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dossier ABUSI EDILIZI (tolleranza del 2%)
* * *
(ex art. 34-bis, D.P.R. 06.06.2001 n. 380)
aprile 2021

EDILIZIA PRIVATAL’art. 34-bis del DPR n. 380/2001, che stabilisce che “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo”, deve essere interpretato nel senso di riferire la cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure programmate soltanto alle singole unità abitative e, dunque, a ciascun appartamento e non all’intero edificio nel suo complesso.
La suddetta interpretazione appare quella più corrispondente al dettato letterale dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito l’ultimo comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto) riferito, appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto, all’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza soltanto degli scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo appartamento), inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di sensibili modifiche al progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere tanto più estese quanto più grande risulti l’edificio complessivo.
...
Nell’ipotesi in questione, la tolleranza di cantiere non può superare la misura di 1,5 mq e correttamente l’Amministrazione Comunale si è pronunciata negativamente sulla SCIA, avendo accertato che le difformità dell’appartamento all’interno 18 (esteso 75,85 mq), corrispondendo all’avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili per mq 17,92, sopravanzassero di gran lunga le suddette tolleranze massime.
In nessun caso la percentuale delle difformità stesse può essere calcolata sulla superficie dell’intero fabbricato, Villino B, pari a 1458,91 mq.
L’interpretazione su esposta è supportata anche dalle più recenti pronunce del Consiglio di Stato e non risulta efficacemente smentita né dal riferimento della norma dell’art. 34-bis cit. al “titolo abilitativo” (che pur riguardando, se del caso, tutta la costruzione, non può che contenere un preciso riferimento anche alle singole unità immobiliari), né dalle argomentazioni contenute nelle più risalenti decisioni giurisprudenziali, favorevoli ad una più estesa liberalizzazione delle difformità da progetto, particolarmente rischiosa, però, per il possibile pregiudizio arrecato all’interesse pubblico urbanistico ed edilizio, in caso di fabbricati di grandi dimensioni.
---------------

Rilevato che:
   - la ricorrente ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la determinazione dirigenziale di Roma Capitale prot. CS n. 90661 del 02.12.2020 con cui era stato disposto l’annullamento della SCIA prot. CS/82701/2020 del 03.11.2020, da essa presentata in relazione all’appartamento sito in Roma, via ..., n. ..., scala B, piano 4, int. 18, e tutti gli atti presupposti e consequenziali;
   - a sostegno della sua domanda, la ricorrente ha dedotto:
a) di essere proprietaria di un complesso immobiliare sito in Roma, via ... n. ..., composto da un fabbricato, indicato come “Villino A” e da un altro edificio, denominato “Villino B”, realizzato in virtù di licenza edilizia n. 821/1962 e licenza edilizia in variante n. 18/1964, dichiarato agibile con certificati nn. 1489 e 1490 del 25.11.1965;
b) di aver verificato, nel corso dei controlli finalizzati alla dismissione del proprio patrimonio immobiliare, che un appartamento del Villino B (l’interno 18) presentava lievi difformità rispetto ai titoli edilizi conseguiti al momento della costruzione e della variante, che però apparivano risalenti all’epoca dell’edificazione;
c) di avere accertato che tali difformità consistevano nella avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili di mq 17,92;
d) di aver presentato ai fini della regolarizzazione di esse, il 03.11.2020, una SCIA, invocando l’applicazione dell’art. 34 bis del DPR n. 380/2001, trattandosi di “tolleranze costruttive”, contenute entro il limite del 2% delle misure previste nel titolo abitativo, da calcolarsi con riguardo alla superficie non del singolo appartamento, ma dell’intero fabbricato – Villino B (1.458,91 mq);
e) di aver ricevuto inaspettatamente la determina impugnata, nella quale l’Amministrazione aveva sostenuto che il limite del 2% dovesse essere calcolato non con riferimento alla superficie dell’intero edificio, ma con riguardo a quella del singolo appartamento e che la SCIA fosse comunque carente di alcuni documenti;
   - alla luce di tali circostanze, la ricorrente ha formulato i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 380/2001, erronea e falsa applicazione dell’art. 3 NTA del PRG di Roma Capitale,
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 380/2001 sotto altro profilo, violazione del giusto procedimento, violazione dell’art. 6, lett. b), della l.n. 241/1990, irragionevolezza e sproporzione;
   - si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato;
   - alla camera di consiglio del 03.03.2021, fissata per esame della sospensiva, la causa è stata trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti;
Ritenuto che:
   - il ricorso non sia fondato e debba essere rigettato;
   - l’art. 34-bis del DPR n. 380/2001, che stabilisce che “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo”, debba essere interpretato nel senso di riferire la cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure programmate soltanto alle singole unità abitative e, dunque, a ciascun appartamento e non all’intero edificio nel suo complesso, come sostenuto dalla ricorrente;
   - la suddetta interpretazione appaia quella più corrispondente al dettato letterale dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito l’ultimo comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto) riferito, appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto, all’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza soltanto degli scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo appartamento), inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di sensibili modifiche al progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere tanto più estese quanto più grande risulti l’edificio complessivo;
   - nell’ipotesi in questione, la tolleranza di cantiere non potesse superare la misura di 1,5 mq e correttamente l’Amministrazione Comunale si sia pronunciata negativamente sulla SCIA, avendo accertato che le difformità dell’appartamento all’interno 18 (esteso 75,85 mq), corrispondendo all’avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili per mq 17,92, sopravanzassero di gran lunga le suddette tolleranze massime;
   - in nessun caso la percentuale delle difformità stesse potesse essere calcolata sulla superficie dell’intero fabbricato, Villino B, pari a 1458,91 mq;
   - l’interpretazione su esposta sia supportata anche dalle più recenti pronunce del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., Sez. II, 07.01.2021 n. 230) e non risulti efficacemente smentita né dal riferimento della norma dell’art. 34-bis cit. al “titolo abilitativo” (che pur riguardando, se del caso, tutta la costruzione, non può che contenere un preciso riferimento anche alle singole unità immobiliari), né dalle argomentazioni contenute nelle più risalenti decisioni giurisprudenziali, favorevoli ad una più estesa liberalizzazione delle difformità da progetto, particolarmente rischiosa, però, per il possibile pregiudizio arrecato all’interesse pubblico urbanistico ed edilizio, in caso di fabbricati di grandi dimensioni;
   - non meritevoli di accoglimento siano, infine, anche le ulteriori doglianze espresse dalla ricorrente con riguardo all’art. 3 NTA del PRG, che, ai fini dell’applicazione delle previsioni urbanistiche ed edilizie del PRG, definisce in via generale i concetti di “unità edilizia” e di “unità immobiliare”, e in rapporto al preteso difetto di motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla contestazione da parte dell’Amministrazione della mancata allegazione alla SCIA dei “calcoli e (dei) computi metrici previsti per la determinazione delle sanzioni da applicare anche in riferimento alle difformità prospettiche degli infissi e dei balconi oggetto di sanatoria”, delle “reversali relative al pagamento dei Diritti di istruttoria” e di “prospetti, sezioni e documentazione fotografica”, atti allo stato ancora mancanti e comunque di secondaria rilevanza di fronte all’impossibilità di considerare gli aumenti di superficie rilevati come “tolleranze di cantiere”;
   - il ricorso debba essere, dunque, come anticipato, integralmente respinto (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 15.04.2021 n. 4413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'art. 34-bis del DPR n. 380/2001, che stabilisce che “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo”, deve essere interpretato nel senso di riferire la cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure programmate soltanto alle singole unità abitative e, dunque, a ciascun appartamento e non all’intero edificio nel suo complesso.
La suddetta interpretazione appare quella più corrispondente al dettato letterale dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito l’ultimo comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto) riferito, appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto, all’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza soltanto degli scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo appartamento), inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di sensibili modifiche al progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere tanto più estese quanto più grande risulti l’edificio complessivo.
...
Nell’ipotesi in questione, la tolleranza di cantiere non può superare la misura di 1,7 mq e correttamente l’Amministrazione Comunale si è pronunciata negativamente sulla SCIA, avendo accertato che le difformità dell’appartamento all’interno 14 (esteso 89,10 mq), corrispondendo all’avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili per mq 16,52, sopravanzassero di gran lunga le suddette tolleranze massime.
In nessun caso la percentuale delle difformità stesse può essere calcolata sulla superficie dell’intero fabbricato, villino A, pari a 1617,50 mq.
L'interpretazione su esposta è supportata anche dalle più recenti pronunce del Consiglio di Stato e non risulta efficacemente smentita né dal riferimento della norma dell’art. 34-bis cit. al “titolo abilitativo” (che pur riguardando, se del caso, tutta la costruzione, non può che contenere un preciso riferimento anche alle singole unità immobiliari), né dalle argomentazioni contenute nelle più risalenti decisioni giurisprudenziali, favorevoli ad una più estesa liberalizzazione delle difformità da progetto, particolarmente rischiosa, però, per il possibile pregiudizio arrecato all’interesse pubblico urbanistico ed edilizio, in caso di fabbricati di grandi dimensioni.
---------------

Rilevato che:
   - la ricorrente ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la determinazione dirigenziale di Roma Capitale prot. CS n. 90657 del 02.12.2020 con cui era stato disposto l’annullamento della SCIA prot. CS/82691/2020 del 03.11.2020, da essa presentata in relazione all’appartamento sito in Roma, alla via ..., n. ..., scala A, piano 4, int. 14, e tutti gli atti presupposti e consequenziali;
   - a sostegno della sua domanda, la ricorrente ha dedotto:
a) di essere proprietaria di un complesso immobiliare sito in Roma, via ... n. ..., composto da un fabbricato, indicato come “Villino A” e da un altro edificio, denominato “Villino B”, realizzato in virtù di licenza edilizia n. 821/1962 e licenza edilizia in variante n. 18/1964, dichiarato agibile con certificati nn. 1489 e 1490 del 25.11.1965;
b) di aver verificato, nel corso dei controlli finalizzati alla dismissione del proprio patrimonio immobiliare, che un appartamento del Villino A (l’interno 14) presentava lievi difformità rispetto ai titoli edilizi conseguiti al momento della costruzione e della variante, che però apparivano risalenti all’epoca dell’edificazione;
c) di avere accertato che tali difformità consistevano nella avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili di mq 16,52;
d) di aver presentato ai fini della regolarizzazione di esse, il 03.11.2020, una SCIA, invocando l’applicazione dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001, trattandosi di “tolleranze costruttive”, contenute entro il limite del 2% delle misure previste nel titolo abitativo( pari a mq 32,35) perché da calcolarsi con riguardo alla superficie non del singolo appartamento, ma dell’intero fabbricato – Villino A (di complessivi 1.617,50 mq);
e) di aver ricevuto inaspettatamente la determina impugnata, nella quale l’Amministrazione aveva sostenuto che il limite del 2% dovesse essere calcolato non con riferimento alla superficie dell’intero edificio, ma con riguardo a quella del singolo appartamento e che la SCIA fosse comunque carente di alcuni documenti;
   - alla luce di tali circostanze, la ricorrente ha formulato i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 380/2001, erronea e falsa applicazione dell’art. 3 NTA del PRG di Roma Capitale,
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 380/2001 sotto altro profilo, violazione del giusto procedimento, violazione dell’art. 6, lett. b), della l.n. 241/1990, irragionevolezza e sproporzione;
   - si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato;
   - alla camera di consiglio del 03.03.2021, fissata per esame della sospensiva, la causa è stata trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti;
Ritenuto che:
   - il ricorso non sia fondato e debba essere rigettato;
   - l’art. 34-bis del DPR n. 380/2001, che stabilisce che “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo”, debba essere interpretato nel senso di riferire la cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure programmate soltanto alle singole unità abitative e, dunque, a ciascun appartamento e non all’intero edificio nel suo complesso, come sostenuto dalla ricorrente;
   - la suddetta interpretazione appaia quella più corrispondente al dettato letterale dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito l’ultimo comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto) riferito, appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto, all’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza soltanto degli scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo appartamento), inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di sensibili modifiche al progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere tanto più estese quanto più grande risulti l’edificio complessivo;
   - nell’ipotesi in questione, la tolleranza di cantiere non potesse superare la misura di 1,7 mq e correttamente l’Amministrazione Comunale si sia pronunciata negativamente sulla SCIA, avendo accertato che le difformità dell’appartamento all’interno 14 (esteso 89,10 mq), corrispondendo all’avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili per mq 16,52, sopravanzassero di gran lunga le suddette tolleranze massime;
   - in nessun caso la percentuale delle difformità stesse potesse essere calcolata sulla superficie dell’intero fabbricato, villino A, pari a 1617,50 mq;
   - l’interpretazione suesposta sia supportata anche dalle più recenti pronunce del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., Sez. II, 07.01.2021 n. 230) e non risulti efficacemente smentita né dal riferimento della norma dell’art. 34-bis cit. al “titolo abilitativo” (che pur riguardando, se del caso, tutta la costruzione, non può che contenere un preciso riferimento anche alle singole unità immobiliari), né dalle argomentazioni contenute nelle più risalenti decisioni giurisprudenziali, favorevoli ad una più estesa liberalizzazione delle difformità da progetto, particolarmente rischiosa, però, per il possibile pregiudizio arrecato all’interesse pubblico urbanistico ed edilizio, in caso di fabbricati di grandi dimensioni;
   - non meritevoli di accoglimento siano, infine, anche le ulteriori doglianze espresse dalla ricorrente con riguardo all’art. 3 NTA del PRG, che, ai fini dell’applicazione delle previsioni urbanistiche ed edilizie del PRG, definisce in via generale i concetti di “unità edilizia” e di “unità immobiliare”, e in rapporto al preteso difetto di motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla contestazione da parte dell’Amministrazione della mancata allegazione alla SCIA dei “calcoli e (dei) computi metrici previsti per la determinazione delle sanzioni da applicare anche in riferimento alle difformità prospettiche degli infissi e dei balconi oggetto di sanatoria”, delle “reversali relative al pagamento dei Diritti di istruttoria” e di “prospetti, sezioni e documentazione fotografica”, atti allo stato ancora mancanti e comunque di secondaria rilevanza di fronte all’impossibilità di considerare gli aumenti di superficie rilevati come “tolleranze di cantiere”;
- il ricorso debba essere, dunque, come anticipato, integralmente respinto (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 15.04.2021 n. 4412 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAttualmente l’art. 34-bis d.p.r. n. 380/2001 in tema di “Tolleranze costruttive” (introdotto dall’art. 10, comma 1, lett. p), decreto-legge n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 120/2020) prevede:
   «1. Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo.
   (omissis)».

Ebbene, per la parziale difformità, proprio la disposizione suddetta contempla una tollerabilità compresa entro la soglia del 2% del volume complessivo della singola unità immobiliare.

---------------

4.5. - Con l’ultimo motivo di censura la ricorrente deduce l’illegittimità del gravato provvedimento per violazione del decreto-legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011 e dell’art. 34 d.p.r. n. 380/2001 e per falsa/mancata applicazione del suddetto art. 34, l’eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti per l’assunta inquadrabilità dell’illecito oggetto del provvedimento impugnato nell’ambito di applicazione dell’art. 34, comma 2-ter, d.p.r. n. 380/2001.
Il motivo è infondato.
La ricorrente richiama la disciplina dettata in relazione alla c.d. “tolleranza costruttiva” dall’art. 5, comma 2, lett. a), n. 5), decreto legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, nella n. 106/2011, che consente uno scostamento fino al 2 per cento tra l’opera che viene realizzata e il progetto che l’aveva prevista, soglia al di sotto della quale viene esclusa la sussistenza della c.d. “parziale difformità” e cioè la fattispecie abusiva riscontrata nell’unità immobiliare della stessa -OMISSIS-.
In particolare la deducente invoca il comma 2-ter dell’art. 34 d.p.r. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) (introdotto per l’appunto dal citato decreto-legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011, ma oggi abrogato dall’art. 10, comma 1, lett. o), decreto-legge n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 120/2020) a mente del quale “Ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”.
Attualmente l’art. 34-bis d.p.r. n. 380/2001 in tema di “Tolleranze costruttive” (introdotto dall’art. 10, comma 1, lett. p), decreto-legge n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 120/2020) prevede:
   «1. Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo.
   2. Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile.
   3. Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali
.».
In virtù di tale disposizione (i.e. vecchio art. 34, comma 2-ter, d.p.r. n. 380/2001 e nuovo art. 34-bis d.p.r. n. 380/2001) e “considerando che la cubatura espressa dall’intero appartamento a primo piano, come rilevato dal funzionario del Comune è pari a mc. 995 e rilevato che il 2% di tale cubatura è pari a mc. 19,90, laddove la cubatura del cavedio (della superficie di mt. 1,50 x 2,95) è pari a mc. 16”, la -OMISSIS- assume che sarebbe “di tutta evidenza che si è al di sotto della soglia del 2% della cubatura totale espressa dall’appartamento” e che, quindi, si sarebbe in presenza di uno scostamento tollerabile e non sanzionabile (cfr. pagg. 25 e 26 dell’atto introduttivo).
Tuttavia, rileva questo Giudice che l’errore in cui incorre la ricorrente è quello di riferire la cubatura accertata dal funzionario del Comune in complessivi mc. 995 al solo appartamento di primo piano laddove, invece, tale misura è riferita a quella complessiva (piano rialzato e primo piano), con la conseguenza che il volume riferito ad un solo piano (ovvero alla singola unità immobiliare cui si riferisce la norma) è pari alla metà di mc. 995 e, quindi, a mc. 497,50.
Quest’ultimo dato (mc. 497,50) è il volume dell’appartamento sulla cui base va calcolato il superamento o meno della soglia di tollerabilità prevista dal legislatore (vecchio art. 34, comma 2-ter, d.p.r. n. 380/2001 e nuovo art. 34-bis d.p.r. n. 380/2001) per la sussistenza o meno delle c.d. “difformità parziali”/“tolleranza costruttiva”.
Ne consegue che, rispetto ad un volume dell’unità immobiliare della ricorrente di mc. 497,50, il volume del vano realizzato nel pozzo luce in difformità dal progetto assentito, pari come si è detto a mc. 16,00, eccede la soglia del 2% del volume totale (pari a mc. 9,95) richiesto dalla norma invocata dalla stessa istante per affermare la tollerabilità e non sanzionabilità dell’abuso contestato.
Al fine di sgomberare il campo da ogni dubbio si riporta il testo della relazione tecnica di sopralluogo nella parte relativa alla descrizione della tipologia dell’abuso riscontrato (pag. 2): «… Dall’esame degli elaborati grafici allegati ai titoli abilitativi rilasciati è possibile rilevare che la volumetria dell’edificio è pari a circa mc. 995 […].
Di conseguenza, quindi, considerato che il pozzo luce ha dimensioni di mt. 1,50 x 2,95 e sviluppa una cubatura pari a circa mc. 16,00 e che, pertanto, tale volumetria è nettamente inferiore a quella massima pari a mc. 99,50, l’intervento non è da intendersi come variazione essenziale ma come parziale difformità. …
».
Ebbene, per la parziale difformità, proprio le disposizioni invocate dalla -OMISSIS- contemplano una tollerabilità compresa entro la soglia del 2% del volume complessivo della singola unità immobiliare e, quindi, essendo il volume del solo primo piano pari alla metà di mc. 995,00 (ovvero mc. 497,50), l’aumento di volume conseguito alla chiusura del pozzo luce (pari a mc. 16,00) eccede la soglia di tolleranza del 2% del volume della singola unità immobiliare pari nella specie a mc. 9,95.
A ciò si aggiunga, comunque, che la chiusura del pozzo luce ha creato un volume edilizio non ricompreso nel progetto assentito, dotato di autonoma utilizzabilità e come tale illegittimo.
Ne deriva l’infondatezza anche di detto motivo di gravame
(TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 01.04.2021 n. 563 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2021

EDILIZIA PRIVATAE' corretto ritenere che la “tolleranza di cantiere”, tale da escludere l’abusività dell’intervento, vada posta in relazione con la porzione di immobile cui esso accede e non, come proposto dall’appellato, con la superficie dell’intero palazzo.
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In proposito è fondata la censura d’appello la quale -conformemente al controricorso prodotto in primo grado avverso i motivi aggiunti- rileva che quando il Comune ebbe a rilasciare il suddetto titolo abilitativo n. -OMISSIS- annullato in autotutela dava per assodato che l’edificio fosse effettivamente corrispondente ai titoli edilizi in precedenza rilasciati (la concessione edilizia n. -OMISSIS- per la ristrutturazione e l’ampliamento ai sensi della legge n. 166/2002; e in particolare il permesso di costruire in variante ed in sanatoria n. -OMISSIS-); e che invece questo presupposto, alla base dell’annullato provvedimento n. -OMISSIS-, si è poi rivelato insussistente perché le misurazioni sulle quali si fondavano i suddetti precedenti assensi edilizi n. -OMISSIS- non erano state fedelmente riportate dall’interessato, sì da escluderne l’affidamento; affidamento invece allegato dal primo giudice nel prospettare in proposito la carenza della motivazione e la carenza della comparazione degli interessi del privato con l’interesse pubblico, presupposti tali da giustificare l’autotutela da parte del Comune.
Invero lo stesso appellato –pur rilevando: la non essenzialità delle difformità riscontrate, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, che afferma le difformità perfettamente regolarizzabili prima della definitiva chiusura dei lavori; l’inconferenza del riferimento fatto dall’Amministrazione all’art. 85 della legge regionale n. 15/2004; la non correttezza delle misurazioni prese a riferimento dal Comune- ammette che queste difformità vi sono state.
Ed esse appaiono tali da giustificare l’autotutela del Comune.
In particolare l’appellato, dopo aver fornito propri dati sulle difformità non prospettate al Comune nelle richieste degli assensi edilizi poi ottenuti, afferma espressamente: “Anche a voler calcolare la volumetria complessiva dei locali sottotetto abitativi, si ottiene un maggior volume pari a mc. -OMISSIS-, corrispondente al 2,27% della volumetria complessiva del fabbricato di circa mc. -OMISSIS-”; e rileva che ciò rispetterebbe, come altre misurazioni lineari pure esposte dal medesimo appellato, la prevista “tolleranza di cantiere” del 3%.
Ma un simile incremento volumetrico risulta notevole; e, riguardando la “volumetria complessiva dei locali sottotetto abitativi”, concerne una ben individuata parte dell’immobile, avente propria specifica connotazione (i sottotetti da recuperare ad uso abitativo).
Sicché in proposito viene in rilievo la previsione, relativa agli abusi in volumetria, del precedente articolo 6 (“Totale difformità”) della stessa legge regionale n. 52/1989, la quale indica alla lettera b) come in totale difformità anche i “volumi edilizi che, pur rientranti nei limiti stabiliti dal richiamato primo comma del precedente art. 5, comportino la realizzazione di un organismo edilizio, o parte di esso, con specifica rilevanza ed autonoma utilizzazione, rispetto a quello oggetto della concessione”.
In quest’ottica è corretto ritenere che la “tolleranza di cantiere” tale da escludere l’abusività dell’intervento, va posta in relazione con la porzione di immobile cui esso accede, e non, come proposto dall’appellato, con la superficie dell’intero palazzo (confr. Cons. Stato, Sez. IV, 22.01.2018, n. 405). E da un simile più corretto raffronto la mancata prospettazione nelle istanze edilizie di volumetria aggiuntiva per metri cubi -OMISSIS- appare non “tolleranza di cantiere” ma notevole infedeltà
(Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 07.01.2021 n. 230 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2020

EDILIZIA PRIVATA: Con l'art. 34-bis, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 è stato introdotto il concetto di "tolleranza esecutiva per le irregolarità geometriche".
Ora il caso riguarda un edificio residenziale di tre piani e 6 appartamenti degli anni '60, che prevedeva per il soggiorno 2 finestre e una porta finestra, mentre è stata realizzata una finestra e una porta finestra per tutte e 6 le unità senza la presentazione di una variante; catastalmente è regolare.
Considerato a mio avviso che la geometria di un edificio non riguarda solamente la sagoma ma anche le proporzioni delle facciate, è ammissibile pensare che l'eliminazione di una finestra possa essere considerata una irregolarità geometrica?
Si precisa che il rapporto aero-illuminante è rispettato.

Si ritiene che al fine di dare adeguata risposta al quesito posto giovi preliminarmente inquadrare lo stato dell'arte normativo.
In particolare, il D.L. 16.07.2020, n. 76 (c.d. "Decreto Semplificazioni"), poi recepito con la legge di conversione L. 11.09.2020, n. 120, ha introdotto una nuova e importante disciplina in merito alle tolleranze costruttive in caso di parziali difformità rispetto al titolo edilizio abilitativo, disponendo l'abrogazione del comma 2-ter, art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e introducendo una nuova disciplina con l'inserimento del nuovo art. 34-bis, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 medesimo.
Giova quindi evidenziare come già la giurisprudenza formatasi sotto la previgente normativa aveva trattato la c.d. tolleranza di cantiere del 2%, o regime di franchigia, di cui all'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, disposizione in base alla quale "non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sul tema, ha stabilito che: "Si tratta, come appare evidente, di una disposizione di tolleranza rivolta a disciplinare in senso, per dir così "liberalizzatorio", interventi edilizi aventi una consistenza minima" (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 23.07.2018, n. 4504).
Da tali presupposti consegue che già sotto il previgente regime normativo un intervento, in se parzialmente difforme, realizzato però entro il limite della c.d. "tolleranza di cantiere", non fosse riconducibile nella categoria della difformità parziale, ma rientrava nella irrilevanza ai fini edilizi, con la conseguenza della sua non sanzionabilità anche sotto il profilo di violazione minore (difformità o assenza di Scia o Pdc).
La modifica di recente introduzione quindi ha dettagliato un principio già formatosi sulla scorta della interpretazione giurisprudenziale; pertanto alla luce di quanto sopra si ritiene che la difformità descritta nel quesito sia riconducibile alla nuova tipologia di tolleranza costruttiva e pertanto possa giovarsi di quanto previsto al nuovo art. 34-bis.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34-bis
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 23.07.2018, n. 4504 (23.10.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

febbraio 2020

EDILIZIA PRIVATAIl quesito che intendo sottoporre riguarda un ampliamento di volume in sopraelevazione, di un edificio unifamiliare posto all'interno della fascia di rispetto stradale, di cui al D.Lgs. 30.04.1992, n. 285.
Tale ampliamento, già realizzato, rispetta il 2% previsto dall'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e pertanto è ammesso anche se è in zona di vincolo paesaggistico, come riportato dal D.P.R. 13.02.2017, n. 31.
Dato che il Codice della Strada non contempla tolleranze, come invece previsto dalle norme su citate, si chiede se il 2% in ampliamento, che non è considerato ai fini edilizi come parziale difformità, può essere applicato, per analogia, anche all'art. 16 del C.d.S. vigente.

L'avanzato quesito riguarda un'interessante fattispecie, coinvolgente problematiche di natura edilizia e di disciplina delle distanze. Precisamente, la concreta fattispecie può essere così sintetizzata:
   - In un edificio unifamiliare, posto all'interno del vincolo della fascia di rispetto stradale, come disciplinata dal Codice della strada (D.Lgs. 30.04.1992, n. 285), è stato realizzato un intervento edilizio, comportante un ampliamento di volume, che si sviluppa in una sopraelevazione.
Siffatto ampliamento rispetta le cd. "tolleranze di cantiere", disciplinate dall'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Conseguentemente, l'intervento, in quanto rientrante nelle predette "tolleranze", non dà luogo ad alcuna difformità, neppure parziale, rispetto al titolo edilizio che ha legittimato il medesimo intervento.
A questo punto, si chiede di sapere se il consentito ("tollerato") ampliamento dei "distacchi", cioè della distanza fra due edifici fronteggianti, trova una legittimazione anche sul versante della fascia di rispetto stradale. In altri termini, si chiede di sapere se la prevista "tolleranza" della costruzione edilizia, in termini di "distacchi", pari al 2% delle misure progettuali, trova applicazione anche nei riguardi dei limiti afferenti la fascia di rispetto stradale.
Primariamente, occorre ricordare che il richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce quanto segue: "Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2, lettera "a", n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106. La disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art. 32, comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle misure progettuali. Gli elementi sono:
   - Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
   - Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
   - Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della sagoma esterna del manufatto;
   - Altezza degli edifici.
Orbene, occorre osservare che la "fascia di rispetto", ai sensi dell’art. 3, comma 1, n. 22 del Codice della strada, costituisce una striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili.
Le fasce di rispetto stradali, normate dal Codice della Strada e dal suo Regolamento attuativo (D.P.R. 16.12.1992, n. 495), hanno lo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e la loro potenziale pericolosità a costituire, per la prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone. Attraverso la fascia di rispetto, si garantisce un'area utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni. Di regola, le fasce di rispetto vengono istituite con l'approvazione del Progetto definitivo dell'opera stradale e permangono per tutta la vita utile della strada medesima.
All'interno delle fasce di rispetto, vige il vincolo di inedificabilità. Ed, infatti, la giurisprudenza conferma che: "In materia edilizia il vincolo delle fasce di rispetto stradale o viario è di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale; detto divieto, inoltre, opera direttamente ed automaticamente, per cui una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere dell'amministrazione sull'istanza di condono non può che essere negativo” (TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584).
Dal vincolo di in edificabilità discende il conseguente corollario che non sono previste, dalla normativa in materia, "tolleranze" o forme equivalenti. Infatti, l'art. 16, del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto fuori dai centri abitati, non contempla alcuna tolleranza. Il comma 1° di tale articolo rinvia, per la concreta tipologia dei divieti, al Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice della strada (D.P.R. 16.12.1992, n. 495). Il Regolamento non prevede, agli articoli 26 e seguenti, alcuna forma di tolleranza. Parimenti, l'art. 18 del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto nei centri abitati.
Pertanto, non appare possibile alcuna applicazione analogica della peculiare disciplina delle cd. "tolleranze di cantiere". Ciò, anche per un'altra ragione: l'indicata disciplina consacra l'irrilevanza degli scostamenti, entro il limite del 2%, nella discrasia fra la precisione teorica degli elaborati tecnici e la concreta esecuzione degli interventi (Il comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, consente di escludere dall'ambito delle difformità rilevanti ai fini sanzionatori quelle che si verificano a causa di un fisiologico scarto tra la precisione del disegno e la realizzazione, o dalla consistenza dei materiali, o dalla necessità di modesti adeguamenti in sede esecutiva e, pertanto, non possono che rilevare le misure effettive delle opere realizzate. Peraltro è la stessa norma che espressamente correla la soglia del 2% alle "misure progettuali"; TAR Veneto Venezia Sez. II, 20.09.2019, n. 1013).
In relazione alla fascia di rispetto stradale, non si pone alcun problema di "scostamenti" fra quanto previsto e quanto effettivamente realizzato. Ragion per cui l'analogia non può trovare spazio alcuno.
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Riferimenti normativi e contrattuali
L. 28.02.1985, n. 47, art. 32 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 3 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 16 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 18 - D.P.R. 16.12.1992, n. 495, art. 18 - D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34 - D.P.R. 13.02.2017, n. 31
Riferimenti di giurisprudenza

TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584 - TAR Veneto, Sez. II, 20.09.2019, n. 1013
(20.02.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

giugno 2018

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Indicazioni applicative in merito alle tolleranze costruttive, alla verifica dello stato legittimo degli edifici da demolire, alla sanatoria di immobili soggetti a vincolo paesaggistico e al divieto di modificare la Modulistica Unificata Edilizia e di richiedere altra documentazione (Regione Emilia Romagna, nota 05.06.2018 n. 410371 di prot.).
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La Circolare fornisce indicazioni applicative in merito alla tolleranza costruttiva disciplinata dall’art. 19-bis, della L.R. n. 23 del 2004 sulla vigilanza in materia edilizia.
In seguito alle importanti modifiche apportate dalla L.R. n. 12 del 2017 e dalla L.R. n. 24 del 2017, si distinguono quattro fattispecie di opere edilizie realizzate in parziale difformità dal titolo abilitativo che non sono considerate violazioni edilizie e non comportano l’applicazione delle relative sanzioni amministrative.
La circolare chiarisce le modalità per accertare e rappresentare nelle pratiche edilizie le difformità tollerate.
Sono trattate, inoltre, la verifica dello stato legittimo degli edifici interessati da demolizione e ricostruzione, la sanatoria degli abusi commessi in immobili soggetti a vincolo paesaggistico e il divieto di modificare la Modulistica Unificata Edilizia regionale e di richiedere altra documentazione”.

marzo 2018

EDILIZIA PRIVATALa previsione dell'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, per cui non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o sup. coperta che non eccedano il 2% delle misure progettuale, può prescindere dalle norme igienico-sanitarie?
Ad esempio, potrebbe assentire la presenza di locali abitativi con altezza inferiore ai canonici 270 cm minimi?

Il quesito in esame ha ad oggetto la non ignota questione delle cd. "tolleranze costruttive o di cantiere", cioè le eventuali e possibili difformità costruttive, che, in sede di esecuzione, si possono manifestare rispetto a quanto previsto dai titoli edilizi rilasciati sui progetti approvati.
Nello specifico, il quesito pone in relazione l'attuale disciplina in materia (art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380) con la normativa igienico-sanitaria. Precisamente, si chiede di sapere se le "tolleranze" per le violazioni di altezza, attualmente consentite nella misura del 2% delle misure progettuali, sono ammissibili anche nei riguardi delle altezze minime interne (metri 2,70), previste dalla preesistente normativa del 1975.
Procediamo con ordine.
Il Decreto Ministero della sanità del 05.07.1975 ("Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20.06.1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione"), all'art. 1, stabilisce che "l'altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m. 2,70, riducibili a m. 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli". Trattasi di una norma avente natura tecnica, finalizzata a tutelare evidenti interessi igienico-sanitari.
Il richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce quanto segue: "Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2, lett. a), n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106. La disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art. 32, comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle misure progettuali. Gli elementi sono:
   - Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
   - Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
   - Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della sagoma esterna del manufatto;
   - Altezza: riferita solo all'esterno dell'edificio od anche agli ambienti interni.
Indubbiamente, l'ultimo elemento ("altezza") è quello che presenta maggiore complessità ed ambiguità, non essendo chiaro se riguardi anche l'altezza all'interno degli alloggi, in particolare i famigerati 2,70 metri tra pavimento e soffitto necessari come altezza minima abitabile.
Quindi, ritornando al quesito in esame, la disposizione normativa, di cui all'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, trova applicazione anche per le altezze interne dei locali adibiti ad abitazione?
Al riguardo, occorre prendere atto di un'importante sentenza. Precisamente, la sentenza n. 1061 del 26.06.2015, emessa dal Tar Piemonte, sez. II.
In tale pronuncia, i giudici amministrativi hanno esaminato un caso di contestazione di diversi abusi, afferenti una costruzione di civile abitazione, assentita con permesso di costruire. Uno di questa abusi consisteva nel mancato rispetto delle altezze interne dei vani abitabili al piano terreno (soggiorno, cucina, camera e cameretta), i quali, secondo la contestazione del Comune, risultavano inferiori all'altezza minima di metri 2,70.
In merito a tale contestazione, il Tar ha statuito quanto segue: "Portata assorbente assume il secondo motivo di gravame, incentrato sul principio della c.d. tollerabilità di cantiere.
Anche prima dell'introduzione del nuovo comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (avvenuta con il D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106), la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che lievi scostamenti rispetto alle misurazioni previste in progetto, i quali si presentino plausibili nell'ambito della tecnica costruttiva utilizzata, non possono considerarsi come difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato (Cons. Stato Sez. IV, 10.05.2007, n. 2253), dovendosi essi farsi rientrare nel margine di tollerabilità consueto, legato sia alla difficoltà di perfetta realizzazione delle previsioni di progetto sia ai limiti degli strumenti di misurazione (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 28.07.2009, n. 4469).
E' appena il caso di aggiungere che quell'orientamento giurisprudenziale poc'anzi citato è ormai divenuto legge per effetto del già richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, a norma del quale "non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali": misura che, nel caso di specie, è stata pacificamente rispettata
".
In buona sostanza, il Tribunale amministrativo piemontese, anche sulla base di pregressi arresti giurisprudenziali, ha statuito i seguenti principi:
   a) Sussiste, in materia di variazioni intervenute in sede di esecuzione, un generale principio di "tollerabilità di cantiere";
   b) si tratta di un principio che conosce altri precedenti giurisprudenziali, fondati sulla considerazione che occorre tener conto delle difficoltà di perfetta realizzazione di un progetto, oltre che dei limiti degli strumenti di misurazione;
   c) siffatto principio è diventato legge, in quanto è stato recepito dal già richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, come integrato nel 2011;
   d) tale principio si applica anche nel caso di mancato rispetto di altezze interne dei vani abitabili, nei limiti, ovviamente, dell'indicata disciplina.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34 - D.M. 05.07.1975, art. 1
Riferimenti di giurisprudenza

TAR Piemonte, Sez. II, 26.06.2015, n. 1061
(20.03.2018 - tratto da https://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

gennaio 2018

EDILIZIA PRIVATAIl limite del 2 per cento contenuto nel comma 1 dell'art. 32 della l. n. 47/1985 deve ovviamente essere rapportato (non già all’intero complesso immobiliare ma) al singolo plesso sul quale insiste.
La disposizione di cui al primo comma dell’art. 32 su richiamato, si fonda su un concetto (quello di tolleranza di cantiere) che sopravvive nella vigente legislazione: ma la percentuale su cui misurare lo scostamento o, se si vuole, la abusività dell’intervento, va posta in relazione con la porzione di immobile cui esso accede, e non con la superficie dell’intero palazzo.
E' ovvio che il limite del 2% vada riferito alla singola unità immobiliare cui l’abuso accede.

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10.5. Prima di esporre l’opinione del Collegio, sul punto, occorre dare conto della obiezione delle parti appellate (pag. 15 della memoria depositata il 18.09.2017, punto 4.4.1.) secondo la quale, tenuto conto che soltanto in sparuti casi e di minimo impatto v’era stato un incremento di volumetria, ovvero di superficie utile, neppure, in realtà, sarebbe stato necessario acquisire il parere della Soprintendenza. E ciò in forza del disposto di cui all’ultima parte del comma 1 dell’art. 32 della legge n. 47 del 28.02.1985 (“1. Fatte salve le fattispecie previste dall'articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo. Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte.”).
10.5.1. Sostengono, in sintesi, le parti appellate che in considerazione della circostanza che gli incrementi abusivi “sanati” non raggiungono il 2 per cento dell’immobile, neppure sarebbe stato necessario chiedere il prescritto parere.
10.5.2. E’ evidente che lo scrutinio di tale eccezione è logicamente prioritario: ciò, in quanto tale tesi -ove accolta- spiegherebbe portata assorbente rispetto all’ulteriore argomento difensivo (secondo il quale il parere era fornito di motivazione adeguata alla comunque modestissima tipologia degli abusi, ed alla circostanza che comunque l’immobile avrebbe dovuto essere demolito, dovendosene salvaguardare soltanto la facciata): ove infatti il parere non fosse stato dovuto (pur essendo stato reso dalla Soprintendenza) ogni vizio eventuale del medesimo non potrebbe condurre alla declaratoria di illegittimità del titolo abilitativo edilizio cui esso “accede” e del quale è condizione legittimante.
10.6. Il Collegio ritiene che tale pur arguta obiezione non meriti accoglimento, sia perché collidente con elementi di fatto, che perché non persuasiva in diritto, in quanto:
   a) sotto il profilo fattuale, vi sono almeno 3 casi (“gruppo 3” nella elencazione contenuta nell’elaborato di consulenza della parte appellata a firma degli architetti Br. e Pi., pag. 5) che riguardano la realizzazione di interventi incidenti sull’esterno, due dei quali anche sul prospetto, e quindi si è al di fuori del perimetro normativo su indicato;
   b) sotto il profilo giuridico, il limite del 2 per cento contenuto nella richiamata disposizione, deve ovviamente essere rapportato (non già all’intero complesso immobiliare ma) al singolo plesso sul quale insiste;
   c) la “singolarità” dell’odierno procedimento, riposante in una valutazione cumulativa di più abusi, di differente tipologia, insistenti in parti distinte dell’immobile, realizzati in epoca diversa, e da soggetti diversi, non può essere “unificata” al fine di ritenere che ogni singolo abuso dovesse essere rapportato alla superficie complessiva dell’immobile;
   d) la disposizione di cui al primo comma dell’art. 32 su richiamato, si fonda su un concetto (quello di tolleranza di cantiere) che sopravvive nella vigente legislazione: ma la percentuale su cui misurare lo scostamento o, se si vuole, la abusività dell’intervento, va posta in relazione con la porzione di immobile cui esso accede, e non con la superficie dell’intero palazzo: esemplificativamente, quanto alle opere che hanno certamente comportato incremento di volumetria e superficie utile (“gruppo 4” nella elencazione contenuta nell’elaborato di consulenza della parte appellata a firma degli architetti Br. e Pi., pag. 6) il computo dell’ampliamento del magazzino per mq 13,40 (pratica n. 322166) ai fini del contenimento dello stesso nella misura del 2% va riferito al locale-magazzino medesimo, e non all’intero plesso, ovvero anche solo al piano ove lo stesso insiste;
   e) ogni immobile sul quale è stato commesso il singolo abuso, è connotato da una propria “individualità”: non a caso, nella indicazione prodotta dal comune di Roma vengono indicati il foglio, (sempre n. 479) la particella (sempre la n. 69) ed il subalterno (che è via via differente, in quanto contraddistingue il singolo immobile); l’affermazione della difesa di parte appellata, vorrebbe che l’entità dell’incremento (al fine di verificare se il parere fosse –o meno- necessario) venisse rapportata all’intero immobile; ma una simile interpretazione trae spunto da una occasionale circostanza (quella riposante nella proprietà unitaria dell’intero plesso, e dalla presentazione di domande di sanatoria ad opera di un unico soggetto) e da un ancor più occasionale accadimento (quello riposante nella circostanza che il parere della Soprintendenza si sia unitariamente riferito a tutti gli abusi per i quali era stata richiesta da I.N.A. s.p.a. la sanatoria);
   f) e la eccezione della difesa delle parti appellate integra -a parere del Collegio- una interpretazione non condivisibile, che produrrebbe, ove accolta, un effetto abrogativo della necessità del parere: in immobili vincolati di consistente cubatura, e suddivisi in unità immobiliari aventi propria individualità (quale è quello per cui è causa), ove l’entità dell’abuso dovesse essere computata in relazione all’intero plesso, è evidente che giammai (o assai raramente) ricorrerebbe la necessità del parere: è ovvio invece, che il limite del 2% vada riferito alla singola unità immobiliare cui l’abuso accede: e non avendo le parti appellate dimostrato che in ciascuno dei 40 permessi in sanatoria si fosse rimasti al di sotto del 2% (il che peraltro, da una lettura delle pratiche versate in atti sembrerebbe da escludere) l’eccezione va disattesa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.01.2018 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2017

EDILIZIA PRIVATAParziali difformità: le violazioni entro il 2% sono irrilevanti.
Il comma 2-ter dell'art. 34 del D.P.R.n. 380/2001 -a norma del quale "non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali"- non contiene una definizione normativa della parziale difformità, ma prevede una franchigia vera e propria.
Il che a significare non che ogni violazione eccedente il 2% considerato costituisce difformità totale, ma al contrario che le violazioni contenute entro tale limite sono irrilevanti.

In tal senso si esprime la Sez. VI del Consiglio di Stato nella sentenza 30.03.2017 n. 1481 in fattispecie nella quale si trattava di difformità consistenti nell'altezza esterna del fabbricato e interna del piano sottotetto, dovuta -ad avviso della ricorrente- di una copertura del tetto a doppia falda diversa da quella in progetto per la quale era stata presentata istanza per ottenere la sanatoria dell'abuso ai sensi dell'art. 34 T.U. 06.06.2001 n. 380 e, subordinatamente alla sanatoria, il recupero abitativo del piano sottotetto, ai sensi della specifica l.r. 15.11.2007 n. 33 della Puglia, ricevendo un diniego.
In primo grado il TAR aveva respinto il ricorso proposto contro il diniego ritenendo che l'intervento si dovesse considerare realizzato in difformità non parziale, ma totale dal titolo abilitativo, che pertanto la sanatoria, meglio detto la sanzione non demolitoria, di cui all'art. 34, comma 2, T.U. 380/2001 non fosse applicabile.
I giudici d'appello hanno invece ritenuto che:
   • la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria va valutata nella fase esecutiva del procedimento di repressione dell'abuso, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: è per tal motivo che la norma viene a costituire, in sostanza, un'ipotesi ulteriore di sanatoria, denominata di solito "fiscalizzazione dell'abuso";
   • l'amministrazione, tenuta a decidere sull'istanza della ricorrente appellante, doveva valutare anzitutto se l'abuso costituisse effettivamente una "parziale difformità", e in caso positivo se effettivamente non potesse essere demolito senza pregiudizio per la parte conforme;
   • la norma del comma 2-ter non contiene una definizione normativa della parziale difformità, ma prevede una franchigia. In altre parole, intende stabilire non che ogni violazione eccedente il 2% considerato costituisce difformità totale, ma al contrario che le violazioni contenute entro tale limite sono irrilevanti;
   • in tal senso, è anzitutto un argomento letterale: il testo della norma, contenuta nell'articolo dedicato appunto alle conseguenze della "parziale difformità", stabilisce quando la stessa "non si ha", e quindi un caso in cui l'abuso esula;
   • nello stesso senso, è anche l'argomento storico: la norma è stata aggiunta in un momento successivo, con l'art. 5 del decreto legge 70/2011, cd. "Decreto sviluppo", il cui dichiarato scopo è "liberalizzare le costruzioni private", scopo rispetto al quale è congruo un regime, appunto, di franchigia, volto ad alleggerire gli oneri che gravano sul privato i costi della sanzione applicata a qualsiasi a difformità, anche fra le più lievi;
   • a identico risultato conduce l'argomento logico sistematico: se effettivamente il comma 2-ter contenesse la nozione normativa di parziale difformità, ne seguirebbe che sarebbe abuso, e comporterebbe in via principale l'ordine di rimessione in pristino, ogni difformità rispetto alle misure di progetto, anche la più lieve, con risultati pratici assurdi, di moltiplicazione e complicazione del contenzioso.
La decisione conferma le conclusioni a cui eravamo giunti in questo commento al novellato art. 34: "Parziali difformità ex art. 34 TUE: la soglia del 2% secondo il DL Sviluppo", ossia che il legislatore nazionale, cui spetta dettare i principi fondamentali e generali dell'attività edilizia (art. 1 DPR 380/2001), ha ritenuto di non assoggettare a sanzione alcuna le variazioni al titolo comprese nella misura del 2% per altezza, distacchi, cubatura o superficie (commento tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.it).
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MASSIMA
... per la riforma della sentenza 16.09.2015 n. 1251 del TAR Puglia-Bari, Sez. III, resa fra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso per l’annullamento del provvedimento 25.06.2014 prot. n. 11.21992 del Comune di Corato, di reiezione dell’istanza proposta dalla Fe.Im. S.r.l. per la sanatoria del recupero a fini abitativi di vani sottotetto non abitabili siti a Corato, via ... 28 interni 36 e 37;
...
La ricorrente appellante è un’impresa di costruzioni che ha realizzato, in Comune di Corato (Ba), una lottizzazione denominata “Pandorea”, alla quale si accede per il viale omonimo, composta da varie unità abitative all’interno di villette di varia tipologia, sia unifamiliari sia plurifamiliari.
Per due di queste unità, di cui all’epoca dei fatti era ancora proprietaria, site all’interno di una villetta quadrifamiliare, al numero 28, interni 36 e 38, le veniva contestata una difformità nell’altezza esterna del fabbricato e interna del piano sottotetto, dovuta a suo dire all’impiego di una copertura del tetto a doppia falda diversa da quella in progetto.
Precisamente, secondo il provvedimento impugnato, di cui subito, al posto di una copertura di latero-cemento, priva di elementi a vista e caratterizzata da uno spessore del solaio finito pari a 0,20 mt, veniva impiegata, asseritamente per un migliore isolamento termico, una copertura di legno lamellare con elementi a vista, costituiti da travi e arcarecci di sostegno, spessa 0,375 metri, cui si aggiungono altri 0.165 metri per lo spessore delle travi; l’altezza risultava quindi incrementata del maggior spessore della diversa copertura (doc. 1 in primo grado ricorrente appellante, provvedimento impugnato, ove la descrizione dell’opera).
A fronte di ciò, la ricorrente appellante ha presentato al Comune istanza contestuale per ottenere la sanatoria dell’abuso ai sensi dell’art. 34 T.U. 06.06.2001 n.380 e, subordinatamente alla sanatoria, il recupero abitativo del piano sottotetto, ai sensi della specifica l.r. 15.11.2007 n. 33, ricevendo un diniego con il provvedimento meglio indicato in epigrafe (doc. 1 in primo grado ricorrente appellante, cit.)
Con la sentenza di cui pure in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto contro il diniego predetto, ed ha in sintesi ritenuto che l’intervento si dovesse considerare realizzato in difformità non parziale, ma totale dal titolo abilitativo, che pertanto la sanatoria, meglio detto la sanzione non demolitoria, di cui all’art. 34, comma 2, T.U. 380/2001 non fosse applicabile, ma si desse luogo alla sola demolizione, e che per conseguenza, trattandosi di opera abusiva non sanabile, il recupero abitativo del sottotetto fosse precluso.
...
1. L’appello è fondato e va accolto, per le ragioni e nei limiti di seguito esposti.
...
7. Tutto ciò posto, il primo motivo di appello è fondato e va accolto.
In proposito, va ricordato quanto detto in premesse, ovvero che la ricorrente appellante presentò al Comune un’istanza dall’oggetto duplice: in primo luogo, l’applicazione della sanzione non pecuniaria di cui all’art. 34 T.U. 380/2001, poi il recupero abitativo del sottotetto creato con l’abuso. Vanno quindi, per chiarezza, richiamate le norme di riferimento, incominciando dalla prima.
8. L’art. 34 in questione dispone per quanto interessa al comma 1 che “gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso”.
Alla regola fa un’eccezione al comma 2, stabilendo che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione” pecuniaria, commisurata nel caso che interessa, di immobile abitativo, al doppio del costo di produzione.
Infine, al comma 2-ter, aggiunto con d.l. 13.05.2011 n. 70, prevede che “
ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”.
9.
La giurisprudenza ha chiarito –per tutte, la sentenza della Sezione 12.04.2013 n. 2001- che la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria va valutata nella fase esecutiva del procedimento di repressione dell’abuso, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione: è per tal motivo che la norma viene a costituire, in sostanza, un’ipotesi ulteriore di sanatoria, denominata di solito “fiscalizzazione dell’abuso”.
10.
Da ciò segue, secondo logica, che l’amministrazione, tenuta a decidere sull’istanza della ricorrente appellante, doveva valutare anzitutto se l’abuso costituisse effettivamente una “parziale difformità”, e in caso positivo se effettivamente non potesse essere demolito senza pregiudizio per la parte conforme.
11. In concreto, nel provvedimento impugnato in primo grado, l’amministrazione stessa si è fermata al primo punto, per ragioni tuttavia errate. Contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, infatti, la norma sopra riportata del comma 2-ter non contiene una definizione normativa della parziale difformità, ma prevede una franchigia. In altre parole, intende stabilire non che ogni violazione eccedente il 2% considerato costituisce difformità totale, ma al contrario che le violazioni contenute entro tale limite sono irrilevanti.
12.
In tal senso, è anzitutto un argomento letterale: il testo della norma, contenuta nell’articolo dedicato appunto alle conseguenze della “parziale difformità”, stabilisce quando la stessa “non si ha”, e quindi un caso in cui l’abuso esula.
13.
Nello stesso senso, è anche l’argomento storico: la norma, come si è visto, è stata aggiunta in un momento successivo, con l’art. 5 del decreto legge 70/2011, cd. “Decreto sviluppo”, il cui dichiarato scopo è “liberalizzare le costruzioni private”, scopo rispetto al quale è congruo un regime, appunto, di franchigia, volto ad alleggerire gli oneri che gravano sul privato i costi della sanzione applicata a qualsiasi a difformità, anche fra le più lievi.
14. Infine,
ad identico risultato conduce l’argomento logico-sistematico: se effettivamente il comma 2-ter contenesse la nozione normativa di parziale difformità, ne seguirebbe che sarebbe abuso, e comporterebbe in via principale l’ordine di rimessione in pristino, ogni difformità rispetto alle misure di progetto, anche la più lieve, con risultati pratici assurdi, di moltiplicazione e complicazione del contenzioso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.03.2017 n. 1481 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La cd. "soglia di tolleranza" di cui all'art. 34, comma 2-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, si applica esclusivamente all'intervento e alle opere così come realizzati e costituisce unità di misura percentuale della eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che normalmente corrisponde allo "stato di progetto") e quel che è stato realizzato; tale criterio non si applica anche al modo con cui deve essere confezionato lo "stato di fatto" di progetto.
Lo "stato di fatto" deve rappresentare fedelmente la realtà che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse risultanze catastali, ciò perché oggetto di valutazione, in sede urbanistico-edilizia, è l'immobile nella sua consistenza effettiva, non in quella catastale.
E' perciò del tutto errata la tesi difensiva secondo cui la corrispondenza deve sussistere tra lo "stato di fatto" di progetto e le planimetrie catastali che, come noto, non sono fidefacenti e proprio per questo sono soggette a continue revisioni e aggiornamenti.
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In materia urbanistica-edilizia, la necessità dell'accertamento della cd. "doppia conformità" dell'opera agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione dell'opera stessa che a quello della presentazione della domanda, rende ancora più stringente la necessità che lo "stato di fatto" del progetto rappresenti in modo assolutamente fedele la reale consistenza dell'immobile.
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3. Il primo motivo è infondato.
3.1. Le ipotizzate falsità riguardano gli elaborati tecnici redatti dall'imputato e trasmessi al Comune di Spormaggiore con la richiesta di rilascio di permesso di costruire in sanatoria (sanatoria effettivamente rilasciata).
Risulta dal testo della sentenza impugnata e di quella di primo grado che la reale situazione di fatto non corrispondeva a quella rappresentata nei grafici. Tale diversità aveva indotto il promissario acquirente dell'immobile a pretendere il rilascio di un secondo permesso di costruire in sanatoria avente ad oggetto l'immobile nella sua reale consistenza.
3.2. Tanto premesso, osserva innanzitutto questa Corte che la questione posta con il primo motivo di ricorso dà per scontato il mancato superamento della soglia di tolleranza di cui all'art. 34, comma 2-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, argomento che non solo non trova alcun riscontro fattuale nella sentenza impugnata ma che sottende la possibilità di estendere tale soglia anche alla fase della progettazione.
3.3.
La cd. "soglia di tolleranza" di cui all'art. 34, comma 2-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, si applica esclusivamente all'intervento e alle opere così come realizzati e costituisce unità di misura percentuale della eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che normalmente corrisponde allo "stato di progetto") e quel che è stato realizzato; tale criterio non si applica anche al modo con cui deve essere confezionato lo "stato di fatto" di progetto.
Lo "stato di fatto" deve rappresentare fedelmente la realtà che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse risultanze catastali, ciò perché oggetto di valutazione, in sede urbanistico-edilizia, è l'immobile nella sua consistenza effettiva, non in quella catastale.
E' perciò del tutto errata la tesi difensiva secondo cui la corrispondenza deve sussistere tra lo "stato di fatto" di progetto e le planimetrie catastali che, come noto, non sono fidefacenti e proprio per questo sono soggette a continue revisioni e aggiornamenti.

Non a caso, con d.l. 31.05.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122 (art. 19, comma 14), è stato espressamente previsto che
«Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari».
3.4. Sicché è del tutto inconferente l'argomento secondo cui le piccole modifiche dell'immobile che, non incidendo sulla rendita catastale, non necessitano di apposita variazione, consentono al progettista di non riportarle nello "stato di fatto" del progetto presentato a fini urbanistico-edilizi. L'eterogeneità dei fini (tributario il primo, conformità dell'opera agli strumenti urbanistici, il secondo) è evidente e non necessita ulteriori spiegazioni.
3.5. V'è piuttosto da aggiungere che,
in materia urbanistica-edilizia, la necessità dell'accertamento della cd. "doppia conformità" dell'opera agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione dell'opera stessa che a quello della presentazione della domanda, rende ancora più stringente la necessità che lo "stato di fatto" del progetto rappresenti in modo assolutamente fedele la reale consistenza dell'immobile (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.03.2017 n. 15228).

febbraio 2016

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Riscontro richiesta di parere della Direzione Tecnica del Municipio XV prot. CU 97347 del 25.11.2020 (pervenuta al D.P.A.U. con prot. QI 138499 del 25.11.2020), inerente la richiesta di chiarimenti in merito alle “Tolleranze costruttive” di cui all’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001 (Comune di Roma, nota 11.12.2020 n. 148518 di prot.).
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Si leggano, al riguardo, altri precedenti pareri collegati:
  
Oggetto: Riscontro richiesta di parere della Direzione Tecnica del Municipio VII prot. Cl 146146 del 26.06.2018 (pervenuta al D.P.A.U. con prot. Ql 113427 del 03.07.2018), inerente l'applicabilità dell'art. 34, comma 2-ter, dpr 380/2001 per la chiusura di una loggia (Comune di Roma, nota 08.08.2018 n. 135807 di prot.).
   ●
Oggetto: Riscontro richiesta parere U.O.T. Municipio III (ex IV) prot. 125685 del 14.12.2015 (acquisita al D.P.A.U. con prot. 207401 del 18.12.2015), inerente le intervenute modifiche al dpr 380/2001 con la Legge 106/2011 - art. 34, comma 2-ter (Comune di Roma, nota 15.02.2016 n. 26496 di prot.).

giugno 2015

EDILIZIA PRIVATALa sanzione alternativa alla demolizione, nella prassi frequentemente definita come “sanatoria ex art. 34 dpr 380/2001”, è contemplata solo per le opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, se la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.
Il requisito richiesto, pertanto, è duplice:
- la difformità solo parziale e non totale;
- il pregiudizio per la parte eseguita in conformità, in caso di demolizione.
Se entrambi i presupposti indicati non sussistono la demolizione è ineludibile.

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Non ricorre la fattispecie della parziale difformità, posto che anche a voler considerare corrette le misurazioni dell’altezza del sottotetto effettuate dalla parte ricorrente, il 2% è abbondantemente superato (si verte, infatti, nell’ordine –approssimativamente- del 10% di aumento).
La dimensione dell’incremento è tale da configurare una variazione essenziale, ai sensi dell'articolo 32, D.P.R. n. 380/2001
Ai sensi di una consolidata giurisprudenza, a norma degli articoli 31 e 32 DPR n. 380/2001, si verificano difformità totale del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera.
Precipitato logico di tali principi, è l’esclusione della “sanatoria” invocata (quando l’altezza realizzata superi di più del 2% quella progettata,) irrilevante essendo che vi sia pregiudizio in caso di demolizione.
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... per l'annullamento:
- del diniego di sanatoria a firma del Dirigente del Settore Urbanistica, Sezione Edilizia Privata ed Economica del Comune di Corato, recante il prot. 11.21992 del 25.06.2014, notificato alla ricorrente in data 30.06.2014 e con il quale è stata rigettata in via definitiva l’istanza di sanatoria inoltrata dalla Fe.Im. s.r.l., ai sensi e per gli effetti dell’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/2001, nonché contestualmente, ai sensi e per gli effetti della L.R. Puglia n. 33/2007 per il recupero ai fini abitativi del vano sottotetto (cfr istanza presentata in data 3006 2014, protocollata al n. 3673 ed identificata come pratica edilizia n. 15/2014),
- ove lesivi degli interessi della società ricorrente, dei seguenti atti presupposti e/o connessi, richiamati ob relationem nel summenzionato provvedimento ancorché trattasi di atti del tutto sconosciuti e mai notificati alla Fe.Im. srl: a) ordinanza di demolizione dirigenziale n. 39/2012 del 27.03.2012; b) ordinanza dirigenziale n. 3 1/2012 del 26.03.2012;
- di ogni altro atto, connesso, presupposto e/o consequenziale a quello impugnato, ancorché non conosciuto, ivi compresi, ove occorra ed ove lesivi degli interessi del ricorrente, le eventuali ulteriori relazioni istruttorie endoprocedimentali, la proposta del responsabile del procedimento con riserva, in ogni caso, di formulare in merito ed ove necessario appositi motivi aggiunti;
- nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente, con la consequenziale condanna del Comune di Corato, ad ottenere ad ottenere il rilascio della sanatoria de qua, conformemente a quanto richiesto con l’istanza/pratica edilizia recante il n. 15/2014.
...
La società odierna ricorrente ha realizzato, sulla scorta dei titoli edilizi rilasciatile in virtù di un piano di lottizzazione regolarmente approvato, un fabbricato destinato a civile abitazione composto da quattro unità abitative (la ricorrente non precisa, in ricorso, quanti piani fuori terra contempli il progetto, ma dagli allegati grafici prodotti, verosimilmente si tratta di edificio ad un piano f.t. e sottotetto –in progetto- non abitabile, sito in v. ... n. 28, identificato al foglio 48, p.lla 717).
In sede di realizzazione del manufatto, il piano sottotetto è stato edificato, per due delle unità immobiliari (interni n. 36 en. 38 identificati, catastalmente dai subalterni 3 e 4) con maggiore altezza rispetto a quella di progetto (dalle fotografie prodotte si evince chiaramente che il sottotetto è già utilizzato a vani abitativi).
La società ha, pertanto, inoltrato una richiesta di “sanatoria” (rectius: di applicazione di sanzione non demolitoria) ai sensi e per gli effetti dell'art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, ritenendo che le difformità realizzate fossero lievi e assoggettabili alla normativa invocata.
Contestualmente, nell'istanza di che trattasi, ha anche richiesto, ai sensi della L.R. n. 33/2007, cosi come modificata dall'art. 1 della L.R. n. 38/2013, il recupero, ai fini abitativi, del vano sottotetto; il tutto, comunque, sempre previa definizione di sanatoria, ai sensi del summenzionato art. 34, comma 2.
Con il provvedimento impugnato, il Comune ha negato l’applicazione della sanzione pecuniaria e, conseguentemente escluso la possibilità del recupero a fini abitativi del sottotetto, in quanto, pacificamente, la normativa regionale la esclude in caso di opere abusive.
...
Il ricorso non è fondato.
La questione su cui le parti controvertono va risolta esclusivamente in punto di diritto.
Recita l’art. 34 cit., rubricato “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”: “1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.
2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27.07.978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 22, comma 3, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività (1).
2-ter. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali (2)
.”
In estrema sintesi la sanzione alternativa alla demolizione, nella prassi frequentemente definita come “sanatoria ex art. 34”, è contemplata solo per le opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, se la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.
Il requisito richiesto, pertanto, è duplice:
   - la difformità solo parziale e non totale;
   - il pregiudizio per la parte eseguita in conformità, in caso di demolizione.
Se entrambi i presupposti indicati non sussistono la demolizione è ineludibile.
Non ricorre la fattispecie della parziale difformità, posto che anche a voler considerare corrette le misurazioni dell’altezza del sottotetto effettuate dalla parte ricorrente, il 2% è abbondantemente superato (si verte, infatti, nell’ordine –approssimativamente- del 10% di aumento).
La dimensione dell’incremento è tale da configurare una variazione essenziale, ai sensi dell'articolo 32, D.P.R. n. 380/2001
Ai sensi di una consolidata giurisprudenza, (Cons. St. Sez. IV, 27.11.1010, n. 8260; 10.04.2009, n. 2227, Sez. V, 21.03.2011, n. 1726), a norma degli articoli 31 e 32 DPR n. 380/2001, si verificano difformità totale del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera.
Precipitato logico di tali principi, è l’esclusione della “sanatoria” invocata (quando l’altezza realizzata superi di più del 2% quella progettata,) irrilevante essendo che vi sia pregiudizio in caso di demolizione.
Tale circostanza è tranciante e dirimente e non può che porre fine al dibattito delle parti.
Risulta, infatti, del tutto irrilevante la motivazione esposta nel provvedimento (che, pure, dà piena contezza di tale elemento ostativo), atteso che il diniego impugnato ha natura vincolata, sicché anche ai sensi dell’art. 21-ocites l. n. 241/1990, l’atto impugnato è esente da ogni censura.
E’ peraltro, evidente che, risultando l’opera abusiva, non potrà trovare applicazione la normativa regionale invocata sul recupero dei sottotetti.
Del tutto irrilevante, infine, è l’eventuale sanatoria concessa per analoghe costruzioni, la quale, ben lungi dal fornire elemento a sostegno della illegittimità dell’atto impugnato, può al più rivelare pregresse illegittimità dell’operato dell’Ente su cui deve valutarsi l’esercizio dei poteri di rimozione in autotutela (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 16.09.2015 n. 1251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul principio della c.d. tollerabilità di cantiere.
Anche prima dell’introduzione del nuovo comma 2-ter dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 (avvenuta con il decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011), la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che lievi scostamenti rispetto alle misurazioni previste in progetto, i quali si presentino plausibili nell'ambito della tecnica costruttiva utilizzata, non possono considerarsi come difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato, dovendosi essi farsi rientrare nel margine di tollerabilità consueto, legato sia alla difficoltà di perfetta realizzazione delle previsioni di progetto sia ai limiti degli strumenti di misurazione.
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... per l'annullamento dell'ordinanza n. 48 del 12.01.2009 a firma del Capo del Settore tecnico del Comune di Castellamonte, avente ad oggetto "Sanzione pecuniaria per violazione edilizia. Opere abusive eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire - Art. 34 D.P.R. 06.06.2001 n. 380", notificata alla società ricorrente il 21.01.2009; nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e, comunque, connesso.
...
1. La società Co.In. s.r.l. aveva ottenuto dal Comune di Castellamonte (TO), nel 2006, il rilascio di un permesso di costruire, poi corredato da successive varianti, per la realizzazione di un edificio di civile abitazione situato in via ....
Dopo la realizzazione dell’opera, tuttavia, l’amministrazione ha notificato l’ordinanza n. 48, del 12.01.2009, con la quale ha irrogato alla società la sanzione pecuniaria di euro 14.580,00 ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, per “Opere abusive eseguite in parziale difformità da permesso di costruire”.
Nel richiamare il verbale di accertamento in data 18.11.2008, l’amministrazione ha contestato che le altezze interne dei vani abitabili al piano terreno (soggiorno, cucina, camera e cameretta) “sono inferiori di alcuni cm. all’altezza minima regolamentare di mt. 2,70, indicata sul progetto approvato”, con conseguente violazione delle altezze minime prescritte per i locali abitabili dal d.m. 05.07.1975 e dall’art. 6, punto 4, delle Norme Tecniche di Attuazione (n.t.a.) del Piano Regolatore comunale il quale “non prevede tolleranze”.
E’ stato altresì contestato il “ribassamento con tratto in carton-gesso” realizzato all’interno del locale soggiorno, “con altezza libera ridotta a mt. 2,415, al fine di nascondere alla vista le tubazioni del riscaldamento, partenti dal camino, non indicato nel progetto”.
Avverso detto atto la società Co.In. s.r.l. ha proposto ricorso dinnanzi a questo TAR, domandandone l’annullamento per i seguenti motivi di impugnazione: ...
...
3. Il ricorso è fondato.
Portata assorbente assume il secondo motivo di gravame, incentrato sul principio della c.d. tollerabilità di cantiere.
Anche prima dell’introduzione del nuovo comma 2-ter dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 (avvenuta con il decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011), la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che lievi scostamenti rispetto alle misurazioni previste in progetto, i quali si presentino plausibili nell'ambito della tecnica costruttiva utilizzata, non possono considerarsi come difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato (Cons. Stato, sez. IV, dec. n. 2253 del 2007), dovendosi essi farsi rientrare nel margine di tollerabilità consueto, legato sia alla difficoltà di perfetta realizzazione delle previsioni di progetto sia ai limiti degli strumenti di misurazione (TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. n. 4469 del 2009).
Nel caso di specie, peraltro, è pacifico che il contestato abbassamento delle altezze dei locali interni sia dipeso dalla realizzazione degli impianti di riscaldamento e quindi –anche a prescindere dal rispetto della normativa sul risparmio energetico, allegata ma non dimostrata da parte ricorrente– pare al Collegio che il lieve scostamento contestato dal Comune si giustificava ampiamente nell’ambito della funzionalità della complessiva opera realizzata.
Del resto, anche ammettendo che l’art. 6, punto 4, delle n.t.a. non preveda espressamente alcuna tolleranza in materia di altezze dei vani interni –come asserito dall’amministrazione nella motivazione dell’atto–, ciò non costituisce un valido argomento a difesa della pretesa del Comune, in quanto il silenzio della norma urbanistica (peraltro, non depositata in giudizio e quindi non a disposizione del Collegio) non può che essere interpretato in conformità all’orientamento giurisprudenziale, di assoluto buon senso, appena richiamato.
E’ appena il caso di aggiungere che quell’orientamento giurisprudenziale poc’anzi citato è ormai divenuto legge per effetto del già richiamato art. 34, comma 2-ter, del d.P.R. n. 380 del 2001, a norma del quale “non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”: misura che, nel caso di specie, è stata pacificamente rispettata.
4. Deve quindi annullarsi l’impugnato provvedimento del Comune di Castellamonte (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 26.06.2015 n. 1061 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2014

EDILIZIA PRIVATA: Le misure progettuali.
DOMANDA:
In merito alla tolleranza prevista dal DPR 380/2001 art. 34, comma 2-ter, si chiede:
   - la flessibilità del 2% è ammessa solo rispetto alle misure previste in progetto o anche rispetto ai parametri fissati dal piano urbanistico?
   - Il 2% aggiuntivo é in deroga agli indici di piano, alla volumetria assentita col piano di recupero, alla volumetria prevista dagli ambiti di trasformazione o, sommata a quanto concesso dal titolo abilitativo, vi deve restare compresa?
   - Idem dicasi per le altezze e le superfici coperte?
   - Il 2% va anche in deroga al DM 1444/1968 per le distanze?
RISPOSTA:
Il quesito in esame concerne l’interpretazione dell’art. 34, comma 2-ter, del D.P.R. n. 380/2001 che così recita: «Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali».
L’articolo 34 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia disciplina gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendone la rimozione o la demolizione a spese dei responsabili degli abusi, ovvero l’applicazione di una sanzione nel caso in cui le misure predette arrechino pregiudizio.
Il testo dell’articolo in esame, così come la relazione illustrativa al D.L. 13 n. 70/2011 (che ha introdotto la versione vigente del comma 2-ter), prevedono espressamente che nella definizione di parziale difformità del titolo abilitativo siano comprese le violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.
Già dal tenore letterale si intuisce come la misura su indicata si riferisca esclusivamente alle misure previste in progetto e non anche ai parametri urbanistici. A conferma di ciò, il TAR Basilicata (sentenza n. 574 del 02.10.2013) ha statuito che il comma 2-ter dell’art. 34 DPR n. 380/2001 (introdotto dall’art. 5, comma 2, lett. a, n. 5, D.L. n. 70/20011 conv. nella L. n. 106/2011), il quale prevede che “non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure progettuali” non trova sempre attuazione, atteso che l’eccedenza nella misura massima del 2% non può comunque violare i parametri urbanistici stabiliti dagli strumenti urbanistici.
Discorso diverso va fatto per quanto riguarda il rapporto tra la disposizione in esame e il D.M. n. 1444/1968 in materia di distanze. In questo caso, infatti, si ritiene che la costruzione realizzata ad una distanza inferiore a quella prevista e progettata ma contenuta nella soglia del 2%, sia da considerare come errore costruttivo tollerato che non determina violazione edilizia. Il D.L. n. 70/2011, infatti, contempla nella tolleranza lo scostamento dei distacchi tra cui pertanto può ricomprendersi lo scostamento delle distanze tra edifici (tratto da e link a www.ancirisponde.ancitel.it).

marzo 2013

EDILIZIA PRIVATABeni Ambientali. Tolleranza misure progettuali e reato paesaggistico.
Ai sensi dell'art. 22, comma 6, del DPR n. 380/2001 qualsiasi tipo di intervento edilizio previsto dai commi 1, 2 e 3 dell'articolo, e quindi anche quelli di minore impatti, che riguardi immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientaie, è subordinato ai preventivo rilascio dei parere o della autorizzazione richiesti dalle corrispondenti previsioni normative.
Pertanto, il limite di tolleranza del 2% rispetto alle misure progettuali previsto dall'art. 34, comma 2-ter, del DPR n. 380/2001 è destinato ad operare solo con riferimento alla normativa edilizia, ma non esime l’interessato dall'obbligo di munirsi del prescritto nulla osta dell'autorità competente per la tutela dei vincolo con riferimento alle difformità che intende realizzare, configurandosi in mancanza il reato di cui all'art. 181 del D.Lgs n. 42/2004 (massima tratta da www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.03.2013 n. 11850).

dicembre 2011

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: applicazione dell’art. 19-bis della l.r. 23 del 2004, relativo alla “Tolleranza costruttiva” (Regione Emilia Romagna, nota 27.12.2011 n. 312129 di prot.).
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Anche se la nota inerisce ad una legge legge regionale, la stessa offre ugualmente spunti di riflessione in ordine al disposto similare di cui all’art. 5, comma 2, lett. a), legge n. 106/2011 (introduttivo del comma 2-ter dell’art. 34 del DPR 380 del 2001 il quale così dispone: "
2-ter. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.").