dossier
ABUSI EDILIZI (tolleranza del 2%)
* * *
(ex
art. 34-bis, D.P.R. 06.06.2001 n. 380) |
aprile 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
34-bis del DPR n. 380/2001, che stabilisce che “il mancato rispetto
dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di
ogni altro parametro delle singole unità abitative non costituisce
violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle
misure previste nel titolo abilitativo”, deve essere interpretato nel senso
di riferire la cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure programmate
soltanto alle singole unità abitative e, dunque, a ciascun appartamento e
non all’intero edificio nel suo complesso.
La suddetta interpretazione appare quella più corrispondente al dettato
letterale dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito l’ultimo
comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto) riferito,
appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto, all’esigenza
sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta esecuzione dei
progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza soltanto degli
scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo appartamento),
inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di sensibili modifiche al
progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere tanto più estese quanto
più grande risulti l’edificio complessivo.
...
Nell’ipotesi in questione, la tolleranza di cantiere non può superare la
misura di 1,5 mq e correttamente l’Amministrazione Comunale si è pronunciata
negativamente sulla SCIA, avendo accertato che le difformità
dell’appartamento all’interno 18 (esteso 75,85 mq), corrispondendo
all’avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili per mq 17,92,
sopravanzassero di gran lunga le suddette tolleranze massime.
In nessun caso la percentuale delle difformità stesse può essere calcolata
sulla superficie dell’intero fabbricato, Villino B, pari a 1458,91 mq.
L’interpretazione su esposta è supportata anche dalle più recenti pronunce
del Consiglio di Stato e non
risulta efficacemente smentita né dal riferimento della norma dell’art.
34-bis cit. al “titolo abilitativo” (che pur riguardando, se del caso, tutta
la costruzione, non può che contenere un preciso riferimento anche alle
singole unità immobiliari), né dalle argomentazioni contenute nelle più
risalenti decisioni giurisprudenziali, favorevoli ad una più estesa
liberalizzazione delle difformità da progetto, particolarmente rischiosa,
però, per il possibile pregiudizio arrecato all’interesse pubblico
urbanistico ed edilizio, in caso di fabbricati di grandi dimensioni.
---------------
Rilevato che:
- la ricorrente ha chiesto al Tribunale di annullare, previa
sospensione dell’efficacia, la determinazione dirigenziale di Roma Capitale
prot. CS n. 90661 del 02.12.2020 con cui era stato disposto l’annullamento
della SCIA prot. CS/82701/2020 del 03.11.2020, da essa presentata in
relazione all’appartamento sito in Roma, via ..., n. ..., scala B, piano 4,
int. 18, e tutti gli atti presupposti e consequenziali;
- a sostegno della sua domanda, la ricorrente ha dedotto:
a) di essere proprietaria di un complesso immobiliare sito in Roma, via ...
n. ..., composto da un fabbricato, indicato come “Villino A” e da un
altro edificio, denominato “Villino B”, realizzato in virtù di
licenza edilizia n. 821/1962 e licenza edilizia in variante n. 18/1964,
dichiarato agibile con certificati nn. 1489 e 1490 del 25.11.1965;
b) di aver verificato, nel corso dei controlli finalizzati alla dismissione
del proprio patrimonio immobiliare, che un appartamento del Villino B
(l’interno 18) presentava lievi difformità rispetto ai titoli edilizi
conseguiti al momento della costruzione e della variante, che però
apparivano risalenti all’epoca dell’edificazione;
c) di avere accertato che tali difformità consistevano nella avvenuta
realizzazione di nuove superfici abitabili di mq 17,92;
d) di aver presentato ai fini della regolarizzazione di esse, il 03.11.2020,
una SCIA, invocando l’applicazione dell’art. 34 bis del DPR n. 380/2001,
trattandosi di “tolleranze costruttive”, contenute entro il limite
del 2% delle misure previste nel titolo abitativo, da calcolarsi con
riguardo alla superficie non del singolo appartamento, ma dell’intero
fabbricato – Villino B (1.458,91 mq);
e) di aver ricevuto inaspettatamente la determina impugnata, nella quale
l’Amministrazione aveva sostenuto che il limite del 2% dovesse essere
calcolato non con riferimento alla superficie dell’intero edificio, ma con
riguardo a quella del singolo appartamento e che la SCIA fosse comunque
carente di alcuni documenti;
- alla luce di tali circostanze, la ricorrente ha formulato i
seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 380/2001,
erronea e falsa applicazione dell’art. 3 NTA del PRG di Roma Capitale,
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 380/2001
sotto altro profilo, violazione del giusto procedimento, violazione
dell’art. 6, lett. b), della l.n. 241/1990, irragionevolezza e sproporzione;
- si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo il rigetto
del ricorso, in quanto infondato;
- alla camera di consiglio del 03.03.2021, fissata per esame della
sospensiva, la causa è stata trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a.,
sussistendone i presupposti;
Ritenuto che:
- il ricorso non sia fondato e debba essere rigettato;
- l’art. 34-bis del DPR n. 380/2001, che stabilisce che “il
mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della
superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative
non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per
cento delle misure previste nel titolo abilitativo”, debba essere
interpretato nel senso di riferire la cd. “tolleranza di cantiere”
del 2% delle misure programmate soltanto alle singole unità abitative e,
dunque, a ciascun appartamento e non all’intero edificio nel suo complesso,
come sostenuto dalla ricorrente;
- la suddetta interpretazione appaia quella più corrispondente al
dettato letterale dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito
l’ultimo comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto)
riferito, appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto,
all’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta
esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza
soltanto degli scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo
appartamento), inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di
sensibili modifiche al progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere
tanto più estese quanto più grande risulti l’edificio complessivo;
- nell’ipotesi in questione, la tolleranza di cantiere non potesse
superare la misura di 1,5 mq e correttamente l’Amministrazione Comunale si
sia pronunciata negativamente sulla SCIA, avendo accertato che le difformità
dell’appartamento all’interno 18 (esteso 75,85 mq), corrispondendo
all’avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili per mq 17,92,
sopravanzassero di gran lunga le suddette tolleranze massime;
- in nessun caso la percentuale delle difformità stesse potesse
essere calcolata sulla superficie dell’intero fabbricato, Villino B, pari a
1458,91 mq;
- l’interpretazione su esposta sia supportata anche dalle più
recenti pronunce del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., Sez. II, 07.01.2021
n. 230) e non risulti efficacemente smentita né dal riferimento della norma
dell’art. 34-bis cit. al “titolo abilitativo” (che pur riguardando,
se del caso, tutta la costruzione, non può che contenere un preciso
riferimento anche alle singole unità immobiliari), né dalle argomentazioni
contenute nelle più risalenti decisioni giurisprudenziali, favorevoli ad una
più estesa liberalizzazione delle difformità da progetto, particolarmente
rischiosa, però, per il possibile pregiudizio arrecato all’interesse
pubblico urbanistico ed edilizio, in caso di fabbricati di grandi
dimensioni;
- non meritevoli di accoglimento siano, infine, anche le ulteriori
doglianze espresse dalla ricorrente con riguardo all’art. 3 NTA del PRG,
che, ai fini dell’applicazione delle previsioni urbanistiche ed edilizie del
PRG, definisce in via generale i concetti di “unità edilizia” e di “unità
immobiliare”, e in rapporto al preteso difetto di motivazione del
provvedimento impugnato in relazione alla contestazione da parte
dell’Amministrazione della mancata allegazione alla SCIA dei “calcoli e
(dei) computi metrici previsti per la determinazione delle sanzioni da
applicare anche in riferimento alle difformità prospettiche degli infissi e
dei balconi oggetto di sanatoria”, delle “reversali relative al
pagamento dei Diritti di istruttoria” e di “prospetti, sezioni e
documentazione fotografica”, atti allo stato ancora mancanti e comunque
di secondaria rilevanza di fronte all’impossibilità di considerare gli
aumenti di superficie rilevati come “tolleranze di cantiere”;
- il ricorso debba essere, dunque, come anticipato, integralmente
respinto
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 15.04.2021 n. 4413 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 34-bis del DPR n. 380/2001, che stabilisce che “il mancato
rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie
coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative non
costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento
delle misure previste nel titolo abilitativo”, deve essere interpretato nel
senso di riferire la cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure
programmate soltanto alle singole unità abitative e, dunque, a ciascun
appartamento e non all’intero edificio nel suo complesso.
La suddetta interpretazione appare quella più corrispondente al
dettato letterale dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito
l’ultimo comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto)
riferito, appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto,
all’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta
esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza
soltanto degli scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo
appartamento), inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di
sensibili modifiche al progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere
tanto più estese quanto più grande risulti l’edificio complessivo.
...
Nell’ipotesi in questione, la tolleranza di cantiere non può
superare la misura di 1,7 mq e correttamente l’Amministrazione Comunale si
è pronunciata negativamente sulla SCIA, avendo accertato che le difformità
dell’appartamento all’interno 14 (esteso 89,10 mq), corrispondendo
all’avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili per mq 16,52,
sopravanzassero di gran lunga le suddette tolleranze massime.
In nessun caso la percentuale delle difformità stesse può essere calcolata
sulla superficie dell’intero fabbricato, villino A, pari a 1617,50 mq.
L'interpretazione su esposta è supportata anche dalle più recenti pronunce
del Consiglio di Stato e non risulta efficacemente smentita né dal riferimento della norma
dell’art. 34-bis cit. al “titolo abilitativo” (che pur riguardando, se del
caso, tutta la costruzione, non può che contenere un preciso riferimento
anche alle singole unità immobiliari), né dalle argomentazioni contenute
nelle più risalenti decisioni giurisprudenziali, favorevoli ad una più
estesa liberalizzazione delle difformità da progetto, particolarmente
rischiosa, però, per il possibile pregiudizio arrecato all’interesse
pubblico urbanistico ed edilizio, in caso di fabbricati di grandi
dimensioni.
---------------
Rilevato che:
- la ricorrente ha chiesto al Tribunale di annullare, previa
sospensione dell’efficacia, la determinazione dirigenziale di Roma Capitale
prot. CS n. 90657 del 02.12.2020 con cui era stato disposto l’annullamento
della SCIA prot. CS/82691/2020 del 03.11.2020, da essa presentata in
relazione all’appartamento sito in Roma, alla via ..., n. ..., scala A,
piano 4, int. 14, e tutti gli atti presupposti e consequenziali;
- a sostegno della sua domanda, la ricorrente ha dedotto:
a) di essere proprietaria di un complesso immobiliare sito in Roma, via ...
n. ..., composto da un fabbricato, indicato come “Villino A” e da un
altro edificio, denominato “Villino B”, realizzato in virtù di
licenza edilizia n. 821/1962 e licenza edilizia in variante n. 18/1964,
dichiarato agibile con certificati nn. 1489 e 1490 del 25.11.1965;
b) di aver verificato, nel corso dei controlli finalizzati alla dismissione
del proprio patrimonio immobiliare, che un appartamento del Villino A
(l’interno 14) presentava lievi difformità rispetto ai titoli edilizi
conseguiti al momento della costruzione e della variante, che però
apparivano risalenti all’epoca dell’edificazione;
c) di avere accertato che tali difformità consistevano nella avvenuta
realizzazione di nuove superfici abitabili di mq 16,52;
d) di aver presentato ai fini della regolarizzazione di esse, il 03.11.2020,
una SCIA, invocando l’applicazione dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001,
trattandosi di “tolleranze costruttive”, contenute entro il limite
del 2% delle misure previste nel titolo abitativo( pari a mq 32,35) perché
da calcolarsi con riguardo alla superficie non del singolo appartamento, ma
dell’intero fabbricato – Villino A (di complessivi 1.617,50 mq);
e) di aver ricevuto inaspettatamente la determina impugnata, nella quale
l’Amministrazione aveva sostenuto che il limite del 2% dovesse essere
calcolato non con riferimento alla superficie dell’intero edificio, ma con
riguardo a quella del singolo appartamento e che la SCIA fosse comunque
carente di alcuni documenti;
- alla luce di tali circostanze, la ricorrente ha formulato i
seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 380/2001,
erronea e falsa applicazione dell’art. 3 NTA del PRG di Roma Capitale,
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 380/2001
sotto altro profilo, violazione del giusto procedimento, violazione
dell’art. 6, lett. b), della l.n. 241/1990, irragionevolezza e sproporzione;
- si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo il rigetto
del ricorso, in quanto infondato;
- alla camera di consiglio del 03.03.2021, fissata per esame della
sospensiva, la causa è stata trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a.,
sussistendone i presupposti;
Ritenuto che:
- il ricorso non sia fondato e debba essere rigettato;
- l’art. 34-bis del DPR n. 380/2001, che stabilisce che “il
mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della
superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative
non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per
cento delle misure previste nel titolo abilitativo”, debba essere
interpretato nel senso di riferire la cd. “tolleranza di cantiere”
del 2% delle misure programmate soltanto alle singole unità abitative e,
dunque, a ciascun appartamento e non all’intero edificio nel suo complesso,
come sostenuto dalla ricorrente;
- la suddetta interpretazione appaia quella più corrispondente al
dettato letterale dell’art. 34-bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito
l’ultimo comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto)
riferito, appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto,
all’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta
esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza
soltanto degli scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo
appartamento), inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di
sensibili modifiche al progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere
tanto più estese quanto più grande risulti l’edificio complessivo;
- nell’ipotesi in questione, la tolleranza di cantiere non potesse
superare la misura di 1,7 mq e correttamente l’Amministrazione Comunale si
sia pronunciata negativamente sulla SCIA, avendo accertato che le difformità
dell’appartamento all’interno 14 (esteso 89,10 mq), corrispondendo
all’avvenuta realizzazione di nuove superfici abitabili per mq 16,52,
sopravanzassero di gran lunga le suddette tolleranze massime;
- in nessun caso la percentuale delle difformità stesse potesse
essere calcolata sulla superficie dell’intero fabbricato, villino A, pari a
1617,50 mq;
- l’interpretazione suesposta sia supportata anche dalle più
recenti pronunce del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., Sez. II, 07.01.2021
n. 230) e non risulti efficacemente smentita né dal riferimento della norma
dell’art. 34-bis cit. al “titolo abilitativo” (che pur riguardando,
se del caso, tutta la costruzione, non può che contenere un preciso
riferimento anche alle singole unità immobiliari), né dalle argomentazioni
contenute nelle più risalenti decisioni giurisprudenziali, favorevoli ad una
più estesa liberalizzazione delle difformità da progetto, particolarmente
rischiosa, però, per il possibile pregiudizio arrecato all’interesse
pubblico urbanistico ed edilizio, in caso di fabbricati di grandi
dimensioni;
- non meritevoli di accoglimento siano, infine, anche le ulteriori
doglianze espresse dalla ricorrente con riguardo all’art. 3 NTA del PRG,
che, ai fini dell’applicazione delle previsioni urbanistiche ed edilizie del
PRG, definisce in via generale i concetti di “unità edilizia” e di “unità
immobiliare”, e in rapporto al preteso difetto di motivazione del
provvedimento impugnato in relazione alla contestazione da parte
dell’Amministrazione della mancata allegazione alla SCIA dei “calcoli e
(dei) computi metrici previsti per la determinazione delle sanzioni da
applicare anche in riferimento alle difformità prospettiche degli infissi e
dei balconi oggetto di sanatoria”, delle “reversali relative al
pagamento dei Diritti di istruttoria” e di “prospetti, sezioni e
documentazione fotografica”, atti allo stato ancora mancanti e comunque
di secondaria rilevanza di fronte all’impossibilità di considerare gli
aumenti di superficie rilevati come “tolleranze di cantiere”;
- il ricorso debba essere, dunque, come anticipato, integralmente respinto
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 15.04.2021 n. 4412 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Attualmente
l’art. 34-bis d.p.r. n. 380/2001 in tema di
“Tolleranze costruttive” (introdotto
dall’art. 10, comma 1, lett. p),
decreto-legge n. 76/2020, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 120/2020)
prevede:
«1. Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi,
della cubatura, della superficie
coperta e di ogni altro parametro
delle singole unità immobiliari non
costituisce violazione edilizia se contenuto
entro il limite del 2 per cento delle misure
previste nel titolo abilitativo.
(omissis)».
Ebbene, per
la parziale difformità, proprio la
disposizione suddetta contempla una
tollerabilità compresa entro la soglia del
2% del volume complessivo della
singola unità immobiliare.
---------------
4.5. - Con l’ultimo motivo di
censura la ricorrente deduce l’illegittimità
del gravato provvedimento per violazione del
decreto-legge n. 70/2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 106/2011 e
dell’art. 34 d.p.r. n. 380/2001 e per
falsa/mancata applicazione del suddetto art.
34, l’eccesso di potere per errore e falsità
dei presupposti per l’assunta inquadrabilità
dell’illecito oggetto del provvedimento
impugnato nell’ambito di applicazione
dell’art. 34, comma 2-ter, d.p.r. n.
380/2001.
Il motivo è infondato.
La ricorrente richiama la disciplina dettata
in relazione alla c.d. “tolleranza
costruttiva” dall’art. 5, comma 2, lett.
a), n. 5), decreto legge n. 70/2011,
convertito, con modificazioni, nella n.
106/2011, che consente uno scostamento fino
al 2 per cento tra l’opera che viene
realizzata e il progetto che l’aveva
prevista, soglia al di sotto della quale
viene esclusa la sussistenza della c.d. “parziale
difformità” e cioè la fattispecie
abusiva riscontrata nell’unità immobiliare
della stessa -OMISSIS-.
In particolare la deducente invoca il comma
2-ter dell’art. 34 d.p.r. n. 380/2001 (Testo
Unico dell’Edilizia) (introdotto per
l’appunto dal citato decreto-legge n.
70/2011, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 106/2011, ma oggi abrogato
dall’art. 10, comma 1, lett. o),
decreto-legge n. 76/2020, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 120/2020) a
mente del quale “Ai fini
dell’applicazione del presente articolo, non
si ha parziale difformità del titolo
abilitativo in presenza di violazioni di
altezza, distacchi, cubatura o superficie
coperta che non eccedano per singola unità
immobiliare il 2 per cento delle misure
progettuali”.
Attualmente l’art. 34-bis d.p.r. n. 380/2001
in tema di “Tolleranze costruttive”
(introdotto dall’art. 10, comma 1, lett. p),
decreto-legge n. 76/2020, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 120/2020)
prevede:
«1. Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della
cubatura, della superficie coperta e di ogni
altro parametro delle singole unità
immobiliari non costituisce violazione
edilizia se contenuto entro il limite del 2
per cento delle misure previste nel titolo
abilitativo.
2. Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili
non sottoposti a tutela ai sensi del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42, costituiscono
inoltre tolleranze esecutive le irregolarità
geometriche e le modifiche alle finiture
degli edifici di minima entità, nonché la
diversa collocazione di impianti e opere
interne, eseguite durante i lavori per
l’attuazione di titoli abilitativi edilizi,
a condizione che non comportino violazione
della disciplina urbanistica ed edilizia e
non pregiudichino l’agibilità dell’immobile.
3. Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel
corso di precedenti interventi edilizi, non
costituendo violazioni edilizie, sono
dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini
dell’attestazione dello stato legittimo
degli immobili, nella modulistica relativa a
nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni
edilizie ovvero con apposita dichiarazione
asseverata allegata agli atti aventi per
oggetto trasferimento o costituzione, ovvero
scioglimento della comunione, di diritti
reali.».
In virtù di tale disposizione (i.e.
vecchio art. 34, comma 2-ter, d.p.r. n.
380/2001 e nuovo art. 34-bis d.p.r. n.
380/2001) e “considerando che la cubatura
espressa dall’intero appartamento a primo
piano, come rilevato dal funzionario del
Comune è pari a mc. 995 e rilevato che il 2%
di tale cubatura è pari a mc. 19,90, laddove
la cubatura del cavedio (della superficie di
mt. 1,50 x 2,95) è pari a mc. 16”, la
-OMISSIS- assume che sarebbe “di tutta
evidenza che si è al di sotto della soglia
del 2% della cubatura totale espressa
dall’appartamento” e che, quindi, si
sarebbe in presenza di uno scostamento
tollerabile e non sanzionabile (cfr. pagg.
25 e 26 dell’atto introduttivo).
Tuttavia, rileva questo Giudice che l’errore
in cui incorre la ricorrente è quello di
riferire la cubatura accertata dal
funzionario del Comune in complessivi mc.
995 al solo appartamento di primo piano
laddove, invece, tale misura è riferita a
quella complessiva (piano rialzato e primo
piano), con la conseguenza che il volume
riferito ad un solo piano (ovvero alla
singola unità immobiliare cui si riferisce
la norma) è pari alla metà di mc. 995 e,
quindi, a mc. 497,50.
Quest’ultimo dato (mc. 497,50) è il volume
dell’appartamento sulla cui base va
calcolato il superamento o meno della soglia
di tollerabilità prevista dal legislatore
(vecchio art. 34, comma 2-ter, d.p.r. n.
380/2001 e nuovo art. 34-bis d.p.r. n.
380/2001) per la sussistenza o meno delle
c.d. “difformità parziali”/“tolleranza
costruttiva”.
Ne consegue che, rispetto ad un volume
dell’unità immobiliare della ricorrente di
mc. 497,50, il volume del vano realizzato
nel pozzo luce in difformità dal progetto
assentito, pari come si è detto a mc. 16,00,
eccede la soglia del 2% del volume totale
(pari a mc. 9,95) richiesto dalla norma
invocata dalla stessa istante per affermare
la tollerabilità e non sanzionabilità
dell’abuso contestato.
Al fine di sgomberare il campo da ogni
dubbio si riporta il testo della relazione
tecnica di sopralluogo nella parte relativa
alla descrizione della tipologia dell’abuso
riscontrato (pag. 2): «… Dall’esame degli
elaborati grafici allegati ai titoli
abilitativi rilasciati è possibile rilevare
che la volumetria dell’edificio è pari a
circa mc. 995 […].
Di conseguenza, quindi, considerato che il
pozzo luce ha dimensioni di mt. 1,50 x 2,95
e sviluppa una cubatura pari a circa mc.
16,00 e che, pertanto, tale volumetria è
nettamente inferiore a quella massima pari a
mc. 99,50, l’intervento non è da intendersi
come variazione essenziale ma come parziale
difformità. …».
Ebbene, per la parziale difformità, proprio
le disposizioni invocate dalla -OMISSIS-
contemplano una tollerabilità compresa entro
la soglia del 2% del volume complessivo
della singola unità immobiliare e, quindi,
essendo il volume del solo primo piano pari
alla metà di mc. 995,00 (ovvero mc. 497,50),
l’aumento di volume conseguito alla chiusura
del pozzo luce (pari a mc. 16,00) eccede la
soglia di tolleranza del 2% del volume della
singola unità immobiliare pari nella specie
a mc. 9,95.
A ciò si aggiunga, comunque, che la chiusura
del pozzo luce ha creato un volume edilizio
non ricompreso nel progetto assentito,
dotato di autonoma utilizzabilità e come
tale illegittimo.
Ne deriva l’infondatezza anche di detto
motivo di gravame
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 01.04.2021 n. 563 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: E'
corretto ritenere che la “tolleranza di cantiere”, tale da escludere l’abusività
dell’intervento, vada posta in relazione con la porzione di immobile cui
esso accede e non, come proposto dall’appellato, con la superficie
dell’intero palazzo.
---------------
In proposito è fondata la censura d’appello la quale -conformemente al
controricorso prodotto in primo grado avverso i motivi aggiunti- rileva che
quando il Comune ebbe a rilasciare il suddetto titolo abilitativo n.
-OMISSIS- annullato in autotutela dava per assodato che l’edificio fosse
effettivamente corrispondente ai titoli edilizi in precedenza rilasciati (la
concessione edilizia n. -OMISSIS- per la ristrutturazione e l’ampliamento ai
sensi della legge n. 166/2002; e in particolare il permesso di costruire in
variante ed in sanatoria n. -OMISSIS-); e che invece questo presupposto,
alla base dell’annullato provvedimento n. -OMISSIS-, si è poi rivelato
insussistente perché le misurazioni sulle quali si fondavano i suddetti
precedenti assensi edilizi n. -OMISSIS- non erano state fedelmente riportate
dall’interessato, sì da escluderne l’affidamento; affidamento invece
allegato dal primo giudice nel prospettare in proposito la carenza della
motivazione e la carenza della comparazione degli interessi del privato con
l’interesse pubblico, presupposti tali da giustificare l’autotutela da parte
del Comune.
Invero lo stesso appellato –pur rilevando: la non essenzialità delle
difformità riscontrate, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
che afferma le difformità perfettamente regolarizzabili prima della
definitiva chiusura dei lavori; l’inconferenza del riferimento fatto
dall’Amministrazione all’art. 85 della legge regionale n. 15/2004; la non
correttezza delle misurazioni prese a riferimento dal Comune- ammette che
queste difformità vi sono state.
Ed esse appaiono tali da giustificare l’autotutela del Comune.
In particolare l’appellato, dopo aver fornito propri dati sulle difformità
non prospettate al Comune nelle richieste degli assensi edilizi poi
ottenuti, afferma espressamente: “Anche a voler calcolare la volumetria
complessiva dei locali sottotetto abitativi, si ottiene un maggior volume
pari a mc. -OMISSIS-, corrispondente al 2,27% della volumetria complessiva
del fabbricato di circa mc. -OMISSIS-”; e rileva che ciò rispetterebbe,
come altre misurazioni lineari pure esposte dal medesimo appellato, la
prevista “tolleranza di cantiere” del 3%.
Ma un simile incremento volumetrico risulta notevole; e, riguardando la “volumetria
complessiva dei locali sottotetto abitativi”, concerne una ben
individuata parte dell’immobile, avente propria specifica connotazione (i
sottotetti da recuperare ad uso abitativo).
Sicché in proposito viene in rilievo la previsione, relativa agli abusi in
volumetria, del precedente articolo 6 (“Totale difformità”) della
stessa legge regionale n. 52/1989, la quale indica alla lettera b) come in
totale difformità anche i “volumi edilizi che, pur rientranti nei limiti
stabiliti dal richiamato primo comma del precedente art. 5, comportino la
realizzazione di un organismo edilizio, o parte di esso, con specifica
rilevanza ed autonoma utilizzazione, rispetto a quello oggetto della
concessione”.
In quest’ottica è corretto ritenere che la “tolleranza di cantiere”
tale da escludere l’abusività dell’intervento, va posta in relazione con la
porzione di immobile cui esso accede, e non, come proposto dall’appellato,
con la superficie dell’intero palazzo (confr. Cons. Stato, Sez. IV,
22.01.2018, n. 405). E da un simile più corretto raffronto la mancata
prospettazione nelle istanze edilizie di volumetria aggiuntiva per metri
cubi -OMISSIS- appare non “tolleranza di cantiere” ma notevole
infedeltà
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 07.01.2021 n. 230 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Con l'art. 34-bis, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 è stato introdotto
il concetto di "tolleranza esecutiva per le irregolarità geometriche".
Ora il caso riguarda un edificio residenziale di tre piani e 6 appartamenti
degli anni '60, che prevedeva per il soggiorno 2 finestre e una porta
finestra, mentre è stata realizzata una finestra e una porta finestra per
tutte e 6 le unità senza la presentazione di una variante; catastalmente è
regolare.
Considerato a mio avviso che la geometria di un edificio non riguarda
solamente la sagoma ma anche le proporzioni delle facciate, è ammissibile
pensare che l'eliminazione di una finestra possa essere considerata una
irregolarità geometrica?
Si precisa che il rapporto aero-illuminante è rispettato.
Si ritiene che al fine di dare adeguata risposta al quesito posto giovi
preliminarmente inquadrare lo stato dell'arte normativo.
In particolare, il D.L. 16.07.2020, n. 76 (c.d. "Decreto Semplificazioni"),
poi recepito con la legge di conversione L. 11.09.2020, n. 120, ha
introdotto una nuova e importante disciplina in merito alle tolleranze
costruttive in caso di parziali difformità rispetto al titolo edilizio
abilitativo, disponendo l'abrogazione del comma 2-ter, art. 34, D.P.R.
06.06.2001, n. 380 e introducendo una nuova disciplina con l'inserimento del
nuovo art. 34-bis, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 medesimo.
Giova quindi evidenziare come già la giurisprudenza formatasi sotto la
previgente normativa aveva trattato la c.d. tolleranza di cantiere del 2%, o
regime di franchigia, di cui all'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n.
380, disposizione in base alla quale "non si ha parziale difformità del
titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura
o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per
cento delle misure progettuali".
Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sul tema, ha stabilito
che: "Si tratta, come appare evidente, di una disposizione di tolleranza
rivolta a disciplinare in senso, per dir così "liberalizzatorio", interventi
edilizi aventi una consistenza minima" (Cons. Stato Sez. VI, Sent.,
23.07.2018, n. 4504).
Da tali presupposti consegue che già sotto il previgente regime normativo un
intervento, in se parzialmente difforme, realizzato però entro il limite
della c.d. "tolleranza di cantiere", non fosse riconducibile nella
categoria della difformità parziale, ma rientrava nella irrilevanza ai fini
edilizi, con la conseguenza della sua non sanzionabilità anche sotto il
profilo di violazione minore (difformità o assenza di Scia o Pdc).
La modifica di recente introduzione quindi ha dettagliato un principio già
formatosi sulla scorta della interpretazione giurisprudenziale; pertanto
alla luce di quanto sopra si ritiene che la difformità descritta nel quesito
sia riconducibile alla nuova tipologia di tolleranza costruttiva e pertanto
possa giovarsi di quanto previsto al nuovo art. 34-bis.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34-bis
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. VI, Sent.,
23.07.2018, n. 4504
(23.10.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
febbraio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
quesito che intendo sottoporre riguarda un ampliamento di volume in
sopraelevazione, di un edificio unifamiliare posto all'interno della fascia
di rispetto stradale, di cui al D.Lgs. 30.04.1992, n. 285.
Tale ampliamento, già realizzato, rispetta il 2% previsto dall'art. 34,
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e pertanto è ammesso anche se è in zona di vincolo
paesaggistico, come riportato dal D.P.R. 13.02.2017, n. 31.
Dato che il Codice della Strada non contempla tolleranze, come invece
previsto dalle norme su citate, si chiede se il 2% in ampliamento, che non è
considerato ai fini edilizi come parziale difformità, può essere applicato,
per analogia, anche all'art. 16 del C.d.S. vigente.
L'avanzato quesito riguarda un'interessante fattispecie, coinvolgente
problematiche di natura edilizia e di disciplina delle distanze.
Precisamente, la concreta fattispecie può essere così sintetizzata:
- In un edificio unifamiliare, posto all'interno del vincolo della
fascia di rispetto stradale, come disciplinata dal Codice della strada (D.Lgs.
30.04.1992, n. 285), è stato realizzato un intervento edilizio, comportante
un ampliamento di volume, che si sviluppa in una sopraelevazione.
Siffatto ampliamento rispetta le cd. "tolleranze di cantiere",
disciplinate dall'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Conseguentemente, l'intervento, in quanto rientrante nelle predette "tolleranze",
non dà luogo ad alcuna difformità, neppure parziale, rispetto al titolo
edilizio che ha legittimato il medesimo intervento.
A questo punto, si chiede di sapere se il consentito ("tollerato")
ampliamento dei "distacchi", cioè della distanza fra due edifici
fronteggianti, trova una legittimazione anche sul versante della fascia di
rispetto stradale. In altri termini, si chiede di sapere se la prevista "tolleranza"
della costruzione edilizia, in termini di "distacchi", pari al 2%
delle misure progettuali, trova applicazione anche nei riguardi dei limiti
afferenti la fascia di rispetto stradale.
Primariamente, occorre ricordare che il richiamato art. 34, comma 2-ter,
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce quanto segue: "Ai fini
dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del
titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura
o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per
cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2,
lettera "a", n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n.
106. La disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art.
32, comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei
rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna
lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra
costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di
un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre
chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per
ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione
quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle
misure progettuali. Gli elementi sono:
- Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
- Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
- Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della
sagoma esterna del manufatto;
- Altezza degli edifici.
Orbene, occorre osservare che la "fascia di rispetto", ai sensi
dell’art. 3, comma 1, n. 22 del Codice della strada, costituisce una
striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono
vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di
costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili.
Le fasce di rispetto stradali, normate dal Codice della Strada e dal suo
Regolamento attuativo (D.P.R. 16.12.1992, n. 495), hanno lo scopo di
prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e la loro
potenziale pericolosità a costituire, per la prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone.
Attraverso la fascia di rispetto, si garantisce un'area utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri,
per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie,
senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni. Di regola, le fasce
di rispetto vengono istituite con l'approvazione del Progetto definitivo
dell'opera stradale e permangono per tutta la vita utile della strada
medesima.
All'interno delle fasce di rispetto, vige il vincolo di inedificabilità. Ed,
infatti, la giurisprudenza conferma che: "In materia edilizia il vincolo
delle fasce di rispetto stradale o viario è di inedificabilità assoluta,
traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le
aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente
dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di
accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale;
detto divieto, inoltre, opera direttamente ed automaticamente, per cui una
volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, il
parere dell'amministrazione sull'istanza di condono non può che essere
negativo” (TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584).
Dal vincolo di in edificabilità discende il conseguente corollario che non
sono previste, dalla normativa in materia, "tolleranze" o forme equivalenti.
Infatti, l'art. 16, del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto
fuori dai centri abitati, non contempla alcuna tolleranza. Il comma 1° di
tale articolo rinvia, per la concreta tipologia dei divieti, al Regolamento
di esecuzione e di attuazione del Codice della strada (D.P.R. 16.12.1992, n.
495). Il Regolamento non prevede, agli articoli 26 e seguenti, alcuna forma
di tolleranza. Parimenti, l'art. 18 del Codice della strada, in tema di
fasce di rispetto nei centri abitati.
Pertanto, non appare possibile alcuna applicazione analogica della peculiare
disciplina delle cd. "tolleranze di cantiere". Ciò, anche per
un'altra ragione: l'indicata disciplina consacra l'irrilevanza degli
scostamenti, entro il limite del 2%, nella discrasia fra la precisione
teorica degli elaborati tecnici e la concreta esecuzione degli interventi
(Il comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, consente
di escludere dall'ambito delle difformità rilevanti ai fini sanzionatori
quelle che si verificano a causa di un fisiologico scarto tra la precisione
del disegno e la realizzazione, o dalla consistenza dei materiali, o dalla
necessità di modesti adeguamenti in sede esecutiva e, pertanto, non possono
che rilevare le misure effettive delle opere realizzate. Peraltro è la
stessa norma che espressamente correla la soglia del 2% alle "misure
progettuali"; TAR Veneto Venezia Sez. II, 20.09.2019, n. 1013).
In relazione alla fascia di rispetto stradale, non si pone alcun problema di
"scostamenti" fra quanto previsto e quanto effettivamente realizzato. Ragion
per cui l'analogia non può trovare spazio alcuno.
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Riferimenti normativi e contrattuali
L. 28.02.1985, n. 47, art. 32 -
D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 3 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 16 -
D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 18 - D.P.R. 16.12.1992, n. 495, art. 18 -
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34 - D.P.R. 13.02.2017, n. 31
Riferimenti di giurisprudenza
TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584 - TAR Veneto, Sez. II,
20.09.2019, n. 1013
(20.02.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
giugno 2018 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Oggetto: Indicazioni applicative in merito alle tolleranze costruttive,
alla verifica dello stato legittimo degli edifici da demolire, alla
sanatoria di immobili soggetti a vincolo paesaggistico e al divieto di
modificare la Modulistica Unificata Edilizia e di richiedere altra
documentazione (Regione Emilia Romagna,
nota 05.06.2018 n. 410371 di prot.).
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La Circolare fornisce indicazioni applicative in merito alla tolleranza
costruttiva disciplinata dall’art. 19-bis, della L.R. n. 23 del 2004 sulla
vigilanza in materia edilizia.
In seguito alle importanti modifiche apportate dalla L.R. n. 12 del 2017 e
dalla L.R. n. 24 del 2017, si distinguono quattro fattispecie di opere
edilizie realizzate in parziale difformità dal titolo abilitativo che non
sono considerate violazioni edilizie e non comportano l’applicazione delle
relative sanzioni amministrative.
La circolare chiarisce le modalità per accertare e rappresentare nelle
pratiche edilizie le difformità tollerate.
Sono trattate, inoltre, la verifica dello stato legittimo degli edifici
interessati da demolizione e ricostruzione, la sanatoria degli abusi
commessi in immobili soggetti a vincolo paesaggistico e il divieto di
modificare la Modulistica Unificata Edilizia regionale e di richiedere altra
documentazione”. |
marzo 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
previsione dell'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, per cui non
si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni
di altezza, distacchi, cubatura o sup. coperta che non eccedano il 2% delle
misure progettuale, può prescindere dalle norme igienico-sanitarie?
Ad esempio, potrebbe assentire la presenza di locali abitativi con altezza
inferiore ai canonici 270 cm minimi?
Il quesito in esame ha ad oggetto la non ignota questione delle cd. "tolleranze
costruttive o di cantiere", cioè le eventuali e possibili difformità
costruttive, che, in sede di esecuzione, si possono manifestare rispetto a
quanto previsto dai titoli edilizi rilasciati sui progetti approvati.
Nello specifico, il quesito pone in relazione l'attuale disciplina in
materia (art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380) con la normativa
igienico-sanitaria. Precisamente, si chiede di sapere se le "tolleranze"
per le violazioni di altezza, attualmente consentite nella misura del 2%
delle misure progettuali, sono ammissibili anche nei riguardi delle altezze
minime interne (metri 2,70), previste dalla preesistente normativa del 1975.
Procediamo con ordine.
Il Decreto Ministero della sanità del 05.07.1975 ("Modificazioni alle
istruzioni ministeriali 20.06.1896 relativamente all'altezza minima ed ai
requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione"),
all'art. 1, stabilisce che "l'altezza minima interna utile dei locali
adibiti ad abitazione è fissata in m. 2,70, riducibili a m. 2,40 per i
corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli".
Trattasi di una norma avente natura tecnica, finalizzata a tutelare evidenti
interessi igienico-sanitari.
Il richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce
quanto segue: "Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha
parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di
altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per
singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2, lett.
a), n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106. La
disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art. 32,
comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei
rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna
lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra
costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di
un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre
chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per
ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione
quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle
misure progettuali. Gli elementi sono:
- Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
- Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
- Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della
sagoma esterna del manufatto;
- Altezza: riferita solo all'esterno dell'edificio od anche agli
ambienti interni.
Indubbiamente, l'ultimo elemento ("altezza") è quello che presenta
maggiore complessità ed ambiguità, non essendo chiaro se riguardi anche
l'altezza all'interno degli alloggi, in particolare i famigerati 2,70 metri
tra pavimento e soffitto necessari come altezza minima abitabile.
Quindi, ritornando al quesito in esame, la disposizione normativa, di cui
all'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, trova applicazione
anche per le altezze interne dei locali adibiti ad abitazione?
Al riguardo, occorre prendere atto di un'importante sentenza. Precisamente,
la sentenza n. 1061 del 26.06.2015, emessa dal Tar Piemonte, sez. II.
In tale pronuncia, i giudici amministrativi hanno esaminato un caso di
contestazione di diversi abusi, afferenti una costruzione di civile
abitazione, assentita con permesso di costruire. Uno di questa abusi
consisteva nel mancato rispetto delle altezze interne dei vani abitabili al
piano terreno (soggiorno, cucina, camera e cameretta), i quali, secondo la
contestazione del Comune, risultavano inferiori all'altezza minima di metri
2,70.
In merito a tale contestazione, il Tar ha statuito quanto segue: "Portata
assorbente assume il secondo motivo di gravame, incentrato sul principio
della c.d. tollerabilità di cantiere.
Anche prima dell'introduzione del nuovo comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R.
06.06.2001, n. 380 (avvenuta con il D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L.
12.07.2011, n. 106), la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che
lievi scostamenti rispetto alle misurazioni previste in progetto, i quali si
presentino plausibili nell'ambito della tecnica costruttiva utilizzata, non
possono considerarsi come difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato
(Cons. Stato Sez. IV, 10.05.2007, n. 2253), dovendosi essi farsi rientrare
nel margine di tollerabilità consueto, legato sia alla difficoltà di
perfetta realizzazione delle previsioni di progetto sia ai limiti degli
strumenti di misurazione (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 28.07.2009, n.
4469).
E' appena il caso di aggiungere che quell'orientamento giurisprudenziale
poc'anzi citato è ormai divenuto legge per effetto del già richiamato art.
34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, a norma del quale "non si ha
parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di
altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per
singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali": misura
che, nel caso di specie, è stata pacificamente rispettata".
In buona sostanza, il Tribunale amministrativo piemontese, anche sulla base
di pregressi arresti giurisprudenziali, ha statuito i seguenti principi:
a) Sussiste, in materia di variazioni intervenute in sede di
esecuzione, un generale principio di "tollerabilità di cantiere";
b) si tratta di un principio che conosce altri precedenti
giurisprudenziali, fondati sulla considerazione che occorre tener conto
delle difficoltà di perfetta realizzazione di un progetto, oltre che dei
limiti degli strumenti di misurazione;
c) siffatto principio è diventato legge, in quanto è stato recepito
dal già richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, come
integrato nel 2011;
d) tale principio si applica anche nel caso di mancato rispetto di
altezze interne dei vani abitabili, nei limiti, ovviamente, dell'indicata
disciplina.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34
- D.M. 05.07.1975, art. 1
Riferimenti di giurisprudenza
TAR Piemonte, Sez. II, 26.06.2015, n. 1061 (20.03.2018 - tratto da
https://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
gennaio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
limite del 2 per cento contenuto nel comma 1 dell'art. 32 della l. n.
47/1985 deve ovviamente essere rapportato (non già all’intero complesso
immobiliare ma) al singolo plesso sul quale insiste.
La disposizione di cui al primo comma dell’art. 32 su richiamato, si fonda
su un concetto (quello di tolleranza di cantiere) che sopravvive nella
vigente legislazione: ma la percentuale su cui misurare lo scostamento o, se
si vuole, la abusività dell’intervento, va posta in relazione con la
porzione di immobile cui esso accede, e non con la superficie dell’intero
palazzo.
E' ovvio che il limite del 2% vada riferito alla singola unità immobiliare
cui l’abuso accede.
---------------
10.5. Prima di esporre l’opinione del Collegio, sul punto, occorre dare
conto della obiezione delle parti appellate (pag. 15 della memoria
depositata il 18.09.2017, punto 4.4.1.) secondo la quale, tenuto conto che
soltanto in sparuti casi e di minimo impatto v’era stato un incremento di
volumetria, ovvero di superficie utile, neppure, in realtà, sarebbe stato
necessario acquisire il parere della Soprintendenza. E ciò in forza del
disposto di cui all’ultima parte del comma 1 dell’art. 32 della legge n. 47
del 28.02.1985 (“1. Fatte salve le fattispecie previste dall'articolo 33,
il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite
su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle
amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere
non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni
dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può
impugnare il silenzio-rifiuto. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio
estingue anche il reato per la violazione del vincolo. Il parere non è
richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi,
la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle
misure prescritte.”).
10.5.1. Sostengono, in sintesi, le parti appellate che in considerazione
della circostanza che gli incrementi abusivi “sanati” non raggiungono
il 2 per cento dell’immobile, neppure sarebbe stato necessario chiedere il
prescritto parere.
10.5.2. E’ evidente che lo scrutinio di tale eccezione è logicamente
prioritario: ciò, in quanto tale tesi -ove accolta- spiegherebbe portata
assorbente rispetto all’ulteriore argomento difensivo (secondo il quale il
parere era fornito di motivazione adeguata alla comunque modestissima
tipologia degli abusi, ed alla circostanza che comunque l’immobile avrebbe
dovuto essere demolito, dovendosene salvaguardare soltanto la facciata): ove
infatti il parere non fosse stato dovuto (pur essendo stato reso dalla
Soprintendenza) ogni vizio eventuale del medesimo non potrebbe condurre alla
declaratoria di illegittimità del titolo abilitativo edilizio cui esso “accede”
e del quale è condizione legittimante.
10.6. Il Collegio ritiene che tale pur arguta obiezione non meriti
accoglimento, sia perché collidente con elementi di fatto, che perché non
persuasiva in diritto, in quanto:
a) sotto il profilo fattuale, vi sono almeno 3 casi (“gruppo 3”
nella elencazione contenuta nell’elaborato di consulenza della parte
appellata a firma degli architetti Br. e Pi., pag. 5) che riguardano la
realizzazione di interventi incidenti sull’esterno, due dei quali anche sul
prospetto, e quindi si è al di fuori del perimetro normativo su indicato;
b) sotto il profilo giuridico, il limite del 2 per cento contenuto
nella richiamata disposizione, deve ovviamente essere rapportato (non già
all’intero complesso immobiliare ma) al singolo plesso sul quale insiste;
c) la “singolarità” dell’odierno procedimento, riposante in
una valutazione cumulativa di più abusi, di differente tipologia, insistenti
in parti distinte dell’immobile, realizzati in epoca diversa, e da soggetti
diversi, non può essere “unificata” al fine di ritenere che ogni
singolo abuso dovesse essere rapportato alla superficie complessiva
dell’immobile;
d) la disposizione di cui al primo comma dell’art. 32 su
richiamato, si fonda su un concetto (quello di tolleranza di cantiere) che
sopravvive nella vigente legislazione: ma la percentuale su cui misurare lo
scostamento o, se si vuole, la abusività dell’intervento, va posta in
relazione con la porzione di immobile cui esso accede, e non con la
superficie dell’intero palazzo: esemplificativamente, quanto alle opere che
hanno certamente comportato incremento di volumetria e superficie utile (“gruppo
4” nella elencazione contenuta nell’elaborato di consulenza della parte
appellata a firma degli architetti Br. e Pi., pag. 6) il computo
dell’ampliamento del magazzino per mq 13,40 (pratica n. 322166) ai fini del
contenimento dello stesso nella misura del 2% va riferito al locale-magazzino medesimo, e non all’intero plesso, ovvero anche solo al
piano ove lo stesso insiste;
e) ogni immobile sul quale è stato commesso il singolo abuso, è
connotato da una propria “individualità”: non a caso, nella
indicazione prodotta dal comune di Roma vengono indicati il foglio, (sempre
n. 479) la particella (sempre la n. 69) ed il subalterno (che è via via
differente, in quanto contraddistingue il singolo immobile); l’affermazione
della difesa di parte appellata, vorrebbe che l’entità dell’incremento (al
fine di verificare se il parere fosse –o meno- necessario) venisse
rapportata all’intero immobile; ma una simile interpretazione trae spunto da
una occasionale circostanza (quella riposante nella proprietà unitaria
dell’intero plesso, e dalla presentazione di domande di sanatoria ad opera
di un unico soggetto) e da un ancor più occasionale accadimento (quello
riposante nella circostanza che il parere della Soprintendenza si sia
unitariamente riferito a tutti gli abusi per i quali era stata richiesta da
I.N.A. s.p.a. la sanatoria);
f) e la eccezione della difesa delle parti appellate integra -a
parere del Collegio- una interpretazione non condivisibile, che produrrebbe,
ove accolta, un effetto abrogativo della necessità del parere: in immobili
vincolati di consistente cubatura, e suddivisi in unità immobiliari aventi
propria individualità (quale è quello per cui è causa), ove l’entità
dell’abuso dovesse essere computata in relazione all’intero plesso, è
evidente che giammai (o assai raramente) ricorrerebbe la necessità del
parere: è ovvio invece, che il limite del 2% vada riferito alla singola
unità immobiliare cui l’abuso accede: e non avendo le parti appellate
dimostrato che in ciascuno dei 40 permessi in sanatoria si fosse rimasti al
di sotto del 2% (il che peraltro, da una lettura delle pratiche versate in
atti sembrerebbe da escludere) l’eccezione va disattesa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.01.2018 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: Parziali
difformità: le violazioni entro il 2% sono irrilevanti.
Il comma 2-ter dell'art. 34 del D.P.R.n.
380/2001 -a norma del quale "non si ha parziale difformità
del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza,
distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano
per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure
progettuali"- non contiene una definizione normativa della
parziale difformità, ma prevede una franchigia vera e
propria.
Il che a significare non che ogni violazione eccedente il 2%
considerato costituisce difformità totale, ma al contrario
che le violazioni contenute entro tale limite sono
irrilevanti.
In tal senso si esprime la Sez. VI del Consiglio di Stato
nella
sentenza 30.03.2017 n. 1481 in fattispecie nella
quale si trattava di difformità consistenti nell'altezza
esterna del fabbricato e interna del piano sottotetto,
dovuta -ad avviso della ricorrente- di una copertura del
tetto a doppia falda diversa da quella in progetto per la
quale era stata presentata istanza per ottenere la sanatoria
dell'abuso ai sensi dell'art. 34 T.U. 06.06.2001 n. 380 e,
subordinatamente alla sanatoria, il recupero abitativo del
piano sottotetto, ai sensi della specifica l.r. 15.11.2007
n. 33 della Puglia, ricevendo un diniego.
In primo grado il TAR aveva respinto il ricorso proposto
contro il diniego ritenendo che l'intervento si dovesse
considerare realizzato in difformità non parziale, ma totale
dal titolo abilitativo, che pertanto la sanatoria, meglio
detto la sanzione non demolitoria, di cui all'art. 34, comma
2, T.U. 380/2001 non fosse applicabile.
I giudici d'appello hanno invece ritenuto che:
• la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria va
valutata nella fase esecutiva del procedimento di
repressione dell'abuso, successiva ed autonoma rispetto
all'ordine di demolizione: è per tal motivo che la norma
viene a costituire, in sostanza, un'ipotesi ulteriore di
sanatoria, denominata di solito "fiscalizzazione
dell'abuso";
• l'amministrazione, tenuta a decidere sull'istanza della
ricorrente appellante, doveva valutare anzitutto se l'abuso
costituisse effettivamente una "parziale difformità",
e in caso positivo se effettivamente non potesse essere
demolito senza pregiudizio per la parte conforme;
• la norma del comma 2-ter non contiene una definizione
normativa della parziale difformità, ma prevede una
franchigia. In altre parole, intende stabilire non che ogni
violazione eccedente il 2% considerato costituisce
difformità totale, ma al contrario che le violazioni
contenute entro tale limite sono irrilevanti;
• in tal senso, è anzitutto un argomento letterale: il
testo della norma, contenuta nell'articolo dedicato appunto
alle conseguenze della "parziale difformità",
stabilisce quando la stessa "non si ha", e quindi un
caso in cui l'abuso esula;
• nello stesso senso, è anche l'argomento storico: la
norma è stata aggiunta in un momento successivo, con l'art.
5 del decreto legge 70/2011, cd. "Decreto sviluppo",
il cui dichiarato scopo è "liberalizzare le costruzioni
private", scopo rispetto al quale è congruo un regime,
appunto, di franchigia, volto ad alleggerire gli oneri che
gravano sul privato i costi della sanzione applicata a
qualsiasi a difformità, anche fra le più lievi;
• a identico risultato conduce l'argomento logico
sistematico: se effettivamente il comma 2-ter contenesse la
nozione normativa di parziale difformità, ne seguirebbe che
sarebbe abuso, e comporterebbe in via principale l'ordine di
rimessione in pristino, ogni difformità rispetto alle misure
di progetto, anche la più lieve, con risultati pratici
assurdi, di moltiplicazione e complicazione del contenzioso.
La decisione conferma le conclusioni a cui eravamo giunti in
questo commento al novellato art. 34: "Parziali
difformità ex art. 34 TUE: la soglia del 2% secondo il DL
Sviluppo", ossia che il legislatore nazionale, cui
spetta dettare i principi fondamentali e generali
dell'attività edilizia (art. 1 DPR 380/2001), ha ritenuto di
non assoggettare a sanzione alcuna le variazioni al titolo
comprese nella misura del 2% per altezza, distacchi,
cubatura o superficie (commento tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.it).
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MASSIMA
... per la riforma della
sentenza 16.09.2015 n. 1251 del TAR Puglia-Bari,
Sez. III, resa fra le parti, con la quale è stato respinto
il ricorso per l’annullamento del provvedimento 25.06.2014
prot. n. 11.21992 del Comune di Corato, di reiezione
dell’istanza proposta dalla Fe.Im. S.r.l. per la sanatoria
del recupero a fini abitativi di vani sottotetto non
abitabili siti a Corato, via ... 28 interni 36 e 37;
...
La ricorrente appellante è un’impresa di costruzioni che ha
realizzato, in Comune di Corato (Ba), una lottizzazione
denominata “Pandorea”, alla quale si accede per il
viale omonimo, composta da varie unità abitative all’interno
di villette di varia tipologia, sia unifamiliari sia
plurifamiliari.
Per due di queste unità, di cui all’epoca dei fatti era
ancora proprietaria, site all’interno di una villetta
quadrifamiliare, al numero 28, interni 36 e 38, le veniva
contestata una difformità nell’altezza esterna del
fabbricato e interna del piano sottotetto, dovuta a suo dire
all’impiego di una copertura del tetto a doppia falda
diversa da quella in progetto.
Precisamente, secondo il provvedimento impugnato, di cui
subito, al posto di una copertura di latero-cemento, priva
di elementi a vista e caratterizzata da uno spessore del
solaio finito pari a 0,20 mt, veniva impiegata,
asseritamente per un migliore isolamento termico, una
copertura di legno lamellare con elementi a vista,
costituiti da travi e arcarecci di sostegno, spessa 0,375
metri, cui si aggiungono altri 0.165 metri per lo spessore
delle travi; l’altezza risultava quindi incrementata del
maggior spessore della diversa copertura (doc. 1 in primo
grado ricorrente appellante, provvedimento impugnato, ove la
descrizione dell’opera).
A fronte di ciò, la ricorrente appellante ha presentato al
Comune istanza contestuale per ottenere la sanatoria
dell’abuso ai sensi dell’art. 34 T.U. 06.06.2001 n.380 e,
subordinatamente alla sanatoria, il recupero abitativo del
piano sottotetto, ai sensi della specifica l.r. 15.11.2007
n. 33, ricevendo un diniego con il provvedimento meglio
indicato in epigrafe (doc. 1 in primo grado ricorrente
appellante, cit.)
Con la sentenza di cui pure in epigrafe, il TAR ha respinto
il ricorso proposto contro il diniego predetto, ed ha in
sintesi ritenuto che l’intervento si dovesse considerare
realizzato in difformità non parziale, ma totale dal titolo
abilitativo, che pertanto la sanatoria, meglio detto la
sanzione non demolitoria, di cui all’art. 34, comma 2, T.U.
380/2001 non fosse applicabile, ma si desse luogo alla sola
demolizione, e che per conseguenza, trattandosi di opera
abusiva non sanabile, il recupero abitativo del sottotetto
fosse precluso.
...
1. L’appello è fondato e va accolto, per le ragioni e nei
limiti di seguito esposti.
...
7. Tutto ciò posto, il primo motivo di appello è
fondato e va accolto.
In proposito, va ricordato quanto detto in premesse, ovvero
che la ricorrente appellante presentò al Comune un’istanza
dall’oggetto duplice: in primo luogo, l’applicazione della
sanzione non pecuniaria di cui all’art. 34 T.U. 380/2001,
poi il recupero abitativo del sottotetto creato con l’abuso.
Vanno quindi, per chiarezza, richiamate le norme di
riferimento, incominciando dalla prima.
8. L’art. 34 in questione dispone per quanto interessa al
comma 1 che “gli interventi e le opere realizzati in
parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o
demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il
termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del
dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale
termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese
dei medesimi responsabili dell'abuso”.
Alla regola fa un’eccezione al comma 2, stabilendo che “quando
la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della
parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile
dell'ufficio applica una sanzione” pecuniaria,
commisurata nel caso che interessa, di immobile abitativo,
al doppio del costo di produzione.
Infine, al comma 2-ter, aggiunto con d.l. 13.05.2011 n. 70,
prevede che “ai fini dell'applicazione
del presente articolo, non si ha parziale difformità del
titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza,
distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano
per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure
progettuali”.
9. La giurisprudenza ha chiarito
–per tutte, la sentenza della Sezione 12.04.2013 n. 2001-
che la possibilità di applicare la sanzione
pecuniaria va valutata nella fase esecutiva del procedimento
di repressione dell’abuso, successiva ed autonoma rispetto
all’ordine di demolizione: è per tal motivo che la norma
viene a costituire, in sostanza, un’ipotesi ulteriore di
sanatoria, denominata di solito “fiscalizzazione
dell’abuso”.
10. Da ciò segue, secondo logica, che
l’amministrazione, tenuta a decidere sull’istanza della
ricorrente appellante, doveva valutare anzitutto se l’abuso
costituisse effettivamente una “parziale difformità”,
e in caso positivo se effettivamente non potesse essere
demolito senza pregiudizio per la parte conforme.
11. In concreto,
nel provvedimento impugnato in primo grado,
l’amministrazione stessa si è fermata al primo punto, per
ragioni tuttavia errate. Contrariamente a quanto ritenuto
dal Giudice di primo grado, infatti, la
norma sopra riportata del comma 2-ter non contiene una
definizione normativa della parziale difformità, ma prevede
una franchigia. In altre parole, intende stabilire non che
ogni violazione eccedente il 2% considerato costituisce
difformità totale, ma al contrario che le violazioni
contenute entro tale limite sono irrilevanti.
12. In tal senso, è anzitutto un
argomento letterale: il testo della norma, contenuta
nell’articolo dedicato appunto alle conseguenze della “parziale
difformità”, stabilisce quando la stessa “non si ha”,
e quindi un caso in cui l’abuso esula.
13. Nello stesso senso, è anche l’argomento
storico: la norma, come si è visto, è stata aggiunta in
un momento successivo, con l’art. 5 del decreto legge
70/2011, cd. “Decreto sviluppo”, il cui dichiarato
scopo è “liberalizzare le costruzioni private”, scopo
rispetto al quale è congruo un regime, appunto, di
franchigia, volto ad alleggerire gli oneri che gravano sul
privato i costi della sanzione applicata a qualsiasi a
difformità, anche fra le più lievi.
14. Infine, ad identico risultato conduce
l’argomento logico-sistematico: se effettivamente il
comma 2-ter contenesse la nozione normativa di parziale
difformità, ne seguirebbe che sarebbe abuso, e comporterebbe
in via principale l’ordine di rimessione in pristino, ogni
difformità rispetto alle misure di progetto, anche la più
lieve, con risultati pratici assurdi, di moltiplicazione e
complicazione del contenzioso
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 30.03.2017 n. 1481 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La cd. "soglia di tolleranza" di cui all'art. 34,
comma 2-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, si applica
esclusivamente all'intervento e alle opere così come
realizzati e costituisce unità di misura percentuale della
eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che
normalmente corrisponde allo "stato di progetto") e quel che
è stato realizzato; tale criterio non si applica anche al
modo con cui deve essere confezionato lo "stato di fatto" di
progetto.
Lo "stato di fatto" deve rappresentare fedelmente la realtà
che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse risultanze
catastali, ciò perché oggetto di valutazione, in sede
urbanistico-edilizia, è l'immobile nella sua consistenza
effettiva, non in quella catastale.
E' perciò del tutto errata la tesi difensiva secondo cui la
corrispondenza deve sussistere tra lo "stato di fatto" di
progetto e le planimetrie catastali che, come noto, non sono
fidefacenti e proprio per questo sono soggette a continue
revisioni e aggiornamenti.
---------------
In materia urbanistica-edilizia, la
necessità dell'accertamento della cd. "doppia conformità"
dell'opera agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento
della realizzazione dell'opera stessa che a quello della
presentazione della domanda, rende ancora più stringente la
necessità che lo "stato di fatto" del progetto rappresenti
in modo assolutamente fedele la reale consistenza
dell'immobile.
---------------
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. Le ipotizzate falsità riguardano gli elaborati tecnici
redatti dall'imputato e trasmessi al Comune di Spormaggiore
con la richiesta di rilascio di permesso di costruire in
sanatoria (sanatoria effettivamente rilasciata).
Risulta dal testo della sentenza impugnata e di quella di
primo grado che la reale situazione di fatto non
corrispondeva a quella rappresentata nei grafici. Tale
diversità aveva indotto il promissario acquirente
dell'immobile a pretendere il rilascio di un secondo
permesso di costruire in sanatoria avente ad oggetto
l'immobile nella sua reale consistenza.
3.2. Tanto premesso, osserva innanzitutto questa Corte che
la questione posta con il primo motivo di ricorso dà
per scontato il mancato superamento della soglia di
tolleranza di cui all'art. 34, comma 2-ter, d.P.R. n. 380
del 2001, argomento che non solo non trova alcun riscontro
fattuale nella sentenza impugnata ma che sottende la
possibilità di estendere tale soglia anche alla fase della
progettazione.
3.3. La cd. "soglia di tolleranza"
di cui all'art. 34, comma 2-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, si
applica esclusivamente all'intervento e alle opere così come
realizzati e costituisce unità di misura percentuale della
eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che
normalmente corrisponde allo "stato di progetto") e
quel che è stato realizzato; tale criterio non si applica
anche al modo con cui deve essere confezionato lo "stato
di fatto" di progetto.
Lo "stato di fatto" deve rappresentare fedelmente la
realtà che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse
risultanze catastali, ciò perché oggetto di valutazione, in
sede urbanistico-edilizia, è l'immobile nella sua
consistenza effettiva, non in quella catastale.
E' perciò del tutto errata la tesi difensiva secondo cui la
corrispondenza deve sussistere tra lo "stato di fatto"
di progetto e le planimetrie catastali che, come noto, non
sono fidefacenti e proprio per questo sono soggette a
continue revisioni e aggiornamenti.
Non a caso, con d.l. 31.05.2010, n. 78, convertito con
modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122 (art. 19, comma
14), è stato espressamente previsto che
«Gli
atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi
aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo
scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già
esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia,
devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di
nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento
alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione,
resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato
di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base
delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta
dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di
conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla
presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima
della stipula dei predetti atti il notaio individua gli
intestatari catastali e verifica la loro conformità con le
risultanze dei registri immobiliari».
3.4. Sicché è del tutto inconferente l'argomento secondo cui
le piccole modifiche dell'immobile che, non incidendo sulla
rendita catastale, non necessitano di apposita variazione,
consentono al progettista di non riportarle nello "stato
di fatto" del progetto presentato a fini
urbanistico-edilizi. L'eterogeneità dei fini (tributario il
primo, conformità dell'opera agli strumenti urbanistici, il
secondo) è evidente e non necessita ulteriori spiegazioni.
3.5. V'è piuttosto da aggiungere che,
in materia
urbanistica-edilizia, la necessità dell'accertamento della
cd. "doppia conformità" dell'opera agli strumenti
urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione
dell'opera stessa che a quello della presentazione della
domanda, rende ancora più stringente la necessità che lo "stato
di fatto" del progetto rappresenti in modo assolutamente
fedele la reale consistenza dell'immobile
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.03.2017 n. 15228). |
febbraio 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Riscontro richiesta di parere della Direzione Tecnica del
Municipio XV prot. CU 97347 del 25.11.2020 (pervenuta al
D.P.A.U. con prot. QI 138499 del 25.11.2020), inerente la
richiesta di chiarimenti in merito alle “Tolleranze
costruttive” di cui all’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001
(Comune di Roma,
nota 11.12.2020 n. 148518 di prot.).
---------------
Si leggano, al riguardo, altri precedenti pareri
collegati:
●
Oggetto: Riscontro
richiesta di parere della Direzione Tecnica del Municipio
VII prot. Cl 146146 del 26.06.2018 (pervenuta al D.P.A.U.
con prot. Ql 113427 del 03.07.2018), inerente
l'applicabilità dell'art. 34, comma 2-ter, dpr 380/2001 per
la chiusura di una loggia (Comune di Roma,
nota 08.08.2018 n. 135807 di prot.).
●
Oggetto: Riscontro
richiesta parere U.O.T. Municipio III (ex IV) prot. 125685
del 14.12.2015 (acquisita al D.P.A.U. con prot. 207401 del
18.12.2015), inerente le intervenute modifiche al dpr
380/2001 con la Legge 106/2011 - art. 34, comma 2-ter
(Comune di Roma,
nota 15.02.2016 n. 26496 di prot.). |
giugno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
sanzione alternativa alla
demolizione, nella prassi frequentemente definita come
“sanatoria ex art. 34 dpr 380/2001”, è contemplata solo per
le opere realizzate in parziale difformità dal permesso di
costruire, se la demolizione non può avvenire senza
pregiudizio della parte eseguita in conformità.
Il requisito richiesto, pertanto, è duplice:
- la difformità solo parziale e non totale;
- il pregiudizio per la parte eseguita in conformità, in
caso di demolizione.
Se entrambi i presupposti indicati non sussistono la
demolizione è ineludibile.
---------------
Non ricorre la fattispecie della parziale difformità, posto
che anche a voler considerare corrette le misurazioni
dell’altezza del sottotetto effettuate dalla parte
ricorrente, il 2% è abbondantemente superato (si verte,
infatti, nell’ordine –approssimativamente- del 10% di
aumento).
La dimensione dell’incremento è tale da configurare una
variazione essenziale, ai sensi dell'articolo 32, D.P.R. n.
380/2001
Ai sensi di una consolidata giurisprudenza, a norma degli
articoli 31 e 32 DPR n. 380/2001, si verificano
difformità totale del manufatto o variazioni
essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i
lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista
dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione,
destinazione, ubicazione, mentre si configura la
difformità parziale quando le modificazioni incidano su
elementi particolari e non essenziali della costruzione e si
concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non
incidenti sulle strutture essenziali dell'opera.
Precipitato logico di tali principi, è l’esclusione della
“sanatoria” invocata (quando l’altezza realizzata superi di
più del 2% quella progettata,) irrilevante essendo che vi
sia pregiudizio in caso di demolizione.
---------------
... per l'annullamento:
- del diniego di sanatoria a firma del Dirigente del Settore
Urbanistica, Sezione Edilizia Privata ed Economica del
Comune di Corato, recante il prot. 11.21992 del 25.06.2014,
notificato alla ricorrente in data 30.06.2014 e con il quale
è stata rigettata in via definitiva l’istanza di sanatoria
inoltrata dalla Fe.Im. s.r.l., ai sensi e per gli effetti
dell’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/2001, nonché
contestualmente, ai sensi e per gli effetti della L.R.
Puglia n. 33/2007 per il recupero ai fini abitativi del vano
sottotetto (cfr istanza presentata in data 3006 2014,
protocollata al n. 3673 ed identificata come pratica
edilizia n. 15/2014),
- ove lesivi degli interessi della società ricorrente, dei
seguenti atti presupposti e/o connessi, richiamati ob
relationem nel summenzionato provvedimento ancorché
trattasi di atti del tutto sconosciuti e mai notificati alla
Fe.Im. srl: a) ordinanza di demolizione dirigenziale n.
39/2012 del 27.03.2012; b) ordinanza dirigenziale n. 3
1/2012 del 26.03.2012;
- di ogni altro atto, connesso, presupposto e/o
consequenziale a quello impugnato, ancorché non conosciuto,
ivi compresi, ove occorra ed ove lesivi degli interessi del
ricorrente, le eventuali ulteriori relazioni istruttorie
endoprocedimentali, la proposta del responsabile del
procedimento con riserva, in ogni caso, di formulare in
merito ed ove necessario appositi motivi aggiunti;
- nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente,
con la consequenziale condanna del Comune di Corato, ad
ottenere ad ottenere il rilascio della sanatoria de qua,
conformemente a quanto richiesto con l’istanza/pratica
edilizia recante il n. 15/2014.
...
La società odierna ricorrente ha realizzato, sulla scorta
dei titoli edilizi rilasciatile in virtù di un piano di
lottizzazione regolarmente approvato, un fabbricato
destinato a civile abitazione composto da quattro unità
abitative (la ricorrente non precisa, in ricorso, quanti
piani fuori terra contempli il progetto, ma dagli allegati
grafici prodotti, verosimilmente si tratta di edificio ad un
piano f.t. e sottotetto –in progetto- non abitabile, sito in
v. ... n. 28, identificato al foglio 48, p.lla 717).
In sede di realizzazione del manufatto, il piano sottotetto
è stato edificato, per due delle unità immobiliari (interni
n. 36 en. 38 identificati, catastalmente dai subalterni 3 e
4) con maggiore altezza rispetto a quella di progetto (dalle
fotografie prodotte si evince chiaramente che il sottotetto
è già utilizzato a vani abitativi).
La società ha, pertanto, inoltrato una richiesta di “sanatoria”
(rectius: di applicazione di sanzione non demolitoria)
ai sensi e per gli effetti dell'art. 34, comma 2, del D.P.R.
n. 380/2001, ritenendo che le difformità realizzate fossero
lievi e assoggettabili alla normativa invocata.
Contestualmente, nell'istanza di che trattasi, ha anche
richiesto, ai sensi della L.R. n. 33/2007, cosi come
modificata dall'art. 1 della L.R. n. 38/2013, il recupero,
ai fini abitativi, del vano sottotetto; il tutto, comunque,
sempre previa definizione di sanatoria, ai sensi del
summenzionato art. 34, comma 2.
Con il provvedimento impugnato, il Comune ha negato
l’applicazione della sanzione pecuniaria e, conseguentemente
escluso la possibilità del recupero a fini abitativi del
sottotetto, in quanto, pacificamente, la normativa regionale
la esclude in caso di opere abusive.
...
Il ricorso non è fondato.
La questione su cui le parti controvertono va risolta
esclusivamente in punto di diritto.
Recita l’art. 34 cit., rubricato “Interventi eseguiti in
parziale difformità dal permesso di costruire”: “1.
Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità
dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e
spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo
fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del
responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi
o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi
responsabili dell'abuso.
2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio
della parte eseguita in conformità, il dirigente o il
responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al
doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge
27.07.978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in
difformità dal permesso di costruire, se ad uso
residenziale, e pari al doppio del valore venale,
determinato a cura della agenzia del territorio, per le
opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano
anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 22, comma
3, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione
certificata di inizio attività (1).
2-ter. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non
si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza
di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie
coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2
per cento delle misure progettuali (2).”
In estrema sintesi la sanzione alternativa alla demolizione,
nella prassi frequentemente definita come “sanatoria ex
art. 34”, è contemplata solo per le opere realizzate in
parziale difformità dal permesso di costruire, se la
demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte
eseguita in conformità.
Il requisito richiesto, pertanto, è duplice:
- la difformità solo parziale e non totale;
- il pregiudizio per la parte eseguita in conformità, in
caso di demolizione.
Se entrambi i presupposti indicati non sussistono la
demolizione è ineludibile.
Non ricorre la fattispecie della parziale difformità, posto
che anche a voler considerare corrette le misurazioni
dell’altezza del sottotetto effettuate dalla parte
ricorrente, il 2% è abbondantemente superato (si verte,
infatti, nell’ordine –approssimativamente- del 10% di
aumento).
La dimensione dell’incremento è tale da configurare una
variazione essenziale, ai sensi dell'articolo 32, D.P.R. n.
380/2001
Ai sensi di una consolidata giurisprudenza, (Cons. St. Sez.
IV, 27.11.1010, n. 8260; 10.04.2009, n. 2227, Sez. V,
21.03.2011, n. 1726), a norma degli articoli 31 e 32 DPR n.
380/2001, si verificano difformità totale del manufatto o
variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione,
allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella
prevista dall'atto di concessione per conformazione,
strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si
configura la difformità parziale quando le modificazioni
incidano su elementi particolari e non essenziali della
costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e
quantitative non incidenti sulle strutture essenziali
dell'opera.
Precipitato logico di tali principi, è l’esclusione della “sanatoria”
invocata (quando l’altezza realizzata superi di più del 2%
quella progettata,) irrilevante essendo che vi sia
pregiudizio in caso di demolizione.
Tale circostanza è tranciante e dirimente e non può che
porre fine al dibattito delle parti.
Risulta, infatti, del tutto irrilevante la motivazione
esposta nel provvedimento (che, pure, dà piena contezza di
tale elemento ostativo), atteso che il diniego impugnato ha
natura vincolata, sicché anche ai sensi dell’art. 21-ocites
l. n. 241/1990, l’atto impugnato è esente da ogni censura.
E’ peraltro, evidente che, risultando l’opera abusiva, non
potrà trovare applicazione la normativa regionale invocata
sul recupero dei sottotetti.
Del tutto irrilevante, infine, è l’eventuale sanatoria
concessa per analoghe costruzioni, la quale, ben lungi dal
fornire elemento a sostegno della illegittimità dell’atto
impugnato, può al più rivelare pregresse illegittimità
dell’operato dell’Ente su cui deve valutarsi l’esercizio dei
poteri di rimozione in autotutela (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 16.09.2015 n. 1251 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
principio della c.d. tollerabilità di cantiere.
Anche prima
dell’introduzione del nuovo comma 2-ter dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del
2001 (avvenuta con il decreto-legge n. 70 del 2011,
convertito in legge n. 106 del 2011), la
giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che
lievi scostamenti rispetto alle misurazioni previste
in progetto, i quali si presentino plausibili
nell'ambito della tecnica costruttiva utilizzata,
non possono considerarsi come difformità rispetto al
titolo edilizio rilasciato, dovendosi essi farsi
rientrare nel margine di tollerabilità consueto,
legato sia alla difficoltà di perfetta realizzazione
delle previsioni di progetto sia ai limiti degli
strumenti di misurazione.
---------------
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 48 del 12.01.2009 a firma del
Capo del Settore tecnico del Comune di Castellamonte, avente ad oggetto
"Sanzione pecuniaria per violazione edilizia. Opere abusive eseguite in
parziale difformità dal permesso di costruire - Art. 34 D.P.R. 06.06.2001
n. 380", notificata alla società ricorrente il 21.01.2009; nonché di
ogni altro atto presupposto, consequenziale e, comunque, connesso.
...
1. La società Co.In. s.r.l. aveva ottenuto dal Comune di Castellamonte (TO), nel 2006, il rilascio di un permesso di costruire, poi
corredato da successive varianti, per la realizzazione di un edificio di
civile abitazione situato in via ....
Dopo la realizzazione dell’opera, tuttavia, l’amministrazione ha notificato
l’ordinanza n. 48, del 12.01.2009, con la quale ha irrogato alla
società la sanzione pecuniaria di euro 14.580,00 ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, per “Opere abusive eseguite in parziale difformità
da permesso di costruire”.
Nel richiamare il verbale di accertamento in data
18.11.2008, l’amministrazione ha contestato che le altezze interne dei
vani abitabili al piano terreno (soggiorno, cucina, camera e cameretta)
“sono inferiori di alcuni cm. all’altezza minima regolamentare di mt. 2,70,
indicata sul progetto approvato”, con conseguente violazione delle altezze
minime prescritte per i locali abitabili dal d.m. 05.07.1975 e dall’art. 6,
punto 4, delle Norme Tecniche di Attuazione (n.t.a.) del Piano Regolatore
comunale il quale “non prevede tolleranze”.
E’ stato altresì contestato il
“ribassamento con tratto in carton-gesso” realizzato all’interno del locale
soggiorno, “con altezza libera ridotta a mt. 2,415, al fine di nascondere
alla vista le tubazioni del riscaldamento, partenti dal camino, non indicato
nel progetto”.
Avverso detto atto la società Co.In. s.r.l. ha proposto
ricorso dinnanzi a questo TAR, domandandone l’annullamento per i seguenti
motivi di impugnazione: ...
...
3. Il ricorso è fondato.
Portata assorbente assume il secondo motivo di gravame, incentrato sul
principio della c.d. tollerabilità di cantiere.
Anche prima
dell’introduzione del nuovo comma 2-ter dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del
2001 (avvenuta con il decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n.
106 del 2011), la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che lievi
scostamenti rispetto alle misurazioni previste in progetto, i quali si
presentino plausibili nell'ambito della tecnica costruttiva utilizzata, non
possono considerarsi come difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato
(Cons. Stato, sez. IV, dec. n. 2253 del 2007), dovendosi essi farsi
rientrare nel margine di tollerabilità consueto, legato sia alla difficoltà
di perfetta realizzazione delle previsioni di progetto sia ai limiti degli
strumenti di misurazione (TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. n. 4469 del
2009).
Nel caso di specie, peraltro, è pacifico che il contestato
abbassamento delle altezze dei locali interni sia dipeso dalla realizzazione
degli impianti di riscaldamento e quindi –anche a prescindere dal rispetto
della normativa sul risparmio energetico, allegata ma non dimostrata da
parte ricorrente– pare al Collegio che il lieve scostamento contestato dal
Comune si giustificava ampiamente nell’ambito della funzionalità della
complessiva opera realizzata.
Del resto, anche ammettendo che l’art. 6, punto 4, delle n.t.a. non preveda
espressamente alcuna tolleranza in materia di altezze dei vani interni –come asserito dall’amministrazione nella motivazione dell’atto–, ciò non
costituisce un valido argomento a difesa della pretesa del Comune, in quanto
il silenzio della norma urbanistica (peraltro, non depositata in giudizio e
quindi non a disposizione del Collegio) non può che essere interpretato in
conformità all’orientamento giurisprudenziale, di assoluto buon senso,
appena richiamato.
E’ appena il caso di aggiungere che quell’orientamento giurisprudenziale
poc’anzi citato è ormai divenuto legge per effetto del già richiamato art.
34, comma 2-ter, del d.P.R. n. 380 del 2001, a norma del quale “non si ha
parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di
altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per
singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”:
misura che, nel caso di specie, è stata pacificamente rispettata.
4. Deve quindi annullarsi l’impugnato provvedimento del Comune di
Castellamonte
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 26.06.2015 n. 1061 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Le misure progettuali.
DOMANDA:
In merito alla tolleranza prevista dal DPR 380/2001 art. 34,
comma 2-ter, si chiede:
- la flessibilità del 2% è ammessa
solo rispetto alle misure previste in progetto o anche
rispetto ai parametri fissati dal piano urbanistico?
-
Il 2% aggiuntivo é in deroga agli indici di piano, alla
volumetria assentita col piano di recupero, alla volumetria
prevista dagli ambiti di trasformazione o, sommata a quanto
concesso dal titolo abilitativo, vi deve restare compresa?
- Idem dicasi per le altezze e le superfici coperte?
- Il 2% va
anche in deroga al DM 1444/1968 per le distanze?
RISPOSTA:
Il quesito in esame concerne l’interpretazione dell’art. 34,
comma 2-ter, del D.P.R. n. 380/2001 che così recita: «Ai
fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha
parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di
violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie
coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2
per cento delle misure progettuali».
L’articolo 34 del Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia edilizia disciplina gli
interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di
costruire, prevedendone la rimozione o la demolizione a
spese dei responsabili degli abusi, ovvero l’applicazione di
una sanzione nel caso in cui le misure predette arrechino
pregiudizio.
Il testo dell’articolo in esame, così come la relazione
illustrativa al D.L. 13 n. 70/2011 (che ha introdotto la
versione vigente del comma 2-ter), prevedono espressamente
che nella definizione di parziale difformità del titolo
abilitativo siano comprese le violazioni di altezza,
distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano
per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure
progettuali.
Già dal tenore letterale si intuisce come la misura
su indicata si riferisca esclusivamente alle misure previste
in progetto e non anche ai parametri urbanistici. A conferma
di ciò, il TAR Basilicata (sentenza n. 574 del 02.10.2013)
ha statuito che il comma 2-ter dell’art. 34 DPR n. 380/2001
(introdotto dall’art. 5, comma 2, lett. a, n. 5, D.L. n.
70/20011 conv. nella L. n. 106/2011), il quale prevede che “non
si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza
di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie
coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2%
delle misure progettuali” non trova sempre attuazione,
atteso che l’eccedenza nella misura massima del 2% non può
comunque violare i parametri urbanistici stabiliti dagli
strumenti urbanistici.
Discorso diverso va fatto per quanto riguarda il rapporto
tra la disposizione in esame e il D.M. n. 1444/1968 in
materia di distanze. In questo caso, infatti, si ritiene che
la costruzione realizzata ad una distanza inferiore a quella
prevista e progettata ma contenuta nella soglia del 2%, sia
da considerare come errore costruttivo tollerato che non
determina violazione edilizia. Il D.L. n. 70/2011, infatti,
contempla nella tolleranza lo scostamento dei distacchi tra
cui pertanto può ricomprendersi lo scostamento delle
distanze tra edifici
(tratto da e link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
marzo 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Beni Ambientali. Tolleranza misure progettuali e reato
paesaggistico.
Ai sensi dell'art. 22, comma 6, del DPR n. 380/2001
qualsiasi tipo di intervento edilizio previsto dai commi 1,
2 e 3 dell'articolo, e quindi anche quelli di minore
impatti, che riguardi immobili sottoposti a tutela
storico-artistica o paesaggistica-ambientaie, è subordinato
ai preventivo rilascio dei parere o della autorizzazione
richiesti dalle corrispondenti previsioni normative.
Pertanto, il limite di tolleranza del 2% rispetto alle
misure progettuali previsto dall'art. 34, comma 2-ter, del
DPR n. 380/2001 è destinato ad operare solo con riferimento
alla normativa edilizia, ma non esime l’interessato
dall'obbligo di munirsi del prescritto nulla osta
dell'autorità competente per la tutela dei vincolo con
riferimento alle difformità che intende realizzare,
configurandosi in mancanza il reato di cui all'art. 181 del D.Lgs
n. 42/2004 (massima tratta da www.lexambiente.it -
Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 13.03.2013 n. 11850). |
dicembre 2011 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: applicazione dell’art. 19-bis
della l.r. 23 del 2004, relativo alla
“Tolleranza costruttiva” (Regione Emilia
Romagna,
nota 27.12.2011 n. 312129 di prot.).
---------------
Anche se la nota inerisce ad una legge
legge regionale, la stessa offre ugualmente
spunti di riflessione in ordine al disposto
similare di cui all’art. 5, comma 2, lett.
a), legge n. 106/2011 (introduttivo del
comma 2-ter dell’art. 34 del DPR 380 del
2001 il quale così dispone: "2-ter.
Ai fini dell’applicazione del presente
articolo, non si ha parziale difformità del
titolo abilitativo in presenza di violazioni
di altezza, distacchi, cubatura o superficie
coperta che non eccedano per singola unità
immobiliare il 2 per cento delle misure
progettuali."). |
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