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AGGIORNAMENTI PREGRESSI mese di AGOSTO 2008

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aggiornamento al 25.08.2008

aggiornamento al 21.08.2008

aggiornamento al 18.08.2008

aggiornamento al 13.08.2008

aggiornamento al 04.08.2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGGIORNAMENTO AL 25.08.2008

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dossier RINNOVO/PROROGA CONTRATTI

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: E' vietata la rinnovazione di contratti di appalto scaduti.
All’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 23 l. n. 62/2005, deve assegnarsi una valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici.
Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato, infatti, si assicura l’effettiva conformazione dell’ordinamento interno a quello comunitario, mentre, accedendo a letture sistematiche che riducano la portata precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici scaduti e che introducano indebite eccezioni, si finisce per vanificare la palese intenzione del legislatore del 2005 di adeguare la disciplina nazionale in materia a quella europea e, quindi, per conservare profili di conflitto con quest’ultima del regime giuridico del rinnovo dei contratti di appalto delle pubbliche amministrazioni.
Ne consegue che, in coerenza con la regola ermeneutica appena sintetizzata, non solo l’intervento normativo di cui all’art. 23 l. n. 62/2005 dev’essere letto ed applicato in modo da escludere ed impedire, in via generale ed incondizionata, la rinnovazione di contratti di appalto scaduti, ma anche l’esegesi di altre disposizioni dell’ordinamento che consentirebbero, in deroga alle procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici, l’affidamento, senza gara, degli stessi servizi per ulteriori periodi dev’essere condotta alla stregua del vincolante criterio che vieta (con valenza imperativa ed inderogabile) il rinnovo dei contratti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.10.2006 n. 6458 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Se una motivazione specifica è necessaria qualora l'Amministrazione intenda rinnovare un contratto avente ad oggetto prestazione di forniture o servizi, altrettanto non può essere legittimamente predicato nel caso –inverso– di diniego di rinnovo.
È ben vero che, secondo quanto affermato in giurisprudenza, in presenza di un'istanza della parte privata titolare di un contratto di fornitura di servizio finalizzata a sollecitare la facoltà dell'Amministrazione di rinnovare il contratto, l'Amministrazione stessa –in conformità agli obblighi di lealtà, correttezza e solidarietà, insiti nei principi di imparzialità e buon andamento cui deve ispirarsi l'attività della P.A.– ha l'obbligo di concludere il relativo procedimento con un provvedimento espresso, corredato di apposita motivazione in ordine alla tutela dell'interesse pubblico in questo modo perseguito: tale principio rappresentando l’interfaccia di una posizione, in capo al privato contraente, differenziata e tutelabile, derivante dalla titolarità del pregresso rapporto negoziale e dall’esistenza dei requisiti di legge per ottenere il rinnovo contrattuale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 02.11.2004 n. 7068).
Ma è altrettanto vero che:
- se l'eventuale determinazione di addivenire al rinnovo del contratto deve essere preceduta da apposita istruttoria e assistita da congrua motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17.04.2003 n. 2079) in ragione della valenza derogatoria da tale scelta assunta rispetto all’indizione di una gara pubblica,
- all'opposto, per le stesse ragioni la negativa determinazione in ordine al rinnovo non richiede motivazione particolarmente ampia ed estesa, quando non debba condividersi, secondo quanto opinato dalla prevalente giurisprudenza, che essa in effetti non richieda motivazione alcuna (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 22.07.2003 n. 2939; TAR Piemonte, 24.03.2001 n. 631; TAR Calabria, Reggio Calabria, 10.03.2001 n. 235).
In altri termini, se una motivazione specifica è necessaria qualora l'Amministrazione intenda rinnovare un contratto avente ad oggetto prestazione di forniture o servizi, altrettanto non può essere legittimamente predicato nel caso –inverso– di diniego di rinnovo: e ciò a maggior ragione nell'ipotesi in cui l'Amministrazione stessa ritenga di affidare il servizio mediante una gara, atteso che le procedure concorsuali per la scelta del contraente da parte della P.A. costituiscono la regola, assicurando il raggiungimento dell'ulteriore finalità perseguita dal Legislatore di impedire il consolidarsi di situazioni non concorrenziali (TAR Puglia, Bari, sez. I, 13.07.2001 n. 2986; TAR Marche, 28.05.1999 n. 692).
Pur nel ribadire la perdurante vigenza, all’interno dell’ordinamento, del principio di rinnovabilità dei rapporti contrattuali intrattenuti dalla Pubblica Amministrazione –ove sancito dalla lex specialis di gara, ovvero contenuto nel contratto– va tuttavia escluso che la relativa facoltà possa assumere, anche solo in parte, carattere di obbligatorietà, vincolando in tal modo l’operato della Pubblica Amministrazione.
In tal senso, quest’ultima potrà trovarsi di fronte ad una duplicità di scelte (rinnovo del precedente vincolo contrattuale; indizione di una pubblica gara per l’affidamento del servizio) che, quantunque entrambi elettivamente percorribili, nondimeno non si trovano su un piano di indifferenziata opzionabilità (e, quindi, di equipollente operatività).
Le procedure concorsuali per la scelta del contraente da parte della Pubblica Amministrazione rappresentano, infatti, la regola orientativa “cardine” dell’operato della Pubblica Amministrazione nella scelta del privato contraente; mentre la trattativa privata costituisce l'eccezione (e, quindi, è suscettibile di essere legittimamente scelta laddove ricorrano le condizioni ed i presupposti di legge).
Se, quindi, nessuna particolare motivazione è necessaria per l'affidamento di un servizio mediante procedura concorsuale, ex converso è la rinnovazione del rapporto (la quale esclude, per il relativo arco temporale di vigenza, l’indizione di una nuova gara) ad abbisognare di un più congruo conforto motivazionale: e ciò in quanto essa deve essere preceduta dall’accertamento, ad opera dell’Amministrazione, circa la sussistenza del pubblico interesse a rinnovare il rapporto con il precedente contraente, mediante l’acquisizione, anche formale, di utili elementi di valutazione comparativa per accertare se è il caso di orientarsi per una scelta diversa o se è il caso di confermare nel pregresso rapporto l'originario interlocutore (sussistendo in tale ultimo caso l'onere di dare contezza precisa, in base agli utili elementi acquisiti, delle ragioni di convenienza tenute presenti) (TAR Lazio-Roma, Sez. I-bis, sentenza 08.03.2006 n. 1786 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATASolo il comune può decidere se il chiosco da adibire a ristorante è bello o brutto. Non ha alcuna competenza, quindi, la soprintendenza che può giudicare soltanto sulla legittimità degli atti dell'ente locale.
La giurisprudenza ha infatti avuto modo di sostenere che “la disposizione di cui all'art. 10-bis l. n. 241 del 1990 non è applicabile al procedimento statale di verifica della legittimità dell'autorizzazione paesaggistica comunale, dal momento che la relativa comunicazione ha ad oggetto «i motivi che ostano all'accoglimento della domanda», laddove la funzione del potere di cui costituisce espressione il decreto di annullamento di un'autorizzazione paesaggistica, siccome riconducibile alla tipologia dei procedimenti di secondo grado, non è quella di verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti il rilascio del provvedimento favorevole, ma quella di scrutinare la legittimità dell'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione comunale” (TAR Campania Salerno, sez. II, 30.03.2006, n. 346). 
Nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007 si evidenzia coma il riformulato art. 159 del codice dei beni culturali (che, si ripete, sul punto ha sostituito per il periodo transitorio l’art. 151 del Testo Unico del 1999), pur a fronte di una diversa formulazione rispetto a quella previgente “non attribuisce all’amministrazione centrale un potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico per motivi di merito, così da consentire alla stessa amministrazione di sovrapporre una propria valutazione a quella di chi ha rilasciato il titolo autorizzativo, ma riconosce ad essa un controllo di mera legittimità che, peraltro, può riguardare tutti i possibili vizi, tra cui anche l’eccesso di potere”.
La pronunzia riecheggia le conclusioni cui era da tempo pervenuta la giurisprudenza amministrativa che si era confrontata sul richiamato art. 151 del d.lgs. n. 490 del 1999.
Si richiama per tutte la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2001, ove si afferma che “in sede di esame del contenuto della autorizzazione paesistica e prima della conclusione del procedimento, il Ministero può motivatamente valutare se la gestione del vincolo avviene con un atto legittimo, rispettoso di tutti tali principi, e annullare l'autorizzazione che risulti illegittima sotto qualsiasi profilo di eccesso di potere (senza il bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale e ancor prima della modifica dei luoghi), ma non può sovrapporre le proprie eventuali difformi valutazioni sulla modifica dell'area, se l'autorizzazione non risulti viziata”.
In altre parole, la soprintendenza può esaminare d'ufficio tutte le questioni e porre a base dell'annullamento ogni riscontrato vizio, con una motivazione che non può in ogni caso ridursi ad una mera “clausola di stile” circa il pregiudizio ai valori ambientali.
Il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sulla esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione), che non siano stati esaminati dall'autorità che ha emanato l'autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in contrasto con i fondamentali principi sulla legittimità dell'azione amministrativa.
Nel caso di specie, la Soprintendenza ha invece formulato un proprio giudizio sulla non compatibilità dell'intervento con le esigenze di salvaguardia dell'area vincolata, con alcune osservazioni sul pregiudizio ambientale le quali (pur non inficiando di per sé l'atto di annullamento, poiché miranti a fare emergere la rilevanza dei valori tutelati) non hanno tuttavia evidenziato uno specifico vizio della autorizzazione comunale, ove si consideri che il richiamo alla incidenza delle opere è stato effettuato apoditticamente e con una clausola di stile, senza indicare in concreto uno o più elementi in base ai quali la valutazione comunale sulla modificabilità dei luoghi si sarebbe potuta considerare pregiudizievole per il razionale esercizio del potere di pianificazione paesistica, ovvero manifestamente illogica, in ragione dei valori tutelati.
Questa parte del provvedimento ministeriale deve dunque essere dichiarata illegittima per violazione dell’art. 159 del decreto legislativo n. 42 del 2004, come modificato dall’art. 26 del decreto legislativo n. 157 del 2006 (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 08.05.2008 n. 1363 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e anteprima)

ENTI LOCALI: G.U. 21.08.2008 n. 195, suppl. ord. n. 196/L:
- "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" (L. 06.08.2008 n. 133);
- "Testo del decreto-legge 25.06.2008, n. 112 (pubblicato nel supplemento ordinario n. 152/L alla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25.06.2008), coordinato con la legge di conversione 06.08.2008, n. 133 recante: «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria»" (file 1 - file 2 - file 3).

ENTI LOCALI: G.U. 20.08.2008 n. 194 "Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina" (Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, ordinanza 06.08.2008).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 34 del 21.08.2008, "Direttive per l'esercizio della delega di funzioni amministrative ai Comuni e alle loro gestioni associate in materia di demanio della navigazione interna - Modifiche alla d.g.r. n. 10487/2002" (deliberazione G.R. 06.08.2008 n. 7967 - link a www.infopoint.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

LAVORI PUBBLICI: Ritenuto in diritto:
La questione in esame è stata affrontata dall’Autorità con precedenti espressioni di parere, nelle quali è stato evidenziato che, giusto quanto disposto dall’articolo 1, comma 3, del d.P.R. 34/2000, secondo il quale, condizione necessaria e sufficiente ai fini della partecipazione agli appalti di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro, è il possesso dell'attestazione SOA, l'iscrizione all'Albo Nazionale dei Gestori Ambientali è da considerarsi requisito di esecuzione e non di partecipazione alla gara.
Sono, pertanto, conformi alla normativa di settore i bandi, come quelli in esame, che subordinano la stipulazione del contratto all’acquisizione dell’iscrizione al citato Albo: in tal modo si evita una ingiustificata restrizione dell’accesso alla gara, in contrasto con l’art. 1, comma 4, del citato d.P.R. 34/2000, secondo il quale le stazioni appaltanti non possono richiedere ai concorrenti la dimostrazione della qualificazione con modalità, procedure e contenuti diversi da quelli previsti dai titoli I, III e IV.
Per quanto attiene alla clausola che riconosce la facoltà di far ricorso all’avvalimento relativamente all’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, si evidenzia che l’avvalimento si realizza in relazione ad elementi di capacità tecnica, funzionali all’esecuzione dell’appalto: infatti, ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del d. Lgs. n. 163/2006, il concorrente può fornire la richiesta relativa al possesso dei requisiti economici, finanziari, tecnici, organizzativi ovvero dell’attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei requisiti di altro soggetto.
Giova richiamare, al riguardo, la decisione della Commissione europea 31.01.2008, che ha evidenziato come le Direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE non pongono alcuna limitazione all’avvalimento, la cui unica condizione è che il concorrente disponga delle capacità richieste per l’esecuzione dell’appalto.
Così come è consentito l’avvalimento per il requisito dell’attestazione della certificazione SOA, deve ritenersi consentito effettuare l’avvalimento anche per l’iscrizione all’Albo di che trattasi, abilitazione che riconosce ad un soggetto una specifica idoneità a svolgere una determinata attività.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che i bandi in esame sono conformi alla normativa di settore (parere 21.05.2008 n. 165 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
In riferimento alla questione posta congiuntamente da amministrazione e dalla Soc. Coop. a R.L. ONLUS Cultura Solidarietà per lo Sviluppo relativamente alla posizione delle imprese che non hanno presentato le dichiarazioni di inesistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006, occorre distinguere le differenti fattispecie previste dal citato articolo ed i soggetti, per ciascuna di esse, chiamati obbligatoriamente a dimostrare la sussistenza di requisiti morali richiesti.
L’art. 38, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 163/2006 prevede l’esclusione dalle gare dei soggetti “nei cui confronti è pendente procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575”. Per tale fattispecie i soggetti tenuti a dimostrare l’assenza delle citate cause ostative sono chiaramente indicati dalla seconda parte della lettera b), la quale espressamente li riconduce a: “il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, se si tratta di altro tipo di società”.
La lettera c) dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006) prevede l’esclusione dalle gare dei soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18”. Anche per la fattispecie citata la norma prevede espressamente quali sono i soggetti cui l’esclusione si applica, vale a dire: “nei confronti dei del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio”. Inoltre, solo per la fattispecie descritta dalla lett. c) dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, l’esclusione e il divieto operano anche “nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”.
Dunque, i soggetti obbligati a dimostrare l’assenza di cause di esclusione sono chiaramente indicati dalle sopra citate disposizioni. Sul punto deve osservarsi come il genere di dichiarazioni richieste costituisca frutto di informazioni su qualità personali e sulle relative vicende professionali e/o individuali dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza o dei direttori tecnici che, non necessariamente, possono essere a conoscenza del rappresentante legale dell’impresa, trattandosi di eventi (specie quelli connessi a procedimenti penali) che esulano da fattori rientranti nella organizzazione aziendale, quindi non può costituirsi un onere di conoscenza in capo al legale rappresentante della stessa. E’ per tale ragione che le relative dichiarazioni devono essere personalmente rese dagli interessati.
Una precisazione risulta necessaria in merito alle dichiarazioni dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, nel caso in cui detti soggetti siano divenuti irreperibili per l’impresa. In ordine a tale evenienza, l’Autorità ha ritenuto, con deliberazione assunta nell’adunanza del 14 aprile 2004 e da ultimo con deliberazione n. 101/2007, che il legale rappresentante possa rilasciare, “per quanto a propria conoscenza”, specifica dichiarazione in ordine alla non sussistenza di sentenze definitive di condanna nei riguardi di suddetti soggetti.
In applicazione della sopra citata ricostruzione normativa la documentazione della gara in esame ha correttamente previsto all’art. 18 del bando di gara e all’art. 2 del disciplinare che “sono ammessi a partecipare alla gara i soggetti di cui all’art. 34 del D.lgs. n. 163/2006 che non si trovano nelle condizioni di cui all’art. 38 del medesimo decreto”. Inoltre, per maggiore chiarezza, l’Allegato A al disciplinare di gara, contenente lo standard per la dichiarazione sul possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità al D.P.R. n. 445/2000, ha precisato che le dichiarazioni per le fattispecie ricomprese nelle lettere b) e c) dell’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006 “devono essere rese anche dai soggetti previsti dall’art. 38, comma 1, lett. b) e c) del D.Lgs. n. 163/2006 e dai procuratori qualora sottoscrittori delle dichiarazioni costituenti documentazione dell’offerta”. Alla luce di quanto evidenziato, non può ritenersi che le disposizioni contenute nella lex specialis di gara non fossero chiare o potessero dare adito a fraintendimenti a danno dei concorrenti i quali, pertanto, erano tenuti in sede di presentazione dell’offerta, a fornire quanto dettagliatamente richiesto, pena l’esclusione prevista dall’art 24, comma 3, del bando di gara. Conseguentemente, la richiesta integrazione documentale da parte della commissione di gara disposta in favore delle ditte che non avevano presentato tutta la documentazione, si pone in contrasto con la normativa di settore, nonché in violazione del principio della par condicio dei concorrenti. Infatti, la commissione di gara, all’esito della verifica sulla documentazione amministrativa, avrebbe dovuto escludere le ditte partecipanti che avevano omesso di presentare le dichiarazioni dei soggetti obbligati, a seconda della forma societaria posseduta, dalla normativa di cui all’art. 38, comma 1 lett. b) e c) del D.Lgs. n. 163/2006 e dalla lex specialis di gara.
Venendo alla censura presentata dalla Soc. Coop. a R.L. ONLUS Cultura Solidarietà per lo Sviluppo in ordine all’entità del contributo all’Autorità che, secondo la società, sarebbe errato si rileva quanto segue. Il bando della gara in esame prevede quale importo complessivo dell’appalto a base di gara la cifra di euro 1.050.000,00. La stazione appaltante, ai fini dell’individuazione dell’importo del contributo, secondo le fasce indicate dall’Autorità nella propria deliberazione del 10.10.2007, ha effettuato il calcolo sulla base d’asta riferita ad un solo anno. In realtà, secondo quanto previsto dall’art. 8 del bando di gara la durata dell’appalto è di nove anni per un valore totale della gara dunque di 9.450.000,00 euro. In ordine alla modalità di calcolo del contributo, secondo quanto specificato nelle “Risposte ai quesiti frequenti” pubblicate sul portale dell’Autorità viene precisato che “deve essere preso in considerazione il valore complessivo dell’affidamento: ai fini del versamento del contributo si dovrà quindi calcolare l’importo totale presunto, per tutto il periodo dell’affidamento, effettuando le opportune proporzioni per ricondurre all'intera durata del contratto l’importo parziale posto a base di gara” (Risposta 44). Pertanto la stazione appaltante avrebbe dovuto calcolare il contributo sulla base dell’importo totale presunto al quale, dunque, deve applicarsi la fascia di contributo prevista per importi posti a base di gara pari ad oltre 5.000.000,00 euro che risulta ammontare a euro 100.
Tutto ciò posto, deve tuttavia rilevarsi che, non avendo la stazione appaltante provveduto a rettificare l’importo del contributo, non può farsi ricadere tale negligenza in capo ai partecipanti alla gara, i quali hanno considerato il bando di gara quale criterio esclusivo di orientamento e la cifra in esso indicato l’importo effettivo da versare la cui correttezza, peraltro, non poteva essere dalle imprese verificata sul sito riscossione dell’Autorità. Sarà cura di quest’ultima provvedere, ai sensi dell’articolo 4 della delibera 24.01.2008 “Riscossione coattiva e interessi di mora della delibera”, regolarizzare la differenza dell’importo versato.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio Ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che:
- l’integrazione documentale richiesta dalla commissione di gara in favore delle ditte che non hanno presentato la documentazione prevista dall’art. 38, comma 1, lett. b) e c) D.Lgs. n. 163/2006 e dalla lex specialis di gara, si pone in contrasto con la normativa di settore, nonché in violazione del principio della par condicio dei concorrenti;
- l’importo del contributo indicato dalla documentazione di gara, pur risultando errato, non può comportare l’esclusione delle ditte che lo hanno versato
(parere 21.05.2008 n. 164 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATA: Se i lavori non sono terminati va dichiarato decaduto il relativo permesso di costruire.
Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la pronuncia di decadenza (ndr: del permesso di costruire), in mancanza di apposita istanza di proroga, si qualifica come atto vincolato, a carattere meramente dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge, costituito dal mancato completamento dei lavori nel termine assegnato (C.d.S., sez. IV, 26.05.2006, n. 3196; Sez. V, 03.02.2000, n. 597) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.06.2008 n. 3030 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 21.08.2008

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dossier CONSIGLIERI COMUNALI

ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso da parte dei consiglieri comunali (Prefettura di Roma, nota 01.09.2005 n. 45769 di prot.).

ATTI AMMINISTRATIVILa richiesta di accesso agli atti da parte di un consigliere comunale è congruamente motivata con la sola precisazione che la richiesta di accesso è avanzata per l’espletamento del proprio mandato.
L'art. 43, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 statuisce:
“I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.
Dal contenuto di tale norma emerge chiaramente che i consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento del loro mandato, senza alcuna limitazione.
Dal contenuto della stessa norma consegue, altresì, che una richiesta di accesso avanzata da un consigliere comunale a motivo dell’espletamento del proprio mandato risulta congruamente motivata e non può essere disattesa dall’Amministrazione.
Poiché la surriportata norma attribuisce il diritto ai consiglieri comunali di chiedere i documenti ravvisati utili all’espletamento del mandato, la precisazione che la richiesta di accesso è avanzata per l’espletamento del mandato basta a giustificarla, senza che occorra alcuna ulteriore precisazione circa le specifiche ragioni della richiesta.
Né, di contro a quanto sostenuto dall’appellante, il diritto di accesso dei consiglieri comunali troverebbe un limite nel fatto che la norma “de qua” abbia previsto tale diritto solo per le notizie e le informazioni “utili” all’espletamento del mandato.
Allorché una richiesta di accesso è avanzata per l’espletamento del mandato risulta, invero, insita nella stessa l’utilità degli atti richiesti al fine dell’espletamento del mandato.
Il riferimento alle notizie ed alle informazioni “utili” contenuto nella norma in esame, diversamente da quanto assunto dall’appellante, non costituisce affatto una limitazione, se appena si considera l’intero contesto della disposizione.
Il diritto di accesso è stato, infatti, attribuito ai consiglieri comunali per “tutte le notizie e le informazioni …….utili all’espletamento del proprio mandato” e, quindi, per tutte le notizie ed informazioni ritenute utili, senza alcuna limitazione.
Dal termine “utili” contenuto nella norma in oggetto non consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato utile all’espletamento del mandato.
Né l’appellante ha ragione nel sostenere che, comunque, il diritto di accesso dei consiglieri comunali troverebbe un limite nei diritti tutelati dall’ordinamento.
Siffatto limite all’accesso, operante in base alla disciplina posta in via generale dagli artt. 22 e seguenti della L. 07.08.1990, n. 241, non è, infatti, previsto per quanto concerne il diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali, disciplinato dall’art. 43, comma 2, del D. Lgs. 18.08.2000, n. 267, che opera quale norma speciale.
Anzi il limite “de quo” risulta implicitamente escluso dalla detta norma speciale, allorché i consiglieri chiedano l’accesso per l’espletamento del proprio mandato, avendo essa prescritto: “Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.
E’, invero, evidente che non vi sarebbe stata alcuna ragione di porre tale prescrizione ove l’accesso dei consiglieri comunali e provinciali non fosse stato previsto per tutti gli atti dei Comuni e delle Province nonché delle loro aziende ed enti dipendenti, ivi compresi gli atti riguardanti la riservatezza di terzi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 04.05.2004 n. 2716 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: La richiesta di accesso agli atti da parte del consigliere comunale deve essere determinata e non generica.
Il consigliere comunale che esercita il diritto di accesso "non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, né gli organi burocratici dell'ente hanno titolo a richiederlo, perché in caso contrario questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire l'estensione del controllo sul loro operato" (Consiglio di Stato, Sez. V, 26.11.2000, n. 5109).
Anche con riferimento alla richiesta di un consigliere comunale avanzata ex art. 31 comma 5 della legge 08.06.1990 n. 142, "la richiesta di accesso ai documenti della pubblica amministrazione deve essere determinata e non generica, secondo quanto prescrive l'art. 3 comma 2 D.P.R. 27.06.1992 n. 352" (Consiglio di Stato, Sez. V, 08.09.1994, n. 976). Ed inoltre, sempre con riferimento all'attività istituzionale del consigliere comunale, come siano necessarie "per fondarne la legittimazione all'accesso l'esternazione di tale qualifica, insieme alla precisazione degli atti cui accedere" (Consiglio di Stato, Sez. V, 06.12.1999, n. 2046) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.11.2002 n. 6293 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier RINNOVO/PROROGA CONTRATTI

APPALTI FORNITURE E SERVIZIProroghe e rinnovi di contratti pubblici: la disciplina applicabile.
In linea di principio, il rinnovo o la proroga, al di fuori dei casi contemplati dall'ordinamento, di un contratto d'appalto di servizi o di forniture stipulato da un'amministrazione pubblica da luogo a una figura di trattativa privata non consentita e legittima qualsiasi impresa del settore a far valere dinanzi al giudice amministrativo il suo interesse legittimo all'espletamento di una gara.
In tema di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, ma vige il principio che, salvo espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l'amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara ( salva la limitata proroga di cui sopra). Pertanto, allorquando un' impresa del settore lamenti che alla scadenza di un contratto non si è effettuata una gara, fa valere il suo interesse legittimo al rispetto delle norme dettate in materia di scelta del contraente e l'eventuale nullità o inefficacia della clausola contrattuale che preveda un rinnovo o una proroga va accertata in via incidentale dal giudice amministrativo, competente a conoscere in via principale della eventuale lesione del predetto interesse legittimo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.07.2008 n. 3391 - link a www.altalex.com).

dossier SOTTOTETTI

EDILIZIA PRIVATASul recupero, in deroga al PRG, del sottotetto.
• il sottotetto può essere recuperato solo se esistente, ossia quando esiste il rustico dell’edificio e il tetto è stabilmente completato. Il recupero del sottotetto appartiene alla categoria dei lavori di ristrutturazione, non a quella delle nuove costruzioni (art. 3, comma 2, della LR 15.07.1996 n. 15);
• questo implica che il recupero del sottotetto deve avvenire con un intervento edilizio separato e successivo rispetto a quello riguardante la costruzione dell’edificio. In altri termini il recupero del sottotetto non può essere equiparato a una variante in corso d’opera del progetto originario (diversamente si trasformerebbe in una sorta di bonus edificatorio utilizzabile per superare gli indici edilizi ai quali è sottoposto il progetto originario);
• la materiale esistenza del sottotetto da recuperare (delimitato stabilmente dal rustico e dal tetto) fa parte della disciplina urbanistica al cui rispetto è subordinata l’ammissibilità della sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001. Solo l’esistenza del sottotetto consente infatti la deroga agli indici edilizi. Quando i lavori presentati come recupero del sottotetto sono in realtà un’espansione del progetto originario (scollegata da qualsiasi finalità di ristrutturazione) la deroga non è più ammessa, e neppure la sanatoria (TAR Lombardia-Brescia, ordinanza sospensiva 11.03.2005 n. 343 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e anteprima)

PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 19.08.2008 n. 193 "Legge finanziaria 2008 - articolo 3, commi da 43 a 53 - ulteriori indicazioni" (Dipartimento Funzione Pubblica, circolare 30.04.208 n. 6).

APPALTI: G.U. 19.08.2008 n. 193 "Modificazione della deliberazione 24.01.2008, concernente l’entità e le modalità di versamento del contributo a favore dell’Autorità sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture" (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, deliberazione 30.07.2008).

APPALTI: G.U. 19.08.2008 n. 193 "Comunicato relativo alla trasmissione dei dati utili per la redazione dei prospetti statistici" (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, comunicato del Presidente 01.08.2008).

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 34 del 19.08.2008, "Modalità e procedure per la redazione e l'approvazione dei Piani di Indirizzo Forestale" (deliberazione G.R. 24.07.2008 n. 7728 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 18.08.2008, "Determinazioni in merito alla verifica della sussistenza dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnico-scientifica per l'esercizio delle funzioni paesaggistiche (art. 146, comma 6 del d.lgs. n. 42/2004)" (deliberazione G.R. 06.08.2008 n. 7977 - link a www.infopoint.it).

NEWS

EDILIZIA PRIVATALegge Regionale 3 marzo 2006 n. 6 "Norme per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa" - Prime indicazioni (Giunta Regionale Lombardia, Direzione Generale Sanità, nota 05.06.2006 n. 27733 di prot.).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI: L. Bellagamba, La parziale incompatibilità con il diritto comunitario del criterio dell’esclusione automatica, per importi d’affidamento inferiori alla soglia, in attesa dell’entrata in vigore del terzo decreto correttivo - Il problema riguarda il criterio del prezzo più basso, sia per i lavori, sia per servizi e forniture (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: A. Barbiero, Confermato divieto di rinnovo contratti appalto (con schemi) (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI: A. Barbiero, Sintesi su regolarità contributiva (link a www.albertobarbiero.net.).

INCENTIVO PROGETTAZIONE: A. Barbiero, Disciplina incentivi progettazione (link a www.albertobarbiero.net.).

ENTI LOCALI: A. Barbiero, Regolamento uffici servizi incarichi l. 244/2007 (con schema) (link a www.albertobarbiero.net.).

ENTI LOCALI: A. Barbiero, Problematiche inerenti il personale ex legge 244/2007 (link a www.albertobarbiero.net.).

EDILIZIA PRIVATA: A. Barbiero, Lavori a scomputo oneri urbanizzazione (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI: A. Barbiero, Le innovazioni al Codice dei contratti pubblici (link a www.albertobarbiero.net.).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Barbiero, Procedure affidamento incarichi professionali (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI: A. Barbiero, Un percorso per la verifica applicativa del Codice dei contratti (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI SERVIZI: A. Barbiero, Gestione gara appalti servizi allegato IIB (link a www.albertobarbiero.net.).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Barbiero, Affidamento incarichi: presupposti e percorso (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: A. Barbiero, Differenza tra proroga e rinnovo (link a www.albertobarbiero.net.).

ENTI LOCALI: A. Barbiero, Costituzione di Società patrimoniali (link a www.albertobarbiero.net.).

ENTI LOCALI: A. Barbiero, Concessione contributi di competenza dei dirigenti (link a www.albertobarbiero.net.).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Barbiero, Affidamento incarichi dopo la legge 311/2004 - con schema (link a www.albertobarbiero.net.).

ENTI LOCALI: A. Barbiero, Etica e sponsorizzazioni degli Enti Locali (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: A. Barbiero, Determinazione acquisti beni e servizi (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI SERVIZI: A. Barbiero, Canone per affidamento in gestione - con schema (link a www.albertobarbiero.net.).

ENTI LOCALI: A. Barbiero, Regolamento erogazione contributi - con schema (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: A. Barbiero, Gestione gara appalti beni o servizi - con schema (link a www.albertobarbiero.net.).

ENTI LOCALI: A. Barbiero, Revisione regolamento contratti - con schema (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI: A. Barbiero, Gestione istruttoria verifica offerte anomale (23.02.2004) - con schema (link a www.albertobarbiero.net.).

ENTI LOCALI: A. Barbiero, Assegnazione di contributi ad associazioni (con schema criteri) (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI: A. Barbiero, Percorso per valutazione anomalia offerte (con schema) (link a www.albertobarbiero.net.).

APPALTI: A. Barbiero, Composizione e attività commissione di gara (con schemi atti) (link a www.albertobarbiero.net.).

GIURISPRUDENZA

ATTI AMMINISTRATIVI: Nei procedimenti ad istanza di parte non è richiesta la previa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990.
Nei procedimenti ad istanza di parte non è richiesta la previa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990, in quanto non sussiste alcuna utilità pratica, né ragione di garanzia del diritto di partecipazione, nel caso in cui il soggetto, proprio perché ha dato di sua iniziativa impulso al procedimento, sia in grado di vigilare e tutelare le proprie posizioni di interesse ai fini del buon esito dello stesso (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 20.12.2005, n. 7257; Sez. VI, 16.01.2006 n. 73; TAR Lombardia, Milano, 08.03.2007 n. 372).
Né appaiono condivisibili le argomentazioni della ricorrente che, ispirandosi tra l’altro ad una recente pronuncia (TAR Liguria, 31.05.2007 n. 1019) ritiene sussistente anche in tali casi l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, tenuto conto delle modifiche intervenute con L. 11.02.2005 n. 15 che ha inserito, al secondo comma dell’art. 8 della L. 241/1990, la lett. c–ter, secondo cui detta comunicazione deve indicare “nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza”.
Non può difatti escludersi una diversa interpretazione della disposizione novellata, secondo cui tale comunicazione di avvio del procedimento va data non già all’istante, bensì ai soggetti diversi individuati o individuabili che possano ricevere pregiudizio dal provvedimento e che effettivamente hanno interesse a conoscere la “data di presentazione dell’istanza” del richiedente. Tale indicazione è viceversa superflua per il soggetto istante che normalmente sa quando ha inoltrato la domanda e che (nei casi, per esempio di spedizione a mezzo posta) potrebbe ricavare tale informazione “aliunde”, in base alla data di conclusione del procedimento che deve essergli comunicata ai sensi della lett. c–bis) dell’art. 8 L. 241/1990 (previsione che non si riferisce espressamente ai procedimenti ad istanza di parte).
In altri termini, pur ritenendo che, per effetto della L. 15/2005, la comunicazione di avvio del procedimento sia obbligatoria anche per i procedimenti ad istanza di parte, non sussistono tuttavia elementi univoci per ritenere che detta comunicazione debba essere indirizzata al soggetto richiedente (non menzionato dall’art. 8 L. 241/1990 novellato) e non piuttosto ai soggetti controinteressati (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 14.08.2008 n. 1973 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAAnche un solo esposto, in materia di inquinamento acustico, legittima l'adozione dell'ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995.
L’art. 15 della legge regionale 13/2001, dopo aver attribuito ai comuni e alle province l’attività di vigilanza e controllo in materia di inquinamento acustico (comma 1°), ha cura di precisare che per tale attività le Amministrazioni effettuano precise richieste all’ARPA (il che è avvenuto nel caso di specie), <<privilegiando le segnalazioni, gli esposti, le lamentele presentate dai cittadini residenti in ambiti abitativi o esterni prossimi alla sorgente di inquinamento acustico>> (comma 2°).
Ciò premesso, appare sufficiente anche la segnalazione di un solo cittadino per consentire al Comune di intervenire per reprimere le violazioni alla disciplina sull’inquinamento acustico, utilizzando a tal scopo lo specifico –ed unico peraltro– strumento messo a disposizione dalla legislazione speciale in materia (legge 447/1995), vale a dire l’ordinanza di cui all’art. 9 della medesima legge 447/1995.
Del resto, la più recente giurisprudenza ha ammesso la legittimità di un’ordinanza ex art. 9 citato anche se adottata a seguito di un esposto di una sola famiglia (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 08.06.2006, n. 3340 e sez. I, 24.01.2006, n. 488, nelle quali si mette altresì in luce come l’art. 9 della legge 447/1995 rappresenti per così dire l’ordinario rimedio in materia di inquinamento acustico, non prevedendo la citata legge altri strumenti a disposizione delle Amministrazioni comunali e TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27.12.2007, n. 6819).
Il potere di ordinanza comunale in materia costituisce espressione della potestà regolatoria volta a conformare l’attività privata al rispetto dei limiti di emissione acustica nell’ambito del territorio comunale; tale potere conformativo può manifestarsi, come del resto è avvenuto nella presente fattispecie, anche attraverso l’obbligo per il responsabile delle immissioni rumorose di ridurre o rimodulare l’orario della propria attività fonte delle suddette immissioni.
Neppure potrebbe sostenersi, come vorrebbero le ricorrenti, che il Comune avrebbe dovuto ricorrere a rimedi alternativi rispetto alla riduzione di orario: l’Amministrazione ha infatti imposto l’adozione di adeguata misure di insonorizzazione, fermo restando, nelle more della loro realizzazione, la variazione dell’orario di apertura.
La mancata previsione di un termine certo di durata degli effetti dell’ordinanza impugnata non ne mina la legittimità: trattandosi di ordinanza contingibile ed urgente ex art. 9 legge 447/1995, non appare infatti illegittima la fissazione di un termine di efficacia subordinata alla realizzazione, da parte del responsabile dell’inquinamento, delle opere necessarie per il rispetto dei limiti di emissione sonora.
Il rispetto dei limiti differenziali di immissione di cui all’art. 4 del DPCM 14.11.1997 riguarda tutte le attività che, per le proprie intrinseche caratteristiche e per la struttura organizzativa necessaria al loro svolgimento, sono idonee alla produzione di immissioni sonore inquinanti. In tal senso l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, anche se svolta da enti asseritamente senza scopo di lucro, non può sfuggire al necessario rispetto dei limiti di cui all’art. 4 del DPCM 14.11.1997 (cfr. circolare del Ministero dell’Ambiente del 06.09.2004, punto 3 e, in giurisprudenza, TAR Basilicata, 02.01.2008, n. 5).
Se si tiene conto della finalità propria dell’ordinanza ex art. 9 legge 447/1995, come sopra esposto, non appare certo illegittimo un provvedimento di limitazione dell’orario di un’attività di somministrazione che, per le proprie caratteristiche di svolgimento, comporta la produzione di immissioni rumorose anche nello spazio immediatamente prospiciente all’ingresso del locale, vista addirittura la sostanziale prosecuzione dell’attività oltre l’orario massimo di chiusura (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 02.04.2008 n. 715 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl ritardato pagamento del contributo di costruzione comporta l’immediata irrogazione delle sanzioni pecuniarie anche in presenza di garanzia fideiussoria.
E’ pur vero che sulla specifica questione sia l’orientamento di questo Consiglio che dei TAR non può dirsi univoco, essendosi talvolta affermato in materia il dovere dell’Amministrazione di non aggravare la posizione del debitore ai sensi dell’art. 1227 c.c. (V. la decisione di questa Sezione n. 1001 del 03.07.1995 e TAR Veneto n. 342 del 09.02.2000), mentre in altre occasioni si è ritenuto che specifiche clausole in tema di fideiussione (quali l’obbligo del garante di pagare a seguito di semplice richiesta scritta del creditore e con rinuncia alla preventiva escussione) possono valere solo a rendere il rapporto fideiussorio autonomo rispetto al rapporto obbligatorio principale, senza comportare il dovere dell’Amministrazione di chiedere prima l’adempimento per poter poi applicare le relative sanzioni pecuniarie (V. la decisione di questa Sezione n. 2072 del 10.12.1999 e TAR Lombardia, Milano, sez. 2°, n. 1192 del 17.04.1999).
Ma recentemente, questa Sezione con le decisioni n. 1250 del 24.03.2005 e n. 6345 dell’11.11.2005 ha precisato che, in assenza di inadempimenti imputabili all’Amministrazione idonei a configurare a suo carico una responsabilità “da contatto” oppure di natura precontrattuale, il richiamo all’art. 1227 c.c. è del tutto inconferente, essendo tale disposizione riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura sanzionatoria, come nel caso in esame.
Quest’ultima conclusione deve essere confermata.
Invero, pur in presenza di un contratto di garanzia cosiddetta autonoma, con il quale il garante si obbliga ad eseguire la prestazione oggetto della garanzia "a semplice richiesta" del creditore garantito, senza opporre eccezioni attinenti alla validità, all'efficacia ed alla vicenda del rapporto principale, anche in questa ipotesi il meccanismo dell'adempimento del garante "a prima richiesta" scatta a seguito dell'inadempimento dell'obbligazione principale, ancorché resti vietato al garante di chiedere la preventiva escussione del debitore principale (Cass. 18.11.1992 n. 12341, 03.11.1993 n. 10850, 17.05.2001 n. 6757) .
D'altronde, neppure con riguardo al regime ordinario delle obbligazioni tra privati sarebbe pertinente il richiamo all’art. 1227 cod. civ. Infatti, l'onere di diligenza che questa norma fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento della sua obbligazione (V. Corte cost. n. 308 del 14.07.1999).
Inoltre, non è dato ravvisare nel sistema di cui agli artt. 1936 ss. cod. civ. alcun principio di preventiva doverosa escussione del fideiussore alla scadenza del termine fissato per l'adempimento dell'obbligazione garantita, che peraltro colliderebbe con le finalità dell'istituto, inteso a rafforzare la garanzia del credito in funzione di un interesse proprio e specifico del creditore.
In altri termini, ed in materia di obbligazioni “portable” quali quelle pecuniarie, e con termine di adempimento che esonera dalla costituzione in mora del debitore, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo, salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso (che dovrebbe essere accettata dall’Amministrazione), nella specie non prevista.
Detto orientamento poi non è in contrasto con quanto ritenuto nelle decisioni di questa Sezione n. 32 e n. 585 del 2003, in quanto queste si riferiscono ad ipotesi di incertezza da parte dello stessa Amministrazione in ordine all’an o al quantum del contributo, nella specie insussistente.
L’applicazione della sanzione pecuniaria, per ritardato pagamento,  non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, trattandosi dell’applicazione ex lege di una sanzione pecuniaria connessa al ritardato pagamento del contributo dovuto per il rilascio della concessione edilizia (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.07.2007 n. 4025 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe opere eseguite con la D.I.A. devono essere conformi al PRG allo scadere del 30° giorno.
La Sezione ha già statuito, in riferimento alla D.I.A., che “Poiché la legge inibisce all'interessato l’avvio dell’attività edilizia fino a quando non spiri infruttuosamente il termine concesso all'amministrazione per disporre definitivamente il divieto della stessa senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato, è al momento di scadenza di tale termine che le opere devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata” (Sentenza Sezione 02/04/2004 n. 380) (TAR Lombardia-Brescia, ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl mutamento dell'uso funzionale (senza opere) di un immobile con un maggior carico urbanistico sconta il pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Ad avviso della costante giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V – 26/07/1984 n. 592; TAR Catania – 31/07/1979 n. 408), il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché il tipo di uso offre la giustificazione giuridica all’an debeatur, mentre le modalità concrete dell’uso danno la ragione del quantum (Consiglio di Stato, sez. V – 23/05/1997 n. 529).
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Sentenza Sezione 11/06/2004 n. 646; TAR Lombardia Milano, sez. II – 02/10/2003 n. 4502; Consiglio Stato, sez. V – 25/05/1995 n. 822).
Il Collegio osserva, in termini generali, che il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (cfr. TAR Veneto, sez. II – 13/11/2001 n. 3699).
Pertanto, anche nel caso della modificazione della destinazione d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione (cfr., in tal senso, sentenza Sezione 23/01/1998 n. 34).
Un diverso ragionamento sarebbe evidentemente inaccettabile, dal momento che gli interessati sarebbero altrimenti indotti a chiedere ed ottenere una concessione edilizia che sconta il pagamento di un minor contributo per il basso carico urbanistico, per poi mutare liberamente la destinazione d'uso originaria senza pagare i più elevati oneri che derivano dal maggior carico urbanistico.
Nella specie il mutamento di destinazione –da residenziale a direzionale– è riconducibile ad una classe diversa e più onerosa della precedente tale che, se la concessione fosse stata richiesta fin dall’origine per la nuova destinazione, avrebbe comportato un diverso e meno favorevole regime contributivo urbanistico: ai fini del calcolo dei cd. standard, uno studio per l’attività professionale di dottore commercialista assume la consistenza di un distinto ed autonomo centro d'attrazione, non riconducibile alle esigenze di normale vivibilità delle zone residenziali, ed è pertanto fonte di un maggiore carico urbanistico (Consiglio Stato – sez. V, 19.05.1998 n. 626).
A fronte dell’accertato mutamento di destinazione d’uso, l’amministrazione ha legittimamente provveduto a calcolare di nuovo il quantum dovuto in relazione al diverso carico urbanistico derivante dall’insediamento di un’attività di tipo direzionale piuttosto che di una residenza, tenuto presente che, come già illustrato, il contributo di urbanizzazione non è geneticamente collegato al rilascio di una nuova concessione edilizia, ma rappresenta la compartecipazione posta a carico del titolare dell’alloggio alle utilità derivanti dalla presenza delle opere di urbanizzazione (cfr. Sentenza Sezione 13/06/2002 n. 957) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.03.2005 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 18.08.2008

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dossier BOX

EDILIZIA PRIVATAIl reperimento dei posti auto di cui all'art. 41-sexies della L. 1150/1942 va osservato anche nel caso di ristrutturazione edilizia che rende un manufatto oggettivamente diverso da quello preesistente.
L'art. 41-sexies della legge urbanistica (introdotto dall’art. 18, della L. 06.08.1967, n. 765 e, successivamente, modificato dall’art. 2, comma 2, della L. 24.03.1989, n. 122) dispone testualmente che “nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione”.
La finalità di tale disciplina sembra evidente: di far sì che dinanzi al progressivo aumento del carico urbanistico sia garantito un numero minimo di parcheggi, tali da soddisfare le esigenze basilari dell'ordinata convivenza perseguita dalla disciplina urbanistica (TAR Liguria, sez. I, 11.07.2007 , n. 1376).
Ora, interpretando tale normativa, la giurisprudenza ha già precisato che se l’intervento di ristrutturazione edilizia conduce alla realizzazione di un edificio da considerare come una “nuova costruzione” rispetto a quella preesistente, si applica tale articolo 41-sexies sulla necessità degli spazi da destinare a parcheggio (Cons. St., sez. V, 22.06.1998 , n. 92) e per “nuova costruzione” si intende non solo la realizzazione di un manufatto su un’area libera, ma anche ogni intervento di ristrutturazione che rende un manufatto oggettivamente diverso da quello preesistente, in ragione dell’entità delle modifiche apportate, tenendo presente che l’oggettiva diversità del manufatto si ha anche per il solo fatto del mutamento della destinazione d’uso implicante la variazione degli standard (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 03.03.2006, n. 571).
Ciò posto, nella specie la concessione impugnata è stata assentita per l’esecuzione dei lavori di sopraelevazione e di modifiche del piano terra di un fabbricato plurifamiliare, per cui la nuova costruzione ha comportato un aumento della volumetria del precedente fabbricato, con conseguente aumento del carico urbanistico; sembra, pertanto, evidente che avrebbe dovuto rispettarsi la norma in parola.
Il progettista, invero, al fine ottemperare a quanto disposto da tale art. 41-sexies, ha previsto delle specifiche aree da destinare a parcheggio, ma le ha localizzate -così come dedotto con quarto motivo- su aree irraggiungibili per le autovetture.
Ora, se è pur vero che la normativa in parola stabilisce solo misure quantitative degli spazi aventi tale destinazione, senza statuire alcuna formalità in ordine alla localizzazione delle aree da asservire, onde i parcheggi possono essere realizzati sia in luoghi interni all'edificio, sia al suo piano terreno e perfino in aree esterne, anche se non strettamente adiacenti al fabbricato (Cons. St., sez. V, 18.02.2003, n. 871), una volta effettuata tale scelta dal richiedente la concessione l’Amministrazione, prima di assentire il titolo edilizio richiesto, deve necessariamente verificare che gli appositi spazi da destinare a parcheggi sia idonei allo scopo, cioè che siano collegati o siano collegabili alla viabilità ordinaria, per poter così adempiere in concreto alla specifica funzione sopra indicata.
Nella specie, come sopra esposto, l’attività istruttoria espletata (versata in giudizio dal Comune nel rispetto del termine di venti giorni liberi dall’udienza) ha però escluso che le aree prescelte fossero in concreto raggiungibili dalle autovetture, per cui, in definitiva, sembra evidente l’elusione della normativa contenuta nel predetto art. 41-sexies (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 29.07.2008 n. 702 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE

EDILIZIA PRIVATAIl balcone aggettante deve essere conteggiato al fine del rispetto dei 10 mt. tra pareti finestrate.
I seguenti principi sono stati più volte affermati da questa Corte:
- nel calcolo delle distanze fra le costruzioni devono trascurarsi soltanto quegli sporti che non siano idonei a determinare intercapedini dannose o pericolose, consistendo in sporgenze di limitata entità, con funzione meramente decorativa, mentre vengono in considerazione le sporgenze costituenti, per i loro caratteri strutturali e funzionali, veri e propri aggetti, implicanti, perciò, un ampliamento dell'edificio in superficie e volume, come, appunto, i balconi formati da solette aggettanti (anche se scoperti) di apprezzabile profondità, ampiezza e consistenza (sentenze 27/07/2006 n. 17089; 31/05/2006 n. 12964; 25/03/2004 n. 5963; 02/10/2000 n. 13001; 18/06/1998 n. 5719);
- la concessione edilizia ha il limitato fine di rimuovere un ostacolo pubblicistico alla esplicazione del diritto di edificare e la sanatoria (cosiddetto condono edilizio) attiene esclusivamente alla regolarizzazione delle opere dal punto di vista amministrativo, penale e fiscale, senza però incidere nei rapporti fra privato costruttore e i suoi vicini, che conservano il diritto di ottenere il risarcimento del danno e, in ipotesi di violazione delle norme sulle distanze, la riduzione in pristino (sentenze 23/11/1999 n. 12984; 22/07/1999 n. 7892; 22/03/1999 n. 2658);
- nell'ambito delle opere edilizie, la semplice "ristrutturazione" si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano (e, all'esito degli stessi, rimangano inalterate) le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la "ricostruzione" allorché dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria, né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di "nuova costruzione", da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali (sentenze 27/04/2006 n. 9637; 15/07/2003 n. 11027; 26/10/2000 n. 14128);
- in tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'art. 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché il D.M. 02.04.1968, art. 9, applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150, come modificata dalla L. 06.08.1967, n. 765, stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco voluto dalla cd. legge ponte (sentenza 27/07/2006 n. 17089) (Corte di Cassazione, Sez. II penale, sentenza 20.06.2008 n. 16950).

dossier VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO

EDILIZIA PRIVATASull'annullamento dell'autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza.
Come già precisato dalla sezione (v. sent. n. 7086 del 07.8.2006), costituisce ormai orientamento consolidato in giurisprudenza -formatosi con riferimento a fattispecie, quale quella in esame, anteriori all’entrata in vigore del nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 (che all’art. 146, comma 12, pone il divieto, salve le deroghe ivi previste, di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica successivamente alla realizzazione degli interventi che, ovviamente, non è applicabile ratione temporis a dette fattispecie)- quello secondo il quale, nel corso del procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985, l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico può rilasciare in via postuma l’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge n. 1497/1939 (alla data dell’impugnato provvedimento ai sensi degli artt. 151 e 164 del D.Lgs. n. 490/1999), previa valutazione, ovviamente, della compatibilità dell’intervento già realizzato con il vincolo paesaggistico (cfr. Cons. St., VI, 16.11.2004 n. 7475; id., 31.08.2004 n. 5723; id., 30.03.2004 n. 1695; id., 10.03.2004 n. 1205; 15.05.2003 n. 2653; id., 16.11.2000 n. 6130).
A tale conclusioni la predetta giurisprudenza, condivisa dal collegio, è pervenuta nella considerazione che la possibilità della verifica ex post della compatibilità paesaggistica e del conseguente rilascio della relativa autorizzazione in via postuma, non è contraddetta né dalla peculiarità della fattispecie né dal sistema normativo.
Quanto alla peculiarità della fattispecie va osservato che la valutazione della compatibilità paesaggistica non muta se detta valutazione venga fatta prima o dopo la realizzazione delle opere, nella considerazione che o l’intervento è compatibile con il vincolo paesaggistico ed allora tale compatibilità non muta se il parere viene espresso prima o non lo è ed allora non potrà essere rilasciata l’autorizzazione paesaggistica, non già perchè non richiesta preventivamente, ma perché non avrebbe potuto essere rilasciata nemmeno se richiesta tempestivamente.
Peraltro, la circostanza che detta autorizzazione venga richiesta successivamente, se pure irrilevante ai fini dell’esercizio del potere di cui sopra da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, non è priva di conseguenze negative per il trasgressore, atteso che l’art. 15 della legge n. 1497/1939, di cui si dirà appresso, come interpretato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez., IV, 15.11.2004 n. 7405 e 03.11.2003 n. 7047; sez., VI, 15.05.2003 n. 2653 e 03.04.2003 n. 1729), è applicabile anche agli illeciti formali, e cioè a quegli interventi che, pur non incompatibili con il vincolo paesaggistico, vengono sanzionati, in applicazione di detta norma, con la sanzione pecuniaria per il solo fatto che l’autorizzazione paesaggistica venga richiesta successivamente alla realizzazione delle opere, anziché preventivamente.
Quanto al sistema normativo, si ribadisce anteriore all’entrata in vigore del codice dei beni culturali e ambientali, il collegio osserva che non risulta sussistere un espresso o implicito divieto normativo al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ovvero un principio generale, che precludano l’esercizio ex post del potere di tutela paesaggistica.
Né detto principio generale può rinvenirsi in quello della tipicità degli atti amministrativi, atteso che esso non preclude lo spostamento in avanti dell’esercizio del potere amministrativo allorché, come nelle fattispecie di cui trattasi, sia ancora possibile effettuare le valutazioni che ne sono alla base.
Né l’affermata possibilità del rilascio dell’autorizzazione paesistica in via postuma può ritenersi in contrasto con l’art. 15 della legge n. 1497/1939, il quale prevede l’applicazione di una sanzione alternativa (la demolizione o il pagamento di una sanzione pecuniaria).
La predetta disposizione, anzi, rafforza la legittimità della tesi giurisprudenziale sopra richiamata e condivisa dal collegio, atteso che, ove venga deciso di applicare la sanzione pecuniaria, in luogo della demolizione, sarebbe del tutto illogico negare il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, posto che detto diniego comporterebbe necessariamente, stante l’assenza di un titolo concessorio, l’adozione di un provvedimento di demolizione dell’intervento realizzato, il quale si porrebbe in evidente contraddizione con il meccanismo sanzionatorio di cui al citato art. 15, che invece prevede la sanzione pecuniaria come alternativa alla demolizione (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 08.08.2008 n. 7838 e sentenza 24.07.2008 n. 7393 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull'annullamento ministeriale dell'autorizzazione paesaggistica.
Ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990 e del d.m. 13.06.1994 n. 495, deve ritenersi sussistente il diritto dell'interessato ad essere avvisato dell'avvio del procedimento relativo all'adozione del provvedimento ministeriale di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate ai sensi dell'art. 7 l. n. 1497 del 1939, in quanto è conforme al pubblico interesse che l'amministrazione si pronunci sulla base di ogni elemento fornito dall'interessato, il quale può rappresentare all'organo statale che, pur se l'autorizzazione è carente per difetto di motivazione, non sussistono ragioni sostanziali per disporne l'annullamento (Consiglio Stato, sez. VI, 13.02.2001, n. 685).
Ciò perché, è stato ancora di recente ribadito dalla Sezione, con l'art. 4 regolamento n. 495 del 1994, il Ministero per i beni e per le attività culturali si è autovincolato a dare al soggetto autorizzato la comunicazione dell'avviso dell'avvio della fase del riesame, pur essendo sufficiente un meccanismo (formula espressa apposta in calce al documento comunicato all'interessato o altro mezzo) che assicuri il raggiungimento dello scopo ovvero la c.d. conoscenza "aliunde" dell'inizio del procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 22.09.2006, n. 5571).
Il decreto ministeriale in oggetto, secondo l’avviso della giurisprudenza amministrativa, ha infatti ribadito un principio già desumibile alla stregua dei canoni generali dell’ordinamento: si è quindi in passato condivisibilmente rilevato che “il procedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica anche se svolto in via di autotutela è soggetto alla tutela garantistico-partecipativa di cui alla l. n. 241 del 1990 (peraltro espressamente stabilita nel d.m. n. 495 del 1994, di attuazione della predetta legge), poiché, stante le caratteristiche finalistiche di tale procedimento e le sue potenziali (negative) influenze nell'ambito degli interessi del privato destinatario del provvedimento, è certamente necessario (in attuazione delle finalità garantistiche previste dalla legge) assicurare, attraverso la preventiva comunicazione dell'avvio del procedimento, la partecipazione di questi per rappresentare e tutelare i propri interessi”  (Consiglio Stato, sez. VI, 23.11.2004, n. 7685).
Nell’ambito della propria discrezionalità normativo/regolamentare, è stato ivi fissato un termine a garanzia della effettività del dispiegarsi dell’apporto collaborativo/defensionale del privato.
Può indubbiamente disquisirsi in ordine alla natura e tipologia del termine ivi previsto: la disposizione non è infatti perspicua nell’individuarne la natura, potendosi forse convenire, però, con la tesi dell’amministrazione appellante secondo cui si è ivi individuato un arco temporale massimo per la presentazione di memorie e documenti, eventualmente suscettibile di riduzione.
In tale senso, si è in passato espressa la Sezione, affermando che, in armonia con il dettato testuale della disposizione, “la previsione di un termine per memorie e osservazioni al privato legittimato a partecipare, pari a due terzi di quello fissato per la durata del procedimento, non esclude la possibilità dell'amministrazione di definire il procedimento in un momento anteriore alla scadenza.”  (Consiglio Stato , sez. VI, 21.09.1999, n. 1243).
E pur tuttavia, affinché la previsione normativa in oggetto si connoti di effettività, e non rimanga vana espressione di un principio non coniugato con le reali esigenze del privato, ritiene la Sezione di potere affermare che la “riduzione” di tale termine possa avvenire unicamente nel rispetto di particolari esigenze di urgenza che devono essere puntualmente rappresentate dall’amministrazione (e che devono effettivamente ricorrere, è ovvio, sotto il profilo oggettivo).
Del pari deve ritenersi che detto termine non possa essere talmente ridotto da risultare incongruo e non garantire la possibilità per il privato destinatario del provvedimento di controdedurre in fase procedimentale, (come può altresì argomentarsi dal disposto di cui all’art. 4 comma III del DM citato, di seguito richiamato) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.08.2008 n. 3869 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla competenza ministeriale ad annullare l'autorizzazione paesaggistica.
L’art. 159 del D. Lgs. 42/2004 per tempo vigente –come novellato dal D. Lgs. 24/03/2006 n. 157– disponeva testualmente che “Fino alla scadenza del termine previsto dall'articolo 156 ovvero, se anteriore, all'approvazione o all'adeguamento dei piani paesaggistici, l’amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione dà immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall'interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 07.08.1990, n. 241. Nella comunicazione alla soprintendenza il Comune attesta di avere eseguito il contestuale invio agli interessati”. Il citato art. 159 del D. Lgs. n. 42/2004 dispone dunque che la comunicazione, da parte dell’Ente sub-delegato competente, delle autorizzazioni rilasciate, deve essere inviata “contestualmente......agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 07.08.1990, n. 241”. La giurisprudenza ha puntualizzato che dal tenore di tale disposizione emerge chiaramente la scelta operata in sede legislativa nel senso di una sorta di “dualità” del procedimento riguardante l’esame complessivo della conformità paesaggistica dell’iniziativa edilizia: si possono infatti individuare una fase iniziale culminante nell’autorizzazione, di competenza dell’Ente territoriale delegato, ed una fase successiva di verifica del titolo rilasciato –demandata all’autorità statale– con conseguente autonomia del procedimento che si svolge innanzi a quest’ultima ed emersione di connesse prerogative di partecipazione da attribuire specificamente al soggetto interessato (cfr. Consiglio di stato, sez. VI – 02/11/2007 n. 5682).
Il controllo che compete all’autorità statale ad estrema difesa del vincolo paesaggistico investe la legittimità del procedimento autorizzatorio, e si concentra principalmente sull’esaustività della documentazione allegata alla pratica già esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi emesso il provvedimento favorevole. Le integrazioni documentali afferiscono ad eventuali carenze od omissioni riscontrate in sede di trasmissione per posta alla Soprintendenza, mentre non possono investire elaborati che il Comune non ha mai provveduto ad acquisire.
Sotto un profilo d’ordine generale (cfr. Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 14/12/2001 n. 9), l’autorità che esamina una domanda di autorizzazione paesistica deve manifestare la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere nonché della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale, e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto; in secondo luogo deve verificare se la realizzazione del progetto comporti una compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi (cfr. sentenze Sezione 25/02/2008 n. 153; 06/05/2008 n. 483). In relazione ai poteri al riguardo spettanti al Ministero, la pronuncia richiamata ha sottolineato che il potere esercitato dall’amministrazione statale sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità regionale (o dalle autorità subdelegate) va definito in termini di “cogestione dei valori paesistici”, espressione di amministrazione attiva, nell’ambito di un unitario procedimento complesso all’interno del quale l’autorità statale può annullare l’autorizzazione paesistica (oltre che per il vizio di violazione di legge in senso stretto e per quello di incompetenza) anche quando risulti un profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta); la medesima autorità non può, viceversa, annullare l’autorizzazione paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall’Ente subdelegato. Osserva altresì il Collegio che il D.P.C.M. 12/12/2005 invocato dall’amministrazione prevede –al punto 2– i criteri per la redazione della relazione paesaggistica, la quale deve dar conto “sia dello stato dei luoghi (contesto paesaggistico e area di intervento) prima dell'esecuzione delle opere previste, sia delle caratteristiche progettuali dell'intervento, nonché rappresentare nel modo più chiaro ed esaustivo possibile lo stato dei luoghi dopo l'intervento”. La documentazione deve indicare lo stato attuale del bene paesaggistico interessato, gli elementi di valore paesaggistico in esso presenti, nonché le eventuali presenze di beni culturali tutelati dalla parte II del Codice, gli impatti sul paesaggio delle trasformazioni proposte e gli elementi di mitigazione e compensazione necessari. La relazione deve contenere anche tutti gli elementi utili all’amministrazione competente per effettuare la verifica di conformità dell'intervento alle prescrizioni contenute nei piani paesaggistici urbanistici e territoriali ed accertare la compatibilità rispetto ai valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo, la congruità con i criteri di gestione dell'immobile o dell'area, la coerenza con gli obiettivi di qualità paesaggistica (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 04.08.2008 n. 847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe autorizzazioni paesaggistiche devono essere congruamente motivate.
Secondo un significativo orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio ritiene di aderire, le autorizzazioni paesaggistiche, ancorché abbiano natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, devono essere congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito l’iter logico in base al quale le opere assentite sono state valutate rispettose dei valori paesaggistici, stante la rilevanza costituzionale di quest’ultimi. Da tale motivazione deve emergere l’apprezzamento di tutti gli elementi di fatto rilevanti ed una analisi dell’incidenza dell’intervento sui valori ambientali propri del contesto interessato, nonché la non manifesta irragionevolezza della scelta di prevalenza di un valore diverso da quello tutelato in via primaria (Cons. Stato, VI, 30/04/2002, n. 2315; idem, 29/05/2006, n. 3206; Cons. Stato, V, 29/05/2006, n. 3229; TAR Umbria, 21/12/2007, n. 1031; TAR Liguria, I, 19/12/2006, n. 1711).
Il controllo della Soprintendenza sul permesso rilasciato dal Comune si estende a tutti i vizi di legittimità da cui può essere affetto l’atto autorizzatorio, compreso il difetto di motivazione da cui, come visto, risulta inficiata la validità del provvedimento comunale (Cons. Stato, VI, 28/06/2004, n. 4615) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 29.07.2008 n. 1834 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U. 14.08.2008 n. 190 "Attuazione della direttiva 2003/4/CEE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale abrogando, nel contempo, il decreto n. 39 del 24.02.1997 concernente la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente (Direttiva n. 90/313/CEE)" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, circolare 04.08.2008).

PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 12.08.2008 n. 188 "Legge 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) - Linee guida ed indirizzi in materia di mobilità" (Dipartimento della Funzione Pubblica, circolare 18.04.2008 n. 4/2008).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: DIVIETO DI RINNOVAZIONE DI UN CONTRATTO DI APPALTO E OBBLIGO DI INDIRE UNA NUOVA GARA (link a www.mediagraphic.it).

APPALTIDECORSO DEL TERMINE DI IMPUGNAZIONE A SEGUITO DEL VERBALE DI ESCLUSIONE DI UN’IMPRESA (link a www.mediagraphic.it).

ATTI AMMINISTRATIVIANNULLAMENTO DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI (link a www.mediagraphic.it).

APPALTILa possibile presentazione di una sola copia di documento di identità per una pluralità di dichiarazioni (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZISERVIZI DI CUI ALL’ ALLEGATO IIB DEL CODICE DEI CONTRATTI: TERMINI DI SCADENZA (link a www.mediagraphic.it).

APPALTIQuando può essere svincolata la cauzione provvisoria senza che tale richiesta incida su eventuali futuri ricorsi? (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZII REQUISITI PER POTER RIAFFIDARE IL SERVIZIO (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: CRITERI DI SELEZIONE E DI AGGIUDICAZIONE DI UN APPALTO PUBBLICO (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: Può la Stazione Appaltante richiedere in una gara requisiti ulteriori e più restrittivi di quelli previsti dalla legge? (link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: E' ammessa l'integrazione documentale? (link a www.mediagraphic.it).

ENTI LOCALI: C. Dani, La firma digitale nella pubblica Amministrazione (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Rossi, Incarico di consulente tecnico di parte conferito ad un dirigente dell'Ente: le indicazioni della Corte dei conti (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: C. Geniale, La qualità nella pubblica Amministrazione locale: un possibile percorso operativo (link a www.noccioli.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: A. Petrina, Iure condendo qual è il valore giuridico del parere del segretario comunale? (link a www.noccioli.it).

APPALTI: M. Petrulli, La figura del membro supplente nelle commissioni di gara, alla luce della giurisprudenza più recente (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: C. Dani, L'indagine di customer satisfaction in una pubblica amministrazione. Sviluppare le qualità dei servizi al cittadino (link a www.noccioli.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: M. Petrulli, L'accesso agli atti amministrativi dei consiglieri comunali (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: M. Petrulli, Sulle conseguenze che la cessazione dalla carica di Sindaco comporta sulle nomine effettuate durante il mandato elettivo (link a www.noccioli.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: C. Castelli, Gli affidamenti di incarichi esterni da parte degli enti locali dopo la legge finanziaria 2008- regolamentazione, programmazione, pubblicità (link a www.noccioli.it).

EDILIZIA PRIVATA: S. Marziali, Il codice dei beni culturali. Il procedimento di autorizzazione in via transitoria (link a www.noccioli.it).

APPALTI: A. Ghiribelli, Il contenzioso costituzionale in materia di appalti alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 401/2007 (link a www.noccioli.it).

ESPROPRIAZIONE: S. Marziali, Il piano particellare di esproprio (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: T. Romei e M. Romei, Chi sostituisce il Sindaco ed il Vicesindaco in caso di assenza o impedimento temporaneo e di sospensione? (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: G. Niccodemi, Il ricorso al contratto di sponsorizzazione negli enti locali (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: L. Del Frate, Ancora sulla «pregiudizialità del giudizio di annullamento dell'atto amministrativo illegittimo» (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: I. R. Pulli, Il contemporaneo utilizzo, da parte di due enti locali, dello stesso dipendente (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: F. Mascagni, Il ruolo del dirigente pubblico quale garante dell'imparzialità amministrativa alla luce sentenze della Corte Costituzionale n. 103 e n. 104 del 23.03.2007 (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Rossi, L'applicazione degli istituti del comando e del distacco ai dipendenti pubblici del comparto regioni-autonomie locali (link a www.noccioli.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: A. Ghiribelli, Il diritto di accesso all'informazione ambientale (link a www.noccioli.it).

APPALTI SERVIZI: M. Stefanacci, Legge n. 239/2004 di riordino del servizio energetico: la questione della partecipazione a gara d'appalto di società affidataria della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali nel territorio cui l'affidamento si riferisce e per la propria durata (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: A. Ghiribelli, La potestà statutaria e regolamentare del Comune (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: L. Zoppi, Considerazioni in merito al demansionamento del dipendente non dirigente dell'Ente locale privato dell'esercizio delle funzioni dirigenziali (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: M. Rossi, Per un'applicazione uniforme delle disciplina del buono pasto tra dipendenti e dirigenti del Comparto Regioni e Autonomie locali (link a www.noccioli.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: J. Bernò, Il delicato rapporto fra trasparenza e riservatezza nella P.A. (link a www.noccioli.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: M. Stefanacci, Diritto di accesso tra nuova legge statale e autonomia locale (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Rossi, Per un'applicazione del diritto allo studio senza eccezioni (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: M. Stefanacci, Quale contratto di locazione per l'Ente Locale conduttore? (link a www.noccioli.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: F. Mascagni, La riforma del procedimento amministrativo operata dalla legge 11.02.2005, n. 15: prime riflessioni relative ad alcuni strumenti di valorizzazione della partecipazione procedimentale e sull'efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo (link a www.noccioli.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: M. Stefanacci, Privacy, diritto di accesso e pubblica Amministrazione (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: A. Ghiribelli, Alcuni aspetti problematici relativi all'istituto delle ferie alla luce della nuova disciplina di riforma dell'orario di lavoro (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: P. F. Puggelli, Il Segretario dell'ente pubblico: cenni di storia recente e rapporti con il Direttore generale (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Rossi, Brevi riflessioni sull'applicazione al Comparto Regioni-Autonomie locali della disciplina dell'orario del lavoro prevista dal D.L.vo 08.04.2003 n. 66 (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: D. Palmieri, Alcune considerazioni in merito al trasferimento del dirigente sindacale in assenza di nulla osta della organizzazione di appartenenza (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: A. Ghiribelli, Il fenomeno del mobbing nelle pubbliche amministrazioni (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: L. Del Frate, Il sistema delle responsabilità pubbliche nell'ambito dell'organizzazione dell'ente locale: - 1^parte - 2^ parte (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Rossi, Proposte per una corretta applicazione del trattamento di trasferta ai dipendenti degli enti locali (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: D. Palmieri, Diritto d'accesso e progressioni orizzontali alla luce della recente sentenza del TAR Toscana n. 6234/2003 (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: E. Budillon, Alte professionalità: prime considerazioni generali ed applicative (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: P. Pupo, Sulla partecipazione degli amministratori alla delegazione trattante di parte pubblica in sede di contrattazione decentrata integrativa - Aspetti problematici, profili patologici ed evoluzione della disciplina dal D.L.vo 03.02.1993, al n. 29, al CCNL del comparto regioni-enti locali per il quadriennio normativo 2002/2005 (link a www.noccioli.it).

PUBBLICO IMPIEGO: M. Rossi, Le assenze per visite mediche, prestazioni specialistiche e accertamenti diagnostici effettuati durante l'orario di lavoro (link a www.noccioli.it).

ENTI LOCALI: K. Garifo,  Diritto di assemblea: esercizio congiunto o disgiunto da parte della RSU? (link a www.noccioli.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI SERVIZI: Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione riguarda la legittimità, nella procedura in esame, della mancata previsione, tra i requisiti di partecipazione, dell’iscrizione all’Albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 446/1997, che dispone l’iscrizione dei soggetti che eseguono attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate.
Al fine di poter trattare la problematica rappresentata, occorre individuare esattamente qual’è l’oggetto dell’appalto in questione ed in particolare in quali attività esso si articola.
Secondo quanto risulta dalla lettera di invito inviata alla società istante, l’appalto ha ad oggetto il servizio per la rilevazione della velocità di tipo mobile attraverso il noleggio e la gestione dell’apparecchiatura. Inoltre, l’attività richiesta alla ditta aggiudicataria ricomprende la cura della parte sanzionatoria delle violazioni rilevate sino alla formazione dei ruoli, ivi comprese le bozze di controdeduzioni per i ricorsi al Prefetto e le opposizioni al Giudice di Pace. Lo spettro, dunque, delle attività che formano oggetto dell’affidamento è molto vario ed eterogeneo in quanto si compone, sia di attività che non rilevano ai fini erariali, nel caso della fornitura e gestione dell’apparecchiatura per la rilevazione della velocità delle autovetture; sia di attività che riguardano la cura della parte sanzionatoria delle violazioni del Codice della strada rilevate.
Queste ultime attività, ricomprendendo la cura della parte sanzionatoria delle violazioni rilevate sino alla formazione dei ruoli, vanno, come è stato osservato dalla giurisprudenza amministrativa, ad innestarsi nel processo di gestione delle entrate del Comune. In particolare è stato evidenziato come esse costituiscano fasi del complesso procedimento di accertamento che consente all’ente locale di verificare le ragioni del suo credito e la sussistenza di un idoneo titolo giuridico, nonché di individuare il debitore e di quantificare la somma da incassare. Da qui, l’impossibilità di affidare tali prestazioni a soggetti diversi da quelli indicati tassativamente dall’art. 52, comma 5, D. Lgs. n 446/1997 (TAR Campania n. 2638/2001 confermato dal Cons. di Stato, 31.05.2005, n. 5271). Le fattispecie esaminate dalle sentenze richiamate avevano ad oggetto il recupero di evasione dei tributi ICI e TARSU e la individuazione delle posizioni irregolari ai fini ICIAP e TOSAP passi carrabili. In ogni caso è possibile estendere il principio enunciato anche alla procedura in esame, in quanto i proventi derivanti dalle sanzioni irrogate per la violazione di norme del codice della strada sono stati ricondotti nell’alveo delle entrate comunali e nella sfera di applicazione prevista dall’art. 52 del D.Lgs 446/2002 (sul punto TAR Campania, n. 17907/2004).
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene che la documentazione di gara non risulta essere conforme alla normativa vigente di settore in quanto non ha previsto, tra i requisiti di partecipazione, l’iscrizione all’albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento di tributi e riscossione tributi ed altre entrate delle Province e dei Comuni ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. 446/97 (parere 21.05.2008 n. 163 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
Nonostante la prima lettera dell’amministrazione alla Ditta richiami, pur senza citarne espressamente gli estremi, il disposto dell’art. 38 comma 1, lett. g) ed i), che nello specifico risulterebbe inconferente in quanto le relative violazioni risultano commesse dal direttore tecnico e non dal legale rappresentante, il verbale del 04.03.2008, debitamente notificato alla Ditta, chiarisce che l’esclusione è stata operata ai sensi della lettera c) (reati gravi che incidono sulla moralità professionale).
Occorre pertanto esaminare come il caso di specie si collochi nell’ambito dell’articolo 38, comma 1, lettera c), del d. Lgs. n. 163/2006.
Preliminarmente, quanto all’estinzione dei reati, va segnalato l’avviso della Cassazione secondo cui la situazione di fatto da cui origina la causa di estinzione del reato per divenire condizione di diritto abbisogna, per espressa statuizione di legge, dell’intervento ricognitivo del giudice dell’esecuzione il quale è tenuto, nell’assolvimento di un suo preciso dovere funzionale, ad emettere il relativo provvedimento di estinzione ai sensi dell’art. 676 c.p.p. (Cass., sez. IV pen., 27.02.2002, n. 11560).
In precedenti espressioni di parere, l’Autorità, nell’affrontare la fattispecie ha ritenuto che, ai sensi del citato articolo 38, ciò che rileva, ai fini dell’esclusione, è il concetto di immoralità professionale, e pertanto occorre che il reato ascritto sia idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione con i principi deontologici della professione (Cons. Stato, sez. V, n. 349/2006; Cons. Stato, sez. V, n. 1145/2003).
E’ giurisprudenza costante quella per cui, non essendo indicati dalla norma i reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale delle imprese partecipanti alle gare di appalto, spetta all’Amministrazione appaltante stabilire, motivatamente, se il reato per il quale il soggetto è stato condannato provoca, secondo il comune e ragionevole convincimento, una obiettiva incisione sulla affidabilità del condannato, sia sul piano morale, sia sul piano professionale tale da determinare l’esclusione dalla gara (per tutte Consiglio di Stato, Sez. V, 22.02.2007 n. 945). Tale orientamento era stato, peraltro, assunto da questa Autorità già con determinazione n. 13/2003 nella quale veniva evidenziato come le amministrazioni dovessero, nel valutare l’affidabilità morale e professionale del contraente, considerare tutti gli elementi che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad. es. l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive.
La mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lasciano un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante, che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale.
Conseguentemente, è la stazione appaltante a dover valutare discrezionalmente l'incidenza di una condanna sulla moralità professionale dell'appaltatore, con riferimento al tipo di reato commesso, e fornendo, in relazione alla decisione adottata, adeguata e congrua motivazione.
Pertanto, i margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione non consentono alla stazione appaltante di prescindere dal dare contezza di aver effettuato una concreta valutazione dell’incidenza della condanna sul vincolo fiduciario, mediante una accurata indagine della rispondenza della fattispecie di reato a tutti gli elementi che delineano l’ipotesi di esclusione individuata dall’articolo 38, comma 1, lettera c) del d. Lgs. n. 163/2006.
Nella questione in esame, la copiosità dei provvedimenti penali e la tipologia dei reati ascritti a carico del direttore tecnico, la reiterazione delle stesse fattispecie nel corso degli anni, nonché la mancanza del provvedimento di estinzione dei reati, consentono di ritenere che la commissione di gara abbia effettuato una valutazione tale da ritenere sussistente “l’immoralità professionale” del concorrente.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che è conforme all’articolo 38, comma 1, lettera c) del d. Lgs. n. 163/2006, l’esclusione dell’impresa Ditta Azzurra s.r.l. (parere 21.05.2008 n. 162 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
La procedura ristretta semplificata, di cui all’articolo 123 del d. Lgs. n. 163/2006, è una speciale procedura che consente alle amministrazioni, per gli appalti di importo inferiore a 750.000 euro, di invitare a presentare offerta, senza procedere a pubblicazione di bando, almeno venti concorrenti individuati tra gli operatori iscritti ad appositi elenchi, annualmente formati sulla base delle domande avanzate dalle imprese interessate, in considerazione della programmazione annuale degli appalti predisposta dalla S.A.
Tali disposizioni, che consentono di limitare la partecipazione alle gare, rivestono, invero, carattere sostanzialmente derogatorio rispetto alla disciplina ordinaria, che, all’articolo 55, comma 6, del d. Lgs. n. 163/2006, dispone che “alle procedure ristrette, sono invitati tutti i soggetti che ne abbiano fatto richiesta e che siano in possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal bando.”
Il citato articolo 123, disciplina la procedura per la formazione dell’elenco degli operatori che verranno successivamente inviatati a presentare offerta: in particolare, i commi 10 e 12, dispongono, rispettivamente, che l’ordine di iscrizione è stabilito mediante sorteggio e che gli operatori economici sono invitati secondo l’ordine di iscrizione e possono ricevere ulteriori inviti solo dopo che sono stati invitati tutti i soggetti inseriti nell’elenco.
Si evidenzia che le riportate disposizioni, che si accompagnano ad altre stringenti norme dettate per la costituzione dell’elenco di che trattasi, quali ad esempio il numero massimo di elenchi per i quali i concorrenti possono presentare domanda di iscrizione, ovvero il divieto di presentare domanda di iscrizione allo stesso elenco sia in forma individuale, sia in forma di componente di un consorzio o di un raggruppamento, sono finalizzate al rispetto della trasparenza, della concorrenza e della par condicio.
Per quanto attiene alla questione sollevata dall’impresa istante, si deve rilevare che sicuramente il numero (20) di imprese da invitare, individuato dal legislatore, costituisce un numero minimo, potendo la stazione appaltante ampliare il numero dei concorrenti; tuttavia, una volta deciso di utilizzare il modello della procedura ristretta semplificata, l’amministrazione aggiudicatrice non avrebbe potuto non applicare le specifiche disposizioni di cui all’articolo 123 del Codice dei contratti, in particolare per quanto attiene all’automatismo di individuazione dei soggetti da invitare, in base al quale gli operatori economici sono invitati secondo l’ordine di iscrizione.
Non sussiste, pertanto, una discrezionalità della S.A. nella scelta degli operatori da invitare.
Si deve infine far presente che, giusto quanto disposto dal citato comma 12, gli operatori possono ricevere ulteriori inviti solo dopo che sono stati invitati tutti i soggetti inseriti nell’elenco. Se il Comune avesse dato seguito alla richiesta dell’impresa, una volta arrivato il momento di essere invitata ad una successiva gara programmata, secondo lo scorrimento dell’elenco, l’impresa stessa si sarebbe trovata a ricevere un invito prima che fossero stati invitati tutti i soggetti inseriti nell’elenco.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’operato del Comune di Volpago di Montello è conforme alla normativa di settore (parere 21.05.2008 n. 161 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
L’Autorità con parere n. 118 del 17.04.2008 ha chiarito che la mancata indicazione del prezzo complessivo offerto e del conseguente ribasso percentuale in calce alla lista delle lavorazioni non comporta l’esclusione dell’impresa, nel caso in cui detti elementi siano comunque stati dichiarati dall’offerente nella dichiarazione di offerta, allegata alla lista delle lavorazioni.
Nel caso in esame il plico della busta “B” (offerta economica) presentata dall’ATI conteneva l’offerta sottoscritta dal legale rappresentante con l’indicazione della percentuale di ribasso, nonché la Lista delle lavorazioni e forniture con l’indicazione del prezzo complessivo offerto in cifre e in lettere ed il conseguente ribasso percentuale.
I due documenti (offerta e lista), contenuti nello stesso plico ed entrambi sottoscritti dal legale rappresentante dell’ATI, ben potevano integrarsi a vicenda.
Infatti, la mancata indicazione del prezzo complessivo nella dichiarazione di offerta non può comportare l’estromissione dalla gara: “la mancata indicazione del prezzo complessivo, facilmente determinabile da una semplice operazione aritmetica non può essere sanzionata in ogni caso in modo più rigoroso della errata indicazione del medesimo”(TAR Sicilia, Palermo, sez. I 09/11/2005 n. 4992; TAR Campania,Napoli, sez. VIII 13/06/2007 n. 6098).
Per quanto sopra riportato, l’esclusione dell’ATI IDROELETTRICA SRL-TARSA PETROLI SAS DI MARCHESE non è conforme alla normativa di settore.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dell’ATI IDROELETTRICA SRL-TARSA PETROLI SAS DI MARCHESE non è conforme alla normativa di settore (parere 21.05.2008 n. 160 - link a massimario.avlp.it).

LAVORI PUBBLICI: Ritenuto in diritto:
Per la soluzione del caso in esame si deve innanzi tutto chiarire che ai sensi dell’articolo 37, comma 6, del d. Lgs. n. 163/2006, nei raggruppamenti temporanei di tipo verticale, i requisiti di qualificazione devono essere posseduti dal mandatario per i lavori riconducibili alla categoria prevalente, per il relativo importo; per i lavori scorporati ciascun mandante deve possedere i requisiti previsti per la categoria scorporabile e nella misura indicata per il concorrente singolo. I lavori riconducibili alla categoria prevalente ovvero alle categorie scorporate possono essere assunti anche da imprenditori riuniti in raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale.
L’associazione temporanea di tipo misto è, quindi, una associazione di tipo verticale in cui o la mandataria è costituita da un sub associazione orizzontale e le mandanti sono anch’esse sub associazione orizzontale per ognuna delle categorie scorporabili ovvero solo le mandanti sono in sub associazione orizzontale.
Sulla base di detta disposizione, pertanto, sono ammessi a partecipare alla gara in esame anche i raggruppamenti di tipo misto, pur nel silenzio del bando, in applicazione del principio di eterointegrazione, in base al quale le disposizioni dei bandi di gara devono ritenersi integrate con le norme di legge aventi valore imperativo, senza necessità di un specifico rinvio.
La problematica concernente la qualificazione delle associazioni di tipo misto, è stata affrontata dall’Autorità con la determinazione n. 25/2001, nella quale ha chiarito che nelle associazioni temporanee di tipo misto:
A) la mandataria deve possedere la qualificazione per la categoria prevalente per una classifica adeguata almeno al 40 per cento dell'importo cui deve far fronte l'intera sub associazione orizzontale, mentre la mandante che assume l'esecuzione di lavorazioni della categoria prevalente deve possedere la qualificazione per la categoria prevalente per una classifica adeguata almeno al 10 per cento dell'importo cui deve far fronte l'intera sub associazione orizzontale, fermo restando la copertura dell'intero importo della categoria prevalente;
B) l’importo della categoria scorporabile può essere coperto da più di una mandante a condizione che almeno una di esse sia qualificata per almeno il 40 per cento dell’importo e le altre per il 10 per cento, fermo restando la copertura dell’intero importo della categoria scorporabile.
Relativamente all’applicazione del beneficio dell’incremento di un quinto, la citata determinazione n. 25/2001, ha specificato che “non vi può essere dubbio in merito al fatto che la disposizione (articolo 3, comma 2, del dpr 34/2000) -che permette alle imprese associate o consorziate di considerare, qualora qualificate per almeno un quinto dell’importo complessivo a base di gara, la propria classifica incrementata di un quinto- è applicabile anche alle associazioni di tipo verticale o misto. In tal caso, però, è evidente che la suddetta condizione di qualificazione per un quinto dell’importo complessivo dell’appalto va riferita ai singoli importi della categoria prevalente e delle categorie scorporabili.”
Nel caso in esame le associazioni temporanee interessate dal provvedimento di esclusione, hanno dichiarato le seguenti composizioni e quote:
- ATI Costruzioni Ruberto s.r.l./Magurno Saturnino:
¤ mandataria Costruzioni Ruberto, in possesso di categoria prevalente, classifica III, quota lavori 100% e categoria scorporabile classifica I, quota lavori 65% (€ 305.431,015);
¤ mandante Magurno Saturnino, in possesso di categoria scorporabile classifica I, quota lavori 35% (€ 164.462,854);
- ATI Costruzioni Moviter s.r.l./Barone Costruzioni s.r.l.:
¤ mandataria Costruzioni Moviter, in possesso di categoria prevalente classifica III, quota lavori 100% e categoria scorporabile classifica I, quota lavori 65,94% (€ 309.848,017);
¤ mandante Barone Costruzioni, in possesso di categoria scorporabile classifica IV, quota lavori 34,06 (€ 160.045,852);
- ATI Cosmarini s.r.l./Telesca s.r.l.:
¤ Mandataria Cosmarini, in possesso di categoria prevalente classifica III, quota lavori 100% e categoria scorporabile classifica I, quota lavori 60% (€ 281.936,322);
¤ Mandante Telesca, in possesso di categoria scorporabile classifica I, quota lavori 40% (€ 187.957,548);
- ATI Opsa Costruzioni s.a.s./Savi s.a.s./Ciaglia Costruzioni s.r.l.:
¤ mandataria Opsa Costruzioni, in possesso di categoria prevalente classifica III, quota lavori 60% (€ 570.711,168);
¤ mandante Savi, in possesso di categoria prevalente classifica IV, quota lavori 40% (€ 380.474,112) e categoria scorporabile classifica I, quota lavori 60% (€ 281.936,322);
¤ mandante Ciaglia Costruzioni, in possesso di categoria scorporabile classifica I, quota lavori 40% (€ 187.957,548);
Pertanto, applicando le sopra riportate disposizioni legislative e gli indirizzi di questa Autorità al caso in esame, emerge che:
- le ATI cha hanno costituito una sub associazione orizzontale per la categoria scorporabile, con mandataria in I classifica (€ 258.228) coprono il 40% per cento dell’importo della medesima categoria scorporata (€ 187.957,548); le mandanti in I classifica coprono il 10% della categoria scorporata (€ 46.989,387); l’importo complessivo della categoria scorporabile è coperto dalla somma delle iscrizioni possedute; per quanto attiene alla percentuale di lavori, con l’incremento di un quinto, possono eseguire le lavorazioni che hanno dichiarato di assumere;
- l’ATI Opsa Costruzioni s.a.s./Savi s.a.s./Ciaglia Costruzioni s.r.l., che ha costituito a) una sub associazione orizzontale per la categoria prevalente e b) una sub associazione per la categoria scorporabile: sub a) copre l’importo complessivo della prevalente, la mandataria copre il 40% della prevalente e la mandante copre il 10% della medesima; sub b) la mandante Savi e la mandante Ciaglia coprono, rispettivamente, il 40% ed il 10% della scorporata; l’importo complessivo della categoria scorporabile è coperto dalla somma delle iscrizioni possedute; per quanto attiene alla percentuale di lavori, con l’incremento di un quinto, possono eseguire le lavorazioni che hanno dichiarato di assumere.
Sulla base di quanto sopra le associazioni temporanee di imprese di che trattasi sono in possesso della qualificazione necessaria per l’appalto in esame.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione delle associazioni temporanee di imprese Costruzioni Ruberto s.r.l./Magurno Saturnino, Costruzioni Moviter s.r.l./Barone Costruzioni s.r.l., Cosmarini s.r.l./Telesca s.r.l. e Opsa Costruzioni s.a.s./Savi s.a.s./Ciaglia Costruzioni s.r.l. non è conforme alla normativa di settore (parere 21.05.2008 n. 159 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI SERVIZI: Ritenuto in diritto:
Con deliberazione n. 72/2007 l’Autorità ha chiarito che “… la manutenzione del verde pubblico rientra nell’ambito dei servizi e non in quello dei lavori, tutte le volte in cui l’attività non comporti una modificazione della realtà fisica con l’utilizzazione, la manipolazione e l’installazione di materiali aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale (cd quid novi): così ad esempio, la mondatura, rasatura, irrigazione, concimazione, posatura, pulizia, trattamenti vari, sfalcio, decespugliamento delle scarpate ecc… non configurano “lavori” ma “servizi”.
Come si evince dal capitolato speciale, l’attività dedotta in appalto consiste nella potatura, irrigazione, semina, messa a dimora di piante ed arbusti, stesura di tappeti erbosi, impiego di fertilizzanti, e quant’altro necessario per la manutenzione del verde pubblico: gli interventi previsti dalla lex specialis, pertanto, non si configurano come lavori, bensì come servizi, in quanto limitati ad attività continuativa di cura e regolazione di patrimonio verde già esistente.
La richiesta nel bando di gara, a pena di esclusione, concernente l’aver “svolto da almeno 3 anni servizi identici o analoghi a quelli posti a base di gara..” prevedeva, pertanto, una corrispondenza fra l’attività espletata e quella richiesta in appalto, per la quale era necessario effettuare un esplicito riferimento, che non poteva essere desunto dalla Commissione di gara con la semplice lettura dei certificati di esecuzione lavori rilasciati per la categoria OS24, che riguarda appalti di lavori per interventi di esecuzione del verde urbano, realizzati al fine di consentire un miglior uso della città come recinzioni, sistemazioni paesaggistiche, verde attrezzato, campi sportivi e terreni da gioco.
Occorreva, pertanto, una specificazione volta alla caratterizzazione delle attività che solo l’Ente committente poteva attestare.
Pertanto, la stazione appaltante, correttamente, una volta verificata la mancanza, nei certificati di regolare esecuzione, di qualsiasi riferimento ad attività manutentiva attinente l’ambito dei servizi, ha invitato le imprese alla integrazione documentale.
Si precisa che la richiesta di integrazione documentale non ha determinato un aggravamento del procedimento, in quanto la specificazione richiesta è strettamente connessa all’oggetto dell’appalto ed è al contempo volta ad evitare l’esclusione dei concorrenti interessati.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’operato della Commissione di gara è conforme alla normativa di settore (parere 21.05.2008 n. 158 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
Per la soluzione della questione sottoposta all’attenzione di questa Autorità, si deve tener presente che nella verifica della sostenibilità dell’offerta, il costo della mano d’opera assume una valenza centrale, così come ribadito dall’intervenuta disciplina di cui alla legge 03.08.2007 n. 123, che ha introdotto, all’articolo 86 del d. Lgs. n. 163/2006, il comma 3-bis, laddove prescrive che nella valutazione dell’anomalia dell’offerta gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo della sicurezza.
La rilevazione del costo della mano d’opera in un appalto di lavori, quale quello in esame, si effettua sulla base degli indici applicabili nell’area interessata dall’esecuzione dell’appalto.
In particolare, l’analisi dei costi della mano d’opera edile si effettua sulla base dei valori e degli elementi di costo desumibili dalla contrattazione nazionale e da quella decentrata provinciale.
Si ritiene, pertanto, corretto, ai fini della verifica di congruità dell’offerta, l’utilizzo effettuato dalla Provincia di Milano dei costi orari della mano d’opera elaborate dall’associazione di categoria Assimpredil per le province di Milano, Lodi, Monza e Brianza e riferite all’anno 2007, periodo temporale nel quale è stata presentata l’offerta.
Vale osservare che gli indici elaborati dall’API Piemonte, utilizzati dal concorrente in sede di giustificazione dell’offerta, sono aggiornati al 1° marzo 2006, e pertanto, è verosimile ritenere che i valori ivi riportati presentino scostamenti, anche rilevanti –la S.A. ha evidenziato una differenza del 13-14 per cento- rispetto a quelli relativi all’anno 2007.
Per quanto attiene al giudizio negativo reso dalla S.A. in ordine alle percentuali dichiarate dall’impresa per le spese generali e gli utili (rispettivamente pari al 4% e al 5%), si precisa che, ai sensi dell’articolo 34 del d.P.R. 554/1999, le spese generali si attestano, in linea generale, nella misura variabile tra il 13 e il 15 per cento, a seconda della categoria e tipologia dei lavori, mentre l’utile dell’appaltatore è attestato nella misura del 10 per cento.
Come rilevato dal giudice amministrativo, “il giudizio sulla congruità della consistenza delle spese generali costituisce espressione di lata discrezionalità tecnica, come tale insuscettibile di sindacato in assenza di profili di illogicità apprezzabili. La valutazione aprioristica dell’amministrazione può pertanto essere derogata nel caso concreto in base alle giustificazioni fornite dall’impresa concorrente” (Cons. Stato, sez. V, n. 3819/2007).
Rimane quindi, a carico del concorrente dimostrare in modo puntuale gli elementi che gli consentono di ridurre le spese generali e che la rinuncia all’utile non determini la non congruità dell’offerta.
Nel caso in esame, in sede di contraddittorio orale e documentale integrativo, l’amministrazione ha ritenuto che le giustificazioni addotte dal concorrente non fossero sufficienti a rendere sostenibile l’offerta: in relazione al profilo procedurale del procedimento di verifica, dalla documentazione in atti, si può ritenere che l’analisi di congruità effettuata dalla S.A. ha interessato la valutazione dell’offerta nel suo insieme, avendo la stessa valutato le diverse componenti che la compongono, quali le voci di prezzo ritenute incomplete, il costo della mano d’opera, le percentuali per spese generali ed utili.
Sulla base di quanto sopra, si ritiene che non sussistono profili di censura nella procedura posta in essere dalla Provincia di Milano per la verifica dell’anomalia dell’offerta presentata dalla EDILVIE s.r.l.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta dell’impresa EDILVIE s.r.l. è conforme alle prescrizioni della normativa di settore (parere 14.05.2008 n. 157 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
L’appalto in esame, secondo quanto descritto dal capitolato speciale, ha ad oggetto l’affidamento dei servizi di raccolta, trasporto, conferimento R.S.U., differenziata porta a porta e servizi connessi. Pertanto, essendo l’appalto in questione un appalto di servizi e non essendovi alcuna percentuale relativa ai lavori, non sono stati richiesti requisiti di partecipazione riferiti a questi ultimi, quali a titolo esemplificativo il certificato SOA. Nonostante, dunque, la natura non mista del contratto, il punto 2.3. lett. b) della lettera di invito, come descritto in narrativa, contiene l’espresso richiamo ai commi dell’art. 37 del D.Lgs. 163/2006, che si applicano esclusivamente ai lavori, nonché dell’art. 95 comma 2 del DPR 554/1999, regolamento riferibile ai soli lavori pubblici.
Qualora detti richiami non siano frutto di un mero errore dell’amministrazione, ma siano stati citati ai fini di un’applicazione analogica della normativa sui raggruppamenti prevista per i lavori pubblici deve osservarsi che, come è stato enunciato dalla giurisprudenza amministrativa, non è praticabile la strada della trasposizione della disciplina dei lavori pubblici alla materia dei servizi se non con riguardo alle disposizioni che costituiscono espressione di principi generali applicabili a tutte le gare pubbliche. Restano dunque escluse da tale estensione analogica le disposizioni dettate per lo specifico settore dei lavori pubblici (quali quelle sulle quote relative al possesso dei requisiti delle partecipanti alle ATI) la cui applicazione al settore dei servizi richiede una specifica previsione. Si è infatti precisato che “la regolamentazione delle procedure di gara nel nostro ordinamento, in particolare dopo l'adeguamento alla normativa comunitaria, distingue in modo netto le procedure applicabili in relazione all’oggetto contrattuale cosicché non è corretta una operazione di trasposizione di alcune disposizioni da un settore all'altro perché ciascuno trova una disciplina completa negli atti normativi che attengono specificamente al settore considerato (recentemente si veda TAR Sardegna, del 15.05.2007, n. 904).
Di conseguenza, le previsioni della lettera di invito che mischiano requisiti di partecipazione dei raggruppamenti nel settore dei lavori con quelli dei servizi e forniture, non sono conformi alla normativa vigente e inducono, come si è verificato nella fattispecie rappresentata, i partecipanti in errore in ordine a quali requisiti comprovare e a quale sia il tipo di raggruppamento da ammettere.
Tutto ciò posto, deve altresì rilevarsi come l’art. 37, comma 4 del D.Lgs. 163/2006 preveda testualmente che “nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”. Pertanto, l’ATI General Service S.r.l. è per legge obbligata ad indicare, in sede di partecipazione alla gara, quali parti sono svolte dalle singole raggruppande, a prescindere dal tipo di raggruppamento sia esso di tipo verticale, sia orizzontale.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene che:
- la disciplina prevista nella lex specialis relativamente ai raggruppamenti temporanei di imprese non è conforme alla normativa vigente di settore;
- l’ATI General Service S.r.l. non può essere ammesso al prosieguo delle fasi di gara poiché, secondo quanto rappresentato, ha omesso di indicare le parti del contratto che ciascuna delle imprese raggruppate eseguirà in fase esecutiva
(parere 14.05.2008 n. 156 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
L’art. 83 del D.Lgs. 163/2006 dispone che nel caso in una gara venga previsto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il bando di gara deve stabilire i criteri di valutazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto, quali, a titolo esemplificativo: il prezzo; la qualità; il pregio tecnico.
Nel caso di specie il disciplinare di gara, al capo II “Criterio di aggiudicazione e modalità di attribuzione dei punteggi” prevede, nell’ambito del prescelto criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quali elementi ponderali di valutazione fino a 75 punti per il prezzo, e fino a 25 punti per la qualità.
Il disciplinare dispone che, “ai fini della determinazione dei coefficienti la commissione applicherà il metodo del “confronto a coppie” in analogia alla normativa dei lavori pubblici in merito alla valutazione dei servizi di progettazione”. Pertanto, nella gara in esame, l’amministrazione comunale sembra aver voluto non attribuire un giudizio di valore al servizio, ma solamente un giudizio numerico attraverso lo strumento del confronto a coppie.
Secondo il consolidato orientamento del giudice amministrativo, il punteggio numerico può essere considerato sufficiente a motivare gli elementi dell’offerta economicamente più vantaggiosa soltanto nell’ipotesi in cui il bando di gara abbia espressamente predefinito specifici, obiettivi e puntuali criteri di valutazione, visto che tale criterio di aggiudicazione svincola l’amministrazione da una valutazione meccanica, attribuendole un potere fortemente discrezionale. Tale esigenza risponde al principio di correttezza dell’azione amministrativa, a garanzia dell’imparziale svolgimento di tali procedimenti ed al fine di consentire la verifica dell’operato dell’Amministrazione, sia da parte del privato interessato, sia del Giudice Amministrativo, al quale deve essere permesso di poter ricostruire l’iter logico seguito dalla stazione appaltante (cfr. Consiglio di Stato sez. V 31/08/2007 n. 4543; Cons. Stato, Sez. V, 06.05.2003, n. 2379; Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2004, n. 3471).
All’assenza di criteri predefiniti, pertanto, non può sopperire il cosiddetto “confronto a coppie” (con il quale è possibile mettere a raffronto, a due a due, gli elementi delle offerte presentate, sì da trarne, poi, una graduazione che è il risultato di tutte le comparazioni fatte) che non influisce in alcun modo sulle regole proprie della motivazione.
Nel caso in esame dalla documentazione prodotta, non è possibile individuare la presenza di predefiniti specifici, obiettivi e puntuali criteri di valutazione, i quali non sono presenti nel disciplinare di gara né prima, né successivamente all’intervenuta rettifica. Pertanto il disciplinare di gara in oggetto, così strutturato, non permette né di desumere come saranno dall’amministrazione aggiudicatrice valutate le offerte, né risulta possibile per i partecipanti alla gara conoscere quali elementi qualitativi sono dall’amministrazione ritenuti importanti, in particolar modo nella misura in cui il punteggio sulla qualità viene aumentato da 25 a 40 punti.
Per quanto osservato sopra, deve considerarsi assorbito l’ulteriore motivo di censura presentato.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene che le modalità di attribuzione del punteggio previste nella procedura di gara in esame risultano non essere conformi alla normativa vigente di settore (parere 14.05.2008 n. 155 - link a massimario.avlp.it).

LAVORI PUBBLICI: Ritenuto in diritto:
Ai sensi dell’articolo 8, comma 11-quinquies, del testo coordinato della legge 109/1994, per i lavori di importo pari o inferiori a 150.000 euro il requisito richiesto per partecipare agli appalti di lavori pubblici, per le imprese iscritte all’albo separato delle imprese artigiane, istituito presso le Camere di Commercio, è costituito dalla presentazione del certificato di iscrizione, da almeno due anni, all’albo camerale; per le imprese non artigiane, i requisiti richiesti sono quelli di cui all’articolo 28, comma 1, lettera a) del d.P.R. 34/2000, nella misura del cinquanta per cento dell’importo in appalto, concernente i lavori analoghi eseguiti nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando.
Per la soluzione della questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità, occorre osservare, in primo luogo, che l’impresa possiede la doppia iscrizione alla Camera di Commercio, nella sezione Albo Artigiani (attività: lavori generali di costruzione di edifici) e nella sezione Registro Imprese (attività: impiantistica), ed è, altresì, in possesso delle abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990.
In secondo luogo, si deve considerare che per gli appalti di importo pari o inferiore a 150.000 euro, quale quello in esame, l’art. 8, comma 1, della legge 109/1994 e s.m., impone comunque il possesso di una professionalità qualificata, che è stata definita dall’Autorità (deliberazione n. 165/2003), come un rapporto di analogia tra i lavori eseguiti dal concorrente e quelli oggetto dell’appalto da affidare: “analogia intesa come coerenza tecnica tra la natura degli uni e degli altri.” Detta analogia va valutata dalla Stazione Appaltante.
Relativamente all’attività per la quale l’impresa istante è iscritta nell’Albo Artigiani, riconducibile alle lavorazioni della categoria OG1, di cui all’allegato A al d.P.R. 34/2000, si precisa che la relativa declaratoria riguarda la costruzione, la manutenzione o la ristrutturazione di interventi puntuali di edilizia occorrenti per svolgere una qualsiasi attività umana, diretta o indiretta, completi delle necessarie strutture, impianti elettromeccanici, elettrici, telefonici ed elettronici e finiture di qualsiasi tipo nonché delle eventuali opere connesse, complementari e accessorie.
Pertanto, l’attività edile esercitata dall’impresa Fanara Calogero in qualità di impresa artigiana, in analogia con quanto avviene relativamente alle lavorazioni da appaltare, avrebbe dovuto essere soggetta a previa specifica verifica da parte della stazione appaltante.
Vale rilevare, nel caso in esame, il limitato importo dei lavori eseguiti nel quinquennio che l’impresa è chiamata a dimostrare (cinquanta per cento dell’importo del contratto da stipulare).
Stante quanto sopra rilevato, tenuto conto che si verte in una procedura di cottimo, si ritiene che la S.A. avrebbe dovuto, prima di procedere all’esclusione dell’impresa Fanara Calogero, accertare la effettiva capacità della stessa, mediante la richiesta dei certificati di esecuzione lavori.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la revoca dell’aggiudicazione all’impresa Fanara Calogero, in assenza di un accertamento sulla effettiva capacità tecnico economica della stessa, non è conforme alla normativa di settore (parere 14.05.2008 n. 154 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

URBANISTICASulla legittima reiterazione dei vincoli espropriativi.
Secondo un costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, la reiterazione di un vincolo preordinato all’espropriazione, adottata in sede di formazione del piano regolatore generale, è legittima anche se non è accompagnata da una motivazione specifica, essendo sufficiente per la prova della persistenza e attualità delle esigenze urbanistiche sottese alla reiterazione la motivazione evincibile dalle linee guida generali che hanno ispirato l’attività pianificatoria (cfr., per tutti, Cons. St., sez. IV, 08.08.2007, n. 2999).
In particolare -come questa stessa Sezione ha già precisato con sentenza 19.11.2007, n. 890, in adesione a quanto autorevolmente precisato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 24.05.2007, n. 7- in caso di reiterazione di vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione, l’adeguatezza della motivazione va valutata tenendo conto, fra l’altro, delle seguenti circostanze:
a) se la reiterazione riguardi o meno una pluralità di aree, o comunque una consistente parte del territorio comunale;
b) se la reiterazione riguardi soltanto una parte delle aree già incise dai vincoli decaduti, mentre per l’altra parte non sia disposta la reiterazione perché ulteriori terreni sono individuati per il rispetto degli standard;
c) se la reiterazione sia stata disposta per la prima volta sull'area.
In definitiva, la reiterazione dei vincoli urbanistici a contenuto espropriativo non richiede, in via generale, una motivazione specifica in relazione alla destinazione di zona delle singole aree, essendo sufficiente che venga evidenziata la sussistenza dell'attualità e della persistenza delle esigenze urbanistiche ovvero i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano; mentre tale motivazione è necessaria solo nel caso di superamento degli standard minimi di cui al D.M. 02.04.1968 (con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree), di lesione dell’affidamento qualificato del privato (derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune ed i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizia o di silenzio rifiuto su domanda di concessione) e di modifica in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
Conclusivamente, l’atto di reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio può ritenersi in via generale adeguatamente motivato se da esso emergono con chiarezza e precisione gli accertamenti effettuati e le finalità di interesse pubblico concretamente perseguite (Cons. St., sez. IV, 26.02.2008, n. 683).
Relativamente al mancato puntuale esame delle osservazioni presentate, va ricordato che -come pacificamente chiarito in giurisprudenza (cfr. per tutti, Cons. St., sez. IV, 11.10.2007, n. 5357)- il rigetto delle osservazioni proposte dai privati in sede di formazione del piano regolatore non richiede una particolare motivazione, essendo tali osservazioni dei meri apporti collaborativi dati dai cittadini alla formazione dello strumento urbanistico, con la conseguenza che è sufficiente che esse state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.
L’omessa previsione dell’indennizzo non inficia la legittimità del provvedimento di reiterazione di un vincolo espropriativo o di inedificabilità scaduto (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. IV, 19.02.2008, n. 529) e ciò sulla base del rilievo che dai principi sul raccordo tra la pianificazione urbanistica e le previsioni del bilancio emerge che in tal caso l’Amministrazione non può impegnare somme di cui non è certa la spettanza in ordine all’an e al quantum, anche perché tale quantificazione richiede complessi accertamenti su elementi di fatto che solo il proprietario può rappresentare al termine del procedimento di pianificazione (fermo restando il diritto ad ottenere, in presenza dei relativi presupposti e dinanzi al giudice fornito in merito di giurisdizione, una indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 31.07.2008 n. 720 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che individuano assoluti divieti di installazione impianti per telefonia mobile (con potenza inferiore a 300 watt) anche solo con riguardo a limitate porzioni del territorio comunale.
La vicenda portata all’attenzione del Collegio non è certo nuova e della medesima -ovviamente per fatti analoghi in altri luoghi– la giurisprudenza si è più volte occupata, giungendo alla conclusione che, salvi casi eccezionali, le infrastrutture di specie (attrezzature fisse per la trasmissione: non qualificabili come costruzioni in senso stretto) siano da considerarsi opere di urbanizzazione primaria strettamente funzionali al concreto svolgersi di un servizio pubblico primario. Le stesse dunque possono essere allocate ignorando di norma la destinazione urbanistica locale: soprattutto quando questa ne impedisca l’allocazione medesima in toto (ex multis TAR MI – Lombardia – Sez. IV: 27.05.2005 n. 1106, 23.11.2006 n. 2833, 07.09.2007 n. 5777, 12.11.2007 n. 6260, 17.03.2008 n. 554; Tar Veneto II Sez. 12.01.2007 n. 72; TAR Lazio roma –II Sez. Bis 07.09.2007 n. 323; CDS Sez. VI: 05.06.2006 n. 3332, 15.06.2006 n. 3534, 13.06.2007 n. 3156, 27.06.2007 n. 4162 e 02.11.2007 n. 5673; C.d.S. sez. IV 19.05.2008 n. 2287).
Più in particolare è stato invero ed anche chiarito che, ai sensi dell’art. 4 VII comma della l.r. n. 11 del 2001, gli impianti di radio base di telefonia mobile (vedasi anche delibera G.R. invocata n. VII/7351 dell’11.12.2001) di potenza totale non superiore a 300 watt –come nel caso- non richiedono specifica regolamentazione urbanistica per cui sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che individuano assoluti divieti di installazione per simili impianti anche solo con riguardo a limitate porzioni del territorio comunale stesso (v. da ultimo TAR Lombardia Milano – Sez. IV n. 1815 del 20.05.2008) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 30.07.2008 n. 846 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla preliminare verifica d'ufficio se il richiedente il permesso di costruire ne ha titolo o meno.
Ai sensi del vigente art. 11 del D.P.R. 380/2001 –riproduttivo dell’art. 4 della L. 10/1977– nel corso dell’istruttoria il Comune ha l’obbligo di verificare l’esistenza del titolo per intervenire sull’immobile per il quale è richiesto il permesso di costruire. L’art. 38 della L.r. 12/2005, allo stesso modo, prescrive che “La domanda per il rilascio del permesso di costruire, sottoscritta dal proprietario dell’immobile o da chi abbia titolo per richiederlo, è presentata al competente ufficio comunale, ovvero, laddove costituito, allo sportello unico per l'edilizia, corredata da una attestazione concernente il titolo di legittimazione, ….”.
In particolare la legittimazione attiva di cui al citato art. 38 risulta configurabile non solo in capo al proprietario del terreno, ma anche (ad esempio) in favore del soggetto titolare di altro diritto reale di godimento sul fondo che lo autorizzi a disporne con un intervento costruttivo: compete pertanto al Comune, prima di rilasciare il permesso, l’espletamento di una preliminare indagine istruttoria volta a verificare la sussistenza di un titolo sostanziale idoneo ad abilitare l’istante a sfruttare la potenzialità edificatoria dell’immobile, senza che sia necessaria un’ulteriore ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato (Consiglio di Stato, sez. V – 04/02/2004 n. 368).
La funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede in definitiva un livello minimo di istruttoria, comprendente l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra il sottoscrittore della domanda ed il bene giuridico coinvolto dal progetto edilizio (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 30.07.2008 n. 843 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla sanatoria di opera abusiva e sulla necessità o meno del consenso unanime di più comproprietari.
Si tratta a questo punto di stabilire se la richiesta del permesso di costruire in sanatoria, riferita ad opere abusive interne ad un edificio in comproprietà, presupponga o meno il consenso di tutti i partecipanti alla comunione indivisa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1108 c.c.
Ad avviso del Collegio il dato testuale di riferimento è chiaro ed univoco nel richiedere il consenso unanime nei soli casi di trasferimento del bene a terzi, di costituzione di diritti reali sul fondo comune e di stipula di contratti di locazione di durata ultranovennale: l’intervento edilizio a cui si riferisce la domanda di sanatoria, pur se ascrivibile al genus degli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, non esige dunque l’approvazione espressa di tutti i comproprietari, essendo sufficiente la maggioranza dei due terzi dei partecipanti alla comunione calcolata in base alle quote di ciascuno di essi. Nel caso di specie tale maggioranza è pacificamente raggiunta.
E’ pur vero che l’attività edilizia soggetta a concessione, determinando un’apprezzabile trasformazione dell’area interessata, determina di regola un’incidenza significativa sul diritto di ciascuno dei comproprietari. Va rilevato tuttavia che, nel caso di permesso di costruire in sanatoria, si intende procedere alla regolarizzazione di opere già ultimate le quali, in difetto del titolo abilitativo, espongono i comproprietari alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’esercizio del potere sanzionatorio che la legge attribuisce ai Comuni (cfr. TAR Puglia-Lecce, sez. III – 15/04/2008 n. 1111). In buona sostanza la richiesta di permesso di costruire in sanatoria può essere equiparata alle innovazioni dirette a migliorare il bene e/o a renderne più comodo o redditizio il godimento (art. 1108 c.c.), dal che discende la sufficienza del consenso dei due terzi dei comproprietari.
La giurisprudenza (TAR Emilia Romagna-Parma – 10/01/2007 n. 7) ha peraltro messo in luce come i comproprietari pretermessi non siano del tutto privi di tutela, dato che il primo comma del già citato articolo 1108 del c.c. impone due tipi di limitazioni alla possibilità di compiere –con il solo assenso espresso dalla maggioranza– innovazioni migliorative: queste ultime infatti non devono recare pregiudizio al godimento della cosa comune da parte di alcuno dei comproprietari né possono comportare una spesa eccessivamente gravosa.
Qualora queste condizioni non siano soddisfatte, la maggioranza qualificata dei comproprietari non è abilitata ad autorizzare l’intervento, ma si rende indispensabile l’unanimità dei consensi (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 30.07.2008 n. 843 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANell’ipotesi di diniego della domanda di sanatoria, l’Amministrazione deve adottare una nuova ingiunzione di demolizione.
Secondo il principio contenuto negli artt. 38 e 44, della L. 28.02.1985, n. 47, in pendenza della domanda di sanatoria, è preclusa l’adozione di provvedimenti repressivi dell’abuso edilizio. Con la conseguenza che, nell’ipotesi di diniego della domanda di sanatoria, l’Amministrazione deve adottare una nuova ingiunzione di demolizione, con fissazione di nuovi termini per la spontanea esecuzione (cfr., per tutti e da ultimo, T.A.R. Campania-Napoli, sez. VII, 21.03.2008, n. 1472) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 30.07.2008 n. 704 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVISull'osservanza del preavviso di diniego ex art. 10-bis L. n. 241/1990.
Il preavviso di diniego, previsto dall'art. 10-bis L. 07.08.1990 n. 241 costituisce un atto (privo di contenuto provvedimentale), con cui l’Amministrazione rende noto all’interessato il suo intendimento, del tutto provvisorio, di procedere al diniego della sua domanda.
Trattasi, cioè, di una norma di garanzia partecipativa, che ha la finalità di consentire, anche nei procedimenti ad istanza di parte, gli apporti collaborativi dei privati, allo scopo di porre questi ultimi in condizione di chiarire, già nella fase procedimentale, tutte le circostanze ritenute utili, senza costringerli ad adire subito le più gravose vie giurisdizionali; pertanto, la stessa finalità di detta norma comporta che non vi debba essere necessariamente una corrispondenza puntuale in ogni dettaglio tra il contenuto del preavviso di diniego e il diniego medesimo, ben potendo la P.A., sulla base delle osservazioni del privato (ma anche autonomamente), precisare meglio le proprie posizioni giuridiche nell’atto di diniego, che costituisce l’unico atto effettivamente lesivo della sfera del cittadino (Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n. 6325).
Per cui l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto appare suscettibile di incidere in modo significativo sulla concreta possibilità del soggetto amministrato di tutelare il proprio interesse (Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1052) e tale comunicazione è certamente necessaria nelle ipotesi di diniego di rilascio del permesso di costruire (TAR Puglia, sede Bari, sez. III, 18.01.2008, n. 46, TAR Campania, sede Napoli, sez. III, 06.12.2007, n. 15817, TAR Valle d'Aosta Aosta, 10.10.2007 , n. 121).
Peraltro, poiché la norma suddetta, costituente garanzia di trasparenza e di buona amministrazione (e rispondente quindi anche agli interessi stessi dell’Amministrazione), prevede la possibilità di un contraddittorio, con prospettazione di osservazioni scritte da parte degli interessati, sembra evidente che del mancato accoglimento di tali osservazioni debba essere data ragione nel provvedimento finale (TAR Lazio, sede Roma, sez. III, 02.10.2007, n. 9626).
Purtuttavia, così come non vi deve essere necessariamente una corrispondenza puntuale in ogni dettaglio tra il contenuto del preavviso di diniego e il diniego medesimo, ugualmente non è necessaria una analitica confutazione delle osservazioni del privato, essendo sufficiente che nell’atto conclusivo del procedimento si attesti l’avvenuto esame da parte dell’Amministrazione di tali osservazioni, ben potendo dalle ragioni giustificative poste a base del provvedimento dedursi i motivi del mancato accoglimento delle osservazioni del privato (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 30.07.2008 n. 704 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. GARA D'APPALTO - COMMISSIONE GIUDICATRICE - NOMINA - COMPETENZA - E' IL DIRIGENTE RESPONSABILE UNICO DEL PROCEDIMENTO - RAGIONI - DISCIPLINA EX ART. 107, C.3 TUEL - NATURA IMMEDIATAMENTE PRECETTIVA.
2. GARA D'APPALTO - COMMISSIONE GIUDICATRICE - NOMINA - COMPETENZA - ENTI LOCALI DI PICCOLE DIMENSIONI - COMPETENZA GIUNTALE - VA ESCLUSA - ANCHE NELL'IPOTESI DI ASSEGNAZIONE DI FUNZIONI DIRIGENZIALI AGLI ASSESSORI - NECESSITA' DI APPOSITA PREVISIONI REGOLAMENTARI ORGANIZZATIVE.
3. CONTRATTI DELLA P.A. - ANNULLAMENTO S.G. AGGIUDICAZIONE - SORTE DEL CONTRATTO MEDIO TEMPORE STIPULATO - INEFFICACIA SOPRAVVENUTA.

1. Competente per la nomina della commissione di gara nelle procedure indette per l’aggiudicazione di appalti con la Pubblica Amministrazione non è la Giunta municipale, bensì il dirigente responsabile unico del procedimento. Da un lato, infatti, ex art. 107 D.Lgs. 267/2000 (il cui comma 3 prevede espressamente il conferimento, in favore dei dirigenti degli enti locali, sia della presidenza delle commissioni di gara e di concorso, sia delle responsabilità delle procedure di appalto e di concorso, e di conseguenza anche della nomina della commissione giudicatrice). Dall’altro, si evidenzia che tale norma costituisce disposizione immediatamente applicabile senz'uopo dell'interposizione di apposite fonti secondarie, cui spetta solo la determinazione delle modalità d'esercizio della competenza, comunque indefettibile, e tale da non tollerare impedimenti o soluzioni di continuità.
L'immediata precettività dell’articolo de quo si fonda, del resto, sul ben noto riparto, fra compiti di governo, di indirizzo e di coordinamento, e quelli di gestione, che costituisce struttura fondante dell'intera riforma delle autonomia locali. In definitiva, tale norma, che prevede una presenza continua e costante dei dirigenti locali nell'intera procedura di gara, si inserisca coerentemente nel contesto degli obiettivi di gestione e di risultato che fanno capo ai dirigenti, responsabili del buon esito dell'azione amministrativa ad essi demandata e titolari dei poteri amministrativi che nel corso dei vari procedimenti devono essere esplicati. Del resto l’assegnazione al dirigente della responsabilità piena del procedimento di gara esige, per la completa attuazione dell’intestazione di tutti i compiti connessi alla procedura ad un medesimo soggetto e per la realizzazione dell’evidente finalità di assicurare economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, che nel novero delle competenze assommabili in capo al dirigente responsabile siano comprese tutte le funzioni amministrative direttamente riferibili alla direzione della gara ed alla verifica del suo corretto svolgimento, tra cui anche la competenza alla nomina della commissione giudicatrice.
L’esclusione di taluno dei compiti considerati dalla sfera di attribuzioni del dirigente responsabile, oltre a non essere imposta dalla disposizione menzionata (che impegna, semmai, all’assegnazione di tutte le funzioni rilevanti della procedura al medesimo dirigente), vanificherebbe, peraltro, gli interessi chiaramente sottesi alla disposizione menzionata, frammentando le competenze direttive connesse al procedimento di gara tra più soggetti ed impedendo, così, la gestione unitaria ed uniforme dello stesso.
2. Quanto poi alla più volte sollevata questione relativa all’estrinsecazione della problematica in questione nei Comuni di piccole dimensione, nei quali risulta difficile individuare una figura dirigenziale, sebbene l’art. 109 D.Lgs. 267/2000 sembri lasciare ampia discrezionalità al Sindaco, nei Comuni privi di personale di qualifica dirigenziale, di delegare, con provvedimento motivato, le relative funzioni, ai responsabili degli uffici e dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, è del pari vero che, tra gli stessi, non possa annoverarsi la Giunta. Né tale principio risulta derogabile nel caso di specie dall’art. 53, comma 23 della L. n. 388/2000, così come modificato dall’art. 29 comma IV L. 448/2001, in quanto sebbene, con tale norma, il legislatore ha concesso ai comuni, con popolazione inferiore a 5000 abitanti, la possibilità di affidare, mediante disposizioni regolamentari, la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica–gestionale, ai singoli componenti dell’organo esecutivo, tuttavia tale possibilità non viene attribuita all’intera Giunta.
Si tratta, infatti, di una norma che non solo conferma il carattere eccezionale delle deroghe al regime ordinario e l’esigenza della loro assunzione con specifico strumento legislativo, ma che si rivolge solo ai piccoli Comuni e che non rimette alla Giunta, ma solo ai suoi componenti, l’espletamento, uti singuli e non, quindi, in sede collegiale, di compiti normalmente spettanti alla dirigenza. Si evidenzia altresì che l’art. 53, comma 23 della L. n. 388/2000, così come modificato dall’art. 29 comma IV L. 448/2001, ai fini della sua applicazione richiede il rispetto di un’ulteriore condizione, ovvero che, l’attribuzione di responsabilità degli uffici e dei servizi comunali agli assessori, ed il potere degli stessi di adottare atti anche di natura tecnica gestionale, deve essere prevista da norme regolamentari organizzative.
3. Devesi ribadire in questa sede il principio di diritto (desumibile in via sistematica anche dal recente disposto di cui agli artt. 244 e 246 del D. Lgs. N. 163/2006, per cui, l’annullamento degli atti di gara e del finale provvedimento di aggiudicazione, ove intervenuto, come nel caso di specie, dopo la stipula del contratto d’appalto, comporta che quest’ultimo divenga inefficace (cfr. da ultimo Cons. Stato, V, decisione n. 490/2008) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 29.07.2008 n. 9545 - link a www.mediagraphic.it).

ESPROPRIAZIONE: Al privato proprietario di un’area destinata all’espropriazione, siccome interessata dalla realizzazione di un’opera pubblica, dev’essere garantita, mediante la formale comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l’amministrazione procedente sulla sua localizzazione.
Com’è noto, un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato (cfr. Ad. Plen. 20.12.2002, n. 8; 24.01.2000, n. 2; 15.09.1999, n. 14), dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, ha affermato il principio, generale ed inderogabile, per cui al privato proprietario di un’area destinata all’espropriazione, siccome interessata dalla realizzazione di un’opera pubblica, dev’essere garantita, mediante la formale comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l’amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull’apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e, quindi, dell’approvazione del progetto definitivo.
In coerenza con tale canone di condotta, che vincola tutte le amministrazioni e che, come tale, non soffre eccezioni (se non espresse da disposizioni speciali che esonerano esplicitamente l’amministrazione dal relativo adempimento procedurale), ed in conformità al parametro di giudizio che ne costituisce immediato corollario, si deve, allora, rilevare che, nella fattispecie in esame, anche a causa di una confusione procedimentale che non consente una rigorosa distinzione dei diversi segmenti che, di norma, integrano la procedura di approvazione di un’opera pubblica, all’Azienda Agricola, proprietaria del terreno interessato dalla realizzazione dell’opera, non è stato consentito di interloquire, in tempo utile, con le amministrazioni procedenti in merito alla localizzazione dell’intervento ed all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.
Per quanto confusa e contraddittoria sia stata la gestione del procedimento (non risultando chiara, in particolare, l’evoluzione delle elaborazioni progettuali), la localizzazione dell’opera, unitamente all’apposizione del relativo vincolo ablatorio, è stata deliberata, seppur con il peculiare strumento dell’intesa Stato–Regione, in mancanza della previa notifica all’Azienda Agricola della prescritta informativa sulla dichiarazione della pubblica utilità dell’opera, con conseguente violazione del pertinente obbligo di comunicazione.
E non serve, da ultimo, invocare come esimente dal dovere in questione il disposto dell’art. 13, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, in quanto quest’ultima norma si riferisce ai soli atti a contenuto generale, mentre l’intesa tra lo Stato e la Regione sulla localizzazione di un’opera di interesse statale non consiste in un documento di pianificazione territoriale, ma produce l’effetto puntuale e specifico dell’individuazione dell’ubicazione dell’intervento (oltre a valere come dichiarazione di pubblica utilità) e si rivela, come tale, idonea ad incidere, in maniera immedia-ta, sugli interessi dei soggetti proprietari del terreno interessato dalla sua realizzazione, con le evidenti implicazioni sulla partecipazione di questi al relativo procedimento (giudicata, da ultimo, necessaria da Cons. St., sez. IV, 16.05.2006, n. 2773).
I rilievi appena svolti comportano, quale immediato corollario, l’assoluta inidoneità della comunicazione indicata dalle Amministrazioni appellate come satisfattiva dell’interesse partecipativo asseritamente violato, ad integrare gli estremi dell’instaurazione tempestiva di quel contraddittorio procedimentale utile ed effettivo in merito alle determinazioni pertinenti alla localizzazione dell’opera ed alla costituzione del vincolo espropriativo che, solo, consente di giudicare adempiuto l’obbligo prescritto dall’art. 7 l. n. 241/1990 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.07.2008 n. 3760 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull'opposizione del terzo nei confronti dell'esecuzione di lavori edilizi mediante D.I.A..
Secondo il recente orientamento di questo Consesso (Sez VI, 05.04.2007 n. 1550), dal quale non si ha ragione di doversi discostare, il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento.
Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a..
Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
Si è quindi in presenza, decorsi i trenta giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento edilizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.07.2008 n. 3742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla qualificazione dell'intervento edilizio di ristrutturazione edilizia.
In virtù dell’art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 rientra nel concetto di ristrutturazione edilizia la demolizione con ricostruzione, purché il nuovo manufatto non si discosti dal precedente per volumetria, sagoma o ubicazione (Cons. Stato, IV, 10/04/2008, n. 1550; TAR Calabria, Catanzaro, II, 05/03/2008, n. 260; TAR Umbria, 11/08/2006, n. 419).
Orbene, nel caso di specie l’intervento consiste in una evidente modifica della conformazione esteriore, dell’altezza e della sagoma dell’edificio, in quanto alla demolizione di una parte dell’edificio corrisponde una nuova costruzione su un’altra parte del medesimo, con visibile alterazione del manufatto in tutti i suoi quattro prospetti (si vedano le tavole di progetto depositate in giudizio dal Comune resistente come documento n. 7) e, in parte, nella sua collocazione.
Ne deriva che l’intervento de quo non è riconducibile alla ristrutturazione edilizia, quale definita nel citato art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e nell’art. 79, comma 2, lettera “d”, della L.R. n. 1/2005, ma consiste in una nuova costruzione non compresa tra le tipologie ammesse a sanatoria dall’art. 2 della L.R. n. 53/2004 (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 29.07.2008 n. 1837 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla competenza di comprovare l'epoca di realizzazione dell'abuso edilizio oggetto di condono edilizio.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio ritiene di aderire, l’onere della prova in ordine all’epoca di realizzazione dell’opera abusiva grava sull’interessato che intende dimostrare la sanabilità della stessa, e non sul Comune. Tale onere è soddisfatto con la produzione di prove inconfutabili, ovvero basate su atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza del periodo di costruzione del manufatto (ex multis: TAR Umbria, 10/07/2003, n. 589; TAR Sicilia, Palermo, III, 26/10/2005, n. 4099) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 29.07.2008 n. 1828 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla necessità o meno di un nuovo e preventivo provvedimento abilitativo nel caso di traslazione del fabbricato.
A termini dell’art. 22 del T.U. sull’edilizia, al comma 2, è prevista la possibilità di realizzare interventi edilizi con denuncia di inizia attività ove si tratti di varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.
Le denunce di attività in variante a permesso di costruire costituiscono, inoltre, a termini della sopracitata disposizione, “parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale”.
Nel caso di specie, risultano invariati, come non è contestato, il numero e la consistenza della cabine, che sono state meramente “traslate” rispetto al progetto originario.
Ritiene il Collegio che la descritta “traslazione”, consistente nel diverso posizionamento della cabine, senza alcuna incidenza sugli altri parametri edilizi, non possa equipararsi a modifica della sagoma che è rimasta invariata, ove si intenda per sagoma il profilo della costruzione (sagoma è, lessicalmente, “profilo, linea, forma esterna di edificio”), con piena utilizzabilità dell’istituto in esame.
Sotto altro profilo, sostanzialistico, deve porsi attenzione alla circostanza che la DIA in esame non comporta alcun intervento “innovativo” rispetto a quanto già assentito con il permesso di costruire; muovendosi nell’alveo del già autorizzato, è del tutto evidente che l’istituto da utilizzare non è già un nuovo permesso di costruire, ma per l’appunto un denuncia di inizio attività.
Invero, al fine di distinguere una nuova concessione edilizia da una sua variante, gli elementi da prendere in considerazione sono le “modificazioni quantitative o qualitative apportate all’originario progetto, in particolare, la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, nonché le variazioni funzionali e strutturali (interne ed esterne) del fabbricato”, con la conseguenza che una mera rototraslazione della sagoma del fabbricato, rispetto al progetto approvato, deve considerarsi variante non essenziale, non richiedente titolo abilitativo autonomo (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 11.04.2007, n. 1572; Cons. di Stato. sez.V, 03.08.2004, n. 5429) (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 29.07.2008 n. 955 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. GARA D'APPALTO - MODALITA' DI PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE - MANCATA INDICAZIONE DELL’OGGETTO DELL’APPALTO SULLE TRE BUSTE INSERITE NEL PLICO GENERALE - MERA IRREGOLARITA' FORMALE - ESCLUSIONE - ILLEGITTIMITA'.
2. GARA D'APPALTO - MODALITA' DI PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE - MANCATA INDICAZIONE DELL’OGGETTO DELL’APPALTO SULLE TRE BUSTE INSERITE NEL PLICO GENERALE - MERA IRREGOLARITA' FORMALE - ESCLUSIONE - IN APPLICAZIONE DI CLAUSOLA DI STILE DELLA LEX SPECIALIS - ILLEGITTIMITA - RAGIONI.

1. La mancata indicazione dell’oggetto dell’appalto anche sulle tre buste inserite nel plico generale –sul quale d’altronde erano stati puntualmente riportati tutte le diciture richieste per l’individuazione sia della gara che dell’offerente- deve infatti essere considerata come mera irregolarità formale, come tale inidonea a giustificare la grave misura adottata dall’organo di gara in sede di verifica della documentazione. Infatti, da un punto di vista funzionale esigere che anche sulle tre buste interne al plico generale dovesse assolutamente essere indicato l’oggetto dell’appalto non soddisfa alcuna esigenza pubblica connessa al procedimento, né in termini di trasparenza, né di par condicio o comunque di celerità, anzi ponendosi come una determinazione che in astratto finisce per aggravarne inutilmente la dinamica, arrecando un danno all’interesse pubblico conseguente dalla aprioristica pretermissione di una possibile soluzione vantaggiosa.
2. Né il provvedimento può essere ritenuto sostenibile in termini di pedissequa e vincolata applicazione del capitolato nella parte in cui aveva prescritto che “tutto quanto prescritto nel presente capitolato d’oneri è a pena di esclusione e/o di non aggiudicazione”. Trattasi, infatti, di una proposizione del tutto inidonea ad essere interpretata come specifica volontà di sanzionare con l’esclusione qualsiasi prescrizione ivi contenuta; ciò, in primo luogo per la sua eccessiva genericità, che mal si concilia con una volontà effettiva dell’amministrazione, configurandosi piuttosto come mera clausola di stile (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 25.07.2008 n. 9417 - link a www.mediagraphic.it).

PUBBLICO IMPIEGODipendenti pubblici, sanzioni sempre da graduare. Anche nei casi più gravi le misure disciplinari devono tenere conto della personalità.
Nel decidere le sanzioni disciplinari da applicare ai dipendenti pubblici che si siano resi colpevoli di un illecito disciplinare la Pubblica Amministrazione deve effettuare anche una valutazione della loro personalità (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23.07.2008 n. 3616 - link a www.cittadinolex.kataweb.it).

APPALTI: GARA D'APPALTO - PARTECIPAZIONE DI ATI - IMPUGNAZIONE ATTI DI GARA - LEGITTIMAZIONE - IMPRESA SINGOLA - SUSSISTENZA – RAGIONI.
In caso di associazione temporanea di imprese (ATI) nei pubblici appalti, ogni singola impresa partecipante all'ATI stessa, anche nel ruolo di semplice mandante e non di mandataria (come appunto nel caso di specie in cui ha veste di ricorrente la sola Teckal srl), può sempre, sia prima che dopo la formale costituzione dell'ATI, proporre impugnazione contro gli atti e i risultati della gara, essendo titolare di autonoma legittimazione ad agire nell'ambito del raggruppamento di imprese ed anche se i motivi dello sfavorevole provvedimento oggetto d’impugnativa siano incentrati sulla posizione specifica di altro componente dell’ATI (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 29.03.2006, n. 1600 e TAR Lombardia, MI, IV, n. 454 del 04.03.2008) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 22.07.2008 n. 7175 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTIPossibile ed è anzi atto dovuto l’escussione della cauzione per mancata conferma delle dichiarazioni inizialmente rese dalle imprese partecipanti alle gare.
Stando all’art. 38, primo comma lett. i), del nuovo Codice dei contratti pubblici, secondo il quale devono essere esclusi i soli concorrenti che abbiano commesso violazioni “gravi” e “definitivamente accertate” in materia di contributi previdenziali ed assistenziali (che riprende la formulazione dell’art. 75, primo comma lett. e) del D.P.R. 21.12.1999 n. 554) le Amministrazioni procedenti non possono legittimamente arrestarsi alla presa d’atto del responso “sintetico” fornito dall’ente previdenziale per mezzo del d.u.r.c., bensì devono effettuare un’autonoma istruttoria circa i caratteri della irregolarità contributiva cumulativamente richiesti dal legislatore, ossia la “gravità” e la “definitività”. Tale attività di verifica ed apprezzamento, da svolgersi in contraddittorio con l’impresa interessata, non può essere surrogata dalla certificazione formata dall’ente previdenziale, al quale solo compete di attestare l’esistenza e l’entità del rapporto debitorio. Del pari, spetta al giudice amministrativo il sindacato sulla motivazione addotta della stazione appaltante, all’atto dell’esclusione dalla gara, circa la ricorrenza dei presupposti di gravità e definitività delle pendenze contributive (condivisibile, in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 20.09.2005 n. 4817, riferita all’art. 75 del previgente regolamento sui lavori pubblici).
Può oggi aggiungersi che una diversa interpretazione, oltre a tradire il tenore letterale del primo comma dell’art. 38 del Codice, si porrebbe in contrasto con l’art, 45, terzo comma, della direttiva 2004/18/CE il quale, introducendo un principio immediatamente precettivo rivolto alle Amministrazioni aggiudicatrici, consente sì di accettare il certificato come “prova sufficiente” che attesta che l’operatore economico non si trova in nessuna delle situazioni di esclusione, ma viceversa non autorizza a far discendere l’esclusione automatica dell’impresa dalle risultanze di detto certificato.
L’esplicazione del potere di apprezzamento della gravità e della definitività delle violazioni contributive, da parte della stazione appaltante, non può che collocarsi nella fase della qualificazione dei soggetti offerenti, allorché si svolge la consueta verifica dei requisiti di partecipazione prescritti dalla legge e dal bando di gara. La previsione del terzo comma dell’art. 38 del Codice, che fa obbligo all’aggiudicatario provvisorio di consegnare all’Amministrazione il d.u.r.c., non esclude che già in fase di presentazione della domanda di partecipazione tutte le ditte concorrenti debbano diligentemente dichiarare la propria posizione contributiva (non diversamente, ad esempio, dai precedenti penali degli amministratori), proprio allo scopo di consentire la doverosa valutazione degli eventuali debiti previdenziali, in punto di “gravità” e “definitività”.
Va osservato, tuttavia che la previsione del terzo comma dell’art. 38 del codice che fa obbligo all’aggiudicatario provvisorio di consegnare all’amministrazione Durc non esclude che già in fase di presentazione della domanda di partecipazione tutte le ditte concorrenti debbano diligentemente dichiarare la propria posizione contributiva (non diversamente, ad es., dei precedenti penali degli amministratori ) proprio allo scipo di consentire la doverosa valutazione degli eventuali debiti previdenziali, in punto di “gravità e definitività”.
Proprio il riconoscimento di penetranti spazi di discrezionalità, in capo alla stazione appaltante, nei riguardi delle pendenze contributive risultanti dal d.u.r.c. porta con sé, quale corollario, che ciascuna impresa che abbia in corso un procedimento di accertamento previdenziale non può dichiarare di essere in regola, ma deve manifestare fin dall’inizio l’esistenza di tale situazione, alla cui valutazione provvederà l’Autorità destinataria della dichiarazione medesima; come ripetutamente rilevato dalla giurisprudenza, infatti, in un contesto di positivo rinnovamento della legislazione in tema di rapporti tra cittadino e pubblici poteri, e quindi in tema di certificazioni e di autocertificazione, è indispensabile che il cittadino stesso sia anche responsabile (e responsabilizzato) delle dichiarazioni che rilascia, all’evidente scopo di evitare che un importante strumento di civiltà giuridico-amministrativa, quale l’autocertificazione, possa finire con l’essere comodo mezzo per aggirare ben precisi precetti di legge (TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 15.09.2005 n. 1590).
Da ciò si ricava che le imprese che intendano partecipare alle pubbliche gare d’appalto, hanno l’onere, allorché rendono le autodichiarazioni previste dalla legge o dal bando, di rendersi particolarmente diligenti nel verificare preliminarmente (attraverso la documentazione in loro possesso o anche accedendo ai dati dei competenti uffici) che tali autodichiarazioni siano veritiere. La falsa o incompleta attestazione dei requisiti di partecipazione ha rilevanza oggettiva, sicché il relativo inadempimento non tollera ulteriori indagini da parte dell’Amministrazione in ordine all’elemento psicologico (se cioè la reticenza sia dovuta a dolo o colpa dell’imprenditore) e alla gravità della violazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17.04.2003 n. 2081; Id., 09.12.2002 n. 6768).
Con specifico riguardo alla dichiarazione di regolarità contributiva, deve perciò distinguersi. E’ illegittima l’esclusione quando l'impresa abbia tempestivamente impugnato, prima della pubblicazione del bando, la richiesta di pagamento degli oneri contributivi, ma a diversa conclusione si perviene nel caso in cui l’impresa abbia dichiarato espressamente, nella domanda di partecipazione, di essere in regola con i doveri contributivi e fiscali, nonostante l’effettiva presenza di contenziosi pendenti: in tal caso infatti la dichiarazione, a pena di esclusione, deve essere completa dell’indicazione di detto contenzioso (in questo senso Cons. Giust. Amm. Sicilia, 28.07.2006 n. 470) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 16.07.2008 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: 1. GARA D'APPALTO - OFFERTE - VARIANTI IN SEDE DI OFFERTA - AMMISSIBILITÀ NEL CASO DI OFFERTA ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA - FONDAMENTO.
2. GARA D'APPALTO - OFFERTE - VARIANTI IN SEDE DI OFFERTA - LIMITAZIONI – INDIVIDUAZIONE.
3. GARA D'APPALTO - OFFERTA ANOMALA - GIUSTIFICAZIONI - GIUDIZIO DI ANOMALIA - MOTIVAZIONE PER RELATIONEM – AMMISSIBILITÀ.

1. In linea generale la previsione esplicita della possibilità di presentare varianti in sede di offerta per gli appalti di servizi, è contemplata dall’art. 24, d.lgs. n. 157 del 1995 (applicabile ratione temporis), in parte qua riproduttivo della disciplina recata dalla direttiva 92/50/Ce (ed oggi generalizzata dall’art. 76 del codice dei contratti pubblici per qualsivoglia appalto); l’amministrazione deve indicare, in sede di redazione della lex specialis, se le varianti sono ammesse e, in caso affermativo, identificare i loro requisiti minimi.
La ratio della scelta normativa comunitaria riposa sulla circostanza che, allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la stazione appaltante ha maggiore discrezionalità e soprattutto sceglie il contraente valutando non solo criteri matematici ma la complessità dell’offerta proposta, sicché nel corso del procedimento di gara potrebbero rendersi necessari degli aggiustamenti rispetto al progetto base elaborato dall’amministrazione; nel caso invece di offerta selezionata col criterio del prezzo più basso, poiché tutte le condizioni tecniche sono predeterminate al momento dell’offerta e non vi è alcuna ragione per modificare l’assetto contrattuale, non è mai ammessa la possibilità di presentare varianti.
In ogni caso deve ritenersi insito nella scelta del criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa che, anche quando il progetto posto a base di gara sia definitivo, sia consentito alle imprese proporre quelle variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis onde non ledere la par condicio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11.02.1999, n. 149).
2. La giurisprudenza nazionale ha elaborato alcuni criteri guida relativi alle varianti in sede di offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.02.2003, n. 923; sez. V, 09.02.2001, n. 578; sez. IV, 02.04.1997, n. 309):
- si ammettono varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive dell’opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a.;
- risulta essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto al progetto base, che l’offerente dia contezza delle ragioni che giustificano l’adattamento proposto e le variazioni alle singole prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca l’efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese alla prescrizione variata;
- viene lasciato un ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice, trattandosi dell’ambito di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
3. Non sussiste un dovere di motivazione puntuale ed analitica nel caso di giustificazioni dell'offerta anomala ritenute congrue dalla stazione appaltante, essendo sufficiente una motivazione espressa per relationem alle giustificazioni rese dall’impresa vincitrice (cfr. sez. IV, 07.06.2004, n. 3554; sez. VI, 08.03.2004, n. 1080; sez. VI, 06.08.2002, n. 4094; sez. VI, 03.04.2002, n. 1853; sez. IV, 14.02.2002, n. 882) (1) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.07.2008 n. 3481 - link a www.mediagraphic.it).
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(1) Ha peraltro osservato il collegio che "un diverso indirizzo esige, invece, una puntuale e rigorosa motivazione anche del giudizio positivo di non anomalia onde evitare argomentazioni apodittiche o apparenti a tutela effettiva della par condicio (sez. VI, 11.12.2001, n. 6217). La sezione aderisce al primo orientamento che costituisce un miglior punto di equilibrio fra il dovere di garantire la par condicio, le esigenze di salvaguardare gli spazi di autonomia tecnico discrezionale riservati all’amministrazione, l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa apprezzate in chiave sostanzialistica, conformemente al disegno riformatore enunciato nei principi divisati dall’art. 1, l. n. 241 del 1990. Tale bilanciamento appare quanto mai utile allorquando, come nel caso di specie, le censure appaiano di maniera, perché non suffragate da eclatanti percentuali di ribasso contenute nell’offerta giudicata favorevolmente".

PUBBLICO IMPIEGOConcorsi pubblici senza privacy. La visione degli elaborati non è da comunicare all'autore.
Il Collegio osserva che:
a) il ricorrente avendo partecipato alla procedura concorsuale è titolare di un interesse qualificato e differenziato alla regolarità della procedura che, come tale, concretizza quell’ “interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti” che l’art. 2 del DPR n. 352/1992, in puntuale applicazione dell’art. 22 della L. n. 241/1990, richiede quale presupposto necessario per il riconoscimento del diritto di accesso (ex plurimis CS, sez VI, n. 6246/2000);
b) tale interesse è stato puntualmente evidenziato nell'istanza di accesso nella quale il ricorrente ha manifestato l'intenzione di valutare la legittimità degli atti della procedura concorsuale e, se del caso, di tutelare in sede giurisdizionale le proprie ragioni.
c) nessuna rilevanza, poi, assume la previa comunicazione della suddetta istanza agli altri candidati la cui produzione documentale è oggetto della stessa, al fine di consentire a questi ultimi di opporsi motivatamente al suo accoglimento. Al riguardo il consolidato orientamento giurisprudenziale (CS, sez. VI, n. 260/1997; Tar Campania n. 7538/1997; Tar Emilia Romagna, Parma, n. 274/2001) ha affermato il principio che le domande ed i documenti prodotti dai candidati, i verbali, le schede di valutazione e gli stessi elaborati costituiscono documenti rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l'esigenza di riservatezza a tutela dei terzi, posto che i concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno evidentemente acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza. Tali atti, quindi, una volta acquisiti alla procedura, escono dalla sfera personale dei partecipanti che, pertanto, non assumono la veste di controinteressati in senso tecnico nel presente giudizio. Né, in concreto, l'omessa integrale intimazione in giudizio dei concorrenti cui si riferiscono gli atti in esame arreca loro alcun significativo pregiudizio non potendo gli stessi, in ragione di quanto detto, opporsi all'ostensione dei documenti richiesti dalla ricorrente (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 08.07.2008 n. 6450 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: 1. GARA D'APPALTO - REQUISITI GENERALI - DICHIARAZIONI EX ART. 38 DLGS. 163/2006 - VANNO RIFERITE SOLO AGLI AMMINISTRATORI E DIRETTORI TECNICI - RIFERIBILITA' A PROCURATORI MUNITI DI UN QUALSIASI POTERE DI RAPPRESENTANZA - VA ESCLUSA - RAGIONI.
2. GARA D'APPALTO - REQUISITI GENERALI - DICHIARAZIONI EX ART. 38 DLGS. 163/2006 - VANNO RIFERITE SOLO AGLI AMMINISTRATORI E DIRETTORI TECNICI - INSTITORE - È SOGGETTO SFORNITO DI POTERI DECISIONALI DEGLI INDIRIZZI E DELLE SCELTE IMPRENDITORIALI - NON EQUIPARABILITÀ ALL’AMMINISTRATORE CON POTERI DI RAPPRESENTANZA.

1. L’art. 38, d.lg. 12.04.2006 n. 163, non si riferisce a tutti gli amministratori e procuratori muniti di un qualsiasi potere di rappresentanza, ma contempla espressamente ed esclusivamente i soli amministratori e direttori tecnici. L’estensione della previsione normativa a tutti i procuratori muniti di un qualsiasi potere di rappresentanza, oltre a risultare irrazionale e di grande complicazione in relazione a strutture organizzative di un certo rilievo, risulta persino contraria alla specialità della disciplina, che contempla restrizioni e limitazioni al potere di iniziativa economica del privato e non risulta, pertanto, suscettibile di interpretazione in via analogica, dovendosi, peraltro, escludere che l’esegesi prospettata da parte ricorrente possa essere diversamente qualificata come semplice interpretazione estensiva.
2. Ai fini dell’applicazione dell’art. 38, d.lg. 12.04.2006 n. 163, l’institore, benché munito di poteri di rappresentanza e preposto all’esercizio dell’impresa (o di un suo ramo), è soggetto dotato di poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali degli indirizzi e delle scelte imprenditoriali, sicché non è equiparabile all’amministratore con poteri di rappresentanza (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 08.07.2008 n. 379 - link a www.mediagraphic.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vicino ha meno tempo per impugnare il permesso di costruire rilasciato al confinante: conta l'inizio lavori e non l'ultimazione degli stessi.
L’art. 20, comma 7, seconda e terza frase, DPR n. 380/2001 statuisce che “Dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al pubblico, mediante affissione all’Albo Pretorio. Gli estremi del permesso di costruire sono indicati nel cartello esposto presso il cantiere, secondo le modalità stabilite dal Regolamento Edilizio”.
Secondo questo Tribunale (cfr. TAR Basilicata Sentenze nn. 515 e 517 del 04.09.2007) tale norma va letta ed interpretata unitamente all’art. 21, comma 1, L. n. 1034/1971, nella parte in cui sancisce che per gli atti amministratavi “di cui non sia richiesta la notifica individuale”, come nella specie il permesso di costruire, il quale deve essere notificato soltanto al richiedente e non anche alle altre persone eventualmente interessate, il termine decadenziale di impugnazione di 60 giorni decorre dall’ultimo giorno di pubblicazione di tale atto all’Albo Pretorio; ma, poiché i lavori autorizzati con il permesso di costruire possono iniziare entro un anno dalla data di rilascio del permesso di costruire, opportunamente il Legislatore con la terza frase dell’art. 20, comma 7, DPR n. 380/2001 stabilisce che il termine decadenziale di impugnazione di 60 giorni ex art. 21, comma 1, L. n. 1034/1971 decorre dall’allestimento del cantiere edile e più precisamente dall’esposizione del cartello, indicante gli estremi del permesso di costruire rilasciato.
Pertanto, secondo quanto statuito dal combinato disposto di cui agli artt. 20, comma 7, seconda e terza frase, DPR n. 380/2001 e 21, comma 1, L. n. 1034/1971, quello che conta ai fini del decorso del termine di impugnazione giurisdizionale di un permesso di costruire da parte di un soggetto terzo, diverso dal destinatario, è la conoscibilità di tale permesso di costruire associata all’effettivo inizio dei lavori, resa possibile dalla pubblicazione nell’Albo Pretorio dell’apposito avviso e dall’esposizione nel cantiere del cartello con gli estremi del permesso di costruire rilasciato, e non l’effettiva conoscenza del permesso di costruire previa istanza di accesso ex art. 22 e ss. L. n. 241/1990.
Dunque, dopo l’entrata in vigore dell’art. 20, comma 7, seconda e terza frase, DPR n. 380/2001 non più essere seguito il precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui la mera affissione all’Albo Pretorio ed anche l’indicazione degli estremi del permesso di costruire nel cartello esposto presso il cantiere non costituivano una formalità idonea per la decorrenza del termine di impugnazione giurisdizionale di un permesso di costruire, poiché il momento dal quale far decorrere il termine di impugnazione era quello dell’ultimazione dei lavori, in quanto soltanto da tale data i soggetti interessati potevano avere la piena consapevolezza dell’esistenza e dell’entità delle violazioni urbanistiche commesse (TAR Basilicata, sentenza 27.06.2008 n. 337 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICASulla convenzione dei piani attuativi del P.R.G..
La convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenta certamente un istituto di complessa ricostruzione; tuttavia la giurisprudenza è concorde nel ritenere che esso rappresenti l’incontro di volontà delle parti contraenti nell'esercizio dell'autonomia negoziale retta dal codice civile. Tale assunto conserva validità anche nelle ipotesi in cui alcuni contenuti dell'accordo vengano proposti dall'amministrazione in termini non modificabili dal privato. La circostanza non esclude che la parte che abbia sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto, abbia inteso aderirvi e ne resti vincolata, salvo il ricorso agli strumenti di tutela in caso di invalidità del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28.07.2005, n. 4014).
Le convenzioni di lottizzazione costituiscono strumenti di attuazione del piano regolatore generale, rivestono carattere negoziale e, in particolare, di accordi sostituivi del provvedimento (Cons. St., sez. IV, 15.09.2003, n. 5152) e che, pertanto, le stesse restano soggette alla disciplina dettata dall’art. 11 della legge 07.08.1990, n. 241 (Cons. St., sez, IV, 13.01.2005, n. 222). Alla predetta catalogazione dei piani di lottizzazione di iniziativa privata come atti di natura convenzionale consegue, quale immediato corollario, che la loro modifica necessita della manifestazione di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso alla loro formazione, ivi compresi, ovviamente, anche i soggetti privati che, pur non essendo proprietari dei lotti incisi dalla variante, hanno proposto il piano ed hanno sottoscritto la relativa convenzione urbanistica (Cons. Stato, sez. IV, 19.02.2008, n. 534) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 26.06.2008 n. 1555 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIAPPALTI DI SERVIZI - OFFERTE ANOMALE - COSTO DEL LAVORO - RISULTANTE DA TABELLE MINISTERIALI - SCOSTAMENTO NON EVIDENTE - NATURA NON ANOMALA.
Il legislatore (art. 1 L. 327/2000) si preoccupa soltanto di demandare agli enti aggiudicatori il compito di valutare che il valore economico sia “adeguato e sufficiente”, rispetto al costo del lavoro come risultante dalle tabelle ministeriali, redatte sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva applicabile alla fattispecie (comma 1) ovvero da quella relativa al settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione (comma 2).
Se è vero che le offerte anomale sono quelle che si discostano “in modo evidente” dai parametri di cui ai commi 1, 2 e 3, ne consegue necessariamente che le offerte economiche non sono considerate anormalmente basse allorché non si discostino in modo evidente da quei parametri (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.06.2008 n. 2835 - link a www.mediagraphic.it).

VARILecite le videoriprese dei vicini nel cortile. È possibile filmare persone sospettate di reati purché non in luoghi di privata dimora.
Le videoriprese dei vicini di casa, effettuate per smascherare comportamenti illeciti, sono lecite purché non dirette verso luoghi di privata dimora ma verso aree utilizzate da un numero indifferenziato di persone (Corte di Cassazione, Sez. V penale, sentenza 05.06.2008 n. 22602 - link a www.cittadinolex.kataweb.it).

APPALTI1. GARA D'APPALTO - REQUISITI GENERALI - PLURALITÀ DI DICHIARAZIONI AUTOCERTIFICATIVE RESA IN NOME PROPRIO DA PARTE DI TUTTI I RAPPRESENTANTI LEGALI E DIRETTORI TECNICI DELL’IMPRESA - NON E' NECESSARIA - RAGIONI.
2. GARA D'APPALTO - REQUISITI GENERALI - DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE - ESPRESSO RICHIAMO ART. 76 DPR 445/2000 - NON E' PRESCRITTO AD SUBSTANTIAM.

1. Non è necessaria quanto ai requisiti di natura personale la presentazione di una pluralità di dichiarazioni autocertificative resa in nome proprio da parte di tutti i rappresentanti legali e direttori tecnici dell’impresa; un simile adempimento, non espressamente richiesto dall’art. 38 D.Lgs. 163/2006, non contribuirebbe alla semplificazione dei procedimenti amministrativi che costituisce il principale obiettivo del DPR 445/2000 e potrebbe in taluni casi rivelarsi particolarmente oneroso in fase di presentazione della domanda di partecipazione. In altre parole, non vi è dubbio che i requisiti di idoneità morale di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38 cit., debbano essere posseduti dalle persone fisiche, legali rappresentanti delle imprese, perchè solo agli individui possono far capo, così come rimane fermo che, in ipotesi di aggiudicazione, la verifica dei requisiti va effettuata con riferimento a ciascuno dei soggetti persone fisiche contemplati , ma non è esatto ritenere che essi soli, personalmente, siano abilitati a documentarlo, in quanto l’art. 47, comma 2, DPR 445/2000 prevede che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà “resa nell’interesse proprio del dichiarante può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza”.
2. Non è prescritto ad substantiam l’espresso richiamo nella dichiarazione sostitutiva all’art. 76 DPR 445/2000 e alle sanzioni penali ivi contemplate, che, del resto, non sono ricollegate all’uso di formule sacramentali, sussistendo anche in mancanza di esse la responsabilità penale di chi dichiari il falso. E' sufficiente che nelle dichiarazioni presentate si specifichi che esse vengono rese ai sensi del DPR 445/2000 in quanto il contesto professionale lascia supporre la consapevolezza del tipo di atto compilato, mentre nessuna norma sanziona con la nullità la dichiarazione che non specifichi la consapevolezza della responsabilità anche penale assunta (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 05.06.2008 n. 130 - link a www.mediagraphic.it).

INCARICHI PROFESSIONALIENTI LOCALI – INCARICHI DI COLLABORAZIONE – CONFERIMENTO – DISCIPLINA – ART. 7 D.LGS. N. 165/2001 ss.mm. – INCARICO DI PATROCINIO E CONSULENZA LEGALE DELL’ENTE A PROFESSIONISTA ESTERNO – CONFERIMENTO IN VIA DIRETTA SENZA PROCEDURA SELETTIVA – DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA – ILLEGITTIMITÀ.
È illegittima -per violazione del principio costituzionale di buon andamento e trasparenza della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e dei principi di derivazione comunitaria di non discriminazione, parità di trattamento, pubblicità e proporzionalità- la deliberazione con la quale la Giunta comunale ha conferito l’incarico di patrocinio e consulenza legale del Comune, in sede amministrativa e civile, di durata annuale, a professionista esterno, nel caso in cui l’ente abbia conferito in via diretta l’incarico senza indire una procedura selettiva e senza valutare in alcun modo le istanze, con allegato curriculum, presentate.
I summenzionati principi di derivazione comunitaria e l’esigenza di rendere più concorrenziali gli assetti di mercato, oltre che di contenere i livelli di spesa pubblica, che hanno ispirato la nuova normativa (cfr. Preambolo e art. 1 del D.L. n. 223 del 2006 - c.d. decreto Bersani), impongono la predisposizione di un bando o avviso pubblico, la previa individuazione di criteri obiettivi per la valutazione delle istanze, lo svolgimento di una procedura di valutazione comparativa dei curricula presentati nonché l’obbligo di motivare congruamente la scelta, onde consentire il controllo sull’imparzialità della procedura (TAR Campani-Napoli, Sez. II, sentenza 21.05.2008 n. 4855 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTICONTRATTI DELLA P.A. - ANNULLAMENTO S.G. AGGIUDICAZIONE - EFFETTI SUL CONTRATTO STIPULATO - INEFFICACIA SUCCESSIVA.
L’intervenuto annullamento del provvedimento di aggiudicazione non può non riverberarsi anche sulla sopravvivenza del suddetto contratto, che rimane colpito da inefficacia successiva, come ha avuto modo di ribadire di recente la giurisprudenza del Consiglio di Stato: “Come questo Consiglio ha già avuto modo di osservare, (…), l’annullamento dell’aggiudicazione in sede giurisdizionale, allorché questa intervenga dopo la stipula del contratto di appalto, comporta che quest’ultimo diviene inefficace; la categoria dell’inefficacia successiva ricorre allorché il negozio pienamente efficace al momento della sua nascita diviene inefficace per il sopravvenire di una ragione nuova di inefficacia, quest’ultima da intendersi come inidoneità funzionale in cui venga a trovarsi il programma negoziale per l’incidenza ab externo di interessi giuridici di rango poziore incompatibili con l’interesse negoziale, nel qual caso l’ordinamento è chiamato a risolvere un problema di contrasto con situazioni effettuali: non viene in rilievo l’atto sotto il profilo genetico (validità o invalidità), bensì la sua efficacia (Sez. IV, 27.10.2003, n. 6666; Sez. V, 28.05.2004, n. 3465).” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 12.02.2008 n. 490) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 06.05.2008 n. 3365 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTIGARA D'APPALTO - FACOLTA' DI NON AGGIUDICARE IN PRESENZA DI UNA SOLA OFFERTA EX ART. 69 R.D. 827/1924 - NON VA RIFERITA ALL'UNICITA' DELL'OFFERTA A CAUSA DELL'ESCLUSIONE DELLE ALTRE OFFERTE PERVENUTE - PRESUPPOSTI DI APPLICABILITA' - PARTECIPAZIONE ALLA GARA DI UN SOLO CONCORRENTE.
L’ipotesi prevista dall’art. 69 r.d. 827/23, secondo cui non può procedersi all’aggiudicazione in caso di presentazione di una sola offerta, non può essere assimilata alla diversa ipotesi di gara in cui risulti l’esistenza in concreto di una sola offerta, per essere state le altre escluse a causa di violazioni delle disposizioni attinenti la procedura concorsuale, riguardando essa, esclusivamente, la fattispecie in cui ad una gara sia stata presentata una sola offerta avendovi partecipato un solo concorrente, sicché soltanto in questa ipotesi non è possibile l’aggiudicazione, a meno che non sia stato preventivamente stabilito il contrario nella prevista disciplina (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.05.2008 n. 2016 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI SERVIZIREQUISITI SPECIALI - FATTURATO GLOBALE NELL'ULTIMO TRIENNIO - PARI AL DOPPIO DELL'IMPORTO A BASE D'ASTA - LEGITTIMITA' – RAGIONI.
Non appare irragionevole la clausola del bando di gara che richiede alle partecipanti –quale requisito di ammissione alla procedura– un fatturato globale, nell’ultimo triennio, pari al doppio del prezzo a base d’asta relativamente a servizi identici a quelli oggetto della gara, essendo tale requisito giustificato dalla opportunità della verifica del livello di idoneità economico-finanziaria (cfr.: Cons. Stato V, 31.01.2006 n. 348). Invero, nella configurazione della tutela della libera concorrenza, il legislatore ha tenuto ben presente l’esigenza di assicurare, nel rispetto del libero confronto concorrenziale, l’efficienza per le Amministrazioni aggiudicatici, dei risultati di tale confronto, prevedendo rigide regole di accertamento della idoneità tecnica, economica e morale dei partecipanti alle gare pubbliche. In ciò, non vi è violazione delle regole della concorrenza, ma semplicemente il pieno rispetto delle stesse, avendo riguardo alla reale possibilità di confrontarsi tra soggetti in posizione di parità e tutti idonei alla prestazione di servizi per le Amministrazioni aggiudicatici (cfr.: Cons. Stato V, 11.11.2004 n. 7330) (TAR Molise, Sez. I, sentenza 02.04.2008 n. 10 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: GARA D'APPALTO - REQUISITI SPECIALI - VERIFICA A CAMPIONE EX ART. 48, C.1, D.L.VO N. 163/2006 - MANCATA DIMOSTRAZIONE DEL POSSESSO DEI REQUISITI DICHIARATI - ANNOTAZIONE NEL CASELLARIO INFORMATICO - IN ASSENZA DI ADOZIONE PROVVEDIMENTO DI ESCLUSIONE - ILLEGITTIMITÀ.
L’art. 48 del D.lgvo n. 163/2006, il cui primo comma prevede che “Le stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 6 comma 11. L'Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento”.
In tale contesto, quindi, è palese l’illegittimità dell’operato della stazione appaltante e di riflesso della resistente Autorità essendo stata effettuata la contestata annotazione in assenza della previa adozione di un provvedimento di esclusione, che nella dinamica procedimentale di cui alla richiamata disposizione ne costituisce un presupposto essenziale (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 01.04.2008 n. 2773 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: GARA D'APPALTO - FORMALISMO - MANCATA INDICAZIONE DEL CIG E CODICE FISCALE SUL VERSAMENTO DEL CONTRIBUTO ALL'AUTORITA' - SANABILITA' - RILEVANZA INDICAZIONE CIG - SOLO NEL CASO IN CUI LA STESSA STAZIONE APPALTANTE INDICA, NELLO STESSO GIORNO, PIÙ GARE AVENTI OGGETTO ANALOGO.
La partecipazione alle gare ad evidenza pubblica non può essere subordinata ad adempimenti formali che nessuna incidenza hanno sugli interessi pubblici sostanziali di cui la stazione appaltante è portatrice nel momento in cui bandisce una gara d’appalto. In questo senso la mancata indicazione del codice CIG e del codice fiscale sul bollettino di versamento è sanabile, ove necessario, a posteriori, trattandosi di dati che possono rilevare solo a fini fiscali o statistici; l’indicazione del codice CIG, peraltro, può essere invece fondamentale solo nel caso in cui la stessa stazione appaltante indica, nello stesso giorno, più gare aventi oggetto analogo. In questo caso, infatti, è importante la specificazione della gara a cui si riferisce il versamento, perché l’impresa potrebbe anche giocare sull’equivoco e utilizzare -magari allegando alle varie offerte fotocopie autenticate dell’unico bollettino- il medesimo versamento per partecipare a più di una gara, il che verrebbe a ledere, oltre alla par condicio fra i concorrenti, l’interesse pubblico alla regolarità della procedura e l’interesse dell’AVCP a incamerare i contributi in questione (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 29.03.2008 n. 911 - link a www.mediagraphic.it).

LAVORI PUBBLICI: SUDDIVISIONE IN LOTTI - LEGITTIMITA' - VALORE COMPLESSIVO DELL'APPALTO - SOMMATORIA IMPORTO SINGOLI LOTTI - IMPORTO COMPLESSIVO SUPERIORE ALLA SOGLIA COMUNITARIA - RISPETTO PROCEDURE COMUNITARIE - NECESSITA'.
In sede di gara d'appalto di lavori pubblici, la suddivisione in lotti di un'opera non è in sé illegittima, ma impone l'applicazione comunque del diritto comunitario se la somma degli importi dei singoli lotti supera la soglia comunitaria (Cons. Stato, VI Sez., n. 3188/2004).
Inoltre, l'art. 6 della Dir. CEE n. 93/37 (che impone di sommare l'importo dei singoli lotti di un'opera unitaria, al fine della determinazione della soglia comunitaria e dell'applicazione della disciplina comunitaria) è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno (cfr. dec. cit.) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.03.2008 n. 1101 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: GARA D'APPALTO - AUTOCERTIFICAZIONI - PLURALITA' DI DICHIARAZIONI - PROVENIENTI DAL MEDESIMO SOGGETTO - PRESENZA DI UNA SOLA COPIA DOCUMENTO RICONOSCIMENTO SOTTOSCRITTORE - DEVE ESSERE CONSIDERATA SUFFICIENTE AD ACCERTARE L'IDENTITÀ DELLA PERSONA CON RIFERIMENTO A TUTTE LE DICHIARAZIONI CONTENUTE NEL PLICO.
La formalità prescritta dall'articolo 38 del decreto del presidente della repubblica 28.12.2000 n. 445 non deve essere tramutata in un formalismo senza scopo, esigendo che più dichiarazioni rese dalla stessa persona in un medesimo procedimento e facenti parte di un medesimo insieme probatorio debbano necessariamente essere accompagnate, ciascuna, da una copia del documento; infatti, la presenza del documento è correlata alla esigenza di certezza che le dichiarazioni depositate siano riconducibili alla persona che le ha sottoscritte ma è evidente che, quando le dichiarazioni appartengono al medesimo soggetto, la presenza di una sola fotocopia del documento può e deve essere considerata sufficiente ad accertare l'identità della persona con riferimento a tutte le dichiarazioni contenute nel plico (Cons. St.sez. V, 03.014.2006 n. 25; Tar Piemonte, sezione II, n. 3027/2007; Tar Sardegna sezione I, 1683/2006) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 13.03.2008 n. 457 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: GARA D'APPALTO - LEX SPECIALIS - NON DISAPPLICABILITA' DELLE CLAUSOLE DEL BANDO - ANNULLABILITA' IN AUTOTUTELA - REINDIZIONE NUOVA GARA - NECESSITA'.
In sede di gara l’Amministrazione deve applicare fedelmente le clausole del bando (o, il che è lo stesso, della lettera d’invito) che essa stessa ha posto, salva la possibilità di annullare in autotutela quelle che si appalesano illegittime (ma in questo caso procedendo ad una nuova indizione della procedura), perché l’eventuale disapplicazione o parziale applicazione delle clausole della lex specialis altererebbe la par condicio fra i concorrenti e danneggerebbe coloro che, confidando nella legittimità del bando, si sono attenuti fedelmente alle disposizioni impartite dalla stazione appaltante (fattispecie relativa a clausola della lettera d’invito, la quale prescriveva espressamente che la fotocopia del documento di identità doveva essere allegata anche all’offerta economica) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 19.02.2008 n. 531 - link a www.mediagraphic.it).

APPALTI: Alcune precisazioni sulle istanze inviate per e-mail alla P.A..
Il principio secondo cui, nelle procedure concorsuali, la fase diretta a pronunciare l'esclusione delle domande di partecipazione per carenza dei requisiti non costituisce un procedimento autonomo ma una semplice fase subprocedimentale, vale anche nel caso di domande inviate per mezzo della posta elettronica.
Salvi i casi in cui il tempo a disposizione è ristrettissimo (come, ad es., nelle aste elettroniche) il tempestivo inoltro via e-mail di una domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale costituisce onere e rischio dell'istante tutte le volte in cui l'arco di tempo assegnato è molto ampio: eventuali intasamenti del server della P.A. in prossimità dello scadere del termine, infatti, costituiscono in tali ipotesi un'evenienza tutt'altro che imprevedibile.
In un procedura concorsuale, l'invio di un'autodichiarazione per mezzo di una normale e-mail è giuridicamente del tutto irrilevante in quanto il messaggio di posta elettronica deve essere sottoscritto quanto meno con firma digitale di primo livello: solo così la e-mail può assurgere a dignità di autodichiarazione con provenienza certa ed inequivoca (TAR Lazio-Roma, Sez. III-quater, sentenza 12.02.2008 n. 1229 - link a www.mediagraphic.it).

AGGIORNAMENTO AL 13.08.2008

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dossier BOX

EDILIZIA PRIVATAI box in deroga (ex lege Tognoli) possono essere relaizzati solamente nelle aree urbane.
La possibilità prevista dall’art. 9 della legge “Tognoli” di realizzare parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, costituisce, infatti, disposizione di carattere eccezionale, da interpretarsi nel suo significato strettamente letterale ed in considerazione delle finalità del testo legislativo in cui essa è inserita (Cons. Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7325).
Ne deriva che tale disposizione è applicabile alla costruzione di parcheggi nelle sole aree urbane, mentre le consimili iniziative edificatorie nelle aree extraurbane restano assoggettate alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie (cfr. TAR Toscana, sez. III, 19.12.2000, n. 2533; TAR Veneto, sez. II, 06.09.2002, n. 5229; Cons. Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7325) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 07.03.2007 n. 1157).

dossier CONSIGLIERI COMUNALI

ATTI AMMINISTRATIVI: Sull'accesso agli atti da parte dei consiglieri comunali.
La conoscenza dei documenti, in relazione ai quali si chiede l'accesso, deve essere necessaria al singolo per curare e difendere i suoi interessi, ma non può avere alla base una mera curiosità, pena la paralisi dell'azione amministrativa; infatti, il diritto di accesso alla documentazione non può comportare un controllo generalizzato e indiscriminato sull'operato dell'Amministrazione, che, come tale, non rientra nelle finalità garantistiche previste dalla norma generale di cui all'art. 25 della L. n. 241 del 1990, né può trasformarsi in uno strumento di ispezione popolare sull'imparzialità dell'attività amministrativa (TAR Campania-Napoli, sez. V, 07.12.2004 , n. 18532).
Il diritto di accesso del Consigliere comunale agli atti del Comune assume tuttavia un connotato particolare, in quanto finalizzato al pieno ed effettivo svolgimento delle funzioni assegnate al Consiglio comunale, con la conseguenza che sul Consigliere comunale non grava alcun onere di motivare le proprie richieste d'informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiederle ed conoscerle ancorché l'esercizio del diritto in questione si estenda ad atti e documenti relativi a procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22.02.2007, n. 929).
Anche le richieste di accesso ai documenti avanzate dai Consiglieri comunali ai sensi dell'art. 43, comma 2, del D.Lgs. n. 267 del 18.08.2000 (che prevede che “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”) devono, tuttavia, rispettare il limite di carattere generale -valido per qualsiasi richiesta di accesso gli atti- della non genericità della richiesta medesima (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4471 del 02/09/2005 e n. 6293 del 13/11/2002).
Ciò non comporta che il Consigliere comunale debba necessariamente indicare gli estremi o il contenuto specifico dei documenti richiesti, elementi che può ovviamente non conoscere, essendo sufficiente (al fine di evitare la genericità della richiesta di accesso) il riferimento ad una determinata e specifica questione oggetto dell'attività amministrativa del Comune.
In tal modo viene individuato e specificato l'oggetto della richiesta di accesso con riguardo ad una specifica pratica amministrativa del Comune, senza che -si ribadisce- sia necessario indicare gli estremi dei documenti o conoscere il contenuto degli stessi, ma evitandosi comunque la genericità della richiesta mediante il richiamo alla pratica amministrativa alla quale il Consigliere è interessato, che rende sufficientemente circostanziata e specificata la questione sostanziale in ordine alla quale si avanza la richiesta di accesso alla relativa documentazione (TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 12.01.2007, n. 29 TAR Toscana, II Sez., 06.04.2007, n. 622) (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 31.05.2007 n. 5041 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE

EDILIZIA PRIVATA: Le terrazze non devono rispettare la distanza minima di mt. 10,00 tra pareti finestrate.
Il Collegio osserva, infatti, che le terrazze non possono venire considerate ai fini del calcolo delle distanze tra pareti finestrate, non essendo sussumibili nel paradigma dell’art. 9 del D.M. 02.04.1968, n. 1444 richiamato dagli istanti (decreto recante: “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 06.08.1967, n. 765”): ed invero, la terrazza, priva di qualsiasi manufatto, non conta in alcun modo ai fini delle distanze qui in esame, essendo palese che i distacchi individuati dal suddetto decreto sono da calcolarsi tra le pareti degli edifici propriamente dette.
La disposizione testé citata così recita:
“9. Limiti di distanza tra i fabbricati. Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Le distanze minime tra fabbricati -tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti)- debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
- ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
- ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche”.
Il punto 2) dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 prescrive “in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”: nel caso di specie la distanza contestata non è tra “pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”, bensì tra una veranda ed una parete (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 04.08.2008 n. 422 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla distanza minima tra pareti finestrate di edifici antistanti.
Come è noto, l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 prescrive che, nella costruzione di nuovi immobili non ricompresi (come quelli in controversia) in zona A di P.R.G. deve osservarsi la distanza minima inderogabile di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Tale distanza standard è volta non alla tutela della riservatezza, come l’appellante sembra ritenere, ma alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico sanitarie ed è dunque tassativa ed inderogabile (a differenza delle distanze dal confine) per via di private pattuizioni.
Conseguentemente, essa deve operare per un verso anche nel caso, qui ricorrente, in cui una sola delle due pareti frontistanti sia finestrata; per l’altro, anche nel caso in cui la nuova opera sia di altezza inferiore rispetto alle preesistenti vedute o parzialmente nascosta dal muretto e dalla recinzione di confine.
L’interesse pubblico presidiato dalla norma è infatti quello della salubrità dell’edificato e non va confuso con l’interesse privato del frontista a mantenere la riservatezza o la prospettiva.
La preesistenza di un muro a confine (che già precluda in parte il prospicere al titolare della veduta) è dunque sostanzialmente irrilevante, ove come nel caso in questione si controverta del rispetto della norma sulle distanze tra edifici e frontistanti pareti finestrate.
In tal senso è stato infatti chiarito che la disposizione di cui all’art. 9 primo comma n. 2 del citato D.M., essendo tassativa ed inderogabile, impone al proprietario dell’area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle previsioni dell’art. 907, 3º comma, cod. civ. (cfr. Cass. II Sez. n. 11013 del 2002).
Ne deriva da un lato che ha errato il Tribunale allorché ha tenuto conto solo della porzione di parete sovrastante la recinzione; dall’altro che in ogni caso –ciò che qui conta- il permesso di costruire rilasciato all’Impresa appellata viola in parte qua l’art. 9 del ridetto D.M. n. 1444.
Tanto chiarito, e venendo all’esame della normativa urbanistica comunale, si premette che per consolidata giurisprudenza le norme di cui al D.M. in questione, emanate in forza dell' art. 17 L. 06.08.1967 n. 765, traggono da questa la forza di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l'inderogabile distanza di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione o, secondo l’indirizzo prevalente, comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.06.2007 n. 3094 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa distanza di mt. 10 va rispettata indipendentemente dal fatto che la parete sopraelevata si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all’altra.
Reputa il Collegio che, anche accettando, in linea di principio, il criterio del computo in modo “lineare" e non “radiale” della distanza minima tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, il D.M. 1444/1968 sottolinei che la distanza debba essere “assoluta” e prescritta “in tutti i casi”.
Si deve pertanto convenire che debba essere calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano (C.d.S., V, 16/02/1979 n. 89) ed indipendentemente dal fatto che la parete sopraelevata si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all’altra (Cass., II, 03/08/1999 n. 8383, nonché TAR Emilia-Romagna, II, 30/03/2006 n. 348) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 22.01.2007 n. 55 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici.
Secondo pacifico orientamento giurisprudenziale il d.m. 02.04.1968 n. 1444 trae dall'art. 41-quinquies della legge urbanistica (come modificato dall’art. 17 L. 06.08.1967 n. 765, c.d. legge ponte) la forza di integrare con efficacia precettava il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché la distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, predeterminata con carattere cogente in via generale ed astratta in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l’anzidetto limite minimo è illegittima (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 21.02.1994 n. 1645), essendo consentita alla pubblica Amministrazione solo la fissazione di distanze superiori (cfr. Cons. St., sez. IV, 05.12.2005 n. 6909; id., 12.07.2002 n. 3929; 13.05.1992 n. 511; Cass. Civ., 29.10.1994 n. 8944; id., 21.02.1994 n. 1645; id. 04.02.1998 n. 1132) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.10.2006 n. 6399 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI 10 mt. vanno rispettati anche se una sola delle due pareti che si fronteggiano è finestrata.
A livello nazionale, la normativa standard, a cui i comuni non possono derogare se non nel senso di un maggior rigore, ossia prevedendo distanze maggiori (la giurisprudenza è, su questo punto, consolidata: Cass. 19.11.2004 n. 21899; Cass. 10.01.2003 n. 158; Cons. Stato, sez. IV, 12.07.2002 n. 3229), è quella del D.M. 02.04.1968 n. 1444, emesso in attuazione dell’art. 41-quinquies della legge urbanistica del 1942, come modificata dalla n. 765 del 1967.
La tesi dei convenuti, secondo la quale la distanza reciproca dei 10 metri sarebbe necessaria solo quando entrambe le pareti sono finestrate, manca di ratio iuris, perché se la ragione di distanziare le costruzioni è, indubitabilmente, quella di evitare le c.d. intercapedini dannose, cioè situazioni di asfitticità ambientale, tale ragione sussiste anche quando la parete finestrata sia una sola. Seguendo la tesi dei convenuti, si arriverebbe all’assurdo di consentire la realizzazione di pareti cieche anche a soli tre metri dalle finestre del vicino, che potrebbe significare anche due metri e perfino meno ove si trattasse di finestre provviste di ballatoio: un’edilizia, insomma, da quartieri spagnoli.
Che il D.M. 1444 del 1968 prescriva l’obbligo della distanza minima di 10 metri anche nell’ipotesi in cui solo la parete dell’edificio preesistente sia finestrata è un dato di giurisprudenza consolidata (Cass. Sez. Un. 18.02.1997 n. 1486, e, precedentemente, Cass. 08.05.1993 n. 5226; Cass. 05.11.1992 n. 12001; Cass. 28.08.1991 n. 9207; Cass. 05.03.1986 n. 1387). D’altronde, pur essendo riconosciuto (Cass. Sez. Un. 01.07.1997 n. 5889) che destinatari diretti della normativa ministeriale sono i comuni, e non i cittadini, la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che essa in ogni caso prevale, anche nei rapporti fra privati, rispetto alle disposizioni dei regolamenti locali che ammettano distanze inferiori alle minime prescritte dal decreto ministeriale. Infatti, secondo Cass. 19.11.2004 n. 21899, “in tema di distanze fra costruzioni, il principio secondo il quale la norma di cui all’art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 (che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti) imponendo limiti edilizi ai comuni nella formazione di strumenti urbanistici, non è immediatamente operante nei rapporti tra privati, va interpretato nel senso che l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l’obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare la disposizione illegittima, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuto, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata.” . Il principio si ritrova altresì in Cass. 10.01.2003 n. 158, così pure in Cass. 27.03.2001 n. 4413 (Corte d’Appello di Firenze, Sez. I, sentenza 30.03.2006 n. 785).

EDILIZIA PRIVATA: La distanza di mt. 10,00 deve sempre essere rispettata, anche se una delle due pareti non è finestrata.
L’articolo 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1404, in applicazione dell'articolo 41-quinquies della legge urbanistica, come modificato dall'articolo 17 della legge 06.08.1967 n. 765 (cosiddetta «legge ponte»), detta i limiti di densità, altezza, distanza tra i fabbricati, pone al secondo comma dell'articolo 9 una prescrizione tassativa ed inderogabile, secondo la quale «Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: (…) 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti».
Questa distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti deve perciò essere sempre rispettata, indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente, o che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all'altra (Cass., 03.08.1999, n. 8383).
Ed è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell'edificio preesistente, essendo sufficiente per l'applicazione di tale distanza che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, prescindendo altresì dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela e ancorché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta (Cass., 26.07.2002, n. 11013; Cass., 30.03.2001, n. 4715; Cass., 24.07.2001, n. 10062, in Arch. locaz. e cond. 2001, 797; Cass., 03.08.1999, n. 8383; Cass., sez. un., 18.02.1997, n. 1486; Cass., 06.05.1993, n. 5226; Cass., 05.11.1992, n. 12001, in Riv. giur. edilizia 1993, I, 776; Cass., 28.08.1991, n. 9207).
Pertanto, la disciplina sulle distanze deve esser osservata anche se soltanto su uno di essi sono aperte le finestre, mentre quello di fronte ha una parete cieca, perché l’articolo 9 del decreto ministeriale 02.04.1968 n. 1404 è volto a stabilire, nell'interesse pubblico, un'idonea intercapedine tra edifici, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla riservatezza (Cass., 06.07.2002, n. 11013; Cass., 03.05.2001, n. 6176; Cass., 26.01.2001, n. 1108; Cass., 09.03.1999, n. 1984).
Ciò posto, è ius receptum che, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli articoli 873 e seguenti del codice civile e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi «costruzione» qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo dall'uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua destinazione.
In particolare, quando si realizzi un edificio dotato di sporti od aggetti, ovvero un'opera ad esso accessiva consistente in sporti od aggetti, questi, ove non presentino funzione complementare meramente decorativa ma dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati nell'immobile, del quale vengono a costituire un accessorio o una pertinenza di guisa da ampliarne la superficie o la funzionalità, assumono il carattere di costruzione e se ne deve tener conto ai fini dell'accertamento del rispetto della normativa sulle distanze (Cass., 15.02.2001, n. 2228).
Sicché, nel calcolo delle distanze fra le costruzioni devono trascurarsi solo gli sporti che consistono in sporgenze di limitata entità, con funzione meramente decorativa, mentre vengono in considerazione le sporgenze costituenti, per i loro caratteri strutturali e funzionali, veri e propri aggetti (Cass., 02.10.2000, n. 13001).
Con la conseguenza che il proprietario del terreno confinante non può, in violazione delle distanze legali, realizzare una tettoia che avanzi rispetto all'edificio già esistente, dovendo la tettoia considerarsi parte integrante del fabbricato (Cass., 30.10.2003, n. 16358; Cass., 06.03.2002, n. 3199, in Riv. giur. edilizia 2002, I, 1073) (Corte d’Appello di Firenze, Sez. I, ottobre 2005 n. 1386).

EDILIZIA PRIVATALa distanza minima di mt. 10,00 deve essere rispettata anche nel caso di sopralzo.
La previsione di un obbligo di distanza maggiore (rispetto a quella imposta dal codice civile) fra costruzioni, quando vi sono finestre, si ricollega alla necessità di offrire uno strumento di conservazione di spazi di un certo respiro (in termini di aria, luce e panorama), non angusto, tutelando le posizioni di coloro che hanno affacci e vedute in parete.
La distanza minima di mt. 10 fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, prescritta dall'art. 9, comma 2°, D.M. 02.04.1968 n. 1444, è applicabile anche in caso di sopraelevazione, atteso che la sua ratio è di evitare la creazione di intercapedini in grado di impedire la libera circolazione dell' aria e la riduzione della luminosità (Cfr. TAR Puglia, Bari, 1386 - 26.03.2003; Cons. Stato, V Sez., 19.10.1999 n. 1565) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 18.04.2004 n. 757).

dossier SOTTOTETTI

EDILIZIA PRIVATASul recupero dei sottotetti in deroga.
La speciale normativa della Regione Lombardia in materia di recupero dei sottotetti ai fini abitativi (L.R. n. 15 del 15.07.1996) all’art. 3, comma 3, espressamente dispone che: “...il recupero dei sottotetti è ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni di cui agli artt. 14, 17, 19 e 22 della L.R. 15.04.1975, n. 51, nonché in deroga agli indici o parametri urbanistici ed edilizi previsti dagli strumenti urbanistici generali vigenti ed adottati.”  E cioè anche in deroga all’art. 7 del D.M. n. 1444/1968 espressamente richiamato dall’art. 17 della L.R. del 1975, atteso che gli interventi in questione, classificati come ristrutturazioni ai sensi dell'art. 31, comma 1, lett. d) della legge 05.08.1978, n. 457, non richiedono la preliminare adozione ed approvazione di piano attuativo. E’ pertanto irrilevante stabilire se l’intervento richiesto comporti o meno un aumento di volumetria ovvero se, comunque, rimanga nei limiti della volumetria comunque consentita dall’art. 7 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968 pari a 5 mc/mq.
Ai sensi dell’art. 2 della L.R. Lombardia n. 15 del 1996, nel testo modificato dalla successiva L.R. n. 22 del 19.11.1999 “Gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti possono comportare l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l'osservanza dei requisiti di aeroilluminazione; nonché, ove lo strumento urbanistico generale comunale vigente risulti approvato dopo l'entrata in vigore della legge regionale 15.04.1975, n. 51, modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed unicamente al fine di assicurare i parametri, di cui all'art. 1, comma 6.” (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.06.2005 n. 3461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul recupero del sottotetto in deroga all'altezza massima.
Ai sensi della legge della regione Lombardia n. 15 del 1996 (art. 3) il recupero del sottotetto a fini abitativi è qualificato come intervento di ristrutturazione, a norma dell'art. 31, comma 1, lett. d), della legge 05.08.1978, n. 457; la stessa norma, al comma 3, stabilisce che “il recupero dei sottotetti è ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni di cui agli artt. 14, 17 19 e 22 della L.R. 15.04.1975, n. 51 «Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico» e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in deroga agli indici o parametri urbanistici ed edilizi previsti dagli strumenti urbanistici generali vigenti ed adottati”. Se siffatte trasformazioni possono avvenire in déroga ad ogni previsione urbanistica comunale, lo stesso non può dirsi per le altezze massime dei fabbricati, di cui l’art. 2 assicura comunque il rispetto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.05.2005 n. 2767 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e anteprima)

AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 33 del 12.08.2008 "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 05.10.2004, n. 24 (Disciplina per la razionalizzazione e l'ammodernamento della rete distributiva dei carburanti)" (L.R. 07.08.2008 n. 25 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: G.U. 11.08.2008 n. 187, suppl. ord. n. 189/L, "Regolamento recante i criteri tecnici per la caratterizzazione dei corpi idrici (tipizzazione, individuazione dei corpi idrici, analisi delle pressioni) per la modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, recante: «Norme in materia ambientale», predisposto ai sensi dell’articolo 75, comma 4, dello stesso decreto" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 16.06.2008 n. 131).

ENTI LOCALI: G.U. 09.08.2008 n. 186 "Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione" (Ministero dell'Interno, decreto 05.08.2008).

ENTI LOCALI: G.U. 09.08.2008 n. 186 "Decreto 18.01.2008, n. 40, concernente «Modalità di attuazione dell’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, recante disposizioni in materia di pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni» – Chiarimenti" (Ministero dell'Economia e delle Finanze, circolare 29.07.2008 n. 22).

EDILIZIA PRIVATACommissioni paesaggio: nuovi criteri per gli Enti Locali ai sensi del D.lgs. 63/2008.
La
giunta regionale lombarda ha approvato la DGR 06.08.2008 n. VIII/7977 avente per oggetto: "Esercizio delle funzioni paesaggistiche. Determinazione in merito alla verifica della sussistenza dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnico-scientifica stabiliti dall'art 146, comma 6 del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42" (link a www.regione.lombardia.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 32 del 05.08.2008:
- "Modalità per l'individuazione di esperienze positive in tema di riqualificazione e valorizzazione paesaggistica di nuclei e insediamenti storici e tradizionali" (
deliberazione G.R. 24.07.2008 n. 7747 - link a www.infopoint.it);
- "Approvazione «Bando per l'individuazione di esperienze positive in tema di riqualificazione e valorizzazione paesaggistica di nuclei e insediamenti storici e tradizionali»" (
decreto D.S. 29.07.2008 n. 8392 - link a www.infopoint.it).

ENTI LOCALI: G.U. 02.08.2008 n. 180 "Testo del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 128 del 03.06.2008), coordinato con la legge di conversione 2 agosto 2008, n. 129, recante: «Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini»".

ENTI LOCALI: G.U. 02.08.2008 n. 180 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 03.06.2008, n. 97, recante disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini" (L. 02.08.2008 n. 129).

DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA

PUBBLICO IMPIEGO: Parere Al Comune di Ancona in merito ad approfondimenti sull'art. 36 - Utilizzo di contratti di lavoro flessibile - del d.lgs n. 165/2001 come modificato dal D.L. n. 112/2008 (parere UPPA 17.07.2008 n. 49 - link a www.innovazionepa.gov.it).

PUBBLICO IMPIEGO: Parere al Ministero dell'Ambiente in merito alle procedure di autorizzazione ad assumere ai sensi dell’art. 1, comma 519, legge 26.12.2006, n. 296. Stabilizzazione di personale (parere UPPA 16.07.2008 n. 48 - link a www.innovazionepa.gov.it).

NEWS

PUBBLICO IMPIEGOLe differenti interpretazioni del DL 112. ARAN e Funzione Pubblica divise sulle trattenute.
L'Agenzia: vanno ridotte le retribuzioni di posizione. Palazzo Vidoni dice di no (link a rassegnastampa/formez.it).

ENTI LOCALIDM 18/01/2008, n. 40, concernente “Modalità di attuazione dell’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 602, recante disposizioni in materia di pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni” – Chiarimenti (Ragioneria Generale dello Stato, circolare 29.07.2008 n. 22 - link a www.rgs.mef.gov.it).

DOTTRINA  E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: I. Pisani, Il nuovo procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica nelle modifiche ex d.lgs. 63/2008 e l. 129/2008 (link a www.studiospallino.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: A. Pierobon, OCCORRE (CON CORAGGIO) FARE UN PO’ DI ORDINE SULLA COSIDDETTA PROROGA “EX LEGE” DI CUI ALL’ART. 204 DEL D.LGS. 152/2006 (link a www.lexambiente.it).

GIURISPRUDENZA

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità dell'affidamento diretto del servizio idrico ad una società mista a capitale pubbl. minoritario, nel caso in cui la gara svolta per la scelta del socio privato non comprende la definizione e precisazione del servizio da affidare.
E’ illegittimo l’affidamento diretto del servizio idrico ad una società mista a capitale pubblico minoritario, in mancanza di una procedura concorsuale, in quanto in contrasto con l’art. 113 del d. lgs. n. 267 del 2000 e con gli artt. 43, 49 e 86 del Trattato comunitario nel caso in cui la procedura a evidenza pubblica svolta per la scelta del socio privato non comprende la definizione e precisazione del servizio da affidare alla società. Infatti, nel caso di specie, il socio era stato scelto alcuni anni prima dell’affidamento del servizio alla società mista; la scelta del socio era stata effettuata da una amministrazione diversa da quella che ha dopo affidato il servizio alla società mista, avendo acquisito successivamente una percentuale minima del capitale sociale; ed, inoltre, la società mista non è stata appositamente costituita solo per quella specifica attività in seguito oggetto di affidamento. Pertanto, l’affidamento, avvenuto in via diretta e senza una previa procedura concorsuale comporta la violazione dei principi comunitari, recepiti dall’ordinamento interno con rilevanza anche costituzionale, di concorrenza, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento (cfr. Cons. St., ad. plen., 03/03/2008, n. 1) (TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 28.07.2008 n. 9468 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATAPatteggiamento e ordine di demolizione.
In tema di reati edilizi l'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 è una sanzione amministrativa di tipo ablatorio che il giudice deve disporre anche nella sentenza applicativa di pena concordata dalle parti. In proposito a nulla rileva che l'ordine di demolizione non abbia formato oggetto dell'accordo intervenuto tra le parti(in quanto esso costituisce atto dovuto per il giudice, non suscettibile di valutazioni discrezionali e sottratto alla disponibilità delle parti stesse, di cui l'imputato deve tenere comunque conto nell'operare la scelta del patteggiamento (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 27.07.2008 n. 31123 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAI lavori soggetti a DIA semplice non sempre, se abusivi, sono soggetti a sanzione pecuniaria.
La sottoposizione a DIA semplice non implica che la violazione delle norme edilizie sulle recinzioni abbia come unica conseguenza l’applicazione di una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 37 comma 1 del DPR 380/2001. Occorre infatti tenere presenti due circostanze:
a) in base all’art. 3 comma 1 lett.e6 del DPR 380/2001 e all’art. 27 comma 1 lett.e6 della LR 11.03.2005 n. 12 la definizione edilizia di pertinenza è rimessa agli strumenti urbanistici e ai regolamenti comunali e dunque anche per questi interventi le facoltà edificatorie sono strettamente conformate dal potere pubblico di programmazione del territorio;
b) l’art. 37 comma 4 del DPR 380/2001 ammette la sanatoria degli interventi soggetti a DIA solo se l'intervento realizzato rispetti la disciplina urbanistica ed edilizia in vigore al momento della realizzazione dell'intervento e al momento della presentazione della domanda.
Di conseguenza anche le recinzioni irregolari quando superano i limiti previsti dalle norme urbanistiche comunali possono essere oggetto di ordini di rimozione.
Nel caso in esame l’intervento edilizio è in contrasto con l’art. 12 punto 7 delle NTA, il quale definisce in dettaglio le caratteristiche delle recinzioni ammissibili in zona A. Al riguardo occorre sottolineare che una disciplina restrittiva della facoltà di realizzare recinzioni non viola il diritto di chiusura del fondo previsto dall’art. 841 del codice civile. Anche il posizionamento delle recinzioni, come le altre facoltà inerenti al diritto di proprietà, è conformato da un potere pubblico a tutela di interessi di natura urbanistica. Il corretto uso di tale potere deve essere verificato in concreto. Nello specifico la scelta di limitare l’altezza delle recinzioni e di precisarne le modalità costruttive può essere considerata utile e proporzionata, in quanto tutela il continuum visivo dell’area edificata consentendo la chiusura dei fondi ma evitando l’effetto di frammentazione e la perdita delle caratteristiche d’insieme dei luoghi (queste ultime di particolare rilievo, trattandosi di una zona A) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 25.07.2008 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe disposizioni lombarde in materia agricola sonno immediatamente prevalenti sulla normativa comunale.
Le disposizioni della legge regionale in materia di edificazione in zone agricole sono immediatamente prevalenti sugli strumenti urbanistici comunali (nonché sui regolamenti edilizi e sui regolamenti di igiene). La clausola di prevalenza è espressamente prevista dall’art. 4 della LR 93/1980 e dall’art. 61 della LR 12/2005. Attraverso questa clausola è garantita l’uniformità dell’utilizzazione agricola del territorio su base regionale ed è assicurato un trattamento paritetico ai soggetti con la qualifica di imprenditore agricolo. La finalità della norma è di permettere l’insediamento di strutture produttive e di abitazioni residenziali in forma omogenea senza gli effetti antieconomici derivanti dalla frammentazione della disciplina a livello comunale. Per questo motivo la disciplina di legge non solo si sostituisce (senza bisogno di recepimento) alle disposizioni contenute negli strumenti urbanistici comunali esistenti ma non accetta neppure di essere derogata da uno strumento urbanistico comunale adottato o approvato successivamente. Le restrizioni che possono essere introdotte in ambito locale sono unicamente quelle giustificate da esigenze di tutela ambientale accertate nella programmazione sovracomunale e in particolare nel PTCP (v. TAR Brescia 15.02.2007 n. 170).
Il passaggio dai PRG ai PGT stabilito dalla LR 12/2005 non ha cambiato il significato della clausola di prevalenza, che opera nei confronti di qualunque strumento urbanistico comunale, indipendentemente dalla denominazione, dalla tipologia e dal tempo di approvazione. Una conferma può essere rinvenuta nell’art. 62-bis comma 1 della stessa LR 12/2005, introdotto dall'art. 1 comma 1 lett. r) della LR 14.07.2006 n. 12, il quale stabilisce che fino all’approvazione dei PGT la disciplina legislativa regionale (compresa evidentemente la clausola di prevalenza) si intende riferita alle aree classificate dagli strumenti urbanistici comunali vigenti come zone agricole (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 25.07.2008 n. 839 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAAmbiente in genere. Getto pericoloso di cose e scarico pietre.
Con riferimento all’articolo 674 c.p. va ancora sottolineato l'amplissimo significato che ha nella nostra lingua il verbo "gettare" e come esso stia non solo a indicare l'azione di chi lancia (più popolarmente, butta) qualcosa nello spazio o verso un punto determinato ma è anche sinonimo di "mandar fuori, emettere" e non vi è dubbio che il reato de quo sia senz'altro configurabile nel caso in cui alcune pietre siano state scaricate su un terreno che per la sua scarsa consistenza non era in grado assolutamente di reggerne il peso e di impedirne, quindi, lo scivolamento a valle (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.07.2008 n. 31155 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALimiti disciplina regionale e destinazione d’uso.
In materia urbanistica le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale e, conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi. Deve quindi escludersi, in ossequio al principio di legalità, che la scelta di criminalizzare o meno una certa condotta possa attribuirsi alla Regione. Del resto la formulazione dell'art. 10, commi 2 e 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 consente alle Regioni l'esercizio di una flessibilità normativa nella direzione di ampliare l'area applicativa del permesso di costruire ma non determina un ampliamento del potere delle Regioni tale da consentire di eliminare una sanzione penale in una parte del territorio nazionale.
E' conforme all'indicato principio la motivazione del giudice di merito che, richiamando l'art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, con riferimento all'art. 44 dello stesso d.p.r., abbia rilevato che, secondo consolidata giurisprudenza il mutamento di destinazione d'uso degli immobili, effettuato con opere interne, è possibile senza il previo rilascio di concessione edilizia purché detta modificazione intervenga entro categorie omogenee quanto a parametri urbanistici, atteso che la modificazione di destinazione d'uso giuridicamente e penalmente rilevante è quella che avviene tra macrocategorie, in quanto comporta il mutamento degli standard urbanistici e la variazione del carico urbanistico (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.07.2008 n. 31135 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIAAria. Trasferimento impianto.
La previsione normativa derivante dal combinato disposto degli art. 279, primo comma, prima parte, e 269, primo e secondo comma, del D. Lgs n. 152/2006 configura il trasferimento di un impianto da un luogo ad un altro come ipotesi di reato, di eguale gravità rispetto a quella dell'esercizio di un impianto senza autorizzazione, analogamente a quanto previsto dall'art. 25, comma sesto, del DPR n. 203/88. Analogamente l'art. 279, primo comma, secondo periodo, prima parte, configura quale ipotesi di reato meno grave la condotta di chi esegue modificazioni sostanziali dell'impianto senza l'autorizzazione di cui all'art. 269, comma 8, analogamente a quanto previsto dall'art. 25, comma sesto, del DPR n. 203/88. Sicché vi è piena continuità normativa tra le citate disposizioni di legge con riferimento alla esecuzione di modifiche sostanziali dell'impianto, mentre l'art. 279, primo comma, secondo periodo, seconda parte, introduce quale ulteriore ipotesi di reato l’esecuzione di modifiche non sostanziali dell'impianto (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.07.2008 n. 30863 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sottotetto.
Funzione del sottotetto è quella di proteggere l'appartamento dai fattori atmosferici (caldo, freddo, umidità), per cui la trasformazione di esso in locali abitativi deve considerarsi opera nuova, incidente anche sugli standard urbanistici, e necessitanti del permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.07.2008 n. 30842 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti. Formulari.
In tema di formulari, la legge pone rigide prescrizioni che tendono ad un adeguato e costante controllo della movimentazione dei rifiuti dalla produzione fino al loro smaltimento. Tali documenti, se tenuti in conformità della legge, fungono da prova del rispetto della normativa del settore ed hanno valore al fine della ripartizione delle responsabilità dei singoli operatori che partecipano alle diverse fasi della gestione limitando la responsabilità del produttore, o detentore, dei rifiuti nel caso in cui i soggetti ai quali li ha conferiti commettano illeciti.
In particolare, si rileva che l'art. 193 c.2 DLvo 152/2006 prevede un sistema congegnato in modo tale da consentire un reciproco controllo da parte di tutti i soggetti coinvolti nel trasporto dei rifiuti. La norma dispone che il formulario deve essere redatto in quattro esemplari, datato e firmato dal produttore, o detentore, dei rifiuti e dal trasportatore. Costui conserva una copia del documento, mentre le altre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite, una, dal destinatario medesimo e due dal trasportatore che provvede a trasmetterne una al detentore originario. Il detentore, che ha conferito i rifiuti a soggetto autorizzato alla attività di recupero o di smaltimento, è esonerato da responsabilità alle seguenti condizioni : se ha ricevuto copia del formulario controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data del conferimento dei rifiuti al trasportatore ovvero se, alla scadenza dei tre mesi, abbia dato comunicazione alla Provincia della mancata ricezione del formulario (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.07.2008 n. 28836 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAD.i.a. e responsabilità del progettista.
L'art. 23 DPR 380/2001 prevede che la denuncia di inizio di attività venga accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie (comma 1) e che sia corredata dalla indicazione della impresa (comma 2). Non è prevista invece la nomina di un direttore dei lavori.
Il legislatore ha evidentemente ritenuta superflua siffatta nomina, stante il ruolo complesso ed impegnativo affidato al progettista in relazione non solo all'osservanza delle previsioni urbanistiche, ma anche delle norme in materia di sicurezza e di igiene e sanità.
Ed il rispetto di tali norme non può, ovviamente, essere solo enunciato al momento della presentazione della relazione, ma (per avere un significato concreto) deve essere controllato soprattutto nel corso della esecuzione dei lavori. Deve ritenersi, quindi, che il progettista abbia un connesso obbligo di vigilanza (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.07.2008 n. 28267 - link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZIE’ illegittima la scelta di un comune di affidare la gestione di una Casa Protetta senza gara ad una società pubblico-privata in quanto l’ente locale ha una partecipazione limitatissima al capitale azionario.
Presupposti per l'affidamento di un servizio ad una società mista.

E’ illegittima la scelta di un comune di affidare la gestione di una Casa Protetta senza gara ad una società mista pubblico-privato in quanto l’ente locale ha una partecipazione limitatissima al capitale azionario e, conseguentemente, non può esercitare alcuna forma di controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi. Invero anche nell’atto deliberativo il controllo, più che a strumenti societari, viene affidato ad una convenzione da sottoscrivere con la società affidataria, ammettendosi in tal modo che non è la struttura societaria che può consentire il controllo, bensì un atto negoziale che presuppone l’esistenza di distinte entità con autonoma capacità negoziale, sicché viene meno l’immedesimazione dell’ente nella società stessa e questa assume una sua distinta soggettività, anche sotto il profilo organizzativo ed operativo. Quindi, di fatto, il rapporto Comune-società mista, al di là delle intenzioni, è sostanzialmente assimilabile a quello corrente fra stazione appaltante e affidatario di un pubblico servizio in regime di appalto, in quanto la convenzione assume la funzione in quel caso esercitata dal capitolato speciale. Anche a voler considerare l’affidamento appartenente non al genere poi denominato in house, ma a società mista pubblico-privato, costituita ai sensi della legislazione nazionale e regionale in materia di servizi socio-sanitari (in particolare la L. n. 724/1994, art. 3, c. 4; l’art. 9-bis del D.L.vo n. 502/1992: la L.R n. 50/1994, art. 51; L.R n. 2/2003, art. 17), alla stregua dell’evoluzione della giurisprudenza interna e comunitaria (si veda da ultimo C. St. AP n. 1/2008), non sussistono i presupposti per poter giustificare l’affidamento diretto e la deroga all’evidenza pubblica. Invero le norme citate (in particolare l'art. 9-bis, c. 1, del d.lgs. n. 502/1992) si limitano a consentire solo la costituzione di società miste.
Per giustificare l’affidamento diretto a società miste la giurisprudenza, pur non avendo ancora trovato un approdo definitivo, ha posto alcune condizioni fondamentali idonee a fugare ogni ragione di perplessità in ordine alla restrizione della concorrenza. In particolare nel modello organizzativo devono quantomeno ricorrere due garanzie:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per l'affidamento del servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui quest'ultimo si configuri come un "socio industriale od operativo", il quale concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello stesso; il che vuol dire effettuazione di una gara che con la scelta del socio definisca anche l'affidamento del servizio operativo, con conseguente prevalenza dello specifico servizio affidato nella complessiva attività della società;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione "alla scadenza del periodo di affidamento", evitando così che il socio divenga "socio stabile" della società mista, possibilmente prescrivendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l'uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all'esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario (si veda AP n. 1/2008 che richiama il parere C. St. II, n. 456/2007).
Il modello di cui sopra non è rinvenibile nel caso specie in quanto non si è verificata la prima delle condizioni richieste (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 08.07.2008 n. 3273 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

AMBIENTE-ECOLOGIARifiuti. Bonifica e messa in sicurezza.
E' necessario ai fini della configurazione della responsabilità del proprietario del sito inquinato, l’ accertamento dei presupposti della colpa: la violazione dei divieti di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul e nel suolo è punita a titolo di dolo o colpa e comporta l’obbligo, per il responsabile, di procedere alla rimozione, all’avvio al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi. È escluso, inoltre, che l’evento possa essere imputato, a titolo di responsabilità oggettiva, in capo al proprietario dell’area che non abbia, in alcun modo, concorso alla produzione dell’evento.
Non appare legittima l’imposizione della MISE in caso di contaminazioni pregresse, senza alcuna motivazione specifica sulla situazione di emergenza e sull’esigenza di scongiurare il rischio immediato che possano giustificare l’intervento richiesto (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 17.06.2008 n. 1188 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATASe la demolizione della parte abusiva non compromette la parte di edificio legittimamente edificata è legittimo ingiungere la stessa anziché irrogare la sanzione pecuniaria del doppio.
Il ricorrente non contesta l’accertamento dell’abuso edilizio. Anzi, ammette di aver realizzato opere in difformità dal permesso di costruire. Si tratta della modifica della copertura di un tetto di una villetta, con aumento delle altezze, doppia falda (anziché unica falda), sottotetto non abitabile attrezzato per l’abitazione, altezza totale difforme dal progetto approvato. Esso, piuttosto, si duole della eccessiva radicalità del provvedimento demolitorio, deducendo la irragionevole esclusione -dalle scelte dell’Amministrazione- della ipotesi di applicare in alternativa alla demolizione <<una sanzione pari al doppio del costo di produzione>>, possibile quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita non in difformità ma in conformità, secondo quanto previsto dall’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Invero, dalla relazione scritta del dirigente tecnico del Comune, acquisita in via istruttoria, risulterebbe che la parte abusiva del fabbricato può essere demolita senza pregiudizio per la restante parte, atteso che si tratta di strutture intelaiate, nelle quali è ben possibile eliminare pilastri e impalcato all’ultimo livello, senza compromettere la struttura sottostante.
Il Collegio osserva che l’Amministrazione, stante la gravità della violazione edilizia, bene ha fatto a ingiungere la demolizione delle parti abusive del fabbricato, e non avrebbe potuto fare diversamente, trattandosi di atto dovuto a contenuto vincolato, in relazione alla gravità della violazione edilizia. Resta fermo che –in caso di inottemperanza all’ingiunzione da parte del proprietario ricorrente– l’Amministrazione può ancora optare per una duplice soluzione: o eseguire di ufficio e in danno l’intervento demolitorio, previa idonea progettazione dell’intervento medesimo, trattandosi di una demolizione di particolare delicatezza e complessità, ovvero, più semplicemente, commutare la sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, secondo la previsione del citato art. 34. In sostanza, ciò che il ricorrente si auspica può ancora avvenire, ove mai l’Amministrazione ritenga, in fase esecutiva, troppo oneroso o pericoloso l’intervento demolitorio (TAR Molise, Sez. I, sentenza 10.03.2008 n. 87 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Necessità del permesso di costruire lo spandimento di ghiaia su di un terreno precedentemente sprovvisto.
Lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era in precedenza priva (nella specie, al fine di adibirla a deposito e parcheggio) richiede la concessione edilizia allorché sia preordinato ad attuare una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica: allorché sia preordinato, cioè, alla modifica della precedente destinazione d’uso (cfr. CdS, V, 22.12.2005 n. 7343; 11.11.2004 n.i 7324 e 7325; TAR Napoli, III, 11.09.2007 n. 7489).
Oltre tutto, il permesso di costruire è necessario nel caso di specie anche perchè l’area interessata dall’intervento è assoggettata a vincolo ambientale;
Il mancato, previo conseguimento dei necessari titoli autorizzatori, sia ambientali che edilizi, comporta inevitabilmente la sanzione della riduzione in pristino (artt. 167, I comma, del Dlgs n. 42/2004 e 33, I e III comma, del DPR n. 380/2001), rimanendo irrilevante il tempo trascorso dall’avvio della trasformazione urbanistica abusiva, trattandosi di illecito a carattere permanente (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 22.02.2008 n. 420 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASui termini di pagamento del contributo di costruzione.
E’ pacifico in giurisprudenza che il termine relativo al pagamento del contributo commisurato al costo di costruzione e oneri di urbanizzazione è quello decennale, fissato dall’art. 2946 del codice civile (ex multis Tar Veneto n. 3625/2005), decorrente dalla data del rilascio della concessione edilizia e ciò ancorché l’Amministrazione si riservi di stabilire l’entità dello stesso, e le modalità e garanzie di pagamento, atteso che ciò non esclude che il credito sia, sin dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera giu-ridica del richiedente la concessione, certo, liquido o agevolmente liquidabile, esigibile.
Sul punto soccorre la giurisprudenza del Supremo Consesso Amministrativo che co-sì ha illustrato il relativo approdo esegetico:
“…, la giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto, perciò, modo di precisare che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di versare i relativi contributi, ai sensi della legge n. 10 del 1977, è rappresentato dal rilascio della concessione edilizia ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, in applicazione della normativa vigente all’atto del rilascio (V Sez. 25.10.1993, n. 1071 e 06.12.1999, n. 2058). Ed è, di conseguenza, da quel momento stesso che l’amministrazione può far valere l’obbligo che grava sul cittadino.
Un diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge: art. 2934 cod. civ. La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere: art. 2935 cod. civ. Le norme in questione si applicano anche al diritto di credito del Comune avente per contenuto il contributo in esame, in difetto di disposizioni speciali che regolino in modo diverso la specifica obbligazione.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che l’amministrazione co-munale può far valere il suo diritto di credito, anche fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre la prescrizione del suo diritto. L’atto di imposizione e liquidazione del contributo, dovuto in base alla legge n. 10 del 1977, non ha, infatti, natura autoritativa, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di provvedimenti generali (conf. Sez. V 27.10.1986, n. 577 e 04.12.1990, n. 810; C. si. 05.05.1993, n. 154). Ne segue che l’Amministrazione non ha alcun potere di differire l’esercizio del suo diritto di credito, come, invece, ha ritenuto il primo giudice, e che l’omessa emanazione di tale atto si configura come mancato esercizio del diritto di credito, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione.
Né rileva che l’amministrazione comunale si sia riservata di dar corso alla richiesta di pagamento in prosieguo di tempo, sia perché per i diritti di credito, la realizzazione dei quali esige un’attività del creditore –come nel caso in esame–, la prescrizione decorre dal giorno in cui l’attività poteva essere compiuta ed egli poteva, così, mettersi in grado di esigere la prestazione dovuta, sia perché l’inerzia del titolare del diritto assume rilevanza dal momento in cui è possibile esercitare il diritto, sia, infine, perché la disciplina legale della prescrizione non è derogabile, a norma dell’art. 2936 cod. civ., neppure, quindi, per atto unilaterale del titolare del diritto.”
  (Cons. St. Sez. V 19.06.2003 n. 3645).
In termini, vedi anche Cons. St. n. 3332 del 2003 nonché la recente pronuncia del C.G.A. 02.03.2007 n. 64 laddove esclude “un regime differenziato tra il contributo per il costo di costruzione e quello per oneri di urbanizzazione” (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 21.12.2007 n. 2408 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALISull'autorità preposta a resistere in giudizio.
Secondo l’ordinamento degli enti locali (art. 36, comma 1, L. 08.06.1990, come riprodotto nell’art. 50, comma 2, d.lgs. t.u. 18.08.2000 n. 262), infatti, il sindaco, quale rappresentante legale del Comune, è l’organo che lo rappresenta in giudizio ed ha il potere di conferire la procura al difensore senza che occorra alcuno specifico mandato da parte della Giunta a mezzo della deliberazione di autorizzazione alla lite. Questa, d’altra parte, è condizione di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell’ente pubblico e, pertanto, può intervenire anche nel corso del processo -ma sempre prima che la causa passi in decisione- con effetto sanante delle eventuali irregolarità in precedenza verificatesi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.10.2006 n. 6399 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALIIllegittimo attribuire funzioni spettanti ai dirigenti negli ee.ll. mediante incarichi di collaborazione esterna, ai sensi dell'art. 110, comma 6, del d.lgs. n. 267/2000.
Ai sensi dell’art. 51, comma 5, della legge n. 142/1990 (come successivamente modificato dall’art. 6 della legge 15.05.1997, n. 127, nel testo modificato dall’art. 2, L. 16.06.1998, n. 191), “lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire”.
Ai sensi del successivo comma 5-bis, inoltre, “il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. ….”.
Il comma 7 dell’art. 51 prevede, poi, che “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità….”.
L’art. 26 del Regolamento comunale prevede, a sua volta, che è possibile il ricorso a collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità per il conseguimento di specifici obiettivi predeterminati.
Si tratta, peraltro, di forme di collaborazione esterna ad alta specializzazione, mirate al conseguimento di obiettivi particolarmente qualificati (ad es., sotto il profilo progettuale, organizzativo etc.), tra le quali non può essere fatto rientrare il conferimento di taluni delimitati ed episodici compiti riconducibili all’ordinaria sfera di competenza del dirigente; ché, altrimenti, avvalendosi di tale disciplina, le competenze dirigenziali potrebbero essere, di volta in volta e a seconda delle contingenze, parcellizzate e destrutturate in modo tale di snaturare, di fatto, la funzione stessa della disciplina in questione, che mira a valorizzare le responsabilità dirigenziali sotto un profilo manageriale, tendenzialmente unitario, e non a frammentarle.
Né può essere utilmente invocato l’art. 74 dello Statuto comunale secondo cui la G.M., nel caso di vacanza di posto o per altri gravi motivi, può assegnare la titolarità di uffici e servizi a personale assunto con contratto a tempo determinato o incaricato con contratto di lavoro.
Qui, infatti, non si tratta di vacanza di posto, né di assegnazione di titolarità di uffici o servizi per gravi motivi, dal momento che il posto non era vacante e che il conferimento di un incarico per lo svolgimento di taluni limitati compiti di normale spettanza dirigenziale non può essere rivisto alla stregua dell’assegnazione della titolarità di uffici o servizi, che può essere operata, per le ragioni già dette, solo nella sua unitarietà e completezza funzionale.
Correttamente, quindi, i primi giudici hanno ritenuto illegittima, anche per i motivi ora detti, la nomina del commissario ad acta di cui si tratta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.03.2003 n. 1212 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AGGIORNAMENTO AL 04.08.2008

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UTILITA'

EDILIZIA PRIVATATesto Unico sulla sicurezza: sanzioni previste (link a www.sicurezzatestounico.it).

EDILIZIA PRIVATATesto Unico sulla sicurezza: commenti e scadenze (link a www.sicurezzatestounico.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - DURC - attestazioni di pagamento coincidenti con il periodo di regolarità certificato (Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, nota 09.07.2008 n. 9453 di prot.).

G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e anteprima)

ENTI LOCALI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 31 dell'01.08.2008, "Norme in materia di spettacolo" (L.R. 30.07.2008 n. 21 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 25.07.2008 n. 173 "Testo del decreto-legge 23.05.2008, n. 92 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 122 del 26.05.2008), coordinato con la legge di conversione 24.07.2008, n. 125, recante: «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica»".

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 25.07.2008 n. 173 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23.05.2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica" (L. 24.07.2008 n. 125).

ENTI LOCALI: G.U. 21.07.2008 n. 169 "Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali"  (Ministero dell'Economia e delle Finanze, comunicato 21.07.2008).

CORTE DEI CONTI

AFFIDAMENTO INCARICHIPrestazioni di servizi col codice appalti - Si applica la disciplina del codice dei contratti, e non l'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001 alle «collaborazioni» il cui oggetto ricada nell'elenco dei servizi contenuto negli allegati IIA e IIB al codice medesimo.
Regolamento di organizzazione degli Uffici e dei servizi del Comune di Cassano allo Jonio - Controllo ai sensi dell'art. 3, comma 57, della Legge finanziaria 2008 (
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Calabria, delibera 23.05.2008 n. 144 - link a www.corteconti.it).

NEWS

VARIRiqualificare si può, ma a certe condizioni - Le agevolazioni fiscali per il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici esistenti sono riferibili esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto degli interventi.
L’agevolazione del 55% delle spese sostenute per la realizzazione di interventi che aumentino l’efficienza energetica degli edifici introdotta con la finanziaria 2007 spetta solo a chi utilizza gli immobili. Sono quindi esclusi gli immobili locati a terzi e quelli locati dalle società immobiliari (risoluzione 01.08.2008 n. 340/E - link a www.fiscooggi.it).

VARISconto del 36% soltanto a chi usa il montascale per andare in garage - L’agevolazione fiscale per la realizzazione di opere che favoriscono la mobilità di soggetti con difficoltà motorie spetta a chi sostiene la spesa e utilizza il manufatto.
Il soggetto che ha installato in un condominio, per suo esclusivo utilizzo, un montascale che gli faciliti l’accesso al piano garage, non deve dividere con gli altri condomini la detrazione fiscale del 36%, fino a una spesa massima di 48mila euro, prevista dall’articolo 1 della legge 449/1997. Il beneficio, dunque, anche se l’intervento è avvenuto sulle parti comuni di un edificio residenziale, non va calcolato in base alla quota millesimale (risoluzione 01.08.2008 n. 336/E - link a www.fiscooggi.it).

VARI: Risparmio energetico: la detrazione spetta anche a lavori non ancora ultimati - Nel caso in cui le operazioni si svolgano a cavallo di due annualità.
Le spese per i lavori di riqualificazione energetica, che danno diritto alla detrazione del 55 %, cominciati l'anno scorso e ancora non ultimati, possono essere indicate nella dichiarazione dei redditi per l'anno di imposta 2007. Anche se il soggetto non è in possesso della documentazione richiesta può attestare che i lavori non sono ancora terminati fruendo ugualmente della detrazione spettante. Le spese sostenute invece nel 2008 potranno essere indicate nella dichiarazione relativa a tale periodo di imposta (risoluzione 01.08.2008 n. 335/E - link a www.fiscooggi.it).

DOTTRINA E CONTRIBUTI

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, Il riordino delle norme sugli impianti negli edifici (AL n. 7/2008).

ATTI AMMINISTRATIVI: N. Saitta, Le mezze-novità giurisprudenziali e normative in materia di accesso (link a www.lexitalia.it).

AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI

APPALTI: TRASMISSIONE DEI DATI UTILI PER LA REDAZIONE DEI PROSPETTI STATISTICI (comunicato del Presidente 01.08.2008 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
La disciplina della gara in esame prevede:
- nessuna disposizione in ordine alla formulazione delle offerte, per quanto attiene al computo delle cifre decimali delle stesse;
- il punto 2, –Procedure di aggiudicazione– prescrive: “Le medie sono calcolate fino alla terza cifra decimale arrotondata all’unità superiore qualora la quarta cifra decimale sia pari o superiore a cinque”.
Si deve innanzi tutto far presente che laddove il bando di gara non dispone che l’indicazione dei ribassi debba essere effettuata fino ad una determinata cifra decimale, per costante orientamento di questa Autorità e della giurisprudenza amministrativa, la Commissione di gara non può procedere ad effettuare arrotondamenti, dovendo acquisire le offerte nella loro integrità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV 1277/2003).
Detto principio vale anche per quanto attiene alle modalità di calcolo delle medie: con deliberazioni n. 114/2002 e n. 244/2007 l’Autorità ha evidenziato la necessità che la norma speciale dei bandi di gara contenga esplicite disposizioni sulle modalità di calcolo delle medie, disponendo che siano stabiliti i decimali da prendere in considerazione e le modalità di arrotondamento.
In particolare, è stato espresso l’avviso secondo il quale l’arrotondamento è un criterio che deve essere applicato su tutte le operazioni aritmetiche effettuate per addivenire all’aggiudicazione.
Per quanto riguarda le offerte, invece, si ribadisce, nel caso in cui la lex specialis non preveda esplicita disciplina, queste non possono subire arrotondamento in via analogica.
Nel caso in esame, sulla base di quanto sopra, l’aggiudicazione dell’appalto deve avvenire nei confronti de La Castellese Costruzioni s.r.l.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che, nel silenzio del bando di gara, le offerte devono essere assunte in graduatoria tenendo conto di tutte le cifre decimali che le compongono, senza procedere al loro arrotondamento (
parere 14.05.2008 n. 153 - link a massimario.avlp.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
Il D. Lgs. 08.06.2001 n. 231 ha introdotto nell’ordinamento nazionale la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, prevedendo, per le fattispecie illecite indicate, diverse sanzioni che vengono comminate direttamente all’ente-persona giuridica.
In particolare, l’impianto sanzionatorio prevede sia sanzioni pecuniarie che sanzioni interdittive, tra le quali, all’articolo 9, è annoverato il divieto di contrattare con la PA, salvo per ottenere prestazioni di un pubblico servizio.
Tale divieto, che è rivolto all’ente destinatario della misura e agli amministratori pubblici, che devono evitare di stipulare con esso contratti invalidi, si applica esclusivamente in relazione ai reati per i quali è espressamente previsto e qualora ricorra una delle seguenti condizioni:a) l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative; b) in caso di reiterazione degli illeciti.
Il divieto a contrattare con la PA non è indirizzato a tutte le attività dell’ente, bensì ha ad oggetto la specifica attività cui si riferisce l’illecito commesso e può essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni (art. 14)
Ai sensi dell’articolo 45 del menzionato decreto legislativo, il divieto a contrattare con la PA può essere oggetto di una misura cautelare, nelle ipotesi in cui sussistano gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell’ente e vi siano fondati motivi per presumere la sussistenza di un pericolo concreto della commissione di illeciti della stessa indole di quello per cui procede.
Relativamente all’applicazione delle misure interdittive cautelari previste dal D.Lgs. n. 231/2001 si è pronunciato il Consiglio di Stato, in sede consultiva, Adunanza Generale, sezione III, con il parere dell’11 gennaio 2005, che ha definito la portata della misura, nonché la nozione di pubblica amministrazione cui la norma si riferisce.
Per i profili che a tal fine rilevano, e dunque, con particolare riferimento all’ambito oggettivo, il Consiglio di Stato ha precisato che la misura cautelare è preordinata a prevenire il rischio di commissione di illeciti della stessa indole e, conseguentemente, che il divieto di contrattare non può che riguardare la futura attività negoziale che il soggetto intenda porre in essere dopo l’adozione del provvedimento interdittivo.
Tuttavia, il Consiglio di Stato non si è specificamente pronunciato sull’operatività della misura cautelare anche ai contratti che abbiano ad oggetto principale un’attività diversa da quella di cui alla misura interdittiva.
Ciò nonostante, in ragione della ratio della misura interdittiva in questione, sembra possibile sostenere l’impossibilità di estendere il divieto di contrattare relativo ad una determinata attività anche a contratti che non hanno ad oggetto quella attività.
Infatti, come riportato nella Relazione al d.lgs. n. 231/2001, “la sanzione interdittiva non deve ispirarsi ad un criterio applicativo generalizzato ed indiscriminato” e “le sanzioni, per quanto possibile devono colpire il ramo di attività in cui si è sprigionato l’illecito, in omaggio ad un principio di economicità e di proporzione”.
In particolare, nel caso di specie la società Impregilo è stata sottoposta alla misura cautelare del divieto di contrattare con la PA limitatamente alle sole attività relative allo smaltimento, trattamento e recupero energetico dei rifiuti, con specifico riferimento al trattamento e smaltimento mediante termovalorizzatore a recupero energetico dei rifiuti urbani trasformati in combustibile da rifiuto.
La misura sembrerebbe pertanto riferita esclusivamente ai contratti che hanno ad oggetto specifico il servizio di smaltimento, trattamento e recupero energetico dei rifiuti indicati e non potrebbe essere estesa a tutti i contratti che abbiano ad oggetto un’altra attività sebbene comportino lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalla stessa.
Ciò in quanto, una tale operazione produrrebbe un divieto generalizzato di contrattare con la PA, che impedirebbe alla società qualsiasi tipo di attività nei confronti della PA: in particolare, verrebbe preclusa l’attività di esecuzione di lavori pubblici in quanto, per definizione, produttiva di rifiuti consistenti in materiali da scavo o di risulta derivanti dai lavori realizzati.
Peraltro, ciò non solo confligge con i principi di tipicità e tassatività che informano il diritto penale, ma sembrerebbe anche in contrasto con il dispositivo dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 231/2001, laddove sancisce che “le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente”: infatti, mentre l’interdizione di cui alla misura cautelare si riferisce all’attività di smaltimento, trattamento e recupero energetico dei rifiuti, con specifico riferimento al trattamento e smaltimento mediante termovalorizzatore a recupero energetico dei rifiuti urbani trasformati in combustibile da rifiuto, l’oggetto del contratto in questione consiste nell’affidamento unitario a contraente generale di realizzare con qualsiasi mezzo un’opera stradale e, sebbene comporti la produzione di rifiuti che verranno fatti smaltire mediante affidamento a soggetti all’uopo abilitati, non sembra riconducibile all’attività interdetta con a menzionata misura cautelare.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, di comunicare alle Parti interessate che la misura cautelare del divieto di contrattare con la PA trova applicazione esclusivamente per l’attività specificamente interdetta e non possa pertanto essere oggetto di estensione applicativa ad attività che solo indirettamente sono connesse a quelle precluse
(parere 14.05.2008 n. 152 - link a massimario.avlp.it).

LAVORI PUBBLICI: Ritenuto in diritto:
La problematica sottoposta all’attenzione dell’Autorità, concernente la possibilità di usufruire del beneficio della riduzione della cauzione anche in caso di una associazione temporanea che veda al suo interno una impresa cd. “cooptata”, è stata affrontata dal Consiglio dell’Autorità con deliberazione dell’8 settembre 2003, nella quale ha assunto le seguenti considerazioni.
Ai sensi del comma 4 dell'articolo 95 del d.P.R. n. 554/1999, sia l’impresa singola sia le imprese che intendono riunirsi in associazione temporanea, ove in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti nel bando di gara, possono associare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute dall’associata minore copra l’importo dei lavori che essa dovrà eseguire e che i lavori che essa eseguirà non superino il 20% dell'importo dell’appalto.
Dal dato normativo emergono, dunque, quattro elementi caratterizzanti la fattispecie:
1. il soggetto associante (impresa singola o ATI) deve avere di per sé tutti i requisiti necessari a concorrere;
2. l’impresa associata minore, c.d. cooptata, può possedere una qualificazione anche per categorie e classifiche diverse da quelle richieste dal bando;
3. i lavori che la o le associate minori eseguiranno non devono superare il 20% dell'importo complessivo dell'appalto;
4. la somma delle classifiche relative alle qualificazioni possedute dall’associata minore deve coprire l'importo dei lavori che essa eseguirà.
Di particolare rilievo, per la problematica oggetto di esame in questa sede, è la condizione di cui al punto 1, ossia che il soggetto associante, abbia di per sé tutti i requisiti necessari a concorrere. Attesa tale premessa, sotto il profilo dell’idoneità complessiva del concorrente, l’aggiunta di ulteriori, anche minime o eterogenee potenzialità ad un soggetto di per sé idoneo, viene dalla norma in esame considerata un di più che non può che accrescerne la potenzialità complessiva.
Ciò indubbiamente costituisce una deroga alla disciplina dettata per le ATI di tipo orizzontale e verticali, rispettivamente ai commi 2 e 3 dello stesso articolo 95 del d.P.R. n. 554/1999, che stabiliscono proprio le modalità secondo le quali i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti dal bando devono essere posseduti da tutti i soggetti che compongono l’associazione.
Tenuto conto di detta deroga, attesa la peculiarità della disciplina giuridica relativa all’istituto della cooptazione, non sembra estendibile alle imprese cooptate, relativamente al godimento del beneficio della riduzione della cauzione, quanto previsto dalla determinazione dell’Autorità n. 44/2000, che riguarda specificamente le ATI, sia di tipo orizzontale sia di tipo verticale.
Al contrario, da quanto sopra osservato circa le caratteristiche dell'associazione in cooptazione, ai sensi dell’articolo 95, comma 4, del d.P.R. n. 554/1999, sembra poter conseguire che, se il punto di riferimento per la valutazione dei requisiti di partecipazione alla gara sono i soggetti associanti, anche per il riconoscimento di eventuali benefici, come quello della riduzione della cauzione, connessi al possesso di tali requisiti di partecipazione, in particolare l’attestazione SOA riguardante il possesso della certificazione di qualità, si deve aver riguardo ai soli soggetti associanti, rimanendo ininfluenti le potenzialità dell’impresa minore associata.
Nel caso in esame, l’impresa mandataria e l’impresa mandante, entrambe in possesso del requisito di qualità, potevano usufruire del beneficio della riduzione della cauzione provvisoria, indipendentemente dal possesso o meno del requisito di qualità in capo alla impresa cooptata.
Si deve rilevare che l’eccezione sollevata dalla Stazione appaltante in merito all’eventualità che il contratto non possa essere stipulato per fatto dell’impresa cooptata, appare irrilevante, dal momento che la partecipazione dell’impresa cooptata all’associazione rileva solo sotto il profilo dell'idoneità di quest'ultima ad eseguire quota parte dei lavori, mentre non rileva né ai fini della qualificazione dell’associazione stessa, né ai fini della responsabilità nei confronti della stazione appaltante, imputabile in via solidale al mandatario e, pro quota, al mandante per la categoria scorporabile (art. 37, comma 6, d. Lgs. n. 163/2006).
Risulta, pertanto, ininfluente il fatto che la polizza fideiussoria sia stata intestata anche all’impresa cooptata (Cons. Stato, sez. V, n. 4655/2006).
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione dell’associazione temporanea di imprese Elettrolucana di Papapietro Pasquale, D’Amato Giuseppe e Cirillo Pietro (cooptata) è non conforme alla normativa di settore
(parere 14.05.2008 n. 151 - link a massimario.avlp.it).

GIURISPRUDENZA

EDILIZIA PRIVATASulla motivazione che deve sussistere per il lungo lasso di tempo trascorso tra l'esecuzione dell'abuso edilizio e l'emissione dell'ingiunzione di demolizione.
Se è vero che, in generale, l’ingiunzione demolitoria costituisce atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera senza titolo abilitativo (o in totale difformità da esso) e, pertanto, è sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, è pur vero che tale principio viene derogato nel caso in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale sussiste un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse -evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità- idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (Cons. Stato sez. IV n. 2441/2007; sez. V n. 3270/2006; sez. V n. 144/1999) (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 18.07.2008 n. 6972 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla localizzazione comunale delle antenne per telefonia mobile.
Circa i limiti ed il contenuto della potestà dei comuni di regolamentare il corretto insediamento sul territorio degli impianti di telecomunicazione in relazione alla sfera di attribuzioni ad essi riconosciuta dall’art. 8, comma sesto, della legge n. 36/2001, la giurisprudenza ha avuto occasione di pronunciarsi più volte, statuendo, in sintesi, i seguenti principi:
- i “criteri di localizzazione” degli impianti non possono trasformarsi in “limitazioni alla localizzazione”, così da configurarsi incompatibili con la possibilità di realizzare una rete completa di infrastrutture per la telecomunicazione (Corte Costituzionale, sentenza 15.10/7.11.2003 n. 331 -che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 12, lett. a) della L.R. Lombardia 06.03.2002 n. 4, relativo al divieto di installazione di impianti di tlc sotto il limite dei 75 metri dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici etc…e strutture similari, con relative pertinenze- e sentenza 07.10.2003 n 307 che, con riferimento specifico alla L.R. Puglia 08.03.2002, n. 5, ha stabilito, in particolare, che non è costituzionalmente illegittimo l’art. 10, comma 1, della L.R. Puglia che vieta l’installazione di impianti di tlc su “ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido” e che, viceversa è costituzionalmente illegittimo l’art. 10, comma 2, della stessa legge regionale, che estende il divieto di localizzazione degli impianti, tra l’altro, alle fasce di rispetto perimetrale secondo una delibera della Giunta regionale, degli immobili “protetti”, di cui al comma 1, ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido);
- non può tradursi la determinazione a regime di limiti di localizzazione degli impianti –atteso il suo carattere generalizzato ed il riferimento al dato oggettivo dell’esistenza di insediamenti abitativi- in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (Cons. St., Sez. VI, n. 7274 /2002; n. 3095, n. 4159/2005);
- la scelta dei criteri di insediamento degli impianti deve tenere conto della nozione di “rete di telecomunicazione, che richiede una diffusione capillare sul territorio, in particolare per i casi di telefonia UMTS (c.d. “cellulare”);
- deve tenersi conto, infine, anche del fatto che l’assimilazione in via normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le medesime non siano avulse dall’insediamento abitativo, ma debbano porsi al servizio dello stesso.
Da una parte, la potestà attribuita al Comune dall’art. 8, comma 6, della L. n. 36/2001 di disciplinare “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione a campi elettromagnetici” deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio dei cennati interessi di rilievo pubblico (in relazione, ad esempio, al particolare valore paesaggistico/ambientale o storico/artistico di individuate porzioni del territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione d’uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle immissioni elettromagnetiche) ma non può introdurre, come avvenuto nel caso di specie, un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate.
Dall’altra, tale previsione viene a costituire una misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, riservando, tuttavia, l’art. 4 della L.n. 36/2001, alla competenza dello Stato, la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi uniformemente su tutto il territorio dello Stato (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 17.07.2008 n. 3594 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sul rinnovo ovvero proroga dei contratti pubblici.
In linea di principio, il rinnovo o la proroga, al di fuori dei casi contemplati dall'ordinamento, di un contratto d’appalto di servizi o di forniture stipulato da un’amministrazione pubblica da luogo a una figura di trattativa privata non consentita e legittima qualsiasi impresa del settore a far valere dinanzi al giudice amministrativo il suo interesse legittimo all’espletamento di una gara.
Ciò posto, si deve verificare quale fosse all’epoca la disciplina della materia.
L’art. 6, comma 1 della L. 24.12.1993, n. 537 dopo la modifica introdotta dall’art. 44 della L. 23.12.1994, n. 724, disponeva che ”è vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli. Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”.
L’ultimo periodo del predetto comma è stato poi soppresso dall’art. 23, comma 1, della L. 18.04.2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), mentre il successivo comma 2 dello stesso articolo ha consentito solo la “proroga” dei contratti per acquisti e forniture di beni e servizi “per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Sulla portata di tale normativa si è pronunciata la IV Sezione del Consiglio di Stato che, con decisione 31.10.2006, n. 6457, ha avuto modo di chiarire quanto segue.
“Deve premettersi che la modifica introdotta dall’art. 23 l. n. 62/2005 deve intendersi finalizzata, come si ricava dall’esame della relazione illustrativa e dalla collocazione sistematica della disposizione, all’archiviazione di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2003/2110) avente ad oggetto proprio la previsione normativa nazionale della facoltà di procedere al rinnovo espresso dei contratti delle pubbliche amministrazioni, ritenuta incompatibile con i principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi cristallizzati negli artt. 43 e 49 del Trattato CE e con la normativa europea in tema di tutela della concorrenza nell’affidamento degli appalti pubblici, e che, quindi, ogni esegesi della sua portata applicativa dev’essere coerente con la ratio e con lo scopo della relativa innovazione, per come appena evidenziati.
In conformità a tale premessa metodologica, deve osservarsi che all’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 23 l. n. 62/05, deve assegnarsi una valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici.
Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato, infatti, si assicura l’effettiva conformazione dell’ordinamento interno a quello comunitario, mentre, accedendo a letture sistematiche che riducano la portata precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici scaduti e che introducano indebite eccezioni, si finisce per vanificare la palese intenzione del legislatore del 2005 di adeguare la disciplina nazionale in materia a quella europea e, quindi, per conservare profili di conflitto con quest’ultima del regime giuridico del rinnovo dei contratti di appalto delle pubbliche amministrazioni.
Ne consegue che, in coerenza con la regola ermeneutica appena sintetizzata, non solo l’intervento normativo di cui all’art. 23 l. n. 62/2005 dev’essere letto ed applicato in modo da escludere ed impedire, in via generale ed incondizionata, la rinnovazione di contratti di appalto scaduti, ma anche l’esegesi di altre disposizioni dell’ordinamento che consentirebbero, in deroga alle procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici, l’affidamento, senza gara, degli stessi servizi per ulteriori periodi dev’essere condotta alla stregua del vincolante criterio che vieta (con valenza imperativa ed inderogabile) il rinnovo dei contratti.
Né varrebbe, ancora, sostenere l’illegittimità del controverso diniego sulla base dell’argomento della previsione della possibilità del rinnovo nel bando di gara e nel successivo contratto, posto che la natura imperativa ed inderogabile della sopravvenuta disposizione legislativa che introduce un divieto generalizzato di rinnovazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni implica la sopravvenuta inefficacia delle previsioni, amministrative e contrattuali, configgenti con il nuovo e vincolante principio, che non tollera la sopravvivenza dell’efficacia di difformi clausole negoziali (attesa la natura indisponibile degli interessi in esse coinvolti).”
Da quanto sopraesposto emerge dunque che in tema di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti, ma vige il principio che, salvo espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara (salva la limitata proroga di cui sopra).
Pertanto, allorquando un’impresa del settore lamenti che alla scadenza di un contratto non si è effettuata una gara, fa valere il suo interesse legittimo al rispetto delle norme dettate in materia di scelta del contraente e l’eventuale nullità o inefficacia della clausola contrattuale che preveda un rinnovo o una proroga va accertata in via incidentale dal giudice amministrativo, competente a conoscere in via principale della eventuale lesione del predetto interesse legittimo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.07.2008 n. 3391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla necessità o meno del permesso di costruire per una struttura precaria (stagionale) a servizio di un esercizio commerciale.
Come già rilevato dalla Sezione sulla scorta di una costante giurisprudenza (v. sent. n. 35 del 22.01.2008), necessita di concessione edilizia, ora permesso di costruire, il manufatto che, pur se non infisso al suolo ma soltanto aderente allo stesso in modo stabile, è tuttavia destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo, atteso che produce trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale del manufatto che non si traduca in un suo uso per fini contingenti e specifici, ma riguardi una destinazione continuativa, anche se l’impiego del bene è circoscritto ad una parte sola dell’anno (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 01.12.2003 n. 7822 e 11.02.2003 n. 696).
La circostanza, quindi, che si sia nella fattispecie assentita, a seguito di d.i.a., l’installazione di pannelli traslucidi che delimitano lo spazio antistante il “pub-birreria” onde consentirvi la collocazione di sedie e tavolini sormontati da ombrelloni di tela, realizzando il sostanziale ampliamento della superficie commerciale per tutto il periodo dell’anno che eccede la stagione estiva, integra quella rilevante e non precaria trasformazione del territorio che richiede il rilascio del permesso di costruire, atteso che l’utilizzo apparentemente limitato nel tempo, se in sé destinato a ripetersi ciclicamente negli anni a venire, impone all’Amministrazione comunale il rituale accertamento della compatibilità dell’intervento con le norme che regolano l’uso del territorio e non può determinare, attraverso il frazionamento annuale delle operazioni di montaggio e smontaggio della struttura (e la conseguente artificiosa suddivisione in autonomi periodi di un intervento in realtà unitario), l’elusione delle norme che obbligano alla previa verifica dell’Autorità pubblica; né hanno ragione le controparti nell’invocare l’art. 8 della legge reg. n. 31 del 2002, che assoggetta a d.i.a. gli “interventi di manutenzione straordinaria”, ovvero le “opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso” (v. allegato alla legge reg.), in quanto l’addotta carenza del tamponamento integrale degli spazi vuoti laterali, lungi dall’implicare la realizzazione di un mero arredo di spazi esterni, non fa in realtà venire meno l’impegno stabile a tali fini della superficie corrispondente e la sua conseguente rilevanza anche in termini di carico urbanistico (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 19.02.2008 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISulla legittima istituzione della commissione di gara ex art. 84 Codice Appalti.
Appalti pubblici – lottomatica – commissione permanente - nomina anteriore alla presentazione delle offerte – illegittimità – sussistenza [art. 84, D.Lgs. 163/2006].

In materia di nomina delle commissioni di gara, il legislatore prevede che tale nomina avvenga dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte; ne deriva che la previsione di una commissione permanente è illegittima (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 13.02.2008 n. 1268 - link a www.altalex.com).

CONDOMINIODecoro architettonico condominiale va tutelato in base a circostanze concrete.
La tutela del decoro architettonico degli edifici condominiali, anche di quelli privi di particolari pregi artistici, è stata apprestata dal legislatore, all’art. 1120 II co. c.c., non in astratto, bensì in considerazione della concorrenza di due distinte circostanze concrete: un’alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell’edificio, od anche di sue singole parti o di suoi singoli elementi dotati di sostanziale autonomia, ed una consequenziale diminuzione del valore dell’intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono, di qui la legittimazione attiva non solo del condominio ma anche del singolo condomino (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 17.10.2007 n. 21835 - link a www.altalex.com).

APPALTI FORNITURE E SERVIZISul divieto di rinnovo dei contratti di appalto.
Si è già affermato che:
a) l’art. 23, comma 1, l. n. 62 del 2005 che ha abrogato l’ultimo periodo dell’art. 6, comma 2, l. n. 537 del 1993, ha introdotto nell’ordinamento italiano il divieto di rinnovazione dei contratti di servizi e forniture, fatte salve le limitate deroghe previste espressamente da disposizioni nazionali, attuative di corrispondenti previsioni comunitarie, da interpretarsi comunque in modo rigoroso e restrittivo;
b) l’art. 7, lett. f), d.lgs. n. 157 del 1995 nel prevedere una ipotesi di affidamento diretto del contratto, in conformità a quanto sancito dalla direttiva 92/50 Cee, e quindi una deroga al regime dei principi comunitari di trasparenza e competitività degli appalti, deve essere interpretato restrittivamente e rigorosamente, in modo da evitare elusioni al divieto di rinnovazione, espressa o tacita, dei contratti di appalto.
Si badi che tale divieto è stato recepito e generalizzato dall’art. 57 del Codice dei contratti, non solo relativamente ai lavori (oltre che come tradizione ai servizi e forniture) ma anche con riferimento al rinnovo espresso (al comma 7 si prevede solo il divieto di rinnovo tacito); atteso che dalla collocazione sistematica delle norme colà sancite si desume che è vietata qualsiasi ipotesi di rinnovo al di fuori dei casi espressamente sanciti dal medesimo art. 57 (fra cui vi rientra anche quello disciplinato in precedenza dalla lett. f) cit.).
L’essenza del problema è che un rinnovo espresso al di fuori dei casi contemplati dall’ordinamento (oggi dal Codice dei contratti, ieri dalla legge c.d. Merloni e dalla altre fonti di recepimento fra cui il d.lgs. n. 157 del 1995) darebbe luogo a una nuova figura di trattativa privata pura non consentita dal diritto comunitario; è per questa ragione che l’art. 23, l. n. 62 cit. ha abrogato in parte l’art. 6, l. n. 537, perché il rinnovo espresso integra una ipotesi di trattativa privata senza bando diversa da quelle tassativamente consentite dal diritto comunitario (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.05.2007 n. 2866 - link a www.giustizia-amministrativa.it).