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AGGIORNAMENTO AL 25.08.2008 |
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dossier
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
E' vietata la rinnovazione di contratti di appalto scaduti.
All’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo
dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 23 l.
n. 62/2005, deve assegnarsi una valenza generale ed una
portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di
altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di
fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei
contratti pubblici.
Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato,
infatti, si assicura l’effettiva conformazione
dell’ordinamento interno a quello comunitario, mentre,
accedendo a letture sistematiche che riducano la portata
precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti
pubblici scaduti e che introducano indebite eccezioni, si
finisce per vanificare la palese intenzione del legislatore
del 2005 di adeguare la disciplina nazionale in materia a
quella europea e, quindi, per conservare profili di
conflitto con quest’ultima del regime giuridico del rinnovo
dei contratti di appalto delle pubbliche amministrazioni.
Ne consegue che, in coerenza con la regola ermeneutica
appena sintetizzata, non solo l’intervento normativo di cui
all’art. 23 l. n. 62/2005 dev’essere letto ed applicato in
modo da escludere ed impedire, in via generale ed
incondizionata, la rinnovazione di contratti di appalto
scaduti, ma anche l’esegesi di altre disposizioni
dell’ordinamento che consentirebbero, in deroga alle
procedure ordinarie di affidamento degli appalti pubblici,
l’affidamento, senza gara, degli stessi servizi per
ulteriori periodi dev’essere condotta alla stregua del
vincolante criterio che vieta (con valenza imperativa ed
inderogabile) il rinnovo dei contratti (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 31.10.2006 n. 6458 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Se una motivazione specifica è necessaria qualora
l'Amministrazione intenda rinnovare un contratto avente ad
oggetto prestazione di forniture o servizi, altrettanto non
può essere legittimamente predicato nel caso –inverso– di
diniego di rinnovo.
È ben vero che, secondo quanto affermato in giurisprudenza,
in presenza di un'istanza della parte privata titolare di un
contratto di fornitura di servizio finalizzata a sollecitare
la facoltà dell'Amministrazione di rinnovare il contratto,
l'Amministrazione stessa –in conformità agli obblighi di
lealtà, correttezza e solidarietà, insiti nei principi di
imparzialità e buon andamento cui deve ispirarsi l'attività
della P.A.– ha l'obbligo di concludere il relativo
procedimento con un provvedimento espresso, corredato di
apposita motivazione in ordine alla tutela dell'interesse
pubblico in questo modo perseguito: tale principio
rappresentando l’interfaccia di una posizione, in capo al
privato contraente, differenziata e tutelabile, derivante
dalla titolarità del pregresso rapporto negoziale e
dall’esistenza dei requisiti di legge per ottenere il
rinnovo contrattuale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 02.11.2004
n. 7068).
Ma è altrettanto vero che:
- se l'eventuale determinazione di addivenire al rinnovo del
contratto deve essere preceduta da apposita istruttoria e
assistita da congrua motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. V,
17.04.2003 n. 2079) in ragione della valenza derogatoria da
tale scelta assunta rispetto all’indizione di una gara
pubblica,
- all'opposto, per le stesse ragioni la negativa
determinazione in ordine al rinnovo non richiede motivazione
particolarmente ampia ed estesa, quando non debba
condividersi, secondo quanto opinato dalla prevalente
giurisprudenza, che essa in effetti non richieda motivazione
alcuna (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 22.07.2003 n. 2939;
TAR Piemonte, 24.03.2001 n. 631; TAR Calabria, Reggio
Calabria, 10.03.2001 n. 235).
In altri termini, se una motivazione specifica è necessaria
qualora l'Amministrazione intenda rinnovare un contratto
avente ad oggetto prestazione di forniture o servizi,
altrettanto non può essere legittimamente predicato nel caso
–inverso– di diniego di rinnovo: e ciò a maggior ragione
nell'ipotesi in cui l'Amministrazione stessa ritenga di
affidare il servizio mediante una gara, atteso che le
procedure concorsuali per la scelta del contraente da parte
della P.A. costituiscono la regola, assicurando il
raggiungimento dell'ulteriore finalità perseguita dal
Legislatore di impedire il consolidarsi di situazioni non
concorrenziali (TAR Puglia, Bari, sez. I, 13.07.2001 n.
2986; TAR Marche, 28.05.1999 n. 692).
Pur nel ribadire la perdurante vigenza, all’interno
dell’ordinamento, del principio di rinnovabilità dei
rapporti contrattuali intrattenuti dalla Pubblica
Amministrazione –ove sancito dalla lex specialis di gara,
ovvero contenuto nel contratto– va tuttavia escluso che la
relativa facoltà possa assumere, anche solo in parte,
carattere di obbligatorietà, vincolando in tal modo
l’operato della Pubblica Amministrazione.
In tal senso, quest’ultima potrà trovarsi di fronte ad una
duplicità di scelte (rinnovo del precedente vincolo
contrattuale; indizione di una pubblica gara per
l’affidamento del servizio) che, quantunque entrambi
elettivamente percorribili, nondimeno non si trovano su un
piano di indifferenziata opzionabilità (e, quindi, di
equipollente operatività).
Le procedure concorsuali per la scelta del contraente da
parte della Pubblica Amministrazione rappresentano, infatti,
la regola orientativa “cardine” dell’operato della Pubblica
Amministrazione nella scelta del privato contraente; mentre
la trattativa privata costituisce l'eccezione (e, quindi, è
suscettibile di essere legittimamente scelta laddove
ricorrano le condizioni ed i presupposti di legge).
Se, quindi, nessuna particolare motivazione è necessaria per
l'affidamento di un servizio mediante procedura concorsuale,
ex converso è la rinnovazione del rapporto (la quale
esclude, per il relativo arco temporale di vigenza,
l’indizione di una nuova gara) ad abbisognare di un più
congruo conforto motivazionale: e ciò in quanto essa deve
essere preceduta dall’accertamento, ad opera
dell’Amministrazione, circa la sussistenza del pubblico
interesse a rinnovare il rapporto con il precedente
contraente, mediante l’acquisizione, anche formale, di utili
elementi di valutazione comparativa per accertare se è il
caso di orientarsi per una scelta diversa o se è il caso di
confermare nel pregresso rapporto l'originario interlocutore
(sussistendo in tale ultimo caso l'onere di dare contezza
precisa, in base agli utili elementi acquisiti, delle
ragioni di convenienza tenute presenti) (TAR Lazio-Roma,
Sez. I-bis,
sentenza 08.03.2006 n. 1786 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA: Solo
il comune può decidere se il chiosco da adibire a ristorante è bello o
brutto. Non ha alcuna competenza, quindi, la soprintendenza che può
giudicare soltanto sulla legittimità degli atti dell'ente locale.
La giurisprudenza ha infatti avuto modo di sostenere che “la
disposizione di cui all'art. 10-bis l. n. 241 del 1990 non è applicabile
al procedimento statale di verifica della legittimità
dell'autorizzazione paesaggistica comunale, dal momento che la relativa
comunicazione ha ad oggetto «i motivi che ostano all'accoglimento della
domanda», laddove la funzione del potere di cui costituisce espressione
il decreto di annullamento di un'autorizzazione paesaggistica, siccome
riconducibile alla tipologia dei procedimenti di secondo grado, non è
quella di verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti il
rilascio del provvedimento favorevole, ma quella di scrutinare la
legittimità dell'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione
comunale” (TAR Campania Salerno, sez. II, 30.03.2006, n. 346).
Nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007 si evidenzia
coma il riformulato art. 159 del codice dei beni culturali (che, si
ripete, sul punto ha sostituito per il periodo transitorio l’art. 151
del Testo Unico del 1999), pur a fronte di una diversa formulazione
rispetto a quella previgente “non attribuisce all’amministrazione
centrale un potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico per
motivi di merito, così da consentire alla stessa amministrazione di
sovrapporre una propria valutazione a quella di chi ha rilasciato il
titolo autorizzativo, ma riconosce ad essa un controllo di mera
legittimità che, peraltro, può riguardare tutti i possibili vizi, tra
cui anche l’eccesso di potere”.
La pronunzia riecheggia le conclusioni cui era da tempo pervenuta la
giurisprudenza amministrativa che si era confrontata sul richiamato art.
151 del d.lgs. n. 490 del 1999.
Si richiama per tutte la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2001,
ove si afferma che “in sede di esame del contenuto della
autorizzazione paesistica e prima della conclusione del procedimento, il
Ministero può motivatamente valutare se la gestione del vincolo avviene
con un atto legittimo, rispettoso di tutti tali principi, e annullare
l'autorizzazione che risulti illegittima sotto qualsiasi profilo di
eccesso di potere (senza il bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale
e ancor prima della modifica dei luoghi), ma non può sovrapporre le
proprie eventuali difformi valutazioni sulla modifica dell'area, se
l'autorizzazione non risulti viziata”.
In altre parole, la soprintendenza può esaminare d'ufficio tutte le
questioni e porre a base dell'annullamento ogni riscontrato vizio, con
una motivazione che non può in ogni caso ridursi ad una mera “clausola
di stile” circa il pregiudizio ai valori ambientali.
Il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione paesistica
non può basarsi su una propria valutazione tecnico-discrezionale sugli
interessi in conflitto e sul valore che in concreto deve prevalere, né
può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto
pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sulla
esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre
nella motivazione), che non siano stati esaminati dall'autorità che ha
emanato l'autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente
valutati, in contrasto con i fondamentali principi sulla legittimità
dell'azione amministrativa.
Nel caso di specie, la Soprintendenza ha invece formulato un proprio
giudizio sulla non compatibilità dell'intervento con le esigenze di
salvaguardia dell'area vincolata, con alcune osservazioni sul
pregiudizio ambientale le quali (pur non inficiando di per sé l'atto di
annullamento, poiché miranti a fare emergere la rilevanza dei valori
tutelati) non hanno tuttavia evidenziato uno specifico vizio della
autorizzazione comunale, ove si consideri che il richiamo alla incidenza
delle opere è stato effettuato apoditticamente e con una clausola di
stile, senza indicare in concreto uno o più elementi in base ai quali la
valutazione comunale sulla modificabilità dei luoghi si sarebbe potuta
considerare pregiudizievole per il razionale esercizio del potere di
pianificazione paesistica, ovvero manifestamente illogica, in ragione
dei valori tutelati.
Questa parte del provvedimento ministeriale deve dunque essere
dichiarata illegittima per violazione dell’art. 159 del decreto
legislativo n. 42 del 2004, come modificato dall’art. 26 del decreto
legislativo n. 157 del 2006
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 08.05.2008 n. 1363 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e
anteprima) |
ENTI LOCALI: G.U.
21.08.2008 n. 195, suppl. ord. n. 196/L:
- "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
25.06.2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria"
(L. 06.08.2008 n. 133);
- "Testo del decreto-legge 25.06.2008, n. 112 (pubblicato nel
supplemento ordinario n. 152/L alla Gazzetta Ufficiale n. 147 del
25.06.2008), coordinato con la legge di conversione 06.08.2008, n. 133
recante: «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria»" (file
1 -
file 2 -
file 3). |
ENTI LOCALI: G.U.
20.08.2008 n. 194 "Ordinanza contingibile ed urgente concernente
misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina"
(Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali,
ordinanza 06.08.2008). |
LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 34 del 21.08.2008, "Direttive per
l'esercizio della delega di funzioni amministrative ai Comuni e alle
loro gestioni associate in materia di demanio della navigazione interna
- Modifiche alla d.g.r. n. 10487/2002" (deliberazione
G.R. 06.08.2008 n. 7967 - link a www.infopoint.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
LAVORI PUBBLICI: Ritenuto
in diritto:
La questione in esame è stata affrontata dall’Autorità con precedenti
espressioni di parere, nelle quali è stato evidenziato che, giusto
quanto disposto dall’articolo 1, comma 3, del d.P.R. 34/2000, secondo il
quale, condizione necessaria e sufficiente ai fini della partecipazione
agli appalti di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro, è
il possesso dell'attestazione SOA, l'iscrizione all'Albo Nazionale dei
Gestori Ambientali è da considerarsi requisito di esecuzione e non di
partecipazione alla gara.
Sono, pertanto, conformi alla normativa di settore i bandi, come quelli
in esame, che subordinano la stipulazione del contratto all’acquisizione
dell’iscrizione al citato Albo: in tal modo si evita una ingiustificata
restrizione dell’accesso alla gara, in contrasto con l’art. 1, comma 4,
del citato d.P.R. 34/2000, secondo il quale le stazioni appaltanti non
possono richiedere ai concorrenti la dimostrazione della qualificazione
con modalità, procedure e contenuti diversi da quelli previsti dai
titoli I, III e IV.
Per quanto attiene alla clausola che riconosce la facoltà di far ricorso
all’avvalimento relativamente all’iscrizione all’Albo Nazionale dei
Gestori Ambientali, si evidenzia che l’avvalimento si realizza in
relazione ad elementi di capacità tecnica, funzionali all’esecuzione
dell’appalto: infatti, ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del d. Lgs.
n. 163/2006, il concorrente può fornire la richiesta relativa al
possesso dei requisiti economici, finanziari, tecnici, organizzativi
ovvero dell’attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei
requisiti di altro soggetto.
Giova richiamare, al riguardo, la decisione della Commissione europea
31.01.2008, che ha evidenziato come le Direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE
non pongono alcuna limitazione all’avvalimento, la cui unica condizione
è che il concorrente disponga delle capacità richieste per l’esecuzione
dell’appalto.
Così come è consentito l’avvalimento per il requisito dell’attestazione
della certificazione SOA, deve ritenersi consentito effettuare l’avvalimento
anche per l’iscrizione all’Albo di che trattasi, abilitazione che
riconosce ad un soggetto una specifica idoneità a svolgere una
determinata attività.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che i bandi in esame sono conformi alla normativa
di settore
(parere
21.05.2008 n. 165 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
In riferimento alla questione posta congiuntamente da amministrazione e
dalla Soc. Coop. a R.L. ONLUS Cultura Solidarietà per lo Sviluppo
relativamente alla posizione delle imprese che non hanno presentato le
dichiarazioni di inesistenza delle cause di esclusione di cui all’art.
38 D.Lgs. n. 163/2006, occorre distinguere le differenti fattispecie
previste dal citato articolo ed i soggetti, per ciascuna di esse,
chiamati obbligatoriamente a dimostrare la sussistenza di requisiti
morali richiesti.
L’art. 38, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 163/2006 prevede l’esclusione
dalle gare dei soggetti “nei cui confronti è pendente procedimento
per l'applicazione di una delle misure di prevenzione di cui
all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle
cause ostative previste dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n.
575”. Per tale fattispecie i soggetti tenuti a dimostrare l’assenza
delle citate cause ostative sono chiaramente indicati dalla seconda
parte della lettera b), la quale espressamente li riconduce a: “il
titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il
socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo,
i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in
accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di
rappresentanza o il direttore tecnico, se si tratta di altro tipo di
società”.
La lettera c) dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006) prevede l’esclusione
dalle gare dei soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata
sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di
condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della
pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura
penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che
incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la
condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di
partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode,
riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo
45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18”. Anche per la fattispecie
citata la norma prevede espressamente quali sono i soggetti cui
l’esclusione si applica, vale a dire: “nei confronti dei del titolare
o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o
del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei
soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in
accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di
rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di
società o consorzio”. Inoltre, solo per la fattispecie descritta dalla
lett. c) dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, l’esclusione e il divieto
operano anche “nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel
triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora
l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa
dissociazione della condotta penalmente sanzionata”.
Dunque, i soggetti obbligati a dimostrare l’assenza di cause di
esclusione sono chiaramente indicati dalle sopra citate disposizioni.
Sul punto deve osservarsi come il genere di dichiarazioni richieste
costituisca frutto di informazioni su qualità personali e sulle relative
vicende professionali e/o individuali dei soggetti muniti di poteri di
rappresentanza o dei direttori tecnici che, non necessariamente, possono
essere a conoscenza del rappresentante legale dell’impresa, trattandosi
di eventi (specie quelli connessi a procedimenti penali) che esulano da
fattori rientranti nella organizzazione aziendale, quindi non può
costituirsi un onere di conoscenza in capo al legale rappresentante
della stessa. E’ per tale ragione che le relative dichiarazioni devono
essere personalmente rese dagli interessati.
Una precisazione risulta necessaria in merito alle dichiarazioni dei
soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di
pubblicazione del bando di gara, nel caso in cui detti soggetti siano
divenuti irreperibili per l’impresa. In ordine a tale evenienza,
l’Autorità ha ritenuto, con deliberazione assunta nell’adunanza del 14
aprile 2004 e da ultimo con deliberazione n. 101/2007, che il legale
rappresentante possa rilasciare, “per quanto a propria conoscenza”,
specifica dichiarazione in ordine alla non sussistenza di sentenze
definitive di condanna nei riguardi di suddetti soggetti.
In applicazione della sopra citata ricostruzione normativa la
documentazione della gara in esame ha correttamente previsto all’art. 18
del bando di gara e all’art. 2 del disciplinare che “sono ammessi a
partecipare alla gara i soggetti di cui all’art. 34 del D.lgs. n.
163/2006 che non si trovano nelle condizioni di cui all’art. 38 del
medesimo decreto”. Inoltre, per maggiore chiarezza, l’Allegato A al
disciplinare di gara, contenente lo standard per la dichiarazione sul
possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità
al D.P.R. n. 445/2000, ha precisato che le dichiarazioni per le
fattispecie ricomprese nelle lettere b) e c) dell’art. 38 D.Lgs. n.
163/2006 “devono essere rese anche dai soggetti previsti dall’art.
38, comma 1, lett. b) e c) del D.Lgs. n. 163/2006 e dai procuratori
qualora sottoscrittori delle dichiarazioni costituenti documentazione
dell’offerta”. Alla luce di quanto evidenziato, non può ritenersi
che le disposizioni contenute nella lex specialis di gara non fossero
chiare o potessero dare adito a fraintendimenti a danno dei concorrenti
i quali, pertanto, erano tenuti in sede di presentazione dell’offerta, a
fornire quanto dettagliatamente richiesto, pena l’esclusione prevista
dall’art 24, comma 3, del bando di gara. Conseguentemente, la richiesta
integrazione documentale da parte della commissione di gara disposta in
favore delle ditte che non avevano presentato tutta la documentazione,
si pone in contrasto con la normativa di settore, nonché in violazione
del principio della par condicio dei concorrenti. Infatti, la
commissione di gara, all’esito della verifica sulla documentazione
amministrativa, avrebbe dovuto escludere le ditte partecipanti che
avevano omesso di presentare le dichiarazioni dei soggetti obbligati, a
seconda della forma societaria posseduta, dalla normativa di cui
all’art. 38, comma 1 lett. b) e c) del D.Lgs. n. 163/2006 e dalla lex
specialis di gara.
Venendo alla censura presentata dalla Soc. Coop. a R.L. ONLUS Cultura
Solidarietà per lo Sviluppo in ordine all’entità del contributo
all’Autorità che, secondo la società, sarebbe errato si rileva quanto
segue. Il bando della gara in esame prevede quale importo complessivo
dell’appalto a base di gara la cifra di euro 1.050.000,00. La stazione
appaltante, ai fini dell’individuazione dell’importo del contributo,
secondo le fasce indicate dall’Autorità nella propria deliberazione del
10.10.2007, ha effettuato il calcolo sulla base d’asta riferita ad un
solo anno. In realtà, secondo quanto previsto dall’art. 8 del bando di
gara la durata dell’appalto è di nove anni per un valore totale della
gara dunque di 9.450.000,00 euro. In ordine alla modalità di calcolo del
contributo, secondo quanto specificato nelle “Risposte ai quesiti
frequenti” pubblicate sul portale dell’Autorità viene precisato che
“deve essere preso in considerazione il valore complessivo
dell’affidamento: ai fini del versamento del contributo si dovrà quindi
calcolare l’importo totale presunto, per tutto il periodo
dell’affidamento, effettuando le opportune proporzioni per ricondurre
all'intera durata del contratto l’importo parziale posto a base di gara”
(Risposta 44). Pertanto la stazione appaltante avrebbe dovuto calcolare
il contributo sulla base dell’importo totale presunto al quale, dunque,
deve applicarsi la fascia di contributo prevista per importi posti a
base di gara pari ad oltre 5.000.000,00 euro che risulta ammontare a
euro 100.
Tutto ciò posto, deve tuttavia rilevarsi che, non avendo la stazione
appaltante provveduto a rettificare l’importo del contributo, non può
farsi ricadere tale negligenza in capo ai partecipanti alla gara, i
quali hanno considerato il bando di gara quale criterio esclusivo di
orientamento e la cifra in esso indicato l’importo effettivo da versare
la cui correttezza, peraltro, non poteva essere dalle imprese verificata
sul sito riscossione dell’Autorità. Sarà cura di quest’ultima
provvedere, ai sensi dell’articolo 4 della delibera 24.01.2008
“Riscossione coattiva e interessi di mora della delibera”, regolarizzare
la differenza dell’importo versato.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio Ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che:
- l’integrazione documentale richiesta dalla commissione di gara in
favore delle ditte che non hanno presentato la documentazione prevista
dall’art. 38, comma 1, lett. b) e c) D.Lgs. n. 163/2006 e dalla lex
specialis di gara, si pone in contrasto con la normativa di settore,
nonché in violazione del principio della par condicio dei concorrenti;
- l’importo del contributo indicato dalla documentazione di gara, pur
risultando errato, non può comportare l’esclusione delle ditte che lo
hanno versato
(parere
21.05.2008 n. 164 - link a massimario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA:
Se i lavori non sono terminati va dichiarato decaduto il relativo
permesso di costruire.
Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la pronuncia di
decadenza (ndr: del permesso di costruire), in mancanza di apposita
istanza di proroga, si qualifica come atto vincolato, a carattere
meramente dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del
verificarsi del presupposto di legge, costituito dal mancato
completamento dei lavori nel termine assegnato (C.d.S., sez. IV,
26.05.2006, n. 3196; Sez. V, 03.02.2000, n. 597)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.06.2008 n. 3030 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 21.08.2008 |
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dossier
CONSIGLIERI COMUNALI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso da parte dei consiglieri comunali (Prefettura
di Roma,
nota 01.09.2005 n. 45769 di prot.). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La
richiesta di accesso agli atti da parte di un consigliere comunale è
congruamente motivata con la sola precisazione che la richiesta di
accesso è avanzata per l’espletamento del proprio mandato.
L'art. 43, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 statuisce:
“I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli
uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro
aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro
possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti
al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.
Dal contenuto di tale norma emerge chiaramente che i consiglieri
comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere
d’utilità all’espletamento del loro mandato, senza alcuna limitazione.
Dal contenuto della stessa norma consegue, altresì, che una richiesta di
accesso avanzata da un consigliere comunale a motivo dell’espletamento
del proprio mandato risulta congruamente motivata e non può essere
disattesa dall’Amministrazione.
Poiché la surriportata norma attribuisce il diritto ai consiglieri
comunali di chiedere i documenti ravvisati utili all’espletamento del
mandato, la precisazione che la richiesta di accesso è avanzata per
l’espletamento del mandato basta a giustificarla, senza che occorra
alcuna ulteriore precisazione circa le specifiche ragioni della
richiesta.
Né, di contro a quanto sostenuto dall’appellante, il diritto di accesso
dei consiglieri comunali troverebbe un limite nel fatto che la norma “de
qua” abbia previsto tale diritto solo per le notizie e le informazioni
“utili” all’espletamento del mandato.
Allorché una richiesta di accesso è avanzata per l’espletamento del
mandato risulta, invero, insita nella stessa l’utilità degli atti
richiesti al fine dell’espletamento del mandato.
Il riferimento alle notizie ed alle informazioni “utili” contenuto nella
norma in esame, diversamente da quanto assunto dall’appellante, non
costituisce affatto una limitazione, se appena si considera l’intero
contesto della disposizione.
Il diritto di accesso è stato, infatti, attribuito ai consiglieri
comunali per “tutte le notizie e le informazioni …….utili
all’espletamento del proprio mandato” e, quindi, per tutte le
notizie ed informazioni ritenute utili, senza alcuna limitazione.
Dal termine “utili” contenuto nella norma in oggetto non consegue,
quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri
comunali, bensì l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato
utile all’espletamento del mandato.
Né l’appellante ha ragione nel sostenere che, comunque, il diritto di
accesso dei consiglieri comunali troverebbe un limite nei diritti
tutelati dall’ordinamento.
Siffatto limite all’accesso, operante in base alla disciplina posta in
via generale dagli artt. 22 e seguenti della L. 07.08.1990, n. 241, non
è, infatti, previsto per quanto concerne il diritto di accesso dei
consiglieri comunali e provinciali, disciplinato dall’art. 43, comma 2,
del D. Lgs. 18.08.2000, n. 267, che opera quale norma speciale.
Anzi il limite “de quo” risulta implicitamente escluso dalla detta norma
speciale, allorché i consiglieri chiedano l’accesso per l’espletamento
del proprio mandato, avendo essa prescritto: “Essi sono tenuti al
segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.
E’, invero, evidente che non vi sarebbe stata alcuna ragione di porre
tale prescrizione ove l’accesso dei consiglieri comunali e provinciali
non fosse stato previsto per tutti gli atti dei Comuni e delle Province
nonché delle loro aziende ed enti dipendenti, ivi compresi gli atti
riguardanti la riservatezza di terzi (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.05.2004 n. 2716 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
La richiesta di accesso agli atti da parte del consigliere
comunale deve essere determinata e non generica.
Il consigliere comunale che esercita il diritto di accesso "non è
tenuto a specificare i motivi della richiesta, né gli organi burocratici
dell'ente hanno titolo a richiederlo, perché in caso contrario questi
ultimi sarebbero arbitri di stabilire l'estensione del controllo sul
loro operato" (Consiglio di Stato, Sez. V, 26.11.2000, n. 5109).
Anche con riferimento alla richiesta di un consigliere comunale avanzata
ex art. 31 comma 5 della legge 08.06.1990 n. 142, "la richiesta di
accesso ai documenti della pubblica amministrazione deve essere
determinata e non generica, secondo quanto prescrive l'art. 3 comma 2
D.P.R. 27.06.1992 n. 352" (Consiglio di Stato, Sez. V, 08.09.1994,
n. 976). Ed inoltre, sempre con riferimento all'attività istituzionale
del consigliere comunale, come siano necessarie "per fondarne la
legittimazione all'accesso l'esternazione di tale qualifica, insieme
alla precisazione degli atti cui accedere" (Consiglio di Stato, Sez. V,
06.12.1999, n. 2046) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.11.2002 n. 6293 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier RINNOVO/PROROGA CONTRATTI |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: Proroghe
e rinnovi di contratti pubblici: la disciplina applicabile.
In linea di principio, il rinnovo o la proroga, al di fuori dei casi
contemplati dall'ordinamento, di un contratto d'appalto di servizi o di
forniture stipulato da un'amministrazione pubblica da luogo a una figura
di trattativa privata non consentita e legittima qualsiasi impresa del
settore a far valere dinanzi al giudice amministrativo il suo interesse
legittimo all'espletamento di una gara.
In tema di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è
alcuno spazio per l'autonomia contrattuale delle parti, ma vige il
principio che, salvo espresse previsioni dettate dalla legge in
conformità della normativa comunitaria, l'amministrazione, una volta
scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di
avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara (
salva la limitata proroga di cui sopra). Pertanto, allorquando un'
impresa del settore lamenti che alla scadenza di un contratto non si è
effettuata una gara, fa valere il suo interesse legittimo al rispetto
delle norme dettate in materia di scelta del contraente e l'eventuale
nullità o inefficacia della clausola contrattuale che preveda un rinnovo
o una proroga va accertata in via incidentale dal giudice
amministrativo, competente a conoscere in via principale della eventuale
lesione del predetto interesse legittimo (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
08.07.2008 n. 3391 - link a www.altalex.com). |
dossier SOTTOTETTI |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
recupero, in deroga al PRG, del sottotetto.
• il sottotetto può essere recuperato solo se esistente, ossia quando
esiste il rustico dell’edificio e il tetto è stabilmente completato. Il
recupero del sottotetto appartiene alla categoria dei lavori di
ristrutturazione, non a quella delle nuove costruzioni (art. 3, comma 2,
della LR 15.07.1996 n. 15);
• questo implica che il recupero del sottotetto deve avvenire con un
intervento edilizio separato e successivo rispetto a quello riguardante
la costruzione dell’edificio. In altri termini il recupero del
sottotetto non può essere equiparato a una variante in corso d’opera del
progetto originario (diversamente si trasformerebbe in una sorta di
bonus edificatorio utilizzabile per superare gli indici edilizi ai quali
è sottoposto il progetto originario);
• la materiale esistenza del sottotetto da recuperare (delimitato
stabilmente dal rustico e dal tetto) fa parte della disciplina
urbanistica al cui rispetto è subordinata l’ammissibilità della
sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001. Solo l’esistenza del sottotetto
consente infatti la deroga agli indici edilizi. Quando i lavori
presentati come recupero del sottotetto sono in realtà un’espansione del
progetto originario (scollegata da qualsiasi finalità di
ristrutturazione) la deroga non è più ammessa, e neppure la sanatoria
(TAR Lombardia-Brescia,
ordinanza sospensiva 11.03.2005 n. 343 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e
anteprima) |
PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
19.08.2008 n. 193 "Legge finanziaria 2008 - articolo 3, commi da 43 a
53 - ulteriori indicazioni" (Dipartimento Funzione Pubblica,
circolare 30.04.208 n. 6). |
APPALTI: G.U.
19.08.2008 n. 193 "Modificazione della deliberazione 24.01.2008,
concernente l’entità e le modalità di versamento del contributo a favore
dell’Autorità sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture" (Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture,
deliberazione 30.07.2008). |
APPALTI: G.U.
19.08.2008 n. 193 "Comunicato relativo alla trasmissione dei dati
utili per la redazione dei prospetti statistici" (Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture,
comunicato del Presidente 01.08.2008). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 34 del 19.08.2008, "Modalità e
procedure per la redazione e l'approvazione dei Piani di Indirizzo
Forestale"
(deliberazione
G.R. 24.07.2008 n. 7728 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 34 del 18.08.2008, "Determinazioni
in merito alla verifica della sussistenza dei requisiti di
organizzazione e di competenza tecnico-scientifica per l'esercizio delle
funzioni paesaggistiche (art. 146, comma 6 del d.lgs. n. 42/2004)" (deliberazione
G.R. 06.08.2008 n. 7977 - link a www.infopoint.it). |
NEWS |
EDILIZIA PRIVATA: Legge
Regionale 3 marzo 2006 n. 6 "Norme per l'insediamento e la gestione di
centri di telefonia in sede fissa" - Prime indicazioni (Giunta
Regionale Lombardia, Direzione Generale Sanità,
nota 05.06.2006 n. 27733 di prot.). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
APPALTI: L.
Bellagamba, La parziale incompatibilità con il diritto comunitario del
criterio dell’esclusione automatica, per importi d’affidamento inferiori
alla soglia, in attesa dell’entrata in vigore del terzo decreto
correttivo -
Il problema riguarda il criterio del prezzo più basso, sia per i lavori,
sia per servizi e forniture (link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: A. Barbiero,
Confermato divieto di rinnovo contratti appalto (con schemi)
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI: A.
Barbiero,
Sintesi su regolarità contributiva
(link a www.albertobarbiero.net.). |
INCENTIVO
PROGETTAZIONE: A.
Barbiero,
Disciplina incentivi progettazione
(link a www.albertobarbiero.net.). |
ENTI LOCALI: A.
Barbiero,
Regolamento uffici servizi incarichi l. 244/2007 (con schema)
(link a www.albertobarbiero.net.). |
ENTI LOCALI: A.
Barbiero,
Problematiche inerenti il personale ex legge 244/2007
(link a www.albertobarbiero.net.). |
EDILIZIA PRIVATA: A.
Barbiero,
Lavori a scomputo oneri urbanizzazione
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI: A.
Barbiero,
Le
innovazioni al Codice dei contratti pubblici
(link a www.albertobarbiero.net.). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: A.
Barbiero,
Procedure affidamento incarichi professionali
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI: A.
Barbiero,
Un
percorso per la verifica applicativa del Codice dei contratti
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI SERVIZI: A.
Barbiero,
Gestione gara appalti servizi allegato IIB
(link a www.albertobarbiero.net.). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: A.
Barbiero,
Affidamento incarichi: presupposti e percorso
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: A.
Barbiero,
Differenza tra proroga e rinnovo
(link a www.albertobarbiero.net.). |
ENTI LOCALI: A.
Barbiero,
Costituzione di Società patrimoniali
(link a www.albertobarbiero.net.). |
ENTI LOCALI: A.
Barbiero,
Concessione contributi di competenza dei dirigenti
(link a www.albertobarbiero.net.). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: A.
Barbiero,
Affidamento incarichi dopo la legge 311/2004 - con schema
(link a www.albertobarbiero.net.). |
ENTI LOCALI: A.
Barbiero,
Etica
e sponsorizzazioni degli Enti Locali
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: A.
Barbiero,
Determinazione acquisti beni e servizi
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI SERVIZI: A.
Barbiero,
Canone
per affidamento in gestione - con schema
(link a www.albertobarbiero.net.). |
ENTI LOCALI: A.
Barbiero,
Regolamento erogazione contributi - con schema
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: A.
Barbiero,
Gestione gara appalti beni o servizi - con schema
(link a www.albertobarbiero.net.). |
ENTI LOCALI: A.
Barbiero,
Revisione regolamento contratti - con schema
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI: A.
Barbiero,
Gestione istruttoria verifica offerte anomale (23.02.2004) - con schema
(link a www.albertobarbiero.net.). |
ENTI LOCALI: A.
Barbiero,
Assegnazione di contributi ad associazioni (con schema criteri)
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI: A.
Barbiero,
Percorso per valutazione anomalia offerte (con schema)
(link a www.albertobarbiero.net.). |
APPALTI: A.
Barbiero,
Composizione e attività commissione di gara (con schemi atti)
(link a www.albertobarbiero.net.). |
GIURISPRUDENZA |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Nei procedimenti ad istanza di parte non è richiesta la previa
comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990.
Nei procedimenti ad istanza di parte non è richiesta la previa
comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990,
in quanto non sussiste alcuna utilità pratica, né ragione di garanzia
del diritto di partecipazione, nel caso in cui il soggetto, proprio
perché ha dato di sua iniziativa impulso al procedimento, sia in grado
di vigilare e tutelare le proprie posizioni di interesse ai fini del
buon esito dello stesso (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV,
20.12.2005, n. 7257; Sez. VI, 16.01.2006 n. 73; TAR Lombardia, Milano,
08.03.2007 n. 372).
Né appaiono condivisibili le argomentazioni della ricorrente che,
ispirandosi tra l’altro ad una recente pronuncia (TAR Liguria,
31.05.2007 n. 1019) ritiene sussistente anche in tali casi l’obbligo di
comunicare l’avvio del procedimento, tenuto conto delle modifiche
intervenute con L. 11.02.2005 n. 15 che ha inserito, al secondo comma
dell’art. 8 della L. 241/1990, la lett. c–ter, secondo cui detta
comunicazione deve indicare “nei procedimenti ad iniziativa di parte, la
data di presentazione della relativa istanza”.
Non può difatti escludersi una diversa interpretazione della
disposizione novellata, secondo cui tale comunicazione di avvio del
procedimento va data non già all’istante, bensì ai soggetti diversi
individuati o individuabili che possano ricevere pregiudizio dal
provvedimento e che effettivamente hanno interesse a conoscere la “data
di presentazione dell’istanza” del richiedente. Tale indicazione è
viceversa superflua per il soggetto istante che normalmente sa quando ha
inoltrato la domanda e che (nei casi, per esempio di spedizione a mezzo
posta) potrebbe ricavare tale informazione “aliunde”, in base alla data
di conclusione del procedimento che deve essergli comunicata ai sensi
della lett. c–bis) dell’art. 8 L. 241/1990 (previsione che non si
riferisce espressamente ai procedimenti ad istanza di parte).
In altri termini, pur ritenendo che, per effetto della L. 15/2005, la
comunicazione di avvio del procedimento sia obbligatoria anche per i
procedimenti ad istanza di parte, non sussistono tuttavia elementi
univoci per ritenere che detta comunicazione debba essere indirizzata al
soggetto richiedente (non menzionato dall’art. 8 L. 241/1990 novellato)
e non piuttosto ai soggetti controinteressati (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 14.08.2008 n. 1973 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Anche
un solo esposto, in materia di inquinamento acustico, legittima
l'adozione dell'ordinanza ex art. 9 L. n. 447/1995.
L’art. 15 della legge regionale 13/2001, dopo aver attribuito ai comuni
e alle province l’attività di vigilanza e controllo in materia di
inquinamento acustico (comma 1°), ha cura di precisare che per tale
attività le Amministrazioni effettuano precise richieste all’ARPA (il
che è avvenuto nel caso di specie), <<privilegiando le segnalazioni,
gli esposti, le lamentele presentate dai cittadini residenti in ambiti
abitativi o esterni prossimi alla sorgente di inquinamento acustico>>
(comma 2°).
Ciò premesso, appare sufficiente anche la segnalazione di un solo
cittadino per consentire al Comune di intervenire per reprimere le
violazioni alla disciplina sull’inquinamento acustico, utilizzando a tal
scopo lo specifico –ed unico peraltro– strumento messo a disposizione
dalla legislazione speciale in materia (legge 447/1995), vale a dire
l’ordinanza di cui all’art. 9 della medesima legge 447/1995.
Del resto, la più recente giurisprudenza ha ammesso la legittimità di
un’ordinanza ex art. 9 citato anche se adottata a seguito di un esposto
di una sola famiglia (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 08.06.2006, n. 3340 e
sez. I, 24.01.2006, n. 488, nelle quali si mette altresì in luce come
l’art. 9 della legge 447/1995 rappresenti per così dire l’ordinario
rimedio in materia di inquinamento acustico, non prevedendo la citata
legge altri strumenti a disposizione delle Amministrazioni comunali e
TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27.12.2007, n. 6819).
Il potere di ordinanza comunale in materia costituisce espressione della
potestà regolatoria volta a conformare l’attività privata al rispetto
dei limiti di emissione acustica nell’ambito del territorio comunale;
tale potere conformativo può manifestarsi, come del resto è avvenuto
nella presente fattispecie, anche attraverso l’obbligo per il
responsabile delle immissioni rumorose di ridurre o rimodulare l’orario
della propria attività fonte delle suddette immissioni.
Neppure potrebbe sostenersi, come vorrebbero le ricorrenti, che il
Comune avrebbe dovuto ricorrere a rimedi alternativi rispetto alla
riduzione di orario: l’Amministrazione ha infatti imposto l’adozione di
adeguata misure di insonorizzazione, fermo restando, nelle more della
loro realizzazione, la variazione dell’orario di apertura.
La mancata previsione di un termine certo di durata degli effetti
dell’ordinanza impugnata non ne mina la legittimità: trattandosi di
ordinanza contingibile ed urgente ex art. 9 legge 447/1995, non appare
infatti illegittima la fissazione di un termine di efficacia subordinata
alla realizzazione, da parte del responsabile dell’inquinamento, delle
opere necessarie per il rispetto dei limiti di emissione sonora.
Il rispetto dei limiti differenziali di immissione di cui all’art. 4 del
DPCM 14.11.1997 riguarda tutte le attività che, per le proprie
intrinseche caratteristiche e per la struttura organizzativa necessaria
al loro svolgimento, sono idonee alla produzione di immissioni sonore
inquinanti. In tal senso l’attività di somministrazione di alimenti e
bevande, anche se svolta da enti asseritamente senza scopo di lucro, non
può sfuggire al necessario rispetto dei limiti di cui all’art. 4 del
DPCM 14.11.1997 (cfr. circolare del Ministero dell’Ambiente del
06.09.2004, punto 3 e, in giurisprudenza, TAR Basilicata, 02.01.2008, n.
5).
Se si tiene conto della finalità propria dell’ordinanza ex art. 9 legge
447/1995, come sopra esposto, non appare certo illegittimo un
provvedimento di limitazione dell’orario di un’attività di
somministrazione che, per le proprie caratteristiche di svolgimento,
comporta la produzione di immissioni rumorose anche nello spazio
immediatamente prospiciente all’ingresso del locale, vista addirittura
la sostanziale prosecuzione dell’attività oltre l’orario massimo di
chiusura (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 02.04.2008 n. 715 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
ritardato pagamento del contributo di costruzione comporta l’immediata
irrogazione delle sanzioni pecuniarie anche in presenza di garanzia
fideiussoria.
E’ pur vero che sulla specifica questione sia l’orientamento di questo
Consiglio che dei TAR non può dirsi univoco, essendosi talvolta
affermato in materia il dovere dell’Amministrazione di non aggravare la
posizione del debitore ai sensi dell’art. 1227 c.c. (V. la decisione di
questa Sezione n. 1001 del 03.07.1995 e TAR Veneto n. 342 del
09.02.2000), mentre in altre occasioni si è ritenuto che specifiche
clausole in tema di fideiussione (quali l’obbligo del garante di pagare
a seguito di semplice richiesta scritta del creditore e con rinuncia
alla preventiva escussione) possono valere solo a rendere il rapporto
fideiussorio autonomo rispetto al rapporto obbligatorio principale,
senza comportare il dovere dell’Amministrazione di chiedere prima
l’adempimento per poter poi applicare le relative sanzioni pecuniarie
(V. la decisione di questa Sezione n. 2072 del 10.12.1999 e TAR Lombardia,
Milano, sez. 2°, n. 1192 del 17.04.1999).
Ma recentemente, questa Sezione con le decisioni n. 1250 del 24.03.2005
e n. 6345 dell’11.11.2005 ha precisato che, in assenza di inadempimenti
imputabili all’Amministrazione idonei a configurare a suo carico una
responsabilità “da contatto” oppure di natura precontrattuale, il
richiamo all’art. 1227 c.c. è del tutto inconferente, essendo tale
disposizione riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio
e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura sanzionatoria,
come nel caso in esame.
Quest’ultima conclusione deve essere confermata.
Invero, pur in presenza di un contratto di garanzia cosiddetta autonoma,
con il quale il garante si obbliga ad eseguire la prestazione oggetto
della garanzia "a semplice richiesta" del creditore garantito, senza
opporre eccezioni attinenti alla validità, all'efficacia ed alla vicenda
del rapporto principale, anche in questa ipotesi il meccanismo
dell'adempimento del garante "a prima richiesta" scatta a seguito
dell'inadempimento dell'obbligazione principale, ancorché resti vietato
al garante di chiedere la preventiva escussione del debitore principale
(Cass. 18.11.1992 n. 12341, 03.11.1993 n. 10850, 17.05.2001 n. 6757) .
D'altronde, neppure con riguardo al regime ordinario delle obbligazioni
tra privati sarebbe pertinente il richiamo all’art. 1227 cod. civ.
Infatti, l'onere di diligenza che questa norma fa gravare sul creditore
non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio
credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare
esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo
adempimento della sua obbligazione (V. Corte cost. n. 308 del
14.07.1999).
Inoltre, non è dato ravvisare nel sistema di cui agli artt. 1936 ss.
cod. civ. alcun principio di preventiva doverosa escussione del
fideiussore alla scadenza del termine fissato per l'adempimento
dell'obbligazione garantita, che peraltro colliderebbe con le finalità
dell'istituto, inteso a rafforzare la garanzia del credito in funzione
di un interesse proprio e specifico del creditore.
In altri termini, ed in materia di obbligazioni “portable” quali quelle
pecuniarie, e con termine di adempimento che esonera dalla costituzione
in mora del debitore, il creditore è soltanto facultato ad attivare la
solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece
ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il
pagamento, ancorché tardivo, salva l'esistenza di apposita clausola in
tal senso (che dovrebbe essere accettata dall’Amministrazione), nella
specie non prevista.
Detto orientamento poi non è in contrasto con quanto ritenuto nelle
decisioni di questa Sezione n. 32 e n. 585 del 2003, in quanto queste si
riferiscono ad ipotesi di incertezza da parte dello stessa
Amministrazione in ordine all’an o al quantum del contributo, nella
specie insussistente.
L’applicazione della sanzione pecuniaria, per ritardato pagamento,
non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo
procedimento, trattandosi dell’applicazione ex lege di una sanzione
pecuniaria connessa al ritardato pagamento del contributo dovuto per il
rilascio della concessione edilizia (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.07.2007 n. 4025 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
opere eseguite con la D.I.A. devono essere conformi al PRG allo scadere
del 30° giorno.
La Sezione ha già statuito, in riferimento alla D.I.A., che “Poiché
la legge inibisce all'interessato l’avvio dell’attività edilizia fino a
quando non spiri infruttuosamente il termine concesso
all'amministrazione per disporre definitivamente il divieto della stessa
senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato, è al
momento di scadenza di tale termine che le opere devono risultare
conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella
adottata” (Sentenza Sezione 02/04/2004 n. 380) (TAR
Lombardia-Brescia,
ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
mutamento dell'uso funzionale (senza opere) di un immobile con un
maggior carico urbanistico sconta il pagamento degli oneri di
urbanizzazione.
Ad avviso della costante giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V –
26/07/1984 n. 592; TAR Catania – 31/07/1979 n. 408), il contributo per
oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché il
tipo di uso offre la giustificazione giuridica all’an debeatur, mentre
le modalità concrete dell’uso danno la ragione del quantum (Consiglio di
Stato, sez. V – 23/05/1997 n. 529).
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di
urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di
servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia
indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in
quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita
nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione
quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Sentenza Sezione
11/06/2004 n. 646; TAR Lombardia Milano, sez. II – 02/10/2003 n. 4502;
Consiglio Stato, sez. V – 25/05/1995 n. 822).
Il Collegio osserva, in termini generali, che il fondamento del
contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una
concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì
nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di
urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano
delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità
eque per la comunità (cfr. TAR Veneto, sez. II – 13/11/2001 n. 3699).
Pertanto, anche nel caso della modificazione della destinazione d'uso
cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto
che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza
tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e
quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il
mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico,
qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in
ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a
preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure
l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità
dell’operazione (cfr., in tal senso, sentenza Sezione 23/01/1998 n. 34).
Un diverso ragionamento sarebbe evidentemente inaccettabile, dal momento
che gli interessati sarebbero altrimenti indotti a chiedere ed ottenere
una concessione edilizia che sconta il pagamento di un minor contributo
per il basso carico urbanistico, per poi mutare liberamente la
destinazione d'uso originaria senza pagare i più elevati oneri che
derivano dal maggior carico urbanistico.
Nella specie il mutamento di destinazione –da residenziale a
direzionale– è riconducibile ad una classe diversa e più onerosa della
precedente tale che, se la concessione fosse stata richiesta fin
dall’origine per la nuova destinazione, avrebbe comportato un diverso e
meno favorevole regime contributivo urbanistico: ai fini del calcolo dei
cd. standard, uno studio per l’attività professionale di dottore
commercialista assume la consistenza di un distinto ed autonomo centro
d'attrazione, non riconducibile alle esigenze di normale vivibilità
delle zone residenziali, ed è pertanto fonte di un maggiore carico
urbanistico (Consiglio Stato – sez. V, 19.05.1998 n. 626).
A fronte dell’accertato mutamento di destinazione d’uso,
l’amministrazione ha legittimamente provveduto a calcolare di nuovo il
quantum dovuto in relazione al diverso carico urbanistico derivante
dall’insediamento di un’attività di tipo direzionale piuttosto che di
una residenza, tenuto presente che, come già illustrato, il contributo
di urbanizzazione non è geneticamente collegato al rilascio di una nuova
concessione edilizia, ma rappresenta la compartecipazione posta a carico
del titolare dell’alloggio alle utilità derivanti dalla presenza delle
opere di urbanizzazione (cfr. Sentenza Sezione 13/06/2002 n. 957) (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 10.03.2005 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 18.08.2008 |
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dossier
BOX |
EDILIZIA PRIVATA: Il
reperimento dei posti auto di cui all'art. 41-sexies della L. 1150/1942
va osservato anche nel caso di ristrutturazione edilizia che rende un
manufatto oggettivamente diverso da quello preesistente.
L'art. 41-sexies della legge urbanistica (introdotto dall’art. 18, della
L. 06.08.1967, n. 765 e, successivamente, modificato dall’art. 2, comma
2, della L. 24.03.1989, n. 122) dispone testualmente che “nelle nuove
costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse,
debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non
inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione”.
La finalità di tale disciplina sembra evidente: di far sì che dinanzi al
progressivo aumento del carico urbanistico sia garantito un numero
minimo di parcheggi, tali da soddisfare le esigenze basilari
dell'ordinata convivenza perseguita dalla disciplina urbanistica (TAR
Liguria, sez. I, 11.07.2007 , n. 1376).
Ora, interpretando tale normativa, la giurisprudenza ha già precisato
che se l’intervento di ristrutturazione edilizia conduce alla
realizzazione di un edificio da considerare come una “nuova costruzione”
rispetto a quella preesistente, si applica tale articolo 41-sexies sulla
necessità degli spazi da destinare a parcheggio (Cons. St., sez. V,
22.06.1998 , n. 92) e per “nuova costruzione” si intende non solo la
realizzazione di un manufatto su un’area libera, ma anche ogni
intervento di ristrutturazione che rende un manufatto oggettivamente
diverso da quello preesistente, in ragione dell’entità delle modifiche
apportate, tenendo presente che l’oggettiva diversità del manufatto si
ha anche per il solo fatto del mutamento della destinazione d’uso
implicante la variazione degli standard (TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 03.03.2006, n. 571).
Ciò posto, nella specie la concessione impugnata è stata assentita per
l’esecuzione dei lavori di sopraelevazione e di modifiche del piano
terra di un fabbricato plurifamiliare, per cui la nuova costruzione ha
comportato un aumento della volumetria del precedente fabbricato, con
conseguente aumento del carico urbanistico; sembra, pertanto, evidente
che avrebbe dovuto rispettarsi la norma in parola.
Il progettista, invero, al fine ottemperare a quanto disposto da tale
art. 41-sexies, ha previsto delle specifiche aree da destinare a
parcheggio, ma le ha localizzate -così come dedotto con quarto motivo-
su aree irraggiungibili per le autovetture.
Ora, se è pur vero che la normativa in parola stabilisce solo misure
quantitative degli spazi aventi tale destinazione, senza statuire alcuna
formalità in ordine alla localizzazione delle aree da asservire, onde i
parcheggi possono essere realizzati sia in luoghi interni all'edificio,
sia al suo piano terreno e perfino in aree esterne, anche se non
strettamente adiacenti al fabbricato (Cons. St., sez. V, 18.02.2003, n.
871), una volta effettuata tale scelta dal richiedente la concessione
l’Amministrazione, prima di assentire il titolo edilizio richiesto, deve
necessariamente verificare che gli appositi spazi da destinare a
parcheggi sia idonei allo scopo, cioè che siano collegati o siano
collegabili alla viabilità ordinaria, per poter così adempiere in
concreto alla specifica funzione sopra indicata.
Nella specie, come sopra esposto, l’attività istruttoria espletata
(versata in giudizio dal Comune nel rispetto del termine di venti giorni
liberi dall’udienza) ha però escluso che le aree prescelte fossero in
concreto raggiungibili dalle autovetture, per cui, in definitiva, sembra
evidente l’elusione della normativa contenuta nel predetto art.
41-sexies
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 29.07.2008 n. 702 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier
DISTANZE PARETI FINESTRATE |
EDILIZIA PRIVATA: Il
balcone aggettante deve essere conteggiato al fine del rispetto dei 10
mt. tra pareti finestrate.
I seguenti principi sono stati più volte affermati da questa Corte:
- nel calcolo delle distanze fra le costruzioni devono trascurarsi
soltanto quegli sporti che non siano idonei a determinare intercapedini
dannose o pericolose, consistendo in sporgenze di limitata entità, con
funzione meramente decorativa, mentre vengono in considerazione le
sporgenze costituenti, per i loro caratteri strutturali e funzionali,
veri e propri aggetti, implicanti, perciò, un ampliamento dell'edificio
in superficie e volume, come, appunto, i balconi formati da solette
aggettanti (anche se scoperti) di apprezzabile profondità, ampiezza e
consistenza (sentenze 27/07/2006 n. 17089; 31/05/2006 n. 12964;
25/03/2004 n. 5963; 02/10/2000 n. 13001; 18/06/1998 n. 5719);
- la concessione edilizia ha il limitato fine di rimuovere un ostacolo
pubblicistico alla esplicazione del diritto di edificare e la sanatoria
(cosiddetto condono edilizio) attiene esclusivamente alla
regolarizzazione delle opere dal punto di vista amministrativo, penale e
fiscale, senza però incidere nei rapporti fra privato costruttore e i
suoi vicini, che conservano il diritto di ottenere il risarcimento del
danno e, in ipotesi di violazione delle norme sulle distanze, la
riduzione in pristino (sentenze 23/11/1999 n. 12984; 22/07/1999 n. 7892;
22/03/1999 n. 2658);
- nell'ambito delle opere edilizie, la semplice "ristrutturazione" si
verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente
interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano (e,
all'esito degli stessi, rimangano inalterate) le componenti essenziali,
quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre
è ravvisabile la "ricostruzione" allorché dell'edificio preesistente
siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione,
dette componenti, e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle
stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie
dimensioni dell'edificio, e, in particolare, senza aumenti della
volumetria, né delle superfici occupate in relazione alla originaria
sagoma di ingombro. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in
ipotesi di "nuova costruzione", da considerare tale, ai fini del computo
delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli
strumenti urbanistici locali (sentenze 27/04/2006 n. 9637; 15/07/2003 n.
11027; 26/10/2000 n. 14128);
- in tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi
dell'art. 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo
calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume
edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché il D.M.
02.04.1968, art. 9, applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla
legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150, come modificata dalla L.
06.08.1967, n. 765, stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti
finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca
un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga
conto dell'estensione del balcone, è contra legem in quanto, sottraendo
dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare
una distanza tra fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco
voluto dalla cd. legge ponte (sentenza 27/07/2006 n. 17089)
(Corte di Cassazione, Sez. II penale, sentenza 20.06.2008 n. 16950). |
dossier
VINCOLO PAESAGGISTICO ED ESAME IMPATTO PAESISTICO |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'annullamento
dell'autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza.
Come già precisato dalla sezione (v. sent. n. 7086 del 07.8.2006),
costituisce ormai orientamento consolidato in giurisprudenza -formatosi
con riferimento a fattispecie, quale quella in esame, anteriori
all’entrata in vigore del nuovo codice dei beni culturali e del
paesaggio approvato con D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 (che all’art. 146, comma
12, pone il divieto, salve le deroghe ivi previste, di rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica successivamente alla realizzazione
degli interventi che, ovviamente, non è applicabile ratione temporis a
dette fattispecie)- quello secondo il quale, nel corso del procedimento
di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985,
l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico può
rilasciare in via postuma l’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della
legge n. 1497/1939 (alla data dell’impugnato provvedimento ai sensi
degli artt. 151 e 164 del D.Lgs. n. 490/1999), previa valutazione,
ovviamente, della compatibilità dell’intervento già realizzato con il
vincolo paesaggistico (cfr. Cons. St., VI, 16.11.2004 n. 7475; id.,
31.08.2004 n. 5723; id., 30.03.2004 n. 1695; id., 10.03.2004 n. 1205;
15.05.2003 n. 2653; id., 16.11.2000 n. 6130).
A tale conclusioni la predetta giurisprudenza, condivisa dal collegio, è
pervenuta nella considerazione che la possibilità della verifica ex post
della compatibilità paesaggistica e del conseguente rilascio della
relativa autorizzazione in via postuma, non è contraddetta né dalla
peculiarità della fattispecie né dal sistema normativo.
Quanto alla peculiarità della fattispecie va osservato che la
valutazione della compatibilità paesaggistica non muta se detta
valutazione venga fatta prima o dopo la realizzazione delle opere, nella
considerazione che o l’intervento è compatibile con il vincolo
paesaggistico ed allora tale compatibilità non muta se il parere viene
espresso prima o non lo è ed allora non potrà essere rilasciata
l’autorizzazione paesaggistica, non già perchè non richiesta
preventivamente, ma perché non avrebbe potuto essere rilasciata nemmeno
se richiesta tempestivamente.
Peraltro, la circostanza che detta autorizzazione venga richiesta
successivamente, se pure irrilevante ai fini dell’esercizio del potere
di cui sopra da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo,
non è priva di conseguenze negative per il trasgressore, atteso che
l’art. 15 della legge n. 1497/1939, di cui si dirà appresso, come
interpretato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez., IV,
15.11.2004 n. 7405 e 03.11.2003 n. 7047; sez., VI, 15.05.2003 n. 2653 e
03.04.2003 n. 1729), è applicabile anche agli illeciti formali, e cioè a
quegli interventi che, pur non incompatibili con il vincolo
paesaggistico, vengono sanzionati, in applicazione di detta norma, con
la sanzione pecuniaria per il solo fatto che l’autorizzazione
paesaggistica venga richiesta successivamente alla realizzazione delle
opere, anziché preventivamente.
Quanto al sistema normativo, si ribadisce anteriore all’entrata in
vigore del codice dei beni culturali e ambientali, il collegio osserva
che non risulta sussistere un espresso o implicito divieto normativo al
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ovvero un principio
generale, che precludano l’esercizio ex post del potere di tutela
paesaggistica.
Né detto principio generale può rinvenirsi in quello della tipicità
degli atti amministrativi, atteso che esso non preclude lo spostamento
in avanti dell’esercizio del potere amministrativo allorché, come nelle
fattispecie di cui trattasi, sia ancora possibile effettuare le
valutazioni che ne sono alla base.
Né l’affermata possibilità del rilascio dell’autorizzazione paesistica
in via postuma può ritenersi in contrasto con l’art. 15 della legge n.
1497/1939, il quale prevede l’applicazione di una sanzione alternativa
(la demolizione o il pagamento di una sanzione pecuniaria).
La predetta disposizione, anzi, rafforza la legittimità della tesi
giurisprudenziale sopra richiamata e condivisa dal collegio, atteso che,
ove venga deciso di applicare la sanzione pecuniaria, in luogo della
demolizione, sarebbe del tutto illogico negare il rilascio della
concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985,
posto che detto diniego comporterebbe necessariamente, stante l’assenza
di un titolo concessorio, l’adozione di un provvedimento di demolizione
dell’intervento realizzato, il quale si porrebbe in evidente
contraddizione con il meccanismo sanzionatorio di cui al citato art. 15,
che invece prevede la sanzione pecuniaria come alternativa alla
demolizione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 08.08.2008 n. 7838 e
sentenza
24.07.2008 n. 7393 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'annullamento
ministeriale dell'autorizzazione paesaggistica.
Ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990 e del d.m. 13.06.1994 n. 495,
deve ritenersi sussistente il diritto dell'interessato ad essere
avvisato dell'avvio del procedimento relativo all'adozione del
provvedimento ministeriale di annullamento delle autorizzazioni
paesaggistiche rilasciate ai sensi dell'art. 7 l. n. 1497 del 1939, in
quanto è conforme al pubblico interesse che l'amministrazione si
pronunci sulla base di ogni elemento fornito dall'interessato, il quale
può rappresentare all'organo statale che, pur se l'autorizzazione è
carente per difetto di motivazione, non sussistono ragioni sostanziali
per disporne l'annullamento (Consiglio Stato, sez. VI, 13.02.2001, n.
685).
Ciò perché, è stato ancora di recente ribadito dalla Sezione, con l'art.
4 regolamento n. 495 del 1994, il Ministero per i beni e per le attività
culturali si è autovincolato a dare al soggetto autorizzato la
comunicazione dell'avviso dell'avvio della fase del riesame, pur essendo
sufficiente un meccanismo (formula espressa apposta in calce al
documento comunicato all'interessato o altro mezzo) che assicuri il
raggiungimento dello scopo ovvero la c.d. conoscenza "aliunde"
dell'inizio del procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 22.09.2006, n.
5571).
Il decreto ministeriale in oggetto, secondo l’avviso della
giurisprudenza amministrativa, ha infatti ribadito un principio già
desumibile alla stregua dei canoni generali dell’ordinamento: si è
quindi in passato condivisibilmente rilevato che “il procedimento di
annullamento dell'autorizzazione paesaggistica anche se svolto in via di
autotutela è soggetto alla tutela garantistico-partecipativa di cui alla
l. n. 241 del 1990 (peraltro espressamente stabilita nel d.m. n. 495 del
1994, di attuazione della predetta legge), poiché, stante le
caratteristiche finalistiche di tale procedimento e le sue potenziali
(negative) influenze nell'ambito degli interessi del privato
destinatario del provvedimento, è certamente necessario (in attuazione
delle finalità garantistiche previste dalla legge) assicurare,
attraverso la preventiva comunicazione dell'avvio del procedimento, la
partecipazione di questi per rappresentare e tutelare i propri
interessi” (Consiglio Stato, sez. VI, 23.11.2004, n. 7685).
Nell’ambito della propria discrezionalità normativo/regolamentare, è
stato ivi fissato un termine a garanzia della effettività del
dispiegarsi dell’apporto collaborativo/defensionale del privato.
Può indubbiamente disquisirsi in ordine alla natura e tipologia del
termine ivi previsto: la disposizione non è infatti perspicua
nell’individuarne la natura, potendosi forse convenire, però, con la
tesi dell’amministrazione appellante secondo cui si è ivi individuato un
arco temporale massimo per la presentazione di memorie e documenti,
eventualmente suscettibile di riduzione.
In tale senso, si è in passato espressa la Sezione, affermando che, in
armonia con il dettato testuale della disposizione, “la previsione di
un termine per memorie e osservazioni al privato legittimato a
partecipare, pari a due terzi di quello fissato per la durata del
procedimento, non esclude la possibilità dell'amministrazione di
definire il procedimento in un momento anteriore alla scadenza.”
(Consiglio Stato , sez. VI, 21.09.1999, n. 1243).
E pur tuttavia, affinché la previsione normativa in oggetto si connoti
di effettività, e non rimanga vana espressione di un principio non
coniugato con le reali esigenze del privato, ritiene la Sezione di
potere affermare che la “riduzione” di tale termine possa avvenire
unicamente nel rispetto di particolari esigenze di urgenza che devono
essere puntualmente rappresentate dall’amministrazione (e che devono
effettivamente ricorrere, è ovvio, sotto il profilo oggettivo).
Del pari deve ritenersi che detto termine non possa essere talmente
ridotto da risultare incongruo e non garantire la possibilità per il
privato destinatario del provvedimento di controdedurre in fase
procedimentale, (come può altresì argomentarsi dal disposto di cui
all’art. 4 comma III del DM citato, di seguito richiamato)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.08.2008 n. 3869 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
competenza ministeriale ad annullare l'autorizzazione paesaggistica.
L’art. 159 del D. Lgs. 42/2004 per tempo vigente –come novellato dal D.
Lgs. 24/03/2006 n. 157– disponeva testualmente che “Fino alla
scadenza del termine previsto dall'articolo 156 ovvero, se anteriore,
all'approvazione o all'adeguamento dei piani paesaggistici,
l’amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione dà
immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni
rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall'interessato
nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La
comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali
costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti
della legge 07.08.1990, n. 241. Nella comunicazione alla soprintendenza
il Comune attesta di avere eseguito il contestuale invio agli
interessati”. Il citato art. 159 del D. Lgs. n. 42/2004 dispone
dunque che la comunicazione, da parte dell’Ente sub-delegato competente,
delle autorizzazioni rilasciate, deve essere inviata
“contestualmente......agli interessati, per i quali costituisce avviso
di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge
07.08.1990, n. 241”. La giurisprudenza ha puntualizzato che dal
tenore di tale disposizione emerge chiaramente la scelta operata in sede
legislativa nel senso di una sorta di “dualità” del procedimento
riguardante l’esame complessivo della conformità paesaggistica
dell’iniziativa edilizia: si possono infatti individuare una fase
iniziale culminante nell’autorizzazione, di competenza dell’Ente
territoriale delegato, ed una fase successiva di verifica del titolo
rilasciato –demandata all’autorità statale– con conseguente autonomia
del procedimento che si svolge innanzi a quest’ultima ed emersione di
connesse prerogative di partecipazione da attribuire specificamente al
soggetto interessato (cfr. Consiglio di stato, sez. VI – 02/11/2007 n.
5682).
Il controllo che compete all’autorità statale ad estrema difesa del
vincolo paesaggistico investe la legittimità del procedimento
autorizzatorio, e si concentra principalmente sull’esaustività della
documentazione allegata alla pratica già esaminata e vagliata dal
Comune, che ha poi emesso il provvedimento favorevole. Le integrazioni
documentali afferiscono ad eventuali carenze od omissioni riscontrate in
sede di trasmissione per posta alla Soprintendenza, mentre non possono
investire elaborati che il Comune non ha mai provveduto ad acquisire.
Sotto un profilo d’ordine generale (cfr. Consiglio di Stato, adunanza
plenaria – 14/12/2001 n. 9), l’autorità che esamina una domanda di
autorizzazione paesistica deve manifestare la piena consapevolezza delle
conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere nonché della
visibilità dell’intervento progettato nel più vasto contesto ambientale,
e non può fondarsi su affermazioni apodittiche, da cui non si evincano
le specifiche caratteristiche dei luoghi e del progetto; in secondo
luogo deve verificare se la realizzazione del progetto comporti una
compromissione dell’area protetta, accertando in concreto la
compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità dei valori
dei luoghi (cfr. sentenze Sezione 25/02/2008 n. 153; 06/05/2008 n. 483).
In relazione ai poteri al riguardo spettanti al Ministero, la pronuncia
richiamata ha sottolineato che il potere esercitato dall’amministrazione
statale sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità
regionale (o dalle autorità subdelegate) va definito in termini di
“cogestione dei valori paesistici”, espressione di amministrazione
attiva, nell’ambito di un unitario procedimento complesso all’interno
del quale l’autorità statale può annullare l’autorizzazione paesistica
(oltre che per il vizio di violazione di legge in senso stretto e per
quello di incompetenza) anche quando risulti un profilo di eccesso di
potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di
istruttoria, illogicità manifesta); la medesima autorità non può,
viceversa, annullare l’autorizzazione paesistica sulla base di proprie
considerazioni tecnico-discrezionali, contrarie a quelle effettuate
dalla Regione o dall’Ente subdelegato. Osserva altresì il Collegio che
il D.P.C.M. 12/12/2005 invocato dall’amministrazione prevede –al punto
2– i criteri per la redazione della relazione paesaggistica, la quale
deve dar conto “sia dello stato dei luoghi (contesto paesaggistico e
area di intervento) prima dell'esecuzione delle opere previste, sia
delle caratteristiche progettuali dell'intervento, nonché rappresentare
nel modo più chiaro ed esaustivo possibile lo stato dei luoghi dopo
l'intervento”. La documentazione deve indicare lo stato attuale del bene
paesaggistico interessato, gli elementi di valore paesaggistico in esso
presenti, nonché le eventuali presenze di beni culturali tutelati dalla
parte II del Codice, gli impatti sul paesaggio delle trasformazioni
proposte e gli elementi di mitigazione e compensazione necessari. La
relazione deve contenere anche tutti gli elementi utili
all’amministrazione competente per effettuare la verifica di conformità
dell'intervento alle prescrizioni contenute nei piani paesaggistici
urbanistici e territoriali ed accertare la compatibilità rispetto ai
valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo, la congruità con i
criteri di gestione dell'immobile o dell'area, la coerenza con gli
obiettivi di qualità paesaggistica
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
04.08.2008 n. 847 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
autorizzazioni paesaggistiche devono essere congruamente motivate.
Secondo un significativo orientamento giurisprudenziale, al quale il
Collegio ritiene di aderire, le autorizzazioni paesaggistiche, ancorché
abbiano natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari,
devono essere congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito
l’iter logico in base al quale le opere assentite sono state valutate
rispettose dei valori paesaggistici, stante la rilevanza costituzionale
di quest’ultimi. Da tale motivazione deve emergere l’apprezzamento di
tutti gli elementi di fatto rilevanti ed una analisi dell’incidenza
dell’intervento sui valori ambientali propri del contesto interessato,
nonché la non manifesta irragionevolezza della scelta di prevalenza di
un valore diverso da quello tutelato in via primaria (Cons. Stato, VI,
30/04/2002, n. 2315; idem, 29/05/2006, n. 3206; Cons. Stato, V,
29/05/2006, n. 3229; TAR Umbria, 21/12/2007, n. 1031; TAR Liguria, I,
19/12/2006, n. 1711).
Il controllo della Soprintendenza sul permesso rilasciato dal Comune si
estende a tutti i vizi di legittimità da cui può essere affetto l’atto
autorizzatorio, compreso il difetto di motivazione da cui, come visto,
risulta inficiata la validità del provvedimento comunale (Cons. Stato,
VI, 28/06/2004, n. 4615)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 29.07.2008 n. 1834 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e
anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA: G.U.
14.08.2008 n. 190 "Attuazione della direttiva 2003/4/CEE sull’accesso
del pubblico all’informazione ambientale abrogando, nel contempo, il
decreto n. 39 del 24.02.1997 concernente la libertà di accesso
alle informazioni in materia di ambiente (Direttiva n. 90/313/CEE)"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,
circolare 04.08.2008). |
PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
12.08.2008 n. 188 "Legge 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria
2008) - Linee guida ed indirizzi in materia di mobilità"
(Dipartimento della Funzione Pubblica,
circolare
18.04.2008 n. 4/2008). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI:
DIVIETO DI RINNOVAZIONE DI UN CONTRATTO DI APPALTO E OBBLIGO DI INDIRE
UNA NUOVA GARA (link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: DECORSO
DEL TERMINE DI IMPUGNAZIONE A SEGUITO DEL VERBALE DI ESCLUSIONE DI
UN’IMPRESA (link a www.mediagraphic.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: ANNULLAMENTO
DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI (link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: La
possibile presentazione di una sola copia di documento di identità per
una pluralità di dichiarazioni
(link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI: SERVIZI
DI CUI ALL’ ALLEGATO IIB DEL CODICE DEI CONTRATTI: TERMINI DI SCADENZA (link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: Quando
può essere svincolata la cauzione provvisoria senza che tale richiesta
incida su eventuali futuri ricorsi?
(link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI: I
REQUISITI PER POTER RIAFFIDARE IL SERVIZIO
(link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
CRITERI DI SELEZIONE E DI AGGIUDICAZIONE DI UN APPALTO PUBBLICO
(link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Può la Stazione Appaltante richiedere in una gara requisiti ulteriori e
più restrittivi di quelli previsti dalla legge? (link a
www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
E'
ammessa l'integrazione documentale? (link a
www.mediagraphic.it). |
ENTI LOCALI:
C. Dani,
La firma
digitale nella pubblica Amministrazione (link a
www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Rossi,
Incarico di
consulente tecnico di parte conferito ad un dirigente dell'Ente: le
indicazioni della Corte dei conti (link a www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
C. Geniale,
La qualità
nella pubblica Amministrazione locale: un possibile percorso operativo
(link a www.noccioli.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Petrina,
Iure
condendo qual è il valore giuridico del parere del segretario comunale?
(link a www.noccioli.it). |
APPALTI:
M. Petrulli,
La figura
del membro supplente nelle commissioni di gara, alla luce della
giurisprudenza più recente (link a www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
C. Dani,
L'indagine di customer satisfaction in una pubblica amministrazione.
Sviluppare le qualità dei servizi al cittadino (link a
www.noccioli.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. Petrulli,
L'accesso
agli atti amministrativi dei consiglieri comunali (link a
www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
M. Petrulli,
Sulle
conseguenze che la cessazione dalla carica di Sindaco comporta sulle
nomine effettuate durante il mandato elettivo (link a
www.noccioli.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: C. Castelli,
Gli
affidamenti di incarichi esterni da parte degli enti locali dopo la
legge finanziaria 2008- regolamentazione, programmazione, pubblicità
(link a www.noccioli.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Marziali,
Il codice
dei beni culturali. Il procedimento di autorizzazione in via transitoria
(link a www.noccioli.it). |
APPALTI:
A. Ghiribelli,
Il
contenzioso costituzionale in materia di appalti alla luce della
sentenza della Corte costituzionale n. 401/2007 (link a
www.noccioli.it). |
ESPROPRIAZIONE:
S. Marziali,
Il piano
particellare di esproprio (link a www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
T. Romei e M. Romei,
Chi
sostituisce il Sindaco ed il Vicesindaco in caso di assenza o
impedimento temporaneo e di sospensione? (link a
www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
G. Niccodemi,
Il ricorso
al contratto di sponsorizzazione negli enti locali (link a
www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
L. Del Frate,
Ancora
sulla «pregiudizialità del giudizio di annullamento dell'atto
amministrativo illegittimo» (link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
I. R. Pulli,
Il
contemporaneo utilizzo, da parte di due enti locali, dello stesso
dipendente (link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
F. Mascagni,
Il ruolo
del dirigente pubblico quale garante dell'imparzialità amministrativa
alla luce sentenze della Corte Costituzionale n. 103 e n. 104 del
23.03.2007 (link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Rossi,
L'applicazione degli istituti del comando e del distacco ai dipendenti
pubblici del comparto regioni-autonomie locali (link a
www.noccioli.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
A. Ghiribelli,
Il diritto
di accesso all'informazione ambientale (link a
www.noccioli.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. Stefanacci, Legge n. 239/2004 di riordino del servizio energetico:
la
questione della partecipazione a gara d'appalto di società affidataria
della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
infrastrutturali nel territorio cui l'affidamento si riferisce e per la
propria durata (link a www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
A. Ghiribelli,
La potestà
statutaria e regolamentare del Comune (link a
www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
L. Zoppi,
Considerazioni in merito al demansionamento del dipendente non dirigente
dell'Ente locale privato dell'esercizio delle funzioni dirigenziali
(link a www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
M. Rossi,
Per
un'applicazione uniforme delle disciplina del buono pasto tra dipendenti
e dirigenti del Comparto Regioni e Autonomie locali (link a
www.noccioli.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
J. Bernò,
Il delicato
rapporto fra trasparenza e riservatezza nella P.A. (link a
www.noccioli.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. Stefanacci,
Diritto di
accesso tra nuova legge statale e autonomia locale (link a
www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Rossi,
Per
un'applicazione del diritto allo studio senza eccezioni (link
a www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
M. Stefanacci,
Quale
contratto di locazione per l'Ente Locale conduttore? (link a
www.noccioli.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
F. Mascagni, La riforma del procedimento amministrativo operata dalla
legge 11.02.2005, n. 15:
prime
riflessioni relative ad alcuni strumenti di valorizzazione della
partecipazione procedimentale e sull'efficacia ed invalidità del
provvedimento amministrativo (link a www.noccioli.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
M. Stefanacci,
Privacy,
diritto di accesso e pubblica Amministrazione (link a
www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
A. Ghiribelli,
Alcuni
aspetti problematici relativi all'istituto delle ferie alla luce della
nuova disciplina di riforma dell'orario di lavoro (link a
www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
P. F. Puggelli,
Il
Segretario dell'ente pubblico: cenni di storia recente e rapporti con il
Direttore generale (link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Rossi,
Brevi
riflessioni sull'applicazione al Comparto Regioni-Autonomie locali della
disciplina dell'orario del lavoro prevista dal D.L.vo 08.04.2003 n. 66
(link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
D. Palmieri,
Alcune
considerazioni in merito al trasferimento del dirigente sindacale in
assenza di nulla osta della organizzazione di appartenenza (link
a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
A. Ghiribelli,
Il fenomeno
del mobbing nelle pubbliche amministrazioni (link a
www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
L. Del Frate, Il sistema delle responsabilità pubbliche nell'ambito
dell'organizzazione dell'ente locale:
-
1^parte
-
2^ parte
(link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Rossi,
Proposte
per una corretta applicazione del trattamento di trasferta ai dipendenti
degli enti locali (link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
D. Palmieri,
Diritto
d'accesso e progressioni orizzontali alla luce della recente sentenza
del TAR Toscana n. 6234/2003 (link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
E. Budillon,
Alte
professionalità: prime considerazioni generali ed applicative
(link a www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
P. Pupo,
Sulla
partecipazione degli amministratori alla delegazione trattante di parte
pubblica in sede di contrattazione decentrata integrativa -
Aspetti problematici, profili patologici ed evoluzione della disciplina
dal D.L.vo 03.02.1993, al n. 29, al CCNL del comparto regioni-enti
locali per il quadriennio normativo 2002/2005 (link a www.noccioli.it). |
PUBBLICO IMPIEGO:
M. Rossi,
Le assenze
per visite mediche, prestazioni specialistiche e accertamenti
diagnostici effettuati durante l'orario di lavoro (link a
www.noccioli.it). |
ENTI LOCALI:
K. Garifo,
Diritto di
assemblea: esercizio congiunto o disgiunto da parte della RSU?
(link a www.noccioli.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI SERVIZI:
Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione riguarda la legittimità, nella
procedura in esame, della mancata previsione, tra i requisiti di
partecipazione, dell’iscrizione all’Albo di cui all’art. 53 del D.Lgs.
446/1997, che dispone l’iscrizione dei soggetti che eseguono attività di
liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e di tutte le altre
entrate.
Al fine di poter trattare la problematica rappresentata, occorre
individuare esattamente qual’è l’oggetto dell’appalto in questione ed in
particolare in quali attività esso si articola.
Secondo quanto risulta dalla lettera di invito inviata alla società
istante, l’appalto ha ad oggetto il servizio per la rilevazione della
velocità di tipo mobile attraverso il noleggio e la gestione
dell’apparecchiatura. Inoltre, l’attività richiesta alla ditta
aggiudicataria ricomprende la cura della parte sanzionatoria delle
violazioni rilevate sino alla formazione dei ruoli, ivi comprese le
bozze di controdeduzioni per i ricorsi al Prefetto e le opposizioni al
Giudice di Pace. Lo spettro, dunque, delle attività che formano oggetto
dell’affidamento è molto vario ed eterogeneo in quanto si compone, sia
di attività che non rilevano ai fini erariali, nel caso della fornitura
e gestione dell’apparecchiatura per la rilevazione della velocità delle
autovetture; sia di attività che riguardano la cura della parte
sanzionatoria delle violazioni del Codice della strada rilevate.
Queste ultime attività, ricomprendendo la cura della parte sanzionatoria
delle violazioni rilevate sino alla formazione dei ruoli, vanno, come è
stato osservato dalla giurisprudenza amministrativa, ad innestarsi nel
processo di gestione delle entrate del Comune. In particolare è stato
evidenziato come esse costituiscano fasi del complesso procedimento di
accertamento che consente all’ente locale di verificare le ragioni del
suo credito e la sussistenza di un idoneo titolo giuridico, nonché di
individuare il debitore e di quantificare la somma da incassare. Da qui,
l’impossibilità di affidare tali prestazioni a soggetti diversi da
quelli indicati tassativamente dall’art. 52, comma 5, D. Lgs. n 446/1997
(TAR Campania n. 2638/2001 confermato dal Cons. di Stato, 31.05.2005, n.
5271). Le fattispecie esaminate dalle sentenze richiamate avevano ad
oggetto il recupero di evasione dei tributi ICI e TARSU e la
individuazione delle posizioni irregolari ai fini ICIAP e TOSAP passi
carrabili. In ogni caso è possibile estendere il principio enunciato
anche alla procedura in esame, in quanto i proventi derivanti dalle
sanzioni irrogate per la violazione di norme del codice della strada
sono stati ricondotti nell’alveo delle entrate comunali e nella sfera di
applicazione prevista dall’art. 52 del D.Lgs 446/2002 (sul punto TAR
Campania, n. 17907/2004).
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene che la
documentazione di gara non risulta essere conforme alla normativa
vigente di settore in quanto non ha previsto, tra i requisiti di
partecipazione, l’iscrizione all’albo dei soggetti privati abilitati ad
effettuare attività di liquidazione e di accertamento di tributi e
riscossione tributi ed altre entrate delle Province e dei Comuni ai
sensi dell’art. 53 del D.Lgs. 446/97 (parere
21.05.2008 n. 163 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
Nonostante la prima lettera dell’amministrazione alla Ditta richiami,
pur senza citarne espressamente gli estremi, il disposto dell’art. 38
comma 1, lett. g) ed i), che nello specifico risulterebbe inconferente
in quanto le relative violazioni risultano commesse dal direttore
tecnico e non dal legale rappresentante, il verbale del 04.03.2008,
debitamente notificato alla Ditta, chiarisce che l’esclusione è stata
operata ai sensi della lettera c) (reati gravi che incidono sulla
moralità professionale).
Occorre pertanto esaminare come il caso di specie si collochi
nell’ambito dell’articolo 38, comma 1, lettera c), del d. Lgs. n.
163/2006.
Preliminarmente, quanto all’estinzione dei reati, va segnalato l’avviso
della Cassazione secondo cui la situazione di fatto da cui origina la
causa di estinzione del reato per divenire condizione di diritto
abbisogna, per espressa statuizione di legge, dell’intervento
ricognitivo del giudice dell’esecuzione il quale è tenuto,
nell’assolvimento di un suo preciso dovere funzionale, ad emettere il
relativo provvedimento di estinzione ai sensi dell’art. 676 c.p.p. (Cass.,
sez. IV pen., 27.02.2002, n. 11560).
In precedenti espressioni di parere, l’Autorità, nell’affrontare la
fattispecie ha ritenuto che, ai sensi del citato articolo 38, ciò che
rileva, ai fini dell’esclusione, è il concetto di immoralità
professionale, e pertanto occorre che il reato ascritto sia idoneo a
manifestare una radicale e sicura contraddizione con i principi
deontologici della professione (Cons. Stato, sez. V, n. 349/2006; Cons.
Stato, sez. V, n. 1145/2003).
E’ giurisprudenza costante quella per cui, non essendo indicati dalla
norma i reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale
delle imprese partecipanti alle gare di appalto, spetta
all’Amministrazione appaltante stabilire, motivatamente, se il reato per
il quale il soggetto è stato condannato provoca, secondo il comune e
ragionevole convincimento, una obiettiva incisione sulla affidabilità
del condannato, sia sul piano morale, sia sul piano professionale tale
da determinare l’esclusione dalla gara (per tutte Consiglio di Stato,
Sez. V, 22.02.2007 n. 945). Tale orientamento era stato, peraltro,
assunto da questa Autorità già con determinazione n. 13/2003 nella quale
veniva evidenziato come le amministrazioni dovessero, nel valutare
l’affidabilità morale e professionale del contraente, considerare tutti
gli elementi che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad.
es. l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso
dalla condanna, le eventuali recidive.
La mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della
prescrizione normativa lasciano un ampio spazio di valutazione
discrezionale per la stazione appaltante, che consente alla stessa
margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle
singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi
delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale.
Conseguentemente, è la stazione appaltante a dover valutare
discrezionalmente l'incidenza di una condanna sulla moralità
professionale dell'appaltatore, con riferimento al tipo di reato
commesso, e fornendo, in relazione alla decisione adottata, adeguata e
congrua motivazione.
Pertanto, i margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del
potere discrezionale dell’Amministrazione non consentono alla stazione
appaltante di prescindere dal dare contezza di aver effettuato una
concreta valutazione dell’incidenza della condanna sul vincolo
fiduciario, mediante una accurata indagine della rispondenza della
fattispecie di reato a tutti gli elementi che delineano l’ipotesi di
esclusione individuata dall’articolo 38, comma 1, lettera c) del d. Lgs.
n. 163/2006.
Nella questione in esame, la copiosità dei provvedimenti penali e la
tipologia dei reati ascritti a carico del direttore tecnico, la
reiterazione delle stesse fattispecie nel corso degli anni, nonché la
mancanza del provvedimento di estinzione dei reati, consentono di
ritenere che la commissione di gara abbia effettuato una valutazione
tale da ritenere sussistente “l’immoralità professionale” del
concorrente.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che è conforme all’articolo 38, comma 1, lettera
c) del d. Lgs. n. 163/2006, l’esclusione dell’impresa Ditta Azzurra
s.r.l.
(parere
21.05.2008 n. 162 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
La procedura ristretta semplificata, di cui all’articolo 123 del d. Lgs.
n. 163/2006, è una speciale procedura che consente alle amministrazioni,
per gli appalti di importo inferiore a 750.000 euro, di invitare a
presentare offerta, senza procedere a pubblicazione di bando, almeno
venti concorrenti individuati tra gli operatori iscritti ad appositi
elenchi, annualmente formati sulla base delle domande avanzate dalle
imprese interessate, in considerazione della programmazione annuale
degli appalti predisposta dalla S.A.
Tali disposizioni, che consentono di limitare la partecipazione alle
gare, rivestono, invero, carattere sostanzialmente derogatorio rispetto
alla disciplina ordinaria, che, all’articolo 55, comma 6, del d. Lgs. n.
163/2006, dispone che “alle procedure ristrette, sono invitati tutti i
soggetti che ne abbiano fatto richiesta e che siano in possesso dei
requisiti di qualificazione previsti dal bando.”
Il citato articolo 123, disciplina la procedura per la formazione
dell’elenco degli operatori che verranno successivamente inviatati a
presentare offerta: in particolare, i commi 10 e 12, dispongono,
rispettivamente, che l’ordine di iscrizione è stabilito mediante
sorteggio e che gli operatori economici sono invitati secondo l’ordine
di iscrizione e possono ricevere ulteriori inviti solo dopo che sono
stati invitati tutti i soggetti inseriti nell’elenco.
Si evidenzia che le riportate disposizioni, che si accompagnano ad altre
stringenti norme dettate per la costituzione dell’elenco di che
trattasi, quali ad esempio il numero massimo di elenchi per i quali i
concorrenti possono presentare domanda di iscrizione, ovvero il divieto
di presentare domanda di iscrizione allo stesso elenco sia in forma
individuale, sia in forma di componente di un consorzio o di un
raggruppamento, sono finalizzate al rispetto della trasparenza, della
concorrenza e della par condicio.
Per quanto attiene alla questione sollevata dall’impresa istante, si
deve rilevare che sicuramente il numero (20) di imprese da invitare,
individuato dal legislatore, costituisce un numero minimo, potendo la
stazione appaltante ampliare il numero dei concorrenti; tuttavia, una
volta deciso di utilizzare il modello della procedura ristretta
semplificata, l’amministrazione aggiudicatrice non avrebbe potuto non
applicare le specifiche disposizioni di cui all’articolo 123 del Codice
dei contratti, in particolare per quanto attiene all’automatismo di
individuazione dei soggetti da invitare, in base al quale gli operatori
economici sono invitati secondo l’ordine di iscrizione.
Non sussiste, pertanto, una discrezionalità della S.A. nella scelta
degli operatori da invitare.
Si deve infine far presente che, giusto quanto disposto dal citato comma
12, gli operatori possono ricevere ulteriori inviti solo dopo che sono
stati invitati tutti i soggetti inseriti nell’elenco. Se il Comune
avesse dato seguito alla richiesta dell’impresa, una volta arrivato il
momento di essere invitata ad una successiva gara programmata, secondo
lo scorrimento dell’elenco, l’impresa stessa si sarebbe trovata a
ricevere un invito prima che fossero stati invitati tutti i soggetti
inseriti nell’elenco.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che l’operato del Comune di Volpago di Montello è
conforme alla normativa di settore
(parere
21.05.2008 n. 161 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
L’Autorità con parere n. 118 del 17.04.2008 ha chiarito che la mancata
indicazione del prezzo complessivo offerto e del conseguente ribasso
percentuale in calce alla lista delle lavorazioni non comporta
l’esclusione dell’impresa, nel caso in cui detti elementi siano comunque
stati dichiarati dall’offerente nella dichiarazione di offerta, allegata
alla lista delle lavorazioni.
Nel caso in esame il plico della busta “B” (offerta economica)
presentata dall’ATI conteneva l’offerta sottoscritta dal legale
rappresentante con l’indicazione della percentuale di ribasso, nonché la
Lista delle lavorazioni e forniture con l’indicazione del prezzo
complessivo offerto in cifre e in lettere ed il conseguente ribasso
percentuale.
I due documenti (offerta e lista), contenuti nello stesso plico ed
entrambi sottoscritti dal legale rappresentante dell’ATI, ben potevano
integrarsi a vicenda.
Infatti, la mancata indicazione del prezzo complessivo nella
dichiarazione di offerta non può comportare l’estromissione dalla gara:
“la mancata indicazione del prezzo complessivo, facilmente determinabile
da una semplice operazione aritmetica non può essere sanzionata in ogni
caso in modo più rigoroso della errata indicazione del medesimo”(TAR
Sicilia, Palermo, sez. I 09/11/2005 n. 4992; TAR Campania,Napoli, sez.
VIII 13/06/2007 n. 6098).
Per quanto sopra riportato, l’esclusione dell’ATI IDROELETTRICA
SRL-TARSA PETROLI SAS DI MARCHESE non è conforme alla normativa di
settore.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che l’esclusione dell’ATI IDROELETTRICA SRL-TARSA
PETROLI SAS DI MARCHESE non è conforme alla normativa di settore
(parere
21.05.2008 n. 160 - link a massimario.avlp.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Ritenuto in diritto:
Per la soluzione del caso in esame si deve innanzi tutto chiarire che ai
sensi dell’articolo 37, comma 6, del d. Lgs. n. 163/2006, nei
raggruppamenti temporanei di tipo verticale, i requisiti di
qualificazione devono essere posseduti dal mandatario per i lavori
riconducibili alla categoria prevalente, per il relativo importo; per i
lavori scorporati ciascun mandante deve possedere i requisiti previsti
per la categoria scorporabile e nella misura indicata per il concorrente
singolo. I lavori riconducibili alla categoria prevalente ovvero alle
categorie scorporate possono essere assunti anche da imprenditori
riuniti in raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale.
L’associazione temporanea di tipo misto è, quindi, una associazione di
tipo verticale in cui o la mandataria è costituita da un sub
associazione orizzontale e le mandanti sono anch’esse sub associazione
orizzontale per ognuna delle categorie scorporabili ovvero solo le
mandanti sono in sub associazione orizzontale.
Sulla base di detta disposizione, pertanto, sono ammessi a partecipare
alla gara in esame anche i raggruppamenti di tipo misto, pur nel
silenzio del bando, in applicazione del principio di eterointegrazione,
in base al quale le disposizioni dei bandi di gara devono ritenersi
integrate con le norme di legge aventi valore imperativo, senza
necessità di un specifico rinvio.
La problematica concernente la qualificazione delle associazioni di tipo
misto, è stata affrontata dall’Autorità con la determinazione n.
25/2001, nella quale ha chiarito che nelle associazioni temporanee di
tipo misto:
A) la mandataria deve possedere la qualificazione per la categoria
prevalente per una classifica adeguata almeno al 40 per cento
dell'importo cui deve far fronte l'intera sub associazione orizzontale,
mentre la mandante che assume l'esecuzione di lavorazioni della
categoria prevalente deve possedere la qualificazione per la categoria
prevalente per una classifica adeguata almeno al 10 per cento
dell'importo cui deve far fronte l'intera sub associazione orizzontale,
fermo restando la copertura dell'intero importo della categoria
prevalente;
B) l’importo della categoria scorporabile può essere coperto da più di
una mandante a condizione che almeno una di esse sia qualificata per
almeno il 40 per cento dell’importo e le altre per il 10 per cento,
fermo restando la copertura dell’intero importo della categoria
scorporabile.
Relativamente all’applicazione del beneficio dell’incremento di un
quinto, la citata determinazione n. 25/2001, ha specificato che “non
vi può essere dubbio in merito al fatto che la disposizione (articolo 3,
comma 2, del dpr 34/2000) -che permette alle imprese associate o
consorziate di considerare, qualora qualificate per almeno un quinto
dell’importo complessivo a base di gara, la propria classifica
incrementata di un quinto- è applicabile anche alle associazioni di tipo
verticale o misto. In tal caso, però, è evidente che la suddetta
condizione di qualificazione per un quinto dell’importo complessivo
dell’appalto va riferita ai singoli importi della categoria prevalente e
delle categorie scorporabili.”
Nel caso in esame le associazioni temporanee interessate dal
provvedimento di esclusione, hanno dichiarato le seguenti composizioni e
quote:
- ATI Costruzioni Ruberto s.r.l./Magurno Saturnino:
¤ mandataria Costruzioni Ruberto, in possesso di categoria prevalente,
classifica III, quota lavori 100% e categoria scorporabile classifica I,
quota lavori 65% (€ 305.431,015);
¤ mandante Magurno Saturnino, in possesso di categoria scorporabile
classifica I, quota lavori 35% (€ 164.462,854);
- ATI Costruzioni Moviter s.r.l./Barone Costruzioni s.r.l.:
¤ mandataria Costruzioni Moviter, in possesso di categoria prevalente
classifica III, quota lavori 100% e categoria scorporabile classifica I,
quota lavori 65,94% (€ 309.848,017);
¤ mandante Barone Costruzioni, in possesso di categoria scorporabile
classifica IV, quota lavori 34,06 (€ 160.045,852);
- ATI Cosmarini s.r.l./Telesca s.r.l.:
¤ Mandataria Cosmarini, in possesso di categoria prevalente classifica
III, quota lavori 100% e categoria scorporabile classifica I, quota
lavori 60% (€ 281.936,322);
¤ Mandante Telesca, in possesso di categoria scorporabile classifica I,
quota lavori 40% (€ 187.957,548);
- ATI Opsa Costruzioni s.a.s./Savi s.a.s./Ciaglia Costruzioni s.r.l.:
¤ mandataria Opsa Costruzioni, in possesso di categoria prevalente
classifica III, quota lavori 60% (€ 570.711,168);
¤ mandante Savi, in possesso di categoria prevalente classifica IV,
quota lavori 40% (€ 380.474,112) e categoria scorporabile classifica I,
quota lavori 60% (€ 281.936,322);
¤ mandante Ciaglia Costruzioni, in possesso di categoria scorporabile
classifica I, quota lavori 40% (€ 187.957,548);
Pertanto, applicando le sopra riportate disposizioni legislative e gli
indirizzi di questa Autorità al caso in esame, emerge che:
- le ATI cha hanno costituito una sub associazione orizzontale per la
categoria scorporabile, con mandataria in I classifica (€ 258.228)
coprono il 40% per cento dell’importo della medesima categoria
scorporata (€ 187.957,548); le mandanti in I classifica coprono il 10%
della categoria scorporata (€ 46.989,387); l’importo complessivo della
categoria scorporabile è coperto dalla somma delle iscrizioni possedute;
per quanto attiene alla percentuale di lavori, con l’incremento di un
quinto, possono eseguire le lavorazioni che hanno dichiarato di
assumere;
- l’ATI Opsa Costruzioni s.a.s./Savi s.a.s./Ciaglia Costruzioni s.r.l.,
che ha costituito a) una sub associazione orizzontale per la categoria
prevalente e b) una sub associazione per la categoria scorporabile: sub
a) copre l’importo complessivo della prevalente, la mandataria copre il
40% della prevalente e la mandante copre il 10% della medesima; sub b)
la mandante Savi e la mandante Ciaglia coprono, rispettivamente, il 40%
ed il 10% della scorporata; l’importo complessivo della categoria
scorporabile è coperto dalla somma delle iscrizioni possedute; per
quanto attiene alla percentuale di lavori, con l’incremento di un
quinto, possono eseguire le lavorazioni che hanno dichiarato di
assumere.
Sulla base di quanto sopra le associazioni temporanee di imprese di che
trattasi sono in possesso della qualificazione necessaria per l’appalto
in esame.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che l’esclusione delle associazioni temporanee di
imprese Costruzioni Ruberto s.r.l./Magurno Saturnino, Costruzioni
Moviter s.r.l./Barone Costruzioni s.r.l., Cosmarini s.r.l./Telesca
s.r.l. e Opsa Costruzioni s.a.s./Savi s.a.s./Ciaglia Costruzioni s.r.l.
non è conforme alla normativa di settore (parere
21.05.2008 n. 159 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI SERVIZI: Ritenuto
in diritto:
Con deliberazione n. 72/2007 l’Autorità ha chiarito che “… la
manutenzione del verde pubblico rientra nell’ambito dei servizi e non in
quello dei lavori, tutte le volte in cui l’attività non comporti una
modificazione della realtà fisica con l’utilizzazione, la manipolazione
e l’installazione di materiali aggiuntivi e sostitutivi non
inconsistenti sul piano strutturale e funzionale (cd quid novi): così ad
esempio, la mondatura, rasatura, irrigazione, concimazione, posatura,
pulizia, trattamenti vari, sfalcio, decespugliamento delle scarpate ecc…
non configurano “lavori” ma “servizi”.
Come si evince dal capitolato speciale, l’attività dedotta in appalto
consiste nella potatura, irrigazione, semina, messa a dimora di piante
ed arbusti, stesura di tappeti erbosi, impiego di fertilizzanti, e
quant’altro necessario per la manutenzione del verde pubblico: gli
interventi previsti dalla lex specialis, pertanto, non si configurano
come lavori, bensì come servizi, in quanto limitati ad attività
continuativa di cura e regolazione di patrimonio verde già esistente.
La richiesta nel bando di gara, a pena di esclusione, concernente l’aver
“svolto da almeno 3 anni servizi identici o analoghi a quelli posti a
base di gara..” prevedeva, pertanto, una corrispondenza fra
l’attività espletata e quella richiesta in appalto, per la quale era
necessario effettuare un esplicito riferimento, che non poteva essere
desunto dalla Commissione di gara con la semplice lettura dei
certificati di esecuzione lavori rilasciati per la categoria OS24, che
riguarda appalti di lavori per interventi di esecuzione del verde
urbano, realizzati al fine di consentire un miglior uso della città come
recinzioni, sistemazioni paesaggistiche, verde attrezzato, campi
sportivi e terreni da gioco.
Occorreva, pertanto, una specificazione volta alla caratterizzazione
delle attività che solo l’Ente committente poteva attestare.
Pertanto, la stazione appaltante, correttamente, una volta verificata la
mancanza, nei certificati di regolare esecuzione, di qualsiasi
riferimento ad attività manutentiva attinente l’ambito dei servizi, ha
invitato le imprese alla integrazione documentale.
Si precisa che la richiesta di integrazione documentale non ha
determinato un aggravamento del procedimento, in quanto la
specificazione richiesta è strettamente connessa all’oggetto
dell’appalto ed è al contempo volta ad evitare l’esclusione dei
concorrenti interessati.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che l’operato della Commissione di gara è
conforme alla normativa di settore
(parere
21.05.2008 n. 158 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
Per la soluzione della questione sottoposta all’attenzione di questa
Autorità, si deve tener presente che nella verifica della sostenibilità
dell’offerta, il costo della mano d’opera assume una valenza centrale,
così come ribadito dall’intervenuta disciplina di cui alla legge
03.08.2007 n. 123, che ha introdotto, all’articolo 86 del d. Lgs. n.
163/2006, il comma 3-bis, laddove prescrive che nella valutazione
dell’anomalia dell’offerta gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare
che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del
lavoro e al costo della sicurezza.
La rilevazione del costo della mano d’opera in un appalto di lavori,
quale quello in esame, si effettua sulla base degli indici applicabili
nell’area interessata dall’esecuzione dell’appalto.
In particolare, l’analisi dei costi della mano d’opera edile si effettua
sulla base dei valori e degli elementi di costo desumibili dalla
contrattazione nazionale e da quella decentrata provinciale.
Si ritiene, pertanto, corretto, ai fini della verifica di congruità
dell’offerta, l’utilizzo effettuato dalla Provincia di Milano dei costi
orari della mano d’opera elaborate dall’associazione di categoria
Assimpredil per le province di Milano, Lodi, Monza e Brianza e riferite
all’anno 2007, periodo temporale nel quale è stata presentata l’offerta.
Vale osservare che gli indici elaborati dall’API Piemonte, utilizzati
dal concorrente in sede di giustificazione dell’offerta, sono aggiornati
al 1° marzo 2006, e pertanto, è verosimile ritenere che i valori ivi
riportati presentino scostamenti, anche rilevanti –la S.A. ha
evidenziato una differenza del 13-14 per cento- rispetto a quelli
relativi all’anno 2007.
Per quanto attiene al giudizio negativo reso dalla S.A. in ordine alle
percentuali dichiarate dall’impresa per le spese generali e gli utili
(rispettivamente pari al 4% e al 5%), si precisa che, ai sensi
dell’articolo 34 del d.P.R. 554/1999, le spese generali si attestano, in
linea generale, nella misura variabile tra il 13 e il 15 per cento, a
seconda della categoria e tipologia dei lavori, mentre l’utile
dell’appaltatore è attestato nella misura del 10 per cento.
Come rilevato dal giudice amministrativo, “il giudizio sulla congruità
della consistenza delle spese generali costituisce espressione di lata
discrezionalità tecnica, come tale insuscettibile di sindacato in
assenza di profili di illogicità apprezzabili. La valutazione
aprioristica dell’amministrazione può pertanto essere derogata nel caso
concreto in base alle giustificazioni fornite dall’impresa concorrente”
(Cons. Stato, sez. V, n. 3819/2007).
Rimane quindi, a carico del concorrente dimostrare in modo puntuale gli
elementi che gli consentono di ridurre le spese generali e che la
rinuncia all’utile non determini la non congruità dell’offerta.
Nel caso in esame, in sede di contraddittorio orale e documentale
integrativo, l’amministrazione ha ritenuto che le giustificazioni
addotte dal concorrente non fossero sufficienti a rendere sostenibile
l’offerta: in relazione al profilo procedurale del procedimento di
verifica, dalla documentazione in atti, si può ritenere che l’analisi di
congruità effettuata dalla S.A. ha interessato la valutazione
dell’offerta nel suo insieme, avendo la stessa valutato le diverse
componenti che la compongono, quali le voci di prezzo ritenute
incomplete, il costo della mano d’opera, le percentuali per spese
generali ed utili.
Sulla base di quanto sopra, si ritiene che non sussistono profili di
censura nella procedura posta in essere dalla Provincia di Milano per la
verifica dell’anomalia dell’offerta presentata dalla EDILVIE s.r.l.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che il procedimento di verifica dell’anomalia
dell’offerta dell’impresa EDILVIE s.r.l. è conforme alle prescrizioni
della normativa di settore
(parere
14.05.2008 n. 157 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
L’appalto in esame, secondo quanto descritto dal capitolato speciale, ha
ad oggetto l’affidamento dei servizi di raccolta, trasporto,
conferimento R.S.U., differenziata porta a porta e servizi connessi.
Pertanto, essendo l’appalto in questione un appalto di servizi e non
essendovi alcuna percentuale relativa ai lavori, non sono stati
richiesti requisiti di partecipazione riferiti a questi ultimi, quali a
titolo esemplificativo il certificato SOA. Nonostante, dunque, la natura
non mista del contratto, il punto 2.3. lett. b) della lettera di invito,
come descritto in narrativa, contiene l’espresso richiamo ai commi
dell’art. 37 del D.Lgs. 163/2006, che si applicano esclusivamente ai
lavori, nonché dell’art. 95 comma 2 del DPR 554/1999, regolamento
riferibile ai soli lavori pubblici.
Qualora detti richiami non siano frutto di un mero errore
dell’amministrazione, ma siano stati citati ai fini di un’applicazione
analogica della normativa sui raggruppamenti prevista per i lavori
pubblici deve osservarsi che, come è stato enunciato dalla
giurisprudenza amministrativa, non è praticabile la strada della
trasposizione della disciplina dei lavori pubblici alla materia dei
servizi se non con riguardo alle disposizioni che costituiscono
espressione di principi generali applicabili a tutte le gare pubbliche.
Restano dunque escluse da tale estensione analogica le disposizioni
dettate per lo specifico settore dei lavori pubblici (quali quelle sulle
quote relative al possesso dei requisiti delle partecipanti alle ATI) la
cui applicazione al settore dei servizi richiede una specifica
previsione. Si è infatti precisato che “la regolamentazione delle
procedure di gara nel nostro ordinamento, in particolare dopo
l'adeguamento alla normativa comunitaria, distingue in modo netto le
procedure applicabili in relazione all’oggetto contrattuale cosicché non
è corretta una operazione di trasposizione di alcune disposizioni da un
settore all'altro perché ciascuno trova una disciplina completa negli
atti normativi che attengono specificamente al settore considerato
(recentemente si veda TAR Sardegna, del 15.05.2007, n. 904).
Di conseguenza, le previsioni della lettera di invito che mischiano
requisiti di partecipazione dei raggruppamenti nel settore dei lavori
con quelli dei servizi e forniture, non sono conformi alla normativa
vigente e inducono, come si è verificato nella fattispecie
rappresentata, i partecipanti in errore in ordine a quali requisiti
comprovare e a quale sia il tipo di raggruppamento da ammettere.
Tutto ciò posto, deve altresì rilevarsi come l’art. 37, comma 4 del
D.Lgs. 163/2006 preveda testualmente che “nel caso di forniture o
servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o
della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici
riuniti o consorziati”. Pertanto, l’ATI General Service S.r.l. è per
legge obbligata ad indicare, in sede di partecipazione alla gara, quali
parti sono svolte dalle singole raggruppande, a prescindere dal tipo di
raggruppamento sia esso di tipo verticale, sia orizzontale.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene che:
- la disciplina prevista nella lex specialis relativamente ai
raggruppamenti temporanei di imprese non è conforme alla normativa
vigente di settore;
- l’ATI General Service S.r.l. non può essere ammesso al prosieguo delle
fasi di gara poiché, secondo quanto rappresentato, ha omesso di indicare
le parti del contratto che ciascuna delle imprese raggruppate eseguirà
in fase esecutiva
(parere
14.05.2008 n. 156 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
L’art. 83 del D.Lgs. 163/2006 dispone che nel caso in una gara venga
previsto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il
bando di gara deve stabilire i criteri di valutazione dell’offerta,
pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del
contratto, quali, a titolo esemplificativo: il prezzo; la qualità; il
pregio tecnico.
Nel caso di specie il disciplinare di gara, al capo II “Criterio di
aggiudicazione e modalità di attribuzione dei punteggi” prevede,
nell’ambito del prescelto criterio di aggiudicazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, quali elementi ponderali di valutazione
fino a 75 punti per il prezzo, e fino a 25 punti per la qualità.
Il disciplinare dispone che, “ai fini della determinazione dei
coefficienti la commissione applicherà il metodo del “confronto a
coppie” in analogia alla normativa dei lavori pubblici in merito alla
valutazione dei servizi di progettazione”. Pertanto, nella gara in
esame, l’amministrazione comunale sembra aver voluto non attribuire un
giudizio di valore al servizio, ma solamente un giudizio numerico
attraverso lo strumento del confronto a coppie.
Secondo il consolidato orientamento del giudice amministrativo, il
punteggio numerico può essere considerato sufficiente a motivare gli
elementi dell’offerta economicamente più vantaggiosa soltanto
nell’ipotesi in cui il bando di gara abbia espressamente predefinito
specifici, obiettivi e puntuali criteri di valutazione, visto che tale
criterio di aggiudicazione svincola l’amministrazione da una valutazione
meccanica, attribuendole un potere fortemente discrezionale. Tale
esigenza risponde al principio di correttezza dell’azione
amministrativa, a garanzia dell’imparziale svolgimento di tali
procedimenti ed al fine di consentire la verifica dell’operato
dell’Amministrazione, sia da parte del privato interessato, sia del
Giudice Amministrativo, al quale deve essere permesso di poter
ricostruire l’iter logico seguito dalla stazione appaltante (cfr.
Consiglio di Stato sez. V 31/08/2007 n. 4543; Cons. Stato, Sez. V,
06.05.2003, n. 2379; Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2004, n. 3471).
All’assenza di criteri predefiniti, pertanto, non può sopperire il
cosiddetto “confronto a coppie” (con il quale è possibile mettere a
raffronto, a due a due, gli elementi delle offerte presentate, sì da
trarne, poi, una graduazione che è il risultato di tutte le comparazioni
fatte) che non influisce in alcun modo sulle regole proprie della
motivazione.
Nel caso in esame dalla documentazione prodotta, non è possibile
individuare la presenza di predefiniti specifici, obiettivi e puntuali
criteri di valutazione, i quali non sono presenti nel disciplinare di
gara né prima, né successivamente all’intervenuta rettifica. Pertanto il
disciplinare di gara in oggetto, così strutturato, non permette né di
desumere come saranno dall’amministrazione aggiudicatrice valutate le
offerte, né risulta possibile per i partecipanti alla gara conoscere
quali elementi qualitativi sono dall’amministrazione ritenuti
importanti, in particolar modo nella misura in cui il punteggio sulla
qualità viene aumentato da 25 a 40 punti.
Per quanto osservato sopra, deve considerarsi assorbito l’ulteriore
motivo di censura presentato.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene che le
modalità di attribuzione del punteggio previste nella procedura di gara
in esame risultano non essere conformi alla normativa vigente di settore
(parere
14.05.2008 n. 155 - link a massimario.avlp.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ritenuto
in diritto:
Ai sensi dell’articolo 8, comma 11-quinquies, del testo coordinato della
legge 109/1994, per i lavori di importo pari o inferiori a 150.000 euro
il requisito richiesto per partecipare agli appalti di lavori pubblici,
per le imprese iscritte all’albo separato delle imprese artigiane,
istituito presso le Camere di Commercio, è costituito dalla
presentazione del certificato di iscrizione, da almeno due anni,
all’albo camerale; per le imprese non artigiane, i requisiti richiesti
sono quelli di cui all’articolo 28, comma 1, lettera a) del d.P.R.
34/2000, nella misura del cinquanta per cento dell’importo in appalto,
concernente i lavori analoghi eseguiti nel quinquennio antecedente la
data di pubblicazione del bando.
Per la soluzione della questione sottoposta all’attenzione
dell’Autorità, occorre osservare, in primo luogo, che l’impresa possiede
la doppia iscrizione alla Camera di Commercio, nella sezione Albo
Artigiani (attività: lavori generali di costruzione di edifici) e nella
sezione Registro Imprese (attività: impiantistica), ed è, altresì, in
possesso delle abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990.
In secondo luogo, si deve considerare che per gli appalti di importo
pari o inferiore a 150.000 euro, quale quello in esame, l’art. 8, comma
1, della legge 109/1994 e s.m., impone comunque il possesso di una
professionalità qualificata, che è stata definita dall’Autorità
(deliberazione n. 165/2003), come un rapporto di analogia tra i lavori
eseguiti dal concorrente e quelli oggetto dell’appalto da affidare:
“analogia intesa come coerenza tecnica tra la natura degli uni e degli
altri.” Detta analogia va valutata dalla Stazione Appaltante.
Relativamente all’attività per la quale l’impresa istante è iscritta
nell’Albo Artigiani, riconducibile alle lavorazioni della categoria OG1,
di cui all’allegato A al d.P.R. 34/2000, si precisa che la relativa
declaratoria riguarda la costruzione, la manutenzione o la
ristrutturazione di interventi puntuali di edilizia occorrenti per
svolgere una qualsiasi attività umana, diretta o indiretta, completi
delle necessarie strutture, impianti elettromeccanici, elettrici,
telefonici ed elettronici e finiture di qualsiasi tipo nonché delle
eventuali opere connesse, complementari e accessorie.
Pertanto, l’attività edile esercitata dall’impresa Fanara Calogero in
qualità di impresa artigiana, in analogia con quanto avviene
relativamente alle lavorazioni da appaltare, avrebbe dovuto essere
soggetta a previa specifica verifica da parte della stazione appaltante.
Vale rilevare, nel caso in esame, il limitato importo dei lavori
eseguiti nel quinquennio che l’impresa è chiamata a dimostrare
(cinquanta per cento dell’importo del contratto da stipulare).
Stante quanto sopra rilevato, tenuto conto che si verte in una procedura
di cottimo, si ritiene che la S.A. avrebbe dovuto, prima di procedere
all’esclusione dell’impresa Fanara Calogero, accertare la effettiva
capacità della stessa, mediante la richiesta dei certificati di
esecuzione lavori.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che la revoca dell’aggiudicazione all’impresa
Fanara Calogero, in assenza di un accertamento sulla effettiva capacità
tecnico economica della stessa, non è conforme alla normativa di settore
(parere
14.05.2008 n. 154 - link a massimario.avlp.it). |
GIURISPRUDENZA |
URBANISTICA: Sulla
legittima reiterazione dei vincoli espropriativi.
Secondo un costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, la
reiterazione di un vincolo preordinato all’espropriazione, adottata in
sede di formazione del piano regolatore generale, è legittima anche se
non è accompagnata da una motivazione specifica, essendo sufficiente per
la prova della persistenza e attualità delle esigenze urbanistiche
sottese alla reiterazione la motivazione evincibile dalle linee guida
generali che hanno ispirato l’attività pianificatoria (cfr., per tutti,
Cons. St., sez. IV, 08.08.2007, n. 2999).
In particolare -come questa stessa Sezione ha già precisato con sentenza
19.11.2007, n. 890, in adesione a quanto autorevolmente precisato
dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 24.05.2007, n. 7- in caso
di reiterazione di vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione,
l’adeguatezza della motivazione va valutata tenendo conto, fra l’altro,
delle seguenti circostanze:
a) se la reiterazione riguardi o meno una pluralità di aree, o comunque
una consistente parte del territorio comunale;
b) se la reiterazione riguardi soltanto una parte delle aree già incise
dai vincoli decaduti, mentre per l’altra parte non sia disposta la
reiterazione perché ulteriori terreni sono individuati per il rispetto
degli standard;
c) se la reiterazione sia stata disposta per la prima volta sull'area.
In definitiva, la reiterazione dei vincoli urbanistici a contenuto
espropriativo non richiede, in via generale, una motivazione specifica
in relazione alla destinazione di zona delle singole aree, essendo
sufficiente che venga evidenziata la sussistenza dell'attualità e della
persistenza delle esigenze urbanistiche ovvero i criteri di ordine
tecnico seguiti per la redazione del piano; mentre tale motivazione è
necessaria solo nel caso di superamento degli standard minimi di cui al
D.M. 02.04.1968 (con riferimento alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento
alla destinazione di zona di determinate aree), di lesione
dell’affidamento qualificato del privato (derivante da convenzioni di
lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune ed i
proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di concessioni edilizia o di silenzio rifiuto
su domanda di concessione) e di modifica in zona agricola della
destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo.
Conclusivamente, l’atto di reiterazione del vincolo preordinato
all’esproprio può ritenersi in via generale adeguatamente motivato se da
esso emergono con chiarezza e precisione gli accertamenti effettuati e
le finalità di interesse pubblico concretamente perseguite (Cons. St.,
sez. IV, 26.02.2008, n. 683).
Relativamente al mancato puntuale esame delle osservazioni presentate,
va ricordato che -come pacificamente chiarito in giurisprudenza (cfr.
per tutti, Cons. St., sez. IV, 11.10.2007, n. 5357)- il rigetto delle
osservazioni proposte dai privati in sede di formazione del piano
regolatore non richiede una particolare motivazione, essendo tali
osservazioni dei meri apporti collaborativi dati dai cittadini alla
formazione dello strumento urbanistico, con la conseguenza che è
sufficiente che esse state esaminate e ritenute in contrasto con gli
interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del
piano.
L’omessa previsione dell’indennizzo non inficia la legittimità del
provvedimento di reiterazione di un vincolo espropriativo o di
inedificabilità scaduto (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. IV,
19.02.2008, n. 529) e ciò sulla base del rilievo che dai principi sul
raccordo tra la pianificazione urbanistica e le previsioni del bilancio
emerge che in tal caso l’Amministrazione non può impegnare somme di cui
non è certa la spettanza in ordine all’an e al quantum, anche perché
tale quantificazione richiede complessi accertamenti su elementi di
fatto che solo il proprietario può rappresentare al termine del
procedimento di pianificazione (fermo restando il diritto ad ottenere,
in presenza dei relativi presupposti e dinanzi al giudice fornito in
merito di giurisdizione, una indennità commisurata all’entità del danno
effettivamente prodotto) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 31.07.2008 n. 720 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che
individuano assoluti divieti di installazione impianti per telefonia
mobile (con potenza inferiore a 300 watt) anche solo con riguardo a
limitate porzioni del territorio comunale.
La vicenda portata all’attenzione del Collegio non è certo nuova e della
medesima -ovviamente per fatti analoghi in altri luoghi– la
giurisprudenza si è più volte occupata, giungendo alla conclusione che,
salvi casi eccezionali, le infrastrutture di specie (attrezzature fisse
per la trasmissione: non qualificabili come costruzioni in senso
stretto) siano da considerarsi opere di urbanizzazione primaria
strettamente funzionali al concreto svolgersi di un servizio pubblico
primario. Le stesse dunque possono essere allocate ignorando di norma la
destinazione urbanistica locale: soprattutto quando questa ne impedisca
l’allocazione medesima in toto (ex multis TAR MI – Lombardia – Sez. IV:
27.05.2005 n. 1106, 23.11.2006 n. 2833, 07.09.2007 n. 5777, 12.11.2007
n. 6260, 17.03.2008 n. 554; Tar Veneto II Sez. 12.01.2007 n. 72; TAR
Lazio roma –II Sez. Bis 07.09.2007 n. 323; CDS Sez. VI: 05.06.2006 n.
3332, 15.06.2006 n. 3534, 13.06.2007 n. 3156, 27.06.2007 n. 4162 e
02.11.2007 n. 5673; C.d.S. sez. IV 19.05.2008 n. 2287).
Più in particolare è stato invero ed anche chiarito che, ai sensi
dell’art. 4 VII comma della l.r. n. 11 del 2001, gli impianti di radio
base di telefonia mobile (vedasi anche delibera G.R. invocata n. VII/7351
dell’11.12.2001) di potenza totale non superiore a 300 watt –come nel
caso- non richiedono specifica regolamentazione urbanistica per cui sono
illegittime le disposizioni pianificatorie comunali che individuano
assoluti divieti di installazione per simili impianti anche solo con
riguardo a limitate porzioni del territorio comunale stesso (v. da
ultimo TAR Lombardia Milano – Sez. IV n. 1815 del 20.05.2008) (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 30.07.2008 n. 846 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla preliminare verifica d'ufficio se il richiedente il permesso
di costruire ne ha titolo o meno.
Ai sensi del vigente art. 11 del D.P.R. 380/2001 –riproduttivo dell’art.
4 della L. 10/1977– nel corso dell’istruttoria il Comune ha l’obbligo di
verificare l’esistenza del titolo per intervenire sull’immobile per il
quale è richiesto il permesso di costruire. L’art. 38 della L.r.
12/2005, allo stesso modo, prescrive che “La domanda per il rilascio
del permesso di costruire, sottoscritta dal proprietario dell’immobile o
da chi abbia titolo per richiederlo, è presentata al competente ufficio
comunale, ovvero, laddove costituito, allo sportello unico per
l'edilizia, corredata da una attestazione concernente il titolo di
legittimazione, ….”.
In particolare la legittimazione attiva di cui al citato art. 38 risulta
configurabile non solo in capo al proprietario del terreno, ma anche (ad
esempio) in favore del soggetto titolare di altro diritto reale di
godimento sul fondo che lo autorizzi a disporne con un intervento
costruttivo: compete pertanto al Comune, prima di rilasciare il
permesso, l’espletamento di una preliminare indagine istruttoria volta a
verificare la sussistenza di un titolo sostanziale idoneo ad abilitare
l’istante a sfruttare la potenzialità edificatoria dell’immobile, senza
che sia necessaria un’ulteriore ricerca d’ufficio di eventuali elementi
limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato
(Consiglio di Stato, sez. V – 04/02/2004 n. 368).
La funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede in definitiva
un livello minimo di istruttoria, comprendente l’acquisizione di tutti
gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato
collegamento soggettivo tra il sottoscrittore della domanda ed il bene
giuridico coinvolto dal progetto edilizio (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 30.07.2008 n. 843 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla sanatoria di opera abusiva e sulla necessità o meno del
consenso unanime di più comproprietari.
Si tratta a questo punto di stabilire se la richiesta del permesso di
costruire in sanatoria, riferita ad opere abusive interne ad un edificio
in comproprietà, presupponga o meno il consenso di tutti i partecipanti
alla comunione indivisa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1108
c.c.
Ad avviso del Collegio il dato testuale di riferimento è chiaro ed
univoco nel richiedere il consenso unanime nei soli casi di
trasferimento del bene a terzi, di costituzione di diritti reali sul
fondo comune e di stipula di contratti di locazione di durata
ultranovennale: l’intervento edilizio a cui si riferisce la domanda di
sanatoria, pur se ascrivibile al genus degli atti che eccedono
l’ordinaria amministrazione, non esige dunque l’approvazione espressa di
tutti i comproprietari, essendo sufficiente la maggioranza dei due terzi
dei partecipanti alla comunione calcolata in base alle quote di ciascuno
di essi. Nel caso di specie tale maggioranza è pacificamente raggiunta.
E’ pur vero che l’attività edilizia soggetta a concessione, determinando
un’apprezzabile trasformazione dell’area interessata, determina di
regola un’incidenza significativa sul diritto di ciascuno dei
comproprietari. Va rilevato tuttavia che, nel caso di permesso di
costruire in sanatoria, si intende procedere alla regolarizzazione di
opere già ultimate le quali, in difetto del titolo abilitativo,
espongono i comproprietari alle conseguenze pregiudizievoli derivanti
dall’esercizio del potere sanzionatorio che la legge attribuisce ai
Comuni (cfr. TAR Puglia-Lecce, sez. III – 15/04/2008 n. 1111). In buona
sostanza la richiesta di permesso di costruire in sanatoria può essere
equiparata alle innovazioni dirette a migliorare il bene e/o a renderne
più comodo o redditizio il godimento (art. 1108 c.c.), dal che discende
la sufficienza del consenso dei due terzi dei comproprietari.
La giurisprudenza (TAR Emilia Romagna-Parma – 10/01/2007 n. 7) ha
peraltro messo in luce come i comproprietari pretermessi non siano del
tutto privi di tutela, dato che il primo comma del già citato articolo
1108 del c.c. impone due tipi di limitazioni alla possibilità di
compiere –con il solo assenso espresso dalla maggioranza– innovazioni
migliorative: queste ultime infatti non devono recare pregiudizio al
godimento della cosa comune da parte di alcuno dei comproprietari né
possono comportare una spesa eccessivamente gravosa.
Qualora queste condizioni non siano soddisfatte, la maggioranza
qualificata dei comproprietari non è abilitata ad autorizzare
l’intervento, ma si rende indispensabile l’unanimità dei consensi (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 30.07.2008 n. 843 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nell’ipotesi
di diniego della domanda di sanatoria, l’Amministrazione deve adottare
una nuova ingiunzione di demolizione.
Secondo il principio contenuto negli artt. 38 e 44, della L. 28.02.1985,
n. 47, in pendenza della domanda di sanatoria, è preclusa l’adozione di
provvedimenti repressivi dell’abuso edilizio. Con la conseguenza che,
nell’ipotesi di diniego della domanda di sanatoria, l’Amministrazione
deve adottare una nuova ingiunzione di demolizione, con fissazione di
nuovi termini per la spontanea esecuzione (cfr., per tutti e da ultimo,
T.A.R. Campania-Napoli, sez. VII, 21.03.2008, n. 1472)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.07.2008 n. 704 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sull'osservanza
del preavviso di diniego ex art. 10-bis L. n. 241/1990.
Il preavviso di diniego, previsto dall'art.
10-bis L. 07.08.1990 n. 241 costituisce un atto (privo di contenuto
provvedimentale), con cui l’Amministrazione rende noto all’interessato
il suo intendimento, del tutto provvisorio, di procedere al diniego
della sua domanda.
Trattasi, cioè, di una norma di garanzia partecipativa, che ha la
finalità di consentire, anche nei procedimenti ad istanza di parte, gli
apporti collaborativi dei privati, allo scopo di porre questi ultimi in
condizione di chiarire, già nella fase procedimentale, tutte le
circostanze ritenute utili, senza costringerli ad adire subito le più
gravose vie giurisdizionali; pertanto, la stessa finalità di detta norma
comporta che non vi debba essere necessariamente una corrispondenza
puntuale in ogni dettaglio tra il contenuto del preavviso di diniego e
il diniego medesimo, ben potendo la P.A., sulla base delle osservazioni
del privato (ma anche autonomamente), precisare meglio le proprie
posizioni giuridiche nell’atto di diniego, che costituisce l’unico atto
effettivamente lesivo della sfera del cittadino (Cons. St., sez. IV,
10.12.2007, n. 6325).
Per cui l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto appare
suscettibile di incidere in modo significativo sulla concreta
possibilità del soggetto amministrato di tutelare il proprio interesse
(Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1052) e tale comunicazione è
certamente necessaria nelle ipotesi di diniego di rilascio del permesso
di costruire (TAR Puglia, sede Bari, sez. III, 18.01.2008, n. 46, TAR
Campania, sede Napoli, sez. III, 06.12.2007, n. 15817, TAR Valle d'Aosta
Aosta, 10.10.2007 , n. 121).
Peraltro, poiché la norma suddetta, costituente garanzia di trasparenza
e di buona amministrazione (e rispondente quindi anche agli interessi
stessi dell’Amministrazione), prevede la possibilità di un
contraddittorio, con prospettazione di osservazioni scritte da parte
degli interessati, sembra evidente che del mancato accoglimento di tali
osservazioni debba essere data ragione nel provvedimento finale (TAR
Lazio, sede Roma, sez. III, 02.10.2007, n. 9626).
Purtuttavia, così come non vi deve essere necessariamente una
corrispondenza puntuale in ogni dettaglio tra il contenuto del preavviso
di diniego e il diniego medesimo, ugualmente non è necessaria una
analitica confutazione delle osservazioni del privato, essendo
sufficiente che nell’atto conclusivo del procedimento si attesti
l’avvenuto esame da parte dell’Amministrazione di tali osservazioni, ben
potendo dalle ragioni giustificative poste a base del provvedimento
dedursi i motivi del mancato accoglimento delle osservazioni del privato
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.07.2008 n. 704 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. GARA D'APPALTO - COMMISSIONE GIUDICATRICE - NOMINA - COMPETENZA
- E' IL DIRIGENTE RESPONSABILE UNICO DEL PROCEDIMENTO - RAGIONI -
DISCIPLINA EX ART. 107, C.3 TUEL - NATURA IMMEDIATAMENTE PRECETTIVA.
2. GARA D'APPALTO - COMMISSIONE GIUDICATRICE - NOMINA - COMPETENZA -
ENTI LOCALI DI PICCOLE DIMENSIONI - COMPETENZA GIUNTALE - VA ESCLUSA -
ANCHE NELL'IPOTESI DI ASSEGNAZIONE DI FUNZIONI DIRIGENZIALI AGLI
ASSESSORI - NECESSITA' DI APPOSITA PREVISIONI REGOLAMENTARI
ORGANIZZATIVE.
3. CONTRATTI DELLA P.A. - ANNULLAMENTO S.G. AGGIUDICAZIONE - SORTE DEL
CONTRATTO MEDIO TEMPORE STIPULATO - INEFFICACIA SOPRAVVENUTA.
1. Competente per la nomina della commissione di gara nelle
procedure indette per l’aggiudicazione di appalti con la Pubblica
Amministrazione non è la Giunta municipale, bensì il dirigente
responsabile unico del procedimento. Da un lato, infatti, ex art. 107
D.Lgs. 267/2000 (il cui comma 3 prevede espressamente il conferimento,
in favore dei dirigenti degli enti locali, sia della presidenza delle
commissioni di gara e di concorso, sia delle responsabilità delle
procedure di appalto e di concorso, e di conseguenza anche della nomina
della commissione giudicatrice). Dall’altro, si evidenzia che tale norma
costituisce disposizione immediatamente applicabile senz'uopo
dell'interposizione di apposite fonti secondarie, cui spetta solo la
determinazione delle modalità d'esercizio della competenza, comunque
indefettibile, e tale da non tollerare impedimenti o soluzioni di
continuità.
L'immediata precettività dell’articolo de quo si fonda, del resto, sul
ben noto riparto, fra compiti di governo, di indirizzo e di
coordinamento, e quelli di gestione, che costituisce struttura fondante
dell'intera riforma delle autonomia locali. In definitiva, tale norma,
che prevede una presenza continua e costante dei dirigenti locali
nell'intera procedura di gara, si inserisca coerentemente nel contesto
degli obiettivi di gestione e di risultato che fanno capo ai dirigenti,
responsabili del buon esito dell'azione amministrativa ad essi demandata
e titolari dei poteri amministrativi che nel corso dei vari procedimenti
devono essere esplicati. Del resto l’assegnazione al dirigente della
responsabilità piena del procedimento di gara esige, per la completa
attuazione dell’intestazione di tutti i compiti connessi alla procedura
ad un medesimo soggetto e per la realizzazione dell’evidente finalità di
assicurare economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, che nel
novero delle competenze assommabili in capo al dirigente responsabile
siano comprese tutte le funzioni amministrative direttamente riferibili
alla direzione della gara ed alla verifica del suo corretto svolgimento,
tra cui anche la competenza alla nomina della commissione giudicatrice.
L’esclusione di taluno dei compiti considerati dalla sfera di
attribuzioni del dirigente responsabile, oltre a non essere imposta
dalla disposizione menzionata (che impegna, semmai, all’assegnazione di
tutte le funzioni rilevanti della procedura al medesimo dirigente),
vanificherebbe, peraltro, gli interessi chiaramente sottesi alla
disposizione menzionata, frammentando le competenze direttive connesse
al procedimento di gara tra più soggetti ed impedendo, così, la gestione
unitaria ed uniforme dello stesso.
2. Quanto poi alla più volte sollevata questione relativa
all’estrinsecazione della problematica in questione nei Comuni di
piccole dimensione, nei quali risulta difficile individuare una figura
dirigenziale, sebbene l’art. 109 D.Lgs. 267/2000 sembri lasciare ampia
discrezionalità al Sindaco, nei Comuni privi di personale di qualifica
dirigenziale, di delegare, con provvedimento motivato, le relative
funzioni, ai responsabili degli uffici e dei servizi, indipendentemente
dalla loro qualifica funzionale, è del pari vero che, tra gli stessi,
non possa annoverarsi la Giunta. Né tale principio risulta derogabile
nel caso di specie dall’art. 53, comma 23 della L. n. 388/2000, così
come modificato dall’art. 29 comma IV L. 448/2001, in quanto sebbene,
con tale norma, il legislatore ha concesso ai comuni, con popolazione
inferiore a 5000 abitanti, la possibilità di affidare, mediante
disposizioni regolamentari, la responsabilità degli uffici e dei servizi
ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica–gestionale, ai
singoli componenti dell’organo esecutivo, tuttavia tale possibilità non
viene attribuita all’intera Giunta.
Si tratta, infatti, di una norma che non solo conferma il carattere
eccezionale delle deroghe al regime ordinario e l’esigenza della loro
assunzione con specifico strumento legislativo, ma che si rivolge solo
ai piccoli Comuni e che non rimette alla Giunta, ma solo ai suoi
componenti, l’espletamento, uti singuli e non, quindi, in sede
collegiale, di compiti normalmente spettanti alla dirigenza. Si
evidenzia altresì che l’art. 53, comma 23 della L. n. 388/2000, così
come modificato dall’art. 29 comma IV L. 448/2001, ai fini della sua
applicazione richiede il rispetto di un’ulteriore condizione, ovvero
che, l’attribuzione di responsabilità degli uffici e dei servizi
comunali agli assessori, ed il potere degli stessi di adottare atti
anche di natura tecnica gestionale, deve essere prevista da norme
regolamentari organizzative.
3. Devesi ribadire in questa sede il principio di diritto
(desumibile in via sistematica anche dal recente disposto di cui agli
artt. 244 e 246 del D. Lgs. N. 163/2006, per cui, l’annullamento degli
atti di gara e del finale provvedimento di aggiudicazione, ove
intervenuto, come nel caso di specie, dopo la stipula del contratto
d’appalto, comporta che quest’ultimo divenga inefficace (cfr. da ultimo
Cons. Stato, V, decisione n. 490/2008) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 29.07.2008 n. 9545 - link a www.mediagraphic.it). |
ESPROPRIAZIONE:
Al privato proprietario di un’area destinata all’espropriazione,
siccome interessata dalla realizzazione di un’opera pubblica, dev’essere
garantita, mediante la formale comunicazione dell’avviso di avvio del
procedimento, la possibilità di interloquire con l’amministrazione
procedente sulla sua localizzazione.
Com’è noto, un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato (cfr. Ad.
Plen. 20.12.2002, n. 8; 24.01.2000, n. 2; 15.09.1999, n. 14), dal quale
non si ravvisano ragioni per discostarsi, ha affermato il principio,
generale ed inderogabile, per cui al privato proprietario di un’area
destinata all’espropriazione, siccome interessata dalla realizzazione di
un’opera pubblica, dev’essere garantita, mediante la formale
comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, la possibilità di
interloquire con l’amministrazione procedente sulla sua localizzazione
e, quindi, sull’apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di
pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e, quindi,
dell’approvazione del progetto definitivo.
In coerenza con tale canone di condotta, che vincola tutte le
amministrazioni e che, come tale, non soffre eccezioni (se non espresse
da disposizioni speciali che esonerano esplicitamente l’amministrazione
dal relativo adempimento procedurale), ed in conformità al parametro di
giudizio che ne costituisce immediato corollario, si deve, allora,
rilevare che, nella fattispecie in esame, anche a causa di una
confusione procedimentale che non consente una rigorosa distinzione dei
diversi segmenti che, di norma, integrano la procedura di approvazione
di un’opera pubblica, all’Azienda Agricola, proprietaria del terreno
interessato dalla realizzazione dell’opera, non è stato consentito di
interloquire, in tempo utile, con le amministrazioni procedenti in
merito alla localizzazione dell’intervento ed all’apposizione del
vincolo preordinato all’esproprio.
Per quanto confusa e contraddittoria sia stata la gestione del
procedimento (non risultando chiara, in particolare, l’evoluzione delle
elaborazioni progettuali), la localizzazione dell’opera, unitamente
all’apposizione del relativo vincolo ablatorio, è stata deliberata,
seppur con il peculiare strumento dell’intesa Stato–Regione, in mancanza
della previa notifica all’Azienda Agricola della prescritta informativa
sulla dichiarazione della pubblica utilità dell’opera, con conseguente
violazione del pertinente obbligo di comunicazione.
E non serve, da ultimo, invocare come esimente dal dovere in questione
il disposto dell’art. 13, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, in
quanto quest’ultima norma si riferisce ai soli atti a contenuto
generale, mentre l’intesa tra lo Stato e la Regione sulla localizzazione
di un’opera di interesse statale non consiste in un documento di
pianificazione territoriale, ma produce l’effetto puntuale e specifico
dell’individuazione dell’ubicazione dell’intervento (oltre a valere come
dichiarazione di pubblica utilità) e si rivela, come tale, idonea ad
incidere, in maniera immedia-ta, sugli interessi dei soggetti
proprietari del terreno interessato dalla sua realizzazione, con le
evidenti implicazioni sulla partecipazione di questi al relativo
procedimento (giudicata, da ultimo, necessaria da Cons. St., sez. IV,
16.05.2006, n. 2773).
I rilievi appena svolti comportano, quale immediato corollario,
l’assoluta inidoneità della comunicazione indicata dalle Amministrazioni
appellate come satisfattiva dell’interesse partecipativo asseritamente
violato, ad integrare gli estremi dell’instaurazione tempestiva di quel
contraddittorio procedimentale utile ed effettivo in merito alle
determinazioni pertinenti alla localizzazione dell’opera ed alla
costituzione del vincolo espropriativo che, solo, consente di giudicare
adempiuto l’obbligo prescritto dall’art. 7 l. n. 241/1990
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.07.2008 n. 3760 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'opposizione
del terzo nei confronti dell'esecuzione di lavori edilizi mediante D.I.A..
Secondo il recente orientamento di questo Consesso (Sez VI, 05.04.2007
n. 1550), dal quale non si ha ragione di doversi discostare, il terzo
che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve
chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori
previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe
omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione
formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità
dell’intervento.
Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad
instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere
l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti
previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito
di d.i.a..
Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso
il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è
essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi
di attività edilizia liberalizzata.
Si è quindi in presenza, decorsi i trenta giorni (art. 23 commi 1 e 6,
del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario
termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione
al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall’avvenuta conoscenza
del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a.
ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori
o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o
meno, dell’intervento edilizio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.07.2008 n. 3742 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla qualificazione dell'intervento edilizio di ristrutturazione
edilizia.
In virtù dell’art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 rientra nel
concetto di ristrutturazione edilizia la demolizione con ricostruzione,
purché il nuovo manufatto non si discosti dal precedente per volumetria,
sagoma o ubicazione (Cons. Stato, IV, 10/04/2008, n. 1550; TAR Calabria,
Catanzaro, II, 05/03/2008, n. 260; TAR Umbria, 11/08/2006, n. 419).
Orbene, nel caso di specie l’intervento consiste in una evidente
modifica della conformazione esteriore, dell’altezza e della sagoma
dell’edificio, in quanto alla demolizione di una parte dell’edificio
corrisponde una nuova costruzione su un’altra parte del medesimo, con
visibile alterazione del manufatto in tutti i suoi quattro prospetti (si
vedano le tavole di progetto depositate in giudizio dal Comune
resistente come documento n. 7) e, in parte, nella sua collocazione.
Ne deriva che l’intervento de quo non è riconducibile alla
ristrutturazione edilizia, quale definita nel citato art. 3 del D.P.R.
n. 380/2001 e nell’art. 79, comma 2, lettera “d”, della L.R. n. 1/2005,
ma consiste in una nuova costruzione non compresa tra le tipologie
ammesse a sanatoria dall’art. 2 della L.R. n. 53/2004
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 29.07.2008 n. 1837 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
competenza di comprovare l'epoca di realizzazione dell'abuso edilizio
oggetto di condono edilizio.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio
ritiene di aderire, l’onere della prova in ordine all’epoca di
realizzazione dell’opera abusiva grava sull’interessato che intende
dimostrare la sanabilità della stessa, e non sul Comune. Tale onere è
soddisfatto con la produzione di prove inconfutabili, ovvero basate su
atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori,
offrono la ragionevole certezza del periodo di costruzione del manufatto
(ex multis: TAR Umbria, 10/07/2003, n. 589; TAR Sicilia, Palermo, III,
26/10/2005, n. 4099)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 29.07.2008 n. 1828 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
necessità o meno di un nuovo e preventivo provvedimento abilitativo nel caso di
traslazione del fabbricato.
A termini dell’art. 22 del T.U. sull’edilizia, al comma 2, è prevista la
possibilità di realizzare interventi edilizi con denuncia di inizia
attività ove si tratti di varianti a permessi di costruire che non
incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non
modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano
la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni
contenute nel permesso di costruire.
Le denunce di attività in variante a permesso di costruire
costituiscono, inoltre, a termini della sopracitata disposizione,
“parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione
dell’intervento principale”.
Nel caso di specie, risultano invariati, come non è contestato, il
numero e la consistenza della cabine, che sono state meramente
“traslate” rispetto al progetto originario.
Ritiene il Collegio che la descritta “traslazione”, consistente nel
diverso posizionamento della cabine, senza alcuna incidenza sugli altri
parametri edilizi, non possa equipararsi a modifica della sagoma che è
rimasta invariata, ove si intenda per sagoma il profilo della
costruzione (sagoma è, lessicalmente, “profilo, linea, forma esterna di
edificio”), con piena utilizzabilità dell’istituto in esame.
Sotto altro profilo, sostanzialistico, deve porsi attenzione alla
circostanza che la DIA in esame non comporta alcun intervento
“innovativo” rispetto a quanto già assentito con il permesso di
costruire; muovendosi nell’alveo del già autorizzato, è del tutto
evidente che l’istituto da utilizzare non è già un nuovo permesso di
costruire, ma per l’appunto un denuncia di inizio attività.
Invero, al fine di distinguere una nuova concessione edilizia da una sua
variante, gli elementi da prendere in considerazione sono le
“modificazioni quantitative o qualitative apportate all’originario
progetto, in particolare, la superficie coperta, il perimetro, la
volumetria, nonché le variazioni funzionali e strutturali (interne ed
esterne) del fabbricato”, con la conseguenza che una mera
rototraslazione della sagoma del fabbricato, rispetto al progetto
approvato, deve considerarsi variante non essenziale, non richiedente
titolo abilitativo autonomo (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 11.04.2007,
n. 1572; Cons. di Stato. sez.V, 03.08.2004, n. 5429)
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 29.07.2008 n. 955 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. GARA D'APPALTO - MODALITA' DI PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE -
MANCATA INDICAZIONE DELL’OGGETTO DELL’APPALTO SULLE TRE BUSTE INSERITE
NEL PLICO GENERALE - MERA IRREGOLARITA' FORMALE - ESCLUSIONE -
ILLEGITTIMITA'.
2. GARA D'APPALTO - MODALITA' DI PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE - MANCATA
INDICAZIONE DELL’OGGETTO DELL’APPALTO SULLE TRE BUSTE INSERITE NEL PLICO
GENERALE - MERA IRREGOLARITA' FORMALE - ESCLUSIONE - IN APPLICAZIONE DI
CLAUSOLA DI STILE DELLA LEX SPECIALIS - ILLEGITTIMITA - RAGIONI.
1. La mancata indicazione dell’oggetto dell’appalto anche sulle tre
buste inserite nel plico generale –sul quale d’altronde erano stati
puntualmente riportati tutte le diciture richieste per l’individuazione
sia della gara che dell’offerente- deve infatti essere considerata come
mera irregolarità formale, come tale inidonea a giustificare la grave
misura adottata dall’organo di gara in sede di verifica della
documentazione. Infatti, da un punto di vista funzionale esigere che
anche sulle tre buste interne al plico generale dovesse assolutamente
essere indicato l’oggetto dell’appalto non soddisfa alcuna esigenza
pubblica connessa al procedimento, né in termini di trasparenza, né di
par condicio o comunque di celerità, anzi ponendosi come una
determinazione che in astratto finisce per aggravarne inutilmente la
dinamica, arrecando un danno all’interesse pubblico conseguente dalla
aprioristica pretermissione di una possibile soluzione vantaggiosa.
2. Né il provvedimento può essere ritenuto sostenibile in termini di
pedissequa e vincolata applicazione del capitolato nella parte in cui
aveva prescritto che “tutto quanto prescritto nel presente capitolato
d’oneri è a pena di esclusione e/o di non aggiudicazione”. Trattasi,
infatti, di una proposizione del tutto inidonea ad essere interpretata
come specifica volontà di sanzionare con l’esclusione qualsiasi
prescrizione ivi contenuta; ciò, in primo luogo per la sua eccessiva
genericità, che mal si concilia con una volontà effettiva
dell’amministrazione, configurandosi piuttosto come mera clausola di
stile (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 25.07.2008 n. 9417 - link a www.mediagraphic.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Dipendenti
pubblici, sanzioni sempre da graduare. Anche nei casi più gravi le
misure disciplinari devono tenere conto della personalità.
Nel decidere le sanzioni disciplinari da applicare ai dipendenti
pubblici che si siano resi colpevoli di un illecito disciplinare la
Pubblica Amministrazione deve effettuare anche una valutazione della
loro personalità (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.07.2008 n. 3616 - link a www.cittadinolex.kataweb.it). |
APPALTI:
GARA D'APPALTO - PARTECIPAZIONE DI ATI - IMPUGNAZIONE ATTI DI GARA
- LEGITTIMAZIONE - IMPRESA SINGOLA - SUSSISTENZA – RAGIONI.
In caso di associazione temporanea di imprese (ATI) nei pubblici
appalti, ogni singola impresa partecipante all'ATI stessa, anche nel
ruolo di semplice mandante e non di mandataria (come appunto nel caso di
specie in cui ha veste di ricorrente la sola Teckal srl), può sempre,
sia prima che dopo la formale costituzione dell'ATI, proporre
impugnazione contro gli atti e i risultati della gara, essendo titolare
di autonoma legittimazione ad agire nell'ambito del raggruppamento di
imprese ed anche se i motivi dello sfavorevole provvedimento oggetto
d’impugnativa siano incentrati sulla posizione specifica di altro
componente dell’ATI (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 29.03.2006, n.
1600 e TAR Lombardia, MI, IV, n. 454 del 04.03.2008) (TAR Lazio-Roma,
Sez. III,
sentenza 22.07.2008 n. 7175 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: Possibile
ed è anzi atto dovuto l’escussione della cauzione per mancata conferma
delle dichiarazioni inizialmente rese dalle imprese partecipanti alle
gare.
Stando all’art. 38, primo comma lett. i), del nuovo Codice dei contratti
pubblici, secondo il quale devono essere esclusi i soli concorrenti che
abbiano commesso violazioni “gravi” e “definitivamente accertate” in
materia di contributi previdenziali ed assistenziali (che riprende la
formulazione dell’art. 75, primo comma lett. e) del D.P.R. 21.12.1999 n.
554) le Amministrazioni procedenti non possono legittimamente arrestarsi
alla presa d’atto del responso “sintetico” fornito dall’ente
previdenziale per mezzo del d.u.r.c., bensì devono effettuare
un’autonoma istruttoria circa i caratteri della irregolarità
contributiva cumulativamente richiesti dal legislatore, ossia la
“gravità” e la “definitività”. Tale attività di verifica ed
apprezzamento, da svolgersi in contraddittorio con l’impresa
interessata, non può essere surrogata dalla certificazione formata
dall’ente previdenziale, al quale solo compete di attestare l’esistenza
e l’entità del rapporto debitorio. Del pari, spetta al giudice
amministrativo il sindacato sulla motivazione addotta della stazione
appaltante, all’atto dell’esclusione dalla gara, circa la ricorrenza dei
presupposti di gravità e definitività delle pendenze contributive
(condivisibile, in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 20.09.2005 n. 4817,
riferita all’art. 75 del previgente regolamento sui lavori pubblici).
Può oggi aggiungersi che una diversa interpretazione, oltre a tradire il
tenore letterale del primo comma dell’art. 38 del Codice, si porrebbe in
contrasto con l’art, 45, terzo comma, della direttiva 2004/18/CE il
quale, introducendo un principio immediatamente precettivo rivolto alle
Amministrazioni aggiudicatrici, consente sì di accettare il certificato
come “prova sufficiente” che attesta che l’operatore economico non si
trova in nessuna delle situazioni di esclusione, ma viceversa non
autorizza a far discendere l’esclusione automatica dell’impresa dalle
risultanze di detto certificato.
L’esplicazione del potere di apprezzamento della gravità e della
definitività delle violazioni contributive, da parte della stazione
appaltante, non può che collocarsi nella fase della qualificazione dei
soggetti offerenti, allorché si svolge la consueta verifica dei
requisiti di partecipazione prescritti dalla legge e dal bando di gara.
La previsione del terzo comma dell’art. 38 del Codice, che fa obbligo
all’aggiudicatario provvisorio di consegnare all’Amministrazione il
d.u.r.c., non esclude che già in fase di presentazione della domanda di
partecipazione tutte le ditte concorrenti debbano diligentemente
dichiarare la propria posizione contributiva (non diversamente, ad
esempio, dai precedenti penali degli amministratori), proprio allo scopo
di consentire la doverosa valutazione degli eventuali debiti
previdenziali, in punto di “gravità” e “definitività”.
Va osservato, tuttavia che la previsione del terzo comma dell’art. 38
del codice che fa obbligo all’aggiudicatario provvisorio di consegnare
all’amministrazione Durc non esclude che già in fase di presentazione
della domanda di partecipazione tutte le ditte concorrenti debbano
diligentemente dichiarare la propria posizione contributiva (non
diversamente, ad es., dei precedenti penali degli amministratori )
proprio allo scipo di consentire la doverosa valutazione degli eventuali
debiti previdenziali, in punto di “gravità e definitività”.
Proprio il riconoscimento di penetranti spazi di discrezionalità, in
capo alla stazione appaltante, nei riguardi delle pendenze contributive
risultanti dal d.u.r.c. porta con sé, quale corollario, che ciascuna
impresa che abbia in corso un procedimento di accertamento previdenziale
non può dichiarare di essere in regola, ma deve manifestare fin
dall’inizio l’esistenza di tale situazione, alla cui valutazione
provvederà l’Autorità destinataria della dichiarazione medesima; come
ripetutamente rilevato dalla giurisprudenza, infatti, in un contesto di
positivo rinnovamento della legislazione in tema di rapporti tra
cittadino e pubblici poteri, e quindi in tema di certificazioni e di
autocertificazione, è indispensabile che il cittadino stesso sia anche
responsabile (e responsabilizzato) delle dichiarazioni che rilascia,
all’evidente scopo di evitare che un importante strumento di civiltà
giuridico-amministrativa, quale l’autocertificazione, possa finire con
l’essere comodo mezzo per aggirare ben precisi precetti di legge (TAR
Sicilia, Palermo, Sez. III, 15.09.2005 n. 1590).
Da ciò si ricava che le imprese che intendano partecipare alle pubbliche
gare d’appalto, hanno l’onere, allorché rendono le autodichiarazioni
previste dalla legge o dal bando, di rendersi particolarmente diligenti
nel verificare preliminarmente (attraverso la documentazione in loro
possesso o anche accedendo ai dati dei competenti uffici) che tali
autodichiarazioni siano veritiere. La falsa o incompleta attestazione
dei requisiti di partecipazione ha rilevanza oggettiva, sicché il
relativo inadempimento non tollera ulteriori indagini da parte
dell’Amministrazione in ordine all’elemento psicologico (se cioè la
reticenza sia dovuta a dolo o colpa dell’imprenditore) e alla gravità
della violazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17.04.2003 n. 2081; Id.,
09.12.2002 n. 6768).
Con specifico riguardo alla dichiarazione di regolarità contributiva,
deve perciò distinguersi. E’ illegittima l’esclusione quando l'impresa
abbia tempestivamente impugnato, prima della pubblicazione del bando, la
richiesta di pagamento degli oneri contributivi, ma a diversa
conclusione si perviene nel caso in cui l’impresa abbia dichiarato
espressamente, nella domanda di partecipazione, di essere in regola con
i doveri contributivi e fiscali, nonostante l’effettiva presenza di
contenziosi pendenti: in tal caso infatti la dichiarazione, a pena di
esclusione, deve essere completa dell’indicazione di detto contenzioso
(in questo senso Cons. Giust. Amm. Sicilia, 28.07.2006 n. 470) (TAR
Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 16.07.2008 n. 1755 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
1. GARA D'APPALTO - OFFERTE - VARIANTI IN SEDE DI OFFERTA -
AMMISSIBILITÀ NEL CASO DI OFFERTA ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA -
FONDAMENTO.
2. GARA D'APPALTO - OFFERTE - VARIANTI IN SEDE DI OFFERTA - LIMITAZIONI
– INDIVIDUAZIONE.
3. GARA D'APPALTO - OFFERTA ANOMALA - GIUSTIFICAZIONI - GIUDIZIO DI
ANOMALIA - MOTIVAZIONE PER RELATIONEM – AMMISSIBILITÀ.
1. In linea generale la previsione esplicita della possibilità di
presentare varianti in sede di offerta per gli appalti di servizi, è
contemplata dall’art. 24, d.lgs. n. 157 del 1995 (applicabile ratione
temporis), in parte qua riproduttivo della disciplina recata dalla
direttiva 92/50/Ce (ed oggi generalizzata dall’art. 76 del codice dei
contratti pubblici per qualsivoglia appalto); l’amministrazione deve
indicare, in sede di redazione della lex specialis, se le varianti sono
ammesse e, in caso affermativo, identificare i loro requisiti minimi.
La ratio della scelta normativa comunitaria riposa sulla circostanza
che, allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la stazione
appaltante ha maggiore discrezionalità e soprattutto sceglie il
contraente valutando non solo criteri matematici ma la complessità
dell’offerta proposta, sicché nel corso del procedimento di gara
potrebbero rendersi necessari degli aggiustamenti rispetto al progetto
base elaborato dall’amministrazione; nel caso invece di offerta
selezionata col criterio del prezzo più basso, poiché tutte le
condizioni tecniche sono predeterminate al momento dell’offerta e non vi
è alcuna ragione per modificare l’assetto contrattuale, non è mai
ammessa la possibilità di presentare varianti.
In ogni caso deve ritenersi insito nella scelta del criterio selettivo
dell’offerta economicamente più vantaggiosa che, anche quando il
progetto posto a base di gara sia definitivo, sia consentito alle
imprese proporre quelle variazioni migliorative rese possibili dal
possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i
caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis
onde non ledere la par condicio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11.02.1999,
n. 149).
2. La giurisprudenza nazionale ha elaborato alcuni criteri guida
relativi alle varianti in sede di offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V,
19.02.2003, n. 923; sez. V, 09.02.2001, n. 578; sez. IV, 02.04.1997, n.
309):
- si ammettono varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive
dell’opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa
ideazione dell’oggetto del contratto, che si ponga come del tutto
alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a.;
- risulta essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto
al progetto base, che l’offerente dia contezza delle ragioni che
giustificano l’adattamento proposto e le variazioni alle singole
prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca
l’efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese alla
prescrizione variata;
- viene lasciato un ampio margine di discrezionalità alla commissione
giudicatrice, trattandosi dell’ambito di valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa.
3. Non sussiste un dovere di motivazione puntuale ed analitica
nel caso di giustificazioni dell'offerta anomala ritenute congrue dalla
stazione appaltante, essendo sufficiente una motivazione espressa per
relationem alle giustificazioni rese dall’impresa vincitrice (cfr. sez.
IV, 07.06.2004, n. 3554; sez. VI, 08.03.2004, n. 1080; sez. VI,
06.08.2002, n. 4094; sez. VI, 03.04.2002, n. 1853; sez. IV, 14.02.2002,
n. 882) (1) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.07.2008 n. 3481 - link a www.mediagraphic.it).
____________________
(1) Ha peraltro osservato il collegio che "un diverso indirizzo
esige, invece, una puntuale e rigorosa motivazione anche del giudizio
positivo di non anomalia onde evitare argomentazioni apodittiche o
apparenti a tutela effettiva della par condicio (sez. VI, 11.12.2001, n.
6217). La sezione aderisce al primo orientamento che costituisce un
miglior punto di equilibrio fra il dovere di garantire la par condicio,
le esigenze di salvaguardare gli spazi di autonomia tecnico
discrezionale riservati all’amministrazione, l’economicità e la
tempestività dell’azione amministrativa apprezzate in chiave
sostanzialistica, conformemente al disegno riformatore enunciato nei
principi divisati dall’art. 1, l. n. 241 del 1990. Tale bilanciamento
appare quanto mai utile allorquando, come nel caso di specie, le censure
appaiano di maniera, perché non suffragate da eclatanti percentuali di
ribasso contenute nell’offerta giudicata favorevolmente". |
PUBBLICO IMPIEGO: Concorsi
pubblici senza privacy. La visione degli elaborati non è da comunicare
all'autore.
Il Collegio osserva che:
a) il ricorrente avendo partecipato alla procedura concorsuale è
titolare di un interesse qualificato e differenziato alla regolarità
della procedura che, come tale, concretizza quell’ “interesse personale
e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti” che
l’art. 2 del DPR n. 352/1992, in puntuale applicazione dell’art. 22
della L. n. 241/1990, richiede quale presupposto necessario per il
riconoscimento del diritto di accesso (ex plurimis CS, sez VI, n.
6246/2000);
b) tale interesse è stato puntualmente evidenziato nell'istanza di
accesso nella quale il ricorrente ha manifestato l'intenzione di
valutare la legittimità degli atti della procedura concorsuale e, se del
caso, di tutelare in sede giurisdizionale le proprie ragioni.
c) nessuna rilevanza, poi, assume la previa comunicazione della suddetta
istanza agli altri candidati la cui produzione documentale è oggetto
della stessa, al fine di consentire a questi ultimi di opporsi
motivatamente al suo accoglimento. Al riguardo il consolidato
orientamento giurisprudenziale (CS, sez. VI, n. 260/1997; Tar Campania
n. 7538/1997; Tar Emilia Romagna, Parma, n. 274/2001) ha affermato il
principio che le domande ed i documenti prodotti dai candidati, i
verbali, le schede di valutazione e gli stessi elaborati costituiscono
documenti rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l'esigenza di
riservatezza a tutela dei terzi, posto che i concorrenti, prendendo
parte alla selezione, hanno evidentemente acconsentito a misurarsi in
una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno
costituisce l'essenza. Tali atti, quindi, una volta acquisiti alla
procedura, escono dalla sfera personale dei partecipanti che, pertanto,
non assumono la veste di controinteressati in senso tecnico nel presente
giudizio. Né, in concreto, l'omessa integrale intimazione in giudizio
dei concorrenti cui si riferiscono gli atti in esame arreca loro alcun
significativo pregiudizio non potendo gli stessi, in ragione di quanto
detto, opporsi all'ostensione dei documenti richiesti dalla ricorrente
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 08.07.2008 n. 6450 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
1. GARA D'APPALTO - REQUISITI GENERALI - DICHIARAZIONI EX ART. 38
DLGS. 163/2006 - VANNO RIFERITE SOLO AGLI AMMINISTRATORI E DIRETTORI
TECNICI - RIFERIBILITA' A PROCURATORI MUNITI DI UN QUALSIASI POTERE DI
RAPPRESENTANZA - VA ESCLUSA - RAGIONI.
2. GARA D'APPALTO - REQUISITI GENERALI - DICHIARAZIONI EX ART. 38 DLGS.
163/2006 - VANNO RIFERITE SOLO AGLI AMMINISTRATORI E DIRETTORI TECNICI -
INSTITORE - È SOGGETTO SFORNITO DI POTERI DECISIONALI DEGLI INDIRIZZI E
DELLE SCELTE IMPRENDITORIALI - NON EQUIPARABILITÀ ALL’AMMINISTRATORE CON
POTERI DI RAPPRESENTANZA.
1. L’art. 38, d.lg. 12.04.2006 n. 163, non si riferisce a tutti gli
amministratori e procuratori muniti di un qualsiasi potere di
rappresentanza, ma contempla espressamente ed esclusivamente i soli
amministratori e direttori tecnici. L’estensione della previsione
normativa a tutti i procuratori muniti di un qualsiasi potere di
rappresentanza, oltre a risultare irrazionale e di grande complicazione
in relazione a strutture organizzative di un certo rilievo, risulta
persino contraria alla specialità della disciplina, che contempla
restrizioni e limitazioni al potere di iniziativa economica del privato
e non risulta, pertanto, suscettibile di interpretazione in via
analogica, dovendosi, peraltro, escludere che l’esegesi prospettata da
parte ricorrente possa essere diversamente qualificata come semplice
interpretazione estensiva.
2. Ai fini dell’applicazione dell’art. 38, d.lg. 12.04.2006 n. 163,
l’institore, benché munito di poteri di rappresentanza e preposto
all’esercizio dell’impresa (o di un suo ramo), è soggetto dotato di
poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali degli indirizzi
e delle scelte imprenditoriali, sicché non è equiparabile
all’amministratore con poteri di rappresentanza (TAR Calabria-Reggio
Calabria,
sentenza 08.07.2008 n. 379 - link a www.mediagraphic.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vicino ha meno tempo per impugnare il permesso di costruire rilasciato
al confinante: conta l'inizio lavori e non l'ultimazione degli stessi.
L’art. 20, comma 7, seconda e terza frase, DPR n. 380/2001 statuisce che
“Dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al
pubblico, mediante affissione all’Albo Pretorio. Gli estremi del
permesso di costruire sono indicati nel cartello esposto presso il
cantiere, secondo le modalità stabilite dal Regolamento Edilizio”.
Secondo questo Tribunale (cfr. TAR Basilicata Sentenze nn. 515 e 517 del
04.09.2007) tale norma va letta ed interpretata unitamente all’art. 21,
comma 1, L. n. 1034/1971, nella parte in cui sancisce che per gli atti
amministratavi “di cui non sia richiesta la notifica individuale”, come
nella specie il permesso di costruire, il quale deve essere notificato
soltanto al richiedente e non anche alle altre persone eventualmente
interessate, il termine decadenziale di impugnazione di 60 giorni
decorre dall’ultimo giorno di pubblicazione di tale atto all’Albo
Pretorio; ma, poiché i lavori autorizzati con il permesso di costruire
possono iniziare entro un anno dalla data di rilascio del permesso di
costruire, opportunamente il Legislatore con la terza frase dell’art.
20, comma 7, DPR n. 380/2001 stabilisce che il termine decadenziale di
impugnazione di 60 giorni ex art. 21, comma 1, L. n. 1034/1971 decorre
dall’allestimento del cantiere edile e più precisamente dall’esposizione
del cartello, indicante gli estremi del permesso di costruire
rilasciato.
Pertanto, secondo quanto statuito dal combinato disposto di cui agli
artt. 20, comma 7, seconda e terza frase, DPR n. 380/2001 e 21, comma 1,
L. n. 1034/1971, quello che conta ai fini del decorso del termine di
impugnazione giurisdizionale di un permesso di costruire da parte di un
soggetto terzo, diverso dal destinatario, è la conoscibilità di tale
permesso di costruire associata all’effettivo inizio dei lavori, resa
possibile dalla pubblicazione nell’Albo Pretorio dell’apposito avviso e
dall’esposizione nel cantiere del cartello con gli estremi del permesso
di costruire rilasciato, e non l’effettiva conoscenza del permesso di
costruire previa istanza di accesso ex art. 22 e ss. L. n. 241/1990.
Dunque, dopo l’entrata in vigore dell’art. 20, comma 7, seconda e terza
frase, DPR n. 380/2001 non più essere seguito il precedente e
consolidato orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui la
mera affissione all’Albo Pretorio ed anche l’indicazione degli estremi
del permesso di costruire nel cartello esposto presso il cantiere non
costituivano una formalità idonea per la decorrenza del termine di
impugnazione giurisdizionale di un permesso di costruire, poiché il
momento dal quale far decorrere il termine di impugnazione era quello
dell’ultimazione dei lavori, in quanto soltanto da tale data i soggetti
interessati potevano avere la piena consapevolezza dell’esistenza e
dell’entità delle violazioni urbanistiche commesse
(TAR Basilicata,
sentenza 27.06.2008 n. 337 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Sulla
convenzione dei piani attuativi del P.R.G..
La convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di stampo
giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente
contrattuale, rappresenta certamente un istituto di complessa
ricostruzione; tuttavia la giurisprudenza è concorde nel ritenere che
esso rappresenti l’incontro di volontà delle parti contraenti
nell'esercizio dell'autonomia negoziale retta dal codice civile. Tale
assunto conserva validità anche nelle ipotesi in cui alcuni contenuti
dell'accordo vengano proposti dall'amministrazione in termini non
modificabili dal privato. La circostanza non esclude che la parte che
abbia sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto, abbia
inteso aderirvi e ne resti vincolata, salvo il ricorso agli strumenti di
tutela in caso di invalidità del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
28.07.2005, n. 4014).
Le convenzioni di lottizzazione costituiscono strumenti di attuazione
del piano regolatore generale, rivestono carattere negoziale e, in
particolare, di accordi sostituivi del provvedimento (Cons. St., sez. IV,
15.09.2003, n. 5152) e che, pertanto, le stesse restano soggette alla
disciplina dettata dall’art. 11 della legge 07.08.1990, n. 241 (Cons. St.,
sez, IV, 13.01.2005, n. 222). Alla predetta catalogazione dei piani di
lottizzazione di iniziativa privata come atti di natura convenzionale
consegue, quale immediato corollario, che la loro modifica necessita
della manifestazione di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso
alla loro formazione, ivi compresi, ovviamente, anche i soggetti privati
che, pur non essendo proprietari dei lotti incisi dalla variante, hanno
proposto il piano ed hanno sottoscritto la relativa convenzione
urbanistica (Cons. Stato, sez. IV, 19.02.2008, n. 534) (TAR Puglia-Bari,
Sez. I,
sentenza 26.06.2008 n. 1555 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: APPALTI
DI SERVIZI - OFFERTE ANOMALE - COSTO DEL LAVORO - RISULTANTE DA TABELLE
MINISTERIALI - SCOSTAMENTO NON EVIDENTE - NATURA NON ANOMALA.
Il legislatore (art. 1 L. 327/2000) si preoccupa soltanto di demandare
agli enti aggiudicatori il compito di valutare che il valore economico
sia “adeguato e sufficiente”, rispetto al costo del lavoro come
risultante dalle tabelle ministeriali, redatte sulla base dei valori
economici previsti dalla contrattazione collettiva applicabile alla
fattispecie (comma 1) ovvero da quella relativa al settore merceologico
più vicino a quello preso in considerazione (comma 2).
Se è vero che le offerte anomale sono quelle che si discostano “in modo
evidente” dai parametri di cui ai commi 1, 2 e 3, ne consegue
necessariamente che le offerte economiche non sono considerate
anormalmente basse allorché non si discostino in modo evidente da quei
parametri (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.06.2008 n. 2835 - link a www.mediagraphic.it). |
VARI: Lecite
le videoriprese dei vicini nel cortile. È possibile filmare persone
sospettate di reati purché non in luoghi di privata dimora.
Le videoriprese dei vicini di casa, effettuate per smascherare
comportamenti illeciti, sono lecite purché non dirette verso luoghi di
privata dimora ma verso aree utilizzate da un numero indifferenziato di
persone
(Corte di Cassazione, Sez. V penale,
sentenza 05.06.2008 n. 22602 - link a www.cittadinolex.kataweb.it). |
APPALTI: 1.
GARA D'APPALTO - REQUISITI GENERALI - PLURALITÀ DI DICHIARAZIONI
AUTOCERTIFICATIVE RESA IN NOME PROPRIO DA PARTE DI TUTTI I
RAPPRESENTANTI LEGALI E DIRETTORI TECNICI DELL’IMPRESA - NON E'
NECESSARIA - RAGIONI.
2. GARA D'APPALTO - REQUISITI GENERALI - DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE -
ESPRESSO RICHIAMO ART. 76 DPR 445/2000 - NON E' PRESCRITTO AD
SUBSTANTIAM.
1. Non è necessaria quanto ai requisiti di natura personale la
presentazione di una pluralità di dichiarazioni autocertificative resa
in nome proprio da parte di tutti i rappresentanti legali e direttori
tecnici dell’impresa; un simile adempimento, non espressamente richiesto
dall’art. 38 D.Lgs. 163/2006, non contribuirebbe alla semplificazione
dei procedimenti amministrativi che costituisce il principale obiettivo
del DPR 445/2000 e potrebbe in taluni casi rivelarsi particolarmente
oneroso in fase di presentazione della domanda di partecipazione. In
altre parole, non vi è dubbio che i requisiti di idoneità morale di cui
alle lettere b) e c) dell’art. 38 cit., debbano essere posseduti dalle
persone fisiche, legali rappresentanti delle imprese, perchè solo agli
individui possono far capo, così come rimane fermo che, in ipotesi di
aggiudicazione, la verifica dei requisiti va effettuata con riferimento
a ciascuno dei soggetti persone fisiche contemplati , ma non è esatto
ritenere che essi soli, personalmente, siano abilitati a documentarlo,
in quanto l’art. 47, comma 2, DPR 445/2000 prevede che la dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà “resa nell’interesse proprio del
dichiarante può riguardare anche stati, qualità personali e fatti
relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza”.
2. Non è prescritto ad substantiam l’espresso richiamo nella
dichiarazione sostitutiva all’art. 76 DPR 445/2000 e alle sanzioni
penali ivi contemplate, che, del resto, non sono ricollegate all’uso di
formule sacramentali, sussistendo anche in mancanza di esse la
responsabilità penale di chi dichiari il falso. E' sufficiente che nelle
dichiarazioni presentate si specifichi che esse vengono rese ai sensi
del DPR 445/2000 in quanto il contesto professionale lascia supporre la
consapevolezza del tipo di atto compilato, mentre nessuna norma sanziona
con la nullità la dichiarazione che non specifichi la consapevolezza
della responsabilità anche penale assunta (TRGA Trentino Alto
Adige-Trento,
sentenza 05.06.2008 n. 130 - link a www.mediagraphic.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: ENTI
LOCALI – INCARICHI DI COLLABORAZIONE – CONFERIMENTO – DISCIPLINA – ART.
7 D.LGS. N. 165/2001 ss.mm. – INCARICO DI PATROCINIO E CONSULENZA LEGALE
DELL’ENTE A PROFESSIONISTA ESTERNO – CONFERIMENTO IN VIA DIRETTA SENZA
PROCEDURA SELETTIVA – DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA – ILLEGITTIMITÀ.
È illegittima -per violazione del principio costituzionale di buon
andamento e trasparenza della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e
dei principi di derivazione comunitaria di non discriminazione, parità
di trattamento, pubblicità e proporzionalità- la deliberazione con la
quale la Giunta comunale ha conferito l’incarico di patrocinio e
consulenza legale del Comune, in sede amministrativa e civile, di durata
annuale, a professionista esterno, nel caso in cui l’ente abbia
conferito in via diretta l’incarico senza indire una procedura selettiva
e senza valutare in alcun modo le istanze, con allegato curriculum,
presentate.
I summenzionati principi di derivazione comunitaria e l’esigenza di
rendere più concorrenziali gli assetti di mercato, oltre che di
contenere i livelli di spesa pubblica, che hanno ispirato la nuova
normativa (cfr. Preambolo e art. 1 del D.L. n. 223 del 2006 - c.d.
decreto Bersani), impongono la predisposizione di un bando o avviso
pubblico, la previa individuazione di criteri obiettivi per la
valutazione delle istanze, lo svolgimento di una procedura di
valutazione comparativa dei curricula presentati nonché l’obbligo di
motivare congruamente la scelta, onde consentire il controllo
sull’imparzialità della procedura (TAR Campani-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.05.2008 n. 4855 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: CONTRATTI
DELLA P.A. - ANNULLAMENTO S.G. AGGIUDICAZIONE - EFFETTI SUL CONTRATTO
STIPULATO - INEFFICACIA SUCCESSIVA.
L’intervenuto annullamento del provvedimento di aggiudicazione non può
non riverberarsi anche sulla sopravvivenza del suddetto contratto, che
rimane colpito da inefficacia successiva, come ha avuto modo di ribadire
di recente la giurisprudenza del Consiglio di Stato: “Come questo
Consiglio ha già avuto modo di osservare, (…), l’annullamento
dell’aggiudicazione in sede giurisdizionale, allorché questa intervenga
dopo la stipula del contratto di appalto, comporta che quest’ultimo
diviene inefficace; la categoria dell’inefficacia successiva ricorre
allorché il negozio pienamente efficace al momento della sua nascita
diviene inefficace per il sopravvenire di una ragione nuova di
inefficacia, quest’ultima da intendersi come inidoneità funzionale in
cui venga a trovarsi il programma negoziale per l’incidenza ab externo
di interessi giuridici di rango poziore incompatibili con l’interesse
negoziale, nel qual caso l’ordinamento è chiamato a risolvere un
problema di contrasto con situazioni effettuali: non viene in rilievo
l’atto sotto il profilo genetico (validità o invalidità), bensì la sua
efficacia (Sez. IV, 27.10.2003, n. 6666; Sez. V, 28.05.2004, n. 3465).”
(così Consiglio di Stato, Sez. V, 12.02.2008 n. 490)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 06.05.2008 n. 3365 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI: GARA
D'APPALTO - FACOLTA' DI NON AGGIUDICARE IN PRESENZA DI UNA SOLA OFFERTA
EX ART. 69 R.D. 827/1924 - NON VA RIFERITA ALL'UNICITA' DELL'OFFERTA A
CAUSA DELL'ESCLUSIONE DELLE ALTRE OFFERTE PERVENUTE - PRESUPPOSTI DI
APPLICABILITA' - PARTECIPAZIONE ALLA GARA DI UN SOLO CONCORRENTE.
L’ipotesi prevista dall’art. 69 r.d. 827/23, secondo cui non può
procedersi all’aggiudicazione in caso di presentazione di una sola
offerta, non può essere assimilata alla diversa ipotesi di gara in cui
risulti l’esistenza in concreto di una sola offerta, per essere state le
altre escluse a causa di violazioni delle disposizioni attinenti la
procedura concorsuale, riguardando essa, esclusivamente, la fattispecie
in cui ad una gara sia stata presentata una sola offerta avendovi
partecipato un solo concorrente, sicché soltanto in questa ipotesi non è
possibile l’aggiudicazione, a meno che non sia stato preventivamente
stabilito il contrario nella prevista disciplina
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.05.2008 n. 2016 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI SERVIZI: REQUISITI
SPECIALI - FATTURATO GLOBALE NELL'ULTIMO TRIENNIO - PARI AL DOPPIO
DELL'IMPORTO A BASE D'ASTA - LEGITTIMITA' – RAGIONI.
Non appare irragionevole la clausola del bando di gara che richiede alle
partecipanti –quale requisito di ammissione alla procedura– un fatturato
globale, nell’ultimo triennio, pari al doppio del prezzo a base d’asta
relativamente a servizi identici a quelli oggetto della gara, essendo
tale requisito giustificato dalla opportunità della verifica del livello
di idoneità economico-finanziaria (cfr.: Cons. Stato V, 31.01.2006 n.
348). Invero, nella configurazione della tutela della libera
concorrenza, il legislatore ha tenuto ben presente l’esigenza di
assicurare, nel rispetto del libero confronto concorrenziale,
l’efficienza per le Amministrazioni aggiudicatici, dei risultati di tale
confronto, prevedendo rigide regole di accertamento della idoneità
tecnica, economica e morale dei partecipanti alle gare pubbliche. In
ciò, non vi è violazione delle regole della concorrenza, ma
semplicemente il pieno rispetto delle stesse, avendo riguardo alla reale
possibilità di confrontarsi tra soggetti in posizione di parità e tutti
idonei alla prestazione di servizi per le Amministrazioni aggiudicatici
(cfr.: Cons. Stato V, 11.11.2004 n. 7330)
(TAR Molise, Sez. I,
sentenza 02.04.2008 n. 10 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
GARA D'APPALTO - REQUISITI SPECIALI - VERIFICA A CAMPIONE EX ART.
48, C.1, D.L.VO N. 163/2006 - MANCATA DIMOSTRAZIONE DEL POSSESSO DEI
REQUISITI DICHIARATI - ANNOTAZIONE NEL CASELLARIO INFORMATICO - IN
ASSENZA DI ADOZIONE PROVVEDIMENTO DI ESCLUSIONE - ILLEGITTIMITÀ.
L’art. 48 del D.lgvo n. 163/2006, il cui primo comma prevede che “Le
stazioni appaltanti prima di procedere all'apertura delle buste delle
offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore
al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all'unità
superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci
giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di
capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in
detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia
fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di
partecipazione o nell'offerta, le stazioni appaltanti procedono
all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della relativa
cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i
provvedimenti di cui all'articolo 6 comma 11. L'Autorità dispone altresì
la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure
di affidamento”.
In tale contesto, quindi, è palese l’illegittimità dell’operato della
stazione appaltante e di riflesso della resistente Autorità essendo
stata effettuata la contestata annotazione in assenza della previa
adozione di un provvedimento di esclusione, che nella dinamica
procedimentale di cui alla richiamata disposizione ne costituisce un
presupposto essenziale (TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 01.04.2008 n. 2773 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
GARA D'APPALTO - FORMALISMO - MANCATA INDICAZIONE DEL CIG E CODICE
FISCALE SUL VERSAMENTO DEL CONTRIBUTO ALL'AUTORITA' - SANABILITA' -
RILEVANZA INDICAZIONE CIG - SOLO NEL CASO IN CUI LA STESSA STAZIONE
APPALTANTE INDICA, NELLO STESSO GIORNO, PIÙ GARE AVENTI OGGETTO ANALOGO.
La partecipazione alle gare ad evidenza pubblica non può essere
subordinata ad adempimenti formali che nessuna incidenza hanno sugli
interessi pubblici sostanziali di cui la stazione appaltante è
portatrice nel momento in cui bandisce una gara d’appalto. In questo
senso la mancata indicazione del codice CIG e del codice fiscale sul
bollettino di versamento è sanabile, ove necessario, a posteriori,
trattandosi di dati che possono rilevare solo a fini fiscali o
statistici; l’indicazione del codice CIG, peraltro, può essere invece
fondamentale solo nel caso in cui la stessa stazione appaltante indica,
nello stesso giorno, più gare aventi oggetto analogo. In questo caso,
infatti, è importante la specificazione della gara a cui si riferisce il
versamento, perché l’impresa potrebbe anche giocare sull’equivoco e
utilizzare -magari allegando alle varie offerte fotocopie autenticate
dell’unico bollettino- il medesimo versamento per partecipare a più di
una gara, il che verrebbe a ledere, oltre alla par condicio fra i
concorrenti, l’interesse pubblico alla regolarità della procedura e
l’interesse dell’AVCP a incamerare i contributi in questione (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 29.03.2008 n. 911 - link a www.mediagraphic.it). |
LAVORI PUBBLICI:
SUDDIVISIONE IN LOTTI - LEGITTIMITA' - VALORE COMPLESSIVO
DELL'APPALTO - SOMMATORIA IMPORTO SINGOLI LOTTI - IMPORTO COMPLESSIVO
SUPERIORE ALLA SOGLIA COMUNITARIA - RISPETTO PROCEDURE COMUNITARIE -
NECESSITA'.
In sede di gara d'appalto di lavori pubblici, la suddivisione in lotti
di un'opera non è in sé illegittima, ma impone l'applicazione comunque
del diritto comunitario se la somma degli importi dei singoli lotti
supera la soglia comunitaria (Cons. Stato, VI Sez., n. 3188/2004).
Inoltre, l'art. 6 della Dir. CEE n. 93/37 (che impone di sommare
l'importo dei singoli lotti di un'opera unitaria, al fine della
determinazione della soglia comunitaria e dell'applicazione della
disciplina comunitaria) è immediatamente applicabile nell'ordinamento
interno (cfr. dec. cit.) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.03.2008 n. 1101 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
GARA D'APPALTO - AUTOCERTIFICAZIONI - PLURALITA' DI DICHIARAZIONI
- PROVENIENTI DAL MEDESIMO SOGGETTO - PRESENZA DI UNA SOLA COPIA
DOCUMENTO RICONOSCIMENTO SOTTOSCRITTORE - DEVE ESSERE CONSIDERATA
SUFFICIENTE AD ACCERTARE L'IDENTITÀ DELLA PERSONA CON RIFERIMENTO A
TUTTE LE DICHIARAZIONI CONTENUTE NEL PLICO.
La formalità prescritta dall'articolo 38 del decreto del presidente
della repubblica 28.12.2000 n. 445 non deve essere tramutata in un
formalismo senza scopo, esigendo che più dichiarazioni rese dalla stessa
persona in un medesimo procedimento e facenti parte di un medesimo
insieme probatorio debbano necessariamente essere accompagnate,
ciascuna, da una copia del documento; infatti, la presenza del documento
è correlata alla esigenza di certezza che le dichiarazioni depositate
siano riconducibili alla persona che le ha sottoscritte ma è evidente
che, quando le dichiarazioni appartengono al medesimo soggetto, la
presenza di una sola fotocopia del documento può e deve essere
considerata sufficiente ad accertare l'identità della persona con
riferimento a tutte le dichiarazioni contenute nel plico (Cons. St.sez.
V, 03.014.2006 n. 25; Tar Piemonte, sezione II, n. 3027/2007; Tar
Sardegna sezione I, 1683/2006) (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 13.03.2008 n. 457 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
GARA D'APPALTO - LEX SPECIALIS - NON DISAPPLICABILITA' DELLE
CLAUSOLE DEL BANDO - ANNULLABILITA' IN AUTOTUTELA - REINDIZIONE NUOVA
GARA - NECESSITA'.
In sede di gara l’Amministrazione deve applicare fedelmente le clausole
del bando (o, il che è lo stesso, della lettera d’invito) che essa
stessa ha posto, salva la possibilità di annullare in autotutela quelle
che si appalesano illegittime (ma in questo caso procedendo ad una nuova
indizione della procedura), perché l’eventuale disapplicazione o
parziale applicazione delle clausole della lex specialis altererebbe la
par condicio fra i concorrenti e danneggerebbe coloro che, confidando
nella legittimità del bando, si sono attenuti fedelmente alle
disposizioni impartite dalla stazione appaltante (fattispecie relativa a
clausola della lettera d’invito, la quale prescriveva espressamente che
la fotocopia del documento di identità doveva essere allegata anche
all’offerta economica) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 19.02.2008 n. 531 - link a www.mediagraphic.it). |
APPALTI:
Alcune precisazioni sulle istanze inviate per e-mail alla P.A..
Il principio secondo cui, nelle procedure concorsuali, la fase diretta a
pronunciare l'esclusione delle domande di partecipazione per carenza dei
requisiti non costituisce un procedimento autonomo ma una semplice fase
subprocedimentale, vale anche nel caso di domande inviate per mezzo
della posta elettronica.
Salvi i casi in cui il tempo a disposizione è ristrettissimo (come, ad
es., nelle aste elettroniche) il tempestivo inoltro via e-mail di una
domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale costituisce onere
e rischio dell'istante tutte le volte in cui l'arco di tempo assegnato è
molto ampio: eventuali intasamenti del server della P.A. in prossimità
dello scadere del termine, infatti, costituiscono in tali ipotesi
un'evenienza tutt'altro che imprevedibile.
In un procedura concorsuale, l'invio di un'autodichiarazione per mezzo
di una normale e-mail è giuridicamente del tutto irrilevante in quanto
il messaggio di posta elettronica deve essere sottoscritto quanto meno
con firma digitale di primo livello: solo così la e-mail può assurgere a
dignità di autodichiarazione con provenienza certa ed inequivoca (TAR
Lazio-Roma, Sez. III-quater,
sentenza 12.02.2008 n. 1229 - link a www.mediagraphic.it). |
AGGIORNAMENTO AL 13.08.2008 |
ã |
dossier BOX |
EDILIZIA PRIVATA: I
box in deroga (ex lege Tognoli) possono essere relaizzati solamente
nelle aree urbane.
La possibilità prevista dall’art. 9 della legge “Tognoli” di realizzare
parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari,
anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti, costituisce, infatti, disposizione di carattere eccezionale, da
interpretarsi nel suo significato strettamente letterale ed in
considerazione delle finalità del testo legislativo in cui essa è
inserita (Cons. Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7325).
Ne deriva che tale disposizione è applicabile alla costruzione di
parcheggi nelle sole aree urbane, mentre le consimili iniziative
edificatorie nelle aree extraurbane restano assoggettate alle ordinarie
prescrizioni urbanistiche ed edilizie (cfr. TAR Toscana, sez. III,
19.12.2000, n. 2533; TAR Veneto, sez. II, 06.09.2002, n. 5229; Cons.
Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7325)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 07.03.2007 n.
1157). |
dossier CONSIGLIERI COMUNALI |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Sull'accesso agli atti da parte dei consiglieri comunali.
La conoscenza dei documenti, in relazione ai quali si chiede l'accesso,
deve essere necessaria al singolo per curare e difendere i suoi
interessi, ma non può avere alla base una mera curiosità, pena la
paralisi dell'azione amministrativa; infatti, il diritto di accesso alla
documentazione non può comportare un controllo generalizzato e
indiscriminato sull'operato dell'Amministrazione, che, come tale, non
rientra nelle finalità garantistiche previste dalla norma generale di
cui all'art. 25 della L. n. 241 del 1990, né può trasformarsi in uno
strumento di ispezione popolare sull'imparzialità dell'attività
amministrativa (TAR Campania-Napoli, sez. V, 07.12.2004 , n. 18532).
Il diritto di accesso del Consigliere comunale agli atti del Comune
assume tuttavia un connotato particolare, in quanto finalizzato al pieno
ed effettivo svolgimento delle funzioni assegnate al Consiglio comunale,
con la conseguenza che sul Consigliere comunale non grava alcun onere di
motivare le proprie richieste d'informazione, né gli uffici comunali
hanno titolo a richiederle ed conoscerle ancorché l'esercizio del
diritto in questione si estenda ad atti e documenti relativi a
procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote (cfr. Consiglio
di Stato, sez. V, 22.02.2007, n. 929).
Anche le richieste di accesso ai documenti avanzate dai Consiglieri
comunali ai sensi dell'art. 43, comma 2, del D.Lgs. n. 267 del
18.08.2000 (che prevede che “I consiglieri comunali e provinciali
hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e
della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le
notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del
proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente
determinati dalla legge”) devono, tuttavia, rispettare il limite di
carattere generale -valido per qualsiasi richiesta di accesso gli atti-
della non genericità della richiesta medesima (cfr. Consiglio di Stato,
Sez. V, n. 4471 del 02/09/2005 e n. 6293 del 13/11/2002).
Ciò non comporta che il Consigliere comunale debba necessariamente
indicare gli estremi o il contenuto specifico dei documenti richiesti,
elementi che può ovviamente non conoscere, essendo sufficiente (al fine
di evitare la genericità della richiesta di accesso) il riferimento ad
una determinata e specifica questione oggetto dell'attività
amministrativa del Comune.
In tal modo viene individuato e specificato l'oggetto della richiesta di
accesso con riguardo ad una specifica pratica amministrativa del Comune,
senza che -si ribadisce- sia necessario indicare gli estremi dei
documenti o conoscere il contenuto degli stessi, ma evitandosi comunque
la genericità della richiesta mediante il richiamo alla pratica
amministrativa alla quale il Consigliere è interessato, che rende
sufficientemente circostanziata e specificata la questione sostanziale
in ordine alla quale si avanza la richiesta di accesso alla relativa
documentazione (TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 12.01.2007, n. 29 TAR
Toscana, II Sez., 06.04.2007, n. 622)
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 31.05.2007 n. 5041 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier DISTANZE PARETI FINESTRATE |
EDILIZIA PRIVATA:
Le terrazze non devono rispettare la distanza minima di mt. 10,00
tra pareti finestrate.
Il Collegio osserva, infatti, che le terrazze non possono venire
considerate ai fini del calcolo delle distanze tra pareti finestrate,
non essendo sussumibili nel paradigma dell’art. 9 del D.M. 02.04.1968,
n. 1444 richiamato dagli istanti (decreto recante: “Limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i
fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti
residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della
formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 06.08.1967, n. 765”): ed
invero, la terrazza, priva di qualsiasi manufatto, non conta in alcun
modo ai fini delle distanze qui in esame, essendo palese che i distacchi
individuati dal suddetto decreto sono da calcolarsi tra le pareti degli
edifici propriamente dette.
La disposizione testé citata così recita:
“9. Limiti di distanza tra i fabbricati. Le distanze minime tra
fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come
segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le
eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono
essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati
preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di
epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi
la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici
antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto;
la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora
gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Le distanze minime tra fabbricati -tra i quali siano interposte strade
destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a
fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti)- debbono
corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
-
ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
-
ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
-
ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino
inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono
maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza
stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti
commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano
volumetriche”.
Il punto 2) dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 prescrive “in tutti
i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti”: nel caso di specie la distanza
contestata non è tra “pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”,
bensì tra una veranda ed una parete
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 04.08.2008 n. 422 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
distanza minima tra pareti finestrate di edifici antistanti.
Come è noto, l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 prescrive che, nella
costruzione di nuovi immobili non ricompresi (come quelli in
controversia) in zona A di P.R.G. deve osservarsi la distanza minima
inderogabile di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti.
Tale distanza standard è volta non alla tutela della riservatezza, come
l’appellante sembra ritenere, ma alla salvaguardia di imprescindibili
esigenze igienico sanitarie ed è dunque tassativa ed inderogabile (a
differenza delle distanze dal confine) per via di private pattuizioni.
Conseguentemente, essa deve operare per un verso anche nel caso, qui
ricorrente, in cui una sola delle due pareti frontistanti sia finestrata;
per l’altro, anche nel caso in cui la nuova opera sia di altezza
inferiore rispetto alle preesistenti vedute o parzialmente nascosta dal
muretto e dalla recinzione di confine.
L’interesse pubblico presidiato dalla norma è infatti quello della
salubrità dell’edificato e non va confuso con l’interesse privato del
frontista a mantenere la riservatezza o la prospettiva.
La preesistenza di un muro a confine (che già precluda in parte il
prospicere al titolare della veduta) è dunque sostanzialmente
irrilevante, ove come nel caso in questione si controverta del rispetto
della norma sulle distanze tra edifici e frontistanti pareti finestrate.
In tal senso è stato infatti chiarito che la disposizione di cui
all’art. 9 primo comma n. 2 del citato D.M., essendo tassativa ed
inderogabile, impone al proprietario dell’area confinante col muro
finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri
da quello, senza alcuna deroga neppure per il caso in cui la nuova
costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a
quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste
conforme alle previsioni dell’art. 907, 3º comma, cod. civ. (cfr. Cass.
II Sez. n. 11013 del 2002).
Ne deriva da un lato che ha errato il Tribunale allorché ha tenuto conto
solo della porzione di parete sovrastante la recinzione; dall’altro che
in ogni caso –ciò che qui conta- il permesso di costruire rilasciato
all’Impresa appellata viola in parte qua l’art. 9 del ridetto D.M. n.
1444.
Tanto chiarito, e venendo all’esame della normativa urbanistica
comunale, si premette che per consolidata giurisprudenza le norme di cui
al D.M. in questione, emanate in forza dell' art. 17 L. 06.08.1967 n.
765, traggono da questa la forza di integrare con efficacia precettiva
il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l'inderogabile
distanza di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione
degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione
regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e
va annullata ove oggetto di impugnazione o, secondo l’indirizzo
prevalente, comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione
con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 12.06.2007 n. 3094 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
distanza di mt. 10 va rispettata indipendentemente dal fatto che la
parete sopraelevata si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto
all’altra.
Reputa il Collegio che, anche accettando, in linea di principio, il
criterio del computo in modo “lineare" e non “radiale” della distanza
minima tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, il D.M.
1444/1968 sottolinei che la distanza debba essere “assoluta” e
prescritta “in tutti i casi”.
Si deve pertanto convenire che debba essere calcolata con riferimento ad
ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano (C.d.S.,
V, 16/02/1979 n. 89) ed indipendentemente dal fatto che la parete
sopraelevata si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto
all’altra (Cass., II, 03/08/1999 n. 8383, nonché TAR Emilia-Romagna, II,
30/03/2006 n. 348) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 22.01.2007 n. 55 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti vincola anche i Comuni in sede di formazione e di revisione
degli strumenti urbanistici.
Secondo pacifico orientamento giurisprudenziale il d.m. 02.04.1968 n.
1444 trae dall'art. 41-quinquies della legge urbanistica (come
modificato dall’art. 17 L. 06.08.1967 n. 765, c.d. legge ponte) la forza
di integrare con efficacia precettava il regime delle distanze nelle
costruzioni, sicché la distanza di 10 metri tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti, predeterminata con carattere cogente in
via generale ed astratta in considerazione delle esigenze collettive
connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, vincola anche i Comuni in
sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la
conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con
l’anzidetto limite minimo è illegittima (cfr. Cass. Civ., SS.UU.,
21.02.1994 n. 1645), essendo consentita alla pubblica Amministrazione
solo la fissazione di distanze superiori (cfr. Cons. St., sez. IV,
05.12.2005 n. 6909; id., 12.07.2002 n. 3929; 13.05.1992 n. 511; Cass.
Civ., 29.10.1994 n. 8944; id., 21.02.1994 n. 1645; id. 04.02.1998 n.
1132) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.10.2006 n. 6399 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
10 mt. vanno rispettati anche se una sola delle due pareti che si
fronteggiano è finestrata.
A livello nazionale, la normativa standard, a cui i comuni non possono
derogare se non nel senso di un maggior rigore, ossia prevedendo
distanze maggiori (la giurisprudenza è, su questo punto, consolidata:
Cass. 19.11.2004 n. 21899; Cass. 10.01.2003 n. 158; Cons. Stato, sez. IV,
12.07.2002 n. 3229), è quella del D.M. 02.04.1968 n. 1444, emesso in
attuazione dell’art. 41-quinquies della legge urbanistica del 1942, come
modificata dalla n. 765 del 1967.
La tesi dei convenuti, secondo la quale la distanza reciproca dei 10
metri sarebbe necessaria solo quando entrambe le pareti sono finestrate,
manca di ratio iuris, perché se la ragione di distanziare le costruzioni
è, indubitabilmente, quella di evitare le c.d. intercapedini dannose,
cioè situazioni di asfitticità ambientale, tale ragione sussiste anche
quando la parete finestrata sia una sola. Seguendo la tesi dei
convenuti, si arriverebbe all’assurdo di consentire la realizzazione di
pareti cieche anche a soli tre metri dalle finestre del vicino, che
potrebbe significare anche due metri e perfino meno ove si trattasse di
finestre provviste di ballatoio: un’edilizia, insomma, da quartieri
spagnoli.
Che il D.M. 1444 del 1968 prescriva l’obbligo della distanza minima di
10 metri anche nell’ipotesi in cui solo la parete dell’edificio
preesistente sia finestrata è un dato di giurisprudenza consolidata
(Cass. Sez. Un. 18.02.1997 n. 1486, e, precedentemente, Cass. 08.05.1993
n. 5226; Cass. 05.11.1992 n. 12001; Cass. 28.08.1991 n. 9207; Cass.
05.03.1986 n. 1387). D’altronde, pur essendo riconosciuto (Cass. Sez.
Un. 01.07.1997 n. 5889) che destinatari diretti della normativa
ministeriale sono i comuni, e non i cittadini, la giurisprudenza è ormai
consolidata nel ritenere che essa in ogni caso prevale, anche nei
rapporti fra privati, rispetto alle disposizioni dei regolamenti locali
che ammettano distanze inferiori alle minime prescritte dal decreto
ministeriale. Infatti, secondo Cass. 19.11.2004 n. 21899, “in tema di
distanze fra costruzioni, il principio secondo il quale la norma di cui
all’art. 9 del D.M. 02.04.1968 n. 1444 (che fissa in dieci metri la
distanza minima assoluta fra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti) imponendo limiti edilizi ai comuni nella formazione di
strumenti urbanistici, non è immediatamente operante nei rapporti tra
privati, va interpretato nel senso che l’adozione, da parte degli enti
locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta
l’obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare la
disposizione illegittima, ma anche di applicare direttamente la
disposizione del ricordato art. 9, divenuto, per inserzione automatica,
parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma
illegittima disapplicata.” . Il principio si ritrova altresì in
Cass. 10.01.2003 n. 158, così pure in Cass. 27.03.2001 n. 4413 (Corte
d’Appello di Firenze, Sez. I, sentenza 30.03.2006 n. 785). |
EDILIZIA PRIVATA:
La distanza di mt. 10,00 deve sempre essere rispettata, anche se
una delle due pareti non è finestrata.
L’articolo 9 del d.m. 02.04.1968 n. 1404, in applicazione dell'articolo
41-quinquies della legge urbanistica, come modificato dall'articolo 17
della legge 06.08.1967 n. 765 (cosiddetta «legge ponte»), detta i limiti
di densità, altezza, distanza tra i fabbricati, pone al secondo comma
dell'articolo 9 una prescrizione tassativa ed inderogabile, secondo la
quale «Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone
territoriali omogenee sono stabilite come segue: (…) 2) Nuovi edifici
ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima
assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti».
Questa distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti deve perciò essere sempre rispettata,
indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti
fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo
edificio o dell'edificio preesistente, o che si trovi alla medesima o a
diversa altezza rispetto all'altra (Cass., 03.08.1999, n. 8383).
Ed è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella
dell'edificio preesistente, essendo sufficiente per l'applicazione di
tale distanza che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete
contrapposta ad altro edificio, prescindendo altresì dal fatto che esse
siano o meno in posizione parallela e ancorché solo una parte di essa si
trovi a distanza minore da quella prescritta (Cass., 26.07.2002, n.
11013; Cass., 30.03.2001, n. 4715; Cass., 24.07.2001, n. 10062, in Arch.
locaz. e cond. 2001, 797; Cass., 03.08.1999, n. 8383; Cass., sez. un.,
18.02.1997, n. 1486; Cass., 06.05.1993, n. 5226; Cass., 05.11.1992, n.
12001, in Riv. giur. edilizia 1993, I, 776; Cass., 28.08.1991, n. 9207).
Pertanto, la disciplina sulle distanze deve esser osservata anche se
soltanto su uno di essi sono aperte le finestre, mentre quello di fronte
ha una parete cieca, perché l’articolo 9 del decreto ministeriale
02.04.1968 n. 1404 è volto a stabilire, nell'interesse pubblico,
un'idonea intercapedine tra edifici, e non a salvaguardare l'interesse
privato del frontista alla riservatezza (Cass., 06.07.2002, n. 11013;
Cass., 03.05.2001, n. 6176; Cass., 26.01.2001, n. 1108; Cass.,
09.03.1999, n. 1984).
Ciò posto, è ius receptum che, ai fini dell'osservanza delle norme in
materia di distanze legali stabilite dagli articoli 873 e seguenti del
codice civile e delle norme dei regolamenti locali integrativi della
disciplina codicistica, deve ritenersi «costruzione» qualsiasi opera non
completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed
immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio o
incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica
contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal
livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai caratteri del suo
sviluppo aereo dall'uniformità e continuità della massa, dal materiale
impiegato per la sua realizzazione, dalla sua destinazione.
In particolare, quando si realizzi un edificio dotato di sporti od
aggetti, ovvero un'opera ad esso accessiva consistente in sporti od
aggetti, questi, ove non presentino funzione complementare meramente
decorativa ma dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati
nell'immobile, del quale vengono a costituire un accessorio o una
pertinenza di guisa da ampliarne la superficie o la funzionalità,
assumono il carattere di costruzione e se ne deve tener conto ai fini
dell'accertamento del rispetto della normativa sulle distanze (Cass.,
15.02.2001, n. 2228).
Sicché, nel calcolo delle distanze fra le costruzioni devono trascurarsi
solo gli sporti che consistono in sporgenze di limitata entità, con
funzione meramente decorativa, mentre vengono in considerazione le
sporgenze costituenti, per i loro caratteri strutturali e funzionali,
veri e propri aggetti (Cass., 02.10.2000, n. 13001).
Con la conseguenza che il proprietario del terreno confinante non può,
in violazione delle distanze legali, realizzare una tettoia che avanzi
rispetto all'edificio già esistente, dovendo la tettoia considerarsi
parte integrante del fabbricato (Cass., 30.10.2003, n. 16358; Cass.,
06.03.2002, n. 3199, in Riv. giur. edilizia 2002, I, 1073) (Corte
d’Appello di Firenze, Sez. I, ottobre 2005 n. 1386). |
EDILIZIA PRIVATA: La
distanza minima di mt. 10,00 deve essere rispettata anche nel caso di
sopralzo.
La previsione di un obbligo di distanza maggiore (rispetto a quella
imposta dal codice civile) fra costruzioni, quando vi sono finestre, si
ricollega alla necessità di offrire uno strumento di conservazione di
spazi di un certo respiro (in termini di aria, luce e panorama), non
angusto, tutelando le posizioni di coloro che hanno affacci e vedute in
parete.
La distanza minima di mt. 10 fra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti, prescritta dall'art. 9, comma 2°, D.M. 02.04.1968 n. 1444, è
applicabile anche in caso di sopraelevazione, atteso che la sua ratio è
di evitare la creazione di intercapedini in grado di impedire la libera
circolazione dell' aria e la riduzione della luminosità (Cfr. TAR
Puglia, Bari, 1386 - 26.03.2003; Cons. Stato, V Sez., 19.10.1999 n.
1565) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 18.04.2004 n. 757). |
dossier SOTTOTETTI |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
recupero dei sottotetti in deroga.
La speciale normativa della Regione Lombardia in materia di recupero dei
sottotetti ai fini abitativi (L.R. n. 15 del 15.07.1996) all’art. 3,
comma 3, espressamente dispone che: “...il recupero dei sottotetti è
ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni di cui agli artt.
14, 17, 19 e 22 della L.R. 15.04.1975, n. 51, nonché in deroga agli
indici o parametri urbanistici ed edilizi previsti dagli strumenti
urbanistici generali vigenti ed adottati.” E cioè anche in deroga
all’art. 7 del D.M. n. 1444/1968 espressamente richiamato dall’art. 17
della L.R. del 1975, atteso che gli interventi in questione,
classificati come ristrutturazioni ai sensi dell'art. 31, comma 1, lett.
d) della legge 05.08.1978, n. 457, non richiedono la preliminare
adozione ed approvazione di piano attuativo. E’ pertanto irrilevante
stabilire se l’intervento richiesto comporti o meno un aumento di
volumetria ovvero se, comunque, rimanga nei limiti della volumetria
comunque consentita dall’art. 7 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968 pari a 5
mc/mq.
Ai sensi dell’art. 2 della L.R. Lombardia n. 15 del 1996, nel testo
modificato dalla successiva L.R. n. 22 del 19.11.1999 “Gli interventi
edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti possono comportare
l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare
l'osservanza dei requisiti di aeroilluminazione; nonché, ove lo
strumento urbanistico generale comunale vigente risulti approvato dopo
l'entrata in vigore della legge regionale 15.04.1975, n. 51,
modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di
pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza massima degli edifici
posti dallo strumento urbanistico ed unicamente al fine di assicurare i
parametri, di cui all'art. 1, comma 6.” (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.06.2005 n. 3461
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero del sottotetto in deroga all'altezza massima.
Ai sensi della legge della regione Lombardia n. 15 del 1996 (art. 3) il
recupero del sottotetto a fini abitativi è qualificato come intervento
di ristrutturazione, a norma dell'art. 31, comma 1, lett. d), della
legge 05.08.1978, n. 457; la stessa norma, al comma 3, stabilisce che
“il recupero dei sottotetti è ammesso anche in deroga ai limiti ed alle
prescrizioni di cui agli artt. 14, 17 19 e 22 della L.R. 15.04.1975, n.
51 «Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di
salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico» e
successive modificazioni ed integrazioni, nonché in deroga agli indici o
parametri urbanistici ed edilizi previsti dagli strumenti urbanistici
generali vigenti ed adottati”. Se siffatte trasformazioni possono
avvenire in déroga ad ogni previsione urbanistica comunale, lo stesso
non può dirsi per le altezze massime dei fabbricati, di cui l’art. 2
assicura comunque il rispetto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.05.2005 n. 2767
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e
anteprima) |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
B.U.R. Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 33 del 12.08.2008 "Modifiche
ed integrazioni alla legge regionale 05.10.2004, n. 24 (Disciplina
per la razionalizzazione e l'ammodernamento della rete distributiva dei
carburanti)" (L.R.
07.08.2008 n. 25 - link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI:
G.U. 11.08.2008 n. 187, suppl. ord. n. 189/L, "Regolamento recante i
criteri tecnici per la caratterizzazione dei corpi idrici (tipizzazione,
individuazione dei corpi idrici, analisi delle pressioni) per la
modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 03.04.2006, n.
152, recante: «Norme in materia ambientale», predisposto ai sensi
dell’articolo 75, comma 4, dello stesso decreto" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 16.06.2008 n. 131). |
ENTI LOCALI:
G.U. 09.08.2008 n. 186 "Incolumità pubblica e sicurezza urbana:
definizione e ambiti di applicazione" (Ministero dell'Interno,
decreto 05.08.2008). |
ENTI LOCALI:
G.U. 09.08.2008 n. 186 "Decreto 18.01.2008, n. 40, concernente «Modalità di attuazione dell’articolo
48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
602, recante disposizioni in materia di pagamenti da parte delle
Pubbliche Amministrazioni» – Chiarimenti" (Ministero dell'Economia e
delle Finanze,
circolare 29.07.2008 n. 22). |
EDILIZIA PRIVATA: Commissioni
paesaggio: nuovi criteri per gli Enti Locali ai sensi del D.lgs.
63/2008.
La giunta regionale lombarda ha approvato la
DGR 06.08.2008 n. VIII/7977 avente per oggetto: "Esercizio
delle funzioni paesaggistiche. Determinazione in merito alla verifica
della sussistenza dei requisiti di organizzazione e di competenza
tecnico-scientifica stabiliti dall'art 146, comma 6 del D.lgs. 22
gennaio 2004 n. 42"
(link
a www.regione.lombardia.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 32 del 05.08.2008:
- "Modalità per l'individuazione di esperienze positive in tema di
riqualificazione e valorizzazione paesaggistica di nuclei e insediamenti
storici e tradizionali" (deliberazione
G.R. 24.07.2008 n. 7747
- link a www.infopoint.it);
- "Approvazione «Bando per l'individuazione di esperienze positive in
tema di riqualificazione e valorizzazione paesaggistica di nuclei e
insediamenti storici e tradizionali»" (decreto
D.S. 29.07.2008 n. 8392
- link a www.infopoint.it). |
ENTI LOCALI: G.U.
02.08.2008 n. 180 "Testo del decreto-legge 3
giugno 2008, n. 97 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n.
128 del 03.06.2008), coordinato con la legge di conversione 2 agosto
2008, n. 129, recante: «Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio
e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché
in materia fiscale e di proroga di termini»". |
ENTI LOCALI:
G.U. 02.08.2008 n. 180 "Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 03.06.2008, n. 97, recante disposizioni urgenti in
materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione
della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini"
(L. 02.08.2008 n. 129). |
DIPARTIMENTO FUNZIONE PUBBLICA |
PUBBLICO IMPIEGO: Parere
Al Comune di Ancona in merito ad approfondimenti sull'art. 36 -
Utilizzo di contratti di lavoro flessibile - del d.lgs n. 165/2001 come
modificato dal D.L. n. 112/2008
(parere
UPPA 17.07.2008 n. 49 - link a www.innovazionepa.gov.it). |
PUBBLICO IMPIEGO: Parere
al Ministero dell'Ambiente in merito alle procedure di autorizzazione
ad assumere ai sensi dell’art. 1, comma 519, legge 26.12.2006, n. 296.
Stabilizzazione di personale
(parere
UPPA 16.07.2008 n. 48 - link a www.innovazionepa.gov.it). |
NEWS |
PUBBLICO IMPIEGO: Le
differenti interpretazioni del DL 112. ARAN e Funzione Pubblica divise
sulle trattenute.
L'Agenzia: vanno ridotte le retribuzioni di posizione. Palazzo Vidoni
dice di no
(link a rassegnastampa/formez.it). |
ENTI LOCALI: DM
18/01/2008, n. 40, concernente “Modalità di attuazione dell’articolo
48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n.
602, recante disposizioni in materia di pagamenti da parte delle
Pubbliche Amministrazioni” – Chiarimenti
(Ragioneria Generale dello Stato,
circolare 29.07.2008 n. 22 - link a www.rgs.mef.gov.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: I.
Pisani,
Il
nuovo procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
nelle modifiche ex d.lgs. 63/2008 e l. 129/2008 (link a www.studiospallino.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: A.
Pierobon,
OCCORRE (CON CORAGGIO) FARE UN PO’ DI ORDINE SULLA COSIDDETTA PROROGA
“EX LEGE” DI CUI ALL’ART. 204 DEL D.LGS. 152/2006 (link a www.lexambiente.it). |
GIURISPRUDENZA |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità dell'affidamento diretto del servizio idrico ad
una società mista a capitale pubbl. minoritario, nel caso in cui la gara
svolta per la scelta del socio privato non comprende la definizione e
precisazione del servizio da affidare.
E’ illegittimo l’affidamento diretto del servizio idrico ad una società
mista a capitale pubblico minoritario, in mancanza di una procedura
concorsuale, in quanto in contrasto con l’art. 113 del d. lgs. n. 267
del 2000 e con gli artt. 43, 49 e 86 del Trattato comunitario nel caso
in cui la procedura a evidenza pubblica svolta per la scelta del socio
privato non comprende la definizione e precisazione del servizio da
affidare alla società. Infatti, nel caso di specie, il socio era stato
scelto alcuni anni prima dell’affidamento del servizio alla società
mista; la scelta del socio era stata effettuata da una amministrazione
diversa da quella che ha dopo affidato il servizio alla società mista,
avendo acquisito successivamente una percentuale minima del capitale
sociale; ed, inoltre, la società mista non è stata appositamente
costituita solo per quella specifica attività in seguito oggetto di
affidamento. Pertanto, l’affidamento, avvenuto in via diretta e senza
una previa procedura concorsuale comporta la violazione dei principi
comunitari, recepiti dall’ordinamento interno con rilevanza anche
costituzionale, di concorrenza, trasparenza, adeguata pubblicità, non
discriminazione e parità di trattamento (cfr. Cons. St., ad. plen.,
03/03/2008, n. 1) (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 28.07.2008 n. 9468 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Patteggiamento
e ordine di demolizione.
In tema di reati edilizi l'ordine di demolizione di cui all'art.
31, comma 9, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 è una sanzione amministrativa
di tipo ablatorio che il giudice deve disporre anche nella sentenza
applicativa di pena concordata dalle parti. In proposito a nulla rileva
che l'ordine di demolizione non abbia formato oggetto dell'accordo
intervenuto tra le parti(in quanto esso costituisce atto dovuto per il
giudice, non suscettibile di valutazioni discrezionali e sottratto alla
disponibilità delle parti stesse, di cui l'imputato deve tenere comunque
conto nell'operare la scelta del patteggiamento (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
27.07.2008 n. 31123 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
lavori soggetti a DIA semplice non sempre, se abusivi, sono soggetti a
sanzione pecuniaria.
La sottoposizione a DIA semplice non implica che la violazione delle
norme edilizie sulle recinzioni abbia come unica conseguenza
l’applicazione di una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 37 comma 1
del DPR 380/2001. Occorre infatti tenere presenti due circostanze:
a) in base all’art. 3 comma 1 lett.e6 del DPR 380/2001 e all’art. 27
comma 1 lett.e6 della LR 11.03.2005 n. 12 la definizione edilizia di
pertinenza è rimessa agli strumenti urbanistici e ai regolamenti
comunali e dunque anche per questi interventi le facoltà edificatorie
sono strettamente conformate dal potere pubblico di programmazione del
territorio;
b) l’art. 37 comma 4 del DPR 380/2001 ammette la sanatoria degli
interventi soggetti a DIA solo se l'intervento realizzato rispetti la
disciplina urbanistica ed edilizia in vigore al momento della
realizzazione dell'intervento e al momento della presentazione della
domanda.
Di conseguenza anche le recinzioni irregolari quando superano i limiti
previsti dalle norme urbanistiche comunali possono essere oggetto di
ordini di rimozione.
Nel caso in esame l’intervento edilizio è in contrasto con l’art. 12
punto 7 delle NTA, il quale definisce in dettaglio le caratteristiche
delle recinzioni ammissibili in zona A. Al riguardo occorre sottolineare
che una disciplina restrittiva della facoltà di realizzare recinzioni
non viola il diritto di chiusura del fondo previsto dall’art. 841 del
codice civile. Anche il posizionamento delle recinzioni, come le altre
facoltà inerenti al diritto di proprietà, è conformato da un potere
pubblico a tutela di interessi di natura urbanistica. Il corretto uso di
tale potere deve essere verificato in concreto. Nello specifico la
scelta di limitare l’altezza delle recinzioni e di precisarne le
modalità costruttive può essere considerata utile e proporzionata, in
quanto tutela il continuum visivo dell’area edificata consentendo la
chiusura dei fondi ma evitando l’effetto di frammentazione e la perdita
delle caratteristiche d’insieme dei luoghi (queste ultime di particolare
rilievo, trattandosi di una zona A) (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 25.07.2008 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
disposizioni lombarde in materia agricola sonno immediatamente
prevalenti sulla normativa comunale.
Le disposizioni della legge regionale in materia di edificazione in zone
agricole sono immediatamente prevalenti sugli strumenti urbanistici
comunali (nonché sui regolamenti edilizi e sui regolamenti di igiene).
La clausola di prevalenza è espressamente prevista dall’art. 4 della LR
93/1980 e dall’art. 61 della LR 12/2005. Attraverso questa clausola è
garantita l’uniformità dell’utilizzazione agricola del territorio su
base regionale ed è assicurato un trattamento paritetico ai soggetti con
la qualifica di imprenditore agricolo. La finalità della norma è di
permettere l’insediamento di strutture produttive e di abitazioni
residenziali in forma omogenea senza gli effetti antieconomici derivanti
dalla frammentazione della disciplina a livello comunale. Per questo
motivo la disciplina di legge non solo si sostituisce (senza bisogno di
recepimento) alle disposizioni contenute negli strumenti urbanistici
comunali esistenti ma non accetta neppure di essere derogata da uno
strumento urbanistico comunale adottato o approvato successivamente. Le
restrizioni che possono essere introdotte in ambito locale sono
unicamente quelle giustificate da esigenze di tutela ambientale
accertate nella programmazione sovracomunale e in particolare nel PTCP
(v. TAR Brescia 15.02.2007 n. 170).
Il passaggio dai PRG ai PGT stabilito dalla LR 12/2005 non ha cambiato
il significato della clausola di prevalenza, che opera nei confronti di
qualunque strumento urbanistico comunale, indipendentemente dalla
denominazione, dalla tipologia e dal tempo di approvazione. Una conferma
può essere rinvenuta nell’art. 62-bis comma 1 della stessa LR 12/2005,
introdotto dall'art. 1 comma 1 lett. r) della LR 14.07.2006 n. 12, il
quale stabilisce che fino all’approvazione dei PGT la disciplina
legislativa regionale (compresa evidentemente la clausola di prevalenza)
si intende riferita alle aree classificate dagli strumenti urbanistici
comunali vigenti come zone agricole (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 25.07.2008 n. 839 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Ambiente
in genere. Getto pericoloso di cose e scarico pietre.
Con riferimento all’articolo 674 c.p. va ancora sottolineato
l'amplissimo significato che ha nella nostra lingua il verbo "gettare" e
come esso stia non solo a indicare l'azione di chi lancia (più
popolarmente, butta) qualcosa nello spazio o verso un punto determinato
ma è anche sinonimo di "mandar fuori, emettere" e non vi è dubbio che il
reato de quo sia senz'altro configurabile nel caso in cui alcune
pietre siano state scaricate su un terreno che per la sua scarsa
consistenza non era in grado assolutamente di reggerne il peso e di
impedirne, quindi, lo scivolamento a valle (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 24.07.2008 n. 31155 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Limiti
disciplina regionale e destinazione d’uso.
In materia urbanistica le disposizioni introdotte da leggi
regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla
legislazione nazionale e, conseguentemente devono essere interpretate in
modo da non collidere con i detti principi. Deve quindi escludersi, in
ossequio al principio di legalità, che la scelta di criminalizzare o
meno una certa condotta possa attribuirsi alla Regione. Del resto la
formulazione dell'art. 10, commi 2 e 3 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380
consente alle Regioni l'esercizio di una flessibilità normativa nella
direzione di ampliare l'area applicativa del permesso di costruire ma
non determina un ampliamento del potere delle Regioni tale da consentire
di eliminare una sanzione penale in una parte del territorio nazionale.
E' conforme all'indicato principio la motivazione del giudice di merito
che, richiamando l'art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, con riferimento
all'art. 44 dello stesso d.p.r., abbia rilevato che, secondo consolidata
giurisprudenza il mutamento di destinazione d'uso degli immobili,
effettuato con opere interne, è possibile senza il previo rilascio di
concessione edilizia purché detta modificazione intervenga entro
categorie omogenee quanto a parametri urbanistici, atteso che la
modificazione di destinazione d'uso giuridicamente e penalmente
rilevante è quella che avviene tra macrocategorie, in quanto comporta il
mutamento degli standard urbanistici e la variazione del carico
urbanistico (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
24.07.2008 n. 31135 - link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria.
Trasferimento impianto.
La previsione normativa derivante dal combinato disposto degli
art. 279, primo comma, prima parte, e 269, primo e secondo comma, del D.
Lgs n. 152/2006 configura il trasferimento di un impianto da un luogo ad
un altro come ipotesi di reato, di eguale gravità rispetto a quella
dell'esercizio di un impianto senza autorizzazione, analogamente a
quanto previsto dall'art. 25, comma sesto, del DPR n. 203/88.
Analogamente l'art. 279, primo comma, secondo periodo, prima parte,
configura quale ipotesi di reato meno grave la condotta di chi esegue
modificazioni sostanziali dell'impianto senza l'autorizzazione di cui
all'art. 269, comma 8, analogamente a quanto previsto dall'art. 25,
comma sesto, del DPR n. 203/88. Sicché vi è piena continuità normativa
tra le citate disposizioni di legge con riferimento alla esecuzione di
modifiche sostanziali dell'impianto, mentre l'art. 279, primo comma,
secondo periodo, seconda parte, introduce quale ulteriore ipotesi di
reato l’esecuzione di modifiche non sostanziali dell'impianto (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
23.07.2008 n. 30863 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sottotetto.
Funzione del sottotetto è quella di proteggere l'appartamento dai
fattori atmosferici (caldo, freddo, umidità), per cui la trasformazione
di esso in locali abitativi deve considerarsi opera nuova, incidente
anche sugli standard urbanistici, e necessitanti del permesso di
costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
23.07.2008 n. 30842 - link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti.
Formulari.
In tema di formulari, la legge pone rigide prescrizioni che
tendono ad un adeguato e costante controllo della movimentazione dei
rifiuti dalla produzione fino al loro smaltimento. Tali documenti, se
tenuti in conformità della legge, fungono da prova del rispetto della
normativa del settore ed hanno valore al fine della ripartizione delle
responsabilità dei singoli operatori che partecipano alle diverse fasi
della gestione limitando la responsabilità del produttore, o detentore,
dei rifiuti nel caso in cui i soggetti ai quali li ha conferiti
commettano illeciti.
In particolare, si rileva che l'art. 193 c.2 DLvo 152/2006 prevede un
sistema congegnato in modo tale da consentire un reciproco controllo da
parte di tutti i soggetti coinvolti nel trasporto dei rifiuti. La norma
dispone che il formulario deve essere redatto in quattro esemplari,
datato e firmato dal produttore, o detentore, dei rifiuti e dal
trasportatore. Costui conserva una copia del documento, mentre le altre,
controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite, una,
dal destinatario medesimo e due dal trasportatore che provvede a
trasmetterne una al detentore originario. Il detentore, che ha conferito
i rifiuti a soggetto autorizzato alla attività di recupero o di
smaltimento, è esonerato da responsabilità alle seguenti condizioni : se
ha ricevuto copia del formulario controfirmato e datato in arrivo dal
destinatario entro tre mesi dalla data del conferimento dei rifiuti al
trasportatore ovvero se, alla scadenza dei tre mesi, abbia dato
comunicazione alla Provincia della mancata ricezione del formulario (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
11.07.2008 n. 28836 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: D.i.a.
e responsabilità del progettista.
L'art. 23 DPR 380/2001 prevede che la denuncia di inizio di
attività venga accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un
progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che
asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti
urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza
e di quelle igienico-sanitarie (comma 1) e che sia corredata dalla
indicazione della impresa (comma 2). Non è prevista invece la nomina di
un direttore dei lavori.
Il legislatore ha evidentemente ritenuta superflua siffatta nomina,
stante il ruolo complesso ed impegnativo affidato al progettista in
relazione non solo all'osservanza delle previsioni urbanistiche, ma
anche delle norme in materia di sicurezza e di igiene e sanità.
Ed il rispetto di tali norme non può, ovviamente, essere solo enunciato
al momento della presentazione della relazione, ma (per avere un
significato concreto) deve essere controllato soprattutto nel corso
della esecuzione dei lavori. Deve ritenersi, quindi, che il progettista
abbia un connesso obbligo di vigilanza (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza
10.07.2008 n. 28267 - link a www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI: E’
illegittima la scelta di un comune di affidare la gestione di una Casa
Protetta senza gara ad una società pubblico-privata in quanto l’ente
locale ha una partecipazione limitatissima al capitale azionario.
Presupposti per l'affidamento di un servizio ad una società mista.
E’ illegittima la scelta di un comune di affidare la gestione di una
Casa Protetta senza gara ad una società mista pubblico-privato in quanto
l’ente locale ha una partecipazione limitatissima al capitale azionario
e, conseguentemente, non può esercitare alcuna forma di controllo
analogo a quello che esercita sui propri servizi. Invero anche nell’atto
deliberativo il controllo, più che a strumenti societari, viene affidato
ad una convenzione da sottoscrivere con la società affidataria,
ammettendosi in tal modo che non è la struttura societaria che può
consentire il controllo, bensì un atto negoziale che presuppone
l’esistenza di distinte entità con autonoma capacità negoziale, sicché
viene meno l’immedesimazione dell’ente nella società stessa e questa
assume una sua distinta soggettività, anche sotto il profilo
organizzativo ed operativo. Quindi, di fatto, il rapporto Comune-società mista, al di là delle intenzioni, è sostanzialmente assimilabile
a quello corrente fra stazione appaltante e affidatario di un pubblico
servizio in regime di appalto, in quanto la convenzione assume la
funzione in quel caso esercitata dal capitolato speciale. Anche a voler
considerare l’affidamento appartenente non al genere poi denominato in
house, ma a società mista pubblico-privato, costituita ai sensi della
legislazione nazionale e regionale in materia di servizi socio-sanitari
(in particolare la L. n. 724/1994, art. 3, c. 4; l’art. 9-bis del D.L.vo
n. 502/1992: la L.R n. 50/1994, art. 51; L.R n. 2/2003, art. 17), alla
stregua dell’evoluzione della giurisprudenza interna e comunitaria (si
veda da ultimo C. St. AP n. 1/2008), non sussistono i presupposti per
poter giustificare l’affidamento diretto e la deroga all’evidenza
pubblica. Invero le norme citate (in particolare l'art. 9-bis, c. 1, del
d.lgs. n. 502/1992) si limitano a consentire solo la costituzione di
società miste.
Per giustificare l’affidamento diretto a società miste la
giurisprudenza, pur non avendo ancora trovato un approdo definitivo, ha
posto alcune condizioni fondamentali idonee a fugare ogni ragione di
perplessità in ordine alla restrizione della concorrenza. In particolare
nel modello organizzativo devono quantomeno ricorrere due garanzie:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per l'affidamento
del servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui
quest'ultimo si configuri come un "socio industriale od operativo", il
quale concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di
fasi dello stesso; il che vuol dire effettuazione di una gara che con la
scelta del socio definisca anche l'affidamento del servizio operativo,
con conseguente prevalenza dello specifico servizio affidato nella
complessiva attività della società;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione "alla scadenza
del periodo di affidamento", evitando così che il socio divenga "socio
stabile" della società mista, possibilmente prescrivendo che sin dagli
atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le
modalità per l'uscita del socio stesso (con liquidazione della sua
posizione), per il caso in cui all'esito della successiva gara egli
risulti non più aggiudicatario (si veda AP n. 1/2008 che richiama il
parere C. St. II, n. 456/2007).
Il modello di cui sopra non è rinvenibile nel caso specie in quanto non
si è verificata la prima delle condizioni richieste (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 08.07.2008 n. 3273 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA: Rifiuti.
Bonifica e messa in sicurezza.
E' necessario ai fini della configurazione della responsabilità
del proprietario del sito inquinato, l’ accertamento dei presupposti
della colpa: la violazione dei divieti di abbandono e deposito
incontrollato di rifiuti sul e nel suolo è punita a titolo di dolo o
colpa e comporta l’obbligo, per il responsabile, di procedere alla
rimozione, all’avvio al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti ed al
ripristino dello stato dei luoghi. È escluso, inoltre, che l’evento
possa essere imputato, a titolo di responsabilità oggettiva, in capo al
proprietario dell’area che non abbia, in alcun modo, concorso alla
produzione dell’evento.
Non appare legittima l’imposizione della MISE in caso di contaminazioni
pregresse, senza alcuna motivazione specifica sulla situazione di
emergenza e sull’esigenza di scongiurare il rischio immediato che
possano giustificare l’intervento richiesto (TAR Sicilia-Catania, Sez.
I,
sentenza 17.06.2008 n. 1188 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
la demolizione della parte abusiva non compromette la parte di edificio
legittimamente edificata è legittimo ingiungere la stessa anziché
irrogare la sanzione pecuniaria del doppio.
Il ricorrente non contesta l’accertamento dell’abuso edilizio. Anzi,
ammette di aver realizzato opere in difformità dal permesso di
costruire. Si tratta della modifica della copertura di un tetto di una
villetta, con aumento delle altezze, doppia falda (anziché unica falda),
sottotetto non abitabile attrezzato per l’abitazione, altezza totale
difforme dal progetto approvato. Esso, piuttosto, si duole della
eccessiva radicalità del provvedimento demolitorio, deducendo la
irragionevole esclusione -dalle scelte dell’Amministrazione- della
ipotesi di applicare in alternativa alla demolizione <<una sanzione pari
al doppio del costo di produzione>>, possibile quando la demolizione non
può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita non in difformità ma
in conformità, secondo quanto previsto dall’art. 34 del d.P.R. n. 380
del 2001.
Invero, dalla relazione scritta del dirigente tecnico del Comune,
acquisita in via istruttoria, risulterebbe che la parte abusiva del
fabbricato può essere demolita senza pregiudizio per la restante parte,
atteso che si tratta di strutture intelaiate, nelle quali è ben
possibile eliminare pilastri e impalcato all’ultimo livello, senza
compromettere la struttura sottostante.
Il Collegio osserva che l’Amministrazione, stante la gravità della
violazione edilizia, bene ha fatto a ingiungere la demolizione delle
parti abusive del fabbricato, e non avrebbe potuto fare diversamente,
trattandosi di atto dovuto a contenuto vincolato, in relazione alla
gravità della violazione edilizia. Resta fermo che –in caso di
inottemperanza all’ingiunzione da parte del proprietario ricorrente–
l’Amministrazione può ancora optare per una duplice soluzione: o
eseguire di ufficio e in danno l’intervento demolitorio, previa idonea
progettazione dell’intervento medesimo, trattandosi di una demolizione
di particolare delicatezza e complessità, ovvero, più semplicemente,
commutare la sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, secondo la
previsione del citato art. 34. In sostanza, ciò che il ricorrente si
auspica può ancora avvenire, ove mai l’Amministrazione ritenga, in fase
esecutiva, troppo oneroso o pericoloso l’intervento demolitorio
(TAR Molise, Sez. I,
sentenza 10.03.2008 n. 87 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Necessità del permesso di costruire lo spandimento di ghiaia su di
un terreno precedentemente sprovvisto.
Lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era in precedenza priva
(nella specie, al fine di adibirla a deposito e parcheggio) richiede la
concessione edilizia allorché sia preordinato ad attuare una
modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per
adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione
alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica:
allorché sia preordinato, cioè, alla modifica della precedente
destinazione d’uso (cfr. CdS, V, 22.12.2005 n. 7343; 11.11.2004 n.i 7324
e 7325; TAR Napoli, III, 11.09.2007 n. 7489).
Oltre tutto, il permesso di costruire è necessario nel caso di specie
anche perchè l’area interessata dall’intervento è assoggettata a vincolo
ambientale;
Il mancato, previo conseguimento dei necessari titoli autorizzatori, sia
ambientali che edilizi, comporta inevitabilmente la sanzione della
riduzione in pristino (artt. 167, I comma, del Dlgs n. 42/2004 e 33, I e
III comma, del DPR n. 380/2001), rimanendo irrilevante il tempo trascorso
dall’avvio della trasformazione urbanistica abusiva, trattandosi di
illecito a carattere permanente
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 22.02.2008 n. 420 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sui
termini di pagamento del contributo di costruzione.
E’ pacifico in giurisprudenza che il termine relativo al pagamento del
contributo commisurato al costo di costruzione e oneri di urbanizzazione
è quello decennale, fissato dall’art. 2946 del codice civile (ex multis
Tar Veneto n. 3625/2005), decorrente dalla data del rilascio della
concessione edilizia e ciò ancorché l’Amministrazione si riservi di
stabilire l’entità dello stesso, e le modalità e garanzie di pagamento,
atteso che ciò non esclude che il credito sia, sin dal momento
dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera giu-ridica del
richiedente la concessione, certo, liquido o agevolmente liquidabile,
esigibile.
Sul punto soccorre la giurisprudenza del Supremo Consesso Amministrativo
che co-sì ha illustrato il relativo approdo esegetico:
“…, la giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto, perciò, modo di
precisare che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare
di una concessione edilizia di versare i relativi contributi, ai sensi
della legge n. 10 del 1977, è rappresentato dal rilascio della
concessione edilizia ed è a tale momento che occorre aver riguardo per
la determinazione dell’entità del contributo, in applicazione della
normativa vigente all’atto del rilascio (V Sez. 25.10.1993, n. 1071 e
06.12.1999, n. 2058). Ed è, di conseguenza, da quel momento stesso che
l’amministrazione può far valere l’obbligo che grava sul cittadino.
Un diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo
esercita per il tempo determinato dalla legge: art. 2934 cod. civ. La
prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può
essere fatto valere: art. 2935 cod. civ. Le norme in questione si
applicano anche al diritto di credito del Comune avente per contenuto il
contributo in esame, in difetto di disposizioni speciali che regolino in
modo diverso la specifica obbligazione.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che
l’amministrazione co-munale può far valere il suo diritto di credito,
anche fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data
che decorre la prescrizione del suo diritto. L’atto di imposizione e
liquidazione del contributo, dovuto in base alla legge n. 10 del 1977,
non ha, infatti, natura autoritativa, ma si risolve in un mero atto
ricognitivo e contabile, in applicazione di provvedimenti generali (conf.
Sez. V 27.10.1986, n. 577 e 04.12.1990, n. 810; C. si. 05.05.1993, n.
154). Ne segue che l’Amministrazione non ha alcun potere di differire
l’esercizio del suo diritto di credito, come, invece, ha ritenuto il
primo giudice, e che l’omessa emanazione di tale atto si configura come
mancato esercizio del diritto di credito, idoneo a far decorrere il
periodo di prescrizione.
Né rileva che l’amministrazione comunale si sia riservata di dar corso
alla richiesta di pagamento in prosieguo di tempo, sia perché per i
diritti di credito, la realizzazione dei quali esige un’attività del
creditore –come nel caso in esame–, la prescrizione decorre dal giorno
in cui l’attività poteva essere compiuta ed egli poteva, così, mettersi
in grado di esigere la prestazione dovuta, sia perché l’inerzia del
titolare del diritto assume rilevanza dal momento in cui è possibile
esercitare il diritto, sia, infine, perché la disciplina legale della
prescrizione non è derogabile, a norma dell’art. 2936 cod. civ.,
neppure, quindi, per atto unilaterale del titolare del diritto.” (Cons.
St. Sez. V 19.06.2003 n. 3645).
In termini, vedi anche Cons. St. n. 3332 del 2003 nonché la recente
pronuncia del C.G.A. 02.03.2007 n. 64 laddove esclude “un regime
differenziato tra il contributo per il costo di costruzione e quello per
oneri di urbanizzazione”
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 21.12.2007 n. 2408 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE
GESTIONALI: Sull'autorità
preposta a resistere in giudizio.
Secondo l’ordinamento degli enti locali (art. 36, comma 1, L. 08.06.1990,
come riprodotto nell’art. 50, comma 2, d.lgs. t.u. 18.08.2000 n. 262),
infatti, il sindaco, quale rappresentante legale del Comune, è l’organo
che lo rappresenta in giudizio ed ha il potere di conferire la procura
al difensore senza che occorra alcuno specifico mandato da parte della
Giunta a mezzo della deliberazione di autorizzazione alla lite. Questa,
d’altra parte, è condizione di efficacia e non requisito di validità
della costituzione in giudizio dell’ente pubblico e, pertanto, può
intervenire anche nel corso del processo -ma sempre prima che la causa
passi in decisione- con effetto sanante delle eventuali irregolarità in
precedenza verificatesi (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.10.2006 n. 6399 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE
GESTIONALI: Illegittimo
attribuire funzioni spettanti ai dirigenti negli ee.ll. mediante
incarichi di collaborazione esterna, ai sensi dell'art. 110, comma 6,
del d.lgs. n. 267/2000.
Ai sensi dell’art. 51, comma 5, della legge n. 142/1990 (come
successivamente modificato dall’art. 6 della legge 15.05.1997, n. 127,
nel testo modificato dall’art. 2, L. 16.06.1998, n. 191), “lo statuto
può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o
degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione,
possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto
pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto
privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da
ricoprire”.
Ai sensi del successivo comma 5-bis, inoltre, “il regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è
prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con
cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica,
contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte
specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica
da ricoprire. ….”.
Il comma 7 dell’art. 51 prevede, poi, che “per obiettivi determinati
e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni
esterne ad alto contenuto di professionalità….”.
L’art. 26 del Regolamento comunale prevede, a sua volta, che è possibile
il ricorso a collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità
per il conseguimento di specifici obiettivi predeterminati.
Si tratta, peraltro, di forme di collaborazione esterna ad alta
specializzazione, mirate al conseguimento di obiettivi particolarmente
qualificati (ad es., sotto il profilo progettuale, organizzativo etc.),
tra le quali non può essere fatto rientrare il conferimento di taluni
delimitati ed episodici compiti riconducibili all’ordinaria sfera di
competenza del dirigente; ché, altrimenti, avvalendosi di tale
disciplina, le competenze dirigenziali potrebbero essere, di volta in
volta e a seconda delle contingenze, parcellizzate e destrutturate in
modo tale di snaturare, di fatto, la funzione stessa della disciplina in
questione, che mira a valorizzare le responsabilità dirigenziali sotto
un profilo manageriale, tendenzialmente unitario, e non a frammentarle.
Né può essere utilmente invocato l’art. 74 dello Statuto comunale
secondo cui la G.M., nel caso di vacanza di posto o per altri gravi
motivi, può assegnare la titolarità di uffici e servizi a personale
assunto con contratto a tempo determinato o incaricato con contratto di
lavoro.
Qui, infatti, non si tratta di vacanza di posto, né di assegnazione di
titolarità di uffici o servizi per gravi motivi, dal momento che il
posto non era vacante e che il conferimento di un incarico per lo
svolgimento di taluni limitati compiti di normale spettanza dirigenziale
non può essere rivisto alla stregua dell’assegnazione della titolarità
di uffici o servizi, che può essere operata, per le ragioni già dette,
solo nella sua unitarietà e completezza funzionale.
Correttamente, quindi, i primi giudici hanno ritenuto illegittima, anche
per i motivi ora detti, la nomina del commissario ad acta di cui si
tratta (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.03.2003 n. 1212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AGGIORNAMENTO AL 04.08.2008 |
ã |
UTILITA' |
EDILIZIA PRIVATA: Testo
Unico sulla sicurezza: sanzioni previste
(link a www.sicurezzatestounico.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Testo
Unico sulla sicurezza: commenti e scadenze
(link a www.sicurezzatestounico.it). |
APPALTI - EDILIZIA PRIVATA:
Art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - DURC - attestazioni di pagamento
coincidenti con il periodo di regolarità certificato
(Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali,
nota 09.07.2008 n. 9453 di prot.). |
G.U.R.I. - G.U.E.E. - B.U.R.L. (e
anteprima) |
ENTI LOCALI: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. ord. al n. 31 dell'01.08.2008, "Norme in materia
di spettacolo" (L.R.
30.07.2008 n. 21
- link
a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 25.07.2008 n. 173 "Testo
del decreto-legge 23.05.2008, n. 92
(in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 122 del 26.05.2008),
coordinato con la legge di conversione 24.07.2008, n. 125, recante:
«Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica»". |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 25.07.2008 n. 173 "Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 23.05.2008, n. 92, recante misure urgenti in materia
di sicurezza pubblica" (L.
24.07.2008 n. 125). |
ENTI LOCALI: G.U.
21.07.2008 n. 169 "Saggio degli interessi da applicare a favore del
creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni
commerciali"
(Ministero dell'Economia e delle Finanze,
comunicato 21.07.2008). |
CORTE DEI CONTI |
AFFIDAMENTO
INCARICHI: Prestazioni
di servizi col codice appalti - Si applica la disciplina del codice dei
contratti, e non l'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001 alle
«collaborazioni» il cui oggetto ricada nell'elenco dei servizi contenuto
negli allegati IIA e IIB al codice medesimo.
Regolamento di organizzazione degli Uffici e dei servizi del Comune di
Cassano allo Jonio - Controllo ai sensi dell'art. 3, comma 57, della
Legge finanziaria 2008 (Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Calabria,
delibera 23.05.2008 n. 144 - link a www.corteconti.it). |
NEWS |
VARI: Riqualificare
si può, ma a certe condizioni - Le agevolazioni fiscali per il
miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici esistenti sono
riferibili esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto degli
interventi.
L’agevolazione del 55% delle spese sostenute per la realizzazione di
interventi che aumentino l’efficienza energetica degli edifici
introdotta con la finanziaria 2007 spetta solo a chi utilizza gli
immobili. Sono quindi esclusi gli immobili locati a terzi e quelli
locati dalle società immobiliari
(risoluzione
01.08.2008 n. 340/E - link a www.fiscooggi.it). |
VARI: Sconto
del 36% soltanto a chi usa il montascale per andare in garage -
L’agevolazione fiscale per la realizzazione di opere che favoriscono la
mobilità di soggetti con difficoltà motorie spetta a chi sostiene la
spesa e utilizza il manufatto.
Il soggetto che ha installato in un condominio, per suo esclusivo
utilizzo, un montascale che gli faciliti l’accesso al piano garage, non
deve dividere con gli altri condomini la detrazione fiscale del 36%,
fino a una spesa massima di 48mila euro, prevista dall’articolo 1 della
legge 449/1997. Il beneficio, dunque, anche se l’intervento è avvenuto
sulle parti comuni di un edificio residenziale, non va calcolato in base
alla quota millesimale
(risoluzione
01.08.2008 n. 336/E - link a www.fiscooggi.it). |
VARI:
Risparmio energetico: la detrazione spetta anche a lavori non
ancora ultimati - Nel caso in cui le operazioni si svolgano a cavallo di
due annualità.
Le spese per i lavori di riqualificazione energetica, che danno diritto
alla detrazione del 55 %, cominciati l'anno scorso e ancora non
ultimati, possono essere indicate nella dichiarazione dei redditi per
l'anno di imposta 2007. Anche se il soggetto non è in possesso della
documentazione richiesta può attestare che i lavori non sono ancora
terminati fruendo ugualmente della detrazione spettante. Le spese
sostenute invece nel 2008 potranno essere indicate nella dichiarazione
relativa a tale periodo di imposta
(risoluzione
01.08.2008 n. 335/E - link a www.fiscooggi.it). |
DOTTRINA E CONTRIBUTI |
EDILIZIA PRIVATA: W.
Fumagalli,
Il riordino delle norme sugli impianti
negli edifici
(AL n. 7/2008). |
ATTI AMMINISTRATIVI: N.
Saitta,
Le
mezze-novità giurisprudenziali e normative in materia di accesso
(link a www.lexitalia.it). |
AUTORITA' CONTRATTI PUBBLICI |
APPALTI: TRASMISSIONE
DEI DATI UTILI PER LA REDAZIONE DEI PROSPETTI STATISTICI
(comunicato
del Presidente 01.08.2008 - link a massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
La disciplina della gara in esame prevede:
- nessuna disposizione in ordine alla formulazione delle offerte, per
quanto attiene al computo delle cifre decimali delle stesse;
- il punto 2, –Procedure di aggiudicazione– prescrive: “Le medie sono
calcolate fino alla terza cifra decimale arrotondata all’unità superiore
qualora la quarta cifra decimale sia pari o superiore a cinque”.
Si deve innanzi tutto far presente che laddove il bando di gara non
dispone che l’indicazione dei ribassi debba essere effettuata fino ad
una determinata cifra decimale, per costante orientamento di questa
Autorità e della giurisprudenza amministrativa, la Commissione di gara
non può procedere ad effettuare arrotondamenti, dovendo acquisire le
offerte nella loro integrità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV
1277/2003).
Detto principio vale anche per quanto attiene alle modalità di calcolo
delle medie: con deliberazioni n. 114/2002 e n. 244/2007 l’Autorità ha
evidenziato la necessità che la norma speciale dei bandi di gara
contenga esplicite disposizioni sulle modalità di calcolo delle medie,
disponendo che siano stabiliti i decimali da prendere in considerazione
e le modalità di arrotondamento.
In particolare, è stato espresso l’avviso secondo il quale
l’arrotondamento è un criterio che deve essere applicato su tutte le
operazioni aritmetiche effettuate per addivenire all’aggiudicazione.
Per quanto riguarda le offerte, invece, si ribadisce, nel caso in cui la
lex specialis non preveda esplicita disciplina, queste non possono
subire arrotondamento in via analogica.
Nel caso in esame, sulla base di quanto sopra, l’aggiudicazione
dell’appalto deve avvenire nei confronti de La Castellese Costruzioni
s.r.l.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che, nel silenzio del bando di gara, le offerte
devono essere assunte in graduatoria tenendo conto di tutte le cifre
decimali che le compongono, senza procedere al loro arrotondamento (parere
14.05.2008
n. 153 - link a
massimario.avlp.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
Il D. Lgs. 08.06.2001 n. 231 ha introdotto nell’ordinamento nazionale la
“Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di
personalità giuridica”, prevedendo, per le fattispecie illecite
indicate, diverse sanzioni che vengono comminate direttamente
all’ente-persona giuridica.
In particolare, l’impianto sanzionatorio prevede sia sanzioni pecuniarie
che sanzioni interdittive, tra le quali, all’articolo 9, è annoverato il
divieto di contrattare con la PA, salvo per ottenere prestazioni di un
pubblico servizio.
Tale divieto, che è rivolto all’ente destinatario della misura e agli
amministratori pubblici, che devono evitare di stipulare con esso
contratti invalidi, si applica esclusivamente in relazione ai reati per
i quali è espressamente previsto e qualora ricorra una delle seguenti
condizioni:a) l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità
e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da
soggetti sottoposti all'altrui direzione quando, in questo caso, la
commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze
organizzative; b) in caso di reiterazione degli illeciti.
Il divieto a contrattare con la PA non è indirizzato a tutte le attività
dell’ente, bensì ha ad oggetto la specifica attività cui si riferisce
l’illecito commesso e può essere limitato a determinati tipi di
contratto o a determinate amministrazioni (art. 14)
Ai sensi dell’articolo 45 del menzionato decreto legislativo, il divieto
a contrattare con la PA può essere oggetto di una misura cautelare,
nelle ipotesi in cui sussistano gravi indizi per ritenere la sussistenza
della responsabilità dell’ente e vi siano fondati motivi per presumere
la sussistenza di un pericolo concreto della commissione di illeciti
della stessa indole di quello per cui procede.
Relativamente all’applicazione delle misure interdittive cautelari
previste dal D.Lgs. n. 231/2001 si è pronunciato il Consiglio di Stato,
in sede consultiva, Adunanza Generale, sezione III, con il parere
dell’11 gennaio 2005, che ha definito la portata della misura, nonché la
nozione di pubblica amministrazione cui la norma si riferisce.
Per i profili che a tal fine rilevano, e dunque, con particolare
riferimento all’ambito oggettivo, il Consiglio di Stato ha precisato che
la misura cautelare è preordinata a prevenire il rischio di commissione
di illeciti della stessa indole e, conseguentemente, che il divieto di
contrattare non può che riguardare la futura attività negoziale che il
soggetto intenda porre in essere dopo l’adozione del provvedimento
interdittivo.
Tuttavia, il Consiglio di Stato non si è specificamente pronunciato
sull’operatività della misura cautelare anche ai contratti che abbiano
ad oggetto principale un’attività diversa da quella di cui alla misura
interdittiva.
Ciò nonostante, in ragione della ratio della misura interdittiva in
questione, sembra possibile sostenere l’impossibilità di estendere il
divieto di contrattare relativo ad una determinata attività anche a
contratti che non hanno ad oggetto quella attività.
Infatti, come riportato nella Relazione al d.lgs. n. 231/2001, “la
sanzione interdittiva non deve ispirarsi ad un criterio applicativo
generalizzato ed indiscriminato” e “le sanzioni, per quanto possibile
devono colpire il ramo di attività in cui si è sprigionato l’illecito,
in omaggio ad un principio di economicità e di proporzione”.
In particolare, nel caso di specie la società Impregilo è stata
sottoposta alla misura cautelare del divieto di contrattare con la PA
limitatamente alle sole attività relative allo smaltimento, trattamento
e recupero energetico dei rifiuti, con specifico riferimento al
trattamento e smaltimento mediante termovalorizzatore a recupero
energetico dei rifiuti urbani trasformati in combustibile da rifiuto.
La misura sembrerebbe pertanto riferita esclusivamente ai contratti che
hanno ad oggetto specifico il servizio di smaltimento, trattamento e
recupero energetico dei rifiuti indicati e non potrebbe essere estesa a
tutti i contratti che abbiano ad oggetto un’altra attività sebbene
comportino lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalla stessa.
Ciò in quanto, una tale operazione produrrebbe un divieto generalizzato
di contrattare con la PA, che impedirebbe alla società qualsiasi tipo di
attività nei confronti della PA: in particolare, verrebbe preclusa
l’attività di esecuzione di lavori pubblici in quanto, per definizione,
produttiva di rifiuti consistenti in materiali da scavo o di risulta
derivanti dai lavori realizzati.
Peraltro, ciò non solo confligge con i principi di tipicità e
tassatività che informano il diritto penale, ma sembrerebbe anche in
contrasto con il dispositivo dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 231/2001,
laddove sancisce che “le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la
specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente”:
infatti, mentre l’interdizione di cui alla misura cautelare si riferisce
all’attività di smaltimento, trattamento e recupero energetico dei
rifiuti, con specifico riferimento al trattamento e smaltimento mediante
termovalorizzatore a recupero energetico dei rifiuti urbani trasformati
in combustibile da rifiuto, l’oggetto del contratto in questione
consiste nell’affidamento unitario a contraente generale di realizzare
con qualsiasi mezzo un’opera stradale e, sebbene comporti la produzione
di rifiuti che verranno fatti smaltire mediante affidamento a soggetti
all’uopo abilitati, non sembra riconducibile all’attività interdetta con
a menzionata misura cautelare.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, di comunicare alle Parti interessate che la
misura cautelare del divieto di contrattare con la PA trova applicazione
esclusivamente per l’attività specificamente interdetta e non possa
pertanto essere oggetto di estensione applicativa ad attività che solo
indirettamente sono connesse a quelle precluse (parere
14.05.2008
n. 152 - link a
massimario.avlp.it). |
LAVORI PUBBLICI: Ritenuto
in diritto:
La problematica sottoposta all’attenzione dell’Autorità, concernente la
possibilità di usufruire del beneficio della riduzione della cauzione
anche in caso di una associazione temporanea che veda al suo interno una
impresa cd. “cooptata”, è stata affrontata dal Consiglio dell’Autorità
con deliberazione dell’8 settembre 2003, nella quale ha assunto le
seguenti considerazioni.
Ai sensi del comma 4 dell'articolo 95 del d.P.R. n. 554/1999, sia
l’impresa singola sia le imprese che intendono riunirsi in associazione
temporanea, ove in possesso dei requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi richiesti nel bando di gara, possono associare
altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da
quelli richiesti nel bando, a condizione che l’ammontare complessivo
delle qualificazioni possedute dall’associata minore copra l’importo dei
lavori che essa dovrà eseguire e che i lavori che essa eseguirà non
superino il 20% dell'importo dell’appalto.
Dal dato normativo emergono, dunque, quattro elementi caratterizzanti la
fattispecie:
1. il soggetto associante (impresa singola o ATI) deve avere di per sé
tutti i requisiti necessari a concorrere;
2. l’impresa associata minore, c.d. cooptata, può possedere una
qualificazione anche per categorie e classifiche diverse da quelle
richieste dal bando;
3. i lavori che la o le associate minori eseguiranno non devono superare
il 20% dell'importo complessivo dell'appalto;
4. la somma delle classifiche relative alle qualificazioni possedute
dall’associata minore deve coprire l'importo dei lavori che essa
eseguirà.
Di particolare rilievo, per la problematica oggetto di esame in questa
sede, è la condizione di cui al punto 1, ossia che il soggetto
associante, abbia di per sé tutti i requisiti necessari a concorrere.
Attesa tale premessa, sotto il profilo dell’idoneità complessiva del
concorrente, l’aggiunta di ulteriori, anche minime o eterogenee
potenzialità ad un soggetto di per sé idoneo, viene dalla norma in esame
considerata un di più che non può che accrescerne la potenzialità
complessiva.
Ciò indubbiamente costituisce una deroga alla disciplina dettata per le
ATI di tipo orizzontale e verticali, rispettivamente ai commi 2 e 3
dello stesso articolo 95 del d.P.R. n. 554/1999, che stabiliscono
proprio le modalità secondo le quali i requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi richiesti dal bando devono essere posseduti da
tutti i soggetti che compongono l’associazione.
Tenuto conto di detta deroga, attesa la peculiarità della disciplina
giuridica relativa all’istituto della cooptazione, non sembra
estendibile alle imprese cooptate, relativamente al godimento del
beneficio della riduzione della cauzione, quanto previsto dalla
determinazione dell’Autorità n. 44/2000, che riguarda specificamente le
ATI, sia di tipo orizzontale sia di tipo verticale.
Al contrario, da quanto sopra osservato circa le caratteristiche
dell'associazione in cooptazione, ai sensi dell’articolo 95, comma 4,
del d.P.R. n. 554/1999, sembra poter conseguire che, se il punto di
riferimento per la valutazione dei requisiti di partecipazione alla gara
sono i soggetti associanti, anche per il riconoscimento di eventuali
benefici, come quello della riduzione della cauzione, connessi al
possesso di tali requisiti di partecipazione, in particolare
l’attestazione SOA riguardante il possesso della certificazione di
qualità, si deve aver riguardo ai soli soggetti associanti, rimanendo
ininfluenti le potenzialità dell’impresa minore associata.
Nel caso in esame, l’impresa mandataria e l’impresa mandante, entrambe
in possesso del requisito di qualità, potevano usufruire del beneficio
della riduzione della cauzione provvisoria, indipendentemente dal
possesso o meno del requisito di qualità in capo alla impresa cooptata.
Si deve rilevare che l’eccezione sollevata dalla Stazione appaltante in
merito all’eventualità che il contratto non possa essere stipulato per
fatto dell’impresa cooptata, appare irrilevante, dal momento che la
partecipazione dell’impresa cooptata all’associazione rileva solo sotto
il profilo dell'idoneità di quest'ultima ad eseguire quota parte dei
lavori, mentre non rileva né ai fini della qualificazione
dell’associazione stessa, né ai fini della responsabilità nei confronti
della stazione appaltante, imputabile in via solidale al mandatario e,
pro quota, al mandante per la categoria scorporabile (art. 37, comma 6,
d. Lgs. n. 163/2006).
Risulta, pertanto, ininfluente il fatto che la polizza fideiussoria sia
stata intestata anche all’impresa cooptata (Cons. Stato, sez. V, n.
4655/2006).
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti
di cui in motivazione, che l’esclusione dell’associazione temporanea di
imprese Elettrolucana di Papapietro Pasquale, D’Amato Giuseppe e Cirillo
Pietro (cooptata) è non conforme alla normativa di settore (parere
14.05.2008
n. 151 - link a
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GIURISPRUDENZA |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
motivazione che deve sussistere per il lungo lasso di tempo trascorso
tra l'esecuzione dell'abuso edilizio e l'emissione dell'ingiunzione di
demolizione.
Se è vero che, in generale, l’ingiunzione demolitoria costituisce atto
dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera senza
titolo abilitativo (o in totale difformità da esso) e, pertanto, è
sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività
dell’opera, è pur vero che tale principio viene derogato nel caso in
cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso
ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla
vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato,
in relazione alla quale sussiste un onere di congrua motivazione che
indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso,
il pubblico interesse -evidentemente diverso da quello al ripristino
della legalità- idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato (Cons. Stato sez. IV n. 2441/2007; sez. V n.
3270/2006; sez. V n. 144/1999)
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 18.07.2008 n. 6972 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
localizzazione comunale delle antenne per telefonia mobile.
Circa i limiti ed il contenuto della potestà dei comuni di regolamentare
il corretto insediamento sul territorio degli impianti di
telecomunicazione in relazione alla sfera di attribuzioni ad essi
riconosciuta dall’art. 8, comma sesto, della legge n. 36/2001, la
giurisprudenza ha avuto occasione di pronunciarsi più volte, statuendo,
in sintesi, i seguenti principi:
- i “criteri di localizzazione” degli impianti non possono trasformarsi
in “limitazioni alla localizzazione”, così da configurarsi incompatibili
con la possibilità di realizzare una rete completa di infrastrutture per
la telecomunicazione (Corte Costituzionale, sentenza 15.10/7.11.2003 n.
331 -che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 3,
comma 12, lett. a) della L.R. Lombardia 06.03.2002 n. 4, relativo al
divieto di installazione di impianti di tlc sotto il limite dei 75 metri
dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici etc…e strutture
similari, con relative pertinenze- e sentenza 07.10.2003 n 307 che, con
riferimento specifico alla L.R. Puglia 08.03.2002, n. 5, ha stabilito,
in particolare, che non è costituzionalmente illegittimo l’art. 10,
comma 1, della L.R. Puglia che vieta l’installazione di impianti di tlc
su “ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido” e che,
viceversa è costituzionalmente illegittimo l’art. 10, comma 2, della
stessa legge regionale, che estende il divieto di localizzazione degli
impianti, tra l’altro, alle fasce di rispetto perimetrale secondo una
delibera della Giunta regionale, degli immobili “protetti”, di cui al
comma 1, ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido);
- non può tradursi la determinazione a regime di limiti di
localizzazione degli impianti –atteso il suo carattere generalizzato ed
il riferimento al dato oggettivo dell’esistenza di insediamenti
abitativi- in una misura surrettizia di tutela della popolazione da
immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva
allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di
esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi
con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il
Ministro della Salute (Cons. St., Sez. VI, n. 7274 /2002; n. 3095, n.
4159/2005);
- la scelta dei criteri di insediamento degli impianti deve tenere conto
della nozione di “rete di telecomunicazione, che richiede una diffusione
capillare sul territorio, in particolare per i casi di telefonia UMTS
(c.d. “cellulare”);
- deve tenersi conto, infine, anche del fatto che l’assimilazione in via
normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione
alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le medesime non siano
avulse dall’insediamento abitativo, ma debbano porsi al servizio dello
stesso.
Da una parte, la potestà attribuita al Comune dall’art. 8, comma 6,
della L. n. 36/2001 di disciplinare “il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione
della popolazione a campi elettromagnetici” deve tradursi in regole
ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio dei cennati interessi di
rilievo pubblico (in relazione, ad esempio, al particolare valore
paesaggistico/ambientale o storico/artistico di individuate porzioni del
territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione
d’uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle
immissioni elettromagnetiche) ma non può introdurre, come avvenuto nel
caso di specie, un generalizzato divieto di installazione in zone
urbanistiche identificate.
Dall’altra, tale previsione viene a costituire una misura di carattere
generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti
dagli impianti di telefonia mobile, riservando, tuttavia, l’art. 4 della
L.n. 36/2001, alla competenza dello Stato, la determinazione, con
criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi
uniformemente su tutto il territorio dello Stato
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 17.07.2008 n. 3594 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: Sul rinnovo
ovvero proroga dei contratti pubblici.
In linea di principio, il rinnovo o la proroga, al di fuori dei casi
contemplati dall'ordinamento, di un contratto d’appalto di servizi o di
forniture stipulato da un’amministrazione pubblica da luogo a una figura
di trattativa privata non consentita e legittima qualsiasi impresa del
settore a far valere dinanzi al giudice amministrativo il suo interesse
legittimo all’espletamento di una gara.
Ciò posto, si deve verificare quale fosse all’epoca la disciplina della
materia.
L’art. 6, comma 1 della L. 24.12.1993, n. 537 dopo la modifica
introdotta dall’art. 44 della L. 23.12.1994, n. 724, disponeva che ”è
vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni
per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in
concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati
in violazione del predetto divieto sono nulli. Entro tre mesi dalla
scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di
ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei
contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al
contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”.
L’ultimo periodo del predetto comma è stato poi soppresso dall’art. 23,
comma 1, della L. 18.04.2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), mentre il
successivo comma 2 dello stesso articolo ha consentito solo la “proroga”
dei contratti per acquisti e forniture di beni e servizi “per il
tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di
espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga
non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato
entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge”.
Sulla portata di tale normativa si è pronunciata la IV Sezione del
Consiglio di Stato che, con decisione 31.10.2006, n. 6457, ha avuto modo
di chiarire quanto segue.
“Deve premettersi che la modifica introdotta dall’art. 23 l. n.
62/2005 deve intendersi finalizzata, come si ricava dall’esame della
relazione illustrativa e dalla collocazione sistematica della
disposizione, all’archiviazione di una procedura di infrazione
comunitaria (n. 2003/2110) avente ad oggetto proprio la previsione
normativa nazionale della facoltà di procedere al rinnovo espresso dei
contratti delle pubbliche amministrazioni, ritenuta incompatibile con i
principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi
cristallizzati negli artt. 43 e 49 del Trattato CE e con la normativa
europea in tema di tutela della concorrenza nell’affidamento degli
appalti pubblici, e che, quindi, ogni esegesi della sua portata
applicativa dev’essere coerente con la ratio e con lo scopo della
relativa innovazione, per come appena evidenziati.
In conformità a tale premessa metodologica, deve osservarsi che
all’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei
contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 23 l. n. 62/05, deve
assegnarsi una valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni
ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che
si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei
contratti pubblici.
Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato, infatti, si
assicura l’effettiva conformazione dell’ordinamento interno a quello
comunitario, mentre, accedendo a letture sistematiche che riducano la
portata precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici
scaduti e che introducano indebite eccezioni, si finisce per vanificare
la palese intenzione del legislatore del 2005 di adeguare la disciplina
nazionale in materia a quella europea e, quindi, per conservare profili
di conflitto con quest’ultima del regime giuridico del rinnovo dei
contratti di appalto delle pubbliche amministrazioni.
Ne consegue che, in coerenza con la regola ermeneutica appena
sintetizzata, non solo l’intervento normativo di cui all’art. 23 l. n.
62/2005 dev’essere letto ed applicato in modo da escludere ed impedire,
in via generale ed incondizionata, la rinnovazione di contratti di
appalto scaduti, ma anche l’esegesi di altre disposizioni
dell’ordinamento che consentirebbero, in deroga alle procedure ordinarie
di affidamento degli appalti pubblici, l’affidamento, senza gara, degli
stessi servizi per ulteriori periodi dev’essere condotta alla stregua
del vincolante criterio che vieta (con valenza imperativa ed
inderogabile) il rinnovo dei contratti.
Né varrebbe, ancora, sostenere l’illegittimità del controverso diniego
sulla base dell’argomento della previsione della possibilità del rinnovo
nel bando di gara e nel successivo contratto, posto che la natura
imperativa ed inderogabile della sopravvenuta disposizione legislativa
che introduce un divieto generalizzato di rinnovazione dei contratti
delle pubbliche amministrazioni implica la sopravvenuta inefficacia
delle previsioni, amministrative e contrattuali, configgenti con il
nuovo e vincolante principio, che non tollera la sopravvivenza
dell’efficacia di difformi clausole negoziali (attesa la natura
indisponibile degli interessi in esse coinvolti).”
Da quanto sopraesposto emerge dunque che in tema di rinnovo o
proroga dei contratti pubblici di appalto non vi è alcuno spazio per
l’autonomia contrattuale delle parti, ma vige il principio che, salvo
espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa
comunitaria, l’amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve,
qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di
prestazioni, effettuare una nuova gara (salva la limitata proroga di cui
sopra).
Pertanto, allorquando un’impresa del settore lamenti che alla scadenza
di un contratto non si è effettuata una gara, fa valere il suo interesse
legittimo al rispetto delle norme dettate in materia di scelta del
contraente e l’eventuale nullità o inefficacia della clausola
contrattuale che preveda un rinnovo o una proroga va accertata in via
incidentale dal giudice amministrativo, competente a conoscere in via
principale della eventuale lesione del predetto interesse legittimo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.07.2008 n. 3391 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla necessità o meno del permesso di costruire per una struttura
precaria (stagionale) a servizio di un esercizio commerciale.
Come già rilevato dalla Sezione sulla scorta di una costante
giurisprudenza (v. sent. n. 35 del 22.01.2008), necessita di concessione
edilizia, ora permesso di costruire, il manufatto che, pur se non
infisso al suolo ma soltanto aderente allo stesso in modo stabile, è
tuttavia destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo, atteso che
produce trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in modo
rilevante e duraturo lo stato del territorio, a nulla rilevando
l’eventuale precarietà strutturale del manufatto che non si traduca in
un suo uso per fini contingenti e specifici, ma riguardi una
destinazione continuativa, anche se l’impiego del bene è circoscritto ad
una parte sola dell’anno (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V,
01.12.2003 n. 7822 e 11.02.2003 n. 696).
La circostanza, quindi, che si sia nella fattispecie assentita, a
seguito di d.i.a., l’installazione di pannelli traslucidi che delimitano
lo spazio antistante il “pub-birreria” onde consentirvi la collocazione
di sedie e tavolini sormontati da ombrelloni di tela, realizzando il
sostanziale ampliamento della superficie commerciale per tutto il
periodo dell’anno che eccede la stagione estiva, integra quella
rilevante e non precaria trasformazione del territorio che richiede il
rilascio del permesso di costruire, atteso che l’utilizzo apparentemente
limitato nel tempo, se in sé destinato a ripetersi ciclicamente negli
anni a venire, impone all’Amministrazione comunale il rituale
accertamento della compatibilità dell’intervento con le norme che
regolano l’uso del territorio e non può determinare, attraverso il
frazionamento annuale delle operazioni di montaggio e smontaggio della
struttura (e la conseguente artificiosa suddivisione in autonomi periodi
di un intervento in realtà unitario), l’elusione delle norme che
obbligano alla previa verifica dell’Autorità pubblica; né hanno ragione
le controparti nell’invocare l’art. 8 della legge reg. n. 31 del 2002,
che assoggetta a d.i.a. gli “interventi di manutenzione straordinaria”,
ovvero le “opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire
parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed
integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non
alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non
comportino modifiche delle destinazioni d’uso” (v. allegato alla legge
reg.), in quanto l’addotta carenza del tamponamento integrale degli
spazi vuoti laterali, lungi dall’implicare la realizzazione di un mero
arredo di spazi esterni, non fa in realtà venire meno l’impegno stabile
a tali fini della superficie corrispondente e la sua conseguente
rilevanza anche in termini di carico urbanistico
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 19.02.2008 n. 102 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla
legittima istituzione della commissione di gara ex art. 84 Codice
Appalti.
Appalti pubblici – lottomatica – commissione permanente - nomina
anteriore alla presentazione delle offerte – illegittimità – sussistenza
[art. 84, D.Lgs. 163/2006].
In materia di nomina delle commissioni di gara, il legislatore prevede
che tale nomina avvenga dopo la scadenza del termine fissato per la
presentazione delle offerte; ne deriva che la previsione di una
commissione permanente è illegittima
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza
13.02.2008 n. 1268 - link a www.altalex.com). |
CONDOMINIO: Decoro
architettonico condominiale va tutelato in base a circostanze concrete.
La tutela del decoro architettonico degli edifici condominiali, anche di
quelli privi di particolari pregi artistici, è stata apprestata dal
legislatore, all’art. 1120 II co. c.c., non in astratto, bensì in
considerazione della concorrenza di due distinte circostanze concrete:
un’alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell’edificio,
od anche di sue singole parti o di suoi singoli elementi dotati di
sostanziale autonomia, ed una consequenziale diminuzione del valore
dell’intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità
immobiliari che lo compongono, di qui la legittimazione attiva non solo
del condominio ma anche del singolo condomino (Corte di Cassazione,
Sez. II civile,
sentenza
17.10.2007 n. 21835 - link a www.altalex.com). |
APPALTI FORNITURE E
SERVIZI: Sul
divieto di rinnovo dei contratti di appalto.
Si è già affermato che:
a) l’art. 23, comma 1, l. n. 62 del 2005 che ha abrogato l’ultimo
periodo dell’art. 6, comma 2, l. n. 537 del 1993, ha introdotto
nell’ordinamento italiano il divieto di rinnovazione dei contratti di
servizi e forniture, fatte salve le limitate deroghe previste
espressamente da disposizioni nazionali, attuative di corrispondenti
previsioni comunitarie, da interpretarsi comunque in modo rigoroso e
restrittivo;
b) l’art. 7, lett. f), d.lgs. n. 157 del 1995 nel prevedere una ipotesi
di affidamento diretto del contratto, in conformità a quanto sancito
dalla direttiva 92/50 Cee, e quindi una deroga al regime dei principi
comunitari di trasparenza e competitività degli appalti, deve essere
interpretato restrittivamente e rigorosamente, in modo da evitare
elusioni al divieto di rinnovazione, espressa o tacita, dei contratti di
appalto.
Si badi che tale divieto è stato recepito e generalizzato dall’art. 57
del Codice dei contratti, non solo relativamente ai lavori (oltre che
come tradizione ai servizi e forniture) ma anche con riferimento al
rinnovo espresso (al comma 7 si prevede solo il divieto di rinnovo
tacito); atteso che dalla collocazione sistematica delle norme colà
sancite si desume che è vietata qualsiasi ipotesi di rinnovo al di fuori
dei casi espressamente sanciti dal medesimo art. 57 (fra cui vi rientra
anche quello disciplinato in precedenza dalla lett. f) cit.).
L’essenza del problema è che un rinnovo espresso al di fuori dei casi
contemplati dall’ordinamento (oggi dal Codice dei contratti, ieri dalla
legge c.d. Merloni e dalla altre fonti di recepimento fra cui il d.lgs.
n. 157 del 1995) darebbe luogo a una nuova figura di trattativa privata
pura non consentita dal diritto comunitario; è per questa ragione che
l’art. 23, l. n. 62 cit. ha abrogato in parte l’art. 6, l. n. 537,
perché il rinnovo espresso integra una ipotesi di trattativa privata
senza bando diversa da quelle tassativamente consentite dal diritto
comunitario
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.05.2007 n. 2866 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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