04-2007, n. 376).
E’ stato, per l’effetto, affermato che il potere conformativo di cui dispone l’amministrazione comunale può essere legittimamente esercitato alla duplice condizione che:
a) per effetto dei criteri localizzativi stabiliti dall’ente locale, non risulti impedita in via generalizzata la possibilità di installare gli impianti per la telefonia su tutto il territorio comunale o su larga parte di esso;
b) l’adozione delle norme sulla localizzazione delle stazioni radio base (finalizzate anche all’obiettivo della minimizzazione della esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici) sia preceduta da adeguata istruttoria implicante necessariamente accertamenti tecnico-scientifici e/o da valutazione dei dati acquisiti.
Con riferimento al requisito sub a), deve essere evidenziato che opera in materia la regola generale secondo cui l’installazione di una stazione radio base va considerata quale infrastruttura, compatibile con qualsiasi destinazione di zona (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, II, 17-04-2007, n. 330); la relativa installazione deve, d’altra parte, ritenersi in generale consentita sull’intero territorio comunale in modo da poter realizzare una uniforme copertura di tutta l’area comunale interessata (cfr. Cons. Stato, VI, 28-03-2007, n. 1431).
Ai Comuni spetta, alla luce delle competenze urbanistiche ed edilizie inerenti il governo del territorio e tenuto conto della competenza aggiuntiva e diversa relativa alla minimizzazione del rischio per la salute della popolazione, disciplinare con regolamento la localizzazione ottimale degli impianti di telecomunicazione, potendo dettare regole diverse, rispetto a quelle previste per la generalità degli altri impianti, nella misura in cui esse siano volte a contemperare ragionevolmente gli opposti interessi coinvolti, senza violare i valori di campo stabiliti dallo Stato e gli obiettivi di qualità definiti dalle Regioni.
Di poi, i regolamenti comunali di minimizzazione devono limitarsi a dettare prescrizioni urbanistico-edilizie di carattere integrativo, volte ad imporre ubicazioni specifiche o caratteristiche tecniche determinate.
Sulla base di tali principi, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito i contenuti regolamentari vietati, in quanto esorbitanti dai limiti delle competenze comunali, e quelli invece consentiti.
Tra i primi rientrano: l’introduzione di deroghe generalizzate ai limiti di emissione ed esposizione fissati dallo Stato; l’individuazione di zone omogenee destinate o meno ad accogliere gli impianti elettromagnetici; la prescrizione di limiti che ostacolino ingiustificatamente ed arbitrariamente l’installazione degli impianti e le relative infrastrutture.
E’, invece, consentita: l’indicazione di accorgimenti tecnici particolari da adottare nella realizzazione degli impianti, quali ad esempio schermature idonee a neutralizzare o ridurre l’emissione di onde elettromagnetiche all’esterno; l’indicazione di siti idonei, nel rispetto della zonizzazione prevista dal piano regolatore generale, tenuto conto dell’esigenza di evitare l’esposizione di soggetti fragili (bambini, anziani, ammalati) e di ridurre l’impatto sul territorio dal punto di vista urbanistico ed edilizio.
In particolare, è stato chiarito (cfr. Cons. Stato, VI, 05-06-2006, n. 3332) che la potestà assegnata al Comune dal richiamato art. 8, comma sesto, può tradursi nella introduzione di regole a tutela di zone e beni di particolare pregio paesistico/ambientale o storico/artistico ovvero nella individuazione di siti che, per destinazione d’uso e qualità degli utenti, possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche, ma non può trasformarsi in limitazioni alla localizzazione per intere ed estese porzioni di territorio comunale.
Di conseguenza, non è compatibile con la realizzazione del servizio imporre divieti per zone omogenee e distanze fisse (Cons. Stato, IV, 14-02-2005, n. 450); è illegittima l’esclusione degli impianti per intere zone omogenee del territorio (TAR Campania, I, 22-12-2004, n. 19627), mentre sono legittimi i divieti di localizzazione in determinati ambiti del territorio (Cons. Stato, VI, 05-12-2005, n. 6961).
Ancora, le misure distanziali sono state ritenute legittime nella misura in cui sono sufficientemente specifiche ed omogenee, oltre che proporzionate e non irragionevoli, configurandosi possibilità di deroga unicamente quando il gestore dimostri la impossibilità altrimenti di completare la copertura della rete.
Venendo ora alla disamina della condizione sub b) (necessità di adeguata istruttoria tecnica), va rilevato che la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che i regolamenti comunali, nell’adozione di misure tese alla minimizzazione della esposizione della popolazione, devono suffragare le disposizioni da adeguata istruttoria tecnica, che dia conto delle ragioni per cui certe localizzazioni sono da preferire ad altre e garantisca che tali localizzazioni non impediscono in concreto l’erogazione del servizio (cfr. TAR Puglia, Lecce, II, 12-09-2006, n. 4412). In particolare, vi è obbligo di effettuare approfondimenti tecnico-scienifici in funzione, non già della determinazione di valori di campo diversi da quelli stabiliti dalla normativa statale e di misure che surrettiziamente afferiscono ai valori di campo, ma della disciplina del corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, anche considerando l’obiettivo della minimizzazione della esposizione ai campi elettromagnetici (cfr. TAR Puglia, Lecce, II, 03-11-2006, n. 5142)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,  sentenza 28.08.2008 n. 2242 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione ambientale comunale - Annullamento - Soprintendenza dei beni architettonici e del paesaggio - Competenza - Sussistenza.
Sussiste la competenza della Soprintendenza dei beni architettonici e del paesaggio, organo periferico del Ministero dei BBAA, ad adottare un provvedimento di annullamento di un'autorizzazione ambientale comunale posto che il medesimo non deve necessariamente essere adottato a livello centrale, in quanto, alla luce dei vari provvedimenti di delega, risulta competente ad emanare un siffatto atto il detto medesimo organo periferico  
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 11.04.2008 n. 367 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGO: Progetti interni, incentivi ridotti anche in Comune (articolo Il Sole 24 Ore del 22.09.2008 - link a rassegnastampa.formez.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

ENTI LOCALI: F. Albo, Gli incarichi di collaborazione nella Pubblica Amministrazione dopo l’entrata in vigore della legge n. 133/2008 (link a www.lexitalia.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

EDILIZIA PRIVATA: Ritenuto in diritto:
Il comma 8 dell’art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006 prevede che l’offerta è corredata, a pena di esclusione, dall’impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, di cui all’articolo 113, qualora l’offerente risultasse affidatario. L’impegno della cauzione definitiva di cui all’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006, ha la funzione di garantire la stazione appaltante dalla mancata esecuzione del contratto da parte dell’aggiudicatario.
La cauzione, provvisoria e definitiva, assolve pertanto sia una funzione indennitaria, in quanto garantisce alla stazione appaltante il risarcimento dei danni cagionati dall’eventuale rifiuto dell’impresa aggiudicataria di stipulare il contratto, sia una funzione sanzionatoria, in caso di inadempimenti procedimentali da parte del concorrente in relazione alla veridicità delle dichiarazioni fornite in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria e tecnico organizzativa richiesti dal bando.
Nel caso di specie, l’Azienda sanitaria Locale di Bari, ha previsto nella disciplina di gara l’obbligo in capo agli offerenti di fornire una garanzia fideiussoria di € 20.000,00, pari al due per cento del valore dell’appalto, costituita nei modi di cui all’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006. Non sembra possibile, alla luce di detta norma espressamente contenuta nella lex specialis, da parte della stazione appaltante ammettere al prosieguo della procedura il partecipante che ha omesso di presentare l’impegno a rilasciare la garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, in quanto si integrerebbe, altrimenti, una violazione del principio della par condicio nei confronti degli altri partecipanti che hanno regolarmente provveduto, in applicazione dell’art. 75, a presentare la dichiarazione richiesta. Del resto, la norma di cui all’articolo 8 del d.m. 21 settembre 1981 richiamata dal partecipante, è di rango secondario e, pertanto, inidonea a derogare ad una norma di legge prevista dal Codice dei Contratti.
Per tale ragione, l’unica normativa applicabile nel caso in esame è quella dettata dall’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006, il quale prescrive le caratteristiche che la cauzione deve avere, prevedendone le modalità di costituzione, la natura bancaria ovvero assicurativa, la legittimazione a rilasciarla, in capo agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del d.lgs. n. 385/1993, che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di rilascio di garanzie, a ciò autorizzati dal Ministero dell’economia e delle finanze, nonché il termine minimo di validità.
Nel dettare la menzionata disciplina della cauzione, il legislatore non ha previsto alcun regime di incompatibilità in relazione all’eventualità che il soggetto che rilascia la garanzia sia un istituto controllato dal soggetto offerente al quale è conferita la cauzione medesima.
Non appare in tal senso rinvenibile un possibile pregiudizio nei confronti dalla stazione appaltante o una possibile lesione dei principi in materia di contratti pubblici.
Peraltro, l’eventualità che la garanzia venga rilasciata da un soggetto controllato dall’istituto bancario partecipante non sembra arrecare pregiudizio alla funzione tipica che la cauzione è chiamata a svolgere.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, di comunicare alle Parti interessate che:
1. la normativa applicabile è quella dettata dall’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006, così come prevista anche dalla lex specialis di gara;
2. la disciplina di cui all’articolo 75 del D.Lgs. n. 163/2006 non sembra precludere la possibilità che la cauzione venga conferita da un istituto bancario controllato dallo stesso partecipante a cui è rilasciata la garanzia medesima
(parere 12.06.2008 n. 186 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI SERVIZI: Ritenuto in diritto:
Il caso in esame ha ad oggetto, come descritto in narrativa, il ritiro della procedura di gara -indetta con bando pubblicato in data 03.08.2005– da parte dell’amministrazione comunale al fine valutare la possibilità di realizzare un affidamento diretto in capo a due società partecipate dal Comune del servizio di gestione calore. Le motivazioni di detto intendimento sono contenute nelle deliberazioni n. 5 del 15.01.2008 e n. 203 del 04.12.2007 nelle quali viene evidenziato che “appare confacente all’interesse pubblico avvalersi del servizio di teleriscaldamento fornito dalla società AMSP Gestioni S.r.l., ai sensi dell’art. 113, comma 5, lett. c) D.Lgs. n. 267/2000, trattandosi di società a capitale interamente pubblico del Comune di Seregno, che realizza la parte più importante della propria attività con l’Ente, che esercita sulla medesima un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.
Orbene, la problematica posta all’attenzione attiene alla possibilità per il Comune di Seregno di procedere ad un affidamento diretto, cd. affidamento in house, del servizio di gestione calore sulla base dell’art. 113, comma 5, lett. c) D.Lgs. n. 267/2000, il cui attuale testo, come sostituito dall’articolo 14, comma 1, lettera d), legge n. 326 del 2003, prevede che “L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio: c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.
In ordine all’affidamento di un servizio in house è noto come la giurisprudenza, sia comunitaria, sia nazionale, abbia più volte sottolineato il carattere derogatorio, eccezionale e transitorio rispetto all’affidamento a soggetto esterno all’amministrazione con procedura di evidenza pubblica e che possa ritenersi consentito solo in presenza di talune specifiche condizioni.
Il Consiglio di Stato, recentemente, in Adunanza Plenaria (C. di Stato, Ad. Plen. del 03.03.2008, n. 1) ha sottolineato, alla stregua della giurisprudenza comunitaria, che un legittimo affidamento “in house” possa aver luogo solo qualora l’ente affidante eserciti sulla società affidataria un controllo analogo a quello dallo stesso esercitato sui propri servizi e la seconda realizzi la parte più importante della propria attività verso l’ente o gli enti che la controllano (C. Giust. CE, 18.11.1999, C-107/98, Teckal). Unicamente in presenza degli elementi costituiti dal “controllo analogo” e dalla “destinazione prevalente dell’attività”, infatti, la società affidataria può essere qualificata come una longa manus dell’ente affidante, talché la gestione dell’appalto o del servizio pubblico ad essa affidato appare, in qualche misura, riconducibile allo stesso ente affidante ovvero ad una sua articolazione. In questo quadro, il Consiglio di Stato ha evidenziato anzitutto che la sussistenza del “controllo analogo” è da ritenersi esclusa in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, dal momento che la partecipazione, sia pure minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo assimilabile a quello che essa svolge sui propri servizi (cfr anche C. Giust. CE: sez. II, 19.04.2007, C-295/05, Asociacion de Empresas Forestales c. Transformacion Agraria SA (TRASGA); 21.07.2005, C-231/03, Consorzio Corame; 11.01.2005, C-26/03, Stadt Halle Cons. Stato, sez. V, 13.07.2006, n. 4440).
Nella sentenza viene, altresì, evidenziato come la partecipazione pubblica totalitaria, se necessaria, non è tuttavia sufficiente, essendo altresì indispensabile la presenza di taluni penetranti strumenti di controllo da parte dell’ente, ulteriori rispetto a quelli previsti dal diritto civile, così sintetizzabili:
a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati;
b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale;
c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero;
d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante.
Dai documenti forniti dalla società istante, nel corso dell’istruttoria, emerge che la società AMSP Gestioni S.r.l., cui il Comune di Seregno affiderebbe il servizio di teleriscaldamento, ha previsto nel proprio statuto all’art. 6 che possono partecipare alla società in qualità di soci “altri soggetti pubblici e privati individuati dall’Assemblea dei soci con delibera adottata con il voto favorevole dei due terzi del capitale sociale”. Tale previsione sembra confliggere con quanto evidenziato dai sopra enunciati principi del Consiglio di Stato, nonché quanto espresso in sede comunitaria con la pronuncia “Parking Brixen” del 13.10.2005, nel procedimento C-458/03, che , per ciò che attiene al “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” da parte degli enti pubblici titolari del capitale sociale – ha osservato che il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi.
Ad ogni buon conto, spetta al Comune che è in possesso di tutti gli elementi cognitivi della fattispecie valutare se sia possibile utilizzare lo strumento dell’affidamento diretto, ai sensi dell’art. 113, comma 5, lett. c) D.Lgs. n. 267/2000 che, come esposto, può essere ammesso solo a condizione che i sopra menzionati elementi siano tutti presenti. Tali valutazioni spettano propriamente alla sola stazione appaltante, la quale è l’unica ad essere in possesso di tutti gli elementi necessari per poter effettuare le proprie valutazioni, sulla base degli indirizzi dettati da questa Autorità e dai recenti indirizzi giurisprudenziali.
Per quanto poi concerne la possibilità per il Comune di affidare il servizio sulla base dell’art. 57, comma 2, lett. b) del D.Lgs. 163/2006, così come viene espresso nella integrazione e conferma della deliberazione n. 203 del 04.12.2007, si rileva come tale possibilità sia strettamente prevista solo “qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato”. Pertanto l’amministrazione comunale potrà ricorrere a tale procedura solo condizionatamente alla sussistenza dei presupposti, dettagliatamente indicati nella norma.
Infine non può non rilevarsi quanto sollevato in corso di audizione circa l’eccessiva dilatazione dei tempi della stazione appaltante nell’adottare determinazioni in merito alla procedura di gara, che si pone in violazione con il principio del giusto procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241/1990. Detto comportamento dilatorio, induce l’Autorità a ritenere opportuna l’esecuzione di un’attività di monitoraggio sulle decisioni che saranno adottate dalla Città di Seregno per l’affidamento de quo.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, che:
- il Comune di Seregno potrà utilizzare l’istituto previsto dall’art. 113, comma 5, lett. c) D.Lgs. n. 267/2000 esclusivamente a condizione che gli elementi sopra citati ed indicati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale ricorrano perfettamente;
- potrà essere adottata dal Comune la procedura prevista dall’art. 57, comma 2, lett. b) del D.Lgs. 163/2006, solo condizionatamente alla sussistenza dei presupposti, dettagliatamente indicati nella norma medesima
(parere 12.06.2008 n. 185 - link a massimario.avlp.it).

LAVORI PUBBLICI: Ritenuto in diritto:
Preliminarmente si fa presente che la problematica sottoposta all’attenzione dell’Autorità viene esaminata sotto il profilo del rispetto della concorrenza nella procedura di gara, non rientrando nella ratio dell’istituto delle soluzioni delle controversie insorte in sede di gara, valutazioni di merito proprie del singolo progettista ed attinenti alla sua responsabilità specifica in sede di progettazione.
In linea generale, per quanto attiene all’individuazione delle categorie di lavorazione presenti nell’appalto, si richiama quanto disposto dall’articolo 73 del D.P.R. n. 554/1999, in base al quale nel bando di gara deve essere indicata la categoria prevalente, nonché tutte le parti, appartenenti alle categorie generali o specializzate di cui si compone l’opera, con i relativi importi e categorie, nel caso in cui dette parti siano di importo superiore al dieci per cento dell’importo complessivo dell’appalto o di importo superiore a 150.000 euro.
Come evidenziato dall’Autorità, nella propria determinazione n. 25/2001, il bando di gara deve indicare non soltanto l’importo complessivo dell’intervento nonché la categoria prevalente ed il suo specifico importo, ma anche tutti gli eventuali sottoinsiemi delle lavorazioni costituenti l’intervento medesimo diverse da quelle appartenenti alla categoria prevalente (cioè le categorie scorporabili), specificando per ogni sottoinsieme categoria ed importo, soltanto però se per essi sussistano entrambe le seguenti condizioni: costituiscano un autonomo lavoro e siano di importo superiore al 10% dell’importo complessivo, oppure di importo superiore a euro 150.000.
Inoltre, la categoria prevalente deve essere una sola: quella di importo più elevato fra quelle costituenti l’intervento e che, pertanto, identifica i lavori da appaltare (articolo 73, comma 1, del D.P.R. 554/1999). L’importo delle lavorazioni comprese nella categoria prevalente è residuale, nel senso che è il risultato di una serie di operazioni di scorporo, con le quali dall’importo complessivo dell’intervento si sottraggono via via gli importi delle lavorazioni delle categorie scorporabili.
Nel caso di specie, secondo quanto rappresentato dalla stazione appaltante, l’esecuzione di opere afferenti la categoria OG10 è marginale, essendo sotto Euro 150.000,00 ed inferiore al 10% dell’importo complessivo dei lavori e, pertanto, correttamente, in accordo con la normativa vigente nonché con le indicazioni fornite da questa Autorità, l’ATAC ha previsto, quale attestazione di qualificazione, la categoria OS27, Classe VI avente ad oggetto le lavorazioni sugli impianti “per la trazione elettrica di qualsiasi ferrovia, metropolitana o linea tranviaria”.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, che la documentazione di gara è conforme alla normativa vigente di settore, nonché alle indicazioni fornite da questa Autorità
(parere 12.06.2008 n. 184 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
L’art. 83, comma 4, del D.Lgs. n. 163/2006 dispone che “il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi. Ove la stazione appaltante non sia in grado di stabilirli tramite la propria organizzazione, provvede a nominare uno o più esperti con il decreto o la determina a contrarre, affidando ad essi l’incarico di redigere i criteri, i pesi, i punteggi e le relative specificazioni, che verranno indicati nel bando di gara. La commissione giudicatrice, prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte, fissa in via generale i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e subcriterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando.
Sulla base della sopra menzionata previsione, nel caso in cui il bando di gara non contenga i sub-criteri e i sub-pesi, la commissione giudicatrice deve fissare gli stessi ed in via generale i criteri motivazionali cui si atterrà prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte (sul punto cfr. parere dell’Autorità n. 93 del 20.04.2008).
E’ possibile, pertanto per la Commissione di gara fissare i sub criteri ed i sub punteggi purché, come l’Autorità ha evidenziato con il parere n. 119 del 22.11.2007, non siano modificati i criteri di aggiudicazione definiti nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, ovvero non siano aggiunti elementi che, se fossero stati noti al momento della preparazione delle offerte, avrebbero influenzato la detta preparazione, ed infine non vengano introdotti elementi che possono avere un effetto discriminatorio nei confronti di uno dei concorrenti.
Nel caso di specie, la Commissione di gara, in presenza di un bando di gara privo dell’indicazione dei sub criteri e dei relativi sub punteggi, avrebbe dovuto, ai sensi della sopra citata normativa, comunicare i sub criteri adottati, prima dell’apertura delle offerte. Viceversa, da quanto descritto in narrativa, la Commissione di gara sembra aver tenuto un comportamento poco chiaro ed ambiguo, in quanto non ha giustificato durante la prima seduta pubblica, una volta per tutte, i sub criteri ed i corrispondenti pesi, ma ha adottato nuovi criteri in un secondo momento, successivamente all’apertura delle offerte. In tale maniera si è riservata discrezionalmente il potere di quantificare i sub punteggi con modalità e forme non accompagnate da alcuna motivazione ed in violazione della normativa di cui all’art. 83, comma 4, del D.Lgs. n. 163/2006.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che il comportamento adottato dalla Commissione di gara nella procedura in esame non sia conforme alla normativa vigente di settore
(parere 12.06.2008 n. 183 - link a massimario.avlp.it).

LAVORI PUBBLICI: Ritenuto in diritto:
Nel caso di specie l’impresa istante ha esibito sia certificati di esecuzione lavori nei quali si attesta l’esecuzione di lavori caratterizzati da “analoga cronologia” sia certificati lavori nei quali si attesta l’esecuzione di lavori caratterizzati da “comparabili condizioni geo-idrauliche”: come correttamente ha rilevato l’impresa, alla medesima può essere quindi imputata la capacità tecnica di scavo nei siti che vanno dall’età del bronzo a quella del ferro e la tecnica di scavo in presenza di falda acquifera, quali quelli in appalto.
La ratio sottesa alla disposizione di cui all’articolo 253, comma 30 del d. Lgs. n. 163/2006, secondo la quale è facoltà delle stazioni appaltanti “individuare, quale ulteriore requisito di partecipazione, l’avvenuta esecuzione nell’ultimo decennio, di lavori nello specifico settore cui si riferisce l’intervento, individuato in base alla tipologia dell’opera oggetto di appalto”, è quella di consentire alle S.A. di selezionare concorrenti in possesso di esperienza specifica, e cioè, nel caso in esame, di saper eseguire scavi archeologici nelle medesime condizioni di quelle dedotti in appalto.
Quanto sopra, infatti, in applicazione del principio di cui all’articolo 2, comma 1, del d.Lgs. n. 163/2006, secondo il quale l’esecuzione di opere e lavori pubblici deve garantire la qualità delle prestazioni.
Al di là del profilo di interpretazione letterale della citata clausola, occorre, nella selezione dei concorrenti, seguire un approccio sostanzialistico, comunque nel rispetto della par condicio, e verificare se gli stessi concorrenti, nel merito ed in concreto, abbiano e dimostrino le prescritte capacità.
Ove pertanto, l’impresa istante dimostri, tramite certificati di esecuzione lavori, l’esperienza pregressa in lavori di scavi archeologici rivolti sia a situazioni di analoga cronologia sia di comparabili condizioni geo-idrauliche, per un importo almeno pari al 70% di quello posto a base di gara, può ritenersi in possesso della necessaria qualificazione per la partecipazione all’appalto.
In riferimento alla seconda eccezione, si concorda con le considerazioni della S.A. secondo le quali la clausola della disciplina di gara relativa alle tariffe di riferimento per i compensi degli archeologi, è da intendersi come parametro di giudizio ai fini del sub procedimento di verifica dell’anomalia, piuttosto che come clausola di esclusione e, pertanto, non si rilevano profili di irregolarità.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dell’ATI Materazzo ing. Lucio s.r.l./Edil Restauri Nu.sco.si s.r.l. non è conforme alla normativa di settore
(parere 12.06.2008 n. 182 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: La regola della pubblicità delle sedute si applica anche nelle procedure di selezione del promotore finanziario nelle procedure di project financing.
Sulla competenza del consiglio di amministrazione di una Unione di comuni in ordine alla scelta della proposta fatta dal promotore, che attiene ai poteri di gestione amministrativa e non di indirizzo politico.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato il principio di pubblicità delle sedute, nel corso delle quali vengono svolti gli adempimenti connessi alla verifica della documentazione richiesta dalle regole di gara ai fini della ammissibilità delle offerte, si applica in qualunque tipo di gara. Quanto all’applicabilità del principio di pubblicità anche nelle procedure di project financing, occorre rilevare che l’art. 152 del codice dei contratti (d.lgs. n. 163/2006) prevede che in tali procedure «si applicano le disposizioni della parte I» in cui rientra l’art. 2 che indica i principi di trasparenza e di pubblicità come principi assoluti dei procedimenti di affidamento dei contratti pubblici. E’ chiaro che anche nelle procedure di selezione del promotore finanziario (al pari di quanto si afferma per le procedure in cui il criterio di aggiudicazione è costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa) la regola della pubblicità delle sedute deve trovare applicazione esclusivamente con riguardo alla fase dell’ammissibilità delle proposte. Mentre debbono svolgersi in forma non pubblica le sedute in cui vengono effettuate le valutazioni comparative della qualità tecnica delle proposte presentate, in ossequio al principio di imparzialità che implica la sottrazione a pressioni esterne della formazione e della manifestazione di tali valutazioni. In questa fase potranno aversi apporti dei partecipanti solo se espressamente richiesti dall’amministrazione aggiudicatrice.
Il consiglio di amministrazione dell’Unione di comuni è competente in ordine alla scelta della proposta fatta dal promotore, che attiene ai poteri di gestione amministrativa e non di indirizzo politico. L’art. 154 del codice dei contratti individua nel responsabile del procedimento l’organo competente ad esprimersi sia sulla fattibilità tecnico economica della proposta sia sulla sua rispondenza al pubblico interesse. In realtà, il responsabile del procedimento, salvo che non rivesta qualifica dirigenziale, non ha alcun potere valutativo proprio, potendo espletare soltanto incombenze istruttorie interne al procedimento, restando, poi, il potere di scelta finale affidato all’autorità attributaria della correlativa potestà; autorità da identificare in base alle disposizioni che regolano, per ciascuna amministrazione, il riparto di competenze tra organi burocratici e organi di direzione politica. Pertanto, mentre non sembra possano sorgere dubbi sul fatto che spetti al dirigente competente per settore pronunciare sulla validità della proposta dal punto di vista tecnico-economico, problematico appare, invece, riconoscergli il potere di valutarne la rispondenza al pubblico interesse. Infatti, occorre considerare che la proposta di project financing viene ad integrare una scelta, effettuata dall’amministrazione in sede di programmazione, basata unicamente su semplici studi di fattibilità. Gli esatti contorni dell’opera da realizzare vengono delineati, in tutti i suoi aspetti, soltanto nella proposta fatta dal promotore, per cui deve ritenersi che la valutazione sulla conformità dell’intervento al pubblico interesse spetti all’organo competente a fissare, ai più alti livelli, gli orientamenti fondamentali dell’ente. Nell’ordinamento degli enti locali, l’art. 42, c. 2, lettera e), del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, attribuisce alla competenza del Consiglio comunale l’affidamento dei pubblici servizi. L’art. 32, disciplinando le Unioni di comuni, riserva allo statuto la individuazione degli organi dell’Unione, secondo i principi previsti per l’ordinamento dei comuni e dunque, in primo luogo, adeguandosi al principio di distinzione tra organi di indirizzo politico e organi di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica (arg. art. 107 del citato d.lgs. n. 167/2000). Alla luce delle considerazioni svolte è da escludere, pertanto, la possibilità di demandare l’attività valutativa circa la rispondenza della proposta all’interesse pubblico agli organi di gestione amministrativa
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 18.09.2008 n. 1783 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAModifica della destinazione d’uso.
In ordine al mutamento di destinazione d'uso di un immobile attraverso la realizzazione di opere edilizie, effettuato dopo l'ultimazione del fabbricato e durante lo sua esistenza si configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia (secondo la definizione fornita dall'art. 3, comma 1, lett. d) del T.U. n. 380/2001), in quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di modesta entità, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. L'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione.
Non ha rilievo l'entità delle opere eseguite, allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire permane per gli interventi: di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle destinazioni d'uso (art. 3, comma 1, lett. b), T.U. 380/2001; di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento degli "elementi tipologici" dell'edificio, cioè di quei caratteri non soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la qualificazione in base alle tipologie edilizie (art. 3, comma 1, lett. c, T.U. n. 380/2001)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.09.2008 n. 35383 - link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi: illegittima l'indizione di una nuova procedura selettiva quando c'è una graduatoria ancora valida.
E' illegittimo, per contrasto con l'art. 3 della l. 241/1990 (il quale sancisce l'obbligo della motivazione), il provvedimento con cui l'Amministrazione bandisce un nuovo concorso senza tener conto del risultato di una precedente ed omologa selezione e senza una motivazione in ordine al mancato previo scorrimento della precedente graduatoria ancora valida ed efficace
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 15.09.2008 n. 4073 - link a www.eius.it).

APPALTI: Le informative antimafia devono essere aggiornate al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa.
L’art. 10, c. 8, del DPR n. 252/1998, prevede espressamente che l’esito delle informazioni sia aggiornato, anche "sulla documentata richiesta dell’interessato", "al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa".
Ne consegue nel caso di specie che è illegittima la conferma da parte del Prefetto dell’originaria valutazione espressa sul rischio di infiltrazione mafiosa a carico di una società a fronte di un accertamento del giudice penale che abbia disposto l’archiviazione del procedimento penale a carico dell’amministratore unico della medesima società per il reato di cui all’art. 416-bis CP. Il giudizio penale, anche quando nettamente formulato in senso contrario, non esclude che l’Amministrazione possa individuare elementi di sospetto a carico dell’interessato, tuttavia questa ha il dovere, essendo il giudice penale signore del fatto, di motivare con il massimo rigore la sua valutazione sul pericolo di condizionamento mafioso, il che non è avvenuto nel caso di specie
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.09.2008 n. 4306 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIL'amministrazione appaltante ha l’obbligo di notificare o comunicare l’atto di aggiudicazione alle imprese non aggiudicatarie partecipanti, le quali, pertanto e pur quando non siano specificamente individuate nell'atto stesso, rientrano nella cerchia dei soggetti cui quest'ultimo va notificato o comunicato ai fini della decorrenza del termine d'impugnazione.
La giurisprudenza ha di recente precisato che “i concorrenti di una gara d'appalto hanno la facoltà, ma non l'obbligo di assistere alle operazioni di sorteggio, ne consegue che l'indicazione nel bando di gara dei giorni previsti per il sorteggio e per l'apertura delle offerte non esclude il dovere dell'amministrazione di comunicare la richiesta dei documenti alle imprese interessate le quali, fino a tale comunicazione, non sono tenute ad assumere iniziative per conoscere l'esito del sorteggio” (TAR Campania Napoli, sez. I, 10.03.2005, n. 1707).
Un siffatto dovere di comunicazione va a maggior ragione predicato con riguardo agli esiti della gara negativi per i partecipanti, e in special modo relativamente ai provvedimenti espulsivi, che determinano un arresto procedimentale per il concorrente, mediante l’esclusione dalla gara, arresto che per giurisprudenza costante comporta correlativamente l’onere di immediata impugnazione dell’esclusione, non differibile alla fine della procedura concorsuale.
Più in generale ricorda il Collegio che la giurisprudenza è pure costante nell’affermare che l’amministrazione ha l’obbligo di notificare o comunicare l’atto di aggiudicazione alle imprese non aggiudicatarie partecipanti, le quali, pertanto e pur quando non siano specificamente individuate nell'atto stesso, rientrano nella cerchia dei soggetti cui quest'ultimo va notificato o comunicato ai fini della decorrenza del termine d'impugnazione (per tutte, Consiglio Stato, Sez. V, 14.04.1997, n. 358).
Ne consegue che ove la s.a. ometta di comunicare l’aggiudicazione alle imprese partecipanti alla gara, il termine per l’impugnazione della stessa decorre non dalla pubblicazione del provvedimento agli albi dell’amministrazione, bensì dalla piena conoscenza del provvedimento di aggiudicazione.
In linea generale rammenta ancora il Collegio che la pubblicazione negli albi della stazione appaltante è adempimento che, per giurisprudenza pacifica e nota condivisa dal Tribunale, produce la decorrenza del termine solo per i soggetti non direttamente contemplati nell’atto, il quale deve invece essere comunicato sia a coloro che sono in esso menzionati, sia a coloro che siano da ritenere, in qualche modo, destinatari dello stesso, tra cui rientrano i partecipanti ad una gara; pertanto, nei confronti di tali soggetti la pubblicazione dell’atto nelle forme di rito non fa decorrere il termine per l’impugnazione, occorrendo a tal fine la notifica o comunicazione individuale ovvero la prova dell’effettiva conoscenza( per tutte, Consiglio di Stato, Sez. V, 09.06.2003, n. 3243; Consiglio di Stato, Sez. V, 11.06.2001, n. 3131; Consiglio di Stato, Sez. V, 24.03.2006, n. 1534)
Identici principi ritiene il Collegio a fortiori doversi predicare relativamente al provvedimento, ancor più lesivo che non un provvedimento di aggiudicazione ad altro concorrente, costituito dalla determinazione di esclusione dalla gara, che è pertanto impugnabile nel termine di sessanta giorni a decorrere dalla sua comunicazione, ovvero, in difetto della stessa, dalla sua piena ed effettiva conoscenza
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 09.09.2008 n. 1886 - link a www.giurisprudenza.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Istanza di parte - Comunicazione motivi ostativi all'accoglimento ex art. 10 bis L. 241/1990 - Finalità - Fungibilità della stessa con comunicazione verbale - Ove non contestata - Configurabilità.
La comunicazione di cui all'art. 10-bis della Legge n. 241/1990 rientra tra gli strumenti partecipativi di attuazione dei principi del giusto procedimento amministrativo, ed il relativo scopo è quello di consentire all'interessato di interloquire con l'Amministrazione in ordine alle possibili ragioni ostative, fornendo elementi atti a superarle.
Ove l'Amministrazione abbia comunque informato verbalmente i ricorrenti in ordine ai motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, ed ove detta circostanza non venga contestata nei successivi scritti difensivi, deve ritenersi che lo scopo della norma risulta comunque essere stato raggiunto, ossia porre l'interessato in condizioni di offrire il proprio contributo partecipativo prima della formale conclusione del procedimento
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 29.05.2008 n. 589 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Assenza per malattia - Allontanamento dalla propria residenza per sottoposizione in altra città a cure mediche - Mancata preventiva informativa al datore di lavoro - Violazione dei doveri del dipendente - Si configura.
La scelta di effettuare durante l'assenza dal servizio per malattia cure mediche in altra, distante, città, senza comunicare all'Amministrazione datrice di lavoro il nuovo recapito risulta comportamento non conforme ai criteri enunciati dalla Corte costituzionale con la già richiamata sentenza n. 78/1988, ove è stato posto in luce che "l'onere della reperibilità alla visita medica di controllo, posto a carico del lavoratore, è estrinsecazione della doverosa cooperazione che egli deve prestare affinché siano realizzate le condizioni richieste per l'erogazione del trattamento di malattia e non contrasta con la natura pubblicistica del rapporto assicurativo, tanto più che essa può essere fornita con un minimo di diligenza e di disponibilità, atteso l'ambito molto limitato delle fasce orarie di reperibilità per cui non risulta nemmeno gravoso o vessatorio".
In sostanza, simile comportamento non pare inquadrabile nell'assenza per giustificato motivo dal domicilio durante le fasce di reperibilità, ma nella diversa, non ammissibile, ipotesi del trasferimento durante la malattia in altro domicilio non comunicato all'Amministrazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 29.05.2008 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: 1. Imprese associate - Ruolo operativo - Evitare aggiramento di norme stabilite dal bando.
2. Art. 11 del D.Lgs. n. 157/1995 - Impresa raggruppata - Compiti operativi - Finalità
3. Art. 16, D.Lgs. 157/1995 - Inosservanza di adempimenti procedimentali - Omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione - Elementi essenziali dell'offerta - Non può essere utilizzato.

1. L'obbligo di cui all'art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 157/1995, di indicare quale parte del servizio venga svolto da ciascuna delle imprese associate, comporta che sia assegnato un ruolo operativo a ciascuna di esse, all'evidente scopo di evitare che le imprese si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme di ammissione stabilite dal bando e consentire così la partecipazione di soggetti non qualificati, con effetti negativi sull'interesse pubblico che il servizio è destinato a soddisfare e che non sempre è ristorabile mediante la garanzia patrimoniale derivante dalla responsabilità solidale delle imprese riunite (cfr. CdS V 19.01.1998 n. 84; id., 19.02.2003 n. 917; VI 03.07.2002 n. 3636).
2. La prescrizione di cui al secondo comma dell'art. 11 del D.Lgs. n. 157/1995, a norma della quale l'offerta di un raggruppamento d'imprese di tipo verticale deve indicare ab origine le "parti" del servizio che ciascuna impresa assume direttamente a proprio carico, intende assicurare che ciascuna delle imprese raggruppate abbia a svolgere compiti operativi, non potendosi ammettere che nell'ambito del raggruppamento, una di queste si limiti a contribuire al raggiungimento del fatturato minimo richiesto per la partecipazione alla gara, senza assumere direttamente ed immediatamente a proprio carico alcuna delle prestazioni tecniche di cui si costituisce, complessivamente, l'oggetto dell'appalto (cfr. CdS VI 30.05.2003 n. 2989).
3. La norma di cui all'art. 16 del D.Lgs. 157/1995 non può essere utilizzata per supplire all'inosservanza di adempimenti procedimentali o all'omessa produzione di documenti richiesti a pena di esclusione dalla gara. Senza contare poi che l'istituto della regolarizzazione non può operare per sanare difetti riguardanti elementi essenziali dell'offerta e presuppone inoltre che vi sia "l'equivocità della clausola del bando relativa alla dichiarazione o alla documentazione da integrare o da chiarire" (Cons. Stato, V, 16/07/2007 n. 4027)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 27.05.2008 n. 1836 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. Partecipazione alla gara - Requisiti dimostrativi di qualità - Discrezionalità della P.A. - Garanzia del corretto espletamento.
2. Mancanza di un requisito sostanziale - Impossibilità di aggiudicazione.

1. Rientra nella discrezionalità dell'amministrazione di richiedere per la partecipazione alle gare da essa indette i requisiti dimostrativi delle qualità ritenute necessarie per l'esecuzione dei servizi da appaltare, a garanzia del loro corretto espletamento da parte del soggetto aggiudicatario (con particolare riferimento alla certificazione ISO 9001 si vedano: Cons. Stato, V, 7/04/2006 n. 1868; Cons. Stato , sez. V, 1/06/ 2001 , n. 2973; TAR Lazio, Roma, III, 19/06/2006 n. 4798; TAR Puglia, Bari, sez. I, 19 agosto 2003 , n. 3062).
2. La mancanza di un requisito di ordine sostanziale richiesto dal bando è di per sé tale da impedire, in radice, qualsiasi possibilità di aggiudicazione (Cons. Stato, V, 10/02/2004 n. 498)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 27.05.2008 n. 1835 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Aggiudicazione provvisoria - Termine per l'impugnazione - Conoscenza dell'aggiudicazione - Lettura della graduatoria finale e indicazione della concorrente vincitrice - Ditta lesa presente alla seduta.
Aderendo alla linea interpretativa che riconosce alla aggiudicazione provvisoria una immediata portata lesiva per il concorrente non aggiudicatario - è dalla conoscenza dell'aggiudicazione al controinteressato che deve farsi decorrere il termine per l'impugnazione, che, nella ipotesi in cui l'aggiudicazione provvisoria è avvenuta in seduta pubblica, coincide, temporalmente, con la data in cui è avvenuta, pubblicamente, da parte del Presidente dalla commissione giudicatrice, la lettura della graduatoria finale e l'indicazione della concorrente vincitrice, ove la ditta lesa sia stata presente alla seduta nella persona del socio accomandatario, legale rappresentante della società" (Cons. Stato, V, 06/10/2006 n. 5728)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 19.05.2008 n. 1773 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Assenza durante le fasce di reperibilità - Impegno serio e apprezzabile, incompatibile con il rispetto delle fasce orarie.
L'assenza durante le fasce orarie di reperibilità non è giustificata dalla semplice necessità di doversi recare presso strutture sanitarie per eseguire visite di controllo o accertamenti diagnostici, occorrendo altresì la prova rigorosa della indifferibilità e dell'urgenza (Cass. 13.12.2005 n. 27429). L'impedimento non si identifica esclusivamente con lo stato di necessità o forza maggiore ma è necessaria comunque la prova di un impegno serio e apprezzabile, incompatibile con il rispetto delle fasce orarie (Cass. 06.04.2006, n. 8012). Grava sul lavoratore la prova della sussistenza di un impedimento oggettivo
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 08.05.2008 n. 1456 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Impugnazione da parte dei terzi - Decorrenza del termine - Ultimazione dei lavori.
Al fine di determinare la tardività dell'impugnazione da parte dei terzi del permesso di costruire, il termine decorre dalla piena conoscenza ovvero dalla consapevolezza del contenuto specifico del progetto edilizio. La prova della piena ed effettiva conoscenza del titolo rilasciato ad un terzo -da dimostrarsi in modo rigoroso da chi eccepisce la tardività della impugnazione- deve intendersi soddisfatta, in assenza di inequivoci elementi di segno contrario, non con il mero inizio dei lavori, ma solo con la loro ultimazione o, almeno, quando i lavori stessi siano giunti ad uno stato di avanzamento tale che non possa più aversi alcun dubbio in ordine alla consistenza, alla entità e alla reale portata dell'intervento edilizio assentito  
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 07.05.2008 n. 489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Appalto concorso - Libertà di progettazione - Limite - Progetto-guida della P.A..
Con riferimento all'appalto concorso, la libertà di progettazione per le imprese concorrenti incontra un limite soltanto nell'esigenza che le soluzioni proposte non si discostino sensibilmente dall'idea centrale del progetto-guida dell'Amministrazione, o non portino ad un'opera diversa da quella che si intende realizzare (TAR Sicilia, Palermo, 07.08.1987, n. 507)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.05.2008 n. 1305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Scelta del metodo dell'aggiudicazione da parte della Stazione appaltante - Censure - Partecipazione senza riserve - Le preclude - Acquiescenza - Si produce.
La partecipazione ad una trattativa privata senza formulazione di alcuna riserva in ordine all'impugnativa o di alcuna contestazione circa la sua legittimità costituisce comportamento acquiescente, in quanto evidenzia in modo univoco la volontà di accettare la tipologia di gara scelta dall'amministrazione procedente: in tal caso è consentito dedurre soltanto questioni relative alla correttezza e alla legittimità dell'iter procedurale concretamente seguito. In buona sostanza la partecipazione, senza specifica riserva, ad una trattativa privata preclude l'incardinamento dell'interesse alla caducazione della procedura per motivi attinenti all'assenza delle condizioni per avvalersi di tale metodo di contrattazione, o al difetto di motivazione circa la scelta di esso, atteso che con il proprio comportamento l'impresa ha sostanzialmente prestato acquiescenza al provvedimento di indizione della gara e quindi all'operato "a monte" dell'amministrazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 05.05.2008 n. 474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Piano integrato di recupero - Rigetto - Delibera comunale - Legittimità.
E' legittima la delibera comunale di rigetto del Piano integrato di recupero sia per il contrasto del progetto proposto con le caratteristiche delle edificazioni circostanti sia per la mancanza della documentazione che i programmi "devono" contenere a norma dell'art. 3, comma 2, L.r. n. 23/1990 (la norma citata lascia intendere che la mancanza di taluno dei documenti elencati è causa di rigetto della proposta di intervento)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 21.04.2008 n. 1248 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Ricorso amministrativo - Avverso PRG - disciplina aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente - Inammissibilità - Sussistenza - Incidenza su godimento o valore del fondo del ricorrente - Ammissibilità - Sussistenza.
2. PRG - Modifiche in accoglimento delle osservazioni dei privati - Onere di nuova pubblicazione - Non sussistenza.

1. Sono inammissibili per carenza di interesse le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente. Poiché tuttavia le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, rimane salva la possibilità di proporre impugnativa allorquando la nuova destinazione urbanistica -pur concernendo un'area non appartenente al ricorrente- incide direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell'immobile di cui egli è titolare, o comunque su interessi propri e specifici del medesimo.
2. Le modifiche apportate al piano regolatore in accoglimento delle osservazioni dei privati -a condizione che siano coerenti con i criteri tecnico-discrezionali posti a fondamento dello stesso strumento urbanistico- non comportano, di regola, l'obbligo di una seconda pubblicazione, salvo casi particolari: questi sono ravvisabili quando le variazioni introdotte siano di entità tale da configurare una nuova adozione dello strumento in itinere e si tratti di modificazioni che producono una profonda alterazione qualitativa o quantitativa dell'insieme del piano adottato e dei suoi criteri ispiratori, ovvero quando l'osservazione accolta sia stata presentata da soggetti diversi dai proprietari dell'area sulla cui disciplina urbanistica la modifica ha inciso al fine di consentire loro di presentare memorie e osservazioni di merito
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 16.04.2008 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: PRG - Misure di salvaguardia - Nozione - Inderogabilità - Sussistenza.
E' illegittima la norma di piano che prevede che rimangano applicabili le norme del piano previgente alle pratiche edilizie per cui, alla data di adozione del piano nuovo sia intervenuto parere favorevole della Commissione edilizia: l'art. 1 della l. 1902/1952, infatti, introdusse nell'ordinamento dell'urbanistica le cd. misure di salvaguardia, come istituto facoltativo: si consentiva, in sintesi estrema, al Sindaco di sospendere le determinazioni sulle domande di concessione edilizia in itinere le quali, pur conformi al piano vigente, risultassero però in contrasto con il piano adottato successivamente. La logica dell'istituto è ben chiara: si vuole evitare che l'approvazione di un piano più restrittivo rispetto alle possibilità di edificazione, ad esempio per la sopravvenuta volontà politica di salvaguardare una serie di aree verdi, sia posto nel nulla del tutto legittimamente da privati che nelle more dell'approvazione ottengono di edificare in conformità a precedenti norme più permissive.
L'istituto come facoltà non diede, per fatto notorio, buona prova, e quindi si provvide, sia pure molti anni dopo, a renderlo di applicazione necessaria dapprima riguardo ai soli piani particolareggiati, con l'art. 3 L. 1187/1968, e poi per gli strumenti generali, con l'art. 4 della l. 291/1971. La norma in esame deve quindi essere interpretata come imperativa e inderogabile: se il legislatore ha inteso correggere un sistema iniziale in cui era in facoltà dell'ente locale avvalersi della salvaguardia, è del tutto impensabile che tale regime di facoltatività possa rivivere per via indiretta, attraverso una disposizione di piano che esenta in sintesi dalla salvaguardia stessa le pratiche per le quali sia stato ottenuto il parere favorevole della commissione edilizia, che è pacificamente atto endoprocedimentale e non vale rilascio della concessione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 16.04.2008 n. 377 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Appalti sottosoglia - Servizi educativi - Affidamento diretto - A cooperativa sociale - Illegittimità.
Il modesto valore dell'appalto non è sufficiente per consentirne l'indiscriminata stipulazione mediante affidamento diretto. E' noto infatti che l'affidamento diretto, ovvero affidamento a trattativa privata pura e semplice, è nel vigente ordinamento da sempre istituto del tutto eccezionale, secondo il principio espresso già dagli artt. 37 e ss. del R.D. 827/1924, ed ora, per gli appalti sottosoglia, di servizi dall'art. 124 del d. lgs. 163/2006, che impone come regola di assegnarli in seguito a pubblica gara, ancorché con una procedura semplificata rispetto agli appalti soprasoglia. E ciò anche in caso di affidamento a cooperativa sociale: l'art. 5 L. 381/1981, infatti, consente sì alle pubbliche amministrazioni la stipula diretta di convenzioni con le cooperative sociali per importi sottosoglia, ma limitatamente alla fornitura di beni o servizi diversi da quelli sociosanitari ed educativi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 16.04.2008 n. 376 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Minimi retributivi risultanti dai contratti collettivi - Offerta inferiore - Requisito di ammissione alla gara - Non rileva - Offerta anormalmente bassa - Verifica - Necessità.
La semplice offerta di un costo orario inferiore al parametro medio orario della manodopera non può integrare "ex se" violazione della prescrizione del Capitolato speciale nella parte in cui richiede che siano praticate "condizioni normative e retributive non inferiori a quelle risultanti dai contratti di lavoro e dagli accordi locali integrativi degli stessi", con conseguente carenza del relativo requisito di ammissione alla gara. Il possesso di tale requisito deve, invece, essere verificato in relazione alla concreta situazione della Cooperativa interessata, posto che le Tabelle del costo orario rappresentano infatti un parametro "medio" e, di conseguenza, solo orientativo. Ciononostante proprio anche sulla base di tali Tabelle la valutazione di congruità dell'offerta può (e deve) sempre essere svolta dalla stazione appaltante quando, sulla base di elementi specifici, essa appaia anormalmente bassa (art. 86 comma 3 D.Lgs. n. 163/2006), con conseguente necessità di avviare la verifica in contraddittorio con l'offerente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 15.04.2008 n. 373 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Trattativa privata - Precedente gestore - Omesso invito - Motivazione - Non necessità.
L'orientamento giurisprudenziale che riconosce una posizione qualificata, in capo al precedente gestore del servizio, nel caso di successivi affidamenti dello stesso servizio attraverso procedure negoziate; posizione che contiene la pretesa ad essere ulteriormente invitato o comunque a conoscere i motivi dell'omesso invito deve essere rimeditato alla luce dell'art. 125 D.Lgs. 163/2006 e dei principi da esso desumibili e genericamente applicabili alla procedura negoziata, che prevedono, tra gli altri, il criterio della "rotazione" tra gli operatori economici in possesso dei prescritti requisiti di idoneità e di capacità tecnico-economico-professionale.
Ne consegue che, in forza dell'attuale ordinamento, non può essere riconosciuta, in capo al precedente gestore (specie se affidatario a seguito di procedura negoziata), alcuna pretesa qualificata ad essere ulteriormente invitato alla successiva procedura negoziata ovvero a conoscere le ragioni dell'omesso invito. Va invece affermato il principio opposto, ossia che l'Amministrazione è tenuta a fornire una congrua motivazione nel caso in cui ritenga di estendere il nuovo invito anche al precedente gestore
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 15.04.2008 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto stradale - Ratio - Sicurezza della circolazione e possibilità di esecuzione lavori - Edifici esistenti - Recupero - E' ammissibile - Ristrutturazione integrale - E' ammissibile - Ipotetici maggiori oneri espropriativi - Sono irrilevanti.
La fascia di rispetto stradale si traduce in un divieto di edificazione, che rende le aree medesime legalmente inedificabili per favorire la circolazione ed offrire idonee garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade, passano nelle vicinanze od abitano in esse, nonché per assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni, tuttavia, detto divieto di edificazione non preclude, di norma, il recupero di edifici esistenti entro le fasce in oggetto.
Pertanto, in difetto di specifici divieti stabiliti dalla disciplina edificatoria comunale, il recupero può considerasi ammissibile, anche eventualmente spinto ai limiti estremi della ristrutturazione integrale da cui deriva un edificio completamente diverso, purché venga accertato, in sede istruttoria, che il nuovo edificio non rechi, rispetto alla situazione preesistente, pregiudizi maggiori alle esigenze di tutela sopra indicate senza che il mero riferimento ad ipotetici maggiori oneri di esproprio o di indennizzo in caso di eventuali lavori di adeguamento della sede viaria, non può considerarsi legittima causa di diniego
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 07.04.2008 n. 357).

APPALTIRegolarità contributiva: sostanza ed effetti.
La regolarità contributiva - contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente - è requisito indispensabile non solo per la stipulazione del contratto, bensì per la stessa partecipazione alla gara. Per conseguenza, l'impresa deve essere in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda e conservare tale regolarità per tutto lo svolgimento della procedura di gara.
La cosiddetta correttezza contributiva non costituisce un dato che possa essere temporaneamente frazionato, in quanto attiene alla diligente condotta dell'impresa in riferimento a tutte le obbligazioni contributive relative a periodi precedenti e non solo, quindi, a quelle maturate nel periodo in cui è stata espletata la gara.
La regolarità contributiva nei confronti degli enti previdenziali costituisce, infatti, indice rivelatore della correttezza dell'impresa nei rapporti con le proprie maestranze e deve, pertanto, poter essere apprezzata in relazione ai periodi (anche pregressi) durante i quali l'impresa stessa era tenuta ad effettuare i relativi versamenti
(TAR Trentino Alto Adige–Trento, sentenza 21.01.2008 n. 12 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 22.09.2008

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dossier BOX

EDILIZIA PRIVATADeterminazione del costo di costruzione - Superfici destinate a parcheggio nella misura minima imposta per legge - Non computabili a tali fini.
Ai fini della determinazione del costo di costruzione, le superfici destinate a parcheggio, nella misura minima imposta delle vigenti normative in materia, non sono assoggettabili ai fini del calcolo del predetto contributo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sentenza 14.10.1992 n. 987; TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza n. 1930/1997)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.04.2008 n. 1246).

dossier D.I.A.

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine - Poteri comunali di vigilanza, sanzione ed autotutela - Persistenza - Ratio normativa.
In caso di D.I.A., di cui all'art. 2, comma 60, Legge 662/1996, lo spirare del termine di 20 giorni, fissato per riscontrare la sussistenza delle condizioni legali necessarie per intraprendere le attività denunciate, non impedisce all'Autorità Comunale di adottare, mediante intervento analogo a quello esercitabile in sede di autotutela, i provvedimenti inibitori del caso a fronte di un intervento che contrasti con la normativa urbanistica ed edilizia. Ciò, poiché lo strumento della D.I.A. in materia edilizia rientra nel più generale istituto della "denuncia in luogo di autorizzazione" (c.d. deregulation) delineato dall'art. 19 Legge 241/1990, e che l'art. 21, comma 2, Legge 241/1990 raccorda la procedura della D.I.A. a tutto il sistema sanzionatorio già operante, contemplando un generale potere di intervento successivo della P.A. per l'ipotesi in cui l'inizio dell'attività ex art. 19 sia avvenuto in contrasto con la normativa di legge
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.05.2008 n. 1802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla natura della d.i.a. e sull’obbligo di provvedere della PA.
Con la d.i.a. si costituisce un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, suscettibile di contestazione da parte del terzo entro l’ordinario termine decadenziale, decorrente dalla comunicazione del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento.
Conseguentemente, il ricorso avverso il titolo abilitativi, così formatosi, concerne non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’Amministrazione, bensì direttamente l’assentibilità o meno dell’intervento oggetto di d.i.a. (v. Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550; TAR Emilia-Romagna, Parma, 19.02.2008, n. 102).
Può, pertanto, affermarsi che Il TAR Parma, sposando l’indirizzo interpretativo seguito dalla VI Sezione del Consiglio di Stato (dec. n. 1550/2007), supera il prevalente e precedente indirizzo giurisprudenziale che optava per la natura privatistica della Dia e che escludeva che il terzo potesse seguire la strada dell’impugnazione innanzi al TAR della denuncia di inizio attività (ex multis, cfr. Cons. Stato sez. IV n. 3916/2005; Cons. Stato sez. V n. 948/2007) (TAR Emilia Romagna–Parma, Sez. I, sentenza 10.03.2008 n. 135 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla natura giuridica e diretta impugnabilità della D.I.A..
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, come da molti sostenuto, ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia; la liberalizzazione di determinate attività economiche è cosa diversa e presuppone che non sia necessaria la formazione di un titolo abilitativo.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha, quindi, ad oggetto non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento.
Un sostegno in favore della diretta impugnazione della d.i.a.. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato l’art. 19, della legge n. 241/1990 (con l’art. 3 del D.L. 14.03.2005 n. 35, convertito dalla L. 14.05.2005 n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a.. il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Se è ammesso l’annullamento di ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere consentita l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.04.2007 n. 1550 - link a www.altalex.com).

dossier ESPROPRIAZIONE

ESPROPRIAZIONE: 1. Giurisdizione e competenza - Espropriazione per pubblica utilità - Annullamento procedure ablative - Conseguenze - Occupazione sine titulo - Risarcimento danno - Giurisdizione G.A. - Sussiste.
2. Espropriazione per pubblica utilità - Fattispecie di occupazione sine titulo sussistenti alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327/2001 - Art. 57 D.P.R. n. 327/2001 - Fasi fisiologiche del procedimento espropriativo - Applicazione - Art. 43 D.P.R. n. 327/2001 - Fasi patologiche del procedimento espropriativo - Applicazione.
3. Espropriazione per pubblica utilità - Occupazioni d'urgenza - In assenza di dichiarazione di pubblica utilità o con decreto di esproprio ritenuto illegittimo - Risarcimento danno - Spetta - Rimborso valore venale - Spetta - Interessi moratori - Spettano.

1. Compete al Giudice Amministrativo la tutela risarcitoria correlata all'annullamento delle procedure ablative che abbia reso sine titulo l'occupazione dei fondi utilizzati nell'esecuzione dell'opera pubblica.
2. L'art. 57 D.P.R. 327/2001, riferendosi ai «procedimenti in corso», ha previsto norme transitorie unicamente per individuare l'ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi "fisiologiche" del procedimento, senza limitare, neanche per implicito, l'ambito di applicazione dell'art. 43, che, operando in situazioni "patologiche" (scadenza del termine entro il quale poteva essere emesso il decreto di esproprio; annullamento di un atto del procedimento ablatorio), è opposto a quello delle norme che riguardano i «procedimenti in corso». In altri termini, l'atto di acquisizione - in quanto emesso ab externo del procedimento espropriativo - non rientra nell'ambito di operatività della normativa transitoria di cui all'art. 57 (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2582/2007).
3. In caso di decreto di occupazione illegittimo, in base al quale sia stata definitivamente sottratto un terreno, al ricorrente spetta ex art. 43, comma 6, t.u. 327/2001, sia il risarcimento del danno relativo al periodo di occupazione senza titolo, sia l'importo corrispondente al valore venale, con gli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.05.2008 n. 1288 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: Provvedimenti di reiterazione di vincoli preordinati all'esproprio - Motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico da soddisfare - Adempimento dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti - Sussiste.
L'obbligo di motivare i provvedimenti di reiterazione di vincoli preordinati all'esproprio deve ritenersi assolto con l'indicazione di una motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico da soddisfare 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.04.2008 n. 1227 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier L.R. N. 12/2005

EDILIZIA PRIVATA Oneri concessori - Parificazione degli oneri dovuti in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione con quelli inerenti agli interventi edilizi di nuova costruzione - Possibilità - Non sussiste.
E' irragionevole la parificazione degli oneri dovuti in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, con quelli dovuti in relazione agli interventi edilizi di nuova costruzione, dal momento che nelle aree in cui si intendono realizzare interventi di nuova costruzione è necessario prevedere la dotazione, ovvero il potenziamento (ove già esistenti), delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria a servizio delle opere edilizie prima non esistenti, al contrario dei casi di ristrutturazione edilizia (anche previa demolizione), in cui si tratta di interventi su una volumetria comunque già presente nell'area interessata e già dotata (si suppone) delle relative opere di urbanizzazione. Né a favore di tale parificazione può essere invocato il disposto del comma 10 dell'art. 44 della L.R. n. 12/2005, il quale sebbene preveda che per gli interventi di ristrutturazione non comportanti demolizione e ricostruzione "gli oneri di urbanizzazione, se dovuti, sono quelli riguardanti gli interventi di nuova costruzione, ridotti della metà", non consente tuttavia di accomunare nel medesimo regime tariffario le opere di ristrutturazione previa demolizione a quelle di nuova costruzione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.04.2008 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier TELEFONIA MOBILE

EDILIZIA PRIVATA: Sulla competenza comunale ad emanare norme sulla localizzazione delle antenne di telefonia mobile.
Anche ammettendo che l'assimilazione delle stazioni radio base di telefonia mobile alle opere di urbanizzazione primaria non precluda ai comuni, nell'esercizio del potere di pianificazione urbanistica (ex art 8, co. 6, legge n. 36/2001), di prevedere la localizzazione delle antenne in determinati ambiti di territorio (così: Cons. St., VI, 6961/2005), tale potestà incontra pur sempre il limite costituito dall’interesse, di rilievo nazionale, secondo cui dev’essere comunque assicurata una capillare ed effettiva distribuzione del servizio mediante uniforme copertura, con idoneo segnale, di tutte le zone del territorio comunale (così, ancora: Cons. St., VI, 6961/2005).  
Circa l’estensione ed il contenuto della potestà dei comuni di regolamentare il corretto insediamento sul territorio degli impianti di telecomunicazione, in relazione alla sfera di attribuzioni ad essi riconosciuta dall'art. 8, comma sesto, della legge n. 36/2001 e, nell’ordinamento trentino, dal citato art. 3-bis del DPGP 13-31/2000, la giurisprudenza -condivisa dal Collegio- afferma che i criteri di localizzazione degli impianti non possano trasformarsi in eccessive limitazioni al loro insediamento, così da configurarsi incompatibili con la possibilità di realizzare una rete completa di infrastrutture per la telecomunicazione (così: Corte Costituzionale, n. 331/2003; id., n. 307/2003). In altri termini, i Comuni hanno il potere di introdurre criteri generali limitativi ma non anche restrittive limitazioni alla localizzazione.
Inoltre, se i Comuni hanno competenza ad emanare norme regolamentari con valenza urbanistico-edilizia, non possono ammettersi, invece, norme regolamentari che abbiano esclusivamente valenza radioprotezionistica. Infatti, per essere legittimo il potere comunale non può interferire con quello riservato allo Stato che fissa i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, nel presupposto indefettibile che la tutela della salute è un’esigenza indeclinabile, ma di carattere essenzialmente unitario sul territorio nazionale.
Se così è, il divieto generalizzato di installare le stazioni radio base per la telefonia cellulare in tutte le zone comunali –ad esclusione di due soli siti (salvo quelli preesistenti), com’è previsto dal controverso programma comunale di localizzazione del Comune di Mori- ha lo stesso (surrettizio) effetto di sovrapporre una determinazione cautelativa, ispirata al principio di precauzione, alla normativa statale che ha fissato i limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa (cfr.: Tar Veneto, 347/2002; Cons. St., VI, n. 7274/2002; id., n. 3095/2002). Peraltro, nell’attuale sistema tecnico di telefonia cellulare l’auspicabile bassa potenza di emissione degli impianti presuppone un’adeguata ed uniforme distribuzione delle antenne sul territorio da servire, mentre la marginalizzazione degli impianti costringe i gestori del servizio ad elevare la potenza dei segnali irradiati per illuminare le zone più remote, con effetti paradossalmente opposti agli interessi alla tutela della salute da un’elevata irradiazione e sottesi alla riduzione degli spazi utili per l’installazione degli impianti
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 10.09.2008 n. 229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'installazione dell'antenna di una stazione radioelettrica non costituisce trasformazione del territorio comunale agli effetti delle leggi urbanistiche, sicché non necessita di concessione o autorizzazione edilizia.
L'installazione dell'antenna di una stazione radioelettrica non costituisce trasformazione del territorio comunale agli effetti delle leggi urbanistiche, sicché non necessita, ex art. 397 del D.P.R. n. 156/1973, di concessione o autorizzazione edilizia più di quanto ne necessitino le antenne televisive poste sui tetti delle case (TAR Sicilia, Palermo, II, 07.03.2008, n. 310). E tuttavia, la realizzazione di simili manufatti va considerata anche in concreto ed in relazione alla obiettiva consistenza degli impianti, richiedendosi la concessione edilizia in caso di installazione di tralicci o antenne di notevoli dimensioni e situati in prossimità di edifici (TAR Sicilia, n. 310/2008, cit.).
Nella fattispecie oggetto della presente controversia, il traliccio è stato realizzato dalla TIM giusta regolare concessione edilizia del 07.07.1986 (prot. 5457/85, pratica n. 2387/1986), ha un’altezza di 21 metri e sostiene, “ab initio”, “2 antenne per telecomunicazioni (paraboloidi) del diametro di m. 3,10, installate a quota 20,00 m.”. Ne consegue che i nuovi pannelli, successivamente installati dalla TIM, di ben più limitate dimensioni rispetto alle preesistenti parabole, non comportano una rilevante modifica della situazione già in essere e non abbisognano dunque di concessione edilizia, risultando sufficiente la semplice dichiarazione di inizio attività, ex art. 4, comma 7, lett. f), della legge n. 493 del 1993, come sostituito dall'art. 2, comma 60, della legge n. 662 del 1996 (abrogato dall'art. 136 del D.Lg.vo n. 378 del 2001, ma applicabile “ratione temporis” nella fattispecie in esame). L’omissione di quest’ultima comporta, secondo il comma 13 dello stesso art. 4, cit., una sanzione meramente pecuniaria.
Il provvedimento impugnato è dunque illegittimo perché considera, erroneamente, soggetta a concessione la messa in opera delle nuove apparecchiature in discorso da parte della Tim e la sanziona, altrettanto erroneamente, con ingiunzione di demolizione
(TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 25.08.2008 n. 455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione edilizia - Opere per emissioni radiofoniche - Competenza Autorità P.T. - Non sussiste - Competenza Autorità Comunale - Sussiste.
2. Opere che attuino una trasformazione urbanistica-edilizia del territorio - Concessione edilizia - Necessità - Fattispecie - Tralicci radiofonici.
3. Concessione edilizia - Concessione ex Legge 223/1990 per impianti di diffusione sonora e televisiva - Equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere - Conseguenze.

1. L'art. 23 della Legge 223/1990 non priva il Comune dei poteri relativi alle sue competenze urbanistiche ed edilizie, né conferisce tali competenze all'Amministrazione P.T.: l'Ente Comunale rimane competente per gli atti abilitativi relativi allo ius aedificandi (concessione edilizia e autorizzazione) anche se attinenti alle opere necessarie per l'emissione radiofonica.
2. La posa di un traliccio in ferro (nella fattispecie, con base in cemento e alto 31 metri) costituisce opera di trasformazione urbanistica che richiede concessione edilizia, ex art. 1 Legge 10/1977 e a tal fine è irrilevante la asserita amovibilità dello stesso, poiché ciò che rileva ai fini della trasformazione urbanistica è la stabilità della destinazione dell'opera realizzata: la precarietà/mobilità di un manufatto, che rende non necessaria la concessione edilizia, dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio ed il carattere di precarietà va escluso quando trattasi di struttura destinata ad avere un'utilità prolungata nel tempo.
3. Ai sensi dell'art. 16 della Legge 223/1990, il rilascio della concessione per l'installazione di impianti di diffusione sonora e televisiva privata equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere connesse e dà titolo per richiedere alle Autorità competenti le necessarie concessioni e autorizzazioni. L'art. 4 della stessa legge prevede che i Comuni territorialmente competenti provvedono ad acquisire ed occupare d'urgenza l'area interessata, a espropriarla ed a rilasciare la concessione edilizia, lasciando intendere come per l'installazione di opere per l'emissione radiofonica siano necessarie due autonome e distinte concessioni, quella radiotelevisiva e quella urbanistica-edilizia
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 13.05.2008 n. 1583 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATA: Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio / disposizioni regionali lombarde in vista della scadenza del 31.12.2008 per la verifica delle subdeleghe paesaggistiche (art. 146 d.lgs. n.42/2004).
Sono disponibili le schede redatte a seguito degli interrogativi emersi nel corso dell'incontro di studio dell'11.09.2008 (link a www.studiospallino.it).

EDILIZIA PRIVATA: In sede di autorizzazione paesaggistica, anche i provvedimenti positivi devono essere sostenuti da adeguata motivazione.
Nella fascia di rispetto dei corsi d’acqua prevista dall’art. 1, comma 5, lett. c), della L. 431/1985, sussiste il vincolo di inedificabilità assoluta che di per sé legittima il parere negativo di compatibilità paesaggistica (cfr. TAR Emilia Romagna 16/12/2005 n. 583). La giurisprudenza ha, quindi, precisato che il vincolo di inedificabilità assoluta impedisce la sanatoria dei manufatti abusivamente realizzati quando sia stato imposto prima della realizzazione dell’abuso, mentre nel caso di vincolo sopravvenuto l’Amministrazione è comunque tenuta a svolgere un accertamento sulla compatibilità del fabbricato con il vincolo susseguente, al fine di decidere se rilasciare o meno il parere di compatibilità paesaggistica.
Nel caso di specie, poiché il manufatto abusivo è stato realizzato nel 1993 (ed infatti la domanda di condono è stata presentata ai sensi della L. 724/1994), il vincolo di inedificabilità è precedente alla realizzazione dell’abuso.
In ogni caso, occorre rilevare che, anche in caso di vincolo successivo, l’Amministrazione dovrebbe accertare la compatibilità del manufatto con il contesto ambientale al momento in cui viene esaminata la domanda di sanatoria (Cons. Stato Sez. V 22/12/1994 n. 1574; Cons. Stato A.P. 22/07/1999 n. 20; Cons. Stato Sez. VI 22/08/2003 n. 4765; ecc.), e che quindi, nel caso di vincolo assoluto di inedificabilità, il vincolo non potrebbe considerarsi del tutto inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione, dovendo applicarsi in questi casi lo stesso regime indicato nella previsione generale di cui all’art. 32 comma 1 della L. 47/1985, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere sottoposte a vincolo, al parere favorevole dell’autorità preposta alla sua tutela (cfr. Cons. Stato A.P. n. 20/1999).
Ciò comporta che, nel compiere il giudizio di compatibilità, l’Amministrazione non può non tener conto delle prescrizioni recate dal vincolo stesso, così come accade nel caso di vincolo relativo sopravvenuto (Cons. Stato Sez. V 07/10/2003 n. 5918), con l’effetto, quindi, di poter ritenere non sanabile il manufatto quando contrasti con le prescrizioni recate dal vincolo stesso.
Ne consegue che quando l’Amministrazione comunale rilascia parere favorevole di compatibilità con il vincolo paesaggistico –specie se comportante l’inedificabilità del suolo– deve provvedervi con atto adeguatemente motivato.
Occorre infatti precisare che, in sede di autorizzazione paesaggistica, anche i provvedimenti positivi devono essere sostenuti da adeguata motivazione (Cons.Stato, VI Sez., 13.02.2001 n. 685; 08.08.2000 n. 4345; 06.07.2000 n. 3793; 15.12.1981 n. 751; TAR Sardegna 29.04.2003 n. 494; TAR Lazio, II Sez., 21.09.2001 n. 7716). Invero, l'esigenza di una congrua motivazione -che si giustifica, in primis, con la considerazione del valore costituzionale da preservare (tutela del paesaggio ex art. 9 Cost.)- postula che l'atto autorizzatorio fornisca la ricostruzione dell'itinerario seguito per individuare le ragioni di compatibilità effettiva. Tali ragioni, in riferimento agli specifici valori paesistici del luogo, possono, ove sussistenti, consentire i progettati lavori, considerati soprattutto nella loro globalità e non esclusivamente in semplici episodi di dettaglio (Cons.Stato, VI Sez., 02.04.1997 n. 536). Peraltro, l'esigenza di un'adeguata motivazione in subiecta materia trova specifico fondamento nell'art. 3, primo comma, L. 07.08.1990 n. 241, che ha generalizzato l'obbligo di motivazione per ogni provvedimento amministrativo, positivo o negativo (Cons. Stato, VI Sez., 12.05.1994, n. 771).
Ritiene quindi il Collegio, che correttamente la Soprintendenza abbia rilevato il difetto di motivazione del provvedimento comunale, atteso che l’Amministrazione non ha indicato in alcun modo le ragioni per le quali ha ritenuto la compatibilità del manufatto con il vincolo paesaggistico, essendosi occupata soltanto dell’aspetto idrogeologico, per evitare di concedere la sanatoria ad un manufatto sottoposto al rischio di esondazioni.
Occorre poi chiarire che –contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente– il riferimento al mancato rispetto delle previsioni urbanistiche relative al lotto minimo, non è stato dedotto dalla Soprintendenza per sottolineare la non conformità urbanistica dell’intervento, quanto piuttosto per evidenziare come l’incremento di cubatura potesse comportare riflessi sull’ambiente, destinato ad attività agricola
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 10.09.2008 n. 8231 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATABeni ambientali. Ragioni dell’autorizzazione.
Con riferimento alle zone sottoposte a vincolo paesaggistico il legislatore, imponendo la necessità dell'autorizzazione, ha inteso assicurare una immediata informazione e la preventiva valutazione, da parte della pubblica Amministrazione, dell'impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A., in una situazione di astratta idoneità lesiva della condotta inosservante rispetto al bene finale, sia posta di fronte al fatto compiuto.
La fattispecie incriminatrice è rivolta a tutelare, dunque, sia l'ambiente sia, strumentalmente e mediatamente, l'interesse a che la P.A. preposta al controllo venga posta in condizioni di esercitare efficacemente e tempestivamente detta funzione: la salvaguardia del bene ambientale, in tal modo, viene anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale ed anche a tali adempimenti è apprestata tutela penale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.09.2008 n. 35452 - link a www.lexambiente.it).

UTILITA'

PUBBLICO IMPIEGO: MALATTIA - VADEMECUM del Lavoratore Pubblico (ai sensi D.L. 25.06.2008 n. 112 convertito nella L. 06.08.2008 n. 133).

CORTE DEI CONTI

ENTI LOCALI: Comune di Cinto Caomaggiore (VE) - Art. 33-bis L. 28.02.2008, n. 31. Pagamento TARSU da parte delle scuole dell'obbligo. Effetti sulla finanza degli enti locali (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, parere 06.08.2008 n. 60 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Affidamento incarichi di collaborazione, studio, ricerca, consulenze. Adozione regolamenti- Legge finanziaria 2008 e D.L. 112/2008 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Calabria, deliberazione 25.07.2008 n. 183 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Gussago (Bs) "su quale delle due Amministrazioni Comunali debba sostenere il suddetto onere (relativo al dipendente comunale trasferito ai sensi del D.L.vo 165/2001) e più in particolare se l’Ente di provenienza debba trasferire o meno le risorse economiche all’Ente di destinazione relative all’onere economico corrispondente alle ferie maturate e non godute dal dipendente prima della mobilità" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 22.07.2008 n. 61 - link a www.corteconti.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Cassolnovo (Pv) "posto che nell’ultimo triennio non è comunque stato rispettato il patto (2006) e che non si ha certezza circa il rispetto del patto di stabilità per l’anno in corso, si chiede:
1) il Comune di Cassolnovo può procedere comunque allo svolgimento dei concorsi ed alle relative assunzioni?
2) sempre considerando la possibilità del mancato rispetto del patto di stabilità entro l’anno, l’assunzione di personale mediante mobilità volontaria tra enti offre una soluzione praticabile diversa dall’assunzione mediante concorso
"
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 22.07.2008 n. 60 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Roverbella (Mn) "se le spese per telegrammi delle scuole siano a carico del Comune oppure dell’Istituto scolastico" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 22.07.2008 n. 59 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Tradate (Va) "se è possibile procedere al pagamento delle ferie non godute del Segretario Generale e del Direttore Generale" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 22.07.2008 n. 58 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Erba (Co) "se sia legittima la sottoscrizione di un contratto assicurativo in cui l’Amministrazione comunale assicura con premio a proprio carico le responsabilità derivanti ai propri Amministratori (Sindaco e Giunta), Dirigenti, Segretario Generale e dipendenti (titolari di posizione organizzativo o alta professionalità della mobilità" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 22.07.2008 n. 57 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Bovisio Masciago (Mi) "se si debba procedere al riconoscimento di un debito derivante da parcella di un legale, qualora l’incarico allo stesso sia stato legittimamente affidato con delibera di mandato ad litem ma a questa non sia seguita determinazione dirigenziale di assunzione di impegno di spesa" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 22.07.2008 n. 56 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere del Presidente della Provincia di Cremona in merito "a quale sia l’Ente competente, tra la Provincia e il Comune, a doversi fare carico degli oneri nel caso in cui il servizio di trasporto agli alunni portatori di handicap o in situazioni di svantaggio debba essere assicurato per alunni frequentanti la scuola secondaria superiore" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 22.07.2008 n. 55 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Castel Mella (Bs) premessa la novità legislativa che ha escluso dall’ICI l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo e del contenuto dell’art. 4 del regolamento comunale sull’ICI "se sia opportuna una modifica regolamentare che abbia efficacia retroattiva dal 1 gennaio 2008 o un’interpretazione autentica dell’articolo regolamentare affinché l’ufficio tributi di questa amministrazione proceda correttamente all’applicazione dell’imposta dovuta sugli immobili in oggetto" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 21.07.2008 n. 53 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Lissone (Mi) in merito "al mantenimento in vita o all’abrogazione dal 1° gennaio 2008 della decurtazione del 10% ex art. 1, comma 54, della legge 266/2005 delle indennità spettanti agli amministratori locali e se il ripristino delle somme decurtate debba essere oggetto di specifica deliberazione della giunta e del consiglio oppure per effetto dell’intervenuta abrogazione della norma di riferimento" (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 10.07.2008 n. 51 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Verdello (Bg) se “alla luce della nuova finanziaria i contratti co.co.co. devono essere obbligatoriamente stipulati con soggetti che risultano in possesso “di particolare e comprovata specializzazione universitaria”.
Si chiede, pertanto, di sapere se sarà possibile stipulare ancora contratti di co.co.co. per la scuola civica così come fatto finora? In caso negativo, risulta possibile affidare la gestione di tale servizio all’unica società di servizi comunali –unipersonale- recentemente costituita dal Comune di verdello o tale norma va applicata anche alla medesima?
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 07.07.2008 n. 47 - link a www.corteconti.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

INCARICHI PROFESSIONALI: Le competenze professionali degli ingegneri juniores.
La pubblicazione analizza, ad oltre 6 anni dall'emanazione del DPR 328/2001, le competenze professionali degli ingegneri juniores (link a www.centrostudicni.it).

APPALTI: L. Riotto, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto d’appalto stipulato: i problemi ancora aperti in punto di riparto di giurisdizione e la soluzione del Tar Lombardia (sent. 08.053.2008 n. 1370) (link a www.diritto.it).

ESPROPRIAZIONE: V. Montaruli, I riflessi sul contenzioso espropriativo delle sentenze della Corte Costituzionale nr. 348 e 349 del 2007 (link a www.diritto.it).

APPALTI SERVIZI: P. Petroni, Il difficile cammino della riforma dei servizi pubblici locali tra liberalizzazione ed affidamento in house (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: G. Gentilini, Il nuovo regolamento per l’accesso ai documenti amministrativi (link a www.diritto.it).

ENTI LOCALI: M. Greco, L’assegnazione di apparecchiature di telefonia mobile agli Amministratori locali (link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: N. Brotto, Il nuovo testo dell'art. 20 della legge sul procedimento amministrativo -sul silenzio assenso- e i suoi rapporti con le discipline statali che prevedono ipotesi di silenzio assenso (nota a Tar Pescara n. 539/2008) (link a www.diritto.it).

APPALTI SERVIZI: S. Colombari, Le società a partecipazione pubblica e la loro appartenenza a modelli e regimi giuridici diversificati. Nota critica a Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4080 (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: N. Saitta, L’accesso ai pareri legali tra segreto professionale e trasparenza amministrativa (link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. D'Agostino, Condono edilizio e condono paesaggistico: interferenze (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: S. Maglia, Gestione rifiuti: cenni sull’apparato sanzionatorio nel D.Lgs. n. 152/2006 (link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: P. Andreolini, I PROCESSI DI VALUTAZIONE AMBIENTALE ALLA LUCE DEL NUOVO D.LGS. 4/2008 (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: C. Bettinelli, Considerazioni in merito all’installazione di impianti radio-ricetrasmittenti nonché di ripetitori per i servizi di telecomunicazione (link a www.tuttoambiente.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: Ritenuto in diritto:
In via preliminare occorre evidenziare come la procedura scelta dalla stazione appaltante nel caso in esame è, come indicato dall’art. 1 del disciplinare, la negoziata ai sensi dell’art. 57, comma 2 lett. c) del D.Lgs. 163/2006 applicata al sotto soglia. Secondo la menzionata lett. c) è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara “nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”. Dato per assunto, dal momento che non è oggetto del petitum, che i succitati presupposti per l’utilizzo della procedura negoziata senza pubblicazione del bando si siano realizzati e siano stati dettagliatamente motivati dalla stazione appaltante, si rileva quanto segue.
In merito alla censura relativa alla presenza nel Capitolato speciale di riferimenti alla marca CISCO, come indicato dall’amministrazione provinciale, non si rinviene nella documentazione di gara una specifica indicazione di marchi che, ove prevista, si porrebbe in violazione con l’articolo 68, comma 2, del D.Lgs. 163/2006, ai sensi del quale le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazioni di ostacoli ingiustificati all’apertura dei contratti pubblici alla concorrenza. La ratio legis sottesa alla disposizione in commento, come questa Autorità ha già avuto modo di osservare (si vedano pareri n. 51 del 10.10.2007 e n. 97 del 09.04.2008), consiste nell’evitare che la definizione delle specifiche tecniche determini un ostacolo alla libera circolazione delle merci mediante l’imposizione di particolari caratteristiche dei prodotti o dei servizi che implicano un determinato processo produttivo ovvero una determinata provenienza.
In tale ottica, il legislatore ha inteso vietare l’inserimento di specifiche tecniche che menzionino una fabbricazione o provenienza determinata, un procedimento particolare ovvero facciano riferimento ad un marchio, un brevetto, un tipo, un’origine o una produzione specifica a meno che ciò non sia giustificato dal fatto che una descrizione sufficientemente precisa non sia possibile e a condizione che tale menzione sia accompagnata dall’espressione “o equivalente”.
In ordine alla censura mossa dall’istante relativamente all’importo dell’appalto, che la stazione appaltante avrebbe appositamente fatto ricadere al di sotto della soglia comunitaria per evitare gli oneri di pubblicità, si rileva che la procedura eccezionale scelta ai sensi dell’art. 57, comma 2 lett. c) del D.Lgs. 163/2006, non prevede la pubblicazione del bando, sia nel caso di importo al di sopra, sia al di sotto della soglia comunitaria.
Le ulteriori censure sollevate dall’istante relativamente alla partecipazione alla gara ed alla base d’asta si considerano assorbite dai rilievi sopra esposti.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene nei limiti di cui in motivazione che, fatto salvo quanto evidenziato in via pregiudiziale, la documentazione di gara sia conforme alla normativa vigente di settore (parere 05.06.2008 n. 181 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
E’ principio noto in giurisprudenza quello per cui sono da considerare legittimi i requisiti richiesti dalle stazioni appaltanti che, pur essendo ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge, comunque rispettino il limite della logicità e della ragionevolezza e, cioè, della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito (si veda Cons. di Stato, sez. V, 15.12.2005 n. 7139). Detto principio è stato più volte rievocato dall’Autorità (si vedano i pareri n. 33 del 31.01.2009; n. 62 del 28.02.2008), la quale ha ribadito come la ragionevolezza dei requisiti deve essere valutata in concreto, in relazione alle caratteristiche specifiche dell’appalto in questione.
Nel caso di specie, le dichiarazioni richieste dalla stazione appaltante non appaiono illogiche e sproporzionate considerato che l’appalto ha ad oggetto la fornitura di auto cabinati, da allestire in maniera tale da garantire tutte quelle mansioni di sorveglianza e di prevenzione degli incendi boschivi previste dal nuovo Piano regionale per la difesa della vegetazione dagli incendi. La delicatezza e la precisione con cui devono essere svolte dette mansioni, tese a garantire la sicurezza, impongono in capo alla stazione appaltante una particolare attenzione nell’acquisto delle apparecchiature da utilizzare. Pertanto le citate previsioni del disciplinare sono da considerarsi ragionevoli, dal momento che assicurano l’amministrazione della compatibilità e conformità tra le caratteristiche tecniche dell’allestimento antincendio da installare sugli auto cabinati ed i telai degli stessi, anche in considerazione del rilevante importo contrattuale pari ad euro 3.060.000,00.
Ciò posto, deve in ogni caso rilevarsi, alla luce delle difficoltà rappresentate dall’istante nell’ottenere dalla ditta costruttrice di telai le dichiarazioni previste tra i requisiti di partecipazione e oggetto di censura che, nell’operatività delle stesse, potrebbero configurarsi profili di violazione della concorrenza, che verranno rimessi alla Direzione Vigilanza Forniture e Servizi per le valutazioni di competenza.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la documentazione di gara è conforme alla normativa vigente di settore (parere 05.06.2008 n. 179 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI SERVIZI: Ritenuto in diritto:
Il Capitolato Speciale della gara in esame prevede al punto D) quanto segue: “L’importo a base d’asta è fissato in complessivi 116.800 euro per tutta la durata contrattuale. (…) Ai fini della determinazione dell’importo a base di gara il servizio richiesto è valutato come segue: Palazzo comunale: servizio di 4 giorni alla settimana per un totale di 208 giorni all’anno. Sono previsti 2 operatori per 4 ore giornaliere ciascuno, per un totale di 1.664 ore all’anno. Biblioteca comunale: servizio di 3 giorni alla settimana per un totale di 156 giorni all’anno. Sono previsti l’operatore per 2 ore giornaliere per un totale di 312 ore all’anno. L’importo effettivo dell’appalto sarà ottenuto moltiplicando il prezzo orario offerto dal concorrente per il numero di ore stimate come occorrenti all’espletamento del servizio.
Le informazioni contenute nel Capitolato, come sopra riportate, definiscono l’importo a base d’asta e la quantità di manodopera, in termini di personale impiegato, di giorni e di ore alla settimana da utilizzare, con l’indicazione di un totale di ore annue distribuite tra il Palazzo e la Biblioteca comunale. Inoltre, secondo quanto previsto dall’art. 22 del Capitolato Speciale, l’offerta deve riportare il costo orario medio del lavoro e del personale dipendente da imprese di pulizia, che deve rispettare le Tabelle Nazionali determinate dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Alla luce delle indicazioni sopra riportate contenute nella documentazione di gara, si ritiene che le ditte partecipanti fossero nella condizione di conoscere tutti gli elementi necessari per formulare un’offerta. Contrariamente a quanto sostenuto dall’istante il Capitolato speciale indica oltre che l’importo a base d’asta, anche le ore giornaliere e le unità lavorative impiegate, così da consentire ai partecipanti di poter effettuare il calcolo e del numero delle ore da rispettare, in accordo con i costi orari medi del lavoro e del personale dipendente da imprese di pulizia che deve rispettare le Tabelle Nazionali determinate dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale
Dai verbali di gara presentati nel corso dell’istruttoria, emerge che la Gamba Service ha previsto 1976 ore dichiarate, in conformità a quanto disposto dal Capitolato speciale (1664 + 312), in relazione alle quali, tuttavia, viene indicato come costo orario del personale l’importo di 11,60. Tale importo si discosta in maniera rilevante dal costo del personale contenuto nelle tabelle ministeriali prese a riferimento nella gara di specie che, per l’anno 2005, riportano un costo orario medio pari a 14,01 euro/ora. Anche volendo considerare il valore indicato nella tabella della Regione Toscana, la cifra prevista è di euro 14,79 per gli operai di II livello. Pertanto il costo del personale contenuto nell’offerta dell’istante è di gran lunga inferiore a quello minimo indicato dal Ministero del Lavoro. Detto discostamento, peraltro, come è stato rilevato dalla stazione appaltante, non è stato nemmeno giustificato e viene, così, a porsi in contrasto con l’art. 86, comma 3 bis, del D.Lgs. 163/2006, ai sensi del quale, nella valutazione dell’anomalia delle offerte, le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a valutare che il valore economico dell’offerta sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene nei limiti di cui in motivazione che la disposta esclusione sia conforme alla documentazione di gara e alla normativa vigente di settore (parere 05.06.2008 n. 178 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
La previsione contenuta nei bandi di gara, come nel caso in esame, che impone ai concorrenti di presentare due buste, debitamente sigillate e controfirmate, contenenti, rispettivamente, l’offerta economica e la documentazione di corredo, risponde all’esigenza procedimentale di eseguire la valutazione dell’offerta in due tempi, separando il momento valutativo della documentazione amministrativa da quello dell’offerta economica, la quale deve rimanere segreta fino all'eseguito esame dei documenti prescritti dalla lex specialis, onde evitare che la Commissione di gara possa essere influenzata nel suo operato dalla conoscenza di questa, nell'interesse dell'imparzialità e parità di trattamento degli offerenti.
Nel caso in esame, il disciplinare prevedeva con clausola chiara e non equivoca le modalità di presentazione dei plichi, che dovevano contenere al loro interno le due separate buste, relative alla documentazione amministrativa ed all’offerta economica. Detta prescrizione era inoltre, ribadita dal punto 2) delle avvertenze, nella quale veniva sancita l’esclusione dalla gara nel caso in cui l’offerta o la documentazione non fossero contenute nell’apposita busta sigillata e controfirmata sui lembi di chiusura.
Si ritiene corretto il comportamento tenuto dalla Commissione di gara che, riscontrata la mancanza di una delle due buste prescritte, ha deciso di non aprire l’unica busta presentata in gara, non potendo la stessa effettuare alcuna valutazione interpretativa della disciplina di gara, né alcuna valutazione suppositiva sull’eventuale contenuto della busta A-documentazione amministrativa.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dell’impresa Thiene Costruzioni s.r.l. è conforme alla normativa di settore (parere 05.06.2008 n. 177 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
Sulla problematica in esame, l’Autorità, con precedenti espressioni di parere, ha evidenziato che secondo costante giurisprudenza amministrativa le giustificazioni preliminari richieste dall’articolo 86, comma 5, del d. Lgs. n. 163/2006, quale anticipato corredo documentale dell’offerta, non assurgono a requisito di partecipazione alla gara a pena di esclusione, venendo in rilievo la mancata presentazione delle stesse, solo in via eventuale, nella fase successiva della verifica di anomalia, se ed in quanto l’offerta ne risulti sospetta.
Ed infatti, come è stato rilevato dal giudice amministrativo, verificare la completezza documentale dell’offerta sotto il profilo delle giustificazioni, prima dell'inizio del procedimento di individuazione e verifica delle offerte anomale, porterebbe la commissione di gara a dover escludere a priori le offerte non corredate di giustificazioni, con ciò violando la norma di cui all’articolo 88 del d. Lgs. n. 163/2006, che impone alla S.A. di instaurare il contraddittorio con l’impresa la cui offerta risulta eccessivamente bassa, prima di procedere all’esclusione della stessa.
Nel caso in esame, inoltre, sia il bando di gara, che il disciplinare non sanzionano con l’esclusione l’omessa presentazione da parte dei concorrenti delle giustificazioni preventive. La lex specialis di gara non contiene nemmeno disposizioni in ordine alle modalità di presentazione delle giustificazioni.
Sulla base di quanto sopra, pertanto, l’ammissione in gara dell’impresa Perillo Costruzioni s.r.l. è conforme all’articolo 86, comma 5, del d. Lgs. n. 163/2006.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la procedura di gara è conforme alla normativa di settore (parere 05.06.2008 n. 176 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
In precedenti espressioni di parere l’Autorità, nel concorde orientamento della giurisprudenza amministrativa, ha espresso l’avviso secondo il quale non ricorrono le condizioni per una integrazione documentale della dichiarazione sostitutiva, nel caso in cui attraverso l’integrazione si determina non una specificazione del contenuto della dichiarazione resa, ma una sua integrazione ex post, con conseguente violazione del principio della par condicio.
L’Autorità sul punto ha chiarito che è possibile procedere all’integrazione documentale esclusivamente nel caso in cui la dichiarazione richiesta dalla disciplina di gara sia stata in qualche forma presentata e necessiti di chiarimenti: nel caso di specie la voce relativa “all’osservanza, all’interno della propria azienda, degli obblighi di sicurezza previsti dalla vigente normativa” è stata omessa, e, pertanto, la relativa dichiarazione sostitutiva risulta non resa.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dell’impresa Sepe geom. Aniello è conforme alla normativa di settore (parere 05.06.2008 n. 175 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
Ai sensi dell’art. 13, comma 1del D.Lgs. 163/2006, il diritto di accesso, salvo quanto previsto nello stesso articolo, è disciplinato dalla legge n. 241/1990.
Nel caso in esame, la richiesta è stata formulata ai sensi del comma 2, lettera a) del citato articolo 13, laddove prevede, nelle procedura aperte ed in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, il differimento del diritto di accesso fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime.
In merito all’istanza in oggetto, va precisato che l’Amministrazione appaltante non dichiara di non voler adempiere alla richiesta di accesso ai documenti, ma specifica che si potrà fornire riscontro non prima che sia espletati gli adempimenti previsti nei confronti dei controinteressati.
Infatti, la P.A. cui è indirizzata la richiesta di accesso, eventualmente dovesse individuare soggetti controinteressati, è tenuta a dare comunicazione agli stessi. A tal proposito recita il comma 2 dell’art. 3 del D.P.R. 184/2006 “Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i contro interessati possono presentare una motivata opposizione, (…) alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la P.A. provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione (…)”.
Pertanto, la P.A. deve accertare, prima di fornire riscontro alla richiesta di accesso ai documenti, l’avvenuta conoscenza dell’istanza stessa da parte dei contro interessati, ai quali tali istanza, come si è detto, deve preventivamente essere comunicata.
Alla luce di quanto detto, correttamente la S.A. ha atteso i termini previsti dal Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi, articolo 3 del D.P.R. 184/2006, comunicando ai controinteressati la richiesta di accesso agli atti e verificando l’avvenuta conoscenza della stessa. Attesi i dieci giorni previsti per la presentazione di una eventuale motivata opposizione alla richiesta di accesso, la Soprintendenza di Pompei ha provveduto a dare comunicazione di quanto richiesto dalle Imprese istanti.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’operato della Stazione Appaltante è conforme alla normativa di settore (parere 05.06.2008 n. 174 - link a massinario.avlp.it).

LAVORI PUBBLICI: Ritenuto in diritto:
In merito alle istanze in oggetto, la cui problematica, per questione analoga eccepita dalla medesima impresa istante, è stata esaminata da questa Autorità nella deliberazione n. 39/2007, si precisa quanto segue.
Con la citata deliberazione, l’Autorità ha chiarito che “ai fini della partecipazione agli appalti di importo inferiore a 150.000 euro è necessari e sufficiente la dimostrazione del possesso di una professionalità qualificata che la S.A. deve valutare sulla base di un rapporto di analogia tra i lavori eseguiti e quelli oggetto dell’appalto. Detta verifica non può limitarsi al riscontro pedissequo fra la categoria richiesta dal bando e quella posseduta dal concorrente, dovendosi far riferimento a riscontri oggettivi fra l’esperienza specifica pregressa e i lavori dedotti in appalto”.
Quanto sopra è stato inoltre sottolineato con deliberazione n. 165/2003 di questa Autorità, nella quale sono state evidenziate le corrispondenze tra le tipologie di lavori e le categorie SOA, che la S.A. deve tener presente nel corso della valutazione.
Inoltre la stessa deliberazione rammenta che per “gli appalti di importo pari o inferiore a € 150.000, l’art. 8 comma 1 della legge 109/1994, impone comunque il possesso di una professionalità qualificata che si traduce in un rapporto di analogia tra i lavori eseguiti dal concorrente e quelli oggetto dell’appalto da affidare, intesa come coerenza tecnica tra la natura degli uni e degli altri”.
Si precisa, tuttavia, che contrariamente a quanto asserito dall’impresa istante, la citata deliberazione n. 165/2003 non dispone che “tutte le categorie dei lavori al di sotto della soglia di € 150.000,00, si intendono analoghe e assimilabili”. Infatti, l’Autorità ha chiarito che la S.A., in virtù del principio del giusto procedimento, ha l’onere di valutare la rispondenza dei requisiti presentati e posseduti dal concorrente alla gara e quanto previsto dalla lex specialis, ai fini della verifica della correlazione tecnica oggettiva con i lavori da eseguire.
In sede di istruttoria documentale, la Stazione appaltante ha rappresentato la non sussistenza di un rapporto di analogia tra le attività di cui alla categoria OG2 e quelle dedotte nei due cottimi-appalto di che trattasi.
Sebbene la predetta valutazione di coerenza tecnica tra la natura delle attività effettuate e quelle da affidare, sia rimessa alla discrezionalità della stessa stazione appaltante, si deve tener conto che non è sufficiente compiere un riscontro fra la categoria di iscrizione SOA posseduta e quella richiesta in appalto, dovendo la S.A. effettuare una puntuale e concreta verifica sul possesso, in capo al concorrente, dell’esperienza pregressa.
Nei casi in esame, l’esclusione dell’impresa istante effettuata unicamente in base al riscontro fra la categoria posseduta dal concorrente e quella richiesta in appalto non è conforme ai disposti di cui all’articolo 28, comma 1, lettera a), del d. P.R. 34/2000, disposizione che deve essere interpretata, a parere di questa Autorità, nel senso che i lavori eseguiti dal concorrente devono avere caratteristiche similari a quelle che connotano i lavori da affidare.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che negli appalti di lavori di importo inferiore a 150.000 euro, la stazione appaltante deve effettuare, con verifica concreta e puntuale, la valutazione di coerenza tecnica tra la natura delle attività effettuate e quelle da affidare (parere 05.06.2008 n. 173 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
L’Autorità si è già occupata di una questione analoga sia nella delibera n. 52 del 2007 sia, da ultimo, nel parere n. 11 dell’11.01.2008.
In particolare, in tale parere è stato richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21.05.2004 n. 3297) secondo il quale la portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara esige che alle stesse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura, senza che in capo all’organo amministrativo, cui compete l’attuazione delle regole stabilite nel bando, residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento.
Quindi, qualora il bando commini espressamente l’esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando precluso all’interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell’inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento del bando.
Nel caso di specie, il bando di gara (pg. 6) espressamente prevede, evidenziando la prescrizione in neretto, e dunque in modo non equivoco: “L’amministrazione rilascerà apposita attestazione dell’avvenuto sopralluogo, che la ditta e/o impresa concorrente dovrà allegare, a pena di esclusione dalla gara, ai documenti richiesti”. Analoga previsione è contenuta pg. 14 del disciplinare di gara, laddove si prevede, altrettanto chiaramente ed evidenziato in lettere maiuscole “nella busta (A) documentazione, dovrà essere altresì allegata, a pena di esclusione, l’ATTESTAZIONE DI AVVENUTO SOPRALLUOGO rilasciata dalla stazione appaltante”.
Infine, è ben specificato nella stessa attestazione di avvenuto sopralluogo, “N.B. La presente attestazione di avvenuto sopralluogo dovrà essere allegata a pena di esclusione, nella busta (A) documentazione, citata nel disciplinare di gara”. Da tale previsione, i partecipanti alla procedura non potevano non essere edotti in merito all’obbligo di presentare il documento di avvenuto sopralluogo in originale.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che è conforme alla normativa di settore l’esclusione dalla gara di che trattasi, dell’Ati Russo Antonino – Pinto Vraca, per non aver prodotto il documento di avvenuto sopralluogo in originale, così come chiaramente disposto dalla s.a. a pena di esclusione dalla gara (parere 05.06.2008 n. 172 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI SERVIZI: Ritenuto in diritto:
Per la soluzione della questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità si deve evidenziare che la disciplina di gara prevedeva:
- all’articolo 4-contenuti del progetto, del disciplinare di incarico, lettera a) progetto definitivo, “tale livello progettuale dovrà individuare compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e dovrà contenere tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni. In particolare si segnalano le autorizzazioni relative alla Pianificazione di Bacino, alla tutela archeologica, ambientale e monumentale. Esso si dovrà comporre degli elaborati grafici, contrattuali ed amministrativi necessari per quanto sopra.
In particolare si evidenzia che il progetto dovrà essere corredato di apposita relazione geologica-geotecnica (come previsto nell’art. 25 del d.P.R. 554/1999) ed archeologica”;
- al punto 2.1 lett. c), del disciplinare di gara, dichiarazione dell’elenco dei professionisti che svolgeranno i servizi con la specificazione delle rispettive specializzazioni professionali.
Si precisa, inoltre, che la documentazione di gara non richiedeva la presenza della figura professionale dell’archeologo.
Al riguardo, giova specificare che, nell’attuale ordinamento, non esiste una disciplina giuridica della professione di archeologo e di un suo albo professionale.
Pertanto, nelle fattispecie, come quella in esame (si richiama quanto rappresentato dalla S.A. “il sito non interessa aree archeologiche né risulta sottoposto a vincolo archeologico”) per le quali non ricorre la disciplina di cui agli articoli 95 e 96 del d. Lgs. n. 163/2006, che regolano la verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progettazione preliminare e la relativa procedura di verifica, e che prevedono l’istituzione, non ancora realizzata, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, di un apposito elenco dei dipartimenti archeologici universitari e dei soggetti qualificati in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia, non sussistono obblighi a carico della stazione appaltante di prevedere la figura dell’archeologo.
Si richiama il parere reso dal Consiglio di Stato in data 13.03.2006 sulla schema di regolamento ministeriale recante la disciplina dei criteri di funzionamento del citato elenco, nel quale vengono evidenziati gli effetti “solo dichiarativi” ma che “costituirà una raccolta completa –di fatto l’unica esistente e certamente l’unica prevista nel nostro ordinamento– degli istituti e dei soggetti con una particolare qualificazione nel campo dell’archeologia”.
La fattispecie si deve dunque esaminare sulla base della disciplina di gara e della normativa di settore vigente.
In ossequio al citato punto 2.1 lett. c), del disciplinare di gara, il concorrente è tenuto a dichiarare l’elenco dei professionisti che svolgeranno i servizi con la specificazione delle rispettive specializzazioni professionali.
Ovviamente, le diverse attività componenti l’incarico di progettazione devono rispondere agli ambiti ed alle riserve di competenza riconosciuti dai rispettivi ordinamenti professionali agli ingegneri, agli architetti, ai geologi.
Atteso il divieto di modificazione della composizione dei raggruppamenti temporanei rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta, ex articolo 37, comma 9, del d. Lgs. n. 163/2006, la composizione del raggruppamento deve prevedere tutte le figure professionali dotate della competenza all’espletamento delle diverse attività dedotte nell’incarico di progettazione.
Pertanto, nel caso in esame, la S.A. deve verificare, in capo ai concorrenti alla procedura di che trattasi, il rispetto di quanto sopra riportato.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che, in applicazione dell’articolo 37, comma 9, del d. Lgs. n. 163/2006, i raggruppamenti temporanei di professionisti devono prevedere al loro interno tutte le figure professionali dotate della competenza all’espletamento delle diverse attività dedotte nell’incarico di progettazione (parere 05.06.2008 n. 171 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
La controversia è ormai nota a questa Autorità che si è già occupata di casi analoghi in più occasioni (Parere n. 128 del 23.04.2008, Parere n. 71 del 06.03.2008). In tali occasioni l’Autorità ha espresso l’avviso in accordo con la giurisprudenza costante, come le formalità previste per la presentazione dell’offerta, coerentemente con la finalità di tutelare la par condicio tra i concorrenti, assolvono alla funzione di assicurare l’autenticità della chiusura originaria proveniente dal mittente, nonché di evitare la manomissione del contenuto del plico e di garantire la segretezza dell’offerta. La ceralacca, in particolare assolve alla funzione di assicurare di evitare ogni possibile contestazione e sospetto di manomissione, data la notoria possibilità di aprire e chiudere agevolmente, senza lacerazioni o segni evidenti, i lembi preincollati delle buste all’uopo comunemente usate.
Nel caso specifico a pag. 24 del bando di gara al punto 14 lett. c) si legge “…saranno escluse dalla gara… le offerte contenuta in busta, le quali, anche se su uno solo dei lembi di chiusura ancorché preincollato: non siano:chiuse con ceralacca;non rechino sulla chiusura con ceralacca l’impronta del sigillo come precedentemente prescritto; non siano controfirmate. Si precisa che si farà luogo all’esclusione dalla gara quando manchi anche una sola delle tre modalità sopradescritte
Tale prescrizione, è prevista a garanzia del principio della par condicio (dei concorrenti), oltre che a garanzia della provenienza e della segretezza (della proposta contrattuale).
Tali regole non possono recedere dal rigido formalismo, a pena di illegittimità, dovendo vietare che sussistano margini di discrezionalità della S.A. in merito alle modalità di presentazione dell’offerta economica, in relazione ai parametri che ha preventivamente istituito in sede di redazione del bando di gara (pena l’insanabilità del vizio).
Pertanto sono da ritenersi valide le disposizioni del bando di gara “in base alle quali è sanzionata con l’esclusione dalla gara, la mancata controfirma su tutti i lembi di chiusura della busta contenente l’offerta.
Trattasi di accorgimento coincidente con l’interesse essenziale della stazione appaltante al regolare svolgimento del procedimento di evidenza pubblica che fornisce una maggiore garanzia nei confronti di eventuali frodi o indebite violazioni del segreto, senza per questo imporre ai partecipanti alla gara di appalto oneri particolarmente gravosi (TAR Puglia Lecce , II, 18.10.2003, n. 6948)
Pertanto si sottolinea che non è neppure possibile ipotizzare “sanatorie” del vizio formale di presentazione dell’offerta, giacchè l’attività diretta a sanare i vizi delle istanze di taluni concorrenti, sarebbe in violazione del fondamentale principio della parità di trattamento.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene che l’esclusione della Società CIVIS POL Sicilia s.r.l. comminata a carico dell’istante, sia conforme al bando di gara prevista al punto 14, lett. c) della lex specialis, nonché alla normativa vigente di settore (parere 21.05.2008 n. 170 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
L’art. 88 del D. Lgs. n. 163/2006 disciplina dettagliatamente il subprocedimento di verifica delle offerte anomale, prevedendo due fasi da svolgersi necessariamente in contraddittorio tra la stazione appaltante e l’operatore economico la cui offerta sia risultata anormalmente bassa: una prima fase, a forma scritta, suscettibile di richiesta di chiarimenti integrativi, e una seconda fase, eventuale e orale, con audizione dell’interessato.
L’estromissione di offerte ritenute effettivamente non affidabili deve avvenire solo all’esito di un adeguato confronto tra stazione appaltante ed operatore economico sugli elementi ritenuti di sospetta anomalia. Nel giudizio sull’anomalia, ciascun offerente deve avere infatti la possibilità di far valere il suo punto di vista e di fornire ogni più utile e completa spiegazione a sostegno dei diversi elementi che compongono la propria offerta, in un’ottica improntata ai principi di par condicio e di massima partecipazione alle gare.
E’ solo l’Amministrazione che può e deve svolgere in prima battuta il giudizio tecnico sulla congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell’offerta, senza potersi ammettere in alcun caso una sostituzione/supplenza nell’esercizio di tale suo potere discrezionale di valutazione. Gli apprezzamenti compiuti dall’Amministrazione in sede di riscontro dell’anomalia delle offerte costituiscono espressione di un potere di natura tecnico-discrezionale, improntato a criteri di ragionevolezza, logicità e proporzionalità, che resta prerogativa di esclusiva competenza della stazione appaltante e, in particolare, della commissione giudicatrice.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, irricevibile la presente istanza di parere, in quanto l’Autorità si pronuncia su questioni controverse insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, ma non può sostituirsi alla stazione appaltante nei compiti ad essa normativamente assegnati (parere 21.05.2008 n. 169 - link a massinario.avlp.it).

APPALTI SERVIZI: Ritenuto in diritto:
L’appalto in esame, da affidarsi con procedura ristretta, ha ad oggetto i servizi in global service nei nidi, nelle scuole dell’infanzia, nei servizi sperimentali e nelle scuole d’arte e dei mestieri del Comune di Roma. Tra i requisiti di capacità tecnica, come descritto in narrativa, l’amministrazione ha previsto al punto III.2.3) T) del bando di gara la “dichiarazione di aver preso visione dei luoghi oggetto dell’appalto e di aver preso esatta cognizione della natura dell’appalto e di tutte le circostanze generali, particolari e locali nessuna esclusa ed eccettuata, che possono influire sulla determinazione della propria offerta tecnico – economica, giudicandola, quindi, realizzabile e remunerativa”. La finalità della citata clausola è quella di assicurare, considerato il tipo di servizio da affidare, da una parte, che l’Amministrazione possa essere tutelata da offerte non accurate e, dall’altra, che i concorrenti possano garantire offerte con piena cognizione di causa, avendo l’esatta conoscenza dei luoghi presso i quali svolgere il servizio.
A fronte della suddetta finalità prefissata dalla stazione appaltante non sono state, però, dettagliate le modalità con le quali operare la presa di visione dei luoghi oggetto di appalto. Per ovviare a tale lacuna documentale, evidenziata dalle stesse imprese concorrenti, in sede di chiarimenti sulla documentazione di gara, l’amministrazione comunale ha fornito la lista dei luoghi, le persone da contattare, precisando che l’adempimento richiesto rappresentava un vero e proprio sopralluogo. E’ opportuno, a tal proposito, precisare che, pur essendo quella in esame una procedura ristretta, l’Amministrazione possa anticipare l’assolvimento della formalità già nella fase di prequalificazione, nell’esercizio della propria discrezionalità in ordine alla definizione della “scansione” temporale degli adempimenti posti a carico delle imprese interessate alla partecipazione.
Se dunque l’amministrazione aggiudicatrice ha la possibilità di prevedere il sopralluogo in fase di prequalificazione deve farlo, tuttavia, assegnando i tempi minimi necessari alle imprese per poter effettuare lo stesso regolarmente. Pertanto, il termine minimo previsto dalla legge per la ricezione delle offerte andava, nella fattispecie in esame, aumentato in misura adeguata alla necessità e alle modalità del disposto sopralluogo, anche al fine di non pregiudicare l’interesse pubblico alla serietà dell’offerta ed al favor partecipationis.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che la procedura di gara risulta non essere conforme alla normativa vigente di settore, in quanto, a seguito delle integrazioni fornite dalla stazione appaltante, che hanno modificato sostanzialmente la documentazione di gara, non è stata disposta una proroga del termine di presentazione delle offerte (parere 21.05.2008 n. 168 - link a massinario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: E' legittima la decisione di una stazione appaltante di annullare l’aggiudicazione dopo aver verificato che l’impresa aveva sottaciuto l’esistenza di una procedura di regolarizzazione contributiva.
In presenza di una clausola del bando di gara che subordina la partecipazione alla regolarità contributiva, la posizione del partecipante che abbia in atto un procedimento di regolarizzazione è legata alla circostanza che "l’impresa abbia sostenuto la propria offerta con una documentata procedura di sanatoria relativa agli adempimenti contributivi" (Cons. Stato, Sez. IV, 30.01.2006, n. 288). Pertanto, è legittima la decisione della stazione appaltante di annullare l’aggiudicazione una volta verificato che l’impresa aveva sottaciuto l’esistenza di una procedura di regolarizzazione, impedendo ad essa, anche a garanzia della par condicio, di valutarla ai fini dell’ammissione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2008 n. 4386 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gara per l’affidamento in concessione di servizi, con il metodo della licitazione privata - Criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa - Calcolo del punteggio per l’offerta economica - Riferimento alla "offerta maggiore", e non all'incremento maggiore - Art. 83, c. 5, D. Lgs. n. 163/2006 - Dir. n. 2004/18/CE.
Anche ammettendo che l’art. 83, comma 5, del D. Lgs. n. 163/2006 lasci libertà alle stazioni appaltanti di stabilire il criterio di valutazione dell’offerta economica, in conformità con quanto previsto dal considerando 46 della Dir. n. 2004/18/CE, va rilevato che in una gara in cui il prezzo a base d’asta non è elevato (in specie 54.000,00 Euro) risulta più ragionevole un metodo di calcolo del punteggio per l’offerta economica che non comporti una posizione eccessivamente recessiva della valutazione del progetto tecnico. Pertanto, diventa irrilevante l’impugnazione delle disposizioni della lex specialis, in quanto l’accoglimento del ricorso è correttamente fondato sull’interpretazione di tali previsioni, e non sulla loro illegittimità (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.09.2008 n. 4348 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quando è possibile escludere le nuove superfici e i nuovi volumi dalla categoria della nuova costruzione.
Un manufatto deve essere considerato nuova costruzione quando introduce una modifica stabile del territorio. Il carattere permanente di tale modifica non si misura in base alla stabilità delle opere (come avviene quando i materiali utilizzati non siano amovibili con mezzi ordinari) ma in base alla funzione svolta nel tempo dalla nuova struttura. La modifica del territorio può quindi essere realizzata anche con materiali amovibili o modulari ma se manca qualsiasi elemento di stagionalità, temporaneità o periodicità nella presenza in loco della nuova struttura si ricade per esclusione nella categoria della nuova costruzione.
Gli interventi edilizi non perdono la qualificazione di nuova costruzione per il solo fatto di essere collegati a un altro edificio. Per qualificare una nuova opera come manutenzione straordinaria è necessario che sia evidente e prevalente la finalità di rinnovare e sostituire parti strutturali di edifici già realizzati. Solo la normativa statale prevede che la manutenzione straordinaria non possa alterare i volumi e le superfici esistenti (art. 3 comma 1 lett. b del DPR 380/2001), mentre tale limitazione non è inserita nella normativa regionale (art. 27 comma 1 lett. b della LR 12/2005), ma la creazione di nuove superfici e nuovi volumi (tranne nel caso di realizzazione e integrazione dei servizi igienico-sanitari e tecnologici, eccezione espressamente codificata) non può mai essere considerata come un’operazione neutrale rispetto alla consumazione del territorio. Dunque per quanto stretta possa essere la relazione tra la nuova struttura e l’edificio esistente la manutenzione effettuata su quest’ultimo non può giustificare la realizzazione di opere esterne con creazione di superfici e volumi.
L’unica via attraverso cui è possibile escludere le nuove superfici e i nuovi volumi dalla categoria della nuova costruzione è la qualificazione come pertinenza ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. e-6) del DPR 380/2001 e dell’art. 27 comma 1 lett. e-6) della LR 12/2005. Si tratta tuttavia di una possibilità con plurime limitazioni. In proposito si osserva che ai fini urbanistici non vale il concetto civilistico di pertinenza ex art. 817 cc. (v. TAR Firenze Sez. III 27.11.2006 n. 6052) ma una nozione più ristretta basata sulla valutazione economica del bene e sul peso per il territorio. L’applicazione puntuale di questi criteri ai singoli interventi edilizi è mediata dagli strumenti urbanistici comunali, ai quali le predette norme affidano il compito di distinguere le pertinenze dalle nuove costruzioni assoggettate a permesso di costruire. Nel caso in esame è vero che la tensostruttura non ha una funzione autonoma rispetto al resto del capannone, e inoltre utilizzando i dati riportati sopra ai punti 2 e 5 il volume aggiunto non sembra superare il 20% del volume esistente (soglia oltre la quale è la stessa normativa statale e regionale a escludere la presenza di un intervento edilizio pertinenziale). Tuttavia non si tratta di un’opera di scarsa rilevanza in termini assoluti (né sotto il profilo economico né per quanto riguarda l’impatto sul territorio) e quindi ai fini dell’attribuzione o meno del carattere pertinenziale è decisiva la disciplina urbanistica comunale. In proposito si osserva che in mancanza specificazioni in senso opposto nell’art. 29 delle NTA relativo alla zona D1 l’aggiunta di nuova superficie produttiva ricade nelle categorie (tra loro equivalenti) della saturazione e della nuova costruzione previste dalla suddetta norma. Solo una puntuale disposizione dello strumento urbanistico comunale potrebbe infatti stabilire a quali condizioni la saturazione (o l’edificazione su lotto saturo) sia tollerabile come pertinenza di un edificio già realizzato. Poiché una simile norma non è presente si deve concludere che il divieto di superare il rapporto di copertura sia tassativo e inderogabile (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.09.2008 n. 990 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla legittimità dell’esclusione di due imprese partecipanti ad una gara bandita da un comune per l'affidamento di un servizio per collegamento presuntivo tra imprese ex art. 2359, 3° c. c.c..
E’ legittima l’esclusione di due imprese partecipanti alla gara (sia pure mediante due raggruppamenti distinti) bandita da un comune per l'affidamento di un servizio per collegamento presuntivo tra imprese ex art. 2359, 3° c. c.c..
Il D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture), infatti, ha attribuito espressamente rilevanza non solo al collegamento sostanziale tra imprese, ma anche a quello presunto ex art. 2359, c. 3 c.c. Invero, di detta normativa ha preso atto anche l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici (ora sui contratti pubblici) con la determinazione n. 1 del 29.03.2007, ove viene affermato che "quella prevista dall’art. 2359, comma 3, c.c., vale a dire la situazione di collegamento presunto in funzione dell’influenza notevole esercitata da un soggetto su un altro soggetto, senza necessità di ulteriori indagini al fine di accertare il collegamento stesso".
La Commissione di gara nel caso di collegamento presunto ex. 2359, 3° c., c.c., non deve fornire ulteriori indizi da cui desumere la presenza di un unico centro decisionale, essendo l'influenza notevole desumibile ex lege, diversamente da quanto avviene per l'ipotesi del collegamento sostanziale tra imprese (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2008 n. 4285 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Un obbligo per il Comune rispondere al cittadino. La Pubblica Amministrazione deve concludere i procedimenti con un provvedimento espresso.
La Pubblica Amministrazione ha sempre l’obbligo di rispondere alle istanze dei privati e deve farlo entro un dato termine con un provvedimento esplicito (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 05.09.2008 n. 8118 - link a www.cittadinolex.kataweb.it).

EDILIZIA PRIVATA: Prescrizione ed ordine di demolizione.
L'estinzione per prescrizione del reato di costruzione abusiva travolge l'ordine di demolizione delle opere illecite, fermo restando l'autonomo potere dovere dell'autorità amministrativa (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.09.2008 n. 35451 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATASulla natura di una variante in corso d'opera consistente nella roto-traslazione della sagoma dell'edificio rispetto all'ubicazione originaria.
Il Consiglio di Stato (sez. V, 03.08.2004 , n. 5429; sez. V, 2001 n. 1898) ritiene che “gli elementi rilevanti al fine della distinzione tra variante alla concessione edilizia e nuova concessione edilizia sono esclusivamente le modifiche di carattere qualitativo o quantitativo rispetto al progetto originario apportate, in particolare, a superficie coperta, perimetro, volumetria ed alle caratteristiche funzionali e strutturali (interne ed esterne) dell'edificio”.
Conseguenze di questa giurisprudenza sono che “deve considerarsi variante minore, o non essenziale, quella consistente in una modesta roto-traslazione della sagoma dell'edificio oggetto della concessione di costruzione rispetto all'ubicazione originaria”.
Ne deriva che l’importanza della traslazione e la sua incidenza sull’assetto urbanistico dell’area e la violazione delle specifiche norme edilizie devono formare oggetto di una puntuale motivazione (nella specie assente) dell’amministrazione comunale, cui compete la responsabilità amministrativa in materia (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 27.08.2008 n. 1631 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla partecipazione a gare di appalto da parte di società miste regionali e locali.
A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 13 del decreto legge Bersani, le società miste, costituite da enti locali per la gestione di servizi pubblici all’interno del territorio di riferimento, non possono più partecipare a gare di appalto indette da altre Amministrazioni.
E’, pertanto, illegittima l’aggiudicazione della gara in favore di una società mista costituita da diverso Comune, stante la vigenza del divieto in questione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4080 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di demolizione - Inottemperanza - Acquisizione opera abusiva e sequestro penale - Automaticità dell’ablazione - Art. 7 c. 4 L. 47/1985 (oggi art. 31 c. 4 TU 380/2001).
L'art. 7 c. 4 L. 47/1985 (ora art. 31 c. 4 TU 380/2001) determina l'effetto ablatorio ipso iure conseguente all'accertata inottemperanza all'ordine di demolizione del manufatto abusivo non è impedita dal sequestro penale del manufatto medesimo, ben potendosi richiedere all'autorità giudiziaria procedente l'autorizzazione ad accedere al luogo vincolato ed a quella amministrativa di procedere alla demolizione del manufatto. L'automaticità della ablazione comporta l'immediato trasferimento del manufatto sempre che non vi sia un proprietario incolpevole estraneo all’abuso edilizio, che i beni siano individuati in maniera particolareggiata, che non sia intervenuta una proroga da parte della Pubblica Amministrazione, che non siano in corso procedimenti amministrativi, che la inosservanza dell'ordine sia volontaria. Infine, la sopravvenuta domanda di sanatoria, in assenza dei necessari presupposti per il suo accoglimento, non comporta alcuna necessità di un riesame della pregressa e non modificata situazione, in fatto ed in diritto, che ha giustificato l'ordine di demolizione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.08.2008 n. 32709 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Mutamento della destinazione d’uso - Limiti della disciplina regionale (Sicilia) - Artt. 31, 44 e 10, c. 2 e 3 del D.P.R. n. 380/2001.
In materia urbanistica le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale e, conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (cass. pen. sez. III sent. del 15/06/2006). Deve quindi escludersi, in ossequio al principio di legalità, che la scelta di criminalizzare o meno una certa condotta possa attribuirsi alla Regione. Del resto la formulazione dell'art. 10, commi 2 e 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 consente alle Regioni l'esercizio di una flessibilità normativa nella direzione di ampliare l'area applicativa del permesso di costruire ma non determina un ampliamento del potere delle Regioni tale da consentire di eliminare una sanzione penale in una parte del territorio nazionale. E' conforme all'indicato principio la motivazione del giudice di merito che, richiamando l'art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, con riferimento all'art. 44 dello stesso d.p.r., (Cass. pen. 15/03/2002, n. 19378) abbia rilevato che, il mutamento di destinazione d'uso degli immobili, effettuato con opere interne, è possibile senza il previo rilascio di concessione edilizia purché detta modificazione intervenga entro categorie omogenee quanto a parametri urbanistici, atteso che la modificazione di destinazione d'uso giuridicamente e penalmente rilevante è quella che avviene tra macrocategorie, in quanto comporta il mutamento degli standard urbanistici e la variazione del carico urbanistico.
Trasformazione edilizia ed urbanistica - Mutamento di destinazione di uso - Competenza esclusiva attribuita alla Regione Siciliana - Limiti della disciplina regionale - L n. 37/1985 - Art. 36 c. 1 L.R. Sicilia n. 71/1978 - Fattispecie.
In materia urbanistica la Legge n. 37 del 1985, nonostante la competenza esclusiva attribuita alla Regione Siciliana, deve comunque rispettare i principi fondamentali della legislazione nazionale e, quindi, deve essere interpretata in modo da non collidere con detti principi generali. Inoltre, l'art. 36 comma 1 della legge regionale n. 71 del 1978 sottopone a concessione edilizia qualsivoglia attività comportante trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio comunale, nonché il mutamento di destinazione di uso degli immobili. Nella specie, gli imputati, in possesso di concessione edilizia a titolo gratuito ex art. 9 della legge n. 10 del 1977 per le opere da realizzare nelle zone agricole, - ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12 della legge 09.05.1975, n. 1537 avevano modificato arbitrariamente la destinazione di uso del capannone da adibire a deposito di macchine agricole, realizzando un'attività commerciale di autocarrozzeria, con stravolgimento della normale destinazione urbanistica dell'immobile e con notevole aggravamento del territorio.
Abuso edilizio - Data di commissione del reato - Onere della prova.
In tema di abuso edilizio/urbanistico, non basta la mera affermazione da parte dell'imputato a far ritenere che il reato sia stato commesso in epoca antecedente all'accertamento e neppure a determinare l'incertezza sulla data di commissione del reato idonea a far scattare la presunzione "in dubio pro reo", atteso che in base al principio generale ciascuno deve fornire la prova di quanto afferma (v. Cass. pen. sez. III sent. 17/04/2000, n. 10562, Fretto S) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.07.2008 n. 31135 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI: Aggiudicazione dei servizi informatici del Comune di Mantova - Aggiudicazione diretta senza previa pubblicazione di un bando di gara - Artt. 11 e 15, n. 2, Direttiva 92/50/CEE.
L’indizione di una gara pubblica, conformemente alle direttive relative all’aggiudicazione degli appalti pubblici, non è obbligatoria, anche quando l’affidatario è un ente giuridicamente distinto dall’amministrazione aggiudicatrice, qualora siano soddisfatte le due condizioni seguenti. Da un lato, l’amministrazione pubblica, che è un’amministrazione aggiudicatrice, deve esercitare sull’ente giuridicamente distinto di cui trattasi un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e, dall’altro, tale ente deve svolgere la parte più importante della sua attività con l’ente o gli enti pubblici che lo detengono (v., in particolare, sentenze Teckal, e 8/04/2008, causa C‑337/05, Commissione/Italia).
Appalti pubblici di servizi - Controllo della P.A..
In tema di appalti, l’autorità pubblica deve controllare, verificare è tener conto non solo di tutte le disposizioni normative, ma altresì delle circostanze pertinenti del caso di specie. Dall’esame deve risultare che la società aggiudicataria è soggetta a un controllo che consente all’amministrazione aggiudicatrice di condizionarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni importanti di detta società (v. sentenze 13/10/2005, causa C‑458/03, Parking Brixen e 11/05/2006, causa C‑340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei) (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. II, sentenza 17.07.2008, n. C-371/05 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: ACQUA - Effluenti da allevamento - Utilizzazione agronomica - Disciplina vigente - D.L.vo n. 4/2008.
Il D.L.vo n. 4/2008 sopprimendo all'art. 101 co. 7 lett. b) del D.L.vo n. 152/2006 le parole "che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l'utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all'art. 112, comma 2 e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella tabella 6 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto", parifica oramai, senza possibilità di limitazioni, alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall'attività di allevamento del bestiame.
La modifica normativa operata, comportando il venire meno della "connessione funzionale dell'allevamento con la coltivazione della terra" e dei criteri di individuazione di tale connessione capovolge sostanzialmente i termini della questione rispetto alla disciplina regolata dal DLvo 152/2006. Mentre, infatti, con la situazione normativa pregressa le acque reflue provenienti da una attività di allevamento del bestiame andavano considerate, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, come acque reflue industriali, e solo eccezionalmente potevano essere assimilate, ai detti fini, alle acque reflue domestiche qualora fosse dimostrata la presenza delle condizioni indicate ora, per effetto della caducazione indicata, l'assimilazione prevista al comma 7 dell'art. 101 delle acque reflue domestiche a quelle provenienti da imprese dedite all'allevamento di bestiame, diviene la regola.
Per effetto di tali modifiche si deve ritenere, pertanto, oramai di regola sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi dell'art. 133 co. 2 DLvo 152/2006 lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento. L'unica eccezione rimane dunque quella - richiamata ad excludendum dal comma 7 dell'art. 101 - dell'art. 112 DLvo 152/2006 che regola l'utilizzazione agronomica. Posto dunque che l'utilizzazione agronomica, se in linea con la normativa vigente, anche in passato era da considerare legittima e non rientrava quindi in alcuna delle fattispecie sanzionatorie dell'art. 137 DLvo 152/2006, si deve ora ritenere che per effetto del combinato delle disposizioni degli artt. 101 co. 7, 112 e 137 co. 14 del DLvo 152/2006 (che, invece, non ha subito modifiche) nel caso di gestione degli effluenti di allevamento, continua a mantenere rilevanza penale la sola utilizzazione agronomica -così come definita dall'art. 74 lett p)- nelle ipotesi in cui la stessa avvenga al di fuori dei casi o dei limiti consentiti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 02.07.2008 n. 26532 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Demolizione immobile abusivo - Procedura - Scadenza del termine - Trasferimento automatico al patrimonio comunale.
Il trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo, automaticamente conseguente alla scadenza del termine di 90 giorni fissato per l'ottemperanza all'ordinanza di demolizione, non costituisce impedimento giuridico a che il privato responsabile esegua l'ordine di demolizione impartitogli dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che l'autorità comunale abbia dichiarato l'esistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto a quello del ripristino dell'assetto urbanistico violato (Cass. Sez. III sent. 28/11/2007, n. 4962). Il soggetto condannato può infatti richiedere al Comune, divenuto medio tempore proprietario, l'autorizzazione a procedere alla demolizione a proprie spese, così come può provvedervi, a spese del condannato, l'autorità giudiziaria (Cass. pen. sent. 11/05/2005, n. 37120).
Abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico - Condono edilizio - Limiti - Abusi edilizi minori.
In tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, la disciplina dettata dall'art. 32 del DL 30.09.2003, n. 269 (convertito con modificazioni in legge 24.11.2003, n. 326) esclude del tutto l'applicazione del condono edilizio per gli abusi edilizi maggiori (nuove costruzioni o ristrutturazioni edilizie), mentre per gli abusi edilizi minori (interventi di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) lo consente a condizione che questi ultimi siano conformi alle norme urbanistiche ovvero alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cass. Pen. Sez. III sent. 11/04/2007, n. 35222) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.06.2008 n. 25117 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: DISTANZE TRA FABBRICATI - NORMATIVA APPLICABILE – INAPPLICABILITA’ IN RIFERIMENTO AD UNA PUBBLICA VIA - PRESUPPOSTI.
…l'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall'art. 879, comma 2, c.c. per le costruzioni a confine con le piazze e vie pubbliche, vada riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, attenendo il carattere pubblico della strada -rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata- più che alla proprietà formale del bene all'uso concreto di esso da parte della collettività ….
…anche una strada privata poteva assumere una connotazione pubblicistica rilevante ex art. 879 cit. laddove essa fosse stata effettivamente asservita ad uso pubblico e tale uso avesse trovato titolo, se non in una convenzione tra i proprietari del suolo stradale e l'ente pubblico, in una protrazione di fatto del medesimo per il tempo necessario alla relativa usucapione (
Tribunale di Nola, Sez. II civile, sentenza 17.06.2008 - link a www.iussit.eu).

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di veranda in senso tecnico-giuridico - Mancanza di precarietà - Permesso di costruire - Necessità - Realizzazione di una veranda - Classificazione come intervento di manutenzione straordinaria e di restauro - Esclusione.
La realizzazione di una veranda, anche mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica od altri elementi costruttivi, non costituisce intervento di manutenzione straordinaria e di restauro, ma è opera soggetta già a concessione edilizia ed attualmente a permesso di costruire (tra le tante, Cass., Sez. III: 18.09.2007, n. 35011, Camarda; Cass., 28.10.2004, D'Aurelio; Cass., 27.03.2000, n. 3879, Spaventi). Il medesimo orientamento si rinviene nelle decisioni dei giudici amministrativi (vedi Cons. Stato, Sez. V: 08.04.1999, n. 394 e 22.07.1992, n. 67.5, nonché Cons. giust. amm. sic., Sez. riunite, 15.10.1991, n. 345). In particolare, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile.
Veranda - Natura "precaria" di un manufatto - Presupposti - Fini specifici, contingenti e limitati nel tempo - Giurisprudenza.
La natura "precaria" di un manufatto -secondo giurisprudenza costante [Cass., Sez. III: 13.06.2006, n. 20189, ric. Cavallini; 27.09.2004, n. 37992, ric. Mandò; 10.06.2003, n. 24898, ric. Nagni; 10.10.1999, n. 11839, ric. Piparo; 26.03.1999, n. 4002, ric. Bortolotti]- ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire (già concessione edilizia), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Realizzazione di una veranda in zona vincolata - Pregiudizio per l'ambiente - Art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 attualmente art. 181, c. 1, D.Lgs. n. 42/2004 - Fattispecie: realizzazione di una veranda.
Il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (già art. 1-sexies della legge n. 431/1985 ed attualmente art. 181, comma 1, del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42) è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici [vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. III: 29.11.2001, Zecca ed altro; 1.5.4.2002, P.G. in proc. Negri; 14.05.2002, Migliore; 04.10.2002, Debertol; 07.03.2003, Spinosa; 06.05.2003, Cassisa; 23.05.2003, P.M. in proc. Invernici; 26.05.2003, Sargentini; 05.08.2003, Mori; 07.10.2003, Fierro]. Fattispecie: esecuzione di una veranda ed altre opere oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonei a compromettere l'ambiente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.06.2008 n. 23086 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Atto amministrativo - Procedimento amministrativo - Comunicazione di avvio - Atto vincolato - Necessità - Non sussiste.
1. La comunicazione di avvio del procedimento non è dovuta nel caso di adozione di un atto vincolato, atteso che proprio la natura vincolata dell'atto esclude la possibilità di apporti contributivi da parte del privato tali da modificare l'esito del procedimento (il TAR dà atto anche dell'esistenza di un filone giurisprudenziale di senso contrario a quello espresso dai giudici meneghini)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.05.2008 n. 1827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Trasferimento attività - Equiparabilità all'apertura di nuova attività - Sussiste.
2. Ricorso giurisdizionale - Impugnazione N.T.A. - Mancata impugnazione concessione edilizia - Inammissibilità ricorso - Sussiste.

1. Il trasferimento di un'attività da un luogo ad un altro, dotato di una specifica destinazione urbanistica, è equiparabile all'apertura di una nuova attività nell'immobile di destinazione; inoltre, il riconoscimento della legittimità dello svolgimento dell'attività insalubre di prima classe in un luogo limitrofo, effettuato dal Giudice Amministrativo, non può legittimare il suo trasferimento in altro luogo in contrasto con le specifiche destinazioni urbanistiche ed edilizie.
2. Qualora venga impugnata una norma delle N.T.A. di un P.R.G. sulla base della quale sia stata rilasciata una concessione edilizia, ma non venga unitamente impugnata anche la concessione edilizia, il ricorso è inammissibile 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.05.2008 n. 1827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Chiusura balcone - Necessità.
La chiusura dei balconi mediante serramenti, trasforma questi spazi aperti verso l'esterno in locali chiusi, con cambio di destinazione, modifica della sagoma ed aumento della volumetria dell'immobile tali da richiedere un titolo abilitativo edilizio 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.05.2008 n. 1803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Attività edilizia - Modifiche di superficie e destinazione d'uso - Ristrutturazione edilizia - Sussistenza - Concessione edilizia - Necessità.
2. Condono edilizio ex Legge 47/1985 - Domanda - Inesatta rappresentazione della realtà su un presupposto essenziale - Ipotesi di domanda dolosamente infedele ex art. 40 L. 47/1985 - Sussiste - Silenzio assenso - Inconfigurabilità.
3. Procedimento amministrativo - Preavviso di diniego - Violazione art. 10-bis Legge 241/1990 - Illegittimità - Quando sussiste.
4. Condono edilizio ex Legge 47/1985 - Requisiti per l'ottenimento - Prova - Onere del richiedente.

1. Le opere edilizie comportanti la realizzazione di nuove unità abitative ed il mutamento di destinazione d'uso, pur se giustificate da esigenze di rinnovamento e di restauro, costituiscono ristrutturazione edilizia -e non manutenzione straordinaria- e, pertanto, necessitano di concessione edilizia; in particolare, la realizzazione di tramezzi interni, propedeutici alla realizzazione di nuovi vani, e la creazione di servizi igienici non sono riconducibili al concetto di manutenzione straordinaria.
2. Nel disciplinare la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono, gli artt. 35-40 della Legge 47/1985 indicano quale elemento in presenza del quale il silenzio assenso non può formarsi, la dolosa infedeltà della domanda; pertanto il silenzio assenso di cui all'art. 40, il quale prevede che, decorso il termine perentorio di 24 mesi dalla presentazione della domanda, la stessa si intende accolta, non si applica laddove la dichiarazione resa dalla parte in sede di presentazione della domanda di condono non sia ritenuta vera all'esito dell'istruttoria (cfr. TAR Palermo, sentenza. n. 2369/2006).
3. La violazione dell'art. 10-bis Legge 241/1990, secondo cui il diniego deve essere preceduto dal preavviso di rigetto, non produce ex se l'illegittimità del provvedimento terminale, dovendo detta disposizione essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies, il quale, laddove il ricorrente sollevi determinati vizi di natura formale, impone al Giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento impugnato (cfr. TAR Lecce., sent. n. 1385/2006; sent. n. 5633/2005).
4. Spetta a colui che richiede la sanatoria dimostrare di avere i requisiti per ottenere il provvedimento richiesto e, quindi, anche quello di provare la situazione esistente 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.05.2008 n. 1802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Inerzia P.A. - Non configurabilità - Fattispecie.
Non si può configurare l'inerzia dell'Amministrazione in ordine alla denuncia presentata dai ricorrenti relativa a presunti abusi edilizi commessi dal vicino confinante quanto tale denuncia sia meramente ripetitiva di precedenti segnalazioni rispetto alle quali il Comune ha provveduto nel merito. Né in contrario può ritenersi inadempiente l'amministrazione per il solo fatto che non ha dato risposta alla richiesta di provvedimenti specifici, atteso che oggetto del giudizio sul silenzio è l'inerzia dell'amministrazione e non le modalità di svolgimento dell'azione amministrativa
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.05.2008 n. 1801 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere di trasformazione del territorio - Interesse all'impugnazione - Legittimazione attiva - Criteri - Fattispecie.
Nelle controversie attinenti alla realizzazione di interventi edilizi, se è vero che l'ordinamento riconosce una posizione qualificata e differenziata, ai fini di impugnare i provvedimenti di assenso alla trasformazione del territorio, a tutti coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalle opere contestate, è anche vero che - in concreto - devono ritenersi titolati all'impugnativa solo i soggetti che possono lamentare una rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio, per effetto della realizzazione dell'intervento controverso.
Nel caso di specie il TAR ha ritenuto che l'interesse rappresentato dai ricorrenti, residenti nelle immediate vicinanze di aree in Milano - zona Garibaldi-Repubblica, rappresentato dal rispetto dell'assetto urbanistico ambientale ed il pregiudizio indicato nella lesione dell'interesse all'armonico sviluppo edilizio e a un controllato sviluppo del contesto urbano e dalla totale assenza di valutazione degli impatti ambientali connessi alle opere che si intendono realizzare è generico non essendo stata evidenziata la lesione effettivamente sofferta dagli stessi (vale a dire i disagi che conseguono alla realizzazione dell'intervento rispetto all'attuale assetto) e se tale lesione fosse riconducibile eziologicamente agli interventi programmati
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.05.2008 n. 1551 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: ACQUE - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Richiesta di proroga dell’autorizzazione allo scarico via fax - Efficacia – Fondamento.
Non è adeguatamente motivata l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame si limiti ad affermare l’insufficienza e la parzialità del fax come mezzo prescelto per la richiesta di proroga di autorizzazione allo scarico. Usualmente si ritiene che il mezzo prescelto (fax) implica normalmente la conoscenza o la conoscibilità del contenuto di una comunicazione, tant'è che, ad esempio, il DPR 28.12.2000 n. 45 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa) all'art. 43 u.c. contempla che "I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale" e lo stesso codice di procedura penale, allorquando ovviamente non sia contemplato il ricorso ad un atto a forma vincolata, ne contempla, sia pure a determinate condizioni, l'utilizzo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.05.2008 n. 18353 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA 1. Autorizzazione e concessione - Passo carraio - Chiusura - Legittimità - Fattispecie.
2. Autorizzazione e concessione - Passo carraio - Chiusura - Difetto di motivazione - Non sussiste - Applicabilità dell'art. 21-octies L. 241/1990.

1. E' legittimo il provvedimento con il quale l'Ente proprietario della strada dispone, al fine di consentire la realizzazione di lavori su aree pertinenziali alla strada provinciale, la chiusura di un passo carraio (accesso) utilizzato, ma non debitamente autorizzato dalla stessa Provincia e che insiste, peraltro, sul demanio provinciale.
2. Il lamentato difetto di motivazione del provvedimento di motivazione non sussiste, atteso che la motivazione sottesa alla chiusura dell'accesso è rinvenibile norme che regolamentano gli accessi attraverso i passi carrai, poste a tutela della sicurezza stradale(artt. 22 e segg. del Codice della Strada e dell'art 46 del DPR 495/1992). Né il provvedimento avrebbe potuto essere annullato ex art. 21-octies L. 241/1990 atteso che l'inderogabilità della norme in materia di distanze non poteva che portare alla chiusura del passo carraio, indipendentemente dalle eventuali osservazioni prodotte dai ricorrenti 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.05.2008 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimenti ad istanza di parte - Modificazione da parte della P.A. della qualificazione dell'istanza del privato- Illegittimità.
Nei procedimenti ad istanza di parte l'Amministrazione non può qualificare la domanda del richiedente in modo diverso rispetto a quanto rappresentato dall'istante, dando così l'avvio ad un procedimento differente, sia per quanto riguarda gli effetti che le conseguenze. Ad una domanda del privato corrisponde l'attivazione di determinate funzioni e l'esercizio di poteri tipici da parte dell'Amministrazione, non commutabili né sovrapponibili
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2008 n. 1272 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilevanti modifiche progettuali quantitative e qualitative - Variante essenziale - Sussiste- Nuova concessione edilizia - Necessità.
La concessione in variante si distingue da una nuova concessione in quanto solo nel primo caso le modifiche quantitative e qualitative sono compatibili con il disegno globale che ha ispirato il progetto originario, in modo che la costruzione stessa possa considerarsi regolata dalla prima concessione. Quando il progetto originario risulta modificato in modo rilevante, per quantità e qualità, rispetto a quello originariamente assentito, ricorre l'ipotesi della variante essenziale, per la quale è necessaria una nuova concessione edilizia
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2008 n. 1272 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Destinazione di un piazzale a deposito duraturo di autoveicoli - Comporta attività di modifica del territorio urbanisticamente rilevante - Necessità di titolo abilitativo edilizio - Sussiste.
2. Realizzazione di opere o destinazione di un'area ad usi precari - Non comporta attività di modifica del territorio urbanisticamente rilevante - Necessità di titolo abilitativo edilizio - Non sussiste.
3. Fascia di rispetto stradale - Carattere espropriativo del vincolo - Non sussiste - Carattere conformativo del vincolo - Sussiste.
4. Vincolo urbanistico - Qualificazione - Dipende dalla circostanza che il vincolo precluda o meno l'iniziativa privata - Vincolo espropriativo - Sussiste solo quando il bene viene sottratto alla disponibilità del privato.

1. Adibire un piazzale in modo duraturo al deposito di autoveicoli costituisce attività di modifica dell'assetto del territorio urbanisticamente rilevante e quindi necessitante di titolo abilitativo.
2. È irrilevante sul piano urbanistico, e rientra nel mero esercizio del diritto di proprietà, la realizzazione di opere o la destinazione di un'area ad usi precari, in quanto le opere precarie sono inidonee ad incidere sull'assetto urbanistico del territorio.
3. L'apposizione di una fascia di rispetto stradale non ha carattere espropriativo, ma rappresenta vincolo conformativo, conseguenza di una previsione generale ed astratta relativa a tutte le aree del territorio comunale che si trovino in una certa situazione.
4. Ciò che è decisivo per qualificare la natura di un vincolo urbanistico non è la quantità di facoltà dominicali incise, ma la circostanza che il vincolo non precluda del tutto l'iniziativa privata, consentendo l'utilizzazione dell'area da parte della collettività anche tramite costruzioni non di proprietà pubblica; in presenza di tali possibilità di utilizzo del bene non si può parlare di un vincolo espropriativo, perché di espropriazione in senso tecnico si può parlare solo quando il bene viene sottratto alla disponibilità del privato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.04.2008 n. 1271).

EDILIZIA PRIVATA1. Calcolo degli oneri concessori dovuti ai sensi del D.M. 10.05.1977 - Va utilizzata una distinta scheda di calcolo per ogni singolo edificio.
2. Determinazione dell'importo degli oneri concessori - Possibilità d'impugnativa della concreta determinazione soltanto per vizio di violazione di legge e non per eccesso di potere.
3. Determinazione del costo di costruzione - Art. 7 punto 2 del D.M. 10.05.1977 nel determinare l'incremento relativo a caratteristiche particolare pari al 10 per cento ricomprende la scala di servizio non prescritta da leggi o regolamenti o imposta da necessità di prevenzione di infortuni o incendi - Scala di collegamento interna - Possibile assimilabilità - Sussiste.

1. Ai sensi del D.M. 10.05.1977, nella determinazione degli oneri concessori dovuti, l'Amministrazione comunale deve adottare una distinta scheda di calcolo per ciascun edificio.
2. La controversia avente ad oggetto la determinazione dell'importo degli oneri di costruzione involge posizioni di diritto soggettivo e l'impugnazione della loro concreta quantificazione soggiace, eventualmente, al vizio di violazione di legge, ma non può soggiacere ad un vizio sintomatico dell'eccesso di potere, quale quello della contraddittorietà delle scelte operate dalla P.A..
3. L'art. 7, punto 2 del D.M. 10.05.1977 nel determinare l'incremento relativo a caratteristiche particolari indica espressamente tra le caratteristiche a cui ricondurre un incremento del 10 per cento l'esistenza di un scala di servizio non prescritta da leggi o regolamenti o imposta da necessità di prevenzione di infortuni o di incendi, a cui può essere riconducibile una scala di collegamento interna
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.04.2008 n. 1246).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio non condonato - Sanzioni ordinarie ex art. 40, L. 28.02.1985, n. 47 - Sono applicabili - Potere di controllo e sanzionatorio in materia urbanistico-edilizia e paesistica - È imprescrittibile.
Alle opere abusive che non abbiano beneficiato di "condoni" edilizi si applicano le ordinarie sanzioni (cfr. art. 40 legge 28.02.1985 n. 47), essendo imprescrittibile l'esercizio del potere di controllo e sanzionatorio in materia urbanistico-edilizia e paesistica 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.04.2008 n. 1261 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Art. 4. L. n. 47/1985 - Abuso edilizio - Ordinanza di sospensione lavori - Scadenza del termine di 45 giorni - Inefficacia del provvedimento sospensivo - Sussiste - Improcedibilità dell'impugnazione dell'ordinanza di sospensione - Sussiste.
2. Concessione edilizia - Rilascio della concessione e sua sottoscrizione - Comporta il perfezionamento del titolo - Eventuale ritiro o notifica in un momento successivo - Non rileva.
3. Concessione edilizia - Carattere recettizio - Non sussiste.
4. Titolo abilitativo edilizio rilasciato - Contrasto con la pianificazione generale sopravvenuta - Art. 31, comma 11, L. n. 1150/1942 - Potere di annullamento del titolo - Non sussiste - Decadenza con effetti ex nunc, con il limite dell'inizio dei lavori e del loro completamento nei termini di legge - Sussiste.

1. Secondo giurisprudenza unanime, la norma dell'art. 4 della legge 28.02.1985, n. 47 (trasfuso poi nell'art. 27 D.P.R. 380/2001) dev'essere interpretata nel senso che la scadenza del termine di quarantacinque giorni dall'ordine di sospensione dei lavori comporta l'inefficacia del provvedimento sospensivo adottato. Ne consegue, dal punto di vista processuale, che è improcedibile, per sopravvenuta carenza d'interesse, l'impugnazione dell'ordinanza cautelare di sospensione dei lavori abusivi, che sia successivamente divenuta inefficace per decorso del termine previsto dall'art. 4, l. 28.02.1985 n. 47, quando sia stata seguita dal provvedimento sanzionatorio definitivo, anch'esso impugnato, con la conseguente inutilità per il ricorrente dell'eventuale annullamento della precedente ordinanza.
2. Nel caso in cui la consegna del titolo abilitativo edilizio avvenga dopo molto tempo dalla sua emanazione, il momento del rilascio della concessione è quello in cui si perfeziona, con la sottoscrizione, a nulla rilevando l'eventuale ritiro o notifica in un momento successivo.
3. La giurisprudenza inserisce la concessione tra i provvedimenti la cui forza esecutiva può esprimersi senza bisogno della collaborazione dei destinatari e che, di conseguenza, producono effetti dal momento in cui si perfezionano. Tale interpretazione, sorta al fine di combattere la prassi di emanare il titolo edilizio ma di non rilasciarlo fino all'integrale pagamento degli oneri di urbanizzazione, risulta oggi confermata dall'art. 21-bis della L. 241/1990, introdotto dall'art. 14 della legge 11.02.2005 n. 15, il quale attribuisce carattere recettizio ai provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari e non ai provvedimenti ampliativi, ai quali è da ascrivere la concessione edilizia.
4. Nel caso in cui il titolo abilitativo edilizio già rilasciato si ponga in contrasto con la pianificazione generale sopravvenuta, il potere che la legge (art. 31 comma 11, L. n. 1150/1942) riconosce all'Amministrazione non è quello dell'annullamento del titolo, che può essere esercitato solo per vizi coevi al sorgere del provvedimento, ma la decadenza con effetti ex nunc, con il limite dell'inizio dei lavori e del loro completamento nei termini di legge. Ne consegue l'illegittimità dell'esercizio del potere di annullamento del titolo edilizio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.04.2008 n. 1236 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Provvedimenti repressivi di abusi edilizi assunti prima della pronuncia sulla richiesta di rilascio del titolo abilitativi -Illegittimità per violazione dell'obbligo di cui all'art. 2 della L. n. 241/1990 e succ. mod. ed int. - Sussiste.
Sono illegittimi per violazione dell'obbligo di cui all'art. 2 della L. n. 241/1990 e succ. mod. ed int., e per difetto di motivazione, i provvedimenti assunti dalla P.A. per reprimere interventi di demolizione e ricostruzione, provvedimenti che la P.A. ha notificato al privato prima di pronunciarsi sulla richiesta di quest'ultimo di autorizzazione alla predetta demolizione e ricostruzione 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.04.2008 n. 1235 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione edilizia in sanatoria - Rilascio del titolo a seguito di fatti corruttivi accertati da sentenza penale passata in giudicato - Doverosità del pagamento degli oneri di urbanizzazione ex art. 37, L. n. 47/1985 - Non sussiste, in quanto tale pagamento è parte integrante del fatto di reato.
2. Oneri di urbanizzazione - Obbligo di restituzione qualora il pagamento sia privo di causa - Sussiste - Obbligo di restituzione qualora la causa sia illecita - Non sussiste.

1. Laddove da una pronunzia in sede penale, che produce effetti di giudicato anche nel giudizio amministrativo ai sensi dell'art. 654 c.p.p., risulti che una concessione edilizia in sanatoria è stata rilasciata a seguito del pagamento di una "tangente" a favore di funzionari corrotti, sia pur previo pagamento degli oneri di urbanizzazione in conformità agli atti alterati, ai sensi dell'art. 37, L. n. 47/1985, tale pagamento è fatto costitutivo della fattispecie criminosa realizzata e parte integrante del fatto di reato. Deve, di conseguenza, escludersi qualsiasi "doverosità" di tale pagamento dolosamente infedele e volto a creare l'apparenza di una situazione lecita.
2. La restituzione degli oneri di urbanizzazione è dovuta nel caso in cui il relativo pagamento si appalesa come privo di causa cosicché l'eventuale importo versato deve essere restituito, come nell'ipotesi in cui il titolare del titolo abilitativo rinunci ad eseguire le opere o in caso di decadenza della concessione edilizia già rilasciata, intervenuta in conseguenza della non tempestiva realizzazione del progetto assentito e del sopravvenire di nuove previsioni urbanistiche che lo rendono definitivamente irrealizzabile. Diverso, invece, è il caso in cui la causa sia illecita e l'azione restitutoria sia paralizzata dall'operatività dell'art. 2035 c.c.
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.04.2008 n. 1234 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interclusione a strade soggette a servitù di pubblico transito - È illegittima - Esigenza dei requisiti del passaggio, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse e del titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico - Sussiste.
È illegittima ogni interclusione a strade, anche private o vicinali, soggette a servitù di pubblico transito. A tal fine si richiede la sussistenza dei requisiti del passaggio (esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un comunità territoriale), della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse (anche per il collegamento con la pubblica via) e del titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.04.2008 n. 1229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Richiesta di apertura di un nuovo passo carraio - Incompatibilità del passo carraio con la situazione viabilistica -Diniego - Legittimità.
L'apertura di un nuovo passo carraio va valutata non solo dal punto di vista edilizio, ma anche in relazione alla situazione viabilistica, con particolare riferimento alle condizioni di sicurezza della circolazione dell'area interessata. La valutazione di incompatibilità con la situazione della viabilità è sufficiente ex se a giustificare il diniego, indipendentemente dalla conformità edilizia del progetto 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.04.2008 n. 1228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Diniego di concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 della L.n. 47/1985 non sorretto da circostanziata motivazione - Illegittimità.
E' illegittimo il diniego di concessione in sanatoria ex art. 13 della L. n. 47/1985 non sorretto da circostanziata motivazione, esplicativa delle reali ragioni impeditive al rilascio, da individuarsi nel contrasto del progetto presentato con specifiche norme urbanistiche, esplicitamente indicate e legittimante la contrazione dello "ius aedificandi" proprio del diritto dominicale 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.04.2008 n. 1119 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Realizzazione ex novo di silos - Intervento qualificabile come nuova costruzione - Assentibilità mediante permesso di costruire - Sussiste.
2. Giustizia amministrativa - Attività amministrativa espressione di discrezionalità tecnica - Sindacabilità da parte del Giudice amministrativo - Limiti.

1. La realizzazione ex novo di silos è qualificabile come intervento di nuova costruzione assentibile, pertanto, con il permesso di costruire.
2. A fronte di attività amministrativa espressione di discrezionalità tecnica, il giudice amministrativo può censurare l'operato dell'amministrazione soltanto nel caso in cui la decisione amministrativa sia stata incoerente, irragionevole o frutto di errore tecnico 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.04.2008 n. 1111).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Valutazione da parte della P.A. della conformità dei progetti alle esigenze di ambientazione, decoro, pregi architettonici - Esaurimento al momento del rilascio della licenza - Sussiste -Limiti- Autotutela - Ammissibilità.
2. Limitazione dello jus aedificandi - Legittimità - Limiti.
3. Provvedimenti di autotutela - Obbligo di motivazione del preminente interesse pubblico - Sussiste - Revoca di un provvedimento rilasciato in base alla falsa rappresentazione della realtà materiale - Preminente interesse pubblico deve ritenersi sussistente in re ipsa - Obbligo di motivazione - Non sussiste.
4. Provvedimento di revoca di una licenza edilizia assentita ex art. 7 della L. n. 94/1982 in assenza degli adempimenti di cui all'art. 8 della medesima legge - Illegittimità.

1. Il potere di valutare la conformità dei progetti di costruzione alle generali esigenze di ambientazione, decoro, pregi architettonici, razionalità ecc., si esaurisce al momento del rilascio della licenza, a meno che non si riscontri la violazione di una specifica normativa o di una valida prescrizione urbanistica edilizia, nel qual caso è facoltà della Pubblica Amministrazione valutare l'esistenza o meno dei presupposti per l'annullamento in autotutela della concessione.
2. Lo jus aedificandi di cui è titolare il proprietario del suolo non può che essere sacrificato in relazione a precisi limiti imposti dalla legge o dalla pianificazione urbanistica vigente e non certo con valutazioni di mera opportunità che non possono in nessun modo affievolire una facoltà propria del diritto dominicale.
3. Anche in materia edilizia i provvedimenti di autotutela debbono essere motivati con la sussistenza di un preminente interesse pubblico, in particolare quelli di revoca, in considerazione dell'assenza di un vizio di legittimità sottostante questo tipo di atti, basati invece su ragioni di opportunità, ad eccezione dell'ipotesi di revoca del titolo abilitativo rilasciato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, in tale ipotesi il preminente interesse pubblico deve ritenersi sussistente in re ipsa.
4. E' illegittimo il provvedimento di revoca di una licenza edilizia assentita ex art. 7 della L. n. 94/1982, senza che tale provvedimento sia stato preceduto dagli adempimenti di cui all'art. 8 della medesima legge 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.04.2008 n. 1108 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Bonifica dell'area - Ordinanza di rimessione in pristino o di rimozione - Presupposti - Criterio generale della inesigibilità - Art. 14 D. L.vo n. 22/1997 oggi art. 192 c. 3° D. L.vo n. 152/2006 - Fattispecie.
Ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997, ora sostituito dall'articolo 192 comma terzo decreto legislativo n. 152 del 2006, il proprietario o il possessore dell'area, era ed é tenuto a bonificare l'area solo se a suo carico sia configurabile quanto meno la colpa (Cfr. Consiglio di Stato sez. V 02/04/2001 n. 1904, Cass. sez. III, 02/07/1997, Gargani: Cass. 23/03/1998 Fiacco; Cass. 01/07/2002, Ponzio).
Pertanto, non può essere destinatario di un'ordinanza di rimessione in pristino o di rimozione ex articolo 14 citato, con sanzione penale in caso d'inosservanza, un soggetto se non viene individuato a suo carico quanto meno un profilo di colpa, per omessa recinzione del suolo, per omessa denuncia all'autorità, ecc, altrimenti si configurerebbe una responsabilità oggettiva. Nella specie, poiché la legittimità dell'ordinanza non è stata contestata e non è stata contestata neppure con la memoria difensiva, si deve presumere che sia stata accertata quanto meno la colpa del destinatario dell'ordinanza stessa, ovvero l'esistenza di una posizione di garanzia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.04.2008 n. 14747 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA Delibera comunale di revisione delle tariffe relative agli oneri di urbanizzazione - Costituisce atto generale la cui capacità lesiva diventa attuale quando viene rilasciato il titolo edilizio - Possibilità di impugnazione della delibera di revisione delle tabelle tariffarie unitamente al titolo edilizio - Sussiste.
La delibera comunale di revisione delle tariffe relative agli oneri di urbanizzazione costituisce un atto generale la cui capacità lesiva diventa attuale in sede di effettiva applicazione, ovvero quando viene rilasciato il titolo edilizio: in quest'ultima sede, infatti, l'interessato subisce la lesione a fronte della quale potrà tutelarsi attraverso l'impugnazione del titolo edilizio unitamente alle tabelle tariffarie
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.04.2008 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Violazioni paesaggistiche - Reato di pericolo - Sanzione applicabile - Art. 1-sexies L. n. 431/1985 (poi art. 163, D.Lgs. n. 490/1999 ed ora art. 181 D.Lgs. n. 42/2004).
Il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (già art. 1-sexies della legge n. 431/1985 ed attualmente art. 181, comma 1, del D.Lgs. 22.01.2004, n. 42) è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non e necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici. [Cass., Sez. III: 29.11.2001, Zecca ed altro; 15.04.2002, P.G. in proc. Negri; 14.05.2002, Migliore; 04.10.2002, Debertol; 07.03.2003, Spinosa; 06.05.2003, Cassisa; 23.05.2003, P.M. in proc. Invernici; 26.05.2003, Sargetitini; 05.08.2003, Mori; 07.10.2003, Fierro].
Sicché, l'unica sanzione applicabile alle violazioni dell'art. 1-sexies della legge n. 431/1985 (poi art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 ed ora art. 181 del D.Lgs. n. 42/2004), qualunque sia la condotta violatrice concretamente accertata, è quella fissata dalla lettera c) dell'art, 20 della legge n. 47/1985, attualmente riprodotta dall'art. 44, l° comma, lettera c), del T.U. 06.06.2001, n. 380, (Cass., Sez. III, 28.02.2001, n. 8359, Giannone; 15.06.2001, n. 30866, Visco ed altro; Cass. 22.11.2002, n. 4263, Ferrari; Cass., 06.12.2002, n. 5432, Parrìnello; Cass., 31.01.2003, n. 12001, Venturi; Cass., 09.04.2003, n. 24775, Messina; Cass., 20.06.2006, Bol.).
Zone paesisticamente vincolate - Interventi in genere - Disciplina ex art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004.
Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita -in assenza dell'autorizzazione già prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004- ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi (con le deroghe eventualmente individuate dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5° comma - lett. b, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché ad eccezione degli interventi previsti dal successivo art. 149 e consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia).
Nuove costruzioni in aree vincolate - Sanatoria - Esclusione - Art. 32 del D.L. n. 269/2003.
Non sono suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, le nuove costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (Cass., Sez. III, 12.01.2007, n. 6431; Sicignano ed altra; 05.04.2005, n. 12577, Ricci; 01.10.2004, n. 38694, Canu ed altro; 24.09.2004, n. 37865, Musio). Nella specie è stato accertata, l'esecuzione di opere costituenti "vere e proprie addizioni edilizie di notevole entità".
Violazioni paesaggistiche - Interventi di restauro e risanamento conservativo - Natura e limiti - Fattispecie.
L'art. 3, 1° comma - lett. c), del T.U. n. 380/2001 [con definizione già fornita dall'art. 31, 1° comma - lett. c), della legge n. 457/1978] identifica gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che -nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso- ne consentano destinazioni d'uso con esso compatibili'. Tali interventi, in particolare, possono comprendere:
- il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio;
- l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso;
- l'eliminazione di elementi estranei all'organismo edilizio.
La finalità é quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata -poiché si tratta pur sempre di conservazione- nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali".
Per contro, ne deriva che non possono essere mutati:
- la "qualificazione tipologica" dei manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie;
- gli "elementi formali" (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l'immagine caratteristica di esso;
- gli "elementi strutturali", cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell'organismo edilizia.
Nella fattispecie in esame, invece, non é stata ravvisata un'attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti dianzi delineati, bensì la realizzazione di nuovi manufatti, con stravolgimento di elementi tipologici e formali (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.04.2008 n. 14333 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Lottizzazione abusiva - Configurabilità del reato - Art. 42, 4° c., cod. pen..
Il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, risulta ad evidenza contraddittorio escludere (alla stessa stregua di quanto pacificamente ritenuto per la contravvenzione di esecuzione di lavori in assenza o in totale difformità dalla concessione edilizia) che la contravvenzione medesima, sia negoziale che materiale, possa essere commessa per colpa (Cassazione Sezioni Unite sentenza 28.11.2001, Salvini; Cass., Sez. III, 01.07.2004, Lamedica ed altri; 11.05.2005, Stiffi ed altri).
Pertanto, non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42, 4° comma, cod. pen., restando ovviamente esclusi i casi di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 cod. pen. secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte Costituzionale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.04.2008 n. 14326 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Poste condannate a risarcire un’impresa per il tardivo recapito dell’offerta.
Il Tribunale di Lecce ha condannato la società Poste Italiane S.p.A. a pagare 60 mila euro ad una impresa che era stata esclusa da una gara indetta da un comune della Regione Puglia per aver recapito l’offerta oltre il termine ultimo previsto dal bando (Tribunale di Lecce, Sez. II civile, sentenza 28.03.2008 n. 640 - link a www.altalex.com).

APPALTI: Accesso agli atti di gara anche per chi poteva ma non ha partecipato.
La giurisprudenza è unanime nel ritenere che la necessità del presupposto indicato con l’espressione “tutela degli interessi”, nel caso, non debba essere inteso solo come finalizzazione dell'accesso ad un ricorso giurisdizionale o ad una citazione, ma secondo un nesso inscindibile tra i documenti richiesti e la verifica della eventuale lesione di un proprio interesse qualificato. Per tale motivo, mentre da un lato è escluso l’accesso a meri fini ispettivi, dall’altro esso è ammesso anche quando il richiedente non assume di volere verificare un preciso e determinato vizio degli atti al fine della impugnativa, ma solo prospetti il proprio interesse, purché concreto e qualificato, alla regolarità della procedura in questione.
L’interesse della richiedente deve essere giudicato tenendo conto che essa è una partecipante alla gara stessa, vale a dire è un operatore del settore con un interesse concreto e specifico a quella determinata gara, al quale la giurisprudenza, come è noto, ha riconosciuto ormai una molteplicità di interessi. Oltre a quello tradizionale alla legittimità e regolarità della gara cui partecipa, anche alla demolizione della gara stessa quando ciò conduca alla non aggiudicazione del contratto ed alla sua ripetizione. Si è osservato, infatti, che la ripetizione della gara da cui l’interessato sia stato legittimamente escluso o non abbia partecipato, gli attribuisce nuove opportunità di partecipazione, anche alla luce di eventuali modifiche del bando, e comunque è conforme anche all’interesse pubblico all’annullamento di una gara, nella ipotesi, illegittima.
L’esistenza di veri diritti alla riservatezza ed alla segretezza specifici, derivanti da brevetti, privative o altro, costituiscono delle evidenti eccezioni al principio, non tanto del diritto all’esercizio congiunto di visione ed estrazione, quanto al diritto di accesso in sé. In tali casi, ovviamente, rimane integro il potere, che è anche un dovere, della P.A. di rifiutare l’accesso a determinati documenti, opportunamente motivando sulla esistenza di un impedimento legale, ma non certo di una valutazione discrezionale circa l’opportunità della comunicazione ad altri di dati o situazioni sulla comparazione dell’interesse circa l’estrazione di copie. Null’altro vuole significare l'articolo 13, comma quinto del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, il quale ... fa riferimento, appunto, a veri e propri segreti e non a generiche informazioni riservate proprie di ciascuna impresa, e per altro con la significativa eccezione di cui al comma sesto dello stesso articolo
(Consiglio di Giustizia Amministrativa, Sez. giurisdizionale Sicilia, sentenza 05.12.2007 n. 1087 - link a www.altalex.com).

AGGIORNAMENTO AL 15.09.2008

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dossier BOX

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione dei parcheggi “anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti” è possibile solo nel caso di necessaria preesistenza dell’edificio residenziale, a servizio del quale il parcheggio dovrebbe essere destinato.
La realizzazione dei parcheggi “anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti” è possibile, in considerazione del persistente orientamento giurisprudenziale, nel caso di necessaria preesistenza dell’edificio residenziale, a servizio del quale il parcheggio dovrebbe essere destinato (TAR Liguria, Sez. I n. 310 del 18.03.2002; TAR Basilicata, n. 169 del 19.02.2003; TAR Lombardia, Milano, sez. II n. 115 del 23.01.2003; Cons. Stato, sez. V, n. 5676 del 24.10.2000).
In particolare, il Collegio rileva che la modifica normativa disposta dall'art. 17, comma 90, l. 15.05.1997, n. 127 non contiene alcun elemento che possa indurre a ritenere l’applicabilità dell’art. 9 in esame ai nuovi fabbricati, mentre la giurisprudenza da ultimo citata (Cons. Stato, sez. V, n. 5676 del 24.10.2000) ha avuto modo di precisare che l'art. 9 l. 24.03.1989 n. 122, non può riguardare le concessioni edilizie rilasciate per realizzare edifici nuovi, per i quali provvede, invece, il precedente art. 2 comma 2, che, nel sostituire l'art. 41-sexies l. 17.08.1942 n. 1150, stabilisce l'obbligo di riservare appositi spazi per parcheggi di misura non inferiore a 1 mq. per ogni 10 mq. di costruzione
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 22.04.2004 n. 702 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9 della l. n. 122/1989 si applica esclusivamente all’ipotesi di fabbricati preesistenti all’entrata in vigore della L. 24.03.1989, n. 122.
La giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente, e persuasivamente, chiarito (cfr., tra le tante, Cons. Stato, V Sez., n. 1185 del 27.09.1999 e n. 621 del 03.06.1996; TAR Veneto 12.05.2000, n. 1007; TAR Lombardia 22.03.1999, n. 870; TAR Toscana, III Sez., 04.02.1998, n. 16) che l'art. 9 della l. n. 122/1989 si applica esclusivamente all’ipotesi di fabbricati preesistenti, e non può pertanto trovare applicazione per la realizzazione di garages a servizio di edifici nuovi (cioè di quelli costruiti dopo l’entrata in vigore della citata L. 24.03.1989, n. 122).
Ciò è dimostrato non solo dalla stessa formulazione del primo comma della norma in esame, il quale riferendosi ai “..proprietari di immobili..” , attribuendo loro la facoltà di realizzare i nuovi parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici, intende evidentemente consentire la deroga stessa solo in favore degli immobili già esistenti, ma anche dal successivo terzo comma della disposizione medesima che prescrive la necessaria approvazione, ai fini di cui trattasi, da parte dell’assemblea di condominio (salvo che si tratti di proprietà non condominiale).
La ratio della normativa di favore contenuta nel richiamato art. 9 è, evidentemente, quella di dotare gli immobili (già esistenti) di più ampi spazi per parcheggi.
Laddove, per le nuove costruzioni da realizzare, la medesima finalità è stata invece perseguita a mezzo del precedente art. 2, comma 2°, della L. n° 122/1989 che, modificando la originaria misura (pari a un metro quadrato di spazio per parcheggi per ogni 20 metri cubi di costruzione) indicata dall’art. 41-sexies della L. n° 1150/1942, ha fissato il rapporto in misura pari a un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione
(TAR Basilicata, sentenza 19.02.2003 n. 169 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa deroga (eccezionale) della Tognoli non è applicabile in zona agricola.
L’art. 9 legge n. 122/1989, introducendo una deroga alla disciplina urbanistica, deve considerarsi norma di carattere eccezionale e come tale deve essere interpretata con specifico riferimento alla finalità perseguita dalla legge citata (risoluzione dei problemi relativi ai parcheggi nelle aree urbane); conseguentemente l’operatività della stessa non può ritenersi estesa anche alle zone agricole (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 06.09.2002 n. 5229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI box in deroga (legge Tognoli) sono solo quelli costruiti totalmente al di sotto del piano di campagna naturale e non quelli artificialmente interrati per effetto del riporto di terra.
La possibilità di realizzare parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari "anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti", consentita dall'art. 9 cit., costituisce disposizione a carattere eccezionale da interpretarsi nel suo significato strettamente letterale ed in considerazione delle finalità della legge nel cui contesto risulta inserita (cfr. ad es. TAR Toscana, sez. III, 19.12.2000, n. 2533); inoltre, se per un verso il medesimo art. 9 cit., nel consentire la costruzione di parcheggi, da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, nel sottosuolo degli immobili o nei locali siti al piano terreno anche in deroga alla vigente disciplina urbanistica, concerne i soli fabbricati già esistenti (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 24.10.2000, n. 5676), per un altro i parcheggi pertinenziali in oggetto, da costruire appunto in deroga nei termini predetti, sono solo quelli costruiti totalmente al di sotto del piano di campagna naturale e non quelli (come nel caso de quo) artificialmente interrati per effetto del riporto di terra (cfr. ad es. TAR Piemonte sez. I, 11.03.1999, n. 139) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.03.2002 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa deroga della Tognoli è applicabile nelle sole aree urbane.
La possibilità di realizzare parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari "anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti", consentita dall'art. 9 L. n. 122 del 1989 (c.d. "Legge Tognoli"), costituisce disposizione a carattere eccezionale da interpretarsi nel suo significato strettamente letterale ed in considerazione delle finalità della legge nel cui contesto risulta inserita. Pertanto, tale articolo è applicabile alla costruzione di spazi parcheggio nelle sole aree urbane, mentre la realizzazione di parcheggi in aree extraurbane resta soggetta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie necessitando della normale concessione edilizia (TAR Toscana, sentenza 19.12.2000 n. 2533).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di box in deroga riguarda unicamente i fabbricati preesistenti alla data di entrata in vigore della l. n. 122/1989.
Le disposizioni ex art. 2 e 9, L. 24.03.1989 n. 122, in materia di realizzazione di parcheggi nel sottosuolo di edifici preesistenti o nei locali siti al piano terreno di questi ultimi, anche in deroga allo strumento urbanistico, possono concernere esclusivamente fabbricati già esistenti -all'evidente scopo di adeguare la struttura alle finalità della L. n. 122 del 1989, qualora essa sia carente sotto il questo profilo- ma non anche gli edifici in costruzione, i quali già "ab initio" devono esser progettati in coerenza con tali finalità.
Gli artt. 2 e 9 L. 24.03.1989 n. 122 distinguono e regolano con chiarezza l'intervento di apprestamento di spazi per parcheggi con riguardo, rispettivamente, alle costruzioni successive all'entrata in vigore della legge ed agli edifici preesistenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.09.1999 n. 1185).

EDILIZIA PRIVATASul rapporto cubatura/parcheggi.
Il rapporto tra gli spazi destinati a parcheggi e la cubatura della costruzione, ai sensi della L. 24.03.1989 n. 122, trova applicazione non solo per le nuove costruzioni ma anche per gli interventi di ristrutturazione consentiti dal Piano di Recupero e nei limiti in cui quest'ultimo richiama lo standard previsto dalla legge urbanistica (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.12.1998 n. 1859).

dossier D.I.A.

EDILIZIA PRIVATANel caso in cui l’opera edilizia richiesta con d.i.a. non sia conforme alle disposizioni prescritte per la sua realizzazione il Comune può intervenire solo con un atto di autotutela, analogo a quello che sarebbe possibile adottare per rimuovere un’autorizzazione espressa.
In merito all’adozione di un provvedimento inibitorio dell’efficacia della d.i.a., è sufficiente ricordare che, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, della legge 241/1990, come sostituito dall’articolo 3 del d.l. 35/2005, convertito in legge 80/2005 “L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione (…) adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni”.
La giurisprudenza più recente (cfr. TAR Liguria, I, 19.03.2008, n. 418; TAR Campania, Napoli, II, 07.03.2008, n. 1167; TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 02.10.2007, n. 2253; Tar Basilicata, 12.07.2007, n. 502; TAR Abruzzo, Pescara, 19.09.2005, n. 498) ritiene che con la nuova formulazione della legge 241/1990, anche la “denuncia” (oggi “dichiarazione”) di inizio attività in materia urbanistico-edilizia sia stata ridisciplinata nel senso che, ove non sia stata interdetta nei termini l’esecuzione dell’opera, l’amministrazione, nel caso in cui l’opera edilizia non sia conforme alle disposizioni prescritte per la sua realizzazione, può intervenire sulla situazione così determinatasi –e cioè rimuovere gli effetti dell’atto abilitativo tacito formatosi per effetto del decorso del termine- solo con un atto di autotutela, analogo (anche per quanto riguarda i presupposti ed il modus procedendi) a quello che sarebbe possibile adottare per rimuovere un’autorizzazione espressa.
In altri termini, una volta formatosi il titolo edilizio conseguente alla d.i.a., l'intervento in autotutela dell'Amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento (cfr. TAR Sicilia, Catania, I, 09.01.2008, n. 74) (TAR Umbria, sentenza 29.08.2008 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAÈ inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990.
La denunzia di inizio attività costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento, sul quale la PA svolge un'eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell'effettivo svolgimento dell'attività) del titolo legittimante l'inizio dei lavori: titolo, il cui consolidamento non comporta, però, che l'attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, con la conseguenza che anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l'Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall'ordinamento (cfr. CdS, IV, 30.06.2005 n. 3498).
In tale contesto, pertanto deve ammettersi, per il principio di economia dei mezzi giuridici, la facoltà dell'Amministrazione di inibire i lavori non iniziati anche dopo l'avvenuto consolidamento del titolo.
Nella specie, la diffida a non iniziare i lavori coincide con l’ordine motivato di non effettuare i lavori di cui alla disciplina della denunzia di inizio di attività.
Conseguentemente, l’ordine-diffida di non iniziare i lavori non corrisponde all’atto di diniego di una istanza di parte di provvedimento favorevole e quindi non deve essere preceduto da preavviso di rigetto.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, atteso che la dia è provvedimento (implicito) di tipo favorevole al privato, mentre è negativo (ma non è a rigore un rigetto della istanza) il successivo atto di diffida a non agire; inoltre, il preavviso per l’ordine di non eseguire costituirebbe una non giustificata duplicazione del medesimo, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso.
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale (favorevole), a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma una sorta di autoamministrazione, secondo alcuni, di autorizzazione implicita (positiva) di natura provvedimentale per altra ricostruzione, che può essere succeduta da ordine (negativo) di non iniziare i lavori o può essere contestata dal terzo.
L’ordine di non iniziare i lavori, per come ristretto nei suoi tempi procedimentali, non coincide con la ipotesi di provvedimento (negativo) su istanza di parte di provvedimento positivo; pertanto, a tale diffida-ordine non si applica l’istituto del c.d. preavviso di rigetto (non trattandosi di rigetto in senso proprio).
L'istituto del preavviso di rigetto trova applicazione solo nell'ipotesi di adozione di un provvedimento negativo sull'istanza (di provvedimento positivo) presentata dal privato e non nel caso di presentazione di denunzia di inizio di attività e successivo ordine o diffida a non iniziare i lavori.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, atteso che l'onere del preavviso di diniego è incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso.
Per completezza, vale ricordare, anche se non rilevante nella specie, il principio evocato dall’appellante comune, secondo cui in ogni caso la violazione dell'art. 10-bis l. 07.08.1990 n. 241, non produce ex se l'illegittimità del provvedimento terminale, dovendo la disposizione sul c.d. preavviso di diniego essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies della citata l. n. 241 del 1990, secondo cui, laddove il ricorrente sollevi determinati vizi di natura formale, è imposto al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e, quindi, di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.09.2007 n. 4828 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli effetti della d.i.a. decorrono dopo 30 giorni dalla presentazione della stessa e la relativa legittimità resta subordinata alla permanenza delle condizioni normative esistenti al tempo della sua presentazione.
Gli effetti della d.i.a. -consistenti nel dare libero corso all’attività edilizia denunciata dall’interessato e non interdetta dall’Amministrazione- decorrono dopo trenta giorni dalla presentazione della denuncia e la legittimità della d.i.a. resta subordinata alla permanenza delle condizioni normative esistenti al tempo della sua presentazione.
Ne consegue che le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del trentesimo giorno dalla presentazione della denuncia stessa.
D’altronde, se l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche può comportare la decadenza del permesso, caducando un titolo già formato (quando i lavori non sono stati ancora iniziati e purché vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio: cfr. art. 15, quarto comma, d.p.r. 06.06.2001 n. 380), non v’è ragione perché esse non producano effetti nella fase antecedente in cui il titolo è ancora in corso di formazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.03.2006).

EDILIZIA PRIVATA: Sui poteri comunali decorsi i 30 gg. dalla presentazione della D.I.A..
Anche dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio.
E per esercitare tale potere non ha bisogno di annullare in via di autotutela un precedente atto di assenso che non vi è stato, avendo l'interessato intrapreso i lavori a proprio rischio e pericolo. L'omesso controllo nel termine di 30 giorni dalla denuncia di attività rileva solo sotto il profilo della responsabilità per danni, per non avere tempestivamente impedito lavori che non erano legittimi, ma non vale certo a legittimare tali lavori ove questi siano in contrasto con la normativa.
E tra i poteri di intervento rientra in primo luogo la “diffida dal proseguire i lavori” la quale, non risultando i lavori stessi ultimati (si ricordi che, a norma dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001, “l'interessato è comunque tenuto a comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori”), può qualificarsi, ad avviso del Collegio, come ordine di sospensione dei lavori, ai sensi del comma 3 dell’art. 27 dello stesso D.P.R.; ordine, al quale, ove le successive risultanze istruttorie confermino l’accertamento negativo posto a base dello stesso, dovranno poi seguire i provvedimenti definitivi, di cui agli artt. 28 e ss. del medesimo testo unico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.06.2005 n. 3498 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nella presentazione della d.i.a. il Comune deve considerare la normativa urbanistica vigente allo scadere del 30° giorno.
E' giurisprudenza costante che l’Amministrazione conservi il potere di provvedere quando la d.i.a. sia stata presentata al di fuori dei presupposti o in violazione delle prescrizioni urbanistiche. L'Amministrazione, anche una volta decorso il termine di trenta giorni di cui all'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, può esercitare il suo generale potere di controllo sulle attività di trasformazioni edilizie del territorio -per il quale l'art. 27 comma 1 d.P.R. n. 380 del 2001 non prevede alcun termine di decadenza, sia quando le opere in corso o realizzate non corrispondano a quelle oggetto della Denuncia Inizio Attività, sia quando le opere non possono essere realizzate con una semplice d.i.a. perché richiedono il permesso di costruire: infatti, il suddetto termine di trenta giorni è previsto solo per la verifica della sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, ma non può certo essere riferito al generale potere di controllo sulle attività di trasformazioni edilizie del territorio, previsto dall'art. 27, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, né al generale potere di agire in via amministrativa a tutela dei diritti demaniali e di uso pubblico (TAR Campania Napoli, sez. IV, 02.12.2004, n. 18030).
Poiché la denuncia di inizio attività configura una fattispecie a formazione progressiva, nella quale alla dichiarazione del privato conseguono effetti successivamente al decorso del tempo e alla inerzia della Amministrazione, è solo al compimento del trentesimo giorno che si verifica il perfezionamento di detta fattispecie. La denunzia di inizio d'attività (DIA) costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire ed è ad esso sostitutiva e produttiva d'effetti decorso il termine di trenta giorni dalla sua presentazione (Tar Marche n. 58 del 03.02.2004).
Poiché la produzione degli effetti tipici si verifica al trascorrere del trentesimo giorno dalla presentazione, l’Amministrazione deve considerare la normativa vigente a tale data.
L’articolo 39 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, disciplinando l’annullamento del permesso di costruire da parte della Regione, prevede al comma 5-bis introdotto dal D.Lgs. 27.12.2002, n. 301 che il potere regionale di annullamento dei provvedimenti autorizzatori edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi si applichi anche agli interventi edilizi soggetti a denuncia di inizio attività non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza n. 72/2005).

dossier SPORTELLO UNICO ATTIVITA' PRODUTTIVE

EDILIZIA PRIVATA: La proposta di variante dello strumento urbanistico, formulata dalla conferenza dei servizi ai sensi dell’art. 5 DPR 447/1998, non è vincolante per il Consiglio comunale.
La proposta di variante dello strumento urbanistico formulata ai sensi dell’art. 5 DPR 447/1998 al fine di favorire e semplificare la realizzazione di una struttura in zona tipizzata diversamente, non è vincolante per il Consiglio comunale, il quale deve valutare autonomamente se aderire o meno alla stessa (in tal senso, C. Stato, IV, 27.06.2007, n. 3772).
E’ vero, però, che la particolarità della fattispecie e dell’andamento del procedimento amministrativo pur non determinando in capo all’interessato né posizioni già favorevoli né tantomeno di affidamento alla conclusione positiva del medesimo, pur tuttavia, dal punto di vista procedimentale, imponeva e impone al Consiglio Comunale –pur libero nelle sue determinazioni– un ispessimento del già generale dovere di adeguata motivazione, che non può dirsi soddisfatto attraverso una motivazione che richiama per relationem atti di indirizzo in sé generici, inoltre non pienamente pertinenti e non confacenti alla fattispecie.
In mancanza, altrimenti, viene vulnerato il senso del dovere di adeguata motivazione, che è quello di consentire alla parte privata di poter ripercorrere l’iter logico-intellettivo seguito dalla amministrazione ai fini della emanazione dell’atto di diniego (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 4110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Anche un nuovo distributore di carburanti può essere realizzato mediante lo sportello unico in variante al P.R.G..
Gli impianti di carburante, in ragione della loro natura, sono regolati da disciplina autonoma e differenziata rispetto a quella concernente i centri commerciali cui eventualmente possano accedere, sicché in ogni caso l’apertura di un impianto precedentemente non esistente in un centro commerciale costituisce nuovo impianto.
Ciò non esclude che si possa per tali impianti seguire il procedimento semplificato di cui agli artt. 4 e 5 del DPR n. 447/1998 (Regolamento recante norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l’ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l’esecuzione di opere interne nonché per la determinazione di aree destinate agli insediamenti produttivi) in quanto anch’essi rientrano nell’ambito di applicazione di tale Regolamento. Peraltro, tale disciplina attiene alla localizzazione degli impianti, restando ferme le ulteriori disposizioni previste dalla normativa specifica di settore e, in particolare, dal Piano carburanti del Comune (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.12.2007 n. 6157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La variante dello strumento urbanistico, mediante l'attivazione dello sportello unico per le attività produttive, non è atto dovuto, ma costituisce, piuttosto, oggetto di esercizio di poteri discrezionali, che devono comparare l'interesse alla realizzazione dell'opera (o alla realizzazione dell’insediamento produttivo) con molteplici altri interessi, quali quello urbanistico, edilizio, paesistico, ambientale.
Per quel che concerne l’ampiezza delle prerogative comunali e regionali in sede di valutazione delle proposte progettuali ex art. 5, d.P.R. 447 del 1998, la consolidata giurisprudenza amministrativa ha sempre ribadito il principio secondo cui sia la concessione in deroga, sia la variante dello strumento urbanistico, non sono atti dovuti, ma costituiscono piuttosto oggetto di esercizio di poteri discrezionali, che devono comparare l'interesse alla realizzazione dell'opera (o alla realizzazione dell’insediamento produttivo) con molteplici altri interessi, quali quello urbanistico, edilizio, paesistico, ambientale. Ad avviso del TAR, i presupposti per l’operatività del richiamato art. 5 –vale a dire: a) la sussistenza di un contrasto tra il progetto presentato e lo strumento urbanistico vigente; b) l’insussistenza e/o insufficienza di aree a tal fine individuate; c) la conformità del progetto alle vigenti norme in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza sul lavoro- costituiscono condizione minima necessaria ma non sufficiente per poter consentire la realizzazione del richiesto intervento, ferma restando in capo agli Organi decidenti un’ampia discrezionalità sulla possibilità di prestare il proprio eventuale assenso.
La determinazione della conferenza dei servizi, nell’ambito del particolare procedimento di cui all'art. 5 D.P.R. 20.10.1998, n. 447, rappresenta un peculiare atto di impulso (proposta) dell’autonomo procedimento (di natura esclusivamente urbanistica) volto alla variazione del vigente piano regolatore, rientrante nelle normali ed esclusive attribuzioni dell’ente locale che, attraverso i suoi uffici indice la conferenza dei servizi. Come la giurisprudenza della Sezione ha chiarito anche di recente (cfr. Sez. IV, 30.09.2005, n. 5205; 14.04.2006, n. 2170), da un lato, tale proposta di variazione dello strumento urbanistico assunta dalla Conferenza dei servizi non è certamente vincolante per il Consiglio comunale, il quale deve autonomamente valutare se aderire o meno alla stessa; dall’altro, qualora l’esito della conferenza dei servizi sia in qualunque modo sfavorevole al privato richiedente e dunque si risolva nel diniego di approvazione del proposto progetto in variante allo strumento urbanistico, tale esito assume valore ostativo alla prosecuzione del procedimento amministrativo, mancando in tale ipotesi l’atto d’impulso, strumentale alle determinazioni di competenza del Consiglio comunale (v. Cons. St., IV, 07.05.2004, n. 2874 ). Realizzandosi, dunque, l’evenienza da ultimo sopra ipotizzata, la distinta procedura, di competenza del Consiglio comunale, specificamente connessa alla prima e destinata alle definitive valutazioni relative alle conseguenze urbanistiche e di sicurezza pubblica dal progetto in variante allo strumento urbanistico, neppure viene attivata, mancando l’atto di iniziativa rappresentato dalla “proposta” approvata dalla Conferenza dei servizi. Si tratta, all’evidenza, di una procedura di approvazione di varianti chiaramente derogatoria rispetto a quella ordinaria contemplata nella normativa vigente, nell’ambito della quale resta fermo il potere discrezionale delle amministrazioni competenti di approvare o meno la proposta di variante (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.10.2007 n. 5471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 37 dell'11.09.2008, "Testo coordinato della l.r. 5 ottobre 2004, n. 24 «Disciplina per la razionalizzazione e l'ammodernamento della rete distributiva dei carburanti»" (testo coordinato L.R. 05.10.2004 n. 24 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 33 dell'11.08.2008, "Criteri e norme tecniche per la presentazione della comunicazione per l'utilizzazione agronomica  - D.g.r. n. 5868/2007 (titolo III, capo VI e VII dell'allegato 1. e titolo V, capo VIII e IX dell'allegato 2.) - Iter per l'avvio del procedimento" (decreto D.G. 22.07.2008 n. 8115 - link a www.infopoint.it).

APPALTI: G.U.U.E. 15.03.2008 n. L. 74/1 "Regolamento (CE) n. 213/2008 della Commissione, del 28 novembre 2007, recante modifica del regolamento (CE) n. 2195/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al vocabolario comune per gli appalti pubblici (CPV) e delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relative alle procedure per gli appalti pubblici, per quanto riguarda la revisione del CPV" (in applicazione dal 15.09.2008) (regolamento (CE) n. 213/2008 della Commissione del 28.11.2007 - link a http://eur-lex.europa.eu).

NEWS

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Commissioni paesaggio: nuovi criteri per gli Enti Locali ai sensi del D.lgs. 63/2008.
In data 06.08.2008 la giunta regionale ha approvato la DGR n. VIII/7977 avente per oggetto: "Esercizio delle funzioni paesaggistiche. Determinazione in merito alla verifica della sussistenza dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnico-scientifica stabiliti dall'art 146, comma 6 del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42" (link a www.regione.lombardia.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Lombardia, Piani di Indirizzo Forestale: criteri e procedure per la loro redazione e approvazione.
Ecco le modalità per a redazione dei Piani di Indirizzo Forestale previsti dalla l.r. 27/2004 (link a www.agricoltura.regione.lombardia.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZIUn provvedimento amministrativo il cui contenuto sia in contrasto con disposizioni comunitarie, non può essere disapplicato dall’amministrazione, sic et simpliciter, ma deve essere rimosso con il ricorso ai poteri di autotutela.
Un provvedimento amministrativo, nel caso di specie, di affidamento della gestione del servizio idrico integrato, il cui contenuto sia in contrasto con norme o principi comunitari, non può essere disapplicato dall’amministrazione, sic et simpliciter, ma deve essere rimosso con il ricorso ai poteri di autotutela di cui la stessa amministrazione dispone. L’esercizio di tali poteri, peraltro, deve ritenersi soggetto, anche in questi casi, ai principi che sono a fondamento della legittimità dei relativi provvedimenti, rappresentati dalla contemporanea presenza di preminenti ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, se si tratta di situazioni consolidate o di atti che abbiano determinato un legittimo affidamento in coloro che ne sono interessati, e dalla osservanza delle garanzie che l’ordinamento appresta per i soggetti incisi dall’atto di autotutela, prima fra tutte quella di consentire ai soggetti interessati di partecipare al relativo procedimento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2008 n. 4263 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla possibilità per una società in nome collettivo di partecipare ad una gara per affidamento di un servizio pubblico.
Sulla legittimità del comportamento della commissione di gara.

E’ illegittima l'esclusione di una società da una procedura di gara per l'affidamento dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, sul presupposto che la società, in quanto costituita in nome collettivo, non fosse abilitata a partecipare a gare per il cui accesso l’art. 113 del testo unico degli enti locali, approvato con il D.Lgs. n. 267 del 2000, prescrive la forma della società di capitali. La Corte giustizia CE, infatti, con la sentenza del 18 dicembre 2007, n. 357 (in causa C-357/06), ha stabilito che "l’art. 26 n. 1 e 2 della direttiva del Consiglio 92/50/CE osta a disposizioni nazionali, come quelle costituite dagli art. 113 c. 5 D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 198 c.1 D.Lgs. n. 152 del 2006 e art. 2 c. 6 l.reg. Lombardia n. 26 del 2003, che impediscono ad operatori economici di presentare offerte, soltanto per il fatto che tali offerenti non abbiano la forma giuridica corrispondente ad una determinata categoria di persone giuridiche, ossia quella delle società di capitali. Il giudice nazionale, in tal caso, è obbligato a dare un’interpretazione ed un’applicazione conformi alle prescrizioni del diritto comunitario e, qualora siffatta interpretazione conforme non sia possibile, a disapplicare ogni disposizione di diritto interno contraria a tali prescrizioni".
L’affermazione della Corte di giustizia secondo cui il giudice nazionale non può subordinare il risarcimento del danno subito dal singolo a causa della violazione di una norma di diritto comunitario all'esistenza di una condotta colposa o dolosa dell'organo cui detta violazione è imputabile (Corte giustizia CE, 05.03.1996, n. 46), deve essere interpretata con riferimento al carattere manifesto e grave della violazione delle norma comunitarie, da cui deriva, sotto il profilo soggettivo, la necessità della prova della colpa o del dolo della pubblica amministrazione.
L’art. 113 co. 5, lett. a) del D.Lgs. n. 267 del 2000, dispone che l'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio … "a) a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica".
Pertanto, nessun appunto, sotto il profilo dell’ordinaria diligenza può essere mosso al comportamento del Comune che aveva escluso la società appellante dalla gara senza che all’epoca esistesse alcun obbligo di disapplicare la disposizione di diritto interno contraria all’ammissione degli operatori economici costituiti in forma diversa dalla società di capitali (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.09.2008 n. 4242 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ATTI AMMINISTRATIVISull'accesso ai pareri legali.
Il punto di discrimine tra l’ostensibilità o meno del parere reso da un legale, esterno o interno ad un ente, non è costituito dalla natura dell’atto ma dalla sua funzione. Se il parere viene reso in una fase endoprocedimentale, prodromica quindi ad un provvedimento amministrativo, lo stesso è ammesso all’accesso mentre se viene reso in una fase contenziosa o anche precontenziosa, l’accesso è escluso a tutela delle esigenze di difesa.

Il Collegio ritiene di dover richiamare l’orientamento consolidato del giudice amministrativo, secondo il quale: ”Ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 10 d.P.R. n. 554 del 1999 e 24 l. n. 241 del 1990, sono sottratte all'accesso le relazioni riservate del direttore dei lavori e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve dell'impresa posto che la definizione di "riservata" data ai suddetti atti dall'art. 31-bis l. n. 109 del 1994, denota come il legislatore abbia voluto impedire la diffusione delle surriferite relazioni al di fuori delle amministrazioni cui sono indirizzate, in quanto si inseriscono in una controversia in atto o potenziale tra l'Amministrazione e l'appaltatore concernente l'esecuzione del contratto, nella quale si fronteggiano interessi di natura patrimoniale e che solo indirettamente, per le possibili conseguenze sulla finanza pubblica, presentano riflessi di ordine pubblicistico"; tale divieto, viceversa, non opera nei confronti di un parere legale che, laddove oggettivamente correlato ad un procedimento, assume valenza endo-procedimentale, decadendo a ruolo di mero elemento istruttorio (Consiglio Stato, sez. V, 15.04.2004, n. 2163) e, sempre sul medesimo tema il principio secondo il quale: “Gli scritti defensionali degli avvocati, siano essi del libero foro o appartenente ad uffici legali di enti pubblici, sono esclusi dall'accesso in quanto il segreto professionale è specificamente tutelato dall'ordinamento".
Nell'ambito degli atti coperti da segreto, come tali sottratti all'ostensione, rientrano in linea generale gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l'amministrazione, detto segreto gode di una tutela qualificata, enucleata dalla disciplina dettata dagli art. 622 c.p. e 200 c.p.p. Debbono quindi ritenersi accessibili i soli pareri resi, anche da professionisti esterni all'amministrazione, che si inseriscono nell'ambito di un'apposita istruttoria procedimentale, posto che in tale evenienza il parere è oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo, mentre debbono ritenersi coperti da segreto i pareri resi dopo l'avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo), oppure dopo l'inizio di tipiche attività precontenziose, quali la richiesta di conciliazione obbligatoria che precede il giudizio in materia di rapporto di lavoro (Consiglio Stato, sezione V, 02.04.2001, n. 1893).
Più recentemente, è stato affermato che: “Ai fini dell'opposizione del segreto professionale alle istanze di accesso agli atti, ai sensi dell'art. 24 comma 1 l. 07.08.1990 n. 241 e dell'art. 2 d.P.C.M. 26.01.1996 n. 200 (Regolamento recante norme, per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell'ambito delle attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso), occorre distinguere fra pareri legali resi in relazione a contenziosi (sottratti al diritto di accesso) e pareri legali che rappresentano, anche per effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale, un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso; solo il primo tipo di pareri, infatti, è sottratto all'accesso, in quanto non è la sola natura dell'atto a giustificarne la segretezza, ma la funzione che l'atto stesso svolge nell'azione dell'amministrazione" (TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 26.01.2007, n. 38).
Alla luce della giurisprudenza richiamata è facile osservare che il punto di discrimine tra l’ostensibilità o meno del parere reso da un legale, esterno o interno ad un ente, non è costituito dalla natura dell’atto ma dalla sua funzione.
Se il parere viene reso in una fase endoprocedimentale, prodromica quindi ad un provvedimento amministrativo, lo stesso è ammesso all’accesso mentre se viene reso in una fase contenziosa o anche precontenziosa, l’accesso è escluso a tutela delle esigenze di difesa.
Fatta questa precisazione il Collegio ritiene necessario rilevare quale sia l’ambito riconosciuto al diritto d'accesso ai documenti amministrativi, nel nostro ordinamento, che è quello di un margine amplissimo riconosciuto sia come risposta effettiva al principio di trasparenza dell’agire pubblico sia come esigenza di garantire la possibilità della cura e della difesa di interessi giuridici da parte dei singoli. Diritto che è destinato a prevalere su quello alla riservatezza dei terzi e che non può risolversi in una clausola di stile, ma dev'essere garantito in relazione alla situazione di fatto e di diritto nella quale la domanda d'accesso s'inserisce e tale effettività deve essere controllabile dal giudice dell'accesso. (Consiglio Stato, sez. V, 03.04.2000, n. 1916).
Perché un diritto di tale portata subisca una limitazione è necessario, pertanto, che si sia in presenza di una fattispecie tipica e certa quale, secondo la giurisprudenza richiamata, un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo intendendo per tale il contenzioso avviato con ricorso amministrativo) in atto, oppure che si sia in presenza dell'inizio di tipiche attività precontenziose, quali la richiesta di conciliazione obbligatoria che precede il giudizio in materia di rapporto di lavoro e non si tratti di un procedimento amministrativo.
Ne consegue che, in mancanza di un vero e proprio contenzioso o di una fase precontenziosa come quelle accennate, non può essere ritenuto sufficiente ad escludere l’esercizio di tale diritto un procedimento amministrativo preordinato a fare chiarezza interpretativa sulle norme da applicare ed idoneo all’eliminazione di un possibile o potenziale conflitto tra uffici o tra dipendenti all’interno dell’amministrazione.
Ciò, ancor più se il procedimento relativo, come nella specie, si è concluso con l’adozione di un provvedimento favorevole all’istante, facendo venir meno anche le pretese esigenze di riservatezza riguardanti l’attività defensionale.
I pareri degli uffici legali interni, espressi nell’ambito di tale procedura costituiscono una fase istruttoria del provvedimento conclusivo e lo giustificano (in tanto i soldi sono stati erogati in quanto quello o quei pareri hanno giustificato l’esborso) sicché essi restano assorbiti nel procedimento senza che se ne possa negare l’accesso.
Nessun vincolo di segretezza, quindi, che non può operare in quanto il principio della riservatezza recede qualora il parere costituisca una fase di un procedimento amministrativo in atto.
Se si ammettesse, del resto, che in presenza di qualunque contrasto interpretativo sull’applicazione delle norme di un settore si ricade, automaticamente, in una fase contenziosa si arriverebbe a circoscrivere pesantemente –e ingiustificatamente– lo stesso ambito di operatività del diritto di accesso stabilito dagli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 con sacrificio del diritto di difesa del richiedente l’accesso (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 27.08.2008 n. 7930 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl durc o documento unico di regolarità contributiva non può essere sostituito da dichiarazioni sostitutive in quanto insufficienti a verificare l’integrale adempimento degli obblighi previdenziali per tutti i lavoratori.
Il "durc" o documento unico di regolarità contributiva è il certificato unitario, regolato dall'art. 3, c. 8, lett. b.bis) d. lgs. 14.08.1996, n. 494, come mod. dall’art. 98, c. 10, d. lgs. 10.09.2003, n. 276, finalizzato alla affidabile verifica dei requisiti di partecipazione e aggiudicazione in gare pubbliche perché rilasciato dagli enti previdenziali all’imprenditore e da questo consegnato al committente che glielo deve richiedere. La sua funzione è di attestare la regolarità negli adempimenti circa i contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi rispetto a INPS, INAIL e Cassa Edile riguardo a tutti gli appalti pubblici e agli appalti privati in edilizia soggetti a titolo edilizio espresso. Mediante l’uso obbligatorio di un tale documento si contrasta l’evasione contributiva previdenziale perché si pone a base della possibilità di contrarre un appalto pubblico la dimostrazione ufficiale della regolarità contributiva. Si tratta di uno strumento al tempo stesso di certificazione ufficiale e di semplificazione procedimentale, la cui valenza è duplice, perché orientata a soddisfare un interesse strumentale pubblico come un interesse privato che non può essere sostituita da una dichiarazione sostitutiva.
Ne consegue che, è legittima la revoca nei confronti di una società dell’aggiudicazione di una gara conseguente al fatto che, in sede di verifica della sua produzione documentale fatta a seguito della comunicazione di esser risultata aggiudicataria della gara, quale attestazione della sua regolarità contributiva si era limitata a produrre i mod. F24 e i bollettini postali documenti insufficienti a verificare l’integrale adempimento degli obblighi previdenziali per tutti i lavoratori (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4035 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIn mancanza del presupposto delle false dichiarazioni, l’annotazione, e i provvedimenti sanzionatori dell’Aut. per la vigilanza sui contratti pubbl. di servizi, lavori e forniture nei confronti di un’impresa partecipante ad una gara sono illegittimi.
E’ illegittimo il provvedimento con cui l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di servizi, lavori e forniture ha disposto nei confronti di un’impresa l’iscrizione nel Casellario informatico ed il divieto di partecipare alle gare di affidamento di lavori ai sensi dell’art 75 del d.p.r. 554 del 1999 per un mese ed irrogando una sanzione pecuniaria sul presupposto di aver reso false dichiarazioni. Non può essere sanzionata, infatti, dalla predetta Autorità ai sensi dell’art 6 c. 11 del d.lgs. n. 163/2006 un’impresa che dichiara di possedere i requisiti previsti da un bando per partecipare ad una gara avvalendosi di quelli dei singoli professionisti che operano per la sua impresa ausiliaria. Alla base dell’annotazione disposta dall’Autorità e dei provvedimenti sanzionatori adottati vi è, quindi, un evidente travisamento dei fatti. In mancanza del presupposto delle false dichiarazioni, l’annotazione, e i provvedimenti sanzionatori dell’Autorità sono illegittimi e devono essere annullati. Anche il potere sanzionatorio dell’Autorità ha come presupposto l’avere reso false dichiarazioni o non aver ottemperato alle richieste di documenti o informazioni che non sussiste nel caso di specie (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 01.08.2008 n. 7804 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Legittima l'assenza alla visita fiscale per effettuare una visita medica prenotata.
L’assenza alla visita fiscale del lavoratore ammalato è giustificata se c’è la necessità di effettuare una visita presso un centro medico precedentemente fissata con appuntamento (Corte di Cassazione, Sez. lavoro, sentenza 21.07.2008 n. 20080 - link a www.altalex.com).

APPALTI: Partecipazione alla gara - Situazione di controllo ex art. 2359 c.c. - Divieto di partecipazione - Norma generale di tutela dell'ordine pubblico.
Il principio secondo cui non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo previste dall'art. 2359 del codice civile, si inquadra nell'ambito dei divieti normativi sull'ammissione alla gara di offerte provenienti da soggetti che, in quanto legati da una stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti dal legislatore capaci di formulare offerte caratterizzate dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità. Si tratta di una norma di ordine pubblico che trova applicazione indipendentemente da una specifica previsione in tal senso da parte dell'amministrazione appaltante
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 07.05.2008 n. 1356).

APPALTI: Imprese appartenenti allo stesso gruppo - Onere di consegnare il contratto di avvilimento - Non sussiste.
Il D.lgs. 163/2006 esonera le imprese facenti parte di un gruppo dall'onere di consegnare all'amministrazione aggiudicatrice il contratto di avvalimento, onere previsto invece in via generalizzata in ogni altro caso (imprese non facenti parte dello stesso gruppo)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 07.05.2008 n. 1353 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI Anomalia offerta - Giudizio di anomalia - Valutazione tecnico-discrezionale - Non sindacabile in sede giurisdizionale - Salvo errore di fatto e irrazionalità.
Per giurisprudenza consolidata il giudizio sull'anomalia dell'offerta nelle gare di appalto pubblico costituisce una tipica valutazione tecnico-discrezionale dell'amministrazione e come tale non è sindacabile dal giudice amministrativo, salvo il caso in cui la stazione appaltante sia incorsa in errore di fatto, ovvero la valutazione presenti aspetti di manifesta irrazionalità, ovvero evidenti contraddizioni logiche
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 05.05.2008 n. 1281).

APPALTI: Annullamento in autotutela delle procedure di gara e della graduatoria provvisoria - Mancata aggiudicazione al concorrente primo in graduatoria - Legittimità - Condizioni.
Non è precluso alle stazioni appaltanti procedere all'annullamento dell'aggiudicazione allorché la gara non risponda più alle esigenze dell'ente e sussista un interesse pubblico, concreto ed attuale, all'eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse dell'aggiudicatario. Tale potere si fonda, oltre che sulla disciplina della contabilità generale dello Stato, che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art. 11, RD n. 827/1924), sul principio generale dell'autotutela della pubblica amministrazione, che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo direttamente connesso ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica (nella fattispecie il Collegio ha riconosciuto la legittimità dell'operato dell'amministrazione che ha deciso di non procedere all'aggiudicazione ma ha preferito bandire una nuova gara contenente diverse modalità di fornitura dei beni richiesti. Quelle prescritte nella gara travolta dal provvedimento di autotutela risultavano infatti eccessivamente onerose oltre che meno vantaggiose per i diretti beneficiari delle forniture stesse)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 05.05.2008 n. 1280).

APPALTI: Presentazione e sottoscrizione dell'offerta - Allegazione della fotocopia carta d'identità - Firma del documento di offerta differente da quella apposta sulla carta d'identità - Esclusione legittima.
Nei pubblici appalti la funzione dell'adempimento relativo all'allegazione della copia del documento del soggetto che presenta e sottoscrive l'offerta risponde all'esigenza di assunzione di responsabilità del dichiarante in ordine al contenuto della dichiarazione resa ed assolve altresì alla funzione sostanziale di dare contezza a certezza che la sottoscrizione è autentica, ovvero che è stata apposta proprio da parte di colui che ne appare l'autore (fattispecie nella quale l'amministrazione ha escluso un concorrente dalla procedura di gara in quanto la firma del legale rappresentante è risultata palesemente differente rispetto a quella apposta sulla carta d'identità allegata)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 30.04.2008 n. 1273).

EDILIZIA PRIVATA: Parere tecnico preventivo relativo ad una domanda di permesso di costruire - Lesione della sfera giuridica - Non sussiste.
Un mero parere preventivo relativo al rilascio di un permesso di costruire non è idoneo a ledere l'interesse del ricorrente alla realizzazione del progetto, né a interrompere il procedimento non ancora avviato di rilascio del permesso di costruire. La lesione della sfera giuridica del ricorrente potrà discendere solo dal diniego della domanda di permesso di costruire, atteso che un preliminare giudizio tecnico non vincola l'eventuale futuro procedimento edilizio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2008 n. 804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Condono edilizio - Artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985 - Opere abusive realizzate prima dell'imposizione del vincolo o opere conformi agli strumenti urbanistici - Condonabilità - Sussiste.
2. Condono edilizio - Mancata produzione della documentazione comprovante la data di consumazione dell'illecito edilizio - Diniego di condono edilizio - Legittimità.
3. Prova dell'ultimazione dei lavori - entro la data utile per l'ottenimento del condono - Incombe sul richiedente il condono non potendosi ritenere al riguardo sufficiente la sola allegazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio.

1. In base al combinato disposto degli artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985 in area vincolata possono essere condonate soltanto le opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo oppure le opere che siano conformi agli strumenti urbanistici.
2. Il procedimento di condono edilizio deve avere un esito negativo quando non è prodotta alcuna documentata allegazione che consenta di risalire alla data di consumazione dell'illecito edilizio oggetto della domanda, atteso che spetta al richiedente la sanatoria fornire la prova dell'ultimazione dei lavori entro la data utile per l'ottenimento del condono.
3. L'onere della prova dell'ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria, ciò perché mentre l'amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che richiede la sanatoria può fornire qualche documentazione da cui si desuma che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data predetta , non potendosi ritenere al riguardo sufficiente la sola allegazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2008 n. 711 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordinanza sospensione lavori - Impugnazione -Decadenza dell'efficacia dell'ordinanza - Improcedibilità dell'impugnazione - Sussiste.
E' improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso proposto avverso la sola ordinanza di sospensione lavori, la cui efficacia decade se nei 45 giorni dalla sua notificazione, non vengono adottati e notificati i provvedimenti sanzionatori definitivi 
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2008 n. 709).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Carattere precario dei manufatti edilizi - E' necessario che le opere siano destinate ad un uso limitato nel tempo e per fini specifici e temporanei.
2. Ordinanza di demolizione di opere abusive - Atto vincolato che non richiede una motivazione diversa dall'accertamento dell'abuso - Esigenza di tutela dell'affidamento - Non sussiste.
3. Indicazione puntuale delle aree interessate dall'acquisizione gratuita al patrimonio comunale - Necessità nell'atto che dichiari l'intervenuta acquisizione del bene al patrimonio del Comune - Impugnabilità di tale atto certificativo per erronea individuazione delle aree acquisite al patrimonio comunale - Sussiste.

1. In ordine al carattere precario di opere edilizie, ciò che rileva al fine di qualificare in tal modo i manufatti realizzati, non è tanto la consistenza degli stessi, quanto piuttosto la destinazione ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante: infatti, perché un'opera edilizia avente carattere precario, in forza della sua facile amovibilità, venga sottratta all'obbligo di rilascio del titolo abilitativo edilizio, è necessario che sia destinata ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei.
2. L'ordinanza di demolizione, in quanto atto vincolato, non richiede una motivazione diversa dall'accertamento dell'abuso. Al riguardo, deve escludersi qualsiasi esigenza di tutela dell'affidamento, in quanto l'abuso non può giustificare alcun legittimo affidamento del contravventore a veder conservata una situazione di fatto che il semplice trascorre del tempo non può legittimare.
3. L'individuazione puntuale delle aree (con l'indicazione, ove necessario, degli estremi catastali e dei confini) è un elemento proprio degli atti della fase successiva alla diffida a demolire, che interviene quando venga accertata l'inottemperanza e si proceda all'acquisizione del bene al patrimonio del Comune. Tale atto, pur avendo una natura certificativa e dichiarativa sarà impugnabile con riferimento all'eventuale erronea individuazione delle aree acquisite al patrimonio comunale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2008 n. 702).

ATTI AMMINISTRATIVI: Danno da ritardo della p.a.: presupposti e risarcibilità.
Appartiene alla giurisdizione del g.a. la controversia con cui si chiede il risarcimento del danno da ritardo da parte della p.a. nella definizione dei procedimenti di rilascio di titoli autorizzativi che hanno carattere esclusivamente pubblicistico.
In tali casi perciò non si è di fronte a violazioni del generico "neminem laedere” conseguenti a "comportamenti" della p.a. invasivi dei diritti soggettivi del privato, ma in presenza della diversa ipotesi del mancato tempestivo soddisfacimento dell'obbligo della autorità amministrativa di assolvere adempimenti tipicamente procedimentali, aventi esclusivamente ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative. Si è, perciò, al cospetto di interessi legittimi pretensivi del privato che, per loro intrinseca natura, ricadono nella giurisdizione del g.a..
Quando il termine procedimentale è fissato direttamente dalla legge, l’Amministrazione non può disporre autonomamente del potere di decidere il tempo per l’adozione del provvedimento.
La presenza di termini procedimentalmente definiti è infatti finalizzata a presidiare direttamente sia l'interesse formale del privato al rispetto dei tempi del procedimento, e sia il suo interesse sostanziale ad ottenere tempestivamente l’utilità connessa al rilascio del provvedimento richiesto.
La richiesta di accertamento di un “danno da ritardo”, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi per l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro (in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile sempre affermata dalla dottrina) costituisce una fattispecie sui generis di natura del tutto specifica e peculiare che deve essere ricondotta all’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi dell’illecito ed all’archetipo dell’art. 2236 c.c. per l’individuazione dei confini della responsabilità
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 31.03.2008 n. 2704 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla impugnazione della concessione edilizia da parte di terzi.
E’ stato, invero, affermato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, V Sez., n. 4790/2004) che lo stabile collegamento territoriale tra il ricorrente e la zona interessata dall’attività edilizia assentita, che legittima “chiunque” a ricorrere contro le concessioni edilizie illegittime, in virtù dell’art. 31 comma 9 L. 17.08.1942 n. 1150, come novellata dalla L. 06.08.1967 n. 765, deve essere tale che possa configurarsi, in concreto, la lesione attuale di uno specifico interesse di natura urbanistico- edilizia nella sfera dell’istante, quale diretta conseguenza della realizzazione dell’intervento contestato, il che postula che per l’effetto della realizzazione della costruzione la situazione dei luoghi, anche urbanistica, assuma caratteristiche tali da configurare una rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente assetto edilizio ed urbanistico, che il ricorrente intende conservare.
Ma è stato, altresì, affermato che ai fini della legittimazione ad impugnare la concessione edilizia rilasciata al terzo, lo stabile collegamento territoriale con il luogo dell’assentito intervento è concetto relativo e variabile anche in relazione alle specifiche connotazioni del soggetto che agisce in giudizio contro la pretesa illegittimità della concessione, sicché la distanza tra due sedi commerciali potenzialmente concorrenti (come nella fattispecie) non va valutata solo in termini di distanza come lunghezza lineare, ma altresì con riferimento al verosimile perimetro dei rispettivi bacini socio-economici di utenza (Cons. Stato, V sez., 07.04.2004, n. 1968; 30.01.2003 n. 469; IV Sez., 30.01.2001 n. 313) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.12.2007 n. 6157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASui soggetti competenti a ricorrere contro il rilascio di una concessione edilizia.
A norma dell’art. 31, comma 9, L. 17.08.1942 n. 1150, come novellato dall’art. 10 L. 06.08.1967 n. 765, la possibilità di ricorrere contro le concessioni edilizie (ritenute) illegittime è riconosciuta a «chiunque».
Secondo un ormai consolidato, e condiviso, orientamento giurisprudenziale (cfr., tra le tante, Cons. Stato, VI Sez. 26.07.2001, n. 4123; V Sez. 30.10.1995 n. 1495 e 11.04.1995 n. 587), tale espressione va interpretata nel senso che ai fini della legittimazione al ricorso occorre un criterio di stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata all'attività edilizia assentita con la concessione che si impugna, e tale collegamento può derivare dalla residenza nella zona interessata, dalla proprietà o dal possesso o dalla detenzione di immobili in detta zona o da altro titolo di frequentazione di quest'ultima (TAR Basilicata, sentenza 19.02.2003 n. 169 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO ALL'08.09.2008

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dossier AFFIDAMENTO IN HOUSE

APPALTI SERVIZI: Sui limiti per lo svolgimento di attività extraterritoriale delle società miste: necessità di dimostrare di non sottrarre risorse alle collettività di riferimento.
Le società miste, pur legittimate in via di principio a svolgere la propria attività anche al fuori del territorio del comune dal quale sono state costituite, in quanto munite dal legislatore di capacità imprenditoriale sono pur sempre tenute, per il vincolo genetico-funzionale che le lega all’ente di origine, a perseguire finalità di promozione dello sviluppo della comunità locale di emanazione.
Tale vincolo funzionale implicitamente imposto alle imprese miste va confrontato con l’impegno extraterritoriale richiesto in concreto e inibisce tale attività quando diventino rilevanti le risorse e i mezzi eventualmente distolti dalla attività riferibile alla collettività di riferimento senza apprezzabili utilità per queste ultime. Si tratta, in definitiva, di verificare che l’impegno da assumere non comporti una distrazione di mezzi e risorse tali da arrecare pregiudizio alla predetta collettività, in sostanza la necessità di una concreta verifica intesa ad accertare se l’impegno extraterritoriale eventualmente non distolga, e in caso positivo in che rilevanza, risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi da valutarsi in relazione all’impegno profuso e agli eventuali rischi finanziari) per la collettività di riferimento. Tale verifica non può che ritenersi rimessa alle commissioni giudicatrici delle gare quando a queste chiedano di partecipare società miste. La capacità, in termini di mezzi tecnici e finanziari, della società mista ad assumere, in aggiunta a quelle derivanti dal servizio svolto per l’ente di riferimento, anche il servizio oggetto della specifica gara alla quale chiede di partecipare, attiene alla legittimazione della società a partecipare alla gara ed assume quindi la valenza di un requisito soggettivo che, in quanto tale, deve essere assoggettato a verifica come avviene per altri requisiti soggettivi. La prova di tale requisito soggettivo, secondo i principi stessi della partecipazione alle gare, incombe sull’aspirante.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo l’annullamento dell'aggiudicazione da una gara di una società mista in quanto la società non ha fornito tale prova (al momento della presentazione della domanda) e la commissione non ha svolto la necessaria attività istruttoria verificando che l’aggiudicataria, in quanto società mista operante extra moenia, non avesse distratto mezzi e risorse in modo tale da non arrecare pregiudizio alle collettività di riferimento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4080 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Le società a capitale pubblico non possono concorrere alle procedure di gare per l’aggiudicazione di appalti indetti da amministrazioni esterne al comune di riferimento.
Per quanto concerne il tema generale della ammissibilità delle società miste, sono stati valorizzati al massimo (cfr. da ultimo Cons. Stato, ad. plen., 03.03.2008, n. 1; sez. II, 18.04.2007, n. 456/2007) i recenti orientamenti dei giudici comunitari in ordine alla definizione del requisito del «controllo analogo» al fine di stagliare la differenza tra il modello della gestione in house rispetto a quello della società mista: il primo essendo oramai ammissibile solamente a condizione di una partecipazione pubblica totalitaria; il secondo presupponendo invece da sempre, per definizione, l’investimento di capitale privato. L’affermazione di compatibilità del modello della società mista, ai sensi della disciplina vigente, avviene però sulla base di due premesse di fondo e a condizione che siano presenti altrettante garanzie.
Le due premesse sono date:
a) dalla ricordata differenza tra i modelli dell’in house e della società mista, tale da consentire di valutare la compatibilità del secondo modello secondo criteri autonomi;
b) dall’esito paradossale —proprio «nella logica comunitaria della tutela della concorrenza»— cui si perverrebbe ove si dovessero ammettere solamente la soluzione (necessariamente) «tutta pubblica» dell’in house oppure quella «tutta privata» del ricorso integrale al mercato a norma dell’art. 113, 5° comma, lett. a), finendo per escludere un modello —quello delle società miste— (comunque) più orientato verso il mercato di quanto non sia quello dell’in house.
In ordine alle «garanzie», ai fini dell’ammissibilità del modello, si richiede:
a) che la società sia costituita per l’erogazione di servizi da rendere prevalentemente a favore del soggetto pubblico che l’ha costituita; in questo contesto la gara per la scelta del socio vale anche a definire il servizio operativo demandato allo stesso (la gara in pratica conferisce al privato, configurabile come socio industriale ed operativo, l’affidamento sostanziale del servizio svolto dalla società mista), escludendo di contro l’ammissibilità di società miste «aperte»;
b) che si preveda un termine di scadenza e la necessità di un rinnovo, evitando che il privato diventi socio stabile della società mista.
Al cospetto di queste garanzie si esclude la necessità di indire una seconda gara (oltre che per la scelta del socio privato) anche per l’affidamento del servizio, sottolineandosi come, altrimenti, l’amministrazione si troverebbe ad assumere la duplice veste di stazione appaltante e di socio di una delle società concorrenti, in palese conflitto di interessi.
Tanto più che con simili garanzie il modello finirebbe per corrispondere in massima parte a quello emergente dall’evoluzione legislativa più recente, testimoniata in particolare dall’art. 13, d.l. n. 223 del 2006 (sul quale ci si soffermerà meglio in prosieguo) volto a contenere l’attività delle società a capitale interamente pubblico o misto entro i limiti del soddisfacimento dello specifico bisogno territoriale. Quello stesso modello troverebbe, inoltre, la sua fonte di legittimazione comunitaria nel libro verde sul «partenariato pubblico-privato» pubblicato dalla commissione europea il 30.04.2004.
In definitiva il modello della società mista non avrebbe carattere ordinario nel nostro sistema, costituendo piuttosto un’eccezione alla regola dell’integrale ricorso al mercato da parte dell’amministrazione, dovendosi fare decisa applicazione, anche in questa materia, del principio di sussidiarietà orizzontale (già invocato in precedenza, con riferimento all’in house, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione del 28 dicembre 2006, n. AS 375).
Tutto ciò rappresenta una novità rispetto alla posizione delle istituzioni comunitarie, orientate —almeno finora— per la piena alternatività tra autoproduzione ed esternalizzazione (nella gestione) del servizio.
Questo approdo tiene conto in modo palese delle recenti tendenze legislative nazionali ed in particolare del ricordato art. 13 d.l. n. 223 del 2006, le cui norme stabiliscono, anzi, a carico delle società pubbliche che producono beni o servizi strumentali al funzionamento delle amministrazioni regionali e locali (non, quindi, le società di gestione dei servizi pubblici locali), un vero e proprio vincolo di esclusività e non di «semplice» prevalenza, attraverso il rigido divieto di svolgere prestazioni a favore di soggetti pubblici e privati diversi dagli enti costituenti ed affidanti e l’obbligo di cessare entro ventiquattro mesi le attività non più consentite.
Sotto il profilo soggettivo, infine, il riferimento alle amministrazioni locali è stato interpretato in chiave estensiva includendovi anche gli enti locali non territoriali, in particolare le camere di commercio nel presupposto esplicito che il modello della società mista sia eccezionale e dunque generale il divieto stabilito dall’art. 13 cit. (cfr. Cons. Stato, sez. III, 25.09.2007, n. 322/2007) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4080 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Affidamenti in house sono tali e, quindi, legittimi solo se sull’impresa diretta affidataria l’amministrazione pubblica eserciti uno stringente controllo gestionale e finanziario.
Questo Tribunale ha avuto occasione recentemente di pronunciarsi sulla questione della compatibilità con l'ordinamento comunitario dell'affidamento diretto, a società con capitale interamente pubblico, di un servizio pubblico locale a rilevanza economica (come nella specie), delineando, sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, i principi giuridici che governano la materia (v. TAR Sardegna, sez. I, 21.12.2007, n. 2407). Ricostruzione pienamente condivisibile, dalla quale nel caso di specie non vi sono ragioni per discostarsi. Nella pronuncia richiamata si è osservato che «a partire dalla sentenza 17/11/1999, in causa C-107/98 (nota come sentenza Teckal) la Corte di Giustizia ha affermato che il detto affidamento è consentito a patto che:
a) l'amministrazione aggiudicatrice eserciti sull'affidatario un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi;
b) l'affidatario svolga la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza (cfr. anche Corte Giust. C.E. 13/10/2005 in causa C-458/03, Parking Brixen).
Non è, infatti, vietato all'amministrazione sottrarre al mercato attività in relazione alle quali la medesima ritenga di dover provvedere direttamente con la propria organizzazione. Come è stato, efficacemente, rilevato, la creazione di un mercato comune e l'applicazione delle regole di tutela della concorrenza per garantirne il mantenimento incontrano il limite del potere di organizzazione della pubblica amministrazione riconosciuta agli stati membri dalle istituzioni comunitarie. Tale limite non rappresenta una deroga alla disciplina europea delle libertà economiche tutelate dal mercato comune, ma è definizione di ciò che non è mercato. La disciplina della concorrenza per l'aggiudicazione degli appalti e delle concessioni presuppone un rapporto con il mercato, ma la libera decisione dell'amministrazione di rivolgersi ad esso non può essere coartata per realizzare l'apertura al mercato di taluni settori di attività in cui l'amministrazione pubblica voglia, invece, ricorrere all'autoproduzione.
Il rilievo ha trovato eco nella giurisprudenza comunitaria, secondo la quale "Un'autorità pubblica che sia un'amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi. In tal caso non si può parlare di contratto a titolo oneroso concluso con entità giuridicamente distinta dall'amministrazione aggiudicatrice. Non sussistono dunque i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici" (così Corte Giust. C.E. 11/01/2005 in causa C-26/03, Stadt Halle). Ed altresì, in quella nazionale, ove si afferma che la norme comunitarie "non interferiscono sui poteri delle pubbliche amministrazioni di adottare soluzioni organizzative che siano le più rispondenti alle esigenze che esse stesse ritengano di dover soddisfare conformemente alle leggi che le disciplinano" (così Cons. Stato, V Sez., 18/09/2003 n. 5316).
Deve, quindi, ritenersi che la scelta di optare tra outsourcing e in house providing non sia sindacabile alla stregua del diritto comunitario.
In presenza delle cennate condizioni -"controllo analogo" e destinazione prevalente dell'attività all'ente di appartenenza- il legame che unisce quest'ultimo all'affidatario del servizio ha carattere organizzativo, cosicché non è richiesto l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica (…).
Secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, premesso che la partecipazione pubblica totalitaria è elemento necessario ma non sufficiente ad integrare il c.d. "controllo analogo", quest'ultimo si sostanzia in "un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario" (così Cons. Stato, VI Sez., 25/01/2005 n. 168, si veda anche Cons. Stato, V Sez., 03/04/2007 n. 1514; C.Si. 04/09/2007 n. 719; Corte Giust. C. E. 18/11/1999, in causa C-107/98; 06/04/2006 in causa C-410/04; 11/05/2006, in causa C-340/04). Con la sentenza da ultimo menzionata, la Corte di Giustizia ha, in particolare, precisato che il "controllo analogo" è configurabile allorché l'ente pubblico detentore del capitale, abbia la possibilità di esercitare un'"influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società" (in termini anche citata sentenza Parking Brixen)».

Sulla questione è successivamente intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (03.03.2008, n. 1) che ha così sintetizzato le condizioni per la legittima sussistenza del controllo analogo:
«a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (Cons. Stato, sez. V, 30.08.2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI, 03.04.2007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE: 10.11.2005, C-29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13.10.2005, C-458/03, Parking Brixen);
d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato, sez. V, 08.01.2007, n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo societario totalitario non sia garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house, occorrendo anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (C. giust. CE, 11.05.2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio). Ne consegue che l’in house esclude la terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante che è in grado di determinarne le scelte, e l’impresa è anche sotto l’influenza dominante dell’ente.»
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 12.08.2008 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier CONSIGLIERI COMUNALI

CONSIGLIERI COMUNALI: Limiti ed estensioni delle prerogative del Consigliere Comunale.
La legittimazione dei Consiglieri Comunali ad impugnare le deliberazioni dello stesso Consiglio Comunale non può ritenersi astrattamente limitata ai soli casi in cui vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio e quindi su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere, ma deve intendersi estesa alla impugnazione di delibere destinate ad avere ricadute significative non solo sulla consistenza patrimoniale dell’ente territoriale ma anche sulla storia e sulle radici culturali dell’intera comunità in esso rappresentata, ove il consigliere lamenti la mancata conoscenza di documenti essenziali, anche di natura endoprocedimentale, per esprimere consapevolmente il proprio voto (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 10.07.2008 n. 1724 - link a www.altalex.com).

dossier D.I.A.

EDILIZIA PRIVATASui poteri in capo al Comune nel caso di intervento assoggettato a D.I.A..
La DIA costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento, sul quale la PA svolge un’eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell’effettivo svolgimento dell’attività) del titolo legittimante l’inizio dei lavori: titolo, il cui consolidamento non comporta, però, che l’attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, con la conseguenza che anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall’ordinamento (cfr. CdS, IV, 30.06.2005 n. 3498). In tale contesto, pertanto, deve ammettersi, per il principio di economia dei mezzi giuridici, la facoltà dell’Amministrazione di inibire i lavori non iniziati anche dopo l’avvenuto consolidamento del titolo
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2006 n. 4095 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE

EDILIZIA PRIVATASulla distanza tra pareti finestrate ricomprendendo o meno il balcone.
A quest’ultimo proposito si noti, peraltro, per completezza, in relazione alla censura svolta in primo grado, che la disciplina vigente al momento del rilascio della contestata concessione edilizia era, come si ripete, quella promanante dell’art. 44 del Regolamento edilizio del 1982 e dall’art. 4 delle NTA del PRG del 1980.
In base all'art. 44 del vigente Regolamento Edilizio “la distanza dai confini” (fissata, in linea generale e salve talune eccezioni qui non rilevanti, in mt. 5) “si misura sulla normale portata al confine dal punto più vicino dell’edificio che faccia parte del volume o della superficie coperta dello stesso”.
In base all'art. 4 delle NTA del PRG, poi, il volume delle costruzioni “si ricava moltiplicando la superficie lorda di pavimento dei singoli piani per l’altezza virtuale dell’interpiano…….”; e nella superficie lorda di pavimento, in base alla stessa norma, non sono da ricomprendere, tra gli altri, gli aggetti aperti, i balconi e le terrazze; quanto alla superficie coperta, sempre in base al ripetuto art. 4, sono da essa pure escluse le parti aggettanti e i balconi.
Ne consegue che, nel calcolo delle distanze dai confini, correttamente non si è tenuto conto, nella specie, da parte del Comune, dei contestati balconi, in quanto non rientranti, in base alla disciplina locale, nel volume, né nella superficie lorda, né in quella coperta dell’edificio da realizzare; la distanza di mt. 5, infatti, andava calcolata non a partire dal punto più vicino dell’erigendo edificio, bensì solo dalle parti dell’edificio stesso costituenti volume o superficie coperta del medesimo, mentre tali non sono stati considerati, in base alla predetta disciplina normativa e nel rispetto della medesima, le parti aggettanti e, in particolare, i balconi; si può discutere della legittimità di una disciplina siffatta che, di fatto, esclude, dal computo delle distanze, parti dell’edificio che, normalmente, vanno considerate a tali fini; ma la disciplina stessa non è stata fatta oggetto di specifico gravame (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza V, sentenza 12.08.2004 n. 5554 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier RIFIUTI E BONIFICHE

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Abbandono e responsabilità del proprietario del fondo.
In tema di gestione di rifiuti, la consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell'abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi non è sufficiente ad integrare il concorso nel reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti), atteso che la condotta omissiva può dare luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell’art. 40 c.p., ovvero sussista l'obbligo giuridico di impedire l'evento. Non è sufficiente, pertanto, una condotta meramente omissiva da parte del proprietario del fondo ad integrare il concorso nel reato di abbandono o deposito di rifiuti effettuato da terzi, non essendo posto a suo carico alcun obbligo giuridico di intervenire per impedire la commissione dell'illecito, sempre che la consapevolezza del fatto non rivesta le caratteristiche proprie di una forma di acquiescenza, che abbia agevolato la commissione del reato da parte del terzo, configurandosi, perciò, quale concorso nella sua commissione (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.07.2008 n. 31488 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti. Diffida (art. 210 D.Lv. 152/2006).
Nell’ambito della sequenza procedimentale indicata dal legislatore nell'art. 210 D.Lv. 152/2006 prima delle modifche apportate dal d.lv. 4-2008, la sospensione dell’autorizzazione deve necessariamente essere preceduta dalla diffida, che ha lo scopo di rimettere l’interessato nelle condizioni di eliminare le violazioni riscontrate, evitando in tal modo l’adozione delle più gravi e maggiormente restrittive misure interdittive dell’attività e, sulla base delle norme sul procedimento amministrativo, deve altresì essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento volto a contestare i singoli episodi rilevati nel corso degli accertamenti, in relazione ai quali l’interessato deve essere messo nelle condizioni di fornire il proprio apporto procedimentale. La diffida peraltro può tener luogo anche della comunicazione di avvio del procedimento, ove contenga l’espressa indicazione di un termine entro il quale l’interessato può presentare memorie, ai fini del procedimento volto alla sospensione dell’autorizzazione (TAR Veneto, Sez. III, sentenza  07.07.2008 n. 1947 - link a www.lexambiente.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATASulla compatibilità paesaggistica di opere abusive.
Il caso in esame riguarda una richiesta di compatibilità paesaggistica in sanatoria. Le disposizioni applicabili non sono quindi quelle degli art. 146 e 159 del Dlgs. 42/2004 (che riguardano l’autorizzazione paesistica preventiva) ma quelle dell’art. 167 del medesimo Dlgs. 42/2004, il quale disciplina i limiti entro cui può essere sanata sul piano amministrativo la mancanza di una preventiva autorizzazione paesistica (intendendo per sanatoria amministrativa la deroga all’obbligo di demolizione).
La versione originaria dell’art. 167, comma 1, del Dlgs. 42/2004 (così come in precedenza l’art. 164, comma 1, del Dlgs. 29.10.1999 n. 490) attribuiva all’autorità amministrativa il potere di scegliere alternativamente tra la remissione in pristino e il pagamento di una somma a titolo di risarcimento ambientale sulla base di una valutazione di compatibilità paesaggistica circa il modo migliore di proteggere i beni tutelati. L’art. 1, commi 37-39, della legge 308/2004 ha introdotto una sanatoria speciale (rilevante anche sul piano penale) per i lavori compiuti entro il 30.09.2004 senza la prescritta autorizzazione paesistica o in difformità dalla stessa. La concessione di quest’ultima sanatoria è vincolata qualora le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati ricadano tra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, mentre negli altri casi è subordinata a una valutazione di compatibilità paesaggistica compiuta dall’autorità amministrativa. Infine la versione attuale dell’art. 167 del Dlgs. 42/2004 (come sostituito dall'art. 27 del Dlgs. 24.03.2006 n. 157) prevede in via generale al comma 1 l’obbligo di remissione in pristino, salvo che ricorrano le ipotesi (aventi impatto qualitativamente ridotto) di cui al successivo comma 4 (lavori che non abbiano determinato aumento di superficie utile o di volume, uso di materiali difformi da quelli previsti dall’autorizzazione paesistica, lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria).
L’impostazione seguita dal Parco appare quindi complessivamente corretta: occorre innanzitutto verificare se gli abusi in questione ricadano nella fattispecie di sanatoria vincolata ex art. 1, comma 37, della legge 308/2004 (in proposito si osserva che il Parco non ha eccepito, come avrebbe potuto fare, la scadenza del termine del 31.01.2005 per la presentazione dell’istanza di sanatoria); in subordine si passa a esaminare la compatibilità paesaggistica dei manufatti in applicazione dell’art. 1, comma 37, della legge 308/2004 e dell’art. 167, comma 1, del Dlgs. 42/2004 nella versione originaria (sul piano amministrativo la valutazione richiesta dalle predette norme non differisce sostanzialmente). Non è invece possibile applicare l’art. 167, commi 1 e 4, del Dlgs. 42/2004 nella versione introdotta dal Dlgs. 157/2006, in quanto le opere in questione e le due richieste di sanatoria sono anteriori a quest’ultima modifica e, dunque, l’applicazione della normativa più rigorosa sopravvenuta sarebbe in contrasto con il principio della certezza del diritto (v. TAR Brescia 13.02.2008 n. 70, punto 18)
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 20.08.2008 n. 862 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

GURI - GUUE - BURL (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 03.09.2008 n. 206 "Criteri e requisiti per l’iscrizione all’Albo nella categoria 1 per lo svolgimento dell’attività di gestione dei centri di raccolta di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 aprile 2008, di attuazione dell’articolo 183, comma 1, lettera cc), del decreto legislativo n. 152/2006, e successive modificazioni e integrazioni" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, deliberazione 29.07.2008).

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 35 del 31.08.2008, "Statuto d'autonomia della Lombardia" (L.R. statutaria 30.08.2008 n. 1 - link a www.infopoint.it).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGO: Decreto legge n. 112 del 2008 convertito in legge n. 133 del 2008 – “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” – art. 71 – assenze dal servizio dei pubblici dipendenti - ulteriori chiarimenti (circolare 05.09.2008 n. 8/2008 - link a www.innovazionepa.gov.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: F. Albanese, Installazione di antenne su immobili abusivi: il potere dell’Autorità comunale (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Muratori, Ecopiazzole: finalmente un decreto a dettarne la disciplina, stop ai conflitti interpretativi (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Amendola, Le terre e rocce da scavo dopo il decreto correttivo del 2008 (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: S. Deliperi, Provvedimenti di nuovi vincoli paesaggistici: come complicarsi la vita (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: R. Bianchi, Rifiuti da demolizione e materiali di scavo: la Cassazione «si allinea» al Giudice comunitario (Nota a Cass. pen. n. 14323/2008) (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: L. Magnani, D.LGS. N. 4 DEL 2008: RECENTI MODIFICHE AL CODICE DELL’AMBIENTE (link a www.lexambiente.it).

APPALTI: A. Gurrieri, Accesso agli atti e tutela della riservatezza nelle gare d’appalto (link a www.diritto.it).

APPALTI: A. Gurrieri, Le dichiarazioni sostitutive nelle procedure ad evidenza pubblica (link a www.diritto.it).

ENTI LOCALI: G. Gioffré, La privacy nella Pubblica Amministrazione e la sua tutela (link a www.diritto.it).

LAVORI PUBBLICI: N. Ulisse, La responsabilità civile della P.A. nella custodia del demanio stradale (link a www.diritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Lopez, USO DEL FUOCO PER L’ELIMINAZIONE DI RESIDUI VEGETALI  (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: M. Penna, Regolamentazione delle emissioni in atmosfera da impianti alla luce della parte V del D. Lgs. 152/2006 (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: G. Mininni, NUOVE PROSPETTIVE PER L'ADEGUAMENTO DEGLI IMPIANTI DI DEPURAZIONE DELLE ACQUE DI SCARICO URBANE (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Albanese, Stazioni radio base nei centri abitati (link a www.lexambiente.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI: Il DURC non può essere sostituito da autocertificazione.
Va razionalmente negato che l’acquisizione alla documentazione di gara, dell’atto ufficiale comprovante i requisiti soggettivi del partecipante in ordine alla regolarità contributiva, il cd. “durc” (richiesto in base al bando di gara), possa essere surrogato dall’autocertificazione dell’interessato, ovvero dalla presentazione dei cd. modelli 24 utilizzati dall’imprenditore medesimo per il pagamento dei contributi previdenziali.
Vale a tal proposito rammentare che il “durc” o documento unico di regolarità contributiva è il certificato unitario –regolato dall'art. 3, comma 8, lett. b.bis) d.lgs. 14.08.1996, n. 494, come mod. dall’art. 98, comma 10, d.lgs. 10.09.2003, n. 276- finalizzato alla affidabile verifica dei requisiti di partecipazione e aggiudicazione in gare pubbliche perché rilasciato dagli enti previdenziali all’imprenditore e da questo consegnato al committente che glielo deve richiedere. La sua funzione è di attestare la regolarità negli adempimenti circa i contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi rispetto a INPS, INAIL e Cassa Edile riguardo a tutti gli appalti pubblici e agli appalti privati in edilizia soggetti a titolo edilizio espresso. Mediante l’uso obbligatorio di un tale documento si contrasta l’evasione contributiva previdenziale perché si pone a base della possibilità di contrarre un appalto pubblico la dimostrazione ufficiale della regolarità contributiva.
Avuto riguardo alla sua utilità, si tratta di uno strumento al tempo stesso di certificazione ufficiale e di semplificazione procedimentale, la cui valenza è duplice, perché orientata a soddisfare un interesse strumentale pubblico come un interesse privato. Da un lato infatti il “durc” consente, grazie alla sua obbligatorietà, di assicurare che gli appalti pubblici siano affidati soltanto ad imprese che risultino in regola quanto a contribuzione previdenziale, e dunque garantisce un miglior contrasto dell’evasione in quel settore, rispondendo al principio generale di buona amministrazione; da un altro lato permette, in virtù della sua unitarietà (realizzata sulla base di doverose convenzioni tra i soggetti previdenziali), l’agevolazione delle esigenze di speditezza documentativa vuoi dell’appaltatore che, per riflesso, dell’appaltante, riducendone le incombenze.
Anche a prescindere dalla sua obbligatorietà (nella specie contrassegnata dalla lex specialis della gara), non si vede dunque a quale plausibile interesse dell’imprenditore possa corrispondere la sua mancata utilizzazione. Una tale doverosa ed ufficiale certificazione non può essere definitivamente sostituita dalla dichiarazione sostitutiva (ai sensi, più che dell’invocato art. 2 d.P.R. 20.10.1998, n. 403, abrogato e sostituito dagli artt. 19 e 47 d.P.R. 28.12.2000 n. 445, dall’art. 46, comma 1, lett. p) di quest’ultimo, concernente le dichiarazioni sostitutive di certificazioni riguardo all’assolvimento di specifici obblighi contributivi con l'indicazione dell'ammontare corrisposto).
Il durc, invero, non può essere sostituito, nella sua funzione probante, dalla cd. autocertificazione. Sussiste infatti tra le generale previsioni in tema di cd. autocertificazione –che per ragioni di semplificazione procedimentale consente di dimostrare, salvo verifica, adempimenti con dichiarazioni dell'interessato prodotte in sostituzione delle normali certificazioni– e la previsione per gli appalti pubblici sopra ricordata circa il durc, un rapporto di specialità, in forza del quale prevale, in materia di appalti, la predetta disposizione dell'art. 3, comma 8, lett. b.bis) d.lgs. n. 494 del 1996.
In entrambe le situazioni, infatti, ci si trova innanzi ad un mezzo di semplificazione procedimentale. A favore del durc, nondimeno, e della sua prevalenza sussiste anche il valore ulteriore della certificazione ufficiale delle regolarità contributiva, che corrisponde ad un evidente quanto dominante interesse pubblico al contrasto del preoccupante fenomeno della evasione previdenziale, di particolare significato nel settore degli appalti pubblici. Ne consegue che ciò che forma materia tipica del durc non può, quando un tale documento è richiesto, essere surrogato dalla dichiarazione sostitutiva dell’interessato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4035 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASui soggetti legittimati ad impugnare il permesso di costruire rilasciato.
L'art. 31, 9° comma, della legge urbanistica 17.08.1942 n. 1150, nel testo sostituito dall'art. 10 della legge 06.08.1967 n. 765, attribuisce a "chiunque" il potere di "ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia (oggi, permesso a costruire) in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale o dei piani particolareggiati di esecuzione".
Secondo l’ormai pacifica interpretazione giurisprudenziale (cfr. C.d.S., Sez. V, 30.01.2003, n. 469; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 04.10.2005, n. 7749) -che il Collegio condivide pienamente– tale norma non ha introdotto un nuovo tipo di azione popolare, estremamente eccezionale nel sistema giurisdizionale dell'impugnazione degli atti amministrativi, ovvero ancora, all'opposto, un’azione limitata soltanto ai proprietari frontisti o limitrofi, ma ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in capo ai proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa, nonché a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento, sia di natura reale che obbligatoria, con la zona stessa, vale a dire a tutti coloro che facciano parte di un determinato insediamento abitativo.
La tutela giurisdizionale in materia di titoli edilizi rilasciati a terzi non può pertanto essere limitata ai soli proprietari (frontisti o confinanti), ma deve essere estesa anche ai non proprietari e a tutti coloro i cui interessi di vita (familiari, economici, ecc.) siano comunque correlati all'interesse urbanistico della particolare disciplina di ciascuna zona -intesa quest'ultima quale entità territoriale con peculiari caratteristiche, cui dà rilevanza la normativa urbanistica- tanto da doversi riconoscere a detti interessi la natura di "interessi di zona" (cfr. Cass. Civ., SS.UU. 25.10.1982, n. 5530).
Va, perciò, condiviso l'orientamento giurisprudenziale che riconosce la legittimazione all'impugnazione di atti edificatori in favore di coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento con l'area oggetto dell'intervento assentito e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, anche se correlato ad altro di natura economico-commerciale (cfr. C.d.S, Sez. IV, 12.09.2007, n. 4821).
E’ infatti giuridicamente rilevante (nonché qualificato e differenziato) l’interesse del soggetto che esercita, in una certa zona, una determinata attività commerciale, ad opporsi al rilascio di titoli edilizi che comportino la realizzazione, nelle immediate adiacenze, di un’attività commerciale dello stesso tipo, stante l’indubbio pregiudizio economico che quello stesso soggetto è destinato a subire con l’apertura dell’impianto concorrente (cfr. oltre alla giurisprudenza già citata, altresì: Tar Marche, 01.09.2006, n. 547, in relazione alla fattispecie di realizzazione di nuovi impianti per la distribuzione di carburanti; Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 08.03.2007, n. 407 e Tar Veneto, Sez. II, 26.03.2007, n. 938, in analoghe fattispecie di apertura di nuovi centri commerciali; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 02.11.2005, n. 10255, concernente fattispecie di impugnazione di concessione edilizia in sanatoria per l’asserito mutamento della destinazione d’uso, in senso commerciale, del locale oggetto del contestato intervento)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 21.08.2008 n. 9955 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICISe e quando l'approvazione del progetto di un'opera pubblica possa considerarsi ex se immediatamente lesiva ed impugnabile.
Ai sensi della vigente normativa (cfr. art. 93 D. Lgs.vo 12/04/2006, n. 163), l'attività di progettazione per l'esecuzione dei lavori pubblici si articola secondo tre successivi livelli di approfondimenti tecnici, in progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo.
Il progetto preliminare, che deve essere tale da consentire l'avvio della procedura espropriativa, definisce "le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire" e consiste "in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle eventuali soluzioni possibili", tenendo conto, tra l'altro, dei profili ambientali, della fattibilità amministrativa e tecnica, accertata mediante le indispensabili indagini di prima approssimazione.
Il progetto definitivo "individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni"; nella relazione descrittiva in cui esso si concreta devono essere contenuti, fra l'altro, lo studio dell'impatto ambientale, gli studi e le indagini preliminari con riguardo alla natura ed alle caratteristiche dell'opera, studi ed indagini che, con particolare riferimento a quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico e chimico, devono essere condotti ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo.
L'approvazione del progetto definitivo da parte di un'amministrazione aggiudicatrice equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori.
Il progetto esecutivo, che deve essere redatto in conformità del progetto definitivo, "determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare ed il relativo costo e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo".
La giurisprudenza formatasi sul punto ha chiarito che, nell'ambito della serie procedimentale degli atti di approvazione di un progetto per la realizzazione di un'opera pubblica, devono considerarsi impugnabili solo quegli atti che siano effettivamente dotati di lesività nei confronti dei cittadini incisi dall'attività della pubblica amministrazione, tra cui in via generale devono comprendersi l'approvazione del progetto definitivo dei lavori da realizzare, che, contenendo la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, come disposto dal comma 13 dell'art. 14 della legge 11.02.1994 n. 109 (a tal fine richiamato dall’art. 98 D. Lgs. n. 163/2006 cit.), imprime al bene privato quella particolare qualità (o utilità pubblica) che lo rende assoggettabile alla procedura espropriativa, il decreto di occupazione temporanea e d'urgenza, che realizza lo spossessamento del bene in capo al privato ed il decreto di espropriazione che attua, quindi, il trasferimento coattivo del bene dal privato alla pubblica amministrazione ovvero all'espropriante.
Gli altri atti (quali, per esempio, l'approvazione del progetto preliminare, l'approvazione del progetto esecutivo, la comunicazione della data di immissione in possesso, etc.) non possono considerarsi invece ex se immediatamente lesivi, salvo che per un'eventuale alterazione dell'iter procedimentale siano essi stessi ad incidere immediatamente e direttamente sul bene oggetto della procedura espropriativa, recando quindi un vulnus alla posizione del cittadino proprietario (cfr. C.d.S., Sez. IV, 06.06.2001, n. 3033; TAR Liguria, sez. I, 02.11.2004, n. 1508; TAR Abruzzo Pescara, 13.02.2004, n. 208; TAR Lombardia Brescia, 17.02.2004, n. 105)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 21.08.2008 n. 9955 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa mancata comunicazione delle ragioni ostative è assimilabile all’assenza di comunicazione di avvio del procedimento.
La violazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990 per mancata comunicazione delle ragioni ostative è assimilabile all’assenza di comunicazione di avvio del procedimento, in quanto entrambi gli atti hanno lo scopo di permettere un effettivo confronto tra l’amministrazione e i privati anteriormente all’adozione di un provvedimento negativo, in modo che non siano trascurati elementi istruttori utili per la decisione finale. L’identità della funzione permette di affermare che anche la mancanza della comunicazione ex art. 10-bis della legge 241/1990 incide sulla validità dell’atto conclusivo nei soli limiti previsti dall’art. 21-octies comma 2 della legge 241/1990, ossia qualora abbia determinato un deficit istruttorio. Questo non si verifica quando vi siano state modalità di informazione equivalenti (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 20.08.2008 n. 862 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nel caso di revoca dell'aggiudicazione definitiva occorre comunicare l'avvio del relativo procedimento.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, quando l’amministrazione intenda procedere al riesame in autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva, con il quale si sia concluso il procedimento di affidamento di contratti pubblici deve adempiere alla prescrizione imposta dall’art. 7 della legge n. 241/1990 (recentemente Cons. St, sez. V, 21.11.2007, n. 5925), provvedendo alla comunicazione dell’avvio del procedimento (quantomeno) nei confronti dell’aggiudicatario la cui sfera giuridica potrebbe essere incisa dagli effetti sfavorevoli derivanti dall’adozione dell’atto di revoca.
R
ichiamata quella giurisprudenza secondo la quale l’amministrazione appaltante può rivedere o riesaminare l’aggiudicazione definitiva, in presenza di specifiche ragioni di pubblico interesse (da sottoporre a comparazione con gli interessi del privato che si sia aggiudicato il contratto), occorre subito precisare che l’esercizio legittimo di un tale potere di autotutela comporta, in sede di motivazione del provvedimento di secondo grado, la esplicazione analitica e determinata dei fatti che supportano la rivalutazione degli interessi pubblici nella concreta vicenda amministrativa implicata (si veda, per tutte, Cons. St., sez. IV, 22.10.2004, n. 6931) e giustificano il sacrificio imposto all’interesse del privato (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 12.08.2008 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere precarie.
La natura precaria di un manufatto, ai fini dell'esenzione dalla concessione edilizia o permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitati, non essendo certamente sufficiente che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.07.2008 n. 31467 - link a www.lexambiente.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Sulle relazioni sindacali nel comparto Regioni/Autonomie Locali.
Un ente locale con dirigenza non può, unilateralmente, appropriarsi delle risorse del fondo collettivo di cui all’art. 15 del CCNL 01.04.1999 e destinarle al finanziamento di nuove posizioni organizzative (Tribunale di Verbania, Sez. lavoro e previdenza, decreto 16.07.2008 - link a www.altalex.com).

APPALTI: L'impresa che ha perso l'appalto, per errata interpretazione di una norma da parte del comune, ha diritto al risarcimento del danno subìto.
Ai fini dell'ammissibilità dell'azione di risarcimento del danno, deve valutarsi la sussistenza dell'elemento psicologico, quanto meno della colpa, in quanto la responsabilità patrimoniale della p.a. conseguente all'annullamento di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dall'art. 2043 c.c., in base al quale l'imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell'illegittimità del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione (e l'esecuzione dell'atto impugnato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi (Cons. Stato, sez. V, 06.03.2007, n. 1049).
Il criterio soggettivo di imputazione necessario per configurare a carico della pubblica amministrazione la responsabilità per danni da azione amministrativa illegittima è costituito dalla colpa lieve.
L’esclusione di responsabilità in presenza di mera culpa levis, concernendo soltanto le prestazioni che possano implicare la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, non può comunque riferirsi all’attività di mera interpretazione di norme giuridiche, quale è stata quella che, nella specie, ha dato luogo all’erronea individuazione dell’aggiudicatario nella gara de qua.
Infatti l’Amministrazione interpreta a proprio rischio le norme giuridiche, al pari di come del resto avviene per ogni altro soggetto dell’ordinamento; cioè senza alcuna certezza dell’esattezza di tale propria esegesi, e -soprattutto- senza poter vantare alcuna speciale irresponsabilità per le conseguenze economicamente pregiudizievoli dell’esegesi eventualmente erronea della nuova norma (in altri termini, essa non può trasferire sui terzi il danno ingiusto cagionato da un proprio eventuale errore esegetico).
A fronte delle perplessità scaturenti dall’interpretazione di una norma, su cui non si sia ancora consolidato un sicuro orientamento giurisprudenziale, l’Amministrazione che agisca con la normale prudenza e diligenza al fine di evitare di produrre danni di cui sarebbe, altrimenti, responsabile, deve piuttosto adottare specifiche cautele, adeguate al contesto dello specifico caso (C.G.A. 12.04.2007, n. 361 e 18.04.2006, n. 153) (C.G.A. Regione Sicilia, sentenza 04.07.2008 n. 591 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: S. Lazzini, Che cosa deve fare una Stazione Appaltante in caso di presentazione di cauzione provvisoria, mediante polizza assicurativa, non contenente espressamente la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale e la loro operatività entro 15 gg. a semplice richiesta della stazione appaltante; nonché in assenza di adeguata dichiarazione (di cui al punto 8 del bando) avente ad oggetto la cauzione definitiva? Se una ditta non classificatasi al primo posto, riesce a dimostrare che altre imprese avrebbero dovuto essere escluse e di conseguenza, se il comportamento della Stazione Appaltante fosse stato legittimo, l’aggiudicazione sarebbe stata certa, a lavori ultimati, qual è l’ammontare del risarcimento del danno che il giudice amministrativo può riconoscere?
Poiché espressamente il bando di gara prevedeva che: <a pena di esclusione, al punto 8 che l’offerta doveva essere corredata da: 1) una cauzione provvisoria, pari almeno al 2% dell’importo complessivo dell’appalto, costituita alternativamente da versamento in contanti o in titoli del debito pubblico presso la tesoreria provinciale dello stato ovvero da fideiussione bancaria o polizza assicurativa o polizza rilasciata da un intermediario finanziario iscritto nell’elenco speciale di cui all’art.107 del D.lgvo n. 385/1993, avente validità per almeno 180 gg. dalla data di presentazione dell’offerta, da rendersi in conformità al D.M. n. 123/2004; 2) una dichiarazione di un istituto bancario oppure di una compagnia di assicurazione oppure di un intermediario finanziario iscritto nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del D.lgvo n. 385/1993 contenente l’impegno a rilasciare, in caso di aggiudicazione definitiva dell’appalto, a richiesta del concorrente, una fideiussione o polizza relativa alla cauzione definitiva in favore dell’amministrazione aggiudicatrice valida fino alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio e comunque con validità non inferiore a 12 mesi dalla data del verbale di consegna dei lavori.>, considerato che per quanto concerne la cauzione provvisoria le offerte presentate da tutte le cinque imprese risultavano conformi alla lex specialis della gara, laddove prevedeva la conformità di tali contratti agli schemi di polizza tipo approvati dal DM 123/2004 e contenuti in allegato a questo, mentre per quanto riguarda l’impegno alla costituzione della cauzione definitiva in caso di aggiudicazione le offerte presentate da due società, non contenevano un simile impegno, e pertanto, dovevano essere escluse dalla gara in questione e di conseguenza:alla luce di tali argomentazioni, le dedotte censure devono essere accolte, con conseguente annullamento dei provvedimenti di aggiudicazione intervenuti a favore della controinteressata.
Il Collegio ritiene che nella presente controversia ai fini della quantificazione del danno risarcibile si possa far ricorso all’istituto di cui all’art. 35, comma 2, del D.lgvo n. 80/1998, il quale prevede che nelle controversie risarcitorie il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.
A tal fine deve essere evidenziato che la proposta della resistente stazione appaltante, da comunicare alla impresa ricorrente entro 60 gg. dalla comunicazione o notificazione della presente decisione, dovrà individuare come voce risarcitoria unicamente il lucro cessante, dato che negli atti di causa è stato chiesto il risarcimento solo del mancato utile che l’attuale istante avrebbe conseguito con l’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto de quo.
Per quanto concerne, invece, il lucro cessante, il criterio primario per determinarlo nella sua concretezza è quello della misura prevista dal concorrente medesimo nell’offerta o nella sua disaggregazione analitica costituita dalle giustificazioni degli elementi costitutivi della stessa o in qualsiasi altro atto o documento, mentre la misura massima del 10% è residuale (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 02.07.2008 n. 6366 - link a www.diritto.it).

LAVORI PUBBLICI: S. Lazzini, In tema di istituto della associazione per cooptazione e di assenza di dichiarazione sulla quota di partecipazione di ciascuna impresa interessata nonché di illegittimo comportamento di una stazione appaltante che ha di fatto consentito una rimodulazione complessiva dell’offerta al momento di verifica di un’offerta anomala.
Qualora due imprese dichiarino di voler partecipare utilizzando il meccanismo della cooptazione, di cui all’art. 95, comma 4, del DPR n. 544 del 1999, in questo caso, non si assiste al meccanismo disciplinare predisposto in tema di raggruppamento temporaneo, ma alla diversa situazione per cui si consente “alla singola impresa o all'associazione temporanea da costituire, che abbiano i requisiti prescritti per partecipare alla gara, di associare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti dal bando, a condizione che i lavori eseguiti da quest'ultime non siano superiori al 20% dell'importo complessivo dei lavori e che l'ammontare complessivo delle qualificazioni posseduto da ciascuna sia almeno pari all'importo dei lavori che saranno ad essa affidati.”
L’istituto della associazione per cooptazione, già precedentemente previsto dall'art. 23, comma 6, del D.lgs. n. 406 del 1991, ha proprio la funzione di consentire la partecipazione ad imprese di modeste dimensioni che altrimenti non potrebbero parteciparvi per mancanza dei requisiti prescritti. Il fatto che il bando di gara sia stato emanato prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 163 del 2006 impedisce a questo collegio di prendere posizione in merito alla eventuale sopravvivenza dell’istituto dopo la riforma, ed alla sua compatibilità con il diverso (e più tassativo) meccanismo dell’avvalimento. Rimane il fatto che, in assenza di una disposizione più puntuale, il mero ricorso al sistema della cooptazione rende possibile la partecipazione delle imprese ricorrenti anche in assenza della dichiarazione sulla quota di partecipazione, prescritta in relazione alla costituzione di associazione temporanea. Parimenti, non è richiesto dalla stessa norma che l’impresa cooptata assuma un impegno espresso in relazione all’entità dei lavori di realizzare, atteso che la disciplina fa riferimento all’attività dell’impresa cooptante e nulla dice su eventuali oneri formali di dichiarazione.
La valutazione di congruità, per quanto elemento che comporta “un fisiologico arricchimento degli elementi dedotti in origine” ha un limite costituito dal “divieto dello stravolgimento dell'offerta originaria, che non può trasformarsi, per il tramite delle seconde giustificazioni, in un quid di sostanzialmente nuovo o diverso”. Ciò è invece qui accaduto, atteso che l’aver permesso di dedurre sopravvenienze attive che non erano state oggetto di preventiva giustificazione documentale in sede di presentazione dell’offerta stessa ha di fatto dato vita ad una sostanziale modifica dell’offerta originaria, violando così i canoni ordinari dei procedimenti di gara, sia in relazione alla posizione reciproca dei concorrenti, che in rapporto alla stazione appaltante (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 02.07.2008 n. 6353 - link a www.diritto.it).

APPALTI: S. Lazzini, É legittimo escludere un’impresa la cui offerta perviene alla Stazione appaltante dieci minuti dopo il termine assegnato per la partecipazione?
Trattandosi di un termine espresso (anche) in ore è ragionevole che per garantire pari condizioni a tutti i concorrenti l’ora di riferimento sia quella segnata dall’orologio dell’ufficio della stazione appaltante preposto al ricevimento delle offerte (nel caso in esame l’ufficio protocollo).
La diligenza dei concorrenti deve in effetti essere misurata con un parametro oggettivo e sottratto alla possibilità di manipolazioni. Il fatto che il ritardo sia di pochi minuti non lo rende trascurabile, in quanto con il superamento dell’ora prefissata si consolida l’interesse dei concorrenti a evitare l’ammissione di ulteriori offerte. La situazione esce pertanto dalla disponibilità della stazione appaltante e si colloca nell’ambito dei rapporti tra i concorrenti impedendo l’applicazione del principio di massima partecipazione.
La necessità di interpretare rigorosamente il termine espresso in ore deriva inoltre dalla concatenazione degli adempimenti stabilita nel bando di gara. Nello stesso giorno infatti, subito dopo la scadenza del termine di pervenimento delle offerte (ore 12.00), era prevista l’apertura delle offerte (ore 14.30).
Era quindi chiaro agli aspiranti concorrenti che il rispetto del primo termine assumeva una funzione di rilievo nel contesto dei tempi accelerati della procedura. Di qui la necessità di una particolare diligenza nella tempistica  (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 01.07.2008 n. 747 - link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Violazione sigilli cantiere edilizio sequestrato..
In tema di violazione di sigilli, la prosecuzione dell'attività edilizia in un cantiere sequestrato con apposizione dei sigilli configura il delitto di cui all'art. 349 cod. pen. e non quello di cui all'art. 334 cod. pen. (sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro), in quanto l'apposizione dei sigilli mira ad impedire la violazione del vincolo di immodificabilità della "res" nell'interesse dell'amministrazione della giustizia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 16.05.2008 n. 19722 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria. Odori molesti.
In tema di emissioni idonee a creare molestie alle persone, laddove, trattandosi di odori, manchi la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.05.2008 n. 19206 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATASulla precarietà o meno della copertura di una piscina scoperta.
Il progettato intervento -consistente nella realizzazione di una struttura telescopica (a copertura di una piscina) in metallo e vetro, con due lati estremi fissi e con altezza utile media superiore a tre metri– non appare caratterizzato dalla pertinenzialità e temporaneità, requisiti, questi, che varrebbero ad escludere la sua consistenza di “volume”: il carattere precario di una costruzione, invero, non va desunto dalla sua più o meno facile rimovibilità o dalla fissità del suo ancoraggio al suolo, bensì dal fatto che essa sia idonea a soddisfare esigenze transitorie (e non continuative nel tempo, ancorché limitate ad un periodo dell’anno) e sia destinata alla demolizione spontanea quando sia cessato l’uso (giurisprudenza pacifica: cfr. Cass. pen., III, 14.02-12.03.2004 n. 11880; CdS, V, 11.02.2003 n. 696 e, da ultimo, TAR Piemonte, 10.05.2006 n. 2073) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2006 n. 4095 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO ALL'01.09.2008

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dossier RIFIUTI E BONIFICHE

AMBIENTE-ECOLOGIA: Sul soggetto deputato all'emissione dell'ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati.
Sulla comunicazione di avvio del procedimento per la rimozione di rifiuti abbandonati.
L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006, è norma speciale sopravvenuta rispetto all'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000, la quale attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2; pertanto, tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio della specialità e criterio cronologico), prevale sul disposto dell'art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000.
In tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza amministrativa, già con riferimento alla misura reintegratoria prevista e disciplinata dall'art. 14 del D.lgs. n. 22/1997 (c.d. “Decreto Ronchi”), statuì che il proprietario dell'area fosse tenuto a provvedere allo smaltimento solo a condizione che ne fosse dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell'illecito abbandono di rifiuti, per aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo (v., tra le molte, Cons. St., sez. V, 25.01.2005 , n. 136), escludendo conseguentemente che la norma configurasse un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva (vieppiù, per fatto altrui);
In particolare, fu affermata l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta;
I suddetti principi a fortiori si attagliano anche al disposto dell'art. 192 del D.lgs. n. 152/2006, dal momento che tale articolo, non soltanto riproduce il tenore dell'abrogato art. 14 sopra citato, con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma in più integra il precedente precetto precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”.
Il Legislatore delegato ha in questo modo inteso rafforzare e promuovere le esigenze di un'effettiva partecipazione dei potenziali destinatari del provvedimento ablatorio personale allo specifico procedimento; pertanto, la preventiva, formale comunicazione dell'avvio del procedimento si configura attualmente come un adempimento indispensabile al fine dell'effettiva instaurazione di un contraddittorio procedimentale con gli interessati
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4061 - link a  www.giustizia-amministrativa.it).

G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:  B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 35 del 26.08.2008, "Misure di conservazione per la tutela delle ZPS lombarde ai sensi del d.m. 17 ottobre 2007, n. 184 - Integrazione alla d.g.r. n. 6646/2008" (deliberazione G.R. 30.07.2008 n. 7884 - link a  www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 35 del 25.08.2008, "Approvazione circolare relativa all'applicazione della l.r. 26/1995 e al rapporto con l'art. 11 del d.lgs. 115/2008" (decreto D.G. 07.08.2008 n. 8935 - link a  www.infopoint.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

PUBBLICO IMPIEGO: A. Barbiero, Riduzione incentivo progettazione (link a www.albertobarbiero.net).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Barbiero, Affidamento incarichi e consulenze D.l. 112/2008 (link a www.albertobarbiero.net).

EDILIZIA PRIVATA: L. Spallino, Beni paesaggistici: approvati i criteri per l'esercizio delle funzioni paesaggistiche in Lombardia (link a studiospallino.blogspot.com).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI:   Ritenuto in diritto:
Sulla conformità o meno alla normativa vigente di una polizza fideiussoria sottoscritta esclusivamente dall’impresa capogruppo di un raggruppamento costituendo questa Autorità si è già espressa con le deliberazioni del 09.05.2007 n. 126 e del 10.10.2007 n. 84, nelle quali ha evidenziato, sulla scorta dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 04.10.2005 del Consiglio di Stato, che non solo sussiste l’obbligo che la polizza fideiussoria sia intestata a tutte le imprese del costituendo raggruppamento, ma sussiste altresì l’obbligo di sottoscrizione della polizza fideiussoria da parte di tutte le imprese interessate alla costituenda ATI.
Nel caso in esame, tuttavia, deve rilevarsi che la documentazione di gara non risulta essere chiara e non equivoca. Infatti il Capitolato Speciale di gara, alla pagina 28, contenente la disciplina sui raggruppamenti di imprese, prevede testualmente quanto segue: “i documenti di cui ai punti 2, 11, 13 e 15 dovranno essere prodotti dall’impresa capogruppo del raggruppamento o del consorzio”. Posto che il punto 15 del Capitolato Speciale si riferisce al deposito cauzionale provvisorio e definitivo, da come è formulata la citata disposizione, potrebbe intendersi che la lex specialis di gara abbia previsto che la cauzione venga prodotta, senza fare distinzione tra raggruppamenti costituiti o costituendi, dalla sola impresa capogruppo,
Stante l’ambiguità della suddetta clausola, è principio noto che le stazioni appaltanti, nel predisporre gli atti di una gara d’appalto, hanno l’onere di indicare con estrema chiarezza i requisiti richiesti alle imprese partecipanti, onde evitare che il principio di massima concorrenza tra le stesse imprese, cui si correla l’interesse pubblico all’individuazione della migliore offerta, possa essere in concreto vanificato da clausole equivoche non chiaramente percepibili dai soggetti partecipanti. Pertanto, le disposizioni con le quali siano prescritti particolari adempimenti per l’ammissione alla gara, ove indichino in modo equivoco taluni dei detti adempimenti, vanno interpretate nel senso più favorevole all’ammissione degli aspiranti, corrispondendo all’interesse pubblico di assicurare un ambito più vasto di valutazioni e, quindi, un’aggiudicazione alle condizioni migliori possibili (cfr. per tutti già Cons. Stato, VI, 12.06.1992, n. 481).
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che le disposte esclusioni non sono conformi alla normativa vigente di settore e al principio del favor partecipationis, stante la poca chiarezza della clausola sui raggruppamenti contenuta nel Capitolato Speciale di gara (parere 21.05.2008 n. 167 - link a massimario.avlp.it).

LAVORI PUBBLICI:  Ritenuto in diritto:
Preliminarmente si fa presente che la problematica sottoposta all’attenzione dell’Autorità viene esaminata sotto il profilo del rispetto della concorrenza nella procedura di gara, non rientrando nella ratio dell’istituto delle soluzioni delle controversie insorte in sede di gara, valutazioni di merito proprie del singolo progettista ed attinenti alla sua responsabilità specifica in sede di progettazione.
In linea generale, per quanto attiene all’individuazione delle categorie di lavorazione presenti nell’appalto, si richiama quanto disposto dall’articolo 73, commi 2 e 3, del d. P.R. 554/1999, in base al quale nel bando di gara deve essere indicata la categoria prevalente, nonché tutte le parti, appartenenti alle categorie generali o specializzate di cui si compone l’opera, con i relativi importi e categorie, nel caso in cui dette parti siano di importo superiore al dieci per cento dell’importo complessivo dell’appalto o di importo superiore a 150.000 euro.
Per quanto attiene all’eccezione relativa alla pubblicità del bando di gara, si fa presente che ai sensi dell’articolo 122, comma 5, del d. Lgs. n. 163/2006, relativamente ad appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 500.000 euro, i relativi bandi ed avvisi sui risultati della procedura di affidamento sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, sul “profilo di committente” della stazione appaltante, sul sito informatico del Ministero delle infrastrutture, e, per estratto, su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale.
La S.A. ha invece seguito modalità di pubblicità diverse, in adempimento di quanto prescritto in materia dalla legge regionale n. 5/2007, articolo 22.
Al riguardo, deve rilevarsi che la medesima legge regionale è stata oggetto di impugnativa da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Delibera C.d.M. del 28.09.2007) per illegittimità costituzionale di una serie di articoli, fra i quali anche l’articolo 22, che, poiché attengono ad aspetti inerenti le procedure di affidamento, sono di competenza esclusiva statale, ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del d. Lgs. n. 163/2006: la Regione Autonoma Sardegna non può, prosegue l’impugnativa, introdurre una disciplina difforme da quanto disposto dal Codice dei contratti pubblici in relazione alle materie di cui al citato articolo 4, comma 3, al fine “di evitare disparità di trattamento delle imprese che operano sull’intero territorio nazionale con conseguenti effetti distorsivi del sistema e alterazione del regime di concorrenza”.
Ai fini della soluzione del caso in esame, tuttavia, si deve tener presente che fino alla pronuncia della Corte Costituzionale, la norma regionale trova comunque applicazione.
Infatti, solo in presenza di una violazione diretta di un principio comunitario è consentito all’operatore del diritto disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la normativa comunitaria, fattispecie che non sembra rilevarsi nelle modalità di pubblicazione dei bandi di gara relativi ad appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria.
Pertanto, non si rilevano profili di non conformità nell’operato della S.A. che ha pubblicato il bando in esame secondo quanto prescritto dall’articolo 22 della legge regionale n. 5/2007.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il bando in esame è conforme alla normativa regionale di settore (parere 21.05.2008 n. 166 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Appalto senza gara alla società controllata dal Comune.
È conforme al diritto comunitario che il Comune di Mantova abbia affidato nel 1997 in via diretta e senza pubblicazione di un apposito bando di gara nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee la gestione, la manutenzione e lo sviluppo di propri servizi informatici all’ASI SpA (Corte di Giustizia Europea, Sez. II, sentenza 17.07.2008 n. C‑371/05 - link a www.aziendalex.kataweb.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'ordinanza contingibile ed urgente non soggiace alla preventiva comunicazione di avvio del procedimento.
Deve ritenersi sottratto all’obbligo di preventivo avviso di avvio del procedimento il provvedimento sindacale contingibile e urgente adottato per ragioni di tutela della salute pubblica (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 20.01.2006, n. 455; Cons. Stato, sez. V, 29.09.2000, n. 4906: quest’ultima decisione si riferisce ad una fattispecie con marcati elementi di similitudine con quella oggetto del presente giudizio, controvertendosi in quel caso circa la legittimità dell’ordinanza sindacale che imponeva ad una radio privata la riduzione delle emissioni elettromagnetiche).
Il potere sindacale di adottare ordinanze d’urgenza era disciplinato, all’epoca del provvedimento cui si riferisce il ricorso, dall’articolo 38, comma 2, della legge 08.06.1990, n. 142: “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini; per l’esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l’assistenza della forza pubblica”. Tale disposizione conferiva al sindaco, laddove fosse necessario per salvaguardare esigenze primarie della collettività quali la salute delle persone e l’igiene pubblica, il potere di sacrificare interessi giuridicamente protetti di soggetti determinati, ma richiedeva che il potere fosse esercitato nel rispetto di rigorose garanzie sostanziali (i principi generali dell’ordinamento giuridico) e formali (la motivazione dell’atto). Sotto quest’ultimo profilo, il potere esercitabile dal sindaco presupponeva una situazione di pericolo grave ed effettivo, da esternare con congrua motivazione, e non poteva certo essere inteso quale mero strumento sanzionatorio di particolari omissioni compiute dai consociati. L’enunciazione di tali principi, consolidati nella giurisprudenza amministrativa, induce una sicura diagnosi di illegittimità del provvedimento impugnato che, come più estesamente riferito sub 1), non rende ragione di specifiche situazioni o fattori di pericolo per la salute della collettività, ma si limita a rilevare l’assenza dei presupposti richiesti dalla legge per l’esercizio dell’emittenza radiofonica. Anzi, il provvedimento di cui si controverte non è corredato, a ben vedere, da una vera e propria motivazione (per quanto insufficiente), ma da un semplice preambolo in cui si rende conto di un esposto presentato all’Autorità giudiziaria (omettendo di riferirne i contenuti), si fa riferimento ad una non meglio precisata “documentazione in archivio” e, infine, si richiama la già accennata relazione dell’A.R.P.A., senza prendere posizione al riguardo. Tale embrione di corredo motivazionale è palesemente insufficiente a soddisfare le esigenze di chiarezza cui deve rispondere l’agire della pubblica amministrazione e che si sostanziano nell’obbligo di fondare i provvedimenti su un compiuto supporto motivazionale.
Non può negarsi che l’accertamento da parte degli organi tecnici di situazioni suscettibili di recare danno alla salute pubblica possa essere fatto proprio dal sindaco con semplice richiamo al documento che li contiene e che tale richiamo soddisfi l’obbligo di motivazione per legittimare l’esercizio della potestà d’ordinanza contingibile e urgente (cfr. TAR Lazio, Sez. II, 04.05.2007, n. 3985)
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 16.07.2008 n. 1603 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sull'ordinanza contingibile ed urgente.
Non è dubitabile che l’emanazione di un’ordinanza ai sensi dell’art. 54, comma 2, del D.L.vo 2000 n. 267 presupponga l’esistenza di una situazione eccezionale ed imprevedibile. Tuttavia, tale presupposto va interpretato nel senso che “ciò che rileva non è la circostanza, estrinseca, che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero ad un evento nuovo ed imprevedibile, ma la sussistenza della necessità e della urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità che dalla stessa imputabilità all’Amministrazione o a terzi della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere” (C.d.S., sez. V, 09.11.1998, n. 1585; C.d.S. sez. V, 06.02.2001 n. 1904; Tar Campania Napoli, sez. I, 27.03.2000, n. 813; Tar Campania Napoli, sez. I, 18.05.2005 n. 8328). In definitiva, il decorso del tempo non consuma il potere di ordinanza, perché ciò che rileva è la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l'immediatezza dell'intervento urgente del Sindaco va rapportata all'effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell'ordinanza (cfr. in argomento C.d.S. sez. V, 06.02.2001 n. 1904; TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 30.04.2007 n. 728).
Non è dubitabile che le ordinanze in questione siano necessariamente provvisorie, non essendo idonee, per il loro carattere extra ordinem, a disciplinare in modo stabile la situazione concreta sulla quale incidono (cfr. tra le tante TAR Friuli Venezia Giulia–Trieste, 20.10.2005 n. 828) .
Tuttavia, la necessaria previsione di un termine di efficacia può essere realizzata non solo mediante l’indicazione di una data fissa, ma anche in correlazione con la durata dell’urgenza.
Le ordinanze di cui all’art. 54, comma 2, del D.L.vo 2000 n. 267 sono degli strumenti extra ordinem, che, come tali, non possono essere utilizzati in sostituzione degli ordinari poteri amministrativi, ma solo per fronteggiare un pericolo imminente per l’incolumità pubblica. A ben vedere, tale principio non preclude all’amministrazione, investita di un determinato potere per il raggiungimento dell’interesse pubblico, di adottare ordinanze contingibili ed urgenti al fine di garantire la tutela del medesimo interesse in condizioni di urgente necessità, ossia in presenza di tutti i presupposti di emanazione di tali ordinanze, ma si limita ad escludere che l’amministrazione possa arbitrariamente utilizzare il potere di ordinanza in luogo degli ordinari poteri amministrativi, finalizzati alla tutela di un certo interesse pubblico (cfr. in argomento TAR Lazio Roma, sez. II, 14.02.2007, n. 1352).
Le ordinanze extra ordinem si caratterizzano proprio per l’atipicità del loro contenuto, atteso che è rimessa all’amministrazione la individuazione delle misure idonee a fronteggiare il pericolo riscontrato.
Le ordinanze contingibili ed urgenti devono rispettare il principio di proporzionalità e, pertanto, devono disporre misure adeguate al pericolo da fronteggiare e tali da arrecare il minore pregiudizio possibile agli altri interessi, pubblici e privati, presenti nella fattispecie concreta (cfr., tra le tante, TAR Lazio Roma, sez. III, 15.09.2006 n. 8614).
Per giurisprudenza costante, le ordinanze contingibili ed urgenti previste dall’art. 54, comma 2, del D.L.vo 2000 n. 267 devono essere precedute da un’istruttoria adeguata, dalla quale emerga l’esistenza di una situazione di pericolo per l’incolumità pubblica, cui porre rimedio con urgenza (cfr., tra le tante, TAR Lazio Latina 17.01.2007 n. 40; TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 09.10.2006 n. 1128) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 02.07.2008 n. 1441- link a www.giustizia-amministrativa.it).

VARI: Reato usare software senza licenza negli studi professionali. La nuova legge sul diritto d’autore punisce più severamente l’uso abusivo di prodotti informatici.
È reato utilizzare programmi software senza licenza negli studi professionali. Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando una sentenza del GUP del Tribunale di Lecco che aveva condannato un professionista ad una multa salata (pena concordata) per avere duplicato e riprodotto programmi software di proprietà di una società senza averne acquistato la licenza d’uso (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.06.2008 n. 25104 - link a www.azindalex.kataweb.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di balcone, distribuzione delle aperture sulla facciata, pregiudizio.
La motivazione addotta dal Comune non può ritenersi in ogni caso idonea a legittimare il diniego della modifica della finestra in balcone, laddove i ricorrenti nel realizzare tale intervento hanno peraltro dimostrato di essersi attenuti alle medesime caratteristiche costruttive degli altri balconi esistenti sulla medesima facciata, ed hanno altresì inteso riequilibrare la facciata medesima attraverso un riallineamento con altro analogo balcone già esistente al piano superiore (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 07.03.2008 n. 952 - link a www.altalex.com).